Martin Heidegger (1889-1976)
Ludwig Wittgenstein(1889-1951)
Nella seconda metà del Novecento la filosofia era divisa in due. Due
tradizioni filosofiche «si spartivano la Terra» […]: la filosofia analitica,
diffusa soprattutto nei paesi di lingua inglese e in Scandinavia, e
l’insieme di correnti attive quasi esclusivamente in Europa, che venne
chiamato perciò filosofia «continentale»…
Franca d’Agostini, Analitici e continentali c'eravamo tanto odiati, in
http://www.lastampa.it/2011/08/30/cultura

Ma il vero problema riguardava piuttosto
la domanda: che cosa si fa in filosofia? Le
due tradizioni sembravano (in parte
sembrano) essere portatrici di due modi
molto diversi di fare filosofia: un modo
rigoroso, attento ai risultati della scienza,
da praticarsi in sedi universitarie, e con
scarsi contatti o nessuno con la vita
pubblica (filosofia analitica); un modo
stilisticamente libero, generalmente
avverso alla scienza, interessato alla
politica e alla vita pubblica (filosofia
continentale).

Franca d’Agostini, ibidem
La filosofia è, dunque, in senso lato, una scienza, e non un'arte. È una parte della ricerca della
verità. È facile prendersi gioco di questa affermazione. Quali sarebbero queste grandi verità scoperte
dalla filosofia? Quali le scoperte che tutti i filosofi potrebbero condividere? Si può forse scrivere un
testo elementare di filosofia composto solo di quelle proposizioni che tutti i filosofi potrebbero
sottoscrivere?
[…] È una materia autentica? Se lo è, qual è il suo oggetto specifico? Una domanda simile può
riguardare anche la matematica: di che cosa esattamente si occupa? I risultati della matematica
sono troppo evidenti a chiunque perché se ne possa mettere in discussione il diritto di esistere e di
essere sostenuta finanziariamente dallo Stato. I risultati della filosofia invece sono difficili da definire.
Nella sua storia, molte discipline scientifiche sono sbocciate dalla sua pianta. Prima la fisica e le altre
scienze naturali, un tempo conosciute come "filosofia naturale"; poi la logica matematica, la
psicologia sperimentale, la linguistica e anche la computer science. Ma come mai il ceppo nonscientifico sopravvive e continua a fiorire? Sopravvive perché il nucleo dei problemi filosofici - cui si
aggiungono nuovi problemi posti dalle scienze […] - resta irrisolto. C'è un interesse pressante perché
quei problemi vengano risolti, ed è naturale che l'interesse per la loro soluzione sia pressante.
Tratteggiare il contrasto tra la filosofia e le scienze alla maniera di Wittgenstein, che sostenne che le
proposizioni filosofiche non esistono, è esagerato. Le proposizioni filosofiche esistono eccome; lo
scopo della filosofia però non è quello di accrescere la nostra conoscenza, ma di intensificare
la nostra comprensione. Noi esseri umani non abbiamo una visione chiara dei concetti che usiamo
e dei contenuti delle proposizioni di cui siamo soddisfatti di aver stabilito la verità.
Siamo come soldati in un campo di battaglia, consapevoli di quanto accade intorno a noi quel tanto che
basta per decidere che cosa fare, ma senza una visione generale di quello che sta succedendo. Noi
afferriamo i concetti di uso comune per quel che ci servono nei contesti quotidiani, includendo tra questi - se
siamo degli scienziati - i laboratori; ma non siamo in grado di apprendere la loro collocazione complessiva
nella nostra concezione della realtà.
La filosofia cerca di metterci in grado di avere una visione chiara e di dominarla: non di sapere di più, ma di
comprendere più profondamente ciò che già sappiamo. Nella misura in cui fa questo è parte nella ricerca
della verità. Senza questa comprensione, noi possiamo scegliere tra l'astensione completa dalla riflessione e
il tuffarci nella perplessità e nell'incertezza: un'incertezza dalla quale desideriamo liberarci. Il filosofo cerca
questa liberazione, per sé e per tutti coloro che può convincere con i suoi argomenti volti a interpretare i
nostri concetti e il linguaggio in cui li esprimiamo.
In termini di risultati incontestabili, la filosofia accumula ben poco. Comunque progredisce. […] I filosofi
cercano le soluzioni dei loro problemi attraversando sentieri tortuosi. […] Filosofi diversi prendono diversi
sentieri per risolvere lo stesso problema: il fatto che, a un certo punto, due filosofi procedano in direzioni
divergenti non dimostra però che un ulteriore tratto lungo il sentiero non li guiderà verso la stessa soluzione.
Per quanto grande possa essere il loro disaccordo, le loro intuizioni gradualmente contribuiranno alla
soluzione dei problemi con i quali si stanno cimentando: come il cielo si illumina lentamente prima dell'alba,
così la comprensione che essi cercano si propagherà gradualmente molto prima che una formulazione netta
e universalmente accettata sia possibile. La filosofia fa progressi, e i suoi progressi sono una conquista
per tutti. Poiché fa progressi, e poiché i suoi progressi sono il frutto di sforzi collettivi, non è diversa
da ogni altra ricerca della verità. Una vita dedicata alla filosofia ha senso anche se contribuisce al
progresso filosofico in una misura molto bassa.
L'immagine della filosofia presentata qui non è, di per sé, peculiare della tradizione analitica piuttosto che di
altre scuole. Di fatto si oppone a due moderne - o post-moderne - linee di pensiero: il relativismo e il
decostruzionismo. Il relativista nega che ci sia una cosa come la verità, nel senso di una verità incondizionata.
Non esiste qualcosa di vero incondizionatamente, ma solo in relazione a specifici gruppi di persone in
particolari periodi di tempo. Se non c'è la verità, allora non c'è neppure la ricerca della verità: ci sarà solo una
ricerca su ciò che passa per vero nelle menti di gruppi omogenei di individui. Ma chiunque creda
sinceramente che le cose stiano così impedisce a se stesso di avere qualunque convinzione o credenza,
compresa la credenza secondo cui non ci sono verità assolute. Credere in qualcosa, infatti, significa credere
che quella cosa sia vera.
Un decostruzionista può schivare la questione dell'esistenza della verità assoluta sostenendo che l'oggettività
è un ideale irrealizzabile. Anche se esistesse una verità incondizionata sarebbe inutile aspirare a raggiungerla,
perché nessuno può liberarsi del tutto dai propri condizionamenti culturali e sociali. Questo è vero. Non ne
segue però che, quando ci accingiamo ad affrontare un problema specifico, non possiamo darne una soluzione
indipendente dalla prospettiva particolare da cui partiamo. La stessa natura pubblica della ricerca dovrebbe
compensare gli effetti di quei condizionamenti. Noi non siamo condannati a comunicare solo con chi
appartiene al nostro circolo culturale. Tutti gli esseri umani possono comunicare gli uni con gli altri, ed è per
questo che la traduzione tra le diverse lingue è possibile..
(Michael Dummet, Analitici e continentali. Il pensiero fa progressi, in Il Sole 24 ore, 27 luglio 1997)
Essere e tempo (Sein und Zeit)
Un’interpretazione e una risposta alla crisi dei fondamenti
Heidegger è uno tra i
pochissimi filosofi, dopo Hegel e
Nietzsche, che riescono a ridare la
vertigine del fare filosofia in grande stile.
In questo senso Essere e tempo è il
capolavoro filosofico della prima metà del
‘900 e forse di tutto il ‘900.
Franco Volpi
1. Platone, Sofista, 244 a
Heidegger e il suo tempo. La crisi spirituale della civiltà europea.
Crollate le vecchie norme, non ancor sorte o bene stabilite le nuove; è naturale che il
concetto della relatività d’ogni cosa si sia talmente allargato in noi, da farci quasi del tutto perdere i
criteri di valutazione. Il campo è libero ad ogni supposizione. L’intelletto ha acquistato una
straordinaria mobilità. Nessuno più riesce a stabilirsi un punto di vista fermo e incrollabile. I termini
astratti hanno perduto il loro valore, mancando la comune intesa, che li rendeva comprensibili.
Non mai, credo, la vita nostra eticamente ed esteticamente fu più disgregata.
[…] Da ciò, a parer mio, deriva per la massima parte il nostro malessere intellettuale.
Aspettiamo, e invano, pur troppo!, che sorga finalmente qualcuno ad annunziarci il verbo nuovo. […]
Io non so se la coscienza moderna sia veramente così democratica e scientifica come
oggi comunemente si dice. Non capisco certe affermazioni astratte. A me la coscienza moderna dà
l’immagine d’un sogno angoscioso attraversato da rapide larve or tristi or minacciose, d’una
battaglia notturna, d’una mischia disperata, in cui s’agitino per un momento e subito scompaiano, per
riapparirne delle altre, mille bandiere, in cui le parti avversarie si siano confuse e mischiate, e
ognuno lotti per sé, per la sua difesa, contro all’amico e contro al nemico. È in lei un continuo cozzo
di voci discordi, un’agitazione continua. Mi par che tutto in lei tremi e tentenni.
L. Pirandello, Arte e coscienza d’oggi, 1893
Heidegger e il suo tempo. La crisi spirituale della civiltà europea.
Si può seriamente parlare di una crisi delle nostre scienze in generale? Questo discorso,
oggi consueto, non costituisce forse un'esagerazione? […] Ma come è possibile parlare in generale e
seriamente di una crisi delle scienze, quindi anche delle scienze positive, della matematica pura, delle
scienze naturali esatte, che noi non cesseremo mai di ammirare quali esempi di una scientificità rigorosa
e destinata a continui successi? Certo esse, nello stile complessivo della loro teoresi sistematica e della
loro metodica si sono dimostrate passibili di evoluzione. […]
Sia che la fisica sia rappresentata da un Newton da un Planck o da un Einstein o da
qualsiasi altro scienziato del futuro, essa è sempre stata e continua ad essere una scienza esatta. E lo
rimane anche se hanno ragione coloro i quali ritengono che non sia possibile aspettarsi né perseguire
una forma ultima dello stile secondo cui la teoresi è venuta costruendosi nel suo complesso. […] In ogni
modo il contrasto tra la «scientificità» di questo gruppo di scienze e la «non scientificità» della filosofia è
indiscutibile. […]
Tuttavia può darsi che, procedendo da un altro ordine di considerazioni, cioè dalle diffuse
lamentele sulla crisi della nostra cultura e sul ruolo che in questa crisi viene attribuito alle scienze, ci
vengano incontro motivi che ci inducano a sottoporre a una critica seria e peraltro estremamente
necessaria la scientificità di tutte le scienze, senza pertanto rinunciare al primo senso della loro
scientificità, quel senso che è inattaccabile data la legittimità delle sue operazioni metodiche. […]
Adottiamo come punto di partenza il rivolgimento, avvenuto allo scadere del secolo scorso, nella
valutazione generale delle scienze. Esso non investe la loro scientificità bensì ciò che esse, le scienze in
generale, hanno significato e possono significare per l'esistenza umana. […]
Le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto. Il rivolgimento dell'atteggiamento
generale del pubblico fu inevitabile, specialmente dopo la guerra, e sappiamo che nella più recente
generazione esso si è trasformato addirittura in uno stato d'animo ostile. Nella miseria della nostra vita
- si sente dire - questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi
che sono i più scottanti per l'uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balìa del destino; i
problemi del senso o del non-senso dell'esistenza umana nel suo complesso. Questi problemi, nella loro
generalità e nella loro necessità, non esigono forse, per tutti gli uomini, anche considerazioni generali e
una soluzione razionalmente fondata? In definitiva essi concernono l'uomo nel suo comportamento di
fronte al mondo circostante umano ed extra-umano, l'uomo che deve liberamente scegliere, l'uomo che è
libero di plasmare razionalmente se stesso e il mondo che lo circonda. Che cos'ha da dire questa scienza
sulla ragione e sulla non-ragione, che cos'ha da dire su noi uomini in quanto soggetti di questa libertà?
Ovviamente, la mera scienza di fatti non ha nulla da dirci a questo proposito: essa astrae appunto da
qualsiasi soggetto.
Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale
Heidegger: i giorni e le opere, Itinerari non opere (un pensiero costantemente “in cammino” per “sentieri
interrotti “ che non pretende di attingere certezze incontrovertibili, ma si accontenta di semplici “segnavia”. F. Volpi)
1919: dichiara “l’inconciliabilità delle proprie convinzioni gnoseologiche coinvolgenti la teoria del
conoscere storico” con il “sistema” del cattolicesimo romano
1916-1923: collabora con Husserl che dichiara “La fenomenologia siamo io e Heidegger e nessun altro”
1923-1928: insegna all’Università di Marburgo, dove si costituisce una cerchia di allievi, tra cui Gadamer,
Arendt, Jonas: “Nelle lezioni si aveva di fronte il pensatore. […] Qualcosa si svolgeva dinanzi a noi […] e si
era tentati di dire «è il pensiero che pensa in lui» . Tale esperienza aveva in sé qualcosa di impressionante.”
1927: Essere e tempo “Ad Edmund Husserl con ammirazione e amicizia”
1930: conferenza Dell’essenza della verità, che segna l’inizio della svolta (kehre)
Essere e tempo
1. analitica esistenziale
Dell’essenza della verità
2. indagine ontologica
Non l’uomo, ma
Programma
Analisi di quell’ente che ha la peculiarità di
ontologico attraverso
comprendere l’essere, cioè dell’Esser-ci («ci»
l’analitica esistenziale
chiama in causa l’esperienza umana dell’Esserci)
Indagine sull’esistenza,
Chiarimento delle strutture
modalità d’essere propria
esistenziali dell’uomo
dell’uomo
l’essere è essenziale
“l’uomo in rapporto all’essere” e non
“l’essere in rapporto all’uomo”
Heidegger: i giorni e le opere, Itinerari non opere
1933: discorso del rettorato. Coinvolgimento pubblico con il nazismo.
1934: si dimette dal rettorato e si dedica a insegnamento e ricerca
1936: a Roma, all’Istituto di studi germanici, tiene il discorso Holderlin e l’essenza della poesia in cui
accenna per la prima volta alla svolta (Kehre) del suo pensiero
Anni trenta: conferenze, scritti e lezioni: L’origine dell’opera d’arte, Introduzione alla metafisica. Lezioni su
Nietzsche, punto di arrivo della metafisica occidentale.
Dopoguerra: viene messo in stato di accusa per il suo coinvolgimento nel Terzo Reich e viene interdetto
dall’insegnamento.
1947: Lettera sull’umanismo, in cui prende le distanze dall’interpretazione esistenzialistica del suo pensiero
e annuncia pubblicamente la svolta
1949: “Con quel che ha fatto in filosofia Heidegger è riconosciuto in tutto il mondo come uno dei filosofi più
importanti del nostro tempo […] . È un obbligo per l’Europa e per la Germania […] provvedere al fatto che
un uomo di tale statura possa lavorare in tranquillità. […] L’università tedesca non può più permettersi di di
lasciare in disparte Heidegger” Jaspers. Viene abolito il divieto di insegnamento.
1951-1952: torna all’insegnamento. Tiene una serie di conferenze sul tema della tecnica.
Anni sessanta e settanta: condiziona il dibattito filosofico in relazione ai temi del linguaggio.
1966: intervista al giornale Der Spiegel , dal tiolo Solo un Dio ci può salvare.
Friedrich-Wilhelm von Herrmann, Francesco Alfieri, Martin Heidegger. La verità sui
Quaderni neri, Morcelliana 2016
E sull’antisemitismo ontostorico heideggeriano
« A nostro parere, già la semplice denominazione di Quaderni neri ha creato un alone di
mistero che, seppur in modo inconsapevole, ha condotto i lettori a immaginare che essi
contengano qualcosa che – per qualche inspiegabile motivo – è stato a lungo tenuto
nascosto e che, con la loro pubblicazione, “l’uomo Heidegger” sarebbe finalmente venuto
allo scoperto in modo da poter essere “conosciuto” da tutti. La loro uscita non ha tuttavia
prodotto un’autentica conoscenza di quello che Heidegger vi aveva annotato. Ci siamo infatti
resi conto che l’espressione Quaderni neri – che indica la loro classificazione non il loro
contenuto – è stata purtroppo utilizzata per rendere ancor più misterioso e inaccessibile il
percorso tracciato da Heidegger nei suoi taccuini. E se a questo si aggiunge che,
volutamente, non sono stati fatti conoscere all’opinione alcuni passi significativi in essi
contenuti, è facile dedurre che non c’era modo migliore per tessere la fitta tela della
strumentalizzazione tuttora in atto (p. 329) ».
Laura Paulizzi, in http://reviews.ophen.org/2016/11/20/martin-heidegger-la-verita-suiquaderni-neri/#_ftn1
Heidegger: Essere e tempo.
Tradizionalmente la metafisica occidentale aveva cercato la verità delle cose in
quell’aspetto di esse che non è soggetto al divenire. […]
Ebbene questa idea dell’essere come qualcosa che sta e che si dà alla
conoscenza come un oggetto visibile, come le idee di Platone […], è quella che alla fine
produce secondo Heidegger, e prima di lui secondo Nietzsche, la società
dell’organizzazione totale del lavoro.
Se quello che è davvero è ciò che “è” e non diviene, non è soggetto a
speranze, né timori, peccato, paura, è lì, dobbiamo il più possibile assomigliare
all’oggettività. Questo è ciò che dà un “po’ fastidio” sia agli artisti sia ai filosofi
primonovecentieschi, sia a tutto quel movimento di pensiero, di cultura, di spiritualità che si
chiama esistenzialismo.
L’esistenzialismo è quella filosofia che fa centro sull’esistenza umana come tale
per trovare i suoi caratteri specifici. Come si fa a dire che “io sono” se sono un insieme di
speranze, desideri, peccati passati, speranze future. Non sono un oggetto, non sono
calcolabile, sfuggo per tutto questo alla calcolabilità generale che è quella che fonda la
società dell’organizzazione totale.
Da questa riflessione sull’essere, sull’impossibilità di pensarlo come pura
oggettività data muove il discorso di Heidegger e in genere il discorso degli esistenzialisti.
[Vattimo, Heidegger e la filosofia della crisi, in Il caffè filosofico]
La “Kierkegaard-Renaissance”
Kierkegaard, come filosofo della disperazione umana, del naufragio esistenziale dell’uomo, ha
suscitato un grande interesse soltanto dopo il primo conflitto mondiale. C’è stata una
“Kierkegaard-Renaissance”, una rinascita di studi Kierkegaardiani com’è stato chiamata, iniziata
ai primi del Novecento e sbocciata dopo la prima guerra mondiale in un Europa precipitata
nell’abisso dell’irrazionalismo nel momento in cui nascevano le dittature, foriere della seconda
guerra mondiale. Il pensiero di Kierkegaard nasce sullo sfondo di uno scenario completamente
diverso da quello in cui è nata la filosofia razionalistico-dialettica dell’idealismo, nel periodo
ancora ricco di speranze conseguenti alla Rivoluzione francese, quando era scomparso il
mondo feudale e si apriva un mondo nuovo. Il momento della fortuna di Kierkegaard giunge
dopo il 1918, in una fase in cui l’Europa sembra non poter proporre altro che distruzione e
irrazionalismo.
A. Gargano, in http://www.iisf.it/scuola/kierkegaard/kierkegaard.htm
Kierkegaard: Meno penso più sono, più sono meno penso
[Kierkegaard] ha esplicitamente affermato e accuratamente penetrato il problema dell’esistenza
come problema esistentivo. La problematica esistenziale gli è però così estranea che egli,
quanto alle prospettive ontologiche, resta completamente sotto il dominio di Hegel e della
filosofia antica vista attraverso di lui.
Heidegger, Essere e tempo
Heidegger e il suo tempo. L’esistenzialismo come clima culturale.
Le divorce entre l’homme et sa vie, c’est le sentiment de l’absurde. [Camus]
[…] l'esistenzialismo ha insistito sui caratteri negativi dell'esistenza umana nel mondo,
sul suo disordine e la sua casualità, sull'anonimato e l'alienazione in cui essa può cadere e cade di continuo,
sui rischi di ogni genere che la minacciano e sulla sua ineliminabile fragilità.
Nelle sue analisi l'esistenzialismo si è perciò rifatto di preferenza a pensatori che nell'Ottocento
erano rimasti isolati e soprattutto a Kierkegaard e a Nietzsche. […]
Sviluppato in direzioni diverse e contrastanti, l'esistenzialismo ha permeato profondamente la
cultura contemporanea. Esso ha proposto e continua a proporre il problema dell'uomo come problema
centrale della filosofia: dell'uomo nella sua singolarità e nei rapporti che lo legano alle cose e agli altri, della
sua situazione nel mondo e nella società, e nei rischi molteplici e sempre incombenti della sua autoprogettazione. Insistendo su questi rischi, l'esistenzialismo ha reso estremamente improbabile ogni
smisurato ottimismo ma non ha neppure, almeno nelle sue forme più equilibrate, prospettato
all'uomo un pessimismo desolante. Ha inoltre considerato l'uomo nella totalità della sua esperienza
vissuta, rivalutandone anche la vita emozionale troppo spesso trascurata dalla filosofia tradizionale. Ma
soprattutto ha mostrato che, pur nei legami che lo legano al mondo e che non possono esser scissi,
l'uomo non ha una natura determinata ma può progettarsi, sia pure sempre entro limiti e condizioni,
nelle forme di vita più disparate.
[Nicola Abbagnano, Esistenzialismo, in Enciclopedia del Novecento]
Kafka. Una minaccia incombe sull’esistenza umana…
Gregorio Samsa, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un
enorme insetto immondo. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo vedeva il suo
ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta da letto, vicina a scivolar giù tutta, si
manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far pietà, rispetto alla sua corporatura normale, tremolavano
senza tregua in un confuso luccichio dinanzi ai suoi occhi. Cosa m’è avvenuto? Pensò. Non era un sogno.
Kafka, La metamorfosi, 1915
L’assurdo viene messo in scena nella prima riga. Il resto segue inesorabile, come da un postulato. Questo è
l’esempio più noto ed evidente dell’inserimento dell’assurdo in una situazione naturale da parte di Kafka.
Ma perché tutti quei dettagli? Perché è reale. La storia ci sta domandando di credere che stia accadendo davvero […]
Di nuovo, qui si svela la grandezza di Kafka. Un surrealista avrebbe proposto la trasformazione in insetto come un dato
puramente onirico. Un kafkiano ci direbbe che è una metafora dell’individuo oppresso da un potere più grande eccetera.
No, Kafka invece è brutale: toglie di mezzo la similitudine: non sei come una blatta, sei una blatta. Ci obbliga invece
a considerare la metamorfosi come qualcosa di reale: non è un’allegoria, non è un simbolo — è una condizione. Sei
innocente e ti ritrovi un insetto. Non ti puoi difendere, e non lo puoi fare davvero: sei un insetto vero, calato in una
dimensione iperrealistica e altamente connotata dal punto di vista sociale.
Ecco il punto. È questo il segreto di dolore della Metamorfosi: ogni trasformazione non riguarda solo il soggetto cui è
diretta, ma anche chi gli sta attorno. Se Gregor diventa blatta, la sua famiglia diventa la famiglia di una blatta.
La forza del racconto non sta nella banale equivalenza fra un uomo e uno scarafaggio — questo è un gioco da ragazzi. La
forza terribile del racconto sta in tutto il resto: nella capacità di Kafka di descrivere quanto può diventare grande e
tempestivo l’odio verso chi amavamo, quando cambia e diventa altro. Una persona gravemente malata, ad esempio.
Qualcuno che pesa sulle nostre spalle, e che non può darci nulla in cambio, nemmeno linguisticamente: lui è solo, e noi
siamo soli. [Giorgio Fontana, Kafka non era un kafkiano, in http://www.minimaetmoralia.it/wp/kafka-non-era-un-kafkiano]
Heidegger e il suo tempo. L’esistenzialismo come clima culturale.
Qu’est-ce-que l’a philosophie de l’existence?
Qu’est-ce-que l’a philosophie de l’existence?
Qu’est-ce-que l’a philosophie de l’existence?
Qu’est-ce-que l’a philosophie de l’existence?
Heidegger e il suo tempo. L’esistenzialismo come filosofia.
 Riflessione sull’esistenza, come modo d’essere proprio dell’uomo.
C’è almeno un essere in cui l’esistenza precede l’essenza, un essere che esiste
prima di poter essere definito da alcun concetto: questo essere è l’uomo o come dice Heidegger la
realtà umana.
Che significa in questo caso che l’esistenza precede l’essenza? Significa che l’uomo
esiste innanzi tutto, si trova, sorge nel mondo, e che si definisce dopo. L’uomo secondo la concezione
esistenzialistica, non è definibile in quanto all’inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si
sarà fatto. Così non c’è una natura umana, poiché non c’è un Dio che la concepisca.
[J.-P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano, 1986]
 L’esistenza dell’uomo si caratterizza per il suo rapporto con l’essere.
Abbiamo noi oggi una risposta intorno a ciò che propriamente intendiamo con la parola
“essente”? Per nulla. È dunque necessario riproporre il problema del senso dell’essere. Ma siamo
almeno in uno stato si perplessità per il fatto di non comprendere l’espressione “essere”? Per nulla. È
dunque necessario cominciare col ridestare la comprensione dl senso di questo problema.
[M. Heidegger, Essere e tempo Longanesi, Milano, 1976]
Heidegger e il suo tempo. L’esistenzialismo come filosofia.
 L’uomo è un progetto: gli è richiesta una scelta tra infinite possibilità e in sostanza tra
autenticità e inautenticità
L’uomo è soltanto, non solo quale si concepisce, ma quale si vuole, e precisamente quale
si concepisce dopo l’esistenza e quale si vuole dopo questo slancio verso l’esistere: l’uomo non è
altro che ciò che si fa. Questo è il principio primo dell’esistenzialismo.
[J.-P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano, 1986]
Appunto perché l’Esserci è essenzialmente la sua possibilità, questo ente può nel suo
essere, o “scegliersi”, conquistarsi, oppure perdersi e non conquistarsi affatto o conquistarsi solo
“apparentemente”.
[M. Heidegger, Essere e tempo Longanesi, Milano, 1976]
 Singolarità irripetibile dell’esistenza, che implica una personale prospettiva sull’essere …
 … a partire da una situazione individuata e concreta, segnata dalla finitudine e dal limite
Heidegger e l’esistenzialismo: un rapporto controverso
devo […] ripetere che le mie tendenze filosofiche, anche se in Essere e
tempo è questione di “Esistenza” e di “Kierkegaard” , non possono essere classificate
come filosofia dell’esistenza […] la questione che mi preoccupa non è quella
dell’esistenza dell’uomo; è quella dell’essere nel suo insieme, in quanto tale.
Heidegger, Lettera a Jean Wahl]
[…] pur non essendo storiograficamente classificabile come “esistenzialista”,
Heidegger è parte integrante della storia dell’esistenzialismo, a cui ha fornito strumenti
analitici, tematiche e una sorta di “grammatica filosofica” (Pier Aldo Rovatti)
[Abbagnano Fornero, La ricerca del pensiero, vol. 3 b, p. 36]
Heidegger e l’esistenzialismo: un rapporto controverso
Quando si parla per il pensiero heideggeriano di “esistenzialismo” […] bisogna avvertire
che la parola non indica affatto il prevalere esclusivo dell’interesse per l’esistenza dell’uomo sulla
problematica propriamente metafisica; il problema centrale di Heidegger è il problema dell’essere.
Esistenzialismo sta a significare, da un lato, che questo problema si ripropone drammaticamente
proprio in base all’incapacità della filosofia europea del suo tempo, ancora dominata dalla concezione
classica dell’essere come semplice-presenza, di pensare la storicità e la vita nella sua effettività. […];
e, d’altra parte, che una riproposizione del problema dell’essere può operarsi solo partendo da una
rinnovata analisi di quel fenomeno che proprio in quanto non si lascia pensare entro le categorie
metafisiche tradizionali, ci costringe a rimetterle in questione, cioè l’esistenza nella sua effettività.
Nonostante l’apparente “astrattezza” del problema dell’essere, dunque, il senso del cammino di
Heidegger […] è un progressivo sforzo di concretizzazione, attraverso cui vengono in primo piano le
dimensioni effettive di quel “soggetto” che, in ogni prospettiva trascendentale, è sempre pensato come
il soggetto “puro”. La “lo spirito vivente è essenzialmente soggetto storico” .
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, Laterza, Bari, 2001
Essere e tempo
Qualunque analisi del pensiero heideggeriano non può prendere le mosse che da Essere
e tempo, ma qualunque analisi di Essere e tempo non può prendere le mosse che dalla
constatazione che si tratta di un’opera incompiuta. Infatti, secondo il piano presentato nel § 8, Essere
e tempo doveva comprendere due parti. La prima intitolata “L’interpretazione dell’Esserci in
riferimento alla temporalità e l’esplicazione del tempo come orizzonte trascendentale del problema
dell’essere” doveva suddividersi nelle seguenti tre sezioni:
 “L’analisi fondamentale dell’Esserci nel suo momento preparatorio”
 “Esserci e temporalità”
 “Tempo ed essere.
La seconda parte di carattere storico doveva portare il seguente titolo: “Linee
fondamentali di una distruzione fenomenologica della storia dell’ontologia sulla scorta della
problematica della temporalità” . […]
Al suo apparire l’opera portava il titolo Sein und Zeit; ma […] l’opera che va oggi sotto
il titolo di Essere e Tempo è duplicemente incompleta: manca di una seconda parte di carattere
storico e manca della “terza sezione della prima parte” che doveva portare il titolo “Tempo ed essere”.
[…] In questa sezione doveva concludersi, quindi prendere significato, l’intero movimento di pensiero
sviluppato nelle prime due sezioni, perché qui doveva essere discusso “quel problema del senso
dell’essere in generale” rispetto al quale i problemi trattati nelle prime due sezioni avevano un
carattere di fondazione preparatoria.
[Pietro Chiodi, Introduzione all’edizione italiana, in Essere e tempo, Longanesi, Milano, 1976]
Essere e tempo
Perché la costruzione è stata interrotta?
« Qui tutto doveva capovolgersi (umkehren). Ma la sezione non venne stesa
perché il pensiero fallì quando si trattò di dire adeguatamente questa svolta (Kehre); il
linguaggio della metafisica non poteva servire »
Heidegger, Lettera sull’umanismo, 1947
[…] secondo Heidegger Essere e tempo è stato interrotto perché non è
stato possibile compiere la svolta capovolgente che doveva condurre dalla
discussione del problema dell'essere dell'Esserci (l'esistenza) e del suo senso (la
temporalità) - problema trattato rispettivamente nella prima e nella seconda sezione
del libro - al problema del senso dell'essere in generale (cioè dalla Seinsfrage alla
Vorfrage); la svolta non è stata possibile per questioni di « linguaggio ».
[Pietro Chiodi, Introduzione all’edizione italiana, in Essere e tempo]
Che cos’è l’essere?
1. Dalla metafisica…
Heidegger considera come costitutivo dello stesso problema dell’essere
proprio anche questo fatto […] che esso suoni come estraneo e remoto, o addirittura come
un non-problema. […]
Il senso del concetto di essere è sempre identificato con la nozione della
presenza che potremmo anche dire con termine forse più familiare, l’obiettività. È, in senso
pieno, ciò che “sussiste”, è incontrabile, “si dà”, è presente; non a caso, del resto, l’essere
supremo della metafisica, Dio, è anche eterno, cioè appunto presenza totale e indefettibile.
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, Laterza, Bari, 2001
2.… all’ontologia …
Qual è il senso dell’essere?
3. … attraverso l’analitica esistenziale
«Questo ente, che noi stessi sempre siamo e che fra l’altro ha quella possibilità
d’essere che consiste nel porre il problema, lo designiamo col termine Esserci [Dasein]. La
posizione esplicita e trasparente del problema del senso dell’essere richiede l’adeguata
esposizione preliminare di un ente (l’Esserci) nei riguardi del suo essere.»
Che cosa significa essere?
" l'uomo significa colui che può pensare "
«Avere la comprensione dell’essere significa però comprendere anzitutto
quell’ente alla cui costituzione d’essere appartiene la comprensione dell’essere: l’Esserci.
La messa in luce della costituzione fondamentale dell’Esserci, cioè della costituzione della
sua esistenza, è il compito dell’analisi ontologica preparatoria della costituzione
esistenziale dell’Esserci. Noi la chiamiamo analitica esistenziale dell’Esserci.»
Primato ontologico dell’Esserci per la sua capacità di rivelare il senso dell’essere
Cercato = essere
Ricercato = senso dell’essere
Interrogato = Esser-ci / Da-sein = essere qui = esistenza
«ma volgere lo sguardo, comprendere, afferrare concettualmente, scegliere,
accedere a, sono comportamenti costitutivi del cercare e perciò parimenti modi di essere di
un determinato ente, di quell’ente che noi stessi, i cercanti, sempre siamo.»
Modo d’essere dell’Esser-ci = e-sistenza [ex-sistere], cioè poter essere, pro-getto, trascendenza,
cioè possibilità di farsi problema a se stesso
Che cosa è l’Esser-ci?
«Appunto perché l’Esserci è essenzialmente la sua possibilità, questo ente può
nel suo essere o “scegliersi”, conquistarsi, oppure perdersi o non conquistarsi affatto, o
conquistarsi solo “apparentemente”»
Scelta tra autenticità (da autòn=se stesso)
dimensione esistentiva o ontica
e inautenticità
Comprensione esistenziale o ontologica
strutture fondamentali dell’esistenza
modi possibili di essere dell’uomo (esistenziali)
L’analitica esistenziale si radica nella dimensione esistentiva e utilizza il metodo fenomenologico
«far vedere da se stesso ciò che si manifesta, così come si manifesta da se stesso»
Filosofia: ontologia fenomenologica dell’Esser-ci, ovvero descrizione delle strutture
esistenziali in cui la realtà acquista il suo senso, ovvero il senso dell’essere
Che cosa è l’Esser-ci? Un pro-getto
Analisi delle strutture di fondo dell’esistenza nella “quotidianità”
Esistenza
Essere-nel-mondo, esistere concretamente in un mondo di cose e persone
Insieme delle cose che possiamo utilizzare
Prendersi cura delle cose che gli occorrono
L’originaria modalità della coscienza è pratica e non teoretica, come invece ha sempre sostenuto la filosofia
Esistenza
Trascendenza / pro-getto situato nel mondo /esser-ci
Corrispondentemente l’essere delle cose coincide con il loro poter essere utilizzate.
L’obiettività, cioè la semplice presenza, è solo un modo particolare di essere della
strumentalità, che è il vero modo di essere delle cose.
Il “mondo” non è affatto una determinazione dell’ente difforme dall’esserci, ma è al contrario un carattere dell’esserci
[Essere e tempo]
Strumento in questo senso è anche la luna, che illuminando un paesaggio, ci mette in uno stato d’animo
melanconico; e in generale anche la contemplazione disinteressata della natura inserisce sempre quest’ultima in un
contesto di riferimenti, per es. di ricordi, di sentimenti, o almeno di analogie con l’uomo e le sue opere.
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, La terza, Bari, 2001
Che cosa è l’Esser-ci? Comprensione - precompresione
che si realizza a partire da una pre-comprensione del mondo
Mondo
Totalità di rimandi e significati
Uomo
Visione ambientale preveggente
Scrittoio, penna, inchiostro, carta, cartella, tavola, lampada, mobili, finestre, porte, camera.
Queste “cose” non si manifestano innanzi tutto isolatamente, per riempire successivamente una stanza
come una somma di reali. Ciò che si incontra per primo, anche se non tematicamente conosciuto , è la
camera, e questa, di nuovo, non come “ciò che è racchiuso fra quattro pareti”, in senso spaziale e
geometrico, ma come mezzo di abitazione. È a partire da essa che si rivela “l’arredamento “e in questo, a
sua volta, “il singolo” mezzo. Prima del singolo mezzo è già scoperta una totalità di mezzi.
[Essere e tempo]
“Prima” del mondo o alla radice del darsi del mondo come totalità strumentale c’è l’esserci.
[…] Per le cose, dunque, essere non significa anzitutto essere semplicemente presenti, ma appartenere
a quella totalità strumentale che è il mondo.
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, La terza, Bari, 2001
Comprensione
Modo d’essere dell’esserci
Le cose hanno già un significato
Pre-giudizio
Interpretazione
Linguaggio
Circolo ermeneutico
Che cosa è l’Esser-ci?
Esso è già sempre e costitutivamente rapporto con il mondo, interpretazione
la visione ambientale preveggente
La conoscenza non è un andare del soggetto verso un “oggetto” semplicemente presente, o,
viceversa, l’interiorizzazione di un oggetto originariamente separato da parte di un soggetto
originariamente vuoto. La conoscenza è l’articolazione di una comprensione originaria in cui le cose ci
sono già sempre scoperte. Questa articolazione si chiama interpretazione […] elaborazione del
costitutivo e originario rapporto con il mondo che […] costituisce [l’esserci].
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger,
Dottrina del circolo ermeneutico
se si vede in questo circolo un circolo vizioso e si mira a evitarlo o semplicemente lo si “sente”
come un’irrimediabile imperfezione, si fraintende la comprensione da capo a fondo. […] L’importante non
sta nell’uscire fuori dal circolo ma nello starvi dentro nella maniera giusta. Il circolo della comprensione non
un semplice cerchio in cui si muova qualsiasi forma di conoscere, ma l’espressione della pre-struttura
propria dell’esserci stesso.
[Essere e tempo]
Comprensione
Esistenziali = modi d’essere dell’Esserci
Interpretazione
Che cosa è l’Esser-ci? Esso è sempre e originariamente in una certa situazione affettiva
L’Esserci non è il Soggetto puro kantiano
La tonalità affettiva ha già-sempre aperto l’essere-nel-mondo nella sua
totalità, rendendo così possibile un dirigersi-verso.
[Essere e tempo]
La situazione affettiva rivela che il progetto che costituisce l’esserci è sempre un progettogettato e cioè mette in luce la finitezza dell’esserci. Nella situazione affettiva noi ci troviamo ad essere
senza potercene dare, radicalmente, ragione. […] Il mondo ci appare sempre originariamente alla luce di
una certa disposizione emotiva: gioia, paura, anche disinteresse e noia.
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger,
Che cosa è l’Esser-ci? Essere-gettato.
Questo carattere dell’essere dell’Esserci, di essere nascosto nel suo donde e nel
suo dove, ma di essere tanto più radicalmente aperto in quanto tale , questo «che c’è» noi lo
chiamiamo l’esser-gettato di questo ente nel suo ci. L’espressione essere-gettato sta a
significare l’effettività dell’esser consegnato
[Essere e tempo]
Essere-nel-mondo e essere-tra-gli-altri
Che cosa è l’Esser-ci? Essere-gettato e deiezione.
Autenticità e inautenticità.
La preliminare comprensione del mondo che costituisce l’esserci si attua come
partecipazione irriflessa e acritica ad un certo mondo storico sociale, ai suoi pregiudizi alle sue
propensioni, ai suoi rifiuti, al “modo” comune di vedere e giudicare le cose.
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger,
L’esserci è innanzitutto e perlopiù presso il mondo di cui si prende
cura. Questa immedesimazione-in ha per lo più il carattere dello smarrimento nella
pubblicità del “si”.
[Essere e tempo]
L’esserci ha la tendenza a comprendere il mondo secondo l’opinione comune, a pensare
quello che si pensa, a progettarsi, cioè, in base all’anonimo “si” della mentalità pubblica. […] Nel mondo
del si dominano la chiacchiera, la curiosità e l’equivoco [..] Le opinioni comuni si condividono non perché
sono verificate, ma solo perché sono comuni. […] In quanto sempre anzitutto gettata nel mondo del si,
l’esistenza è sempre originariamente inautentica. In questo senso, all’esser-gettato è connessa […] la
costitutiva deiezione dell’esserci
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger,
Deiezione
Caduta al livello delle cose, essere consegnati alla mentalità del “si”
Che cosa è l’Esser-ci? Essere-gettato e deiezione.
Autenticità e inautenticità.
Autentico è l’esserci che si appropria di sé, cioè che si progetta in base alla possibilità più
sua. [...] L’autenticità è appropriazione anche e fondamentalmente in questo senso, che si appropria della
cosa rapportandosi direttamente ad essa. […] appropriarsi della cosa vuol dire anche, più radicalmente
assumerla dentro il proprio progetto di esistenza. […] L’incontro con le cose, la conoscenza vera, implica
[…] una specie di assunzione di responsabilità da parte dell’esserci.
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger,
Autenticità
Assunzione di responsabilità
Non ha connotato morale
L’essere dell’Esserci
Cura
Cura enim quia prima finxit, tenerat quam diu vixerit, poiché infatti fu la
cura che per prima diede forma all’uomo, la Cura lo possiede finché esso viva.
[Essere e tempo]
Che cosa è l’Esser-ci? L’esistenza autentica. La morte come possibilità esistenziale
Autenticità e inautenticità.
[..] l’Esserci non è sempre nel modo della possibilità; esso infatti muore, viene dunque un
momento in cui quella struttura di aperta incompiutezza non è più tale. […] In che senso [la morte] può
venir pensata come una possibilità dell’Esserci, cioè non solo come un fatto* che accade agli altri e
che, a me, non è ancora accaduto? […] Bisogna vedere in che termini può venire pensata come una
possibilità esistenziale, cioè come un elemento che entra a costituire, non accidentalmente, l’attuale
essere dell’Esserci come progetto.
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger,
[La morte] è come fine dell’Esserci, la possibilità dell’Esserci più
propria, incondizionata, certa e, come tale, indeterminata e insuperabile.
[Essere e tempo]
Insuperabile
Infatti l’Esserci non può sfuggirle ma al di là di essa nulla è più possibile
[La morte] è la possibilità della pura e semplice impossibilità dell’Esserci.
[Essere e tempo]
Essa è coessenziale all’Esserci, perché
Più propria
lo tocca nella sua essenza di progetto
Apre l’Esserci alle sue possibilità nel modo più autentico
Che cosa è l’Esser-ci? L’esistenza autentica. La morte come possibilità esistenziale
Autenticità e inautenticità.
* La morte come fatto è propria dell’esistenza inautentica: nella società moderna, in cui non
si parla ma si chiacchiera e non si aspira alla conoscenza ma alla curiosità, la morte è stata rimossa.
[...] il Si ha già pronta un'interpretazione anche per questo evento. Ciò che si dice a questo
proposito, in modo esplicito o sfuggente, come per lo più accade, è questo: una volta o l'altra si morirà,
ma, per ora, si è ancora vivi. L'analisi del 'si muore' svela inequivocabilmente il modo di essere
dell'essere-quotidiano-per-la-morte. In un discorso del genere la morte è concepita come qualcosa di
indeterminato che, certamente, un giorno o l'altro, finirà per accadere, ma che, per intanto, non è ancora
presente e quindi non ci minaccia. Il 'si muore' diffonde la convinzione che la morte riguarda il Si anonimo.
L'interpretazione pubblica dell'esser-ci dice: 'si muore'; ma poiché si allude sempre a ognuno degli Altri e a
noi nella forma del Si anonimo, si sottintende: di volta in volta non sono io
Essere e tempo
Che cosa è l’Esser-ci? L’essere-per-la-morte. La decisione anticipatrice.
Autenticità e inautenticità.
L’anticipante farsi libero per la propria morte affranca dalla dispersione nelle possibilità che
si presentano casualmente, di guisa che le possibilità effettive, cioè situate al di qua di quella insuperabile,
possono essere comprese e scelte autenticamente. L’anticipazione dischiude all’esistenza, come sua
estrema possibilità, la rinuncia a se stessa, dissolvendo in tal modo ogni solidificazione su posizioni
esistenziali raggiunte […] Poiché l’anticipazione della possibilità insuperabile apre nel contempo alla
comprensione delle possibilità situate al di qua di essa […]
[Essere e tempo]
Non definitività di ognuna delle possibilità che la vita ci presenta
Angoscia, cioè sentimento della morte
Vita autentica
Com’è possibile il passaggio alla vita autentica?
Voce della coscienza
Colpevolezza
Come esserci esso è quell’ente che è nella forma dell’aver da essere cioè che ha da
essere il fondamento di sé; ma d’altra parte, in quanto gettato, l’esserci non può disporre
di questo suo essere gettato, nel quale già sempre si trova.
[G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger]
[L’Esserci ] è il fondamento di una nullità
[Essere e tempo]
Che cosa è l’Esser-ci? L’essere-per-la-morte. La decisione anticipatrice.
Autenticità e inautenticità.
In quanto anticipazione della morte, la decisione è un’autentica possibilizzazione delle possibilità,
non si irrigidisce su nessuna particolare realizzazione raggiunta: essa ha un ad-venire, un futuro. D’altra parte la
decisione anticipatrice della morte è una uscita dallo stato di inautenticità : ma questo stato è riconosciuto come tale
solo nella decisione che ascolta la voce della coscienza in questo senso la decisione aprendosi al proprio avvenire,
assume anche su di sé, riconoscendola per la prima volta, la propria colpevolezza come ciò in cui si trova già da
sempre e da cui deve uscire. L’essere-gettato come essere colpevole è il passato dell’esserci. In quanto poi […] la
decisione anticipatrice possibilizza come vere possibilità le possibilità effettive, essa apre a vedere concretamente
tali possibilità, fa sì che si presentino all’essere.
[G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger]
Futuro
La temporalità si rivela come il senso della cura autentica
Presente
[Essere e tempo]
ovvero come senso dell’essere dell’esserci in quanto cura
Passato
L’analisi preparatoria condotta nella prima sezione di Essere e tempo [..] ha messo in luce che
l’essere ha una peculiare connessione con l’esserci: le cose vengono all’essere solo in quanto si collocano nel
progetto aperto dall’esserci; e l’esserci è solo come cura. Scoprire ora che il senso unitario delle strutture della
cura è la temporalità apre appunto la via all’ulteriore elaborazione del rapporto tra essere e tempo.
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger
Il tempo è “l’orizzonte di ogni
il chiarimento della costituzione dell'essere e dell'esserci
comprensione e di ogni
resta soltanto una via: il fine è l'elaborazione del problema
interpretazione dell’essere”
dell'essere in generale. [Essere e tempo]
Dopo Essere e tempo…
Perché di fatto nel pensiero metafisico «l’essere viene
‘innanzitutto’ ‘concepito’ a partire dalla semplice presenza? […] Perché
questa riduzione a cosa finisce per avere il predominio?»
Essere e tempo
Essere e tempo è rimasto interrotto per il venir meno del linguaggio,
cioè per l’impossibilità di sviluppare la ricerca disponendo solo del linguaggio
filosofico ereditato dalla tradizione metafisica. […] In questi due termini della
questione:
significato e storia della metafisica;
comprensione dell’essere e linguaggio ad essa adeguato,
si può vedere indicato, riassuntivamente, il compito che i risultati di Essere e tempo
pongono all’ulteriore riflessione heideggeriana.
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger
… LA SVOLTA (KEHRE)
Perché l’indagine dell’essere a partire dall’esserci è insufficiente?
La differenza ontologica. **
[Introduzione a “Che cos’è la metafisica?”, 1935]

Ma l'essenza dell'uomo consiste nel fatto che egli è qualcosa di più che un semplice uomo inteso come essere
vivente fornito di ragione. Il "più" non deve essere qui pensato nel senso di una aggiunta quantitativa, come se la
tradizionale definizione dell'uomo dovesse restare la determinazione fondamentale, e subire quindi un ampliamento
Van Gogh, Un paio di scarpe, 1886
mediante l'aggiunta della nozione di esistenza. Il "più" significa: più originario e quindi più essenziale nella sua
essenza. Ma proprio qui compare l'enigma; l'uomo è nell'essere-gettato; cioè l'uomo come risposta ek-sistente
all'essere è più che l'animal rationale, proprio in quanto è meno rispetto all'uomo che si concepisce, a partire dalla
soggettività. L'uomo non è il signore dell'essente. L'uomo è il pastore dell'Essere. In questo "meno" l'uomo non
ci rimette nulla, anzi ci guadagna, in quanto perviene nella verità dell'Essere. Guadagna l'essenziale povertà
del pastore, la cui dignità consiste nell'essere chiamato dallo stesso Essere a guardia della sua verità.
Questa chiamata viene con il gettare da cui si origina l'essere-gettato dell'Esserci. L'uomo nella sua essenza storicoontologica è quell'essente, il cui essere in quanto ek-sistenza consiste nell'abitare nella vicinanza dell'Essere.
L'uomo è il vicino dell'essere. Ma - mi vorrete obiettare già da tempo - tale pensiero non pensa appunto l'humanitas
dell'homo humanus? Non pensa questa humanitas in un significato così decisivo, come nessuna metafisica ha
pensato e mai poteva pensare? Non è esso umanismo nel senso più radicale? Certo. Esso è l'umanismo che
pensa l'umanità dell'uomo a partire dalla prossimità dell'Essere. Ma è nello stesso tempo l'"umanismo" in
cui è in gioco non l'uomo, ma l'essenza storica dell'uomo nella sua provenienza dalla verità dell'Essere.
[Lettera sull’umanismo, 1947]

** (cioè la differenza tra ente ed essere)
… LA SVOLTA (KEHRE)
1. L’essere non è l’ente
2. Per cogliere la differenza ontologica dobbiamo vivere l’esperienza del nulla, cioè trascendere l’ente
Van Gogh, Un paio di scarpe, 1886
3. Trascendere l’ente vuol dire andare oltre l’ente
Oltre l’ente = ni-ente = nulla di ente
Il niente è ciò che rende possibile l’evidenza dell’essere come tale per l’Esserci umano
[Che cos’è la metafisica]
Il niente e l’essere sono la stessa cosa
[L’essenza del fondamento]
Paradosso: essere: ni-ente: lo Stesso
Verità - ἀλήθεια= accadere dell’essere stesso, che in quanto
«radura (lichtung)» lascia essere l’ente rendendolo visibile
Errore = errare = erramento (cioè oblio dell’essere ed errare dell’uomo tra gli enti)
come è accaduto nella metafisica occidentale che è quindi = nichilismo
La metafisica è la storia nella quale, per essenza,
dell’essere stesso non ne è niente: la metafisica è
in quanto tale il nichilismo autentico.
[Nietzsche]
Tecnica è compimento della metafisica:
… LA SVOLTA (KEHRE)
Cosa si intende per essere?
Per Heidegger non esiste una definizione dell’essere […] ma soltanto una serie di concetti, o meglio, di concettimetafore più o meno atti ad “alludere” ad esso.
Abbagnano Fornero, La ricerca del pensiero, vol. 3 b, p. 399
La domanda intorno all’essere non è una domanda qualsiasi: la risposta ad essa predetermina, preconfigura o
anticipa ogni nostro ulteriore rapporto con le cose. La comprensione dell’essere per quanto più o meno esplicita e
consapevole […] è una comprensione che “apre” ogni altra possibile comprensione e che condiziona a priori ogni
nostro atteggiamento nel confronti del mondo in cui ci troviamo
Gaetano Chiurazzi, in Abbagnano Fornero, La ricerca del pensiero, vol. 3 b, p. 400
Essere è ciò che entifica l’ente, l’orizzonte, la “radura” entro cui gli enti diventano manifesti
Essere è evento, la cui manifestazione privilegiata è il linguaggio, è ereignis che si dà in parolechiave di volta in volta diverse
Essere è evento che si manifesta e si nasconde al tempo stesso
Uomo ed essere si coappartengono
Il mondo non può essere ciò che è e come è , grazie all’uomo, ma neppure senza l’uomo. Ciò dipende […] dal fatto
che quello che […] con una parola di lunghissima tradizione e dai molti significati ed ora in disuso, chiamo “l’essere”,
ha bisogno dell’uomo per la sua rivelazione, custodia, configurazione.
Ormai solo un Dio ci può salvare
Sein
Non c’è più spazio nemmeno per il nome essere
… LA SVOLTA (KEHRE)
L’arte ovvero il porsi-in-opera della verità.
“Che cos'è in opera
nell'opera? Il quadro di Van
Gogh è l'aprimento di ciò
che il mezzo, il paio di
scarpe, è in verità. Questo
ente si presenta nel non-
Van Gogh, Un paio di scarpe, 1886
nascondimento del suo
essere. Il non-esserenascosto dell'ente è ciò che
i Greci chiamavano
aletheia. Noi diciamo:
«verità», e non riflettiamo
sufficientemente su questa
parola. Se ciò che si
realizza è l'aprimento
dell'ente in ciò che esso è e
nel come è, nell'opera è in
opera l'evento della verità.
(Heidegger, Sentieri
interrotti)
… LA SVOLTA (KEHRE)
Il poetare pensante è, in verità,
La topologia dell’essere.
Essa gli indica il villaggio dove
dimora la sua essenza.
Pensiero e poesia
L’arte è nella sua essenza poesia ovvero arte della parola
Nessuna cosa dove la parola manca
[Stefan George]
Van Gogh, Un paio di scarpe, 1886
Là dove non ha luogo linguaggio di sorta, come nell’essere della pietra, della
pianta, dell’animale, non ha neppure luogo alcun aprimento dell’ente.
[Sentieri interrotti]
Il linguaggio nominando l’ente, per la prima volta, lo fa accedere alla parola e all’apparizione
[Sentieri interrotti]
L’essere apre dei mondi […] in quanto eventualizza dei vocabolari […] delle culture, in
quanto istituisce dei linguaggi
Il linguaggio è la casa dell’essere
[G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger]
Nella sua dimora abita l’uomo. I
pensatori e i poeti sono i custodi
Circolarità tra uomo e linguaggio
di tale dimora.
Lettera sull’umanismo
Interpretazione