Emergenza droga. Riempiono di polvere bianca il loro vuoto (Marina Corradi intervista Eugenio Borgna in Avvenire, 3 febbraio 2007) Era una volta la droga dei ricchi e degli artisti. Dagli anni Ottanta, e sempre più largamente, la cocaina è in marcia verso un consumo di massa. Ma perché? Che cosa cercano professionisti e studenti, la classe dirigente attuale e futura, in quella polvere bianca che ormai comincia a circolare con noncuranza, come cosa normale, fra la borghesia benestante? Per il professor Eugenio Borgna, psichiatra e psicoanalista, vi sono cause per così dire immediate, banali, ma, al fondo, una motivazione più radicale. «Il consumo dei manager, di chi è costretto a essere sempre efficiente dentro a ritmi che non riesce a reggere, riflette l'ansia di prestazioni costantemente elevate. L'utilizzo giovanile, ma non solo, può derivare in parte dall'imitazione, in un'abitudine che si allarga a sempre nuovi consumatori. Ma se dovessi dire quale è all'origine la radice di questo bisogno crescente, credo che stia in una percezione magari non cosciente, eppure per alcuni insostenibile, di vuoto. Privati degli orizzonti di senso, della partecipazione comune alla vita degli altri, mutilati di ogni slancio ideale e della dimensione del sacrificio, ci ritroviamo come in un mondo bruciato dove un numero sempre maggiore di persone si stordisce finché può nelle distrazioni "normali", e quando questo non basta si muove alla ricerca della felicità illusionale e effimera della cocaina - preferendola, comunque, alla esperienza di quel vuoto interiore, che è divorante. Infatti buona parte del consumo avviene nel fine settimana: i giorni di festa, svuotati del significato del sacro, sono un tempo di ozio insostenibile per chi, liberato dall'assillo del lavoro, si ritrova solo davanti alla catastrofe del suo nulla interiore. Mentre proprio nelle stesse ore del sabato scatta la fanfara dell'obbligo di "divertirsi", di "vivere, finalmente". E allora, per ritrovare qualcosa da dirsi quando non si ha niente o poco da dire, per essere brillanti e saper trovare prontamente le battute giuste, si fa ricorso alla cocaina, a questa fontana di effimera lucentezza». Un tempo per rallegrare le serate si ricorreva a una bottiglia di vino, a un whisky. Qual è la differenza che oggi spinge, e soprattutto le classi borghesi, verso la coca? Gli effetti della cocaina, o almeno quelli immediati del mattino dopo, appaiono meno pesanti di quelli di una ebbrezza alcolica acuta. Ma, soprattutto, la particolarità di questa droga sta nel dare una sensazione di onnipotenza e insieme di grande capacità creativa. Ci si sente lucidi, intelligenti, capaci di una brillantezza intellettuale ben superiore a quella di cui si è dotati. È, in fondo, la assunzione di cocaina, una stimolazione del narcisismo personale. "Senza" cocaina ci si vede grigi, banali, annoiati. "Con", al contrario, si spalanca davanti alla stessa persona il palcoscenico di una gigantesca autovalutazione: come uno specchio che ci rifletta, finalmente, splendidi. Grigi dal lunedì al venerdì, e "straordinari", grazie a quella polvere, il sabato sera. E il lunedì mattina? Lo splendore, sia pure fasullo, intravisto per un'ora rende più grigio e amaro il rientro alla vita quotidiana. Dopo i bagliori artificiali della droga, la normalità appare anche più di prima un deserto di emozioni. È per questo che, più che la dipendenza fisica, nell'uso di cocaina conta la dipendenza psicologica: è piacevole, sentirsi creativi, eccezionali, ed è difficile accettare di rinunciare a questa ebbrezza. Storicamente, nella diffusione moderna delle tossicodipendenze, è arrivata prima l'eroina, e solo dagli anni Ottanta ha cominciato a prendere piede la coca. Mentre l'eroinomane però otteneva il risultato di chiamarsi fuori dalla realtà e dal lavoro, e diventava rapidamente un emarginato, il cocainomane è in genere assolutamente integrato, e anzi, si droga per integrarsi ancora meglio in società, o per lavorare di più. Certamente la cocaina è vissuta e richiesta come una droga "da prestazione", cioè che migliora le prestazioni socialmente richieste. In realtà però, come in ogni tossicodipendenza, chi assume uno stupefacente entra in un tempo spezzato: dove non esiste più la memoria né il futuro, dove gli affetti, la speranza, la spiritualità vengono eclissati da un momento, un attimo di piacere. In questo senso anche la cocaina sottrae da una percezione autentica della realtà. Su un piano psicologico, prima ancora che fisico, come opera questa droga su chi ne fa uso abituale? Ha un costo tragico sul piano della libertà e della personale autonomia: fa entrare in un circolo di superefficienza sociale o lavorativa, di "produttività" forzata che chiama a sempre nuove domande di prestazioni, in un automatismo disumano. Il tentativo di cogliere un orizzonte e un senso alla propria vita, già in questi tempi difficile anche in una situazione non alterata, si fa estremamente aspro nel meccanismo indotto dalla cocaina. E contemporaneamente viene alterato il senso critico, e la soglia della reattività e della aggressività, perché l'ebbrezza dell'onnipotenza provata va a incidere sull'equilibrio della persona. A questo numero crescente di utilizzatori di coca, cosa suggerirebbe, da psicoanalista, di domandare a se stessi? Cercherei di spingerli a capire quale è il motivo autentico per cui hanno bisogno di questa sostanza. Se si drogano per una insicurezza interiore che impedisce loro di confrontarsi con le proprie più profonde domande e esigenze, per soffocarle dunque in un momento di euforia. Li porterei a dare parole all'angoscia non detta, sapendo che il confronto con la parola di un altro può essere occasione di catarsi. "Date parole al vuoto del cuore, se non volete che il vostro cuore si spezzi", scrisse Shakespeare. Perchè al fondo di quel bisogno di efficienza, di successo che sostiene la domanda sempre più ampia di cocaina, ne sono convinto, c'è un dolore, e quel dolore è il vuoto. Che preme e duole, anche quando non si è capaci di riconoscerlo.