Università degli Studi di Genova Facoltà di Ingegneria - Polo di Savona via Cadorna 7 - 17100 Savona Tel. +39 019 264555 - Fax +39 019 264558 Cogne, 8-10 Giugno 2000 Qualche numero speciale P.Oliva I numeri ‘Qualche numero speciale’ è il titolo di questa breve esposizione, ma prima di parlare di quelli speciali occupiamoci un momento di quelli ‘normali’. I numeri sono stati introdotti dall’uomo per l’esigenza di contare: le conchiglie da scambiare per una selce appuntita, il passare del tempo (giorni, mesi), le pecore possedute dal pastore, in modo da controllare alla sera che qualcuno non ne abbia rubato, ecc. È perciò naturale pensare ai numeri naturali, N 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 ...... ovvero io possiedo una pecora, due pecore, tre pecore, ecc. Si può facilmente immaginare come si sia poi introdotto il concetto di addizione - se io ho dieci pecore e tu me ne dai quattro, io ne ho quattordici (10 + 4 = 14) e di conseguenza quello di sottrazione: - se io ho otto pecore e ne do cinque a lui, me ne rimangono tre (8 − 5 = 3). A questo proposito si noti come non sia naturale pensare al numero zero: - se io possiedo cinque pecore e ne do cinque a te, non mi rimane niente (5 − 5 =?). Provate a chiedere al primo passante che incontrate: “scusi, quante autovetture possiede” e quello vi risponderà “una” o “due’ o altro a seconda dei casi; provate poi a chiedere: “e quante pecore possiede?” e nella migliore delle ipotesi (se non avete incontrato l’unico pastore dei dintorni) vi sentirete rispondere “io non ho pecore”; probabilmente se non vi insulterà, vi dirà semplicemente “che razza di domanda è ?”; solo nel caso in cui troviate un matematico, è molto probabile che egli vi risponda “io possiedo zero pecore” (indicando una certa deviazione mentale). Analogamente, se ci chiedessero di elencare gli oggetti presenti in una stanza potremmo dire: un lampadario, due finestre, un tavolo, quattro sedie, zero mucche, zero tirannosauri rex, ecc. !!! D’altra parte l’utilizzo di un simbolo per indicare il numero zero è piuttosto recente; al tempo dei Romani ad esempio ciò non esisteva ancora. Per la verità i Romani avevano un modo di rappresentare i numeri che non faceva uso come noi del sistema posizionale, dove lo stesso simbolo assume un valore diverso a seconda del posto in cui viene messo: ad esempio nel numero 333 lo stesso simbolo 3 è utilizzato per indicare nel primo caso a sinistra tre centinaia (=300), poi tre decine (=30) e poi tre unità (=3). Questo ci permette di scrivere qualunque numero ci capiti, comunque esso sia grande; i Romani invece, come tutti sappiamo, avevano un simbolo per le unità (I) che ripetevano un po’ di volte (al 2 P.Oliva massimo tre); quando poi diventavano troppe utilizzavano un nuovo simbolo (V = 5) e cosı̀ via: X=10, L=50, C=100, D=500, M=1000 (con la convenzione che i simboli a destra di quelli più importanti andavano sommati, quelli a sinistra sottratti). In tal modo se uno aveva bisogno di scrivere un numero molto grande doveva inventare altri simboli. Notiamo tra l’altro che con tali notazioni diventa molto difficile fare i conti, non si possono mettere in colonna i numeri per sommarli, non parliamo poi delle moltiplicazioni; fra l’altro, si è mai visto un numero romano con la virgola? o una frazione? È pur vero che i Romani non sono da prendere come esempio per la cultura matematica, eppure sempre gli stessi Romani costruivano opere ingegneristiche che hanno sfidato i secoli; per citare cose meno eclatanti dei palazzi imperiali o del colosseo, ad esempio, nella zona del finalese vi sono cinque ponti romani (sperduti nei boschi e nella macchia mediterranea) della via Julia Augusta, risalenti ai primi anni d.C. in quasi perfette condizioni (tre perfettamente agibili, e su uno di essi passa una strada carrozzabile) che hanno resistito ad infinite intemperie ed a più di una violenta alluvione, senza alcuna manutenzione da secoli; a differenza dei ponti recenti che crollano alla prima piena, o che necessitano di perenne manutenzione, come ben sa chi percorre ad esempio le autostrade della Liguria. Ma torniamo ai numeri naturali ed alle operazioni tra di essi: abbiamo parlato della sottrazione - se io ho cinque pecore e tu me ne prendi sei .....(5 − 6 =?) , non è possibile ! Non ho abbastanza pecore. Non è però difficile pensare a differenti problemi in cui 5 − 6 abbia senso: per esempio - ieri la temperatura era di 5 gradi centrigradi, oggi è scesa di 6 gradi e quindi è di 1 grado sotto lo zero (5 − 6 = −1) e abbiamo con ciò introdotto i numeri interi, ...... −4 , −3 , −2 , −1 , 0 Z , 1 , 2 , 3 , 4 ...... Un altro problema che certamente si è presentato al solito uomo del passato è - devo dare ai miei cinque figli otto pecore per uno ..... (8 + 8 + 8 + 8 + 8 = 40) introducendo cosı̀ la moltiplicazione (8 × 5 = 40), per semplificare ripetute addizioni, e di fatto la sua inversa - ho quaranta pecore da dividere tra cinque figli (40 : 5 = 8). Si noti che un problema del tipo: ho quarantatre pecore da dividere tra cinque figli, non ha la naturale soluzione: ad ogni figlio spettano 43 : 5 = 8.6 pecore (è difficile pensare a 0.6 pecore, la pecora è indivisibile, o meglio se divisa non è più una pecora). In tal caso la soluzione è: ogni figlio prende otto pecore ed a me ne rimangono tre; morale: tenere sempre ben presente l’ambito in cui si vuole risolvere il problema. Anche nel caso della divisione è però facile pensare a situazioni in cui si possa parlare di parti di un oggetto, senza distruggere l’entità dell’oggetto stesso: ad esempio è accettabile parlare di un terzo di torta e cosı̀ via. Ecco allora arrivare il concetto di frazione, o di numero razionale, Q , cioè di quei numeri che si possono scrivere come rapporti di numeri interi: m n rappresenta quel numero x tale che m = n × x. È evidente che il denominatore n dovrà essere diverso da 0, perché tutti noi sappiamo che 0 × x = 0 e quindi quanto detto sopra avrebbe senso solo per m = 0; d’altra parte in tal caso, qualunque x soddisferebbe la relazione 0 = 0 × x e quindi non sarebbe determinato il risultato della divisione. A questo punto sembrerebbe di aver definito tutti i numeri che ci servono per affrontare i tipici problemi dell’uomo comune e non (dal conto della spesa, alla divisione di una torta di compleanno, ecc.). Facciamo passare rapidamente il tempo della storia e arriviamo dall’uomo primitivo agli Egiziani. Qualche numero speciale 3 In quel tempo fu riscontrata una certa necessità della matematica ed in particolare della geometria; come è noto ad esempio dopo le annuali piene del Nilo c’era il bisogno di ritracciare i confini dei terreni dei vari proprietari, ed ecco quindi assumere grande importanza la figura dell’agrimensore, ovvero di colui che misura la terra, attuale geometra (da non confondere con il matematico geometra che studia la geometria, anche se le affinità sono evidenti). Presso i Babilonesi, lo studio della matematica era legato a quello dell’astronomia; è chiaro come la casta sacerdotale potesse tenere a bada il popolo ad esempio predicendo eventi spettacolari che risvegliano ancestrali paure come le eclissi di sole. Cosı̀ al tempo dei Greci lo studio della geometria proseguı̀ intenso; Pitagora, la sua scuola, il suo ben noto teorema di cui qui di seguito vediamo una semplice dimostrazione (sottraendo da due quadrati uguali di lato a + b quattro triangoli rettangoli uguali restano aree uguali; a sinistra c2 , a destra a2 + b2 ) Proprio con il suo teorema si potevano calcolare le misure dei lati di un triangolo rettangolo, e conoscendo ad esempio alcune semplici terne pitagoriche, utilizzando corde di lunghezza 3, 4 e 5, si potevano facilmente tracciare angoli retti. Tra tutte queste considerazioni si inserisce il concetto di grandezze commensurabili (in un certo senso confrontabili) ovvero aventi sottomultipli comuni; per esempio le lunghezze di due bastoni sembravano essere commensurabili: ogni bastone era pensato formato da un numero molto grande, ma finito, di atomi indivisibili e quindi la sua lunghezza si poteva esprimere con un numero intero, e l’atomo era il sottomultiplo comune (non è poi molto lontano dal pensiero attuale: l’atomo è un’altra cosa, ma sempre in un certo modo indivisibile è). È chiaro quindi che non potendo usare, per le misure delle lunghezze, numeri eccessivamente grandi, si poteva definire una unità di lunghezza (che contenesse n atomi) e poi dire che se l’altra lunghezza è pari ad m atomi, allora ha una misura di m n unità. Ma sempre di numeri razionali, rappresentabili mediante numeri interi, si tratta. E tutti vivevano felici e contenti. Finché arrivò il solito guastafeste, che è sempre presente in ogni famiglia (e a volte, come vedremo, anche necessario per smuovere un po’ le cose). Il problema sollevato è: “dato il quadrato di lato 1 a fianco disegnato, quanta è lunga la sua diagonale?” La risposta è immediata e discende dal teorema di Pitagora, che era noto, essendo Pitagora già esistito; la diagonale vale p √ 12 + 12 = 2 . Ma il solito guastafeste non si accontenta (altrimenti che guastafeste sarebbe) e chiede di più: “sı̀, ma che frazione è la radice quadrata di 2 ?” ..... ?????? !!!!!! ..... 4 P.Oliva A questo punto le certezze del matematico del tempo cominciarono a vacillare: si può provare in √ vari modi che 2 non è un numero razionale. per un momento che sia un numero razionale, ovvero che esistano m, n ∈ N tali che √ Supponiamo 2 m 2 = n , allora elevando al quadrato entrambi i membri si ha 2 = m n2 o m2 = 2n2 Utilizzando ad esempio un noto teorema dell’algebra (noto fin dalle scuole medie) che dice che ogni numero naturale si può scomporre in un sol modo in fattori primi, sia m = 2α 3β 5γ .... 0 0 0 n = 2α 3β 5γ .... e dove i vari esponenti possono anche essere nulli, nel caso in cui il fattore corrispondente non compaia. Sostituendo allora nella precedente relazione (e ricordando le elementari regole delle potenze) si ottiene 22α 32β 52γ .... = 22α 0 +1 2β 0 2γ 0 3 5 .... e mentre al primo membro il fattore 2 compare con esponente pari (=2α), nel secondo membro compare con esponente dispari (=2α0 + 1) e questo è impossibile. √ Se ne deduce che 2 non può essere scritto come una frazione e quindi non è razionale. Ciò significa che la diagonale del quadrato ed il lato non sono commensurabili; conseguenze di ciò: da un lato la credibilità della teoria atomica ....., dall’altro la necessità di introdurre altri numeri (i reali, R ) per risolvere problemi pratici anche molto semplici. Non è questa la sede per dare una esauriente spiegazione di cosa sono i numeri reali, ma faremo finta di ritenere che tutti sappiano cosa essi sono; anche se qualche sospetto su ciò rimane: per esempio tutti sanno che 7.1 e 3.25 sono due numeri reali distinti (alla richiesta del perché si potrebbe rispondere “perché hanno tutte, ne basterebbe una, cifre distinte” oppure che “la loro differenza è 3.85 e non 0”); analogamente 1 e 0.9̄ (zero virgola nove periodico, 0.99999....) hanno tutte le cifre distinte e per quanto detto sopra sembrerebbero diversi, ma se per maggiore sicurezza calcoliamo la loro differenza essa è 0.00000... = 0.0̄ cioè 0 ; e allora sono uguali !!! ( 0.9̄ può essere pensato come un’altro modo di scrivere 1, ovvero 1 = 3 31 = 3 · 0.3̄ = 0.9̄ ). Per fare un’altro esempio, tutti sanno √cosa vuol dire fare 23 , ovvero moltiplicare il numero 2 per se stesso tre volte; e allora cosa vuol dire 2 2 ? Non certo moltiplicare 2 per se stesso 1.4142.. volte ! Però lo facciamo senza alcuna trepidazione premendo alcuni tasti di una calcolatrice. E si potrebbe continuare all’infinito con esempi che dovrebbero farci dubitare della nostra conoscenza dei reali. A questo punto possiamo fare un altro passo nel tempo per arrivare al Medio Evo. Durante il decimo secolo dell’era cristiana il centro della cultura araba si spostò dalla città di Baghdad alle istituzioni spagnole per gli studi superiori, in particolare a Cordova, con grosse conseguenze per un’Europa in quel periodo intellettualmente addormentata. In questa situazione i centri di cultura erano vicini ad una frontiera attraverso la quale i frutti del pensiero indiano e cinese potevano passare al mondo cristiano occidentale e rendere disponibili per la prima volta all’Europa occidentale i maggiori contributi dell’antica Grecia attraverso le traduzioni arabe. Nel dodicesimo secolo cominciò un lungo lavoro di traduzione dei testi arabi in latino, portato avanti dai monaci, dai medici ebrei e dai mercanti che avevano studiato nelle università arabe della Spagna, e tutto ciò continuò nel secolo successivo quando la conoscenza della fabbricazione della carta, della litografia (procedimento di stampa che utilizza una particolare pietra calcarea) e della polvere da sparo valicò i Pirenei. Nel 1200 le traduzioni latine delle opere di Euclide, Tolomeo e di altri autori arabi erano già molto diffuse, per quanto fosse possibile prima dell’introduzione della stampa a caratteri mobili. 5 Qualche numero speciale Particolarmente importante era il trattato di algebra di al-Kwarismi, che si sviluppò a Baghdad durante il settimo califfato abbside (813-833); la parola algoritmo è una corruzione del suo nome, e la parola algebra deriva da al jabr, titolo di uno dei suoi libri. In tale trattato vi è una dimostrazione geometrica della ben nota formula per la risoluzione delle equazioni di secondo grado. È intanto ovvio che se manca il termine di primo grado è facile trovare le soluzioni dell’equazione: √ ad esempio x2 − 1 = 0 ha come soluzioni x = ± 1 = ±1. Data ora l’equazione di secondo grado x2 − 6x + 8 = 0 il procedimento illustrato da al-Kwarismi consiste proprio nel ricondurla ad una equazione più semplice; nella moderna simbologia può essere illustrato come segue: si trasporta a secondo membro il termine noto e si aggiunge ad entrambi i membri il valore 9, in modo da ottenere a sinistra il quadrato di x − 3, e poi si risolve: x2 − 6x = −8 , x2 − 6x + 9 = 9 − 8 , (x − 3)2 = 1 , x − 3 = ±1 , x=3±1 trovando le due soluzioni x = 2 ed x = 4. È chiaro che dopo aver utilizzato questo procedimento per alcune volte conviene formalizzarlo in modo da ottenere una formula applicabile direttamente, senza ogni volta dover pensare a cosa aggiungere per ottenere quadrati perfetti, ecc. Più precisamente, data l’equazione ax2 + bx + c = 0 con a 6= 0 (altrimenti non è di secondo grado) si ha, dividendo per a, b c x2 + x + = 0 a a , b c x2 + x = − a a , 2 b2 − 4ac b = x+ 2a 4a2 da cui, completando il quadrato a primo membro. b b2 c b2 x2 + x + 2 = 2 − a 4a 4a a e quindi b x+ =± 2a r b2 − 4ac 4a2 ovvero la ben nota x= −b ± √ b2 − 4ac 2a È buona norma, oltre a ricordare la formula, tenere anche presente il modo in cui vi si è arrivati, onde evitare di fronte ad una equazione del tipo (6x + w + 2)2 − 4 = 0 di sviluppare i quadrati e poi applicare la formula risolutiva, aumentando a dismisura i calcoli e quindi anche la probabilità di commettere errori. È un po’ come se, una volta studiate e codificate le operazioni per fare una pastasciutta: 6 P.Oliva - prendere una pentola e riempirla per tre quarti d’acqua, aggiungere il sale, accendere il fuoco sotto la pentola, aspettare che l’acqua bolla, gettare la pasta, attendere i minuti necessari per la cottura, scolarla, condirla, di fronte alla situazione: “lı̀ c’è una pentola con l’acqua bollente, butta la pasta”, voi prendeste la pentola, la svuotaste del suo contenuto e ricominciaste dall’inizio tutta la procedura studiata. Il che non è molto astuto e conveniente. Tornando brevemente alla storia, la rinascita dell’astronomia nautica, necessaria per le grandi traversate durante i secoli successivi, fu fertile terreno per gli individui dotati di talento matematico. I mori occupavano ancora gran parte della penisola spagnola quando Enrico di Portogallo fondò intorno al 1420 un osservatorio ed una scuola per addestrare i piloti a Sagre, su uno dei promontori di Capo S.Vincenzo. È quindi naturale assistere ad un fiorire di studi sulla trigonometria piana e sferica, sulla topografia, sulla cartografia in genere, favorita dall’invenzione della stampa (1455); ricordiamo quindi gli studi sulla geometria proiettiva di Durer (geometra ed incisore 1471-1528), Leonardo da Vinci (1452-1519), Mercatore (1512-1594) e la sua proiezione conforme. Poiché la terra non è piatta non è possibile rappresentare su di una carta geografica una grossa parte della superficie senza alterarne le proporzioni: ognuno di noi ha ben presente la mappa del planisfero in cui la Groenlandia appare più grande degli Stati Uniti; ma per la navigazione (per tracciare le rotte) è essenziale che la mappa sia conforme, ovvero ogni angolo che due linee formano sulla carta deve essere uguale a quello che le linee formano nella realtà. Tale è la proiezione di Mercatore, e tali proiezioni sono ottenibili facilmente con lo studio delle funzioni complesse (con i numeri complessi che introdurremo tra poco). E poi l’introduzione della polvere da sparo e quindi il problema di calcolare le traiettorie delle palle di cannone; si ricordi Galileo (1564-1642) che con i suoi studi sul pendolo permise la costruzione di orologi più precisi, fondamentali per poter determinare la posizione di una nave: si tenga presente che la latitudine è facilmente determinata dall’altezza della stella polare sull’orizzonte, ma per la longitudine è necessario conoscere l’ora di un meridiano di riferimento, e per far ciò bisogna avere un orologio (anche se per la verità è chiaro che un orologio a pendolo non funziona poi sulle navi). L’uso della stampa permise una grossa diffusione degli scritti ed una standardizzazione della simbologia, fino ad allora molto variegata, in quanto, come vedremo tra poco, ognuno scriveva la matematica a modo suo. La standardizzazione si verificò principalmente per la grande influenza esercitata da Cartesio (1596-1650), Wallis (1616-1703), Newton (1642-1727). Ad esempio, la nozione di logaritmo era già nota nel 1500 (Simone Stevino) ed anche prima, ma poté essere utilizzata appieno solo dopo la citata standardizzazione: Napier e Briggs e le loro tavole di logaritmi (1620). Ma torniamo alle nostre equazioni di secondo grado e ad un semplice problema: Determinare, tra tutti i rettangoli di perimetro 12 m, quelli aventi area uguale a 10 m2 . Dette x ed y la base e l’altezza del rettangolo si ha 2x + 2y = 12 xy = 10 Ricavando ad esempio y dalla prima equazione e sostituendo nella seconda si ha n y =6−x x2 − 6x + 10 = 0 ed utilizzando il completamento dei quadrati, l’equazione diventa x2 − 6x + 9 = −1 ovvero (x − 3)2 = −1 7 Qualche numero speciale che non fornisce alcuna soluzione reale (non vi è nessun numero reale il cui quadrato è -1). In parole povere il problema dato non ha soluzioni. Il numero i Prima che l’opera di tre francesi, il già citato Cartesio, Fermat (1601-1665) e Pascal (1623-1662) promuovessero un’esplosione di attività nuove, il francese Vieta (1540-1603) e i due italiani Tartaglia (1500-1557) e Cardano (1501-1576) aprirono nuove vie con le loro trattazioni. Intanto Cardano ebbe l’idea un po’ balzana di dare un significato alla radice quadrata di -1, chiamandola i ; introducendo cioè un numero il cui quadrato è -1 i2 = −1 È evidente che tale numero non fa parte dei numeri reali (come già osservato nessun numero reale al quadrato fornisce valori negativi); inizia in questo modo l’avventura dei numeri complessi, C . L’equazione precedente (x − 3)2 = −1 si evolve quindi in x − 3 = ±i e quindi x=3±i Non è difficile vedere che un numero complesso è un oggetto della forma z = x + iy dove x ed y (entrambi reali) sono rispettivamente i coefficienti della parte reale e della parte immaginaria di z. Le operazioni sui numeri reali si effettuano trattando i come una comune parte letterale, con la sola condizione che ogni volta che compare i2 questo viene sostituito con -1, per cui i2 = −1 , i3 = i2 i = −i , i 4 = i2 i2 = 1 , .... È chiaro che tutto ciò appare essere un puro gioco matematico, per il divertimento degli addetti ai lavori, e per la disperazione degli studenti. L’introduzione dei numeri complessi non sembra affatto motivata da esigenze pratiche, come invece lo è stata l’introduzione dei numeri reali, al tempo dei Greci; in altre parole la diagonale del √ quadrato di lato 1 è lunga 2 (e ciò sembra ora naturale), mentre è difficile affermare che il rettangolo cercato nel problema succitato ha la base e l’altezza lunghe 3 ± i. E i numeri complessi forse sarebbero veramente rimasti un puro trastullo dei matematici, se non fosse successo qualcosa d’altro. Lo stesso Cardano (e Tartaglia) si dedicò alla soluzione delle equazioni di terzo e di quarto grado, che come vedremo hanno anch’esse una loro formula risolutiva (che non viene insegnata nelle scuole superiori per due banali motivi che vedremo tra poco). Si ricordi che, sempre nelle scuole superiori, si affrontano alcuni tipi di equazioni di terzo grado e superiore, ad esempio quelle reciproche, cioè della forma ax3 + bx2 + bx + a = 0 che hanno come soluzione nota x = −1 (si verifichi ciò sostituendo nell’equazione); in tal modo l’equazione è riducibile di grado e diventa poi risolubile come una comune equazione di secondo grado. 8 P.Oliva Ma Cardano trovò un algoritmo atto a risolvere qualunque equazione di terzo grado: illustriamo ciò con un esempio; si consideri l’equazione x3 + 3x2 − 3x − 14 = 0 Incominciamo con una sostituzione del tipo x = y + a ed otteniamo (y + a)3 + 3(y + a)2 − 3(y + a) − 14 = 0 da cui sviluppando le potenze y 3 + 3ay 2 + 3a2 y + a3 + 3y 2 + 6ay + 3a3 − 3y − 3a − 14 = 0 ed ordinando secondo la variabile y si ottiene y 3 + (3a + 3)y 2 + (3a2 + 6a − 3)y + (a3 + 3a2 − 3a − 14) = 0 Scegliamo ora a in modo da eliminare il coefficiente di y 2 , poniamo cioè 3a + 3 = 0 ovvero a = −1 e sostituendo nell’equazione otteniamo y 3 − 6y − 9 = 0 e x=y+a=y−1 Si noti che si poteva anche pensare di annullare il coefficiente di y, ma ciò era più complicato perché di secondo grado in a; molto utile sarebbe stato annullare il termine noto, perché in tal caso l’equazione in y sarebbe stata facilmente abbassabile di grado (y = 0 sarebbe stata una soluzione), ma ciò non è possibile in quanto annullare il termine noto equivale a risolvere in a la stessa equazione data di terzo grado. Torniamo ora alla nostra equazione: dalla relazione (u + v)3 = u3 + 3u2 v + 3uv 2 + v 3 si deduce facilmente l’identità (u + v)3 − 3uv(u + v) − (u3 + v 3 ) = 0 Se ora noi confrontiamo tale relazione con la nostra equazione y 3 − 6y − 9 = 0 pensando y = u + v, possiamo identificare le due scritture, ponendo n 3uv = 6 u3 + v 3 = 9 da cui n uv = 2 u3 + v 3 = 9 Tale sistema, elevando al cubo la prima equazione, diventa un sistema (simmetrico) di secondo grado nelle incognite u3 e v 3 , cioè u3 v 3 = 8 u3 + v 3 = 9 e ricavando ad esempio v 3 dalla seconda, e sostituendo nella prima, si ha u3 (9 − u3 ) = 8 ovvero (u3 )2 − 9u3 + 8 = 0 e risolvendo u3 = 9± √ 81 − 32 9±7 = 2 2 9 Qualche numero speciale Ne segue u3 = 1 e u3 = 8, da cui u=1 , v=2 (e viceversa) di conseguenza y =u+v =3 e x=y−1=2 Abbiamo con ciò determinato una soluzione x = 2 dell’equazione di terzo grado; è ora semplice ridurla di grado e trovare le altre soluzioni. Anche questo procedimento si può formalizzare una volta per tutte per ottenere una formula risolutiva per le equazioni di terzo grado del tipo ax3 + bx2 + cx + d = 0 Ripetendo tutti i passaggi si ottiene che, posto p= 3ac − b2 9a2 , q= 9abc − 2b3 − 27a2 d 54a3 allora una soluzione è b x=− + 3a q q p p 3 3 2 3 q − q + p + q + q 2 + p3 Forse è già chiaro il primo motivo per cui tale formula non viene insegnata nelle scuole superiori, e forse si intuisce che è più facile ricordarsi il procedimento piuttosto che la formula finale. Ma c’è un altro motivo, più nascosto. Proviamo a risolvere l’equazione (x − 1)(x + 1)(x − 2) = x3 − 2x2 − x + 2 = 0 che ha evidentemente come soluzioni x=1 x = −1 , , x=2 Applicando la formula, posto p=− si ottiene 2 x= + 3 s 3 7 9 10 − − 27 , r q=− 1 − + 3 s 3 10 27 10 − + 27 r − 1 3 Il valore sotto la radice quadrata risulta negativo e dovremo perciò calcolare la radice cubica di un numero complesso; si noti che l’equazione data aveva tre soluzioni tutte reali, eppure per poterle determinare è necessario passare attraverso calcoli che coinvolgono numeri complessi (e questo accade ogni volta che l’equazione di terzo grado ha tutte e tre le soluzioni reali). Questo è il secondo motivo per cui la formula non viene insegnata nelle scuole superiori (non si ha ancora molta dimestichezza con i numeri complessi); ma questo è anche il motivo principale per cui i numeri complessi non restano un puro gioco matematico, e diventano invece essenziali per affrontare problemi la cui soluzione è comunque nell’ambito reale. Prima di procedere osserviamo che un dubbio, più che lecito, che potrebbe nascere è 10 P.Oliva - per risolvere l’equazione x2 = 2 abbiamo dovuto introdurre i numeri reali; per risolvere l’equazione x2 = −1 abbiamo dovuto introdurre i complessi; non sarà che domani arriva qualcuno con un altra equazione irrisolubile nel contesto dei complessi e dovremo introdurre altri numeri? Per fortuna la risposta sta nel teorema fondamentale dell’algebra, che ci dice che un’equazione di grado n, a coefficienti complessi, ha sempre n soluzioni, tutte nei complessi. In parole povere, finché tratteremo con equazioni algebriche, non ci serviranno altri numeri. Un’altra osservazione da fare è che noi abbiamo visto come Cardano risolse le equazioni di terzo grado, e lo abbiamo fatto utilizzando le semplici notazioni dell’algebra, che ci permettono di spostare da un membro all’altro di un’equazione parti numeriche o letterali, con grande semplicità, e di eseguire altrettanto semplicemente sulle varie parti funzioni quali le radici quadrate o cubiche. È però interessante tenere presente che all’epoca di Cardano le notazioni algebriche non erano standardizzate: quello che noi scriviamo oggi come x + 3 = 5, e quindi risolviamo banalmente con x = 5 − 3 = 2, era scritto in forma molto più complicata, e quindi molto più difficile da maneggiare. A titolo di esempio, onde capire le difficoltà che dovevano superare i matematici del tempo, la seguente tabella illustra le notazioni di allora e di oggi: Data Matematico Simbolismo usato 1494 Pacioli 1521 Ghaligai 1545 Cardano 1556 Tartaglia 1559 1577 1586 1631 1693 Buteo Gosselin Ramus Harriot Wallis Forma attuale o Trouame .ı.n , che giōto al suo q̄drato facia .12. e 32 co – 320 numeri 1 9 cub p: 6 reb9 aeq̂lis 20 Trouame uno numero che azontoli la sua radice cuba uenghi ste, cioe .6. 1 ♦ P3ρP24 1 ♦ P6ρP9 12LM1QP48 aequalia 144M24LP2Q 1q −+− 8l aequatus sit 65 aaa − 3 · bba === + 2 · ccc x4 + bx3 + cxx + dx + e = 0 x + x2 = 12 x2 + 32x = 320 x3 + 6x = 20 √ x+ 3 x=6 x2 + 6x + 9 = x2 + 3x + 24 12x − x2 + 48 = 144 − 24x + 2x2 x2 + 8x = 65 a3 − 3b2 a = 2c3 x4 + bx3 + cx2 + dx + e = 0 In modo simile, che qui non stiamo ad illustrare, si possono risolvere le equazioni di quarto grado e la speranza dei matematici era quella di poter fornire una simile trattazione anche per le equazioni di grado superiore. Nei primi anni del 1800 fu però possibile dimostrare che non esiste un metodo generale esatto di soluzione per qualsiasi equazione algebrica di grado superiore al quarto. Va però notato, prima di farsi prendere dallo sconforto, che quando noi diciamo di aver risolto un’equazione, sia essa pure di secondo grado, affermiamo di aver trovato una formula che ci permette di arrivare alla soluzione; tale formula però contiene ad esempio delle radici quadrate ed il calcolo di tali radici non viene poi fatto in maniera esatta, ma mediante algoritmi che forniscono il valore cercato con precisione arbitraria. In altre parole dopo aver eseguito i calcoli io conoscerò la soluzione con il numero di cifre decimali che mi interessano, e non √ di più; ma tutti noi non ci scandalizziamo dicendo per esempio che la soluzione di x2 = 2 è x = ± 2 ≈ ±1.4142 coscenti del fatto che se vogliamo una soluzione più precisa, sappiamo come fare. A questo proposito notiamo che allora non è necessario scervellarsi per cercare una formula risolutiva; abbiamo molti metodi per approssimare quanto si vuole una soluzione di un’equazione, e non molto complicati. Supponiamo ad esempio di dover risolvere l’equazione x4 + x − 1 = 0 e di conoscere una soluzione approssimata, sia essa y; indichiamo allora con a l’errore commesso approssimando la soluzione corretta x con y; in altre parole sia x = y + a ; sostituendo nell’equazione si ottiene (y + a)4 + (y + a) − 1 = 0 e sviluppando i calcoli y 4 + 4ay 3 + 6a2 y 2 + 4a3 y + a4 + y + a − 1 = 0 Qualche numero speciale 11 Ora, se y è una buona approssimazione di x, il valore di a risulterà essere piccolo, e pertanto ancora più piccoli risulteranno a2 , a3 , a4 . Trascurando i termini che contengono tali valori, l’equazione diventa 1 − y4 − y y 4 + 4ay 3 + y + a − 1 = 0 ovvero a= 4y 3 + 1 e quindi una nuova stima, più precisa, della soluzione x sarà x≈y+a=y+ 1 − y4 − y 3y 4 + 1 = 4y 3 + 1 4y 3 + 1 A titolo di esempio prendiamo y = 1 come soluzione approssimata, ne segue una nuova stima della soluzione pari a 45 = .8; è evidente che tale stima può essere riutilizzata per trovare una nuova approssimazione, riapplicando la formula, ottenendo (utilizzando una semplice calcolatrice con 10 cifre), la sequenza 1 , 0.8 , 0.731233595 , 0.72454848 , 0.724491963 , 0.724491959 , 0.724491959 , ... che a questo punto non cambia più. Abbiamo cioè determinato la soluzione dell’equazione, non esatta, ma precisa quanto ci interessa. Compito dell’Analisi Matematica sarà poi quello di determinare sotto quali ipotesi tale procedimento conduce alla effettiva determinazione di una soluzione: in parole povere quando funziona. Il numero π. Il secondo numero speciale che incontriamo ora, in questo breve viaggio è π (Pi greco): quel numero reale che indica il rapporto tra la lunghezza di una circonferenza e quella del suo diametro: cioè π = C/D. Ogni studente sa bene che tale valore vale circa 3.14 (alcuni per la verità pensano che sia esattamente quel valore). Oggi noi sappiamo che π non è un numero razionale (Lambert, 1761) e quindi né decimale finito, né scrivibile in termini di frazione; sappiamo pure che è trascendente (Lindemann,1882), ovvero non è soluzione di√ nessuna equazione algebrica a coefficienti razionali (come era ad esempio 2). Tutto ciò chiude il famoso problema della quadratura del cerchio, ovvero dichiara impossibile poter disegnare con un numero finito di operazioni con riga e compasso il lato di un quadrato la cui area sia equivalente a quella di un dato cerchio; problema che aveva a lungo assillato gli antichi Greci e molti dopo di loro in epoche più recenti, nonostante già nel 1544 Stifel dicesse “Frustra laborant quotquot se calcolationibus fatigant pro inventione quadrature circuli”. Il valore di π con le prime cinquanta cifre decimali esatte è 3. 14159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971 69399 37510 12 P.Oliva Notiamo quindi che se utilizziamo il solito valore 3.14 e calcoliamo la circonferenza di una ruota di raggio 1 metro commettiamo un errore di circa 3mm, trascurabile, anche se non proprio piccolissimo. Indubbiamente π è uno dei più famosi ed importanti numeri con cui uno studente abbia avuto ed avrà a che fare. In origine Oughtred (1647) e Gregory (1697) utilizzarono questo simbolo per la lunghezza di una circonferenza: più precisamente π/r indicava il rapporto fra le misure di circonferenza e raggio. Il primo uso di π con l’attuale significato risale al matematico William Jones (1706) e nel 1737 Eulero adottò questo simbolo che divenne rapidamente una notazione standard. Il problema di determinare la lunghezza di una circonferenza, noto il suo diametro, è un problema antichissimo: 2000 anni prima dell’era cristiana i Babilonesi√utilizzavano come approssimazione di π il valore 25/8 = 3.125, gli Indiani 10 ≈ 3.16227766, mentre dal papiro di Rhind (a destra), datato intorno al 1650 a.C., si deduce che gli Egiziani utilizzavano il valore (16/9)2 = 256/81 ≈ 3.16049383. Un altro riferimento al valore in oggetto si trova nella Bibbia: nel primo Libro dei Re (7,23) mentre si descrive la costruzione del Tempio da parte di re Salomone, e più precisamente di un grande bacino di bronzo (mare), sorretto da dodici buoi, si legge “Fece poi il mare in metallo fuso, a forma circolare, di dieci cubiti da un orlo all’altro. Era alto cinque cubiti, mentre una cordicella di trenta cubiti ne misurava la circonferenza”. Da tale verso si deduce che il rapporto tra la lunghezza della circonferenza ed il suo diametro si deve considerare uguale a 3. Tale valore appare molto approssimato, date le precedenti e ben documentate stime di Egiziani e Babilonesi, ma, anche se non ci si trova certamente di fronte ad un testo di matematica, vi sono su ciò numerose interpretazioni. Per citarne una (Britannica 1985), viene fatto notare che nella versione originale della Bibbia una parola del verso viene scritta “QVH ”, mentre la corretta lettura dovrebbe essere “QV ”; in effetti la stessa frase si può ritrovare nella Cronache (4,2), di successiva stesura, con lo stesso identico testo e la versione “QV ”. Ora va considerato che, ben prima della costruzione del Tempio, le lettere dell’alfabeto Ebraico erano anche usate a scopi numerici; si possono quindi calcolare i valori delle parole (sommando i contributi delle singole lettere, anche se questo non è l’unico modo documentato) ed essendo i valori standard dati da Q = 100 , V = 6 , H = 5 si deduce che la parola “QVH ” assume il valore di 100 + 6 + 5 = 111, mentre il valore di “QV ” risulta 100 + 6 = 106. Se ne dedurrebbe da ciò una correzione del valore 3, secondo la frazione 111/106, ottenendo il valore di 3 × 111/106 = 333/106 ≈ 3.14150943. Il primo calcolo teorico del valore di π sembra comunque essere quello di Archimede di Siracusa (282-212 a.C.); egli ottenne l’approssimazione 3.14084507 ≈ 3 + 223 22 10 10 = < π < =3+ ≈ 3.14285714 71 71 7 70 che, per la prima volta fornisce una stima sia per eccesso che per difetto del valore corretto, con un errore di circa 0.00026 sul valore medio. Archimede sapeva quindi di non conoscere il valore esatto di π, ma forniva comunque un piccolo intervallo di valori entro cui esso doveva sicuramente stare. L’idea è naturalmente quella di approssimare la lunghezza della circonferenza mediante i perimetri di poligoni (regolari) inscritti e circoscritti; più il numero dei lati è grande, più la stima sarà precisa. Non è difficile vedere che, se L indica il lato di un poligono regolare inscritto di k lati, la misura l del lato del poligono inscritto di 2k lati è data da (utilizzando il teorema di Pitagora sui triangoli ¯ e l = AC ¯ ) rettangoli OHA e AHC, ove L = AB Qualche numero speciale 13 s r 2 2 2 2 2 p L2 L L L L 2 = + 1 − 1 − +1+1− −2 1− = 2 − 4 − L2 l = 2 2 4 4 4 Dato il lato del poligono inscritto li è poi facile trovare il lato del poligono circoscritto lc , sfruttando la similitudine dei due triangoli OAB e OA0 B 0 , ottenendo li lc = q 1− l i2 4 2li =p 4 − li2 Partendo quindi dal lato dell’esagono inscritto in un cerchio di raggio 1, che vale 1, è quindi possibile determinare i lati dei poligoni di 12, 24, 48, 96 ... lati inscritti ed ottenere una stima per difetto di π; determinando poi il lato del poligono circoscritto si potrà avere una stima di π per eccesso. Utilizzando la formula succitata, si ottiene, con otto cifre decimali numero lati lunghezza lato 6 1 12 0.51763809 24 0.26105238 48 0.13080626 96 0.06543817 Il semiperimetro del poligono inscritto di 96 lati vale quindi 48 × 0.06543817 ≈ 3.14103195 Il lato del poligono circoscritto di 96 lati risulta invece 0.06547322 da cui il semiperimetro vale circa 3.1427146 Pertanto 3.14103195 < π < 3.1427146 che risulta una stima di poco più precisa di quella di Archimede, la quale ha però il grosso pregio di fornire come valori approssimanti due frazioni molto semplici. Per la verità l’algoritmo usato da Archimede era differente: se indichiamo con bn il semiperimetro del poligono regolare inscritto di 3 · 2n − 1 lati, e con an il semiperimetro del poligono circoscritto, si ha, indicando con k = 3 · 2n − 1 il numero dei lati an = k tan(π/k) e 1 1 1 + = an bn k 1 cos(π/k) + sin(π/k) sin(π/k) , = 1 1 + cos(π/k) 1 1 2 = = k sin(π/k) k tan(π/(2k)) an +1 an +1 bn = 2k tan(π/(2k))k sin(π/k) = 2k 2 = 4k 2 sin2 (π/(2k)) = b2n +1 bn = k sin(π/k) sin(π/(2k)) (2sin(π/(2k))cos(π/(2k))) = cos(π/(2k)) 14 Riassumendo P.Oliva 1 + 1 = 2 an bn an +1 a 2 b =b n +1 n n +1 √ √ Partendo da a1 = 3 3 e b1 = 3 3/2 si può quindi calcolare a2 dalla prima formula, e quindi b2 , con la seconda, e cosı̀ via. Si tenga ben presente che Archimede non aveva le notazioni algebriche e trigonometriche oggi in nostro possesso; le formule da noi scritte e dimostrate in due righe furono da lui dedotte con pure considerazioni geometriche e con chissà quanta fatica. Il fatto che quindi Archimede si sia fermato ad un poligono di 96 lati è stupefacente, non perché siano solo 96, ma nel senso che sia riuscito ad arrivare cosı̀ lontano, con i mezzi a sua disposizione. 355 fornita da Tsu Ch’ung Chi (430-501 d.C.) che Un’altra interessante approssimazione di π è 113 vale, con otto cifre decimali, 3.14159292 con un errore di 0.00000027, ovvero esatta fino alla sesta cifra decimale (una precisione superiore a qualunque necessità pratica). Si noti come tale approssimazione sia facilmente memorizzabile, essendo formata dai numeri 113 e 355 (in sequenza 113355). Per chiarirci un po’ la situazione in mezzo a tutte queste frazioni approssimanti π possiamo oggi utilizzare gli elaboratori elettronici per calcolare l’errore che si commette utilizzando frazioni con vari denominatori. Nel sottostante grafico sono state calcolate le migliori approssimazioni di π che si possono ottenere utilizzando denominatori da 1 a 639 (nel grafico di destra è ingrandita la zona da 1 a 150); in pratica se b è il denominatore, si è scelto come numeratore a l’intero più vicino a bπ e si è quindi fatto un grafico dell’errore |π − ab | (più precisamente il suo logaritmo). Le linee tratteggiate indicano un errore, partendo dall’alto, rispettivamente di 10− 7 , 10− 6 e cosı̀ via; pertanto più è alto il picco, più è precisa la frazione. La curva sottostante indica un errore di .5b ovvero l’errore medio ottenibile con un denominatore b (in altre parole, è ovvio che se si usa un denominatore di 100, si otterrà sicuramente un errore inferiore ad 1/200, per difetto o per eccesso). Si noti come si distinguano nettamente due picchi più alti degli altri, un primo, in corrispondenza del denominatore 7, (e quindi poi di 14, 21, 28, ecc.) ed un’altro in corrispondenza di 113 (e poi 226, 339, ecc.) che danno origine alle due buone approssimazioni 22 7 e 335 113 Dopo Tsu Ch’ung Chi non vi sono stati grossi passi avanti per la determinazione del valore di π, per tutto un millennio. Verso il 1430 Al-Kashi calcolò 14 cifre decimali di π, Van Ceulen (1600) ne trovò 35, ma bisogna arrivare fino alla metà del 1600, con la sistemazione delle notazioni algebriche, per un rifiorire di formule atte al calcolo di π. Una delle prime fu quella di Wallis (1616-1703) 2 · 2 · 4 · 4 · 6 · 6 .... π = 2 1 · 3 · 3 · 5 · 5 · 7 .... Qualche numero speciale 15 mentre quella forse più nota è dovuta a Gregory (1638-1675) π 1 1 1 = 1 − + − + .... 4 3 5 7 Tale formula, estremamente semplice, ci permette di calcolare π con arbitraria precisione, pur di avere la pazienza di sommare molti termini; la convergenza di tale sviluppo risulta però molto 1 , ovvero al più 3 cifre decimali esatte, bisogna sommare 500 lenta; per avere cioè una precisione di 1000 termini di quella serie. È chiaro che tutto ciò non risulta conveniente. Utilizzando un po’ di Analisi matematica, si possono provare formule che permettono un più rapido calcolo; utilizzando, se |x| < 1 arctan x = x − x5 x7 x3 + − + .... 3 5 7 citiamo ad esempio π 1 1 = arctan + arctan 4 2 3 e (Machin, 1706) 1 1 π = 4 arctan − arctan 4 5 239 Rimandiamo all’appendice per la dimostrazione di queste e di altre formule per il calcolo di π. Con le formule date iniziò una gara a chi riusciva a calcolare più cifre decimali esatte di π: 1699: Sharp, 71 cifre con la formula di Gregory; 1706: Machin, 100 cifre con il suo metodo; dopo di lui, sempre utilizzando la sua formula 1719: 1789: 1841: 1873: de Lagny, 112 cifre; Vega, 126 cifre, e poi 136 cinque anni dopo; Rutheford, 152 cifre, e poi 440 dodici anni dopo; Shanks, 707 cifre, (di cui 527 esatte). Poco dopo il calcolo di Shanks, esaminando la distribuzione delle cifre nello sviluppo decimale di π, De Morgan notò una sospetta eccessiva presenza di 7 verso la fine dello sviluppo stesso e pubblicò tale osservazione nel suo Budget of Paradoxes. Soltanto molti anni più tardi, nel 1945, Ferguson scoprı̀ che Shanks aveva commesso un errore nella 528 cifra, e quindi tutte le successive erano sbagliate. Attualmente lo sviluppo decimale di π è noto con oltre 6 miliardi di cifre, e tale sequenza ha superato ogni test statistico di casualità. Per tornare al significato di π, esso non compare solo nel problema della quadratura del cerchio; come diceva De Morgan “questo misterioso 3.14159... che entra da ogni porta e da ogni finestra e che si trova sotto ogni tetto”. Per esempio, la probabilità che presi due numeri interi a caso, essi non risultino avere divisori comuni, è data sorprendentemente da 6/π 2 . Ma forse il più noto caso in cui π entra nella teoria della probabilità è il problema dell’ago di Buffon (1777): lanciando a caso un ago di lunghezza 1 su di un foglio su cui sono tracciate delle linee parallele distanti 1, qual è la probabilità che l’ago cada toccando una linea ? 16 P.Oliva Dalla figura di sinistra si vede che, detta x la distanza del centro dell’ago dalla linea più vicina, e detto θ l’angolo con cui si è posato l’ago stesso, misurato a partire da una linea parallela alle altre, quest’ultimo intersecherà la linea se 1 sin θ ≥ x 2 Poiché dovrà essere x ∈ [0, 1/2] e θ ∈ [0, π], nella figura di destra il rettangolo rappresenta tutti gli eventi possibili, mentre la parte ombreggiata rappresenta i casi in cui l’ago interseca la linea. Ritenendo tutti gli eventi equiprobabili, la probabilità cercata sarà il rapporto fra l’area ombreggiata e quella totale del rettangolo. Rπ Con un semplice calcolo, l’area sotto la funzione sin2 θ risulta 0 sin2 t dt = 1 e quindi la probabiltà richiesta è 2 1 = . π/2 π Tornando alla storia di π, i sostenitori della quadrabilità del cerchio, convinti di averne scoperto l’esatto valore, sono stati moltissimi, ma nessuno forse ha mai superato il filosofo inglese Thomas Hobbes, nel 1600. Costui incominciò ad interessarsi di matematica dopo i 40 anni, leggendo Euclide; fu una fulminazione: per il resto della sua vita si dedicò alla geometria con passione smisurata (scrisse “la geometria possiede un qualcosa che inebria, come il vino”). Se si fosse accontentato di restare un dilettante della matematica, i suoi ultimi anni sarebbero trascorsi più serenamente, ma egli si convinse di poter fare grandi scoperte matematiche. Nel 1655, a 67 anni, pubblicò un volume in lingua latina intitolato ‘De corpore’, in cui presentava un ingegnoso metodo per ottenere la quadratura del cerchio, iniziando una disputa che durò quasi un quarto di secolo con i matematici del tempo, ed in particolare con il già citato Wallis, che di lui diceva avere una ‘curiosa incapacità di apprendere cose che non aveva capito’. Il metodo usato per quadrare il cerchio è illustrato nella figura a fianco: in un quadrato di lato 1 si tracciano i due quadranti di cerchio con raggio 1 centrati in A e D, che di incontrano in F ; si biseca l’arco BF in Q; si traccia un segmento passante per Q parallelo al lato BC e si determina il punto S in modo che Q sia punto medio di RS; si prolunga infine il segmento F S fino ad incontrare in T il lato BC. Hobbes asseriva che il segmento BT è uguale all’arco BF , ed 1 della circonferenza di raggio 1, si aveva essendo quest’ultimo 12 che π risultava uguale a sei volte la lunghezza di BT . Determinando BT si deduce per π un valore di √ √ √ 12 6 + 9 3 − 21 2 − 9 ≈ 3.14192469 2 abbastanza buono, ma ovviamente non esatto. Qualche numero speciale 17 Illustriamo qui a destra una costruzione basata sulla frazione dell’astronomo cinese Tsu Ch’ung Chi. ¯ = 1 e sia Dato un quadrante di cerchio di raggio 1, sia AB 8 1 F¯D = 2 . Si tracci quindi il segmento F S parallelo ad AC e poi il segmento F T parallelo a BS. È facile provare, dalla similitudine dei triangoli F T D e BSD, ¯ = F¯D/BD ¯ che T¯D/SD e dai triangoli F SD e BCD che ¯ CD ¯ = F¯D/BD ¯ da cui T¯D = (F¯D/BD) ¯ 2 = 16 . SD/ 113 Aggiungendo al segmento T D un segmento di lunghezza 3, si 16 = 355 otterrà quindi un segmento lungo 3 + 113 113 . π è stato anche motivo di grosse dispute nel passato, anche se sarebbe meglio dire che in alcuni casi ne è stato solo la scusa per motivare il contendere. Ad esempio, nel 1934, il noto matematico Landau dovette dimettersi dalla sua cattedra di Göttingen, perché in un suo testo aveva definito π/2 come quel valore tra 1 e 2 in cui il coseno si annulla; tale definizione fu ritenuta da Bieberbach (eminente studioso di teoria dei numeri) non gradita allo spirito germanico. Negli Stati Uniti invece il nostro numero fu motivo di grosse discussioni politiche; nel 1897, nello stato dell’Indiana, la Camera dei Rappresentanti unanime propose: - l’Assemblea Generale dello Stato dell’Indiana decreta: l’area del cerchio sta al quadrato costruito su una linea pari ad un quarto di circonferenza, come l’area del rettangolo equilatero (quadrato) sta al quadrato di un suo lato ovvero π = 4. !!! Il Senato dell’Indiana, con un po’ più di buon senso rinviò indefinitamente l’approvazione della legge. Per concludere la nostra breve storia di π va fatto notare che l’avvento di Internet ha reso disponibile una smisurata quantità di informazioni su ciò che viene fatto attorno a π. La grande quantità di siti ad esso dedicati ne conferma la popolarità. Ci vorrebbero ore per citare tutte le cose strane che si sono sviluppate sull’argomento; trascurando tutte le fantasiose considerazioni sui misteri del nostro numero, dalla sua derivazione dalla Grande Piramide di Cheope, al presunto significato di certe sue cifre, in un certa posizione del suo sviluppo decimale, alla moltitudine di formule coinvolgenti certi numeri magici che lo approssimano, a titolo di esempio di cose curiose citiamo - l’esistenza del Pi Day, ovvero il giorno in cui si celebra la festa di π, naturalmente il 14 di Marzo (che tra l’altro, come viene spesso fatto notare, è anche la data di nascita di Albert Einstein) - le due immagini seguenti, di Lisa Hakesley, giudicate degne di menzione all’Internet Raytracing Competition (concorso di immagini e animazioni): a sinistra Pihenge, a destra cow Pi, ovvero la “mucca π”. 18 P.Oliva Il numero e. L’ultimo numero che incontriamo in questa breve storia è un po’ più giovane degli altri; è stato infatti usato per la prima volta da Nepero (1614). Scegliendo una forma semplice per introdurlo possiamo fare riferimento ad un esempio finanziario: - supponiamo di affidare la folle cifra di 1 lira ad una altrettanto folle banca che ci fornisce un interesse annuo del 100%; trascorso un anno il nostro capitale sarà diventato di 2 lire (=1 di capitale +1 di interessi). È però chiaro che il capitale è rimasto fermo per tutto l’anno e solo alla fine si è aggiunto l’interesse corrispondente all’intero anno. Cosa sarebbe successo se la banca ci avesse invece corrisposto un interesse del 50%, però semestrale? Dopo sei mesi avremmo già aggiunto al nostro capitale di 1 lira l’interesse pari a 0.5 lire ottenendo un capitale di 1.5 lire; dopo altri sei mesi il capitale di 1.5 lire avrebbe fruttato 0.75 lire (=1.5/2) ottenendo pertanto alla fine dell’anno un capitale di 2 1 1 1 1 = 2.25 lire + 1+ = 1+ 1+ 2 2 2 2 che è maggiore di quello precedentemente ottenuto. In tal caso è chiaro che noi andremo a chiedere alla banca di darci un interesse del 33.3̄% ogni quattro mesi e, se la banca lo facesse, noi avremmo 1 1+ dopo quattro mesi 3 2 1 1 1 1 dopo otto mesi + 1+ = 1+ 1+ 3 3 3 3 2 2 3 1 1 1 1 1+ + = 1+ alla fine dell0 anno 1+ 3 3 3 3 pari a 2.37.. lire; sempre di più! Trascinati dalla febbre dell’oro, intravvedendo guadagni infiniti, andremo ad implorare la conces100 100 sione di interessi del 100 12 % al mese, o meglio del 365 % al giorno, o ancora meglio del 8760 % all’ora, ecc., forti del fatto che gli interessi vanno immediatamente versati sul conto, e non lasciati inerti per tutto l’anno; non sono forse disponibili alla banca per investimenti in ogni momento? e allora devono esserli anche per noi! È inopportuno (per motivi di decenza) riportare qui quella che sarebbe la risposta della banca in tale situazione. A magra consolazione ci può servire l’osservazione che la nostra lira non sarebbe comunque diventata infinita, alla fine dell’anno; infatti, se osserviamo i calcoli prima fatti notiamo che il capitale finale diventa (1 + 11 )1 se l’interesse è dato in un’unica soluzione, (1 + 21 )2 se è dato in due tempi, (1 + 31 )3 se è dato in tre tempi, e quindi è facile predire che sarà (1 + n1 )n se fornito in n tempi. Bene, si può provare che tale valore, pur essendo crescente al crescere di n, rimane sempre inferiore a 3; se quindi la banca ci concedesse un interesse continuo, ogni secondo diciamo, o anche meno, la nostra lira iniziale non diventerà mai più di 3 lire; più precisamente mai più di n 1 = 2.718... e = lim 1+ n→ +∞ n Questa è la definizione del numero e, cosı̀ chiamato in onore di Eulero; anch’esso è irrazionale (Eulero), anzi trascendente (Hermite, 1873). Qualche numero speciale 19 Il suo valore, con 50 cifre decimali esatte è: e = 2. 71828 18284 59045 23536 02874 71352 66249 77572 47093 69995 Ricollegandoci a quanto detto sopra, tracciamo in un grafico dapprima il segmento che congiunge il punto (0,1) al punto (1,2), ovvero l’ammontare del capitale più gli interessi maturati nel corso dell’anno; tracciamo poi una spezzata da (0,1) a (0.5,1.5) e poi a (1,2.25), per evidenziare il capitale raggiunto fino a sei mesi e poi nel seguito, nel caso in cui gli interessi vengano versati sul conto ogni sei mesi; tracciamo poi le altre spezzate nel caso di interessi versati quadrimestralmente, trimestralmente, ecc. Come si nota, il valore dell’ordinata, nel punto di ascissa 1, tende verso il valore di e; non solo, ma tutte le spezzate tendono a confondersi con una curva: la curva esponenziale ex . Ovviamente tale curva può essere estesa a destra (e anche a sinistra), ma ciò che forse è più interessante è che risulta facilmente definibile anche per valori di x non interi, per esempio per x uguale ad 21 , 13 , ecc. (dovrebbe essere noto agli √ p studenti che e q = q ep , meno noto dovrebbe essere il caso in cui l’esponente è irrazionale ), e più in generale x n ex = lim 1 + n Naturalmente la curva esponenziale si può definire per qualunque base positiva, ma e è quell’unica base per cui la tangente in (0,1) è inclinata di 45o . L’esame del grafico della funzione ex ci permette, dato x, di determinare y = ex ; non è difficile immaginare come sarà fatto il grafico della funzione inversa, ovvero dato y come trovare x in modo che ex = y ; sarà sufficiente invertire gli assi (e tutta la figura) ovvero disegnare una linea simmetrica rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante (tale simmetria inverte l’asse x con l’asse y). Tale funzione, grafico di centro, è il ‘logaritmo naturale’ di x, usualmente indicato con ln x, o anche log x, senza specificare la base, perché ovviamente nessuno ci impedisce di utilizzare basi diverse da e, ma se per esempio calcoliamo l’area sottesa dall’iperbole y = x1 tra i punti 1 ed x, tale area risulterà uguale a ln x (cioè al logaritmo in base e , e non in basi differenti). Torniamo ora al problema del conto corrente con un altro punto di vista; prima di fare ciò osserviamo che, se il grafico sottostante rappresenta l’andamento del capitale in un conto, con variazioni dovute a prelievi o versamenti, per determinare l’interesse maturato in un certo tempo (al 100%) è sufficiente calcolare l’area della zona sottesa dal grafico, per il tempo in esame. Infatti, un capitale c, in un tempo ∆t, genererà un interesse pari a c · ∆t (sempre se l’interesse è pari al 100%), e questo vale anche se il capitale varia nel tempo. 20 P.Oliva Con la figura di destra notiamo pure (ci servirà in seguito, ed una semplice dimostrazione si trova 1 dell’area del rettangolo in appendice) che l’area sottesa dalle potenze cxn tra 0 ed x è data da n +1 che la contiene (ciò risulta immediato con gli integrali). Mettiamoci allora in questa situazione: depositiamo in un conto la nostra solita 1 lira, e gli interessi da essa maturati, pari a x dopo un tempo x, li versiamo continuamente in un secondo conto. Tale conto maturerà esso stesso degli interessi, pari a x2 /2, che versiamo continuamente in un terzo conto, che maturerà interessi pari a x3 /6, che versiamo in un altro conto, e cosı̀ via. Il capitale totale dopo un tempo x (che sappiamo valere ex ) sarà dato dalla somma dei capitali presenti in tutti i conti, ovvero (indicando con k! = k(k − 1)(k − 2)...3 · 2 · 1 ): x3 x4 xk x2 + + + ··· + + ··· 2 3! 4! k! Tale formula (sviluppo di Taylor o di Mc Laurin) permette anche di calcolare e con una certa facilità; infatti 1 1 1 1 + ··· e = 1 + 1 + + + + ··· + 2 3! 4! k! ed è facile provare (sempre con un po’ di Analisi) che, se nella somma ci si arresta al termine k, l’errore 3 . che si commette è minore di (k +1)! 3 Ad esempio calcolando i primi dieci addendi si commette un errore inferiore a 11! ≈ 7 · 10− 8 . Si noti che nulla ci vieta di utilizzare lo sviluppo sopra citato per definire la funzione ex anche per numeri complessi; più precisamente, se x ∈ R, possiamo considerare ex = 1 + x + (ix)2 (ix)3 (ix)4 (ix)k + + + ··· + + ··· = 2 3! 4! k! x2 x3 x4 x5 x6 x7 = 1 + ix − −i + +i − − i + ··· 2 3! 4! 5! 6! 7! eix = 1 + ix + Formula analoghe a quelle trovate per la funzione ex valgono per qualunque altra funzione (derivabile n volte); per esempio per il seno ed il coseno si ha (si ricordi che x deve essere misurato in radianti): x3 x5 x7 sin x = x − + − + ··· 3! 5! 7! cos x = 1 − x2 x4 x6 + − + ··· 2! 4! 6! Qualche numero speciale 21 Per inciso notiamo che i primi tre termini di tali sviluppi approssimano nell’intervallo da 0 a π/2 le relative funzioni con errori inferiori a 0.005 per il seno ed a 0.02 per il coseno; se ci accontentiamo di utilizzarle solo tra 0 e π/4 (da 0 a 45o ), scambiando le funzioni per gli angoli complementari, i primi due termini bastano per precisioni di 0.003 per il seno e di 0.02 per il coseno. Osservando i tre sviluppi sopra citati si nota immediatamente una grossa rassomiglianza esistente tra di loro; più precisamente, se raccogliamo le parti contenenti i, si ha ix e x4 x6 x3 x5 x7 x2 + − + ··· + i x − + − + · · · = cos x + i sin x = 1− 2! 4! 6! 3! 5! 7! ottenendo in tal modo la formula di Eulero eix = cos x + i sin x Questa formula rivela un inaspettato legame tra i personaggi del nostro viaggio, che abbiamo introdotto con motivazioni totalmente differenti, dall’esigenza di risolvere equazioni algebriche particolari, alla quadratura del cerchio, ecc.: se scegliamo x = π si ottiene eiπ = cos π + i sin π = −1 ovvero eiπ + 1 = 0 che Eulero definı̀ la più bella formula della matematica; in essa sono raccolti ed intimamente legati assieme i numeri più importanti: e, i, π, 1, 0. Nel disegno a fianco è illustrata graficamente questa formula, nel piano complesso, dove sull’asse delle ascisse sta la parte reale, mentre sulle ordinate quella immaginaria del numero complesso. 3 4 2 Poichè eiπ = 1 + iπ − π2 − i π3! + π4! + · · · la spezzata poligonale rappresenta la somma dei singoli addendi, e come si vede tale somma si avvolge attorno al punto -1. Tra le molteplici altre importanti formule coinvolgenti e e π citiamo la formula di Stirling lim n! √ =1 nn e− n 2πn Prima di concludere notiamo che la letteratura di cose strane sul numero e non è cosı̀ vasta come quella su π; troppo giovane è il nostro numero e troppo fascino ha avuto invece π. Citiamo tra le altre, ad esempio due buone approssimazioni frazionarie di e, 193 71 con un errore di −6 2.8 · 10− 5 , e 1457 con un errore di 1.8 · 10 ; difficile è invece trovare una buona frazione con solo tre 536 878 , corretta a quattro decimali. cifre sia al numeratore che al denominatore: 323 Fatto curioso sia 878 che 323 sono palindromi (uguali se letti da destra a sinistra) e la loro differenza è 555. Oppure misteriose combinazioni di π che forniscono numeri quasi uguali ad e: per esempio p 6 π 4 + π 5 ≈ 2.71828181 E per finire: 22 P.Oliva non è difficile immaginarsi qualche altra cosa di particolare; nel passato anche persone di un certo rilievo hanno dedicato il loro tempo a cose curiose. Ricordiamo per esempio Keplero, che pubblicò nel 1596 il suo modello del sistema solare, basato sui cinque solidi perfetti (ottaedro, icosaedro, dodecaedro, tetraedro e cubo) ciascuno incluso nel successivo in quest’ordine: ogni orbita planetaria era circoscritta ad uno di essi ed inscritta nel successivo (forse il più bell’esempio di intuizione matematica aberrante) e trasse dai parametri delle orbite particolari melodie musicali per una grande sinfonia dell’universo. Proprio osservando che una melodia non è altro che una sequenza di coppie (nota, durata), possiamo, presi due numeri a caso, o anche uno solo, associare ad ogni cifra del primo una nota e ad ogni cifra del secondo una durata. È chiaro che se utilizziamo numeri razionali (e quindi periodici) il risultato sarà troppo ripetitivo e monotono; con numeri irrazionali è possibile che la musica venga troppo casuale e noiosa, (almeno per la durata sarebbe forse meglio usare razionali, per avere un tempo regolare). È comunque probabile che nella totalità dell’esecuzione qualche piccola parte orecchiabile ci sia. A titolo di esempio quello sotto è il risultato ottenuto utilizzando le prime 142 cifre di e a coppie, una per le note (0:Mi, 1:Fa, 2:Sol ...), l’altra per le rispettive durate (0,1,5,6:un quarto; 2,7:un ottavo; 3,4,8,9:un sedicesimo), con un qualche fattore correttivo su quest’ultime, onde rispettare le cadenze dei tempi (quattro quarti). Tale melodia si può ascoltare utilizzando il pulsante Esegui (per interrompere prima della fine utilizzare x) e dura circa 45 sec.; nella prima metà è eseguita con un solo strumento (armonica), e viene poi ripetuta con una chitarra elettrica, accompagnata da una semplice percussione e da un triangolo. 23 Qualche numero speciale Appendice • Risoluzione delle equazioni di quarto grado Data l’equazione ax4 + bx3 + cx2 + dx + e = 0 si cercano soluzioni del tipo x = y − b 4a ; allora y sarà soluzione di un’equazione del tipo y 4 + py 2 + qy + r = 0 ove p= c 3b2 − 2 a 8a , q= b3 bc d − 2 + 3 8a 2a a , r= 3b4 bd e b2 c − − 2 + 3 4 16a 256a 4a a Osservato che (u+v +w)4 −2(u2 +v 2 +w2 )(u+v +w)2 −8uvw(u+v +w)−4(u2 v 2 +u2 w2 +v 2 w2 )+(u2 +v 2 +w2 )2 = 0 l’equazione, posto y = u + v + w è equivalente a u2 + v 2 + w2 = − p2 uvw = − 8q 2 (u + v 2 + w2 )2 − 4(u2 v 2 + u2 w2 + v 2 w2 ) = r ovvero 2 p 2 2 u + v + w2 = − 2 q u2 v 2 w2 = 64 2 2 u v + u2 w 2 + v 2 w 2 = p2 16 − r 4 Pertanto u2 , v 2 , w2 saranno soluzioni dell’equazione di terzo grado p z + z2 + 2 3 p2 r − 16 4 z− q2 =0 64 • La formula di Wallis Se wn = ((2n)!!)2 ((2n − 1)!!)2 (2n + 1) si ha lim wn = Dimostrazione. Sia sn = Z 0 si ha s0 = π 2 e s1 = 1; inoltre, se n ≥ 2, π 2 π/ 2 (sin x)n dx ; . 24 P.Oliva sn = Z π/ 2 n−1 (sin x) n−1 sin x dx = −(sin x) 0 = (n − 1) Z π/ 2 π/ 2 cos x0 + Z π/ 2 (n − 1)(sin x)n − 2 (cos x)2 dx = 0 ( (sin x)n − 2 − (sin x)n ) dx = (n − 1)(sn − 2 − sn ) 0 da cui sn = n−1 sn − 2 n , n≥2. Pertanto s2n = 2n − 1 2n − 1 2n − 3 2n − 1 2n − 3 1 (2n − 1)!! π s2n − 2 = s2n − 4 = · · · s0 = 2n 2n 2n − 2 2n 2n − 2 2 (2n)!! 2 Analogamente s2n +1 = 2 (2n)!! 2n 2n − 2 · · · s1 = 2n + 1 2n − 1 3 (2n + 1)!! Dal fatto che 0 ≤ sn = Z π/ 2 (sin x)n ds ≤ 0 e sn +1 = Z π/ 2 (sin x)n +1 dx ≤ Z π 2 π/ 2 (sin x)n dx = sn 0 0 si ha che esiste lim sn = s ∈ R. Ma wn = s 2 n +1 π s2 n 2 lim wn = e quindi sπ π = s2 2 • Alcune formule per il calcolo di π Dalla relazione arctan a = arctan b + arctan c ovvero arctan c = arctan a − arctan b si ha, applicando la tangente ad entrambi i membri c = tan(arctan c) = tan(arctan a − arctan b) = a−b 1 + ab Dovendo pertanto calcolare π si potrà utilizzare la relazione π4 = arctan 1 ed ottenere, sfruttando le precedenti uguaglianze π 1 1 = arctan 1 = arctan + arctan 4 2 3 π 1 3 = arctan 1 = arctan + arctan 4 4 5 π 1 2 = arctan 1 = arctan + arctan 4 5 3 π 1 5 = arctan 1 = arctan + arctan 4 6 7 Qualche numero speciale 25 ecc. Ovviamente si possono poi riutilizzare le relazioni per ottenere ad esempio arctan 1 1 1 = arctan + arctan 2 3 7 e quindi 1 1 1 1 π = arctan + arctan = 2 arctan + arctan 4 2 3 3 7 e cosı̀ via. Di particolare interesse è il caso che utilizza arctan 51 : applicando ripetutamente le precedenti relazioni si ottiene 1 2 1 7 1 9 π = arctan 1 = arctan + arctan = 2 arctan + arctan = 3 arctan + arctan = 4 5 3 5 17 5 46 1 1 = 4 arctan − arctan 5 239 che è la già citata formula di Machin. Un’altra interessante situazione si presenta se si utilizza la successione di Fibonacci (definita mediante le f0 = f1 = 1 e fn +1 = fn + fn − 1 ); risulta infatti, se n è dispari, fn +2 = da cui arctan fn +1 fn + 1 fn +1 − fn 1 1 1 = arctan + arctan fn fn +1 fn +2 e quindi 1 1 1 1 1 1 1 π + arctan = arctan + arctan + arctan = = arctan + arctan = arctan 4 2 3 f2 f3 f2 f4 f5 1 1 1 1 = arctan + arctan + arctan + arctan = .......... = f2 f4 f6 f7 +∞ X 1 = arctan f 2i i=1 • e non è razionale Se e fosse razionale, si avrebbe e = pq , con q ≥ 2 in quanto è noto che e non é intero. Dalla formula di Taylor con il resto di Lagrange esiste c ∈ (0, 1) tale che e=1+1+ 1 1 1 1 + + · · · + + ec 2 3! q! (q + 1)! da cui, moltiplicando per q!, eq! − q! − q! − q! q! ec − − ··· − 1 = 2 3! q+1 Ma il primo membro è un numero intero, in quanto somma di numeri tutti interi, mentre il secondo membro ha un numeratore ec ∈ (1, 3), essendo c ∈ (0, 1), mentre il denominatore è q + 1 ≥ 3, e questo è impossibile. Ne segue che e 6∈ Q. 26 P.Oliva • Calcolo dell’area sottesa da cxn Dalla figura di destra si nota che l’area A, se b − a è piccolo, è approssimabile con can (b−a), mentre l’area B con a(cbn −can ). Il rapporto delle aree vale quindi ca(bn − an ) bn − 1 + abn − 2 + a2 bn − 3 + · · · an − 1 = can (b − a) an − 1 che per b ≈ a, essendo il denominatore approssimabile con nan − 1 , vale n. • La formula di Stirling Intanto, dalla formula di Wallis, essendo wn = ((2n)!!)2 (2n n!)4 = ((2n − 1)!!)2 (2n + 1) ((2n)!)2 (2n + 1) si ha che r (n!)2 22n √ = (2n)! n wn √ 2n + 1 → π n Per la convessità della funzione 1/x si ha 1 ≤ n + 1/2 da cui n +1 Z n dx 1 = ln 1 + x n n + 12 1 e ≤ 1+ n . Per la concavità del logaritmo si ha poi 1 + (ln 2 + ln 3 + · · · + ln(n − 1)) + 1 ln n ≥ 2 Z n ln x dx = n ln n − n + 1 = ln(nn e− n ) + 1 1 e quindi ln n! √ n 0 ≤ un = ≥ ln(nn e− n ) √ nn e− n n ≤ 1 n! Pertanto un è limitata; inoltre è crescente in quanto √ n + 12 (n + 1)n +1 e− n − 1 n + 1 1 un +1 n! 1 √ = ≥ 1 = 1+ un (n + 1)! e n nn e− n n Possiamo pertanto affermare che un → u ∈ R, e quindi u2n →u u2n . 27 Qualche numero speciale Ma √ u2n n2n e− 2n n (2n)! (2n)! n 1 √ √ = = u2n (n!)2 (n!)2 22n (2n)2n e− 2n 2n 2 e quindi, per quanto visto sopra u = lim e u2n 1 = √ u2n 2π √ nn e− n n 1 →√ n! 2π . Si noti che, per ogni n ∈ N 0.367879 ≈ 1 1 = u1 ≤ un ≤ lim un = √ ≈ 0.398943 e 2π Indice. I numeri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 Il numero i . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 7 Il numero π . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11 Il numero e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 18 Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 23 PlainTex - DviPdf 1.1 op - 4 Giugno 2000 P O