capitolo 2 - International Journal of Psychoanalysis and Education

International Journal of Psychoanalysis and Education - IJPE
2010 vol. II, n° 2
ISSN 2035-4630
(versione telematica pubblicata all’indirizzo www.psychoedu.org)
DISTURBI ALIMENTARI PSICOGENI:
“ECLISSI” DEL SÉ
ED ESPERIENZA DEL CORPO
Giancarlo Di Luzio
(Psichiatra, Psicoanalista SPI-IPA, Membro Docente COIRAG-IAGP)
Premessa
Premetto per chiarezza alcuni chiarimenti sui termini usati e l’ ordine degli i
argomenti trattati .
Utilizzerò il termine Disturbi Alimentari Psicogeni (DAP) anziché Disturbi
del Comportamento Alimentare (DCA), la denominazione più comune nel nostro
paese per
definire l’area dell’anoressia, bulimia e dei DCA non altrimenti
specificati (DCA-NAS), perchè tale denominazione, a mio avviso, ponendo al
centro un comportamento, mette in secondo piano il dato, rilevante dal punto di
vista psicodinamico , che la malattia coinvolge in realtà l’intera personalità e non
solo la condotta alimentare, aspetto parziale anche se spesso
grave. In questo
senso, H. Bruch,( parlando della Anoressia Nervosa, AN), definisce il disturbo
alimentare come manifestazione tardiva di un disturbo di personalità presente
molti anni prima. Anche la estesa letteratura psicoanalitica18, sembra riconfermare
l’ ipotesi che il disturbo abbia origine nel cuore della personalità ( ovvero, dal
punto di vista della Psicoanalisi del Sé, nel suo centro, nel Sé);
18
Thoma ( v. bibliografia), che ha curato una raccolta di 60 casi curati con l’ analisi nel corso di quasi un secolo (
almeno 60 anni), sottolinea la lunga esperienza della psicoanalisi in questo campo, anche se questo ha portato
alla produzione di “case-reports” anzichè studi longitudinali verificati secondo i criteri della “evidence based
medicine”, la qual cosa però non è sufficiente motivo per considerarli di valore nullo.
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Come ogni psicoterapeuta
può rilevare l’ esperienza soggettiva di questi
pazienti ruota quasi costantemente attorno ad un sentimento di inadeguatezza di
Sé; tale fenomenologia però risulta a tal punto variegata da caso a caso, che mi
sono sentito, in questo scritto, spinto a definire il sentimento di base comune,
essendo la percezione di “deficit” quello che li accomuna, con il termine, seppur
generico, di “sentimento negativo di Sé”,
in attesa di trovarne
altro più
soddisfacente.
Richiamandomi ad una possibile ipotesi sulla genesi psicodinamica di tale
sentimento, ho qui denominato la configurazione strutturale del Sé che sottende il
“sentimento negativo di Sé”, con metafora “astrofisica”: “Eclissi del Sé”.
Con tale metafora intendo evocare l’esperienza soggettiva del paziente che
sente”oscurato”, inesistente, paralizzato, il nucleo di Sé che promuove
l’individuazione (il “vero Sé” di Winnicott, il Sé potenziale sano ), ovvero quello
che dovrebbe fargli percepire identità, senso di efficacia, autostima, etc.,…
I riflessi di questa “eclissi” del Sé sulla corporeità , nei DAP, sono molteplici
e complessi e solo alcuni aspetti verranno qui toccati. Un aspetto senz’ altro
centrale è lo spostamento sul corpo, anche con funzione di meccanismo di difesa,
di questo nucleo
“negativo”, dallo psichico al somatico, fatto questo che
contribuisce probabilmente anche alla creazione della “immagine negativa del
corpo”
19
, oltre che ad un vissuto più generale, diffuso e persistente della propria
corporeità come negativa.
Il “sentimento negativo di Sè”
Come già detto, un dato che non può non colpire qualsiasi psicoterapeuta
che si occupi dei DAP, è la presenza quasi costante di un sentimento “negativo”del
Sé, centrale, pervasivo e persistente. Questo fatto era stato
già puntualmente
rilevato dalla Bruch decenni fa, nei suoi studi pionieristici sulla AN e sull’obesità e
19
Vedi in bibliografia Bruch , “Patologia del Comportamento Alimentare”.
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nelle
magistrali descrizioni dei vissuti soggettivi delle sue pazienti. Nonostante la
sua originaria formazione biologica20 ella è fin dall’inizio è stata convinta della
rilevanza dei fattori psicodinamici, sulla scorta di una esperienza su centinaia di
casi, comprendenti anche l’area della obesità, che nella sua cornice teorica è solo
il polo opposto della AN, in un “continuum” di uno stesso spettro patologico,
ipotesi ripresa dalle più recenti prospettive “trans-nosografiche”21. Pur non
sottovalutando la portata dei meccanismi di difesa riguardanti la pulsionalità
(specie libidica) descrive , nel caso della AN,
una fragilità della personalità che
riguarda l’identità, il concetto di sé, il sentimento efficacia, il senso di autonomia,
il diritto a decidere della propria vita e a percepire la mente e corpo come aree su
cui poter aver diritto di
attivita’ e sviluppo proprii. Da questo punto di vista la
malattia viene fatta risalire, in un’ottica eziopatogenetica multifattoriale, ad un
disturbo della personalità22 associato ad una radicata disfunzione percettiva
sia
della immagine corporea che dei segnali di fame sazietà, sviluppatisi
precocemente,
in conseguenza di
deficit di accudimento dei “care-givers”23;
20
La sua iniziale attività era stata di endocrinologa.
Vedi Fairburn in bibliografia.
22
Il termine usato usato dalla Bruch, che compare nel titolo della sua opera principale “Eating disorders and the
person within” è dunque “person” ed, essendo stato scritto in epoca pre-DSM IV-R, non è possibile fare
collegamenti con tale classificazione nosografia.. E’ da notare che la traduzione italiana del titolo, “Patologia del
Comportamento Alimentare” introduce il termine comportamento non presente nell’originale ed omette il termine
“person”., ovvero il concetto più globale di persona, personalità.
23
La relazione madre-bambino occupa naturalmente un posto di primo piano. In un precedente articolo avevo
usato il termine di “campo transgenerazionale” per indicare il fatto che, al di là di tale rapporto, alle genesi del
deficit di personalità poteva concorrere una psicopatologia che si era trasmessa attraverso più generazioni. Tale
impressione si è in me sedimentata nel corso della terapia di alcuni casi, seguiti per anni, in cui è stato possibile
ricostruire la strutturazione della personalità nei primi anni di vita, prima della comparsa del DAP, in relazione al
contesto familiare ed in cui si è potuto comprendere come il bambino, per fini adattativi, si era posto ed era stato
posto,come “contenitore”, funzionale alla “omeostasi” familiare, di stati psichici ( il più spesso di coloritura
“negativa” “autosvalutativa”) propri di genitori che a loro volta li avevano “ricevuti” dalla precedente generazione.
In particolare in un caso di grave bulimia è risultato evidente che la bulimia era tra l’altro una tecnica di
tamponamento di antiche angosce infantili. Da piccola era insonne ed in particolare aveva incubi in cui “un uomo
cencioso e pazzo la inseguiva e minacciava di portarle via i genitori. Nella ricostruzione era emerso l’esistenza di
forti angosce di povertà, follia e morte specie nella madre, “ereditate” dai propri genitori, che erano state captate e
fatte proprie dalla paziente, figlia quindi “stressata” ad essere un piccola adulta. Le ansie avevano preso la forma
di una insonnia con incubi. Il cibo poi era diventato un suo calmante fino però a generare una obesità infantile. In
adolescenza aveva reagito a questa sorta di “passivizzazione” controllando il peso con una restrizione fino alla
anoressia. La ribellione alla anoressia era stata la bulimia con cui aveva continuato a controllare l’angoscia
ereditata dall’infanzia..
21
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invece
la
successiva organizzazione della psicopatologia dell’alimentazione,
spesso di anni più tardiva, viene considerata, almeno in parte, come un tentativo,
seppur malato, di riequilibrare e riparare il diffuso sentimento di incapacità e di
mancanza di identità che caratterizza il disturbo di personalità.
Anche nella mia esperienza di psicoterapeuta, dopo che si sia instaurato un
rapporto
di sufficiente fiducia ed intimità, queste persone riferiscono, quale
principale fonte di sofferenza sottostante al comportamento alimentare, il sentirsi,
fin dall’ infanzia, “inadeguate, non sentirsi all’altezza”, etc.,…con connotazioni
assai varie; in alcuni casi il sentimento viene declinato nel sentirsi “diversi”, “non
presentabili” al confronto con gli altri; in altri la accentuazione del sentimento di
negatività può arrivare fino al punto di sentirsi portatori di una oscura “difettosità”,
“mostruosità”24 .
A volte tale sensazione acquista una forte pregnanza fantasmatica del
tipo: “ in me c’è un buco nero, un ombra, qualcosa di molto negativo…”. E’ molto
frequente inoltre la descrizione quasi fisica di un “vuoto”, un “buco” che in genere
viene collocato all’interno dell’addome e costituisce, una volta “somatizzato”, il
motivo “ fisiologico” del perché uno abbia la necessità di abbuffarsi. Al contrario
un “pieno negativo”, una “negatività interna”, una sorta di “ mostruosità” interna,
cui si accennava prima, è ciò che deve venir eliminato con il vomito autoindotto. Di
frequente il pieno”schifoso” ed il “vuoto” angosciante sono riferiti come sequenze
di uno stesso scenario. Per illustrare questo aspetto riporto il caso di una grave
paziente bulimica che dopo anni di terapia, con notevoli progressi nella capacità di
“insight”, mi aveva portato questo sogno: “…mi trovavo davanti ad uno specchio
e mi osservavo…ad un certo punto notavo come un brufolo, un sorta di “cunicolo”
nella pelle del viso…”scandagliavo” questo punto , grattandomi con le unghie…
scoprivo con disgusto che sotto c’era un lungo verme schifoso…andando ancora
più in profondo vedevo che sotto la pelle non c’era nulla…ma solo un enorme
spazio bianco, senza niente, come un enorme stanza bianca…”. La paziente per
24
Vedi in bibliografia .Pallier per il tema della mostruosità.
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anni aveva fronteggiato il “sé-schifoso-verme”, inconsapevolmente, ricercando con
la restrizione alimentare di raggiungere un ideale fisico ” magro”, percependo ”
annidato” nel grasso il “sè schifoso”; il danno del Sé aveva comportato uno stato
“alexetimico” con la sopravvivenza di sole due emozioni forti, la rabbia e il
sentimento di “vuoto” . Le abbuffate, favorite fisiologicamente dalla restrizione
nutrizionale, le riempivano il “vuoto” in momenti in cui era intollerabile, per
esempio in occasione di frustrazioni e abbandoni ma repentinamente , a causa dello
stato dispercettivo, si sentiva
repentinamente ingrassata. A questo punto il cibo
introdotto, trasformatosi “magicamente” in “ grasso”, le faceva percepire in tutta la
sua intensità il “Sé-schifoso” ed allora esso doveva essere espulso con violenza
attraverso il vomito. Nel corso della terapia
come in un processo di
“alfabetizzazione” aveva allargato” la conoscenza delle proprie emozioni;
progressivamente la persecuzione da parte del “Sé onnipotente-perfezionistico” si
era ridotta e così il sentimento autosvalutativo ( “il sé verme”) e nuove emozioni
avevano attenuato il sentimento di
vuoto. Dopo
anni- la paziente è tuttora in
terapia- la crisi bulimiche sono completamente scomparse.
A volte è proprio l’ esperienza nucleare di sé, il fondamento dell’identità,
che viene presentata come molto precaria. Le pazienti nel riferire fatti e sentimenti,
esprimono contenuti più o meno impliciti del genere: “ io ho sempre sentito di non
meritare di esistere… non credo di aver diritto ad avere una esistenza autonoma..
non valgo nulla…non merito
nulla, etc.,…”. In questi casi i pensieri sono
accompagnati da vissuti molto penosi, il senso di inesistenza e di inconsistenza è
accompagnato da angosce esistenziali profonde, viene espresso un senso di
impresentabilità di fronte al genere umano25; il sentimento di vergogna è forte,
25
il mito di Filottete, riportatomi più volte nel corso dell’analisi di una grave paziente bulimica,per esprimere i
suoi sentimenti, mi sembra rappresentare questo stato. Filottete eroe greco, durante il viaggio in mare verso Troia
contrae una malattia diffusa della pelle, molto repellente e maleodorante. I compagni di spedizione lo
abbandonano solo su in isola. Per anni nessun essere umano gli si avvicinerà ed egli svilupperà un forte senso di
fragilità per l’isolamento subito e di bisognosità di rapporto umano. Dopo anni Ulisse, che per vincere la guerra
ritiene importante acquisire l’arco di Ercole, allora in possesso di Filottette , raggiunge l’isola e si finge essere un
amico che lo vuole rivedere. Ma ottenuto l’arco, subito dopo l’abbandonerà con gran dolore di Filottete per la
delusione e l’inganno.
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spesso devastante ed è causa della necessità di un progressivo isolamento dagli
altri, stato che le pazienti nascondono, quasi per un inconscio “alibi”, con
l’attribuire
il non uscire allo stato di malessere
conseguente alle condotte
bulimiche, spesso devastanti sia sul piano fisico che psichico.
diritto ed il valore del proprio esistere
In questi casi il
sono vissuti con dolorosa precarietà e
sembra che il disturbo alimentare dìa comunque
dignità di una ”identità” di
persona ” malata” risparmiando loro la vergogna e l’angoscia di mostrare a sé e al
“ mondo” una “identità” senza meriti nè diritti, gravida di oscure ed indefinite
negatività, insomma una “identità impresentabile“.
La Bruch sottolinea il fatto che in queste pazienti è come se pensieri ed
emozioni,
così come del resto il proprio corpo non appartengano a sé stessi e
quindi essi non si sentano nella condizione di poter disporre di sé né nello spazio
reale della propria vita; solo nel “teatro del corpo”26 e nel mondo del cibo essi
sembrano poter trovare una forma di espressione di sè. Nel caso di una grave
anoressica, Ilenia, solo dopo qualche anno di terapia analitica, ella si rende conto
che i pensieri ed il punto di vista da cui giudica il mondo e gli altri non sia il suo
ma quello della madre; esclama in una seduta:”… ma io penso con la mente di mia
madre!”
In un'altra paziente bulimica, Giulia, emerge in terapia il rapporto tra le
sue crisi bulimiche e la sua difficoltà ad esprimere con rabbia ma con efficacia la
sua assertività nei confronti di un capoufficio che tende a svalutarla; le crisi
sembrano essere una modalità di scarica di una frustrazione avvenuta nel rapporto
“inter-umano” attraverso uno spostamento in una area di relazione con oggetti “non
umani” (il cibo ) degli affetti ( es. la rabbia è tramutata nella violenza delle
condotta bulimica”)27; in questo caso risulta evidente che il suo “apparato orale”
26
Vedi Resnik in bibliografia.
In un precedente articolo ( v. bibliografia) ho ipotizzato, come evidenziato anche da altri Autori, che i DAP,
sarebbero in realtà più disturbi dell’ esperienza interpersonale ( vedi gli approcci nordamericani ai DAP della
ITP, la Psicoterapia Interpersonale) che dell’alimentazione. La fragilità del Sé di queste persone li porta ad
evitare l’esperienza interpersonale e a sostituirla con quella con oggetti “non-umani”, più “padroneggiabili”,
27
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non può riempirsi di parole che escano e si indirizzino con efficacia e rabbia ad
una altra persona; infatti, a causa di un Sé troppo autosvalutato, ella non si sente in
diritto di difendersi né in grado di sostenere ed esprimere emozioni intense né di
avere il coraggio di assumersene il carico nei confronti di una altra persona; per tale
motivo nell’ apparato orale alle parole viene sostituito il cibo e questo poi viene
espulso con violenza al posto di un energica comunicazione.
Tenendo conto di tale varietà della fenomenologia soggettiva possiamo
ipotizzare che la patologìa del Sé si estenda, a seconda dei casi , con una
graduazione di gravità, da una parte più “centrale” in cui sono state compromesse,
in fasi più precoci (per es. attraverso alterate “esperienze speculari arcaiche”28), il
sentimento del diritto all’esistenza, la percezione dell’appartenenza a sé della
mente e del corpo, il meritare valore e spazio nella propria esistenza, a parti più
“periferiche”: in questi casi è come se il Sé non permeasse sufficientemente le
azioni del soggetto, le sue qualità, i suoi talenti. Tali pazienti non riescono ad
esprimere con efficacia le proprie attitudini e capacità, spesso elevate, come se non
ne potessero disporne a pieno titolo o
non fosse consentito loro di apprezzarne
tutto il loro valore né potessero farle valere. Per es ., come poi riportato, Ilenia,
paziente anoressica, laureata in economia a pieni voti lavora come commessa e
quando le viene riconosciuto un aumento di stipendio per le sue capacità si stupisce
che questo sia accaduto.
Quindi in una sorta di classificazione fenomenologica, che va dal centro alla
periferia, potremmo così raggruppare, le forme di “sentimento negativo di Sé “.
 Sentimenti di mancanza di diritto all’esistenza, all’ espressione e realizzazione di
Sé, alla progettazione della propria vita, sentimenti di inesistenza, di invisibilità;
 Sentimenti di diversità, alienità, sentimenti di difettosità/mostruosità;
 Sentimenti di vergogna, impresentabilità, autosvalutazione, autodisistima
 Sentimenti di colpa, di indegnità;
quali il cibo e l’immagine fisica. Con un riferimento alla terminologia di S.Resnick in essi assistiamo ad una
sostituzione del “teatro della vita” con il “teatro del corpo”.
28
V. per” esperienze speculari” Kohut in bibliografia.
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 Sentimenti di
incapacità rispetto a specifiche funzioni ( comprensione,
intelligenza, eloquio, femminilità, esecuzione di compiti, etc.,…)
Eclissi del Sé
L’eclissi solare, è un evento, che anche se eccezionale, quando è totale, ci fa
sperimentare una situazione inquietante: seppure la fonte di energia esterna più
essenziale per la nostra vita, il sole, è presente, tuttavia, un corpo celeste (es. la
luna), frapponendosi tra l’astro ed il nostro pianeta , ne riesce ad annullare in gran
parte l’ effetto luminoso, fino al punto da poter aver l’impressione angosciante che
il sole si “sia spento”. L’immagine suggeritaci da questa definizione metaforica ci
può aiutare, come già detto, a capire quello che provano questi pazienti: l’energia
del ( “vero”) Sé sano potenziale (il sole) risulta (nel loro caso assai ben più
durevolmente!) oscurato( inibito) da un nucleo ( il pianeta privo di luce che si
interpone), privo di energia positiva ( il Sé adattivo “svalutato”, “inadeguato”), la
qual cosa determina così’ nel soggetto il “sentimento negativo di Sè”.
La mia ipotesi è quindi e che tale sentimento di sé rifletta anche un deficit
del Sé e che
proprio attorno a tale deficit si strutturi
la gran parte della
fenomenologia patologica.
Come già descritto dalla D.ssa Lydia Pallier29 in tali situazioni di deficit
del Sé, presenti anche in altre sintomatologie, due fenomeni tipici si presentano
all’ analista: uno è il fenomeno del “bluff” ed il secondo, strettamente collegato,
potrebbe essere denominato “fenomeno del rimbalzo”. Infatti si assiste al fatto che
quando la paziente è riconosciuta positivamente, sia apprezzata fisicamente o per
altre sue qualità, ella pensa in realtà di essere in realtà un “bluff” , ovvero in realtà
che ella non crede di avere quelle qualità, ma esse sono in realtà un “trucco”e
quindi ella si attende di essere smascherata da un momento all’altro con sua grande
29
In realtà tali “descrizioni” mi sono giunte da comunicazioni orali ricevute in corso di supervisione, mentre
sono in forma più che altro implicita nei suoi scritti.
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vergogna: per es, un ragazzo si interessa a lei ma ella è sicura che questi si stia
sbagliando nell’apprezzarla, . Quindi quando sono in gioco capacità che vengano
esplicitamente riconosciute da qualcuno alla paziente che ella però non può
riconoscersi, il “rispecchiamento” positivo le “rimbalza” addosso, non le può
sentire come realmente sue, accrescendo così la propria autostima; per es., come
nel caso citato di Ilenia, il capoufficio le riconosce un aumento di stipendio non
richiesto per l’ottimo rendimento ma tuttavia ella non può attribuirsi tali elevate
doti professionali e quindi rafforzare il senso di sé; quindi i riconoscimenti positivi
“rimbalzano” anziché penetrare nel sentimento di sè e rafforzarlo. E’ proprio questa
incapacità a “nutrire” il Sé “carente” con esperienze interpersonali che avrà un
ruolo importante nello sviluppo del disturbo alimentare; si può infatti ricondurre
l’asse portante della patologia ad un tentativo di elaborare questa percezione
dolorosa di una difettosità Sé e di cercare di ripararla.
I riflessi della “Eclissi” del Sé sulla esperienza corporea
Così come l’ eclissi del sole è difficile da sopportare a lungo così possiamo
immaginare che tale vissuto negativo, affinché
la persona possa psichicamente
sopravvivere , debba essere in qualche modo fronteggiato. Questo è forse uno dei
motivi per cui avviene lo spostamento sul corpo ed il suo coinvolgimento.
Gli aspetti psichici, a mio avviso,
clinicamente
più evidenti
nell’esperienza corporea dei DAP sono : lo spostamento del sentimento negativo
di Sé e
della “riparazione”
del Sé con il Sé ideale perfezionistico
dall’area
psichica a quella del corpo, la immagine corporea negativa, la dispercezione dei
segnali di fame-sazietà, la condizione alexetimica.
Lo spostamento del sentimento negativo di Sé sul corpo costituisce il
meccanismo di difesa con cui il Sé fragile cerca di rappresentarsi il sentimento
negativo di sè deviandolo in auto-percezione dell’immagine fisica, in immagine
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corporea negativa. Il Sé inadeguato diventa un corpo inadeguato, brutto, “ grasso”,
il ” vuoto” psichico un “vuoto” fisico etc.,…e in tal modo il confronto con una
problematica fisica sembra più affrontabile, ; il nemico è il grasso; la soluzione
magica allora diventa la ricerca di un corpo ideale magro; il perfezionismo diventa
la correzione del “sé imperfetto”. Il vuoto divenuto vuoto fisico viene colmato con
quantità
non controllate di cibo; quando i meccanismi di compenso ( vomito
etc.,… ) vengono a mancare,
il corpo aumenta di peso ed il grasso viene a
rappresentare il Sé “mostruoso”.
L’immagine corporea negativa è dunque l’immagine mentale del corpo che i
pazienti con DAP percepiscono “negativa” . I fantasmi interni determinano
percezioni abnormi (dispercezioni) del corpo di vario genere: dal sentirsi grassi a
rappresentazioni di difetti in altre aree del corpo, per es. pancia, cosce, gambe,
etc.,…: la ipo- o la iper-alimentazione dovranno appunto tentare di riparare o
attaccare questo corpo negativo. Ma essendo l’obiettivo una corpo ideale non verrà
mai raggiunto. Le anoressiche si vedranno sempre grasse anche in condizioni di
massima restrizione e le obese penseranno di contenere una sé stessa magra a
qualunque peso arrivino.
La dispercezione dei segnali di fame-sazietà si insedia molto precocemente
all’interno di una relazione patologica di accudimento in cui viene impedito lo
sviluppo fisiologico del ritmo fame-sazietà in quanto il cibo viene utilizzato
dall’accudente( spesso la madre) per regolare proprie stati emotivi e fantasie ed in
tal modo viene “esportato” nel figlio un modello di alimentazione funzionale ad
esigenze di controllo delle “emozioni” e viene strutturato una inibizione del
collegamento fisiologico tra alimentazione/ digiuno e fame/sazietà .
La condizione alexetimica30, la mancata lettura delle emozioni, si struttura
all’interno dello stesso quadro di accudimento sfavorevole all’ individuazione;
un
Sé confuso su di Sé sarà anche confuso sulle proprie emozioni. Le emozioni per un
30
Dal greco, incapacità di “leggere” le proprie emozioni.
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Sé fragile e con scarsa autostima sono fonti di angoscia persecutorie e pertanto
tendono a rimanere indistinte e “non-lette” nella area delle percezioni corporea.
Conclusioni
I DAP sono disturbi del Sé in cui la lotta per la sopravvivenza psichica, per
il senso di identità, per l’autostima, per l’ideale di Sé,
avviene nel
corpo,
attraverso l’alimentazione, con una relazione nei confronti del cibo, significativa
nel senso che in essa sono “travasati”, con tutte le loro ambivalenze, gli affetti del
mondo interpersonale da cui ci si è ritirati.
La terapia analitica, in un contesto di intervento interdisciplinare integrato (
in un “team” costituito da medici nutrizionisti, dietisti, psichiatri, etc…) ha il
compito di riconoscere questa lotta e la sua dignità e liberare il Sé nascosto nel
corpo sofferente e nel disturbo alimentare e di riavviare un
processo di
individuazione attraverso un lungo e doloroso passaggio dai fantasmi corporei alle
rappresentazioni psichiche.
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