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Se la ragione è un ferrovecchio
di Marco Lodoli
Ragione e cuore: l’equilibrio tra questi due motori della nostra esistenza è sempre difficile,
basta poco a inaridirsi nell’astrattezza del pensiero o farsi travolgere dall’emotività. E la
mia impressione è che in questo periodo storico i sentimenti abbiano scalzato brutalmente
ogni riflessione, ogni modesto tentativo di mettere ordine nel tumulto del cuore. In classe
ieri - a fine ora, sia ben chiaro - si chiacchierava di musica, di quali adesso siano i cantanti
e i gruppi preferiti. Francesca mi ha confessato di stravedere per i Negramaro, e non è la
sola, ovviamente, il complesso salentino va per la maggiore, fa il pien o in ogni concerto e
piazza le sue canzonette d’amore in cima alle classifiche. Francesca ama da pazzi il
cantante pelatino e scatenato, ricorda a memoria ogni sua intervista tele visiva: in una aveva
sintetizzato la filosofia del gruppo battendosi energicamente il petto e gridando tra g li
applausi convinti della folla “conta solo il cuore, la testa a casa!” Avevo visto anch’io
quella dichiarazione d’intenti, mi aveva agghiacciato.
Certo, i sentimenti sono alla base di ogni espressione artistica, grande o piccola che sia,
Pascal ci ha spiegato l’importanza decisiva delle ragioni del cuore nel proces so di
conoscenza, il Romanticismo ha trovato nel sentimento il punto di contatto tra il finito e
l’infinito. La Tamaro ha conquistato milioni di lettori esortandoli ad andare dove li porta il
cuore: però bisogna stare attenti a non liquidare il pensiero razionale come un ferrovecchio
del tutto arrugginito. La scuola per decenni ha insegnato il valore del la ratio, del logos,
delle regole grammaticali, della metrica, del canone, della misura, dello sparti to, ha
ricordato a milioni di studenti che già nel mondo greco il sentimento della ubrys,
dell’eccesso, della smisuratezza era condannato dagli dèi in quanto portatore di rovina.
Come un’onda il sentimento incalza, preme, sale, ma la ragione deve alzare le sue dighe,
scavare canali, dirigere quella spinta per farla diventare utile e vantaggiosa per i campi
scoscesi della vita: altrimenti è solo frenesia che inonda e distrugge. Il bene è un prodotto
dell’intelletto, sostenevano Socrate e i professori, il risultato di una riflessione su di sé e
sul mondo. E ogni artista sa che il primo verso viene dal cuore, ma poi serve un lungo
lavoro per dare forma a quell’emozione. Tutto questo oggi è dimenticato, peggio ancora:
disprezzato. Qualsiasi richiamo alla ragionevolezza viene considerato dai più giovani come
un divieto da schifare e da abbattere. Il cuore comanda su ogni scelta, il cuore detta legge,
va ascoltato e seguito senza alcuna esitazione, il sentimento è il sovrano assoluto. Eppure
bisognerebbe ridare dignità al pensiero e mettere in guardia i ragazzi dalle carognate che il
cuore può produrre. Chi uccide la fidanzata o la moglie per gelosia o brama di possesso
obbedisce al cuore. Il serbo che sparava al croato vicino di casa seguiva la voce dissennata
del cuore. I tutsi che ammazzavano gli hutu a colpi di machete ascoltavano il consiglio del
cuore. E i ragazzi che si buttano via in una notte decerebrata corrono dietro agli ordini del
cuore. I sentimenti sono amplissimi: si ama e si odia, si combatte contro il male e lo si
serve, si è generosi e prepotenti, disponibili e feroci, aperti e razzisti, fedeli e traditori,
costruttori e distruttori.
Il cuore è neutro, permette e garantisce ogni azione, nobile o infame. E oggi spadroneggia
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senza più avversari, perché la razionalità è ormai sinonimo di meschinità, mediocrità,
repressione degli istinti vitali. La razionalità invitava alla prudenza - “prudenza nun
pregiudica” dicevano i vecchi romani - a soppesare, valutare, discernere, ci chiedeva di
comprendere a fondo le situazioni, ci ricordava che la vita è difficile, a volte pericolosa,
che bisogna sempre trovare il punto di equilibrio tra i propri istinti e il bene pubblico. Ma
oggi deve “andarsene a casa”, lasciare libero il campo alla veemenza acefala del cuore. E
così il sentimento senza ostacoli finisce per abbattersi, l’euforia si capovolge in
depressione, lo slancio cieco sbatte contro il muro dell ’esistenza e subito cade sconfitto.
Forse è giunto il momento di riprendere a ragionare, prima che il cuore giovane della
nazione ceda per un collasso irrimediabile, schiantato dalla propria smania indistinta.
Tratto da “Repubblica” - articolo del 27-12-2007