conflitti, criticità e mutamenti sociali

CONFLITTI, CRITICITÀ E MUTAMENTI SOCIALI
Collana diretta da Bruno Maria Bilotta
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Direttore
Bruno Maria Bilotta
Università “Magna Græcia” di Catanzaro
Comitato scientifico
Felice Maria Barlassina
Università e–Campus di Novedrate
Valerio Meattini
Università di Bari
Francisco Javier Ansuátegui Roig
Universidad “Carlos III” de Madrid
Paolo Aldo Rossi
Università di Genova
CONFLITTI, CRITICITÀ E MUTAMENTI SOCIALI
Collana diretta da Bruno Maria Bilotta
La sociologia dei conflitti e dei mutamenti sociali studia i rapporti tra
la società e le sue trasformazioni osservate attraverso le dinamiche delle
strutture, degli attori e delle istituzioni sociali, che si sviluppano in un arco
temporale di lungo, medio o breve periodo. Vengono, inoltre, analizzati i
legami che intercorrono tra le diverse società in un costante rapporto di
interconnessione, di scambio, di scontro.
Studiare le trasformazioni sociali, selezionarne i micro e i macro segmenti di mutamento in atto o già definiti nelle differenti pieghe della società,
evidenziandone le criticità e interrogandosi sulle modalità di cambiamento
significa andare al cuore stesso dell’analisi sociale, e di questo la collana
intende farsi portavoce.
Il concetto di conflitto, pur centrale nelle questioni sociologiche, filosofiche, giuridiche, antropologiche, perde frequentemente, come assai
spesso accade per i termini di uso comune, il nesso con il significato, la
storia e le diverse interpretazioni del termine stesso. La collana si propone
di recuperare e offrire nuove prospettive all’analisi del conflitto sociale, con
riferimento al suo significato più neutro che la dottrina classica ci tramanda,
in considerazione della molteplicità di tematiche e problematiche che questo
ci propone.
Per prendere in esame i temi in questione saranno impiegati tutti i
principali strumenti di cui la scienza sociologica dispone, con un occhio
privilegiato, ma non esclusivo, al diritto e alle sue declinazioni teoriche e
pratiche.
La collana ospiterà studi teorici e ricerche empiriche, opere italiane e
straniere, provenienti dalle più diverse estrazioni di pensiero e ideologia.
Limite invalicabile sarà il rispetto assoluto dello spirito critico che ha animato
e anima la sociologia sin dai primordi, e che sin da questi l’ha resa una scienza
antidogmatica per elezione e definizione.
Questo volume è un prodotto di ricerca dell’Osservatorio LGBT
(www.osservatoriolgbt.eu).
Fabio Corbisiero, Luigi Delle Cave
Cocaine users
Pratiche e rituali nel consumo controllato
Aracne editrice
www.aracneeditrice.it
[email protected]
Copyright © MMXVI
Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale
www.gioacchinoonoratieditore.it
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via Sotto le mura, 54
00020 Canterano (RM)
(06) 93781065
isbn 978-88-548-9535-5
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: agosto 2016
Indice
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Introduzione
Capitolo I
L’uso sociale della cocaina
Introduzione, 15 – 1.1. La disfatta di un nuovo mondo, 17 – 1.1.1. Da “pianta divina”…, 17 – 1.1.2. … “alla illusione demenziale”, 19 – 1.2. La penetrazione nell’Occidente, 20 – 1.2.1. La “merce”: la coca e il mercato, 20 –
1.2.2. Il “farmaco”: dalla coca alla cocaina, 21 – 1.2.3. La “droga”: la
messa al bando della cocaina, 23 – 1.3. La cocaina vietata della modernità,
24 – 1.3.1. La Stati Uniti: piaga sociale e minoranze etniche, 24 – 1.3.2. In
Europa: la droga borghese, 26 – 1.3.3. La cocaina nell’età dell’oro: immaginario e contestazione giovanile, 27 – 1.4. La cocaina (tardo) moderna, 30
33
Capitolo II
Il profilo dei consumatori di coca
2.1. Note di metodo, 33 – 2.2. Sociografica di base, 35 – 2.3. I tratti principali del consumo, 37 – 2.4. L’approvvigionamento: costi, debiti, rinunce, 41 –
2.5. Istituzionalizzazione, 44
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Capitolo III
Rituali e pratiche alcune indicazioni dal campo
3.1. Chi sono i cocaine users, 47 – 3.2. L’uso della cocaina nel mondo del
lavoro: l’imperativo della performance, 52 – 3.3. L’uso della sostanza da parte degli intervistati: tempi e rituali, 57
65
Capitolo IV
Che genere di controllo?
4.1. Il consumo di coca si controlla?, 65 – 4.2. Consumo al femminile, 71 –
4.3. Il consumo di cocaina nella comunità LGBT, 74
79
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Appendice
Bibliografia
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Introduzione
Le riflessioni condotte in questo volume si propongono di contribuire alla discussione relativa al consumo della cocaina. Una
sostanza oramai diffusa e ubiquitaria, trasversale alle diverse
fasce sociali. Un consumo che è diventato assai più variegato e
fluido di qualche decennio fa e che presenta modalità e finalità
anche parecchio individualizzate. In effetti, la cocaina è connotata da grande flessibilità d’uso che può anche essere reversibile, sporadico e intermittente. La fluttuazione rispetto ad altre
sostanze psicoattive è più spiccata tale che vi può essere una alternanza tra periodi di uso frequente (o abuso) e periodi di uso
limitato (o controllato).
Se fino a qualche decennio fa veniva attribuito ai consumatori di cocaina (cocaine users) lo stigma del tossicodipendente,
oggi il consumo è molto più personalizzato e slegato da fenomeni di completa dipendenza. In effetti un’ampia gamma di
studi scientifici sul cosiddetto “uso controllato” mette in discussione l’idea, così radicata nel nostro Paese, che il consumo di
cocaina conduca verso una inevitabile perdita di controllo (Cohen 1989; Decorte 2001). Demolisce l’idea di chi crede che il
consumo (controllato) di cocaina, così come delle altre sostanze
stimolanti, faccia parte della mitologia di una sostanza dalle virtù magiche. L’uso della cocaina è individualizzabile e, come tale, i suoi effetti pertengono a ciascuno specifico soggetto e non
sono generalizzabili come certa letteratura scientifica ci racconta. Come a dire, la dipendenza non risiede nella droga ma
nell’esperienza antropologica che si fa di questa.
Sotto questa angolazione critica il nostro volume mette a
tema una prospettiva “non standard” del fenomeno delle sostanze psicoattive e molto lontana dal modello classico di tossi9
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Introduzione
codipendenza cronica di cui la letteratura scientifica è ormai
strabordante. Secondo la letteratura tradizionale, di matrice
farmaco-biologica, la dipendenza da sostanze psicoattive sarebbe un comportamento patologico complesso, alla cui base vi
sono gli effetti biologici della sostanza sul cervello e psicologici
sulla propria mente. In questa chiave di lettura la tossicodipendenza viene descritta esclusivamente come un comportamento
da fronteggiare, annullare e stigmatizzare; un comportamento
maladattivo alla cui radice vi sarebbero diversi fattori di tipo
bio-psico-ambientale. Solo per fare un esempio la cocaina viene
ancora descritta dalla più recente “brain research” come un vero
e proprio killer, capace di modulare la plasticità neuronale ed
indurre quei cambiamenti morfologici e neurochimici che causano un comportamento “deviante” ovvero non riconducibile
alla norma sociale. L’azione farmacologica della cocaina, il
contesto sociale entro cui avviene il consumo e una certa predisposizione individuale costituirebbero, dunque, i principali fattori causali nella dipendenza dalla sostanza.
Anche in Italia lo sguardo scientifico, insieme a quello della
morale pubblica, si è particolarmente concentrato sugli aspetti
rischiosi e sulle condotte antisociali del consumo di cocaina tra
la popolazione, così come sui rischi per la salute legati alla intemperanza, all’eccesso o alla vulnerabilità sociale. Soprattutto
per i giovani consumatori. Il detonatore del “problema” della
droga come questione italiana è stato il legame stabilitosi verso
la fine degli anni Sessanta tra l’uso di certe sostanze (soprattutto la cannabis o l’LSD) e una certa cultura giovanile di opposizione. Di fatto questa associazione ha trasformato il consumo di
sostanze psicoattive da una situazione di marginalità passiva,
quella del giovane deviante e vizioso, relativamente indifferente
rispetto al sistema sociale costituito, ad una opposizione attiva
con il suo corollario di contestazione e protesta della società
massificata. Il consumo delle droghe all’interno della cultura
giovanile italiana si è presentato come una minaccia ai valori
“fondamentali” della società produttivistica (divisione sociale
del lavoro, controllo pubblico, sicurezza urbana…).
Introduzione
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Anche su di un piano squisitamente linguistico il consumo
di sostanze è stato verbalmente stigmatizzato. La droga, i drogati, i tossicodipendenti, tossicomane sono tutti termini che
evocano un individuo che abusa di droghe e che ne è dipendente. In Italia il termine “droga” connota indistintamente un insieme di sostanze stupefacenti e psicoattive anche molto diverse
tra loro per struttura farmacologica, effetti sul consumatore e
sulla società più in generale. Mentre raramente vengono tematizzate le differenze – anche molto significative – tra le “droghe” che di volta in volta andrebbero chiamate “stimolanti”
(come la cocaina), “allucinogeni” (come i funghi) o gli “oppiacei” (come l’hashish o la marijuana). Da questo punto di vista
anche una revisione lessicologica costituirebbe un passo in
avanti nel cambiamento della prospettiva sul tema.
Probabilmente è soltanto attraverso questa chiave interpretativa che noi possiamo spiegare la portata della reazione sociale
contro l’uso di sostanze, cocaina in primis; reazione che appare
del tutto sproporzionata rispetto alla effettiva pericolosità farmacologica della sostanza, soprattutto se confrontata con la
possibilità, questa lecita e legittimata dallo Stato, di consumare
altre sostanze psicoattive come l’alcool, il tabacco e molti altri
medicamenti di uso comune.
La diffusione del paradigma di “dipendenza da cocaina”
(cocaine addiction) è dunque funzionale a fronteggiare l’abuso
di questa sostanza e a ripulire il suo consumo dai suoi effetti più
spuri e immorali. Non è dunque la cocaina, come sostanza in sé,
che va combattuta ma l’uso degradante e autodistruttivo. Tuttavia per impostare una corretta soluzione di tutta la questione legata al consumo di cocaina e di altre sostanze psicoattive occorre anzitutto abbattere criticamente gli stereotipi di comodo che
ancora insistono sul tema.
Dopodiché si dovrebbe ragionare, attraverso una informazione attenta e una discussione libera da tabù, anche nei termini
di chi interpreta il consumo di cocaina come una esperienza
piacevole e controllabile, un desiderio di trasformare un momento della propria vita in una esperienza eccitante e positiva.
Senza per questo voler negare l’uso autodistruttivo delle dro-
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Introduzione
ghe, né i suoi effetti sociali, dal sistema di traffici criminali alla
vulnerabilità.
Questo tipo di approccio presta certamente il fianco all’accusa
di un eccessivo liberismo ma siamo convinti che questo tipo di
approccio, insieme agli altri, può contribuire a contenere gli effetti nocivi della sostanza. Se questo, poi, è il compito della ricerca sociale.
Negli ultimi venti anni la letteratura sociologica ha contribuito ad allargare, in maniera critica, il dibattito sul consumo di
cocaina e ha fatto breccia nel monolitico ginepraio di studi farmaco-medici, proponendo la tesi di un “consumo controllato”.
Che cosa spinge una persona a consumare la cocaina? Perché
alcune persone diventano consumatori regolari e altri saltuari?
Sono più i danni o gli effetti benefici della cocaina?
La letteratura e le ricerche correnti evidenziano quanto, oramai,
le forme del consumo di coca si siano evolute: diversi elementi
indicano l’importanza crescente di comportamenti di uso ricreazionale e di uso “non dannoso” della cocaina. Secondo un
vetero “modello del vizio” alcune persone consumano sostanze
senza procurarsi danni fisici rilevanti, senza cioè che si configuri una situazione patologica. Il policonsumo, inoltre, è divenuto
un comportamento comune, sia nella forma delle coassunzioni
nella stessa serata, sia nell’arco di un tempo più dilatato. Situazioni “familiari” come bere alcool o fumare sigarette che possono essere considerate riprovevoli ma che attengono alla sfera
privata. Inoltre, nelle pratiche cliniche si incontrano sempre più
spesso consumatori di sostanze psicoattive che non sono mai
stati in un comportamento di dipendenza o che non vengono
classificati come consumatori cronici (i cosiddetti élite users).
Questi consumatori pongono problemi differenti da quelli posti
dalle personalità dipendenti, in quanto si inscrivono in uso regolare e (apparentemente) controllato delle sostanze. Nonostante ciò sono ancora rare le ricerche che ci rendono conto del consumo sporadico o ricreativo; di un consumo che non si esprime
con modelli di comportamento dipendente ma, al contrario, attraverso un modello sempre più controllabile e resiliente. Lo
stile di consumo controllato è tale proprio nella misura in cui
Introduzione
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non altera le capacità del soggetto di rispondere efficacemente
alle aspettative sociali e normative che gli vengono rivolte.
Quando questo consumo non diventa una esperienza personale
di allenamento alla socialità di successo ma un dispositivo, situato, per esaltare un momento gioioso della propria biografia.
Certo, da qui ad affermare che la perdita di controllo nell’uso di
cocaina (e di alcol, e di fumo, e di cibo…) non determini dei
danni siamo lontani; ma dobbiamo ammettere che oramai siamo
di fronte a modelli di comportamento sociale meno granitici e
che richiedono interpretazioni e filosofie di intervento diverse
da quelle attualmente disponibili.
La ricerca
Questo volume presenta i risultati di una ricerca empirica, di taglio qualitativo, condotta a Napoli su un gruppo di consumatori
di cocaina che sono stati intervistati tra il 2010 e il 20141. La
traccia di intervista è stata pensata per rispondere ad una domanda fondamentale: esiste un approccio controllato al consumo di cocaina? Per tale motivo l’intervista è molto lunga e raccoglie una serie di dimensioni biografiche che descrivono la vita dei consumatori sotto diversi profili: motivazioni, opinioni,
valori, comportamenti, reti sociali, legami socio-sessuali, profili
di consumo…
L’approccio presentato nel libro si pone come una narrazione particolareggiata del consumatore “tipo” ponendo il lettore
nelle condizioni di discriminare se si può realmente parlare di
un controllo del consumo di cocaina o, se viceversa, i dati presentati non tratteggino un profilo di chi si illude di controllare la
sostanza. Il volume non mira a rispondere ad interrogativi ma si
pone come dispositivo di complessificazione della realtà empirica; senza la pretesa di aver trovato una chiave interpretativa in
grado di superare i punti di vista altrui si è probabilmente riu1
La ricerca è stata condotta grazie al patrocinio e al supporto di ricercatori e tirocinanti
dell’Osservatorio LGBT – Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi
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Introduzione
sciti a fare un po’ di luce su un fenomeno che altrimenti rischia
di essere banalmente associato ai soli comportamenti illeciti e
devianti.
In tal senso la struttura del libro presenta un primo capitolo
dedicato alla storia sociale della cocaina in cui vengono passati
in rassegna gli usi voluttuari o professionali della cocaina fin
dai tempi del popolo Incas. Una storia che non serve tanto a ricordare una coesistenza “pacifica” (oggi non più possibile)
quanto a comprendere la necessità dell’uomo di trascendere gli
stati di coscienza e tuffarsi, anche solo per qualche momento, in
una dimensione altra, capace di potenziare le nostre capacità.
Il secondo capitolo presenta il profilo dei consumatori intervistati e presenta i dati di struttura e le principali caratteristiche
biografiche legate al consumo. Comportamenti, economie
d’uso, modalità di “consumo controllato”.
Il terzo capitolo entra nel vivo delle narrative attraverso una
centratura sui pattern di consumo. Qui l’approccio utilizzato è
quello della riflessività biografica; attraverso la narrazione il
consumatore ci svela a quale modello di consumo appartiene.
Il quarto capitolo approfondisce il tema del consumo intersecando le dimensioni del genere e dell’orientamento sessuale.
L’obiettivo fondamentale di questa parte del libro è quello di
indagare se esiste una differenza nell’associazione tra genere/orientamento sessuale e uso/abuso di cocaina.
Infine, una sezione specifica chiude, a mo’ di appendice, il
volume. Si tratta di una serie di riflessioni, su fonti primarie (interviste a esperti) e secondarie (stampa), raccolte e analizzate da
Salvatore Monaco.
Capitolo I
L’uso sociale della cocaina
Introduzione
L’uso di ciò che oggi chiamiamo semplicemente cocaina (Erythroxilon coca) è antico quasi quanto la storia dell’uso sociale
delle piante. Gli uomini hanno iniziato ad utilizzare i suoi nutrienti intorno già nel 2500 a.C. per diversi usi, soprattutto medici (Malizia e Ponti, 1992).
La storia della coca è, anzitutto, “storia sociale della coca”, e
dunque storia degli usi che gli esseri umani hanno fatto e
tutt’ora fanno della sostanza; usi resi accettabili all’interno di
modelli di organizzazione sociale, culturale ed economica contingenti e in veloce mutamento. In questa chiave di lettura “sociale” va enucleata anche la distinzione fondamentale tra ciò
che viene definita “coca” e ciò che è definita come “cocaina”.
In termini sociologici, infatti, la distinzione tra coca e cocaina, pur non prescindendo dalla cruciale fattispecie biochimica
delle due sostanze, dà risalto alle altrettante differenze nelle
pratiche sociali del loro consumo e dei tratti socioculturali
all’interno dei quali tali pratiche vanno ad inscriversi, nonché
degli elementi di regolazione socio-economica da cui trarre una
misurazione dei loro valori d’uso e di scambio. In fondo la storia sociale della cocaina appare come un percorso di affrancamento dalla “coca” in quanto ontologicamente “pianta”, nel suo
esistere naturale e mezzo di comunione e ritualità religiosa, per
avvicinarsi alla più occidentale sintesi chimica – l’alcaloide –
inscritta prima nella farmacopea ottocentesca, poi nei consumi
ricreativi delle élite borghesi, quindi massificata assieme ad una
composita lista di altre sostanze – più o meno – chimiche e –
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Cocaine users
più o meno – similmente diffuse in larghi strati della compagine
sociale dei Paesi avanzati.
Alla luce di tali premesse, le pagine che seguono propongono una rilettura sociale delle vicende della cocaina a partire dalle sue prime apparizioni storicamente rinvenute tra le popolazioni pre-incaiche del Sudamerica: è qui che l’uomo ha cominciato a masticare le foglie di coca, a carpirne gli effetti, a renderne funzionali le potenzialità. È qui, ancora, che la complicata società degli Inca ha per prima regolamentato la diffusione e
il consumo delle foglie, rappresentando la prima legge articolata su una droga che coinvolgeva un intero popolo e le tribù ad
esso assoggettato.
L’apprezzamento degli incas per questa pianta e l’uso metodico da questi operato sono infatti le condizioni nelle quali è
avvenuto il primo incontro con l’Occidente dei conquistadores
e dei missionari cristiani; è in questo momento che prende avvio una prima rappresentazione sociale etnocentrica della coca,
che influenzerà inevitabilmente quelle successive.
Nel secondo paragrafo si prenderanno in esame le modalità
di penetrazione della coca in Occidente; dapprima in forma di
coca, poi in forma di cocaina. Nel primo caso si tratta di rileggere in che modo anche per questa pianta le dinamiche di mercato abbiano contribuito alla sua diffusione a scopi consumistici
e voluttuari, veicolata dagli investimenti di taluni imprenditori
di successo in Europa e negli Stati Uniti. Nel secondo caso si
tratta invece di raccontare la parentesi – quasi esclusivamente
medica – in cui la scienza occidentale aveva creduto di trovare,
nella cocaina, la panacea di tutti i mali, sfruttandone le proprietà in numerosissimi usi. Come si vedrà, ben presto gli effetti indesiderati della sostanza chimicamente sintetizzata colpirono
prima la comunità scientifica – che ne aveva fatto largo uso
“privato” – e poi la società nel complesso, dove la cocaina si
era oramai diffusa. L’apice di tale diffusione si registrerà agli
inizi del Novecento, quando la repressione internazionale sarà
costretta a porre i primi seri rimedi.
Nel terzo paragrafo si giunge dunque alle dinamiche di consumo e distribuzione della cocaina in quanto “droga illecita”, e
I.
L’uso sociale della cocaina: modelli e rituali
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del “problema sociale” ad essa connesso. La stigmatizzazione
del cocainismo, che nasce dalla cronaca nera statunitense, viene
man mano appresa anche nel Vecchio Continente dove i provvedimenti repressivi, le Guerre Mondiali e la diffusione di narcotici più accessibili – assenzio, etere ecc. – rendono il ricorso
alla cocaina assai più sporadico tanto da far credere in un suo
definitivo declino. Così non è: la cocaina avrà infatti un’altra
età dell’oro, assieme ad altre numerose sostanze, a partire dalle
contestazioni degli anni Sessanta e Settanta, seppure con un
ruolo in qualche modo “anomalo” rispetto alle ideologie giovanili dominanti in quell’epoca.
Il quarto e ultimo paragrafo chiude la trattazione con un breve cenno alla configurazione del consumo attuale, al superamento delle ideologie della droga tipiche degli anni settanta, alla concentrazione del fenomeno tra le giovani generazioni.
Rileggere la storia della cocaina ha qui lo scopo di ricostruire le condizioni e le pratiche storiche e sociali del suo utilizzo,
dei suoi divieti, del suo coesistere accanto ad altre droghe o sostanze, del suo ruolo nell’immaginario occidentale, dello stigma
sociale o religioso di chi ne fa uso, ma anche del momentaneo
apprezzamento della scienza medica e del tuttora inesauribile
interesse del mercato illecito e globale.
1.1. La disfatta di un nuovo mondo
1.1.1. Da “pianta divina”…
L’uomo ha cominciato a masticare foglie di coca sin da quando
ne carpì i numerosi effetti benefici, almeno 4.500 anni fa sui
pendii delle Ande. La pianta di coca era un notevole energizzante, aumentava la lucidità mentale, faceva superare la fame e
rinvigoriva le membra alle altitudini elevate dei rilievi andini.
Era così profondo l’apprezzamento dei popoli che abitavano il
Sudamerica occidentale che a questa pianta fu assegnato il rango di Kokha, ovvero “pianta per eccellenza”.
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Cocaine users
Le ricostruzioni degli antropologi culturali confermano che
la maggioranza delle popolazioni andine ha masticato coca,
scoprendone le proprietà tramite contatto con altre tribù – grazie alla elevata frequenza di comunicazione tra gruppi – o in
maniera indipendente. Ne consegue che gli Incas, modello politico e sociale entro il quale la coca si istituzionalizza, abbiano
appreso l’uso della foglia dai popoli soggiogati dal loro Impero
e ne abbiano man mano regolamentato l’uso.
Presso gli incas la pianta permeava praticamente l’essenza
stessa dell’Impero, ed aveva una miriade di significati magici,
religiosi e sociali. La coca era innanzitutto considerata una deità, centrale nei riti di iniziazione e nei cerimoniali pubblici; ma
era anche utilizzata come mezzo di imposizione fiscale (nella
capitale Cuzco erano conservate vaste riserve della pianta) e,
ovviamente, tutte le sue caratteristiche propriamente farmacologiche erano ben conosciute e sfruttate (per affrontare la fatica,
combattere la fame, anestetizzare parti del corpo ecc.).
Un aspetto assai interessante si riferisce alla valenza simbolica, mitica e religiosa della coca. La pianta, chiamata “Mama
Coca” perché considerata una essenza soprannaturale, era una
delle principali deità e raffigurata in numerosi manufatti sacri o
rituali come Venere incaica. Ma l’aspetto più importante
dell’esperienza del popolo inca resta la complessa disciplina
nell’uso della pianta di coca, finalizzata a restringerne drasticamente il consumo. La coltivazione delle “cocales” era affidata esclusivamente ai giovani con meno di 12 anni (cocapallares) e/o alle donne. Solo i nobili ed i capitribù potevano masticare coca a loro piacimento, mentre alla gente comune era permesso solo in determinati luoghi e in occasione dei cerimoniali
o per finalità propriamente terapeutiche. Insomma, la coca era
un elemento soprannaturale, portafortuna e veicolo di condivisione sociale nei riti religiosi, nei matrimoni o nei funerali, non
un elemento di svago. Si tratta di un aspetto da non sottovalutare, poiché proprio l’abrogazione di questi usi e significati, ad
opera dei conquistadores e dei missionari cristiani, rappresenterà la condizione sufficiente per un primo, drastico, mutamento
funzionale nella storia sociale della sostanza.
I.
L’uso sociale della cocaina: modelli e rituali
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1.1.2.…alla “illusione demenziale”
Dopo i primi contatti con gli Incas, gli spagnoli descrissero dettagliatamente gli usi delle popolazioni assoggettate, non nascondendo una certa repulsione. Specie nei primi resoconti, gli
invasori consideravano gli indios come selvaggi e tutte le loro
usanze apparivano disgustose o addirittura oscene. L’abitudine
di masticare foglie di coca non sfuggì ad un tale giudizio e fu
subito considerata un selvaggio mezzo di ritonificazione, capace di far raggiungere un completo abbandono, stato assai ambito dagli autoctoni. Non differente era l’atteggiamento della
chiesa, che considerava la coca come un’idolatria pagana, mentre nei proclama reali di metà Cinquecento la sua assunzione
venne condannata e i suoi effetti dichiarati una vera e propria
“illusione demenziale”. Ovviamente questo primo atteggiamento spagnolo verso la masticazione della coca aveva fondamenta
economiche, sociali e politiche, oltre che religiose. Allo scopo
di tutelare la salute fisica e l’integrità morale degli Indios, nel
1556 venne vietato l’uso di coca. Un divieto di facciata, quasi
sistematicamente trasgredito. La coca continuava infatti ad essere l’unico conforto per le popolazioni locali ridotte in semischiavitù nelle piantagioni o nelle estrazioni locali, sovente
proprio con il beneplacito degli occupanti.
Questa circostanza segnala e conferma quell’elemento di
ambiguità che l’Occidente ha intrattenuto con la foglia di coca:
la condanna morale, infatti, si accompagnava sovente al suo utilizzo quale mezzo di sfruttamento della manodopera autoctona.
Per la Corona spagnola, la foglia di coca ha praticamente permesso di rendere governabili le masse di mitagos, dal punto di
vista tanto sociale quanto economico: nel primo caso, distribuendo coca, i semi-schiavi erano più produttivi; nel secondo
caso, il compenso in foglie mitigava gli animi, preservando
l’ordine pubblico. Certo è che, una volta confermati questi tratti
“funzionali” della coca, i regnanti, gli ecclesiastici e i proprietari terrieri destinarono sempre più aree alla coltivazione della
pianta, diffondendone a dismisura il consumo. In conclusione,
con la destrutturazione dell’autorità degli Inca l’uso e l’abuso di
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Cocaine users
coca da parte delle popolazioni locali, non più disciplinato in
base a vincoli di ceto o cerimoniale, aveva ben presto tramutato
un tratto, come dire, antropologico, in vera e propria questione
sociale.
1.2. La penetrazione nell’Occidente
1.2.1. La “merce”: la coca e il mercato
Ma le potenzialità economiche della coca non si limitarono certo allo sfruttamento della manodopera del Nuovo Mondo. Bastò
infatti che la medicina europea ne rendesse noti i tratti farmacologici e ne giudicasse gli effetti non nocivi per svelare in pieno
la sua concreta dimensione di realtà produttiva e di mercato.
Nella seconda metà dell’Ottocento la pianta divenne anzitutto oggetto di numerosi studi finalizzati a metterne a frutto le
qualità. Promuovere il consumo di coca in Europa scontava infatti un vero e proprio conflitto culturale e di costume: nella
frenesia di un’Europa in pieno sviluppo industriale, la pratica
del masticare a lungo foglie per avere effetti non si addiceva ai
costumi locali, dove la prassi ricreativa prediligeva lo sbevazzare, assumendo rapidamente liquidi dagli effetti quasi immediati.
Anche per tali motivi la prima vera commercializzazione della
pianta avvenne in forma liquida, ad opera di un chimico farmacista, Angelo Mariani, che predispose un condensato in polvere
della sostanza e lo distribuì come bevanda, misto al vino della
Corsica. In pochi anni il suo Vin Mariani ottenne una popolarità
globale, annoverando tra i suoi pubblici estimatori personalità
di spicco del campo politico, religioso e dell’arte; addirittura
Papa Leone XIII promosse Mariani con una medaglia d’oro a
riconoscimento di quello che considerava un ricostituente, e che
portava sempre con sé in una piccola bottiglia allacciata alla
cintura. Il successo del Vin Mariani dall’Europa contagiò gli
Stati Uniti, dove la vicenda imprenditoriale più nota in questo
ambito è quella di John Styth Pemberton, datata 1886. Questo
farmacista di Atlanta, mischiando noce di Kola, acqua gassata