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Multidisciplinary Respiratory Medicine
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Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
march
1
2007
Polverino F, Santoriello C, De Sio V, Musella V, De Rosa C, Cicchitto G, De Blasio F,
Andò F, Polverino M
Recumbent hypoxemia ("clinodeoxia") in cirrhosis:
relationship with age-related trends of alveolar ventilation
and right-to-left shunting
Ipossiemia in clinostatismo ("clinodeoxia") nella cirrosi:
rapporti con le modificazioni della ventilazione alveolare legate
all'età e con lo shunt destro-sinistro
Pastorino U, Calabrò E
Progetto MILD: prevenzione e diagnosi precoce del tumore polmonare
The MILD project: prevention and early diagnosis of lung cancer
Van Schil PE, Sardari Nia P, Hendriks JM, Lauwers P
Early and medium-term follow-up after lung cancer resection
Follow-up a breve e medio termine dopo resezione di tumore polmonare
Moeller A, Kolb M
Gene therapy for cystic fibrosis
Terapia genetica della fibrosi cistica
anno 2 - n. 1 - Reg.Trib. Novara n.120 del 11/11/2005
ISSN 1828-695X
Multidisciplinary Respiratory Medicine
1/ march 2007
no.
MULTIDISCIPLINARY RESPIRATORY MEDICINE
Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
Multidisciplinary
Respiratory
Medicine
Multidisciplinary Respiratory Medicine (MRM) è la rivista scientifica trimestrale di AIMAR
(Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie), pubblicata da Novamedia s.r.l.
La rivista pubblica, in lingua italiana e inglese, articoli originali, nuovi approcci metodologici, review, opinioni, editoriali, stati dell'arte, documenti di consenso e atti di congresso di
pertinenza alla Medicina Respiratoria.
Novamedia s.r.l. detiene i diritti di autore degli articoli pubblicati.
Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l'autorizzazione dell'Editore.
Registrazione presso il Tribunale di Novara n. 120/05 dell'11/11/05.
Direttore Responsabile: Claudio M. Sanguinetti, Roma.
Finito di stampare nel mese di aprile 2007.
Stampa: RG Centro Stampa, Assago (MI). www.rgcentrostampa.it
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presso cui è disponibile a richiesta elenco dei responsabili.
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MULTIDISCIPLINARY RESPIRATORY MEDICINE
OFFICIAL SCIENTIFIC JOURNAL OF AIMAR
An Italian scientific journal of AIMAR dedicated to the advancement of knowledge in all
fields of respiratory medicine.
MRM publishes - in Italian and English - original articles, new methodological
approaches, reviews, points of view, editorials, states of the art, position papers and
congress proceedings.
Editors
Fernando De Benedetto, Chieti
Claudio F. Donner, Borgomanero (NO)
Claudio M. Sanguinetti, Roma
Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
Multidisciplinary
Respiratory
Medicine
Managing Editor
Gianfranco Sevieri, Viareggio (LU)
Editorial Office Manager
Stefano Nardini, Vittorio Veneto (TV)
Editorial Board
Mario Polverino, Cava de’ Tirreni (SA) - Coordinator
Sabina Antoniu, Iasi, Romania
Alberto Braghiroli, Veruno (NO)
Mauro Carone, Veruno (NO)
Lucio Casali, Terni
Mario Cazzola, Roma
Stefano Centanni, Milano
George Cremona, Milano
Filippo De Marinis, Roma
Francesco Ioli, Veruno (NO)
Giovanni Paolo Ligia, Cagliari
Rasmi Magadle, Baka El-Garbia, Israel
Riccardo Pela, Ascoli Piceno
Luca Richeldi, Modena
Roberto Torchio, Torino
AIMAR Scientific Committee
Coordinator: Luigi Allegra (MI)
Cardiology: Nazzareno Galié (BO)
Endocrinology: Aldo Pinchera (PI)
Allergology and Environmental Medicine: Renato Corsico (PV)
Epidemiology: Fernando Romano (CH)
Formation and Quality: Maurizio Capelli (BO), Piera Poletti (PD)
Gastroenterology: Gabriele Bianchi Porro (MI), Lucio Capurso (RM)
General Medicine: Claudio Cricelli (FI)
Geriatrics: Emanuele Tupputi (BA), Stefano M. Zuccaro (RM)
Imaging: Alessandro Carriero (NO), Francesco Schiavon (BL)
Immunology: Giuseppe Montrucchio (TO)
Infectivology: Ercole Concia (VR)
Intensive Care: Marco Ranieri (TO)
Internal Medicine: Roberto Corinaldesi (BO)
Microbiology: Giancarlo Schito (GE)
Neurology: Luigi Ferini Strambi (MI)
Occupational Medicine: Plinio Carta (CA), Giacomo Muzi (PG)
Oncology: Filippo De Marinis (RM), Cesare Gridelli (AV)
Otolaryngology: Michele De Benedetto (LE), Desiderio Passali (SI)
Pediatrics: Angelo Barbato (PD), Fernando M. De Benedictis (AN)
Pharmacology: Ilario Viano (VC)
Pneumology: Francesco Blasi (MI), Lucio Casali (TR), Mario Cazzola (RM), Giuseppe U. Di
Maria (CT), Giuseppe Girbino (ME), Carlo Grassi (MI), Dario Olivieri (PR), Pier Luigi
Paggiaro (PI), Paolo Palange (RM), Riccardo Pela (AP), Mario Polverino (Cava de’ Tirreni, SA),
Luigi Portalone (RM).
Relationships with Patients’ Organizations: Mariadelaide Franchi (RM)
Thoracic Surgery: Francesco Sartori (PD)
Editorial Office
NOVAMEDIA s.r.l.
Via Monsignor Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO)
Tel +39 0322 846549 – Fax +39 0322 869737
Elena Spadari - Manager
[email protected]
Manuela Paolini
[email protected]
Editorial Supervision
Rosemary Allpress, Alberto Braghiroli
[email protected]
Marketing & Advertising
Effetti s.r.l.
Raffaele Romeo
Via Gallarate 106, 20154 Milano
Tel +39 02 33432824 – Fax +39 02 38002105
[email protected]
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Trattamento eziologico dell'asma bronchiale: passato, presente e futuro
Etiological treatment of bronchial asthma: past, present and future
7
Claudio F. Donner
Parametri surrogati da utilizzare negli studi sulla BPCO
Adequate surrogate parameters in COPD studies
10
Mario Cazzola
La BPCO, la medicina respiratoria e i cambiamenti in corso
nell'assistenza sanitaria
COPD, respiratory medicine and the changes underway in medical care
INDICE / INDEX
Editoriali / Editorials
13
Fernando De Benedetto, Claudio F. Donner, Stefano Nardini, Claudio M. Sanguinetti
Il Progetto MILD e la prevenzione primaria e secondaria del cancro
del polmone
The MILD project and primary and secondary prevention of lung cancer
in Italy
16
Francesco Schiavon, Marco Colella, Roberto Cappelli, Stefano Nardini
Documento ufficiale / Official statement
Schiarire l'aria: uno studio nazionale sulla broncopneumopatia
cronica ostruttiva
Clearing the air: a national study of chronic obstructive pulmonary disease
19
UK Commission for Healthcare Audit and Inspection
Commento al Documento / Comment on Statement
Commento delle associazioni dei pazienti in Italia: il punto di vista
dell'Associazione Pazienti Italiana BPCO
Comment from patients associations in Italy: point of view of the Italian COPD
Patients Association
23
Mariadelaide Franchi
Commento delle associazioni dei pazienti in Italia: il punto di vista
dell'Associazione per la Lotta contro l'Insufficienza Respiratoria (ALIR)
Comment from patients associations in Italy: point of view of ALIR
(Respiratory Failure Association)
24
Alda Bernardi Pesce
Interview / Intervista
Interview with Antonio Anzueto
How management of COPD may change in the near future
Un'intervista ad Antonio Anzueto
Come la gestione della BPCO potrebbe cambiare nel prossimo futuro
26
Stefano Nardini
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Original Article / Articolo Originale
Recumbent hypoxemia (“clinodeoxia”) in cirrhosis: relationship with
age-related trends of alveolar ventilation and right-to-left shunting
Ipossiemia in clinostatismo (“clinodeoxia”) nella cirrosi: rapporti con le
modificazioni della ventilazione alveolare legate all'età e con lo shunt
destro-sinistro
28
Francesca Polverino, Carlo Santoriello, Vittorio De Sio, Valentina Musella, Concetta De Rosa,
Gaetano Cicchitto, Francesco De Blasio, Filippo Andò, Mario Polverino
Rassegna / Review
Scarsa aderenza al trattamento e mancato controllo dell'asma
Uncontrolled asthma and poor treatment compliance
37
Roberto Walter Dal Negro
Identificazione di nuovi outcome per la BPCO
Defining new outcomes for COPD
46
Claudio F. Donner, Claudio M. Sanguinetti
Progetto MILD: prevenzione e diagnosi precoce del tumore polmonare
The MILD project: prevention and early diagnosis of lung cancer
52
Ugo Pastorino, Elisa Calabrò
Una “pallottola magica” per la terapia dell'asma allergico
A “magic bullet” for the treatment of allergic asthma
58
Francesco Tarantini, Ilaria Baiardini, Giovanni Passalacqua, Fulvio Braido, Giorgio Walter Canonica
Case Report / Caso Clinico
Early and medium-term follow-up after lung cancer resection
Follow-up a breve e medio termine dopo resezione di tumore polmonare
65
Paul E. Van Schil, Peyman Sardari Nia, Jeroen M. Hendriks, Patrick Lauwers
Multidisciplinary Focus On:
Therapeutic issues in cystic fibrosis
Old and new therapeutic approaches in cystic fibrosis: pulmonary
or systemic targeting?
Vecchio e nuovo nell'approccio terapeutico alla fibrosi cistica:
focalizzare l'intervento a livello polmonare o sistemico?
70
Sabina A. Antoniu, Claudio F. Donner
Gene therapy for cystic fibrosis
Terapia genetica della fibrosi cistica
72
Antje Moeller, Martin Kolb
Managing inflammation in cystic fibrosis
La gestione dell'infiammazione nella fibrosi cistica
78
Vincenzina Lucidi
Management of extra-pulmonary manifestations of cystic fibrosis
Gestione delle manifestazioni extra-polmonari della fibrosi cistica
Giovanni Taccetti, Filippo Festini
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Il trapianto polmonare nella fibrosi cistica
88
Sarosh Irani, Markus Hofer, Annette Boehler
La terapia inalatoria nella fibrosi cistica
Inhaled therapy in cystic fibrosis
93
Cesare Braggion, Riccardo Giuntini, Maria Chiara Cavicchi
Proceedings di Ravello
Introduzione
Introduction
98
INDICE / INDEX
Lung transplantation for cystic fibrosis
Mario Polverino, Giuseppe Fiorenzano
Expiratory airflow limitation and physical exercise
Limitazione al flusso espiratorio ed esercizio fisico
100
Paolo Parola, Barbara Franzoso, Giuseppe Coletta, Valter Gallo, Riccardo Pellegrino
Tolleranza all'esercizio dopo trapianto cardiaco
Exercise tolerance in heart transplant recipients
104
Claudio Marconi
Scompenso cardiaco cronico ed alta quota
Chronic heart failure and high altitude
108
Piergiuseppe Agostoni
Problematiche cardiorespiratorie negli sport equestri
Cardiorespiratory issues in equestrian sport
111
Maurizio Dottorini
Interdisciplinary Pages
Agenesia arteria polmonare: valutazione angio-scintigrafica
e funzionale
Pulmonary artery agenesis: morphologic and functional assessment
115
Carlo Santoriello, Francesca Polverino, Giuseppe Fiorenzano, Mario Polverino
RUBRICHE
Spotlight on Pathophysiology
From Doctor to Patient
La protezione dal fumo passivo: intervista a Roberto Boffi,
pneumologo e responsabile dell'Unità per la Prevenzione dei Danni
da Fumo dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano
118
Stefano Nardini
Meeting Calendar
121
Stefano Nardini
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Certificazione ISO 9001-2000
N. IT-37575
Associazione Scientifica
Interdisciplinare per lo Studio
delle Malattie Respiratorie
Modulo di Iscrizione
da inviare alla segreteria
* campi obbligatori
Nome:* ________________________________________________________________________
Cognome:* _____________________________________________________________________
Specialità:* _____________________________________________________________________
Ente: ___________________________________________________________________________
Indirizzo:* ________________________________________________________ N. __________
Città:* _____________________________________ CAP:* ___________ Provincia:* ______
Regione:* __________________________________ Stato:* ____________________________
Tel. privato: _____________________________ Tel. Ente: _____________________________
Tel. mobile: _____________________________ Fax: __________________________________
e-mail:* _________________________________________________________________________
La quota per l’anno 2007 è:
t 50.00 per pneumologi
t 20.00 per non pneumologi
Modalità di pagamento - barrare l’opzione desiderata:
contanti
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Banca ____________________________________________
Estremi per Bonifico Bancario:
Banca d'appoggio:
Banca Popolare Commercio e Industria - Filiale di Borgomanero (NO)
ABI 05048
CAB 45220
C/C 000000010006
Intestato a: Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie (AIMAR)
Autorizzo l’invio di newsletter periodiche
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Data: _______________
Collegandosi al sito internet dell’Associazione (www.aimarnet.it), i Soci AIMAR potranno richiedere l’attivazione
di una propria casella di posta elettronica, nonché accedere gratuitamente a tutti i servizi offerti.
Segreteria: Via Monsignor Cavigioli, 10 - 28021 Borgomanero (NO)
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Fax +39 0322 869737
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Informativa art. 13, d. lgs 196/2003
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Editoriale / Editorial
Trattamento eziologico dell'asma bronchiale:
passato, presente e futuro
Etiological treatment of bronchial asthma:
past, present and future
Claudio F. Donner
Mondo Medico, Centro Medico Polispecialistico e Riabilitativo, Borgomanero (NO) Italia
L'asma bronchiale è una malattia cronica delle vie
aeree che rappresenta un grave problema di salute
pubblica in tutti i Paesi del mondo. Se i sintomi non
sono adeguatamente tenuti sotto controllo può limitare in modo considerevole la vita dei pazienti
dal punto di vista fisico, emotivo e sociale. Infatti
pazienti con asma grave non controllato lamentano
sintomi asmatici variabili e continui e frequenti sintomi notturni, subiscono la limitazione delle comuni attività quotidiane e vanno incontro a riacutizzazioni gravi nonostante il trattamento.
Nell'asma grave persistente l'obiettivo del trattamento è ottenere i migliori risultati possibili in termini di riduzione dei sintomi, di miglioramento
della funzionalità respiratoria e del consumo al bisogno di β2-agonisti a rapida insorgenza d'azione.
Gli schemi terapeutici descritti dalle linee guida
BTS (British Thoracic Society), NHI (National
Institute of Health) e dal documento GINA (Global
Iniziative for Asthma) concordano nel prevedere la
somministrazione quotidiana di più farmaci antiasmatici: innanzitutto corticosteroidi per via inalatoria ad alte dosi (> 1000 mcg/die di beclometasone
dipropionato o equivalenti) e β2-agonisti a lunga
durata d'azione per via inalatoria, ai quali possono
essere aggiunti antileucotrieni, teofillina a lento rilascio, o β2-agonisti per via orale.
A volte, in assenza di valide alternative, vengono
prescritti anche broncodilatatori non specifici per la
terapia dell'asma bronchiale (es: tiotropio bromuro). Se necessario, si può ricorrere al trattamento a
lungo termine con steroidi per via orale, anche se
questi vanno usati alla minima dose possibile per ri-
durre gli effetti collaterali sistemici. La complessità
di uno schema terapeutico che prevede più farmaci da assumere quotidianamente rappresenta però
spesso per il paziente un fattore deterrente che rende più difficile mantenere l'asma sotto controllo.
È evidente pertanto la necessità di alternative terapeutiche che permettano di raggiungere un controllo adeguato dell'asma anche in questi pazienti, riducendo i rischi di morbilità e mortalità associati e
i relativi costi sanitari.
Negli ultimi anni è stata fatta luce sul substrato patogenetico infiammatorio che caratterizza la risposta allergica delle vie aeree agli agenti sensibilizzanti e sono state isolate numerose molecole che
governano le interazioni tra le cellule stanziali e
quelle che, come ad esempio gli eosinofili, accorrono nelle mucose delle vie aeree provenendo dal
torrente ematico, attratte, in corso di flogosi allergica, da stimoli chemiotattici.
L'importanza delle IgE nel substrato eziopatogenetico dell'asma allergico grave ha focalizzato l'interesse dei ricercatori nel cercare un anticorpo che
contrastasse le risposte allergiche IgE-mediate.
Lo sviluppo delle strategie terapeutiche che mirano
ad inattivare IgE, quali gli anticorpi anti-IgE, è un
ovvio approccio nella realizzazione di un trattamento specifico per migliorare l'espressione clinica
di malattie come asma allergico e rinite allergica.
Tuttavia, la traduzione di questo semplice concetto
di base in un farmaco sicuro ed efficace è stata un
viaggio estremamente complesso, durato quasi 20
anni, che ha portato però alla sintesi di un farmaco
innovativo: il primo anticorpo monoclonale utile
Claudio F. Donner
Mondo Medico, Centro Medico Polispecialistico e Riabilitativo
Via Monsignor Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO), Italia
email: [email protected]
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nella pratica clinica (dopo che altri anticorpi monoclonali - vedi anti-Interleuchina-5 - non hanno evidenziato i risultati attesi) e, per ora, unico capostipite di una nuova classe terapeutica. In primo luogo, un anticorpo anti-IgE clinicamente utile deve
essere IgE specifico e non legare alcun altra classe
di immunoglobuline.
Tale anticorpo deve poi legare IgE libere, ma non il
recettore legato all'IgE né le IgE sulle superfici delle cellule: se questo accadesse, con alta probabilità
l'anticorpo anti-IgE causerebbe reazioni allergiche
gravi invece di impedirle. Questi ostacoli sono stati superati sintetizzando un anticorpo attivo verso
un dominio che è unico per le molecole di IgE ed è
“nascosto” quando l'IgE è legata ai recettori sulla
superficie delle cellule.
Il terzo ostacolo era costituito dal potenziale antigenico degli anticorpi non umani: un anticorpo IgE
clinicamente utile non deve indurre la produzione
endogena di anticorpi anti-anti-IgE. Infine, né l'anticorpo dell'anti-IgE, né i complessi immuni IgE/anti-IgE devono potere fissare ed attivare la cascata
del complemento.
Tali ostacoli sono stati sormontati tramite un processo lento e scrupoloso di “umanizzazione” dell'anticorpo monoclonale murino originale, cioè
una sostituzione progressiva della sequenza murina
con la sequenza umana. La variante che finalmente è stata selezionata è solo per circa il 5% murina
e per il restante 95% umana ed ora è conosciuta
come omalizumab [1]. Questa è la venticinquesima
variante studiata ed è stata precedentemente denominata rhuMAb-E25.
Lo sviluppo farmaceutico e la selezione della via di
somministrazione hanno rappresentato un'altra
parte del tortuoso viaggio. La via di somministrazione tramite inalazione era tecnicamente fattibile, anche se complessa, ma si è dimostrata inefficace.
La via endovenosa si è dimostrata sicura ed efficace durante sviluppo iniziale, ma era un'opzione difficilmente accettabile per i pazienti ed i medici.
Per sviluppo clinico è stata quindi scelta una formulazione iniettiva sottocutanea somministrata una o
due volte un mese: questa formulazione sembra assicurare l'equilibrio migliore fra la riproducibilità
della dose e la facilità d'uso.
Il maggior problema per lo sviluppo del dosaggio è
stato definire il limite di riduzione di IgE libere nel
siero necessario per la risposta clinica, dosaggio e
regime terapeutico di omalizumab richiesto per ottenere tale riduzione.
La minima dose efficace di omalizumab è risultata
di 0,016 mg/kg/(IU/mL) somministrata sottocute
ogni 4 settimane. Le dosi sono state aggiustate in
base al peso corporeo per garantire concentrazioni
sieriche adeguate di omalizumab nella popolazione studiata.
Un ulteriore aggiustamento è stato calibrato in base al carico di antigene IgE basale così da ottenere
una soppressione di IgE congrua che comporta una
risposta clinica soddisfacente. Lo schema di dosaggio individuale è stato modificato per raggruppare i
singoli pazienti in un algoritmo nel quale sia la do-
se che la frequenza di somministrazione vengano
facilmente individuate in base ad un range di peso
e di concentrazioni seriche di IgE, affinché ciascun
paziente riceva almeno la dose minima efficace
proposta.
La dose massima raccomandata è di 375 mg di
omalizumab ogni due settimane [2,3]. In una serie
di studi realizzati in pazienti affetti da asma grave si
è potuto rilevare come una percentuale significativamente superiore di pazienti trattati con omalizumab è stata ritenuta avere raggiunto un marcato miglioramento o un controllo completo dell'asma rispetto ai pazienti trattati con placebo [4-11].
Nei trial clinici, in pazienti adulti ed adolescenti (612 anni) con asma allergico moderato-grave, omalizumab ha dimostrato di ridurre le riacutizzazioni
asmatiche e migliorare il controllo dell'asma, ridurre l'uso di corticosteroidi mantenedo il controllo
dell'asma, migliorare i sintomi asmatici e la funzionalità polmonare, migliorare la qualità di vita dei
pazienti.
Anche in numerosi studi registrativi effettuati nella
rinite allergica stagionale, omalizumab ha dimostrato di ridurre i maggiori sintomi correlati alla rinite allergica stagionale, ridurre l'uso di farmaci antistaminici, ridurre la perdita di giornate lavorative
o scolastiche e migliorare la qualità della vita dei
pazienti anche durante la stagione pollinica [12].
Omalizumab è risultato sicuro e ben tollerato in pazienti con asma allergico o rinite allergica stagionale di età compresa tra 12 e 79 anni; in particolare
non è risultato associato ad un aumento di incidenza di eventi avversi clinicamente significativi, né è
stato osservato alcun sintomo o segno di tossicità
nei confronti di organi o apparati.
Rispetto al placebo non si è osservato un aumento
del rischio di reazioni da ipersensibilità quali reazione da immunocomplessi, infestazioni parassitarie o infezioni. La frequenza globale di orticaria è
risultata simile nei pazienti trattati con omalizumab
e con placebo.
L'effetto collaterale più frequente registrato durante
gli studi controllati è stata l'epistassi, anche se con
percentuali sovrapponibili nei pazienti trattati con
farmaco e con placebo. Le reazioni avverse più comunemente segnalate sono state: reazioni nel sito
di iniezione, comprendenti dolore, gonfiore, eritema e prurito, e cefalea.
La maggior parte delle reazioni è stata di lieve o
moderata gravità.
Come con ogni proteina, possono verificarsi reazioni allergiche locali o sistemiche, compresa anafilassi. Negli studi clinici, in rare occasioni, sono state
rilevate reazioni allergiche di tipo anafilattico, con
una incidenza estremamente ridotta, pari a circa lo
0,1% dei pazienti.
È necessario tener presente che l'incidenza delle
reazioni di questo tipo rilevate con altri anticorpi
monoclonali in commercio per il trattamento di altre patologie è compresa tra l'1 e il 3%. In questo
specifico ambito l'immunoterapia allergene-specifica costituisce, a tutt'oggi, un ben documentato trattamento nell'asma bronchiale e nella rinite allergi-
MRM 01-2007_def
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Pagina 9
nali e perenni?), l'efficacia terapeutica intesa come
entità del miglioramento della sintomatologia in
rapporto all'immunoterapia iniettiva anche in una
patologia meno impegnativa rispetto all'asma allergico grave, la durata degli effetti dopo l'interruzione del trattamento,la compliance reale nel trattamento domiciliare.
È possibile a questo punto affermare che il trattamento dell'asma allergico grave non controllato
con anticorpi monoclonali anti-IgE ha posto in evidenza caratteristiche di efficacia, di sicurezza e di
tollerabilità nettamente superiori a tutti i trattamenti immunoterapici sviluppati in precedenza. In particolare, in pazienti adulti ed adolescenti (> 12 anni) con asma allergico moderato-grave, ha dimostrato di ridurre le riacutizzazioni asmatiche e migliorare il controllo dell'asma, ridurre l'uso di corticosteroidi mantenendo il controllo dell'asma, migliorare i sintomi asmatici e la funzionalità polmonare e migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Tutto ciò con livelli di sicurezza e di tollerabilità assolutamente elevati e nettamente più favorevoli in
rapporto a trattamenti consolidati di tipo immmunoterapico, che presentano livelli di efficacia certamente inferiori.
CF Donner
Editoriale - Editorial
ca. Gli aspetti negativi correlati alla via iniettiva sono tradizionalmente rappresentati dal rischio di effetti collaterali sistemici (specie nella fase di induzione) e dal tempo necessario per raggiungere la
dose di mantenimento. Reazioni sistemiche sono
state osservate nel 39,1% [13] e nel 32,8% [14] dei
pazienti, con una percentuale di reazioni anafilattiche inferiore all'1% [13].
La via di somministrazione sublinguale ha negli ultimi anni raccolto notevole interesse nella prospettiva di ridurre significativamente gli effetti collaterali di tipo sistemico.
Una recente review sistematica con meta-analisi
sul trattamento della rinite allergica [15] ha riportato, accanto alla completa assenza di reazioni sistemiche, effetti collaterali locali di tipo minore,
rappresentati da gonfiore e prurito della mucosa
orale, nella quasi totalità dei casi, ma raramente significativi.
La stessa fonte sottolinea come non sia possibile,
sulla base dei dati esistenti, comparare questo trattamento con le altre terapie disponibili ed in particolare con l'immunoterapia iniettiva ed evidenzia
tutta una serie di problemi aperti: la dose ideale, la
durata del trattamento (eguale per allergeni stagio-
Bibliografia
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Editoriale / Editorial
Parametri surrogati da utilizzare negli studi
sulla BPCO
Adequate surrogate parameters in COPD studies
Mario Cazzola
Unità di Malattie Respiratorie, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Roma “Tor Vergata”, Roma
Il termine broncopneumopatia cronica ostruttiva
(BPCO), una condizione patologica caratterizzata
dalla presenza di una limitazione del flusso aereo
parzialmente reversibile, è usato comunemente per
indicare entità differenti quali la bronchite cronica,
l'enfisema e l'asma irreversibile grave, che hanno
marker ed outcome distinti. Questo è il motivo per
il quale molti ricercatori hanno ancora una certa
difficoltà nel comprendere quello che realmente
costituisce una risposta ad un intervento farmacologico nella BPCO, difficoltà amplificata dal fatto che
la BPCO è una malattia a più componenti che induce a livello polmonare ipersecrezione mucosa, restringimento delle vie aeree e perdita degli alveoli,
a livello sistemico perdita della massa corporea magra ed effetti cardiovascolari. I pazienti con BPCO
sono anche diversi per quanto attiene la presentazione clinica, la gravità e la velocità di progressione della malattia.
I classici endpoint usati nei trial clinici su pazienti
con BPCO per definire la progressione della malattia sono la velocità del declino del FEV1 e la mortalità dovuta alla malattia o altre comorbilità.
Il FEV1, il test tradizionale della funzione polmonare, rimane un endpoint primario tanto prezioso da
essere ancora considerato dalle autorità regolatrici
come una misura accettabile di efficacia nei trial
clinici su pazienti con BPCO, ovviamente in combinazione con endpoint basati sui sintomi. Tuttavia,
è ben noto che il grado di ostruzione bronchiale,
così com'è misurato mediante il FEV1, non correla
necessariamente con gli outcome clinici riferiti dal
paziente, quali, ad esempio, lo stato di salute, la dispnea o la capacità di eseguire un esercizio fisico.
Ciò avviene perché anche altri fattori fisiopatologici (ad esempio, l'iperinflazione dinamica dei polmoni) e psicologici (ad esempio, un'ansia coesi-
stente) condizionano tali outcome. Questo è il motivo per il quale i cambiamenti del FEV1 con la terapia non dovrebbero essere considerati come un
sostituto delle modifiche degli outcome clinici i
quali, invece, dovrebbero essere misurati separatamente ad integrazione degli altri marker del danno
fisiologico.
A proposito del danno fisiologico, si deve sempre
considerare che nella BPCO da moderata a grave,
l'ostruzione bronchiale è associata di solito con
l'intrappolamento dei gas e con l'iperinflazione
polmonare, quantificati obiettivamente attraverso
un aumento del volume residuo. L'iperinflazione si
riflette anche con una riduzione della capacità inspiratoria (IC). Queste anormalità fisiologiche si traducono in dispnea, intolleranza all'esercizio fisico
e inabilità del paziente. Di conseguenza, le strategie che diminuiscono l'iperinflazione dovrebbero
migliorare i summenzionati parametri.
Relativamente agli outcome riferiti dai pazienti, la
dispnea e lo stato di salute sono considerati importanti per caratterizzare la risposta al trattamento. La
dispnea, un fondamentale e debilitante sintomo di
BPCO, è ora considerata un outcome importantissimo per la sua relazione diretta con la qualità della
vita del paziente e la sua capacità di predire la sopravvivenza. Gli strumenti usati per misurare la dispnea dovrebbero basarsi sugli outcome riportati
dal paziente, essere, quando ciò è possibile, multidimensionali, aderire ad una metodologia standardizzata e, idealmente, essere computerizzati, mentre le misurazioni dello stato di salute dovrebbero
essere eseguite usando questionari specificamente
disegnati, anche se è noto che la percezione della
qualità della vita differisce fra individui con anormalità fisiologiche obiettive altrimenti simili. La misura contemporanea delle due dimensioni, obietti-
Mario Cazzola
Dipartimento di Medicina Interna, Università di Roma “Tor Vergata”
Via Montpellier 1, 00133 Roma, Italia
email: [email protected]
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terminazione negli studi che valutano la mortalità
come outcome richiede la corretta identificazione
della causa di morte.
Poiché le riacutizzazioni aumentano il rischio di
morte nei pazienti con BPCO e si associano con un
rapido declino della funzione polmonare e dello
stato di salute, la loro frequenza è un altro outcome
importante che dovrebbe essere considerato nei
trial farmacologici della BPCO. Il tipo di definizione usata per la riacutizzazione può influenzare significativamente gli outcome del trial al punto tale
che qualsiasi beneficio del trattamento osservabile
può variare grandemente. Una definizione generale come “una riacutizzazione della BPCO è un aumento dei sintomi respiratori rispetto alla condizione basale che richiede di solito l'intervento medico”
può essere appropriata. Tuttavia, ciascuna riacutizzazione dovrebbe essere comunque classificata secondo una scala di gravità: lieve: un aumento dei
sintomi respiratori controllati dal paziente con un
aumento del trattamento abituale; moderata: quella
che richiede un trattamento con steroidi sistemici
e/o antibiotici; grave: le riacutizzazioni che richiedono l'ospedalizzazione o un accesso al Pronto
Soccorso. È ben noto, in ogni caso, che la metodologia relativa all'uso di una scala di gravità per le
riacutizzazioni come variabile non è stata ancora
standardizzata. Infatti, i criteri per l'ammissione in
ospedale possono differire da paese a paese e nei
diversi ospedali. Inoltre, l'uso degli steroidi sistemici e/o degli antibiotici per le riacutizzazioni differisce in aree diverse.
Sfortunatamente, al momento, non è stato identificato alcun marker surrogato della BPCO o delle sue
riacutizzazioni, tranne il FEV1. Molte cellule, diversi mediatori e una moltitudine di enzimi infiammatori sono coinvolti nel processo patologico, ma la
loro importanza relativa è ancora poco compresa,
sebbene noi attualmente sappiamo che i marker infiammatori, inclusi la PCR e le molecole di adesione solubili, sono elevati nel circolo sistemico dei
pazienti con BPCO e potrebbero rappresentare il
“collegamento mancante” tra la disfunzione delle
vie aeree e le manifestazioni extrapolmonari della
BPCO. Di conseguenza, si dovrebbero fare considerazioni sulla necessità di inclusione di potenziali
marker surrogati come endpoint secondari nei futuri trial clinici. Ciò può condurre all'identificazione
dei marker biologici che correlano con l'outcome
clinico. La produzione di tali dati risulterebbe di
aiuto anche nello sviluppo di nuove ipotesi per i futuri trial clinici.
Infine, si deve evidenziare che la minima differenza clinicamente importante (MDCI), cioè la più piccola differenza del punteggio nel dominio di interesse che i pazienti percepiscono come benefica e
che consente, in assenza di effetti collaterali fastidiosi e di costi eccessivi, una modifica nella gestione del paziente, è un importante concetto che sta
emergendo e che si aggiunge alla differenza statisticamente significativa. La MDCI delle varie misure
che sono usate negli studi sugli outcome della BPCO
deve essere validata su popolazioni con BPCO,
M Cazzola
Editoriale - Editorial
va e soggettiva, finisce così per divenire complementare: è nota infatti la possibilità di un miglioramento dello stato di salute riferito da pazienti con
BPCO anche dopo un trattamento regolare con placebo e il più diffuso questionario per la qualità di
vita specifico per la BPCO, il St George's
Respiratory Questionnaire, è sostanzialmente capace di differenziare fra condizione di salute e presenza di BPCO, ma non è un vero indicatore graduale
di gravità della malattia che corrisponda al livello di
ostruzione delle vie aeree.
La tolleranza all'esercizio fisico è un altro outcome
clinico importante che dovrebbe essere misurato
negli studi farmacologici sulla BPCO. È alterata in
maniera significativa in molti pazienti con BPCO ed
è un importante determinante della qualità della vita che non può essere predetto dalle misure della
funzione polmonare a riposo (ad esempio, dal
FEV1). Il test dell'esercizio è utile in ambiente clinico per valutare il grado del danno, la prognosi e gli
effetti degli interventi terapeutici. I test in piano, come il relativamente semplice test del cammino per
6 minuti, sono stati usati ampiamente nei trial per
valutare i possibili benefici della terapia farmacologica. Consente di registrare, oltre alla distanza percorsa, l'intensità della dispnea (e a volte la fatica
delle gambe), la frequenza cardiaca e la saturazione arteriosa dell'ossigeno all'inizio e alla fine dell'esercizio.
Le ragioni appena menzionate giustificano il perché
i trial in pazienti affetti da BPCO devono includere
non solo il FEV1 ma anche altri parametri di funzionalità respiratoria: ad esempio la capacità vitale forzata (FVC) e la IC, oltre a misure della dispnea, dello stato funzionale e di quello della salute, della tolleranza dell'esercizio fisico, e della sensazione di
mancanza di fiato dopo l'esercizio.
Un approccio più pratico potrebbe essere l'uso di
uno strumento multidimensionale come l'indice
BODE, una scala a 10 punti che combina le misure dell'indice di massa corporea o BMI (B), il grado
dell'ostruzione bronchiale (O) e della dispnea (D) e
la capacità di compiere un esercizio fisico (E) in
un'unica misura, in modo da includere gli effetti
polmonari e quelli sistemici della BPCO. Un altro
approccio può essere il considerare varie combinazioni di outcome della BPCO e determinarne le associazioni usando l'analisi di alcuni componenti
principali (ACP). Comunque applicabilità e affidabilità dell'indice BODE e dei metodi ACP nei trial
farmacologici sono ancora da confermare.
La mortalità rimane l'outcome clinico più importante e robusto nella ricerca incentrata su pazienti
con BPCO ed è ben noto che diverse variabili, differenti dal semplice grado di ostruzione bronchiale,
come, ad esempio, un più alto punteggio della dispnea, un più alto punteggio dell'indice BODE, un
basso indice di massa corporea isolato, frequenti
riacutizzazioni/ospedalizzazioni, una ridotta capacità/tolleranza all'esercizio fisico, il cuore polmonare, i tassi ematici di proteina C reattiva (PCR),
predicono la mortalità nei pazienti con BPCO in
maniera indipendente. Ovviamente, l'accurata de-
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proporzionata alla gravità e omogeneità della popolazione in cui viene determinata e prima di una
possibile applicazione universale valutata rigorosamente con l'accordo generale. Relativamente ad alcune misure di outcome comunemente usate, le
MDCI suggerite sono: 100-140 ml per il FEV1, 10
watt per i test da sforzo massimali, e così via.
Comunque, i valori delle MDCI rappresentano solo
stime derivate empiricamente, ed è difficile comparare una MDCI con un'altra. Come arrivare ad
un'interpretazione comune di alcuni outcome attraverso le diverse MDCI è un problema che attende
ancora di essere risolto.
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Editoriale / Editorial
La BPCO, la medicina respiratoria e i
cambiamenti in corso nell'assistenza sanitaria
COPD, respiratory medicine and the changes
underway in medical care
Fernando De Benedetto, Claudio F. Donner, Stefano Nardini, Claudio M. Sanguinetti
AIMAR - Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie
"There are currently around three million people
suffering from COPD in this country and 30,000
people each year die because of this disease. Whilst
there are many examples of new and innovative
approaches in COPD care in some areas, best practice is not always followed and there is considerable
variation in COPD services across the country. It is
clear that more needs to be done to ensure that all
patients suffering from this debilitating disease are
given the standards of care they deserve".
Rosie Winterton
Minister of Health Services, UK
Il servizio sanitario nazionale (SSN) che garantisce
l'assistenza a tutti i cittadini è una indiscutibile conquista dello stato moderno ed è contemporaneamente un patrimonio della comunità che va difeso,
in quanto ha garantito finora una costante crescita
della vita media della popolazione insieme con il
benessere del singolo individuo.
Negli ultimi cinquant'anni - a seguito dei progressi
della medicina e dell'organizzazione dello stato sociale - le comunità dei paesi occidentali hanno visto modificarsi radicalmente il quadro delle malattie prevalenti e causa di morte ed è a questo cambiamento che si sta cercando ora - faticosamente di rispondere, riadattando il sistema alla effettiva situazione epidemiologica.
Il singolo medico, le società scientifiche cui egli fa
riferimento e le stesse associazioni di pazienti non
possono disinteressarsi allo sforzo in corso nella
programmazione sanitaria per adattarne l'organizzazione alle nuove necessità di salute. Le società
scientifiche debbono in particolare supportare i cittadini e lo stato in questo sforzo, portando il proprio apporto al dibattito in corso e alle decisioni
che verranno prese in seguito ad esso. Per far questo, non basta che esse conoscano gli ultimi sviluppi della scienza medica ma debbono anche sapere
quali sono le preoccupazioni dei politici e quali le
necessità avvertite dai cittadini.
In ambito respiratorio, a fronte della crescente importanza epidemiologica delle pneumopatie, riconosciuta ormai ufficialmente dai governi sia internazionali (la UE ha di recente compreso le pneumopatie nel programma quadro per la ricerca) sia
nazionali (il piano sanitario nazionale italiano ha
incluso le malattie respiratorie croniche tra le quattro patologie prioritarie) si registra la significativa
assenza di un seppur minimo dibattito.
Nel Regno Unito un tale dibattito è da tempo in corso. Tra gennaio e giugno dello scorso anno il
Ministero della Sanità inglese ha posto all'ordine del
giorno la discussione sull'assistenza delle patologie
croniche invalidanti in generale e della BPCO in
particolare (http://www.dh.gov.uk/PublicationsAnd
Statistics/PressReleases/PressReleasesLibrary/): il punto di arrivo è stato l'annuncio da parte del Ministro
per la Salute Patricia Hewitt nel giugno 2006 che
sarebbe stato sviluppato un nuovo “National
Service Framework (NSF)”, in pratica un programma quadro, per migliorare gli standard di cura per i
pazienti affetti da BPCO (rapporto n° 2006/0241,
pubblicato il 28 giugno 2006), al quale hanno
prontamente e positivamente reagito le associazioni di medici e pazienti di area respiratoria
(http://www.brit-thoracic.org.uk/article47.html).
Date le somiglianze esistenti tra la realtà inglese e
la nostra (quanto meno in termini di organizzazione statale, di dimensione di popolazione e di patologia prevalente) appare utile che gli argomenti oggetto di discussione nel Regno Unito siano portati
Editors, Multidisciplinary Respiratory Medicine
c/o AIMAR Editorial Office
Via M. Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO), Italia
email: [email protected]
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alla conoscenza del mondo medico italiano.
Per questo viene pubblicato in questo numero il sommario esecutivo del documento “Clearing the air” [1]
elaborato dalla Commissione sanità inglese sulla
BPCO che ha dato il via alle azioni del governo inglese sulla malattia (come vedrà chi leggerà il documento, un “National Service Framework” sulla BPCO
era una delle raccomandazioni della Commissione),
mentre il presente editoriale intende sia introdurre tale documento sia dare tutte le informazioni che possono essere necessarie per iniziare un dibattito sull'argomento anche in Italia che coinvolga, oltre ai
medici e ai pazienti, anche le istituzioni.
Il punto di partenza è che le patologie croniche invalidanti (si pensi, oltre alle bronco-pneumopatie
croniche, al tumore dei polmoni e ai tumori in generale, al diabete, alle cardiopatie) sono di gran
lunga prevalenti nella nostra comunità: l'assistenza
all'individuo che ne è affetto costa sempre di più (a
misura che nuove terapie farmacologiche e riabilitative vengono introdotte e aumenta la speranza di
vita) e il numero di persone colpite è destinato ad
aumentare in modo sostanziale con il crescere della età media della popolazione.
Questa constatazione pone in primo piano il problema della sostenibilità della spesa sanitaria: di
fronte al prevalere di malattie croniche e degenerative il ruolo dello stato e l'organizzazione del servizio sanitario nazionale devono cambiare per garantire la finanziabilità del sistema nel medio e lungo
periodo, altrimenti in un futuro non lontano non
sarà più possibile assistere, come si fa oggi, tutti i
malati di malattie croniche degenerative, indipendentemente dal loro reddito e dalla condizione
sociale.
Nel 1800, di fronte al prevalere di malattie infettive
a carattere epidemico (basterà citare il colera, la tubercolosi, la poliomielite), il ruolo dello stato era
fondamentalmente quello di garantire la potabilità
dell'acqua, migliorare lo smaltimento delle acque
fognarie e migliorare in generale le condizioni abitative; nel XX secolo la priorità era prevenire la diffusione di malattie infettive mediante le vaccinazioni. Attualmente, dato che tutte le malattie oggi prevalenti sono legate a stili di vita individualmente
scelti e non a condizioni di vita collettivamente vissute, sul piano strategico lo stato non dovrà più scegliere le migliori opzioni di salute per conto dei cittadini, ma piuttosto aiutarli a sceglierle da se stessi,
attraverso l'educazione, l'informazione sanitaria e
l'offerta di servizi integrati di prevenzione primaria,
secondaria e terziaria.
Sul piano operativo il sistema sanitario nazionale,
mentre cercherà di curare (non potendo guarire) le
malattie croniche già instaurate, riducendone mediante la diagnosi precoce e la riabilitazione le conseguenze invalidanti con il minor costo per la comunità, dovrà aiutare la popolazione a prevenirne
l'insorgenza.
Miglior organizzazione e integrazione dei servizi
porteranno ad un miglioramento della salute individuale e ad una riduzione dell'inappropriatezza delle pratiche assistenziali, inappropriatezza che rap-
presenta un costo non indifferente. L'istituto per
l'innovazione e il miglioramento del sistema sanitario nazionale inglese ha ad esempio evidenziato
come 1 miliardo e trecento milioni di sterline siano
spesi ogni anno per accessi al pronto soccorso di
malati di 18 malattie. Per queste vengono effettuati
ogni anno anche tre o quattro accessi da parte dello stesso paziente. La lista delle malattie vede al primo posto la BPCO (oltre 106.000 accessi, con un
costo annuo di 253 milioni di sterline), al secondo
l'angina pectoris e al terzo l'asma (oltre 61.000 accessi, 64 milioni). Percentuali variabili di questi accessi sono risultate inappropriate ad una valutazione retrospettiva. Una gestione ottimale della malattie suddette non soltanto ridurrebbe l'affollamento
delle strutture di pronto soccorso e la spesa sanitaria globale, ma migliorerebbe anche le condizioni
di vita di chi ne è affetto. In base alla ricerca citata,
migliorare i servizi sanitari riducendo di circa il
30% gli accessi non necessari al pronto soccorso
consentirebbe un risparmio annuale di circa 400
milioni di sterline (Documento: Improve healthcare
by reducing unnecessary emergency admissions- n°
2006/0104, pubblicato il 20 Marzo 2006).
I rimedi possibili sul piano organizzativo sono una
maggiore responsabilizzazione dei medici di medicina generale (medici di famiglia) e la creazione di
livelli intermedi tra la valutazione ambulatoriale del
MMG e l'ospedale, anche con una maggiore e più
veloce comunicazione tra medici specialisti e
MMG (magari associati in un unico studio-poliambulatorio), un utilizzo ragionato della telemedicina,
una strutturazione dell'assistenza domiciliare.
Il documento “Clearing the air”, dopo aver analizzato la patologia ostruttiva cronica polmonare nel
dettaglio, e aver constatato che per questa patologia
il SSN fornisce nel suo insieme un'assistenza meno
qualificata che per altre altrettanto diffuse malattie
croniche (si pensi a quanto offerto ai diabetici o ai
servizi previsti per i malati terminali di patologia
neoplastica) perviene all'enunciazione di alcune
priorità per il SSN.
Nell'insieme la Commissione raccomanda alle
Unità Sanitarie Locali di:
1. prevenire lo sviluppo della BPCO attraverso una
consistente riduzione del numero di fumatori
nella comunità;
2. migliorare la diagnosi della BPCO, in particolare
attraverso un utilizzo più diffuso dei test spirometrici;
3. aiutare il paziente nell'auto-gestione della propria malattia, attraverso la riabilitazione respiratoria;
4. integrare l'assistenza dei pazienti affetti da BPCO,
ossia collegare le cure specialistiche e quelle
primarie.
Non c'è dubbio che tali raccomandazioni - mutatis
mutandi - valgono per l'Italia quanto per il Regno
Unito, per la BPCO come per altre malattie croniche, respiratorie e non. E valgono anche per le società scientifiche e il singolo professionista, non solo per le Unità Sanitarie Locali. Le associazioni
scientifiche debbono partecipare al dibattito in cor-
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Patologie Respiratorie Croniche”), ha in corso una
collaborazione con il Ministero della Salute, è stata
ed è in prima linea nella promozione del controllo
del fumo. Ciò facendo il singolo professionista e le
associazioni scientifiche cui egli fa riferimento avranno dato un contributo non marginale all'ammodernamento del SSN rendendo possibile il mantenimento di quel patrimonio comune che è la salute della
comunità attraverso l'assistenza sanitaria.
Editors MRM
Editoriale - Editorial
so e hanno l'obbligo, sul piano sia della formazione individuale sia della sensibilizzazione delle istituzioni e della popolazione, di sostenere la prevenzione primaria e secondaria, di promuovere la ricerca sull'effettiva qualità dell'assistenza fornita, di
promuovere la fornitura di livelli di assistenza adeguati agli standard esistenti, indipendentemente
dalla regione di appartenenza.
AIMAR cerca di svolgere tali azioni. Fa parte del progetto GARD dell'OMS (“Alleanza Globale contro le
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Editoriale / Editorial
Il Progetto MILD e la prevenzione primaria
e secondaria del cancro del polmone in Italia
The MILD project and primary and secondary
prevention of lung cancer in Italy
Francesco Schiavon1, Marco Colella2, Roberto Cappelli3, Stefano Nardini2
1
UO Radiologia, Ospedale di Belluno, ULSS 1 Regione Veneto
UO Pneumotisiologia, Ospedale di Vittorio Veneto, ULSS 7 Regione Veneto
3
UOS Chirurgia Toracica, Dipartimento di Chirurgia, Ospedale di Conegliano, ULSS 7, Regione Veneto
2
Nel nostro Paese il tumore al polmone è la prima
causa di morte per cancro negli uomini (25.540 decessi/anno: il 27,8% di tutti i tumori) e la terza nelle
donne (5.890 decessi/anno: l'8,7%). Il tasso di mortalità standardizzato per età è pari a 38,5/100.000
negli uomini e 5,3/100.000 nelle donne e aumenta
da Sud a Nord: il tasso nel Nord-Ovest negli uomini
è pari a 51,1/100.000 e nel Nord-Est nelle donne di
10,0/100.000 (www.epicentro.iss.it).
La mortalità per il tumore del polmone si è caratterizzata, nell'ultimo trentennio, per una forte variabilità temporale, sia per genere sia per area geografica. Per quanto riguarda gli uomini, si è osservato
un rapido e forte incremento del rischio a partire
dagli anni '70 e, all'inizio del decennio '90, una inversione di tendenza che si mantiene stabile nelle
proiezioni (si stima nel 2010 il raggiungimento degli stessi livelli di incidenza del 1980). Mortalità e
incidenza nelle donne italiane, pur restando molto
al di sotto dei livelli registrati negli uomini (nel
2000 il tasso di incidenza per 100.000 è circa 20
contro 100 per gli uomini), sono in costante aumento, mentre i tassi standardizzati sono invece stimati stabili a partire dal 2000.
Questi andamenti sono spiegabili dall'effetto combinato di invecchiamento della popolazione e livelli di rischio in aumento per le generazioni nate prima del 1950 [1].
Si tratta in ogni caso di una vera e propria epidemia, ma la notizia peggiore è che la sopravvivenza
dalla diagnosi non si è sostanzialmente modificata
negli ultimi decenni: solo una quota pari a circa il
10% (in Europa, mentre negli Usa è di poco supe-
riore al 14%) è ancora viva a cinque anni dalla diagnosi. In pratica, a differenza di quasi tutte le neoplasie di altri distretti, negli ultimi trenta anni, la sopravvivenza a 5 anni non si è sostanzialmente modificata [2]. Nel nostro Paese i dati di sopravvivenza indicano un miglioramento del tutto marginale,
dato che si è passati dall'8% dei pazienti diagnosticati portatori di cancro negli anni 1983-85, all'11%
circa per gli anni di diagnosi 1992-94.
Questa mancanza di progresso nella sopravvivenza differenzia notevolmente il cancro del polmone
da altre neoplasie, per le quali negli anni è stata
fornita alla popolazione la possibilità di fare prevenzione secondaria mediante diagnosi precoce
(www.istitutotumori.mi.it).
Ciò ci porta a chiederci: possiamo cambiare il nostro approccio alle neoplasie polmonari? È possibile una loro diagnosi precoce?
Come molti di noi ricordano, negli anni '70 del secolo scorso ci fu un fervore di iniziative nel campo
di programmi di screening del cancro polmonare,
che hanno utilizzato sia la radiologia sia la citologia [3]. Questi studi sono stati criticati per fattori di
confondimento, bias di selezione e, soprattutto, debolezza statistica [4], i risultati prodotti hanno portato all'abbandono dello screening del cancro del
polmone [5].
Oggi i progressi delle tecnologia, in particolare
informatica, della genetica e della biologia molecolare, ma soprattutto la constatazione della immutata terribile consistenza della epidemia di cancro del
polmone, hanno portato a riproporre l'opzione della profilassi secondaria della neoplasia polmonare
Francesco Schiavon
Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Scienze Radiologiche, Ospedale Civile “San Martino”
ULSS 1 Regione Veneto, Belluno, Italia
email: [email protected]
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Ciò significa che sempre di più si abbassa l'asticella di visibilità del nodulo, ma altrettanto sempre
meno abbiamo idee su quale sia la natura di quel
nodulo. E per i noduli di pochi o pochissimi millimetri non possiamo aiutarci né con la morfologia
(cioè la semeiotica del nodulo) né con misure di
densità prima e dopo mezzo di contrasto, per le dimensioni troppo ridotte, né per la stessa ragione
con metodiche di imaging che “fotografino” l'attività metabolica della supposta lesione.
Bisogna, quindi, usare una strategia di attesa (di mesi se non anni) che pone il medico di fronte a scelte che possono avere elevata valenza medico-legale e il paziente di fronte allo stress di attendere una
verifica che confermi o neghi una malattia potenzialmente letale (che come tale è ben nota al grande pubblico).
Perciò, quando nell'introduzione del progetto MILD
si dice - riferendosi alla TAC spirale - che i “continui
miglioramenti tecnologici potrebbero rendere questo strumento più efficace della mammografia utilizzata per la diagnosi precoce del tumore alla mammella”, va ricordato che la mammografia associa un
buon grado di sensibilità e di specificità, e comunque ha un gap tra le due molto minore rispetto alla
TAC. Inoltre, la mammografia risponde quasi sempre
- tranne nelle mastiti carcinomatose, che però hanno una evidenza clinica - alla domanda “tumore si,
tumore no”, la TAC invece - come si diceva prima alla domanda “nodulo si, nodulo no”.
Cioè, le forme iniziali di tumore centrale, endobronchiale, possono sfuggire alla TAC, tanto più
quando essa viene eseguita “a bassa dose”, perché
i dati acquisiti con tale modalità non sono sufficienti a ricostruire con attendibilità riformattazioni dei
bronchi ilo-parailari.
A onor del vero va anche ricordato che la scelta
della TAC “a bassa dose” riduce un aspetto negativo della metodica in fase di screening: quello
dell'“over diagnosis”, cioè degli elementi di
confondimento, che sono inevitabili con una metodica pan-esplorante, quale appunto è la TAC.
Perciò, in definitiva, l'uso “a basso dosaggio di radiazioni” della TAC spirale - come suggerito dal
progetto MILD - è l'unico compromesso attualmente possibile tra “il miglior trattamento dei pazienti
con tumore polmonare e il minimo danno per i soggetti sani arruolati”.
Circa i costi - economici e biologici - della TAC spirale la nostra esperienza basata sulla TAC multidetettore a 64 canali indica che con tecnica a bassa
esposizione (90 KVp; 20 mAs) la dose assorbita è di
0,5 mSv, mentre con l'ERT nelle due proiezioni essa è di 0,1 mSv, vale a dire 5 volte di meno, tenendo presente che la TAC convenzionale del torace arriva sino a 5-10 mSv; ed ancora che i costi economici di una TAC eseguita con il protocollo dell'Early
Lung Cancer Action Project (ELCAP) si aggirano sui
30,00-31,00€ ad esame (1,00€ il cd, 7,00€ il costo
del personale tecnico, 23,00€ il tempo del medico),
escludendo l'ammortamento dell'apparecchio e del
software.
Peraltro, l'impiego della TAC “in prima battuta” in
F Schiavon, M Colella, S Nardini
Editoriale - Editorial
attraverso l'uso della TAC spirale a basso dosaggio
da sola o associata ad altre metodiche [6]. Un recente lavoro riporta i risultati di uno studio su circa
30.000 persone a rischio sottoposte a TAC: 484 sono risultate affette da cancro del polmone, l'85% in
stadio I. Di questi ne sono stati operati 302, il 92%
dei quali sopravvivevano a 10 anni [7].
Tuttavia, nonostante questo e numerosi altri studi
pubblicati, ancora non si è pervenuti a una dimostrazione della reale utilità di tali metodiche nel ridurre la mortalità per cancro polmonare [8].
In questo numero della rivista compare l'articolo di
Pastorino e collaboratori, che presentano uno studio
multicentrico nazionale, il progetto Multicentric
Italian Lung cancer Detection (MILD), dotato della
potenza statistica necessaria a rispondere ai quesiti
che circondano tuttora la profilassi secondaria del
tumore polmonare. La proposta di screening viene
fatta a tutti i fumatori attuali (o che hanno smesso da
meno di 10 anni) con più di 49 anni di età, che vengono poi tutti sottoposti a trattamento per smettere
di fumare, mentre una metà viene randomizzata a
eseguire periodiche TAC spirali a basso dosaggio.
Quale deve essere l'atteggiamento dello specialista
di medicina respiratoria e del radiologo di fronte a
questa proposta e come presentare questo screening ai pazienti suoi potenziali fruitori?
Tenuto conto, come evidenziato in precedenza, che
non vi sono ancora evidenze per raccomandare
estensivamente lo screening, pensiamo che esso si
possa consigliare agli appartenenti alla popolazione a rischio senza nascondersi e nascondere gli
aspetti problematici che vengono qui di seguito accennati. In altre parole, evidenziandone il carattere
di sperimentazione.
Molto si è discusso, sia nell'ambito pneumologico
che in quello radiologico, se la TAC sia o no una
metodica da screening, da usare cioè - va tenuto
ben presente - in persone sane o che tali si ritengono.
I motivi sono plurimi:
- i costi: una TAC costa indubitabilmente più di un
semplice esame radiologico del torace (ERT);
- l'esposizione radiante: sebbene la tecnica di
screening sia “a bassa dose”, come il progetto
MILD più volte sottolinea la dose erogata è ben
maggiore che con l'ERT;
- la pan-esplorabilità: fornisce comunque informazioni su tutto l'ambito toracico e non solo sulla
presenza o meno del “nodulo”;
- la ridotta o limitata capacità diagnostica: di fatto
si limita a risolvere il solo quesito “nodulo sì, nodulo no”.
Ciò va detto - a nostro avviso - non per inficiare la
bontà dei test, ma per chiarire meglio il contesto e
favorire sin d'ora il dibattito sui dati che verranno.
Ma vediamo più compiutamente i vari punti.
In primo luogo bisogna ricordare che la TAC è una
metodica di grande sensibilità, ma di altrettanto limitata specificità, più o meno il contrario di quanto
avviene per l'ERT; e che tali caratteristiche si rendono ancor più evidenti con le TAC multidetettore di
ultimissima acquisizione, ora arrivate a 64 canali.
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un settore ove fino a poco tempo fa si usava l'ERT
con le medesime finalità deve imporre delle riflessioni sia da parte del radiologo che del clinico: ad
esempio, dopo l'impiego della TAC come esame di
I livello a tutti gli effetti, se non sia necessario ridisegnare la potenzialità e i confini di impiego clinico dell'ERT, che come e forse più della TAC ha beneficiato dei progressi tecnologici. Ma questo ragionamento impone altre riflessioni che esulano dallo
scopo di questo editoriale.
Se, come detto, la TAC può non avere, in alcuni casi, la possibilità di scoprire il tumore, un modo per
superarne i limiti può essere quello di affiancarla ad
altre metodiche. Oltre a questo studio multicentrico
italiano, infatti, sono in corso altre iniziative meno
estese ma più articolate: uno studio che utilizzi spirometria, citologia non solo morfologica ma anche
genetica dell'espettorato e TAC spirale a basso dosaggio e, in caso di non negatività di uno di questi
accertamenti, utilizzi la broncoscopia con autofluorescenza per il rilievo di stadi subclinici di cancro o
di stati pre-cancerosi è stata recentemente proposta
alla Regione Toscana dal Policlinico di Siena [9].
In conclusione, a fronte della evidente necessità di
cambiare il nostro approccio al cancro del polmone
superando la strategia di pura passività, vi sono, anche nel nostro Paese, tentativi di risposta che meritano di essere, seppur criticamente, appoggiati e sostenuti. Come tutte le altre iniziative che vanno nel
senso indicato dalla Global Alliance against chronic
Respiratory Diseases (GARD) dell'OMS e cioè concorrono a ridurre il carico derivante alla società dalle malattie polmonari [10].
In questa ottica, tuttavia, la necessità di verificare
fattibilità, rendimento e convenienza della prevenzione secondaria del cancro del polmone, con la sola TAC spirale o associandola alla broncoscopia ad
autofluorescenza, non ci deve distrarre dalla più importante considerazione (del resto implicita nel disegno dello studio MILD): la prevenzione primaria - attraverso la disassuefazione dal fumo - è possibile e
costo-efficace. Lo pneumologo deve perciò impegnarsi nella disassuefazione dal fumo, sia nel suo
ambito specialistico, per il quale sono di grande aiuto le nuove linee guida dell'ERS [11], sia nell'ambito della comunità nel suo insieme, stimolando le iniziative di prevenzione che vogliono agire sugli stili
di vita dannosi e prendendovi parte attivamente.
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Documento ufficiale / Official statement
Schiarire l'aria: uno studio nazionale sulla
broncopneumopatia cronica ostruttiva
Clearing the air: a national study of chronic
obstructive pulmonary disease
Traduzione del Sommario Esecutivo del rapporto Clearing the air: a national study of chronic
obstructive pulmonary disease © 2006 Commission for Healthcare Audit and Inspection, London UK
Traduzione per AIMAR a cura di Stefano Nardini, Editorial Office Manager, Multidisciplinary Respiratory Medicine
La commissione Sanità ha compiuto uno studio nazionale relativo all'assistenza e alla terapia disponibili per le persone affette da malattia polmonare
cronica ostruttiva (BPCO) in Inghilterra. BPCO è il
termine che viene attualmente utilizzato per descrivere una serie di condizioni patologiche croniche
respiratorie, che comprendono la bronchite cronica
e l'enfisema polmonare. È una malattia cronica
evolutiva, inguaribile ma largamente prevenibile,
per lo più dovuta al fumo di sigaretta. È caratterizzata da un danno permanente ai polmoni che limita la capacità della persona di respirare e di svolgere le normali attività quotidiane.
Le persone affette da BPCO avvertono una crescente mancanza di respiro, a misura che la loro malattia si sviluppa. Possono arrivare ad aver paura di
svolgere le normali attività quotidiane a causa della crescente mancanza di respiro associata allo
sforzo fisico. Alcune delle persone con BPCO che
hanno partecipato a questo studio erano affette da
una malattia in un grado così avanzato che non riuscivano a vestirsi, a fare le scale o a portare a termine le loro attività domestiche abituali. Molti erano
impossibilitati a uscire di casa senza aiuto.
Nel Regno Unito la BPCO colpisce una popolazione stimata intorno ai tre milioni di persone. Fornire
assistenza e terapia a queste persone rappresenta
un costo significativo per il Servizio Sanitario
Nazionale (NSH). L'istituto nazionale per l'eccellenza in sanità e in clinica (NICE) stima che i costi
diretti legati all'assistenza che il servizio sanitario
nazionale eroga per persone affette da BPCO ammontino a circa 500 milioni ogni anno. Più della
metà di questi costi è correlata alla fornitura di as-
sistenza all'interno degli ospedali. A misura che la
popolazione invecchia questo carico assistenziale è
destinato ad aumentare.
Fino ad ora i servizi dedicati alle persone affette da
BPCO hanno teso a reagire ai problemi nel momento in cui si verificavano, piuttosto che a tentare di
intervenire precocemente per prevenirli. Il report
annuale del Chief Medical Officer, Sir Liam
Donaldson, ha evidenziato nel 2005 la necessità di
cure più strutturate per le persone che sono affette
da BPCO [1]. Il Department of Health ha anche sottolineato la necessità di migliorare l'assistenza ai
pazienti affetti da una serie di situazioni patologiche
croniche compresa la BPCO [2]. In particolare è stata evidenziata la necessità di assistenza personalizzata strutturata integrata per le persone che hanno i
maggiori bisogni; per esempio un recente libro bianco del governo ha chiaramente individuato nelle
Unità Sanitarie la struttura responsabile della pianificazione di servizi in grado di rispondere ai bisogni
della popolazione locale. Questo pone anche l'accento sul fatto che in futuro un maggior numero di
servizi sarà reso direttamente nella comunità.
Oltre a queste iniziative, al servizio sanitario nazionale è stato anche richiesto di rafforzare gli incentivi per motivare i medici di medicina generale e tutti gli operatori di cure primarie a migliorare le modalità di gestione dei servizi per le persone affette
da malattie croniche invalidanti [3].
Tuttavia nonostante il recente interesse del governo
e di altre istituzioni, l'informazione e l'educazione
sanitaria sulla BPCO fra gli operatori della salute e
la popolazione nel suo complesso rimangono molto scarse. In alcune aree i servizi che vengono offer-
Editors, Multidisciplinary Respiratory Medicine
c/o AIMAR Editorial Office - Via M. Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO)
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ti alle persone affette da BPCO non sono in linea
con le linee guida cliniche esistenti e ci sono ampie
variazione negli standard di assistenza in differenti
aree del paese. Inoltre, molte persone con BPCO
appartengono a fasce di popolazione in condizione
sociale sfavorita e spesso trovano difficoltà nell'accedere ai servizi sanitari più appropriati. Le persone che appartengono a queste comunità possono
anche sentirsi spesso emarginate e stigmatizzate a
causa della stretta associazione che esiste tra la malattia e il fumo.
Questo studio parte da un programma più ampio di
lavoro che è focalizzato a migliorare i servizi per le
persone che sono affette da malattie croniche invalidanti. È stato portato a termine tra aprile e dicembre del 2005. Durante questo periodo abbiamo lavorato a stretto contatto con medici clinici e persone affette da BPCO per identificare gli aspetti chiave nel trattamento della BPCO e per mettere in luce la pratica maggiormente degna di nota.
Abbiamo anche:
• condotto una revisione della letteratura per identificare i punti nodali relativi all'organizzazione
dell'assistenza ai pazienti affetti da BPCO;
• consultato una notevole quantità di Stakeholders,
compresi gruppi rappresentativi di pazienti e di
operatori della salute;
• richiesto informazioni di ritorno da un gruppo di
consulenti che comprendeva specialisti nel campo delle malattie respiratorie;
• esaminato le caratteristiche delle attività ospedaliere, compresi il numero dei ricoveri ripetuti, la
lunghezza delle degenze e le giornate letto;
• istituito tre gruppi focali in collaborazione con la
British Lung Foundation;
• esaminato aspetti specifici dei servizi per la popolazione affetta da BPCO in 12 differenti comunità.
PROBLEMI CHIAVE
Abbiamo identificato un certo numero di problemi
chiave che poniamo all'attenzione dei responsabili
dell'assistenza e cura alle persone affette da - o a rischio di - BPCO, che comprendono:
• la necessità per le cure primarie di migliorare la
diagnosi di BPCO: si stima che il numero di casi
di BPCO non correttamente diagnosticati sia di
almeno due milioni. Analogamente vi è anche un
numero significativo di diagnosi parzialmente o
del tutto errate. Il numero di casi diagnosticati
può variare fino a cinque volte da un distretto di
medicina generale ad un'altro. Questo è in parte
dovuto ad un tasso più elevato della malattia in
alcune aree particolarmente povere, ma è spesso
associato anche all'abilità degli operatori sanitari
di sospettare e diagnosticare la malattia. Iniziative
per migliorare la diagnosi, come ad esempio lo
spostamento dei servizi di spirometria dagli ospedali alla medicina di base, possono essere di aiuto;
• una maggiore attenzione da parte delle Unità
Sanitarie Locali, nel loro ruolo di programmatori
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di servizi sanitari, deve essere dedicata ad assicurare che le persone malate di BPCO ricevano trattamenti strutturati appropriati alle loro necessità
[4]. Questo significa focalizzare l'attenzione sulla diagnosi accurata e precoce e sui trattamenti
strutturati, al fine di assicurare che le persone con
BPCO da lieve a moderata ricevano un trattamento appropriato che minimizzi l'impatto della loro
malattia sulla vita;
• l'aiuto ai pazienti con BPCO per gestire da soli la
loro malattia. Le misure chiave per supportare pazienti con BPCO sono l'educazione sanitaria e la
rieducazione all'esercizio strutturate (nell'insieme conosciute come riabilitazione respiratoria).
Questo è stato dimostrato avere un impatto diretto sulla qualità di vita della persona e ci sono evidenze che può ridurre il numero di persone con
BPCO che vengono ricoverate in ospedale così
come la lunghezza delle degenze in ospedale per
le persone ospedalizzate. Tuttavia l'accesso alla
riabilitazione polmonare (e la partecipazione alla
stessa) è assolutamente disomogeneo sul territorio nazionale, con percentuali minori del 5% di
persone affette da BPCO che risultano avere una
effettiva opportunità di prendere parte a questo tipo di programma [5]. Alcune Unità Sanitarie
Locali come ad esempio Lambeth o Southwark e
il King's College Hospital hanno affrontato questo
problema sviluppando servizi di riabilitazione respiratoria sul territorio;
• la riduzione del numero di persone ospedalizzate per BPCO. Fra il 1991 e il 2001 i tassi di ospedalizzazione per BPCO corretti per età sono cresciuti di almeno il 50% [6]. Anche il numero delle ospedalizzazioni in emergenza continua ad
aumentare ogni anno. I tassi di ospedalizzazione
possono variare fino a 5 volte in differenti aree
dell'Inghilterra. Questo riflette da un lato differenze nella prevalenza di BPCO e dall'altro ampie
variazioni nella qualità dell'assistenza fornita a
tali pazienti nella comunità. In alcune Unità
Sanitarie Locali rendere disponibile un'assistenza
strutturata ha avuto un significativo impatto sul
numero di ospedalizzazioni delle persone con
BPCO;
• capire i motivi della prognosi infausta per molti
pazienti. In media il 15% di coloro che vengono
ospedalizzati con BPCO muoiono entro tre mesi.
Sebbene le stime varino, si pensa che un quarto
dei pazienti morirà entro un anno dall'ospedalizzazione [7,8].
• assicurare che l'assistenza prenda in considerazione i bisogni individuali di ciascuna persona e
l'impatto generale della patologia sulla sua vita,
piuttosto che semplicemente trattare i sintomi nel
momento in cui si presentano;
• provvedere ad un trattamento tempestivo ed appropriato per gli episodi acuti di BPCO; la gamma dei servizi disponibili per le persone affette da
BPCO varia e non sempre comprende servizi di
comunità, cure primarie, assistenza sociale;
• migliorare l'accesso all'assistenza di supporto e
alle cure palliative per le persone con BPCO in
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COSA DEVE FARE IL DEPARTMENT OF HEALTH?
Il Department of Health dovrebbe sviluppare una
cornice generale nazionale di servizio per la BPCO
(national service framework - NSF). Questo dovrebbe incoraggiare una maggiore attenzione a questa
patologia che è stata precedentemente trascurata.
Dovrebbe anche fornire l'opportunità per includere
nei servizi socio sanitari indicatori maggiormente
significativi per misurare i risultati dell'assistenza
del trattamento per le persone affette da BPCO.
Questi indicatori dovrebbero essere monitorati routinariamente.
La commissione sanità vedrebbe di buon occhio la
possibilità di lavorare con il ministero della salute,
con pazienti e clinici per sviluppare migliori misure di processo e di risultato e per monitorare queste
misurazioni nel tempo.
COSA DEVONO FARE LE UNITÀ SANITARIE
LOCALI?
Le unità sanitarie locali devono:
• continuare a supportare iniziative che riducano il
numero di fumatori nella comunità e in particolare il numero di giovani che iniziano a fumare;
• migliorare la diagnosi di BPCO, specialmente
nelle aree con elevato livello di disagio sociale,
aumentando il supporto a tutti coloro che sono in
grado di fare spirometrie sul territorio;
• organizzare servizi che migliorino l'accesso alla
riabilitazione polmonare per tutte le persone con
BPCO, secondo le linee guida del NICE, e agevolando l'accesso alle cure palliative per quelli che
possono beneficiare di questo approccio;
• lavorare con i clinici delle “reti respiratorie” per rivedere insieme i tassi di ospedalizzazione in
emergenza nell'ospedale per le persone con
BPCO ed esplorare le ragioni alla base dell'ospedalizzazione e la disponibilità di servizi alternativi
che potrebbero supportare le persone a domicilio;
• lavorare con i clinici delle “reti respiratorie” per
assicurare che venga resa disponibile alle persone con BPCO un'assistenza strutturata; questo significa assicurare che ci siano registri accurati
delle persone affette da BPCO, che l'assistenza e
la terapia delle persone con BPCO sia regolarmente rivalutata e che ci sia disponibilità di supporti per aiutare la popolazione affetta da tale
malattia ad autogestirla. Una rete respiratoria è
un gruppo di professionisti della salute il cui sco-
po è sviluppare un approccio coerente e completo per pianificare e fornire servizi respiratori in
una particolare area.
COSA FARÀ LA COMMISSIONE PER LA SALUTE
IN FUTURO?
Come parte del nostro lavoro di controllo annuale
dello stato di salute, la commissione per la salute
valuterà e ragguaglierà sulla performance rispetto
agli indicatori di implementazione delle linee guida NICE per la BPCO. Ciò verrà fatto attraverso il
nostro controllo dei miglioramenti rispetto agli
standard di sviluppo che il governo ha stabilito per
l'efficacia clinica e in rapporto ai costi.
Un set completo di indicatori sarà sviluppato dopo
appropriate consultazioni con i principali stakeholders e monitorato nel tempo.
Inoltre questa commissione:
• intraprenderà azioni di follow-up più dettagliate
con le unità sanitarie locali che mostrano variazioni inaccettabili di performance;
• continuerà a misurare - e fare un rapporto su - i
progressi ottenuti dalle Unità Sanitarie Locali nel
raggiungere gli obiettivi di ridurre il numero di
letti d'ospedale occupati in emergenza, ridurre il
tasso di fumo, e fornire una gestione completa
della malattia alle persone che richiedono un elevato livello di assistenza e terapia;
• farà un rapporto sui rilievi provenienti dalla revisione del miglioramento del controllo del fumo
nella comunità e continuerà a lavorare con le
unità sanitarie in questa area per ridurre sostanzialmente i casi totali di BPCO;
• controllerà nel tempo tutte le problematiche locali che dovessero insorgere circa la performance in
relazione agli indicatori, agli obiettivi e alle raccomandazioni, preoccupazioni che dovessero emergere dalla nostra revisione sul miglioramento.
Lavoreremo con il ministero della sanità, con i pazienti e gli altri stakeholders per migliorare la qualità dell'informazione a disposizione dei pazienti
con BPCO. Questo li aiuterà a fare scelte maggiormente informate su assistenza e terapia. Aiuterà anche noi a misurare meglio la qualità dei servizi.
Abbiamo in corso un programma di lavoro per rivedere la qualità dei servizi offerti alle persone anziane. Il programma di lavoro che ci daremo includerà
ispezioni integrate dell'assistenza socio-sanitaria alle persone con pluripatologie croniche a lungo termine e una misurazione dell'effettiva implementazione delle linee guida del programma quadro nazionale (NSF) e del NICE. Questo ci aiuterà a ottenere un quadro più dettagliato della qualità dell'assistenza per i pazienti che soffrono di condizioni
croniche a lungo termine e per tenere traccia dei
miglioramenti nel tempo.
Editors MRM
Documento ufficiale - Official statement
stadio terminale. La fornitura e la qualità di questi servizi per persone con BPCO è estremamente limitata, se comparata con i servizi che sono
disponibili per persone con cancro in stadio
avanzato.
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NHS learn from US managed care organisations? BMJ
2004;328:223-225.
4. Stang P, Lydick E, Silberman C, Kempel A, Keating ET. The
prevalence of COPD: using smoking rates to estimate disease frequency in the general population. Chest 2000;117(5
Suppl 2):354S-359S.
5. British Lung Foundation and British Thoracic Society
(2002). Pulmonary Rehabilitation Survey.
6. Lung and Asthma Information Agency factsheets on COPD.
7. Groenewegen KH, Schols AM, Wouters EF. Mortality and
mortality-related factors after hospitalization for acute exacerbation of COPD. Chest 2003;124:459-467.
8. British Lung Foundation (2003). Breathing Fear - The COPD
Effect.
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Pagina 23
Commento al Documento / Comment on Statement
Commento delle associazioni dei pazienti
in Italia: il punto di vista dell'Associazione
Pazienti Italiana BPCO
Comment from patients associations in Italy: point
of view of the Italian COPD Patients Association
Mariadelaide Franchi
Presidente, Associazione Italiana Pazienti BPCO
La BPCO è una malattia cronica respiratoria, che porta gradualmente ad una sostanziale invalidità, alla
perdita di produttività e ad una scarsa qualità della vita del paziente e della sua famiglia, che peggiora con
il progredire della malattia.
Le riacutizzazioni richiedono l'uso di terapie complesse e costose e frequenti ricorsi alla medicina d'urgenza e ricoveri in ospedale, anche in unità di terapia intensiva. La complicanza più temuta è l'insufficienza respiratoria, che comporta ossigenoterapia o
ventilazione assistita, con pesanti ricadute umane e
socio-sanitarie. In Italia si contano più di 62.000 persone in ossigenoterapia e più di 20.000 in ventilazione assistita.
L'emergenza odierna, che conta quasi tre milioni di
persone affette da BPCO, 130.000 ricoveri e circa
18.000 decessi all'anno, è in primo luogo conseguenza di danni lenti e progressivi indotti dall'abitudine tabagica protratta nel corso del tempo, spesso per decenni.
Ciononostante in Italia questa malattia resta sottovalutata, soprattutto dal fumatore, che teme sì il
cancro al polmone, ma ha scarsa consapevolezza
delle conseguenze del fumo di sigarette in termini
di invalidità cronica respiratoria.
Con l'approvazione e divulgazione di linee guida
nel 2001, il mondo scientifico ha accolto l'allarme
lanciato dall'OMS: la BPCO sarà nel 2020 la terza
causa di morte nel mondo, se non si farà qualcosa
nel frattempo per contrastarla.
In Italia la scarsa attenzione a questo dilagante fenomeno sociale è testimoniata dal fatto che, ancora oggi, dopo otto anni, il Ministero della Salute
non ha modificato il Decreto Ministeriale 329/99
per introdurre la BPCO nella lista delle malattie
croniche e invalidanti. Questo importante passo
potrebbe consentire ai pazienti di beneficiare della
gratuità di alcune prestazioni essenziali per il monitoraggio della malattia, come avviene per la maggioranza delle malattie croniche.
L'assenza del riconoscimento di “malattia cronica e
invalidante” causa gravi pregiudizi ai pazienti, non
solo per quanto riguarda i costi, che continuano a
gravare sulla famiglia, ma anche perché non possono beneficiare di altre misure specifiche di supporto ai malati cronici.
Le conseguenze di tutta questa situazione sono sotto gli occhi di tutti: scarsa prevenzione, sottodiagnosi, trattamenti spesso non corrispondenti alle
più recenti acquisizione scientifiche e inadeguatezza dei programmi di riabilitazione. Infine, se da una
parte i progressi scientifici hanno migliorato la sopravvivenza del malato con BPCO, grazie all'ossigenoterapia e alla ventilazione assistita, dall'altra la
risposta ai reali bisogni dei pazienti in termini di
continuità dell'assistenza socio-sanitaria, e in particolare di assistenza domiciliare, resta il principale
problema non risolto in molte delle nostre Regioni.
Ben venga quindi l'iniziativa di AIMAR di pubblicare il sommario esecutivo del documento della
Healthcare Commission del Regno Unito, che formula le direttive in materia di assistenza in questo
settore. Ci auguriamo che questo serva non solo a
stimolare un dibattito, che stenta da troppi anni a
decollare, ma anche a indicare azioni che possano
essere rapidamente intraprese anche da noi.
Mariadelaide Franchi
Presidente, Associazione Italiana Pazienti BPCO Onlus - Via Cassia 605, 00189 Roma, Italia
email: [email protected] - www.pazientibpco.it
Nota: Commento all'Executive Summary del rapporto Clearing the air: a national study of chronic obstructive pulmonary
disease © 2006 Commission for Healthcare Audit and Inspection, UK, pubblicato in versione tradotta a pag 19-22 di questo numero.
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Commento al Documento / Comment on Statement
Commento delle associazioni dei pazienti in
Italia: il punto di vista dell'Associazione per la
Lotta contro l'Insufficienza Respiratoria (ALIR)
Comment from patients associations in Italy: point
of view of ALIR (Respiratory Failure Association)
Alda Bernardi Pesce
Segretaria nazionale, ALIR (Associazione per la Lotta contro l'Insufficienza Respiratoria)
Ho letto con interesse il documento elaborato dalla
Commissione sanità inglese sulla BPCO, che testimonia come le autorità sanitarie europee intendano
affrontare il mondo delle malattie croniche respiratorie, finora trattato con sufficienza, e non solo in
Italia. Finalmente.
Per me, che rappresento l'ALIR, associazione
nazionale che da venticinque anni si adopera per
interventi nel campo respiratorio, “finalmente” ha
un contenuto liberatorio, che pare coronare un
quarto di secolo di frustrazioni, che hanno accompagnato l'opera intensa ma misconosciuta dell'associazione che rappresento. Un quarto di secolo
vissuto in prima persona, perché già da allora militavo con mio marito, pneumologo ospedaliero, che
faceva parte del gruppo dei fondatori, e si è sempre
battuto per il miglioramento della terapia agli insufficienti respiratori, e lo ha fatto fino alla morte.
Intendiamoci; essendo stata testimone della tragedia rappresentata dall'insufficienza respiratoria
grave, complicanza terminale di molte malattie dell'apparato respiratorio (fra cui la BPCO), ho finito
per concentrare l'attenzione mia e dell'associazione sui malati più gravi, e sugli aspetti correlati
con l'ossigenoterapia e la ventiloterapia domiciliare. Il fatto che siano quantitativamente meno
numerosi non ci ha esentato dal profondere tutto
l'impegno di cui siamo capaci, in questo confortati
da pari impegno dei pneumologi ospedalieri, che
hanno corso anche rischi personali per costruire
l'attuale tecnica di terapia domiciliare, oggi possibile con successo, anche se purtroppo diffusa sul
territorio nazionale soltanto a macchia di leopardo,
con organizzazioni locali di assoluta eccellenza,
ma affiancate a vaste aree di negligenza.
Non posso non condividere le raccomandazioni
della Commissione inglese; anche se la mia sensibilità mi spinge soprattutto sull'ultimo punto, la
riorganizzazione degli interventi a domicilio del
paziente, tanto più importante oggi che, dopo
l'aziendalizzazione dei servizi sul territorio, soltanto una concreta integrazione fra gli operatori sanitari coinvolti, dallo specialista al Medico di
Medicina Generale e al care giver, può consentire
l'efficienza della cura domiciliare agli insufficienti
respiratori.
Essendo soltanto una profana, non posso esprimermi sull'appropriatezza di certi interventi; ma troppo
spesso mi trovo davanti ad operatori innamorati
della propria specializzazione, e completamente
impermeabili alle esigenze dei colleghi di team con
i quali dovrebbero collaborare. Non è ancora
questo il Servizio Sanitario Nazionale che ha cura
della salute dei cittadini, come sentiamo tanto spesso millantare dai politici.
Esistono difficoltà oggettive nel governo della sanità
in Italia; ma non ho ancora visto, dopo la chiusura
di un reparto di Terapia Intensiva Respiratoria, la
semplice attivazione di una procedura di rapido
accesso ai Centri di eccellenza comunque presenti
sul territorio nazionale.
È come se ciascun reparto, ciascun operatore,
vivesse in un'isola felice, senza alcuna conoscenza
di quello che succede altrove.
Alda Bernardi Pesce
Segretaria nazionale, ALIR “Associazione per la Lotta contro l'Insufficienza Respiratoria”
email: [email protected] - www.alir.it
Nota: Commento all'Executive Summary del rapporto Clearing the air: a national study of chronic obstructive pulmonary
disease © 2006 Commission for Healthcare Audit and Inspection, UK, pubblicato in versione tradotta a pag 19-22 di questo numero.
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za, alle residenze protette, all'Assistenza
Domiciliare Integrata, ai Medici di Medicina
Generale, ai caregiver. Tutti collegati on-line fra
loro, come operatori sanitari appartenenti allo stesso reparto.
Chiedo troppo?
A Bernardi Pesce
Il punto di vista dell'ALIR - Point of view of ALIR
Per questo vedo, in quelle poche parole dell'ultimo
punto del documento inglese, la realizzazione di
un sogno lungamente accarezzato, dove esiste un
solo Servizio Sanitario Nazionale, che funzionalmente si estende dai reparti ospedalieri, alle strutture di riabilitazione, alle strutture di lungo degen-
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Interview / Intervista
Interview with Antonio Anzueto
How management of COPD may change in
the near future
Un'intervista ad Antonio Anzueto
Come la gestione della BPCO potrebbe cambiare
nel prossimo futuro
Stefano Nardini
Regione Veneto, ASL 7, Sinistra Piave, Ospedale di Vittorio Veneto, U.O. di Pneumotisiologia
Segretario Generale AIMAR
INTRODUCTION
With the general population ageing, and doctors
and health systems delivering good care to respiratory patients, the prevalence of COPD is increasing
(and will continue to increase). In Italy as in other
countries where assistance is delivered through an
established National Health System, there is a
widespread feeling that we cannot continue to
manage COPD in the way that we are doing today,
because it is becoming too expensive and will simply not be sustainable in the long term. In Italy, we
are currently trying to move the routine management of these patients from the hospital to the family setting, helping GPs with the specialist advice
they need for the delivery of complete home care.
1) In the US are you experiencing the same trend?
Yes, there are several issues in the US. Primary care
doctors are not doing enough to diagnose these
patients. Newly diagnosed COPD patients are now
younger (under 65 years of age) and have mild to
moderate disease. Most of the severe COPD patients
are older patients and are already diagnosed.
2) In the US you have a private health system. What
are the differences, if any, in coping with the increasing burden of a chronic illness like COPD?
Our systems, both private and public, are overwhelmed by the increased number of patients, fre-
Stefano Nardini
AIMAR Editorial Office
Via M. Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO), Italia
email: [email protected]
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26 MRM
quent hospitalizations due to exacerbations and the
lack of an efficient ambulatory system for prevention.
3) The more advanced the disease, the more expensive is its management and heavier the consequences on the individual's quality of life. An early
diagnosis may be the answer, but is this feasible in
COPD and how?
Yes, it is feasible. By identifying the patients at risk
and doing pulmonary function tests (PFTs) we
should be able to identify patients when they have
mild disease and not severe disease.
4) Hospitalization seems to be the main problem for
administrators: reduction in hospital admissions
and/or in length of stay (LOS) are outcomes eagerly
looked for. In your experience what tools do clinicians have at their disposal today to satisfy administrators, i.e. reduce admissions and LOS?
We have seen a significant reduction in exacerbations
and hospitalizations in patients with COPD due to the
routine use of pharmacotherapy. Since the introduction of tiotropium and routine use of the fixed combination of long-acting beta agonists and inhaled corticosteroids, the frequency of exacerbation is decreasing. The impact on healthcare systems is so great that
the largest healthcare provider in the US, the Veterans
Health Administration system, recently approved the
unrestrictive use of tiotropium in COPD.
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6) Some past experiences seem to show that distance monitoring 'from-patient-to-physician' does
not help: on the contrary, it can increase the use of
hospital facilities. Is your experience in the US
the same?
Do you think that the use of distance monitoring to
link GP offices to the pulmonary care unit could
help better?
I have no experience with distance monitoring. I
believe that linking GP offices with pulmonary
care and allowing rapid intercommunication
could have a huge impact on diagnosis and
patient care.
7) We can try to reduce the use of hospital resources
by COPD patients. However, the main cost borne by
the community for this disease is not that for medical care itself but for loss of productivity. This fact
would seem to highlight the need for pulmonary
rehabilitation, but this practice - at least in Italy - is
neither promoted nor financed.What is the situation
in the US?
Pulmonary rehabilitation costs in the US are covered
by the health system only for 6 weeks. Data have
shown that the increased exercise endurance and
other benefits gained from pulmonary rehabilitation
are lost in a few months. A recent report of Casaburi
et al. [1] showed that adding a long active bronchodilator (tiotropium) you can maintain the effect of
rehabilitation for up to 28 weeks. I believe that this
study should be repeated and the time period extended, because if these data are true this finding could be
very important.
S Nardini
Interview with A Anzueto - Intervista con A Anzueto
5) For the same purpose, in your opinion, can distance-monitoring help and, if so, how?
Yes, it can, but at this time it is not feasible in the
US. There is no structure in place and no money to
set it up.
Reference
1. Casaburi R, Kukafka D, Cooper CB, Witek TJ Jr, Kesten S.
Improvement in exercise tolerance with the combination of
tiotropium and pulmonary rehabilitation in patients with
COPD. Chest 2005;127:809-817.
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Original Article / Articolo Originale
Recumbent hypoxemia (“clinodeoxia”) in
cirrhosis: relationship with age-related trends
of alveolar ventilation and right-to-left shunting
Ipossiemia in clinostatismo (“clinodeoxia”) nella
cirrosi: rapporti con le modificazioni della ventilazione
alveolare legate all'età e con lo shunt destro-sinistro
Francesca Polverino, Carlo Santoriello, Vittorio De Sio, Valentina Musella, Concetta De Rosa,
Gaetano Cicchitto, 1Francesco De Blasio, 2Filippo Andò, Mario Polverino
Respiratory Physiopathology, Cava de' Tirreni Hospital, Cava de' Tirreni Italy
1
Clinic Center Hospital, Pulmonary Rehabilitation Unit, Napoli Italy
2
Lung Diseases Institute, University of Messina Medical School, Messina Italy
ABSTRACT
The postural changes that occur in respiratory function have
been well studied in normal subjects, but in pathological conditions they have been described in only a few cases of chronic
liver disease: going from supine position to an erect one produced dyspnea (“platypnea”) and a worsening of the basal
arterial oxygen tension (“orthodeoxia”). Our study was undertaken to investigate the incidence of orthodeoxia and platypnea
and the mechanisms of hypoxemia in unselected patients. We
studied 18 consecutive biopsy-proven liver cirrhosis patients,
all lifelong non smokers, none of whom complained of platypnea. We evaluated arterial blood gases, pulmonary ventilation
and right-to-left shunt in sitting and recumbent positions in
each patient. In sitting position arterial oxygen tension (PaO2)
ranged between 57.8 and 93.7 mmHg and hypoxemia was
found in 6/18 patients (33%). All but one patient showed a
decrease in PaO2 when lying down. In most patients the
decrease was higher than predicted, and a high percentage of
patients showed hypoxemia (14/18 patients: 78%). We propose the term “clinodeoxia”, as the reverse of “orthodeoxia”, to
describe the accentuated arterial oxygen desaturation in clinostatism. The change of posture provoked age-related variations
of ventilation and right-to-left shunt, the postural trends of
which differed significantly according to the patient's age.
Platypnea and orthodeoxia have also been described in
patients without liver diseases but sharing a severe standing
hypoxemia. We conclude that platypnea and orthodeoxia can
probably be found only in patients with severe hypoxemia, and,
when present, are not markers of chronic liver disease, but simply of severe arterial hypoxemia.
Keywords: Alveolar hypoventilation, cirrhosis, clinodeoxia,
orthodeoxia, postural hypoxemia, right-to-left shunt.
RIASSUNTO
Le variazioni posturali della funzione respiratoria sono state ben
studiate nei soggetti normali, mentre vi sono poche segnalazioni, in alcuni soggetti affetti da cirrosi epatica, in cui l'assunzione
della posizione eretta produce dispnea (“platypnea”) e peggioramento della saturazione ossiemoglobinica (“orthodeoxia”). Il nostro studio è stato effettuato per valutare l'incidenza di orthodeoxia e platypnea e i meccanismi dell'eventuale ipossiemia in
pazienti non selezionati sulla scorta dei sintomi.Abbiamo studiato 18 pazienti consecutivi con dimostrazione bioptica di cirrosi,
da sempre non fumatori, nessuno dei quali presentava platypnea. Abbiamo valutato i gas arteriosi, la ventilazione polmonare e lo shunt destro-sinistro in decubito seduto e supino. In posizione seduta la PaO2 variava da 57,8 a 93,7 mmHg e l'ipossiemia
era presente in 6 di essi (33%).Tutti, tranne uno, mostravano una
riduzione della PaO2 nel passaggio al decubito supino. In molti di
essi il decremento clinostatico della PaO2 era maggiore di quanto prevedibile dai valori teorici, e, complessivamente, un maggior
numero di pazienti presentava ipossiemia (14 su 18: 78%). Noi
proponiamo il termine “clinodeoxia”, come opposto della
“orthodeoxia”, per descrivere l'accentuata desaturazione arterio-
Mario Polverino
Respiratory Physiopathology Director, Centro Medico Italo-Australiano, Cava de' Tirreni (SA), Italy
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 13/01/2007 - Accettato per la pubblicazione: 09/02/2007
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Parole chiave: Cirrosi, clinodeoxia, ipossiemia posturale, ipoventilazione alveolare, orthodeoxia, shunt destro-sinistro.
INTRODUCTION
Occasional association between liver cirrhosis and
cyanosis without evidence of cardiopulmonary dysfunction was first reported a century ago [1].
Following that, arterial oxygen desaturation in
patients with liver cirrhosis was described by Snell
in 1935 [2]. Several studies have since confirmed
arterial hypoxemia at rest in many patients with
liver cirrhosis [3-8]. These findings have been variously attributed to right-to-left intrapulmonary
shunting [9-15], alveolar-capillary diffusion limitation, or alveolar ventilation-perfusion (VA/Q) mismatching [5-7,16,17]. Sheila Sherlock coined the
term “hepatopulmonary syndrome” to describe
arterial hypoxemia (< 10.7 kPa or < 80 mmHg) in
patients with liver cirrhosis [18]. The effects of
postural change on arterial oxygenation in normal
subjects have been well documented [19-25]. Craig
et al. [25] showed that the relationship of closing
volume to the tidal breathing level could account in
healthy subjects for the changes in alveolar-arterial
PO2 difference with posture, according to the functional residual capacity (FRC) movements up and
down the range of lung volumes [26,27]: in the
seated position, the FRC is consistently below closing
volume in subjects aged around 65 years or more,
while in the lying position, as the expiratory reserve
volume is markedly reduced, this occurs at around
44 years of age [28].
The respiratory effects of change of body position
have been described only in a few patients suffering
from chronic liver diseases [11,29,30]. These
patients were evaluated because of a peculiar functional and clinical posture-related syndrome: moving
from a supine position to an erect one produced a
worsening of the basal arterial oxygen tension while
the reassumption of a lying position improved the
arterial hypoxemia. These patients complained of
dyspnea in the sitting position which was relieved
in the lying position. Robin et al. [11] suggested the
term “platypnea” to describe the dyspnea produced
by assumption of an erect position which was
relieved when lying, while the term “orthodeoxia”
was coined to describe the accentuated arterial
oxygen desaturation in the sitting or standing position improved by the supine one. In their report
Robin et al. [11] related this peculiar postural
behaviour to increased pulmonary right-to-left
shunting of blood, which seemed to be due to a
gravity-related increased basal flow through true
vascular lung shunts (spider naevi). Chest angiographic studies proved these shunts to be largely
basal in location. Edell et al. [31] studied the distribution of VA/Q and the right-to-left intrapulmonary
shunting in 6 patients with liver cirrhosis, selected
on the basis of criteria such as presence of hypoxemia
(from 35 to 67 mmHg of sitting or standing PaO2)
and orthodeoxia. Krowka and Cortese [32], to
better characterize hypoxemia in chronic liver
diseases, studied 11 patients with severe hypoxemia (from 31 to 65 mmHg of sitting or standing
PaO2): 10 of them improved the PaO2 when lying (in
7 the increase was more than 10%).
All the above-mentioned studies were undertaken
in selected patients, since the enrolling criteria
included the presence of hypoxemia, which was
sometimes severe, and/or orthodeoxia.
To our knowledge, an extensive evaluation of the
respiratory effects of change of body position in
unselected patients affected by liver cirrhosis has
never been made. We therefore investigated the
postural modifications of pulmonary function in
patients regardless of the presence and degree of
hypoxemia and dyspnea.
MATERIAL AND METHODS
The protocol was approved by the institutional
Medical Ethics Committee and written informed
consent for the study was obtained from each
patient.
Patients were eligible for the study if they had never
smoked and were in a stable condition of disease
without cardiac dysfunction or clinically evident
hepatic encephalopathy. The first 18 consecutive
patients who matched our criteria were enrolled.
Studies were performed on 6 females and 12 males,
ranging in age from 25 to 77 years (mean 52.8 ±
13.6 years) with clinical, laboratory and biopsy evidence of liver cirrhosis.
The patients' data are shown in table I. None had any
history of chronic or acute cardiopulmonary disease.
All had normal findings on electrocardiogram and
echocardiogram and chest roentgenogram.
None complained of platypnea or any other kind of
dyspnea. All but one (patient #1) showed cutaneous
spider naevi. Six of them clinically demonstrated
mild ascites. The severity of the hepatic involvement
was defined according to Pugh's modification of
Child's grading for hepatic functional reserve [33].
Pulmonary function tests in sitting position, and
arterial gas analysis in sitting and lying position
were performed in all patients. Intrathoracic gas
volume (ITGV) and resistances of airways (Raw)
were measured by body plethysmography (Jaeger,
Wurzburg, D); single-breath diffusing capacity for
carbon monoxide (DLCO) was measured by the technique of Ogilvie et al. [34] after correcting for low
haemoglobin levels [35]. After determination of
spirometric data, patients were connected to a nonrebreathing -Y- valve with the expiratory part con-
F Polverino, C Santoriello, V De Sio, V Musella, C De Rosa, G Cicchitto, F De Blasio, F Andò, M Polverino
Recumbent hypoxemia in cirrhosis - Ipossiemia in clinostatismo nella cirrosi
sa di ossigeno in clinostatismo. La variazione di postura provoca
variazioni della ventilazione e dello shunt destro-sinistro, i cui
trend posturali sono significativamente differenti in base all'età
dei pazienti. La platypnea e la orthodeoxia sono state descritte
anche in pazienti affetti da altre patologie, tutte però caratterizzate da una severa ipossiemia in posizione eretta. Concludiamo
quindi che la platypnea e la orthodeoxia possono probabilmente
essere riscontrate solo in pazienti con severa ipossiemia: se riscontrate, esse non sono marker patognomonici di cirrosi, ma, indipendentemente dalla causa, di severa ipossiemia.
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TABLE I: PATIENT AND LIVER FUNCTION DATA
Patient
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
Sex
M/F
Age
yrs
Spiders
YES/NO
Albumin
g/dl
Bilirubin
mg/dl
PRO
%
Ascites
mild/NO
CHILD
A/B/C
M
M
M
F
M
M
F
M
F
M
F
M
M
F
M
M
F
M
25
37
41
41
49
50
52
56
58
60
60
69
70
72
74
76
76
77
NO
YES
YES
YES
YES
YES
YES
YES
YES
YES
YES
YES
YES
YES
YES
YES
YES
YES
2.8
2.4
4
3.1
2.3
3.5
3.4
3.4
3.3
3.4
4.2
2.9
3
2.8
3.5
2.7
2.5
2.7
1.2
2.3
0.8
1
2.4
0.7
1.3
2.3
2.8
2.5
1.5
1.4
1.8
1.1
2.3
1.2
2.9
1.6
82
68
85
88
59
86
82
71
56
63
94
92
90
88
68
88
70
86
NO
NO
NO
NO
mild
NO
NO
mild
mild
mild
NO
NO
NO
NO
mild
NO
mild
NO
A
B
A
A
B
A
A
B
B
B
A
A
A
A
B
A
B
A
Definition of abbreviations: PRO, Prothrombin Time; CHILD, Pugh's modification of Child's grading for hepatic functional reserve.
nected to a balloon for expired gas collection.
Expired gas was collected in each position for 1
minute under steady-state conditions to determine
minute ventilation (MV), at least 10 minutes after
the assumption of the supine or sitting position,
which was assumed in random order. Achievement
of steady-state was indicated by the regularity of
tidal mixed expired CO2 concentration. Expired gas
was analysed for CO2, and O2 concentrations.
Samples of radial arterial blood were drawn during
the gas collection and were collected by indwelling
arterial catheter while that patient was in the supine
and sitting positions. Each position was maintained
for at least 10 minutes. The blood samples were
immediately analyzed for partial pressures of oxygen
(PaO2) and carbon dioxide (PaCO2) with conventional
electrodes (ABL, Radiometer, Copenhagen, DK). The
blood gas analyzer was properly maintained and
calibrated (quality controls were performed by
Qualicheck vials, Radiometer, Copenhagen, DK).
Physiological dead space (VD/VT), alveolar-arterial
oxygen gradient (AaPO2) and right-to-left shunting
(Qs/Qt) were calculated as follows:
VD/VT = (PaCO2 - PECO2) - PaCO2; with PECO2 being
the partial pressure of CO2 in expired gas;
the alveolar-arterial oxygen gradient (AaPO2) was
calculated from the alveolar gas equation:
AaPO2 = (FIO2 (PB-47) - (PACO2/R) + FIO2 (1-R)
(PACO2/R)) - PO2
where FIO2 is the O2 inspiratory fraction, PB is the
barometric pressure, PACO2 is alveolar PCO2,
assumed to be equal to PaCO2 and R is the respiratory exchange ratio determined from measured O2
uptake and CO2 production values.
Right-to-left shunt was measured with the 100%
30 MRM
oxygen technique, by the following equation:
R-L shunting (%) = AaPO2 x 0.0031.
4.5 + AaPO2 x 0.0031
where 4.5 = normal artero-venous difference in
volumes of oxygen; and 0.0031 = transforming factor of oxygen in volumes %.
Hypoxemia was defined as a decrease of PaO2 more
than 10% compared to the predicted value (by calculation in standing [36] and supine position [24]).
Data are expressed as mean ± 1 SD. The sitting and
recumbent data were compared using the paired
t-test. Linear regression correlations were used
when appropriate. Probability values x 0.05 were
considered significant.
RESULTS
Pulmonary function tests are shown in table II: air
trapping [increased residual volume (RV)] was
found in most of the patients. According to our
statement, sitting hypoxemia (table III) was detected
in 6 out of 18 patients (33.3%); in half of them
(9/18) sitting hypocapnia (PACO2 reduced below 35
mmHg) was found. Arterial oxygen tension was
significantly and linearly related to the increase of
RV (r= -0.679; p = 0.0019) and to the decrease of
maximal expiratory flow (MEF75) at 75% of the
forced vital capacity (FVC) (r = 0.576; p = 0.0123).
The minute ventilation (MV) was significantly and
inversely correlated to albumin (figure 1).
The change of posture from sitting to recumbency
(figure 2) produced a decrease of PaO2 in all but one
patient, and 14/18 (77.8%) showed recumbent
hypoxemia according to our definition (a decrease
of PaO2 more than 10% in comparison with predicted
MRM 01-2007_def
16-05-2007
16:38
Pagina 31
Patient
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
FVC
% pred.
FEV1.0
% pred.
RV
% pred.
TLC
% pred.
MEF75
% pred.
DLCO
% pred.
Raw
kPa•l-1•s
82
107
72
91
92
109
106
99
83
76
117
83
85
96
86
84
91
88
90
105
76
89
104
117
93
96
82
78
121
99
92
99.5
90
95.5
95
95
141
155
148
109
135
182
129
110
109
201
123
171
167
162
189
169
175
172
99
122
94
97
105
132
113
103
92
119
119
117
117
119
126
117
122
119
65
97
47
63
84
88
106
75
51
80
100
85
86
90
45
85
67
76
89,5
110
76
87
103
99
121
97
77
98
118
69
105
108
68
87
88
87
0.225
0.135
0.19
0.235
0.26
0.14
0.13
0.2
0.27
0.28
0.09
0.28
0.12
0.185
0.2
0.2
0.19
0.2
Definition of abbreviations: DLCO, diffusing capacity for carbon monoxide; FEV1.0, forced expiratory volume at 1 sec; FVC, forced vital
capacity; MEF75, maximal expiratory flow at 75% of the FVC; Raw, resistances of airways; RV, residual volume; TLC, total lung capacity.
value). As the sitting PaO2 declined, the magnitude
of the postural change significantly decreased (figure 3).
Hypocapnia, in supine position, was found in fewer
patients (5/18 = 27.8%).
In recumbency the MV increased in 10 and
decreased in 8 patients: the mean value was slightly and not significantly lower in sitting position
(11.6 ± 2.5 l/min) compared to lying position (12.1
± 1.7 l/min).
Similarly the ratio alveolar ventilation/dead space
(VA/VD) and the pattern of breathing (respiratory
rate: RR, and tidal volume: VT) did not change
significantly with body position.
Oxygen uptake, CO2 production and AaPO2
increased slightly but non significantly in the move
to supine position (from 310 ± 59 to 341 ± 54
ml/min; from 302 ± 41 to 330 ± 39 ml/min; and from
24.1 ± 8.6 to 30.3 ± 10.8 mmHg respectively).
Recumbency was finally associated with a non
significant increase of Qs/Qt (from 6 ± 1.6 to 7.7 ± 3).
In attempting to understand whether the trend of
postural variation was associated with any clinical
and/or functional stigmata, subjects were first divided
into 3 groups depending on whether they showed
hypoxemia in standing and/or supine positions: 4
patients showed normoxaemia in both positions (#
3, 12, 14, 16), 8 had hypoxemia only in the supine
position: “clinodeoxia” (# 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 13),
and 6 in both supine and standing positions (# 1,
10, 11, 15, 17, 18). No significant differences
among the 3 groups were detected in anthropomorphic data, severity of liver disease, clinical stigmata
of cirrhosis (clubbing, cutaneous spider angiomata,
varices) or any pulmonary function data. Similar
results were obtained when the patients were divided
according to other functional or clinical criteria.
In a forward stepwise regression the only determinant of ventilation and gas exchange data was the
patient's age. Age was significantly related to the
postural changes of MV (figure 4), alveolar ventilation (figure 5), dead space ventilation (figure 6) and
right-to-left shunting (figure 7).
F Polverino, C Santoriello, V De Sio, V Musella, C De Rosa, G Cicchitto, F De Blasio, F Andò, M Polverino
Recumbent hypoxemia in cirrhosis - Ipossiemia in clinostatismo nella cirrosi
TABLE II: PULMONARY FUNCTION DATA
DISCUSSION
Our investigation confirms that, in some liver cirrhosis patients, hypoxemia and hypocapnia can be
found in the absence of any cardiopulmonary disorder. The percentage (33.3%) of standing hypoxemia
(6 patients out of 18) found in our study plausibly
reflects a real percentage of O2 hyposaturation
strictly due to the hepatic disease, because only
lifelong non smokers with normal findings on electrocardiogram and echocardiography were selected.
In some reports the prevalence of hypoxemia
ranges from about 30% to 70% in the different
patient populations [37-39]. Our percentage of
hypoxemia (about one third of patients) is lower
and has been confirmed by other authors [40,41];
Moller et al. [42] indicate that the prevalence of
arterial hypoxemia in patients without encephalopathy is about 22%, ranging from 10 to 40%
depending on the degree of hepatic dysfunction.
We confirm that arterial hypoxemia in patients with
cirrhosis of differing severity seems lower than previously reported, and patients with severe arterial
hypoxemia are not common. Even using the limit
value of 10.7 kPa (80 mmHg), the percentage of
hypoxemia is quite similar: 38.9% (7 out of 18). In
MRM
31
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 28-36
MRM 01-2007_def
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16:38
Pagina 32
TABLE III: VENTILATION AND GAS EXCHANGE DATA
Patient
PaO2
mmHg
PaO2
PaCO2
% pred. mmHg
MV
l/min
RR
TV/VC
min-1 %
VA
VD/VT
l/min %
Qs/Qt
%
VO2
VCO2
AaPO2
ml/min ml/min mmHg
1
sitting
supine
82
70.4
84.1
71.7
33.1
34.3
10.97
12.08
18
18
18
20
7.21
8.79
35.7
29
5.24
9.9
252
367
281
317
18.2
20.3
2
sitting
supine
93.7
78.2
99.5
84
34.3
36.1
12
11.21
20
20
10.8
12.4
6.39
7.01
33.6
37.1
5.755
9.52
349
334
321.5
313.5
20.7
41.4
3
sitting
supine
88.2
89.4
94.7
97.8
42.8
42.2
8
9.99
20
20
14.3
17.8
4.69
6.08
41.3
39.1
5.06
11.47
198
334
223
289
15.8
8.9
4
sitting
supine
84.8
73.4
91.1
80.3
34.9
37.1
9.64
11.42
21
21
13.6
16.1
5.55
7.59
41.6
32.3
5.72
7.62
300
357
299
380
18.6
22.25
5
sitting
supine
86.9
78.2
95.5
88.9
31.7
30.9
13.95
14.18
16
16
21.8
22.2
9.73
11.5
30.2
18.9
5.43
8.33
307
400
339
345
20.6
31.7
6
sitting
supine
83
71.7
91.5
81.9
33.1
33.4
9.03
12.71
22
20
9.3
14.4
5.96
7.69
34
39.5
4.26
13.56
317
449
356
356
26.8
46.3
7
sitting
supine
87.9
71.4
97.5
82.4
33.1
33.5
10.22
9.71
18
20
12.3
10.5
6.82
6.33
33.3
34.8
7.25
5.48
382
220
287
271
14.6
36.5
8
sitting
supine
83.5
69.9
93.7
82.3
35.2
37.1
10.58
12.24
20
20
15.6
18
5.29
6.12
50
50
4.96
5.39
300
350
300
340
14.5
18.1
9
sitting
supine
81.3
75.6
91.8
89.9
37.8
35
8.71
10.61
22
22
11.6
14.2
5.81
9.06
33.3
14.6
6.49
9.86
300
364
299
420
22.7
26.4
10
sitting
supine
57.8
55.9
65.7
67.2
35
35.5
14.88
14.12
16
16
30
28.4
10.27 31
9.01 36.2
7.67
3.93
213
366
236
346
44.7
43.8
11
sitting
supine
72.7
65
82.6
78.1
39.9
41.4
10.83
10.62
16
16
13
12.8
7.58
7.08
30
33.3
4.42
4.29
393
302
311
301
26.8
30.7
12
sitting
supine
84.2
79.3
98.4
100
31.4
36.1
16.09
15.43
16
14
33.6
36.7
13.68 15
10.57 31.6
5.17
5.39
368
310
358
289
28.8
24.2
13
sitting
supine
77.4
69.4
90.7
88
39.5
43.4
14.23
13.31
14
16
32.8
26.8
10.96 23
9.52 28.6
10.46
8.68
361
281
343
329
28.6
36.6
14
sitting
supine
79.1
76.1
93.3
97.6
33.2
32
12.85
12.37
16
16
21.5
20.6
8.92
8.04
30.5
34.7
6.04
4.11
303
334
273
323
35.7
37.2
15
sitting
supine
62.1
57
73.7
73.9
38.4
39.6
12.44
13.7
18
18
20.3
22.4
9.58
8.77
23
36
9.70
8.51
357
329
260
221
45.2
54.8
16
sitting
supine
90
81
107.6
106.1
32
36.4
15.16
14.37
15
15
33.2
31.7
12.32 19
10.04 30.1
7.815
7.03
364
295
350
309
28.7
30.4
17
sitting
supine
68.9
66.7
82.3
87.4
37.5
38.3
12.64
13.03
17
17
20.9
21.5
9.25
8.40
26.7
35.3
7.87
6.31
330
331
266
272
40.4
46
18
sitting
supine
64.4
58
77.2
76.4
37.3
38.5
13.90
13.70
16
16
27
26.6
10.78 22.8
9.22 32.7
7.84
6.67
347
313
308
290
34.5
38.2
Definition of abbreviations: AaPO2, alveolar-arterial difference of oxygen; MV, minute ventilation; PaO2, arterial oxygen tension; PaCO2,
arterial carbon dioxide tension; Qs/Qt, right-to-left shunting (% of cardiac output); RR, respiratory rate; TV/VC, tidal volume/vital capacity; VA, alveolar ventilation; VCO2, carbon dioxide production; VD/VT, dead space ventilation/tidal volume; VO2, oxygen uptake.
any case we believe that our criterion to detect
hypoxemia (a value lower than 90% compared to
the age-adjusted PaO2, calculated by regression
equation) is more discriminant; with the limit value
of 80 mmHg we should consider elderly patients as
hypoxemic (# 13: aged 70 years, and # 14: 72
years) while, viceversa, we cannot detect hypoxemia
in younger patients (# 1: 25 year-old patient with a
sitting PaO2 of 82 mmHg).
The lying down position (figure 2) provoked a fall in
arterial oxygen tension in all but one patient, in
whom the PaO2 was substantially unchanged (from
32 MRM
88.2 to 89.4 mmHg), but a higher percentage of
hypoxemia was detected in the lying position (table
III): 77.8% (14 out of 18 patients) compared to 33%
of standing hypoxemia. We propose the term “clinodeoxia”, as the reverse of orthodeoxia, to describe
the accentuated arterial oxygen desaturation in the
lying position.
From our findings on this series of liver cirrhosis
patients three points are worthy of note:
1) Hypoxemia was seen in about one third of the
patients affected by liver cirrhosis.
2) In most of them, similar to normal subjects, the
MRM 01-2007_def
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Pagina 33
18
FIGURE 3: MAGNITUDE OF POSTURAL CHANGE
[LYING/SITTING (%)] OF PaO2 ACCORDING TO THE BASAL,
SITTING, VALUE
20
14
15
12
10
∆ PaO2 lying/sitting (%)
MV (l/min)
16
10
8
6
4
y=2.4774x + 19.702
r=0.543; p=0.02
2
0
0
-5
-10
-15
y=0.2424x + 11.378
r=0.5074; p=0.031
0
0
1
2
3
Albumin (g/dl)
4
5
-20
50
60
Definition of abbreviation: MV, minute ventilation.
70
80
PaO2 sitting (mmHg)
90
100
Definition of abbreviation: PaO2, arterial oxygen tension.
PaO2 deteriorated when lying down, but the
decrease in PaO2 was often more pronounced than
expected (“clinodeoxia”).
3) The postural trends of MV, VA and R-L shunting
(which are the pathophysiological mechanisms
accounting for this “clinodeoxia”) were significantly related to the patient's age.
The peculiar, posture-related hypoxemia described
by Robin et al. [11] and by Kennedy and Knudson
[29] was related to gravity-located vascular shunts;
Santiago and Dalton [30] postulated that the
orthodeoxia of their case report may be due to
increased fractional flow through the arteriovenous
malformations or to a reduction in cardiac output
and mixed venous oxygen saturation without a
change in the magnitude of the shunt. In any case,
all the previous investigations were undertaken
only because the patients complained of a peculiar
dyspnea while supine (platypnea).
Our study shows that, in the absence of platypnea,
the supine position provokes a fall in PaO2.
Abnormal vascular lung shunts, if present, should
not have a gravity-related (basal) distribution, as
would happen in patients with platypnea, but a uniform distribution through the vertical axis of the
lungs. In the study of Edell et al. [31], five out of six
patients had severe hypoxemia (lower than 60
mmHg). In the report of Krowka and Cortese [32], 9
out of 11 patients had a PaO2 lower than 60 mmHg:
in this study 10 patients showed an improvement of
PaO2 while lying (an increase higher than 10% was
seen in 7; in 3 patients the improvement was lower
than 1%); in only 1 patient did the PaO2 deteriorate
in lying position. It is noteworthy that the patient
with the highest value of sitting PaO2 (65 mmHg)
was the only one whose PaO2 decreased while
FIGURE 2: INDIVIDUAL VALUES OF PaO2 IN SITTING AND
RECUMBENT POSITION (IDENTITY LINE IS SHOWN)
FIGURE 4: RELATIONSHIP BETWEEN POSTURAL VARIATION
[SITTING/SUPINE (%)] OF MINUTE VOLUME AND AGE
100
F Polverino, C Santoriello, V De Sio, V Musella, C De Rosa, G Cicchitto, F De Blasio, F Andò, M Polverino
Recumbent hypoxemia in cirrhosis - Ipossiemia in clinostatismo nella cirrosi
FIGURE 1: RELATIONSHIP BETWEEN ALBUMIN AND MINUTE
VENTILATION IN SITTING POSITION
150
∆ MV sitting/supine (%)
PaO2 lying (mmHg)
90
80
70
100
50
60
y=0.4582x + 133.77
r=0.5266; p=0.025
50
0
50
60
70
80
PaO2 sitting (mmHg)
90
Definition of abbreviation: PaO2, arterial oxygen tension.
100
0
20
40
60
age (yrs)
80
100
Definition of abbreviation: MV, minute ventilation.
MRM
33
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FIGURE 5: RELATIONSHIP BETWEEN POSTURAL VARIATION
[SITTING/SUPINE (%)] OF ALVEOLAR VENTILATION AND AGE
350
y=2.6865x + 281.69
r=0.62; p=0.006
∆ R-L shunting sitting/supine (%)
300
100
50
y=0.9747x + 161.73
r=0.6672; p=0.0025
250
200
150
100
50
0
0
0
20
40
60
age (yrs)
80
100
0
20
40
60
age (yrs)
80
100
Definition of abbreviation: VA, alveolar ventilation.
Definition of abbreviation: R-L, right-left.
supine; the highest values of PaO2 among the
remaining 10 patients (respectively 61, 54 and 47
mmHg) were recorded in the three patients in
whom the change of posture produced a very slight
increase (lower than 1%) of PaO2; values between
44 and 31 mmHg were recorded in the other
patients who showed orthodeoxia. The sitting PaO2
in the case report of Kennedy and Knudson [29]
was 47.3 mmHg. In the report of Robin et al. [11],
the sitting PaO2 was 44 and 36 mmHg in the two
patients affected by chronic liver disease, and
39 mmHg in the patient affected by congenital
arteriovenous fistula.
Several groups of disorders have been associated
with platypnea-orthodeoxia syndrome, such as
some lung diseases (pulmonary arteriovenous
shunt, chronic obstructive pulmonary disease,
pneumonectomy, hepatopulmonary syndrome,
lung embolism, adult respiratory distress syndrome), intracardiac shunt (foramen ovale), and
autonomic neuropathy [43-57]: the common feature in all these cases is always a severe, standing
hypoxemia.
In our study, undertaken in unselected patients, the
values of sitting PaO2 ranged between 57.8 and 93.7
mmHg. According to the predicted value in the
same posture, hypoxemia (PaO2 lower than 90% of
predicted) was detected in six patients. The patient
with the lowest value of sitting PaO2 showed a slight
variation (of nearly 2%) when posture changed.
Therefore the main difference between ours and
other studies based on liver cirrhosis patients lies in
the different criteria of patient selection. Most of the
patients in the other reports had severe hypoxemia
whilst those in our study were not selected on the
basis of PaO2. The different results and the conclusions, consequently, cannot be homogeneously
compared.
Orthodeoxia (and the correspondent clinical symptom: platypnea) can probably be found only in
severely hypoxemic patients, while in normoxemic
and also in non severely hypoxemic patients affected
by liver cirrhosis, the postural variations follow the
trend of normal subjects, even if with a different
magnitude.
It has been well documented that, in normal subjects,
recumbency increases the total cardiac output by
an increase in venous return that results in a very
high stroke volume [58]; similarly, the recumbent
decrease in FRC by moving tidal breathing into airway closing volume is the major factor determining
arterial desaturation in the supine position
[24,27,59].
In conclusion, liver cirrhosis produces significant
variations of the respiratory function. The variations
in ventilation are strictly related to the disease, as
emphasized by the significant relationship between
MV and albumin. Compared to the sitting position,
more patients have hypoxemia when in recumbency
FIGURE 6: RELATIONSHIP BETWEEN POSTURAL VARIATION
(SITTING % SUPINE) OF DEAD SPACE VENTILATION AND AGE
250
∆ VD/VT sitting/supine (%)
200
y=1.5364x + 25.299
r=0.6156; p=0.0065
150
100
50
0
0
20
40
60
age (yrs)
80
Definition of abbreviation: VD/VT, physiological dead space.
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FIGURE 7: RELATIONSHIP BETWEEN POSTURAL VARIATION
(SITTING % SUPINE) OF RIGHT-TO-LEFT SHUNTING AND AGE
150
∆ VA sitting/supine (%)
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contrary, show a more pronounced recumbent
hypoxemia (“clinodeoxia”). Orthodeoxia and
platypnea are not markers of chronic liver diseases
but, when present, should be considered as hallmarks of severe, standing hypoxemia, regardless of
the underlying determining mechanism.
CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: The authors do not have
any financial relationship with a commercial entity that has an
interest in the subject of this manuscript.
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Recumbent hypoxemia in cirrhosis - Ipossiemia in clinostatismo nella cirrosi
(“clinodeoxia”). The main mechanisms accounting
for the “clinodeoxia” are an increased right-to-left
shunting and (as age increases) alveolar hypoventilation. Abnormal vascular lung shunts, if present,
should not have a gravity-related (basal) distribution, as would happen in patients with platypnea,
but should have a uniform distribution through the
vertical axis of the lungs.
Orthodeoxia (and its clinical manifestation: platypnea)
is not common in cirrhotic patients, who, on the
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Rassegna / Review
Scarsa aderenza al trattamento e mancato
controllo dell'asma
Uncontrolled asthma and poor treatment compliance
Roberto Walter Dal Negro
Divisione di Pneumologia, Ospedale Orlandi, Bussolengo (VR)
RIASSUNTO
Uno scarso livello di compliance e/o di aderenza al piano terapeutico è fenomeno frequente nei pazienti con asma bronchiale, per la quale è comunque prevista una strategia terapeutica
di lungo periodo con uno o più principi attivi, prevalentemente
per via inalatoria. Sono diversi gli attori potenzialmente coinvolti in tale fenomeno (paziente, medico, care-giver, ecc) che
comunque riconosce ulteriori determinanti, legati principalmente ai principi attivi impiegati e alla metodologia usata per
la loro assunzione. Fattori intenzionali e non intenzionali possono contribuire a determinare un insufficiente livello di aderenza alla terapia: è comunque certo che il livello di compliance/aderenza al piano terapeutico è in grado di condizionare in
maniera significativa la gestione della malattia e gli esiti clinici, sociali ed economici ad essa correlati. Per un efficace governo clinico dell'asma bronchiale non va quindi trascurata l'analisi e la comprensione di tutti i fattori che possono influire negativamente sulla compliance alla terapia, centrando gli eventuali interventi sul miglioramento delle strategie per la somministrazione dei farmaci, sull'ottimizzazione della partnership
medico-paziente e sull'implementazione delle strategie di comunicazione.
SUMMARY
Poor compliance and poor adherence to treatment and to
medical advice are common in asthma, which is a disease
requiring long-term assumption of one or more drugs, mainly
assumed via the inhalation route.
Several actors (patient, doctor, caregiver, etc.) are actively
involved in the disease management process and several determinants of the poor treatment adherence are known, mainly
related to both the pharmacological substances and the
devices used for therapeutic purposes.
Intentional and non intentional factors can contribute to compliance to treatment which is able to affect the outcomes of
asthma management substantially. The identification of these
factors represents a crucial step in the clinical governance of
bronchial asthma. Possible interventions should be oriented to:
optimizing drug administration strategies, reinforcing the doctor-patient partnership, and implementing communication
strategies in order to improve the patient-centered care of
bronchial asthma.
Parole chiave: Aderenza al trattamento, asma bronchiale, compliance.
Keywords: Adherence to treatment, bronchial asthma, compli-
INTRODUZIONE
sono contribuire a rendere particolarmente complessa l'interpretazione degli accadimenti e dei comportamenti ad essi correlati, rendendo in tal modo
assai complicata la gestione clinica di tale forma
morbosa.
Infatti, se sono essenziali le scelte basate sulla valutazione delle caratteristiche intrinseche delle molecole da impiegare, lo sono altrettanto quelle che
tengono conto delle modalità di somministrazione
dei diversi principi attivi disponibili e quelle che valutano nella giusta misura la possibilità di rispondere al meglio alle esigenze del paziente, identificato
L'asma bronchiale rappresenta certamente una
condizione patologica nella quale il ruolo della
terapia farmacologica riveste notoriamente un valore
critico, nondimeno quello del piano terapeutico
risulta assolutamente strategico [1].
I determinanti di coinvolgimento e adesione al processo terapeutico da parte del paziente, pur se ampiamente indagati e valorizzati in tempi recenti,
non risultano ancora del tutto definiti e compresi
[2]. Sono molte infatti le fonti di variabilità che pos-
ance.
Roberto Walter Dal Negro
Divisione di Pneumologia, Ospedale Orlandi
Via Ospedale 2, 37012 Bussolengo (VR), Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 05/02/2007 - Accettato per la pubblicazione: 05/03/2007
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come unico riferimento dell'attenzione e dell'azione terapeutica, ed inserito nella sua vita reale quotidiana [3].
Da un punto di vista generale, l'asma bronchiale è
oggi considerata una forma morbosa caratterizzata,
in varia maniera e con diverse connotazioni, dalla
presenza di fenomeni di origine infiammatoria [1,46]. Dal punto di vista semeiologico, la tosse, l'ipersecrezione, il senso di costrizione toracica, la broncocostrizione e la dispnea episodica o persistente
(solo a seguito di sforzo fisico o anche a riposo, prevalentemente diurna o prevalentemente notturna) e
l'esaltata risposta bronchiale a particolari trigger
(come gli agenti allergenici e/o gli stimoli aspecifici), oltre ad una più o meno precisa e prolungata
stagionalità annuale, rappresentano i segni ed i riferimenti clinici più caratteristici e di più agevole riscontro.
Va comunque tenuto in debita considerazione che
la persistenza delle alterazioni strutturali, il frequente ricorrere o perdurare dei principali fattori di
rischio, dei trigger e in genere delle condizioni di
variabilità della malattia, fanno sì che il paziente di
fatto necessiti di un trattamento regolare e quotidiano di lungo periodo orientato al raggiungimento del
suo controllo clinico. E per controllo si intende la
normalizzazione (o l'ottimizzazione) multidimensionale della malattia, comprendendo le alterazioni
fisiopatologiche, la sintomatologia clinica, la qualità di vita e l'impatto sociale ed economico dell'asma [2,7-9].
Da un punto di vista generale, la gestione strategica di questo genere di pazienti diventa complessa
proprio in virtù di tali obiettivi da raggiungere ed è
ad essi richiesta un'adesione quotidiana ever and
ever ai programmi terapeutici, oltre che un elevato
grado di skillness gestionale di se stessi.
Purtroppo, però, i dati disponibili, anche quelli più
recenti, stanno invece a dimostrare come da parte
dei soggetti asmatici sia ancora insufficiente il livello di adesione alle strategie terapeutiche per essi
impostate. In un recente studio condotto su oltre
500 soggetti asmatici adulti al fine di valutare l'aderenza all'uso di farmaci controller, la non aderenza
terapeutica per almeno due volte la settimana si è
verificata nel 27% dei soggetti per un motivo accidentale, ma nel 24% dei casi è stata dimostrata essere di natura intenzionale [10]. Non a caso, anche
tutte le più recenti linee guida sottolineano ed enfatizzano l'importanza di instaurare strategie terapeutiche le più semplici possibili, e corredate da indicazioni comportamentali altrettanto semplici e
chiare [1].
È importante comunque puntualizzare la differenza
ormai accettata fra il termine “compliance” ed il
termine “aderenza” alla terapia: mentre con il primo termine si intende la capacità del paziente di
adeguarsi passivamente, in qualità di semplice esecutore, al programma terapeutico o gestionale per
lui prescelto, col secondo si intende invece la capacità autonoma del paziente di assecondare criticamente ed in maniera motivata e consapevole il piano terapeutico in tutte le sue fasi, risultandone l'at-
tore principale ed alla fine il principale decisore
[3,11]. Non si tratta solo di una distinzione semantica, in quanto vi sono racchiuse tutte le motivazioni e tutti i valori che hanno determinato, ormai in
modo irreversibile, il passaggio etico-filosofico dal
modello paternalistico a quello contrattuale della
professione sanitaria.
Sono numerosi i fattori che possono condizionare
la compliance del paziente asmatico e/o la sua aderenza al progetto terapeutico (Tabella I).
A - Fattori di natura farmacologica
È ormai condiviso l'assunto che l'asma bronchiale
debba essere considerata una condizione patologica persistente di natura infiammatoria in grado, fin
dai suoi più precoci stadi evolutivi, di coinvolgere
estesamente le strutture bronchiali (epitelio, mucosa, sottomucosa, vascolarità, muscolatura liscia,
terminazioni nervose). A ciò, dal punto di vista clinico, corrispondono iperreattività bronchiale, tosse,
ipersecrezione, ostruzione bronchiale, senso di costrizione toracica, limitazione funzionale e, con frequenza variabile, episodi anche gravi di broncospasmo, reversibili (totalmente o parzialmente) spontaneamente o a seguito di terapia [1].
Tale variabilità di espressione clinica può far sì che
il paziente passi repentinamente da una situazione
di quasi normalità o completa normalità ad una situazione clinicamente grave o molto grave. Ciò,
unitamente ad un'ancora insufficiente conoscenza
dei fenomeni, ha contribuito non poco ad ingenerare il falso convincimento che asma bronchiale (e
quindi il suo riconoscimento clinico) debba necessariamente corrispondere e coincidere con quella
che di fatto rappresenta soltanto la fase critica della malattia, in altri termini con la crisi d'asma. Per
converso, l'assenza di segni clinici conclamati, peraltro variamente percepiti dal paziente e valorizzati dal medico, è ancora troppo spesso interpretata
come “assenza di malattia” piuttosto che come “fase in cui la malattia è sotto controllo”. Un recente
studio su questo particolare aspetto ha dimostrato
come il 53% dei pazienti adulti con asma persistente siano convinti di non essere ammalati di asma
quando non manifestano i tipici segni clinici della
malattia. Un tale errato convincimento è stato dimostrato correlare positivamente con l'età ed il sesso maschile dei soggetti, oltre che con l'elevato
consumo di steroidi per via orale, con la scarsa conoscenza del valore strategico della terapia prescritta e col basso livello di self-management [12].
Il fatto che l'asma bronchiale troppo spesso venga
ancora approcciata in tal modo nella vita reale è
purtroppo ancora documentabile e percepibile nella gestione quotidiana (territoriale e non solo) della
malattia: dati recenti hanno infatti dimostrato come, tuttora, una rilevante quota di soggetti asmatici
sfugga completamente alla diagnosi clinica e alla
stadiazione di gravità della malattia, e vengano gestiti in modo estemporaneo, mediante l'impiego
di soli farmaci al bisogno; di fatto negando la dignità di malattia all'asma bronchiale, misconoscendola [5].
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1 fattori correlati ai principi attivi impiegati
• tollerabilità (locale e sistemica)
• “dislike”
• complessità del piano terapeutico (numero e frequenza delle somministrazioni; farmaci a diversa via di assunzione;
combinazione di farmaci a diversa cinetica di azione, ecc)
• efficacia ed efficacia percepita
2 fattori correlati alla via e modalità di assunzione/erogazione
• più vie di somministrazione
• unica via di somministrazione per principi attivi combinati
• tipo di device
3 fattori correlati al paziente
• età e sesso
• profilo di personalità
• livello socio-culturale
• convincimenti etico-religiosi
• patologie concomitanti
• conoscenza della malattia
• propensione al self-management
4 fattori correlati al medico
• conoscenza specifica
• grado di empatia e sinergia col paziente
• comunicazione (predisposizione di piani scritti)
5 fattori correlati alla “public awareness - pubblica consapevolezza”
Il risultato finale è che, a differenza di quanto avviene nei soggetti puntualmente identificati come
asmatici, a tali soggetti non risulta possibile accedere in egual misura e con la dovuta tempestività ed
efficacia alle cure appropriate per il controllo della
malattia, non restando loro, in caso di necessità,
che ricorrere alle strutture di emergenza per far
fronte alle situazioni di criticità anche frequenti che
non sono in grado di gestire e controllare autonomamente.
I principi di appropriatezza e congruità terapeutica
entrano quindi prepotentemente in gioco e su queste basi andranno valutate compliance ed aderenza
al programma terapeutico.
Soprattutto nell'ambito di un trattamento prolungato (a medio-lungo termine) come l'asma richiede, è
perfino troppo evidente che sia la compliance che
l'aderenza al trattamento possano e debbano risentire sfavorevolmente di una scarsa o cattiva tollerabilità dei principi attivi impiegati. L'insorgenza non
rara di effetti collaterali locali o sistemici rappresenta ovviamente motivo di sospensione spontanea e
intenzionale della terapia da parte del paziente, in
questi casi motivata da accadimenti non dipendenti dalla sua volontà.
È peraltro vero che la tollerabilità dei farmaci utilizzati nel trattamento di patologie respiratorie croniche,
specie per quelli somministrati per via inalatoria, è da
ritenere generalmente assai buona (Tabella II):
un'attenta analisi delle cause degli effetti indesiderati riscontrabili consente di ricondurli spesso a un
loro incongruo uso (dosaggio errato o eccedente;
assunzione in condizioni non ottimali e non aderenti a quanto consigliato; particolare sensibilità del
soggetto; insufficiente illustrazione dei limiti di impiego, ecc).
Un fenomeno da non trascurare e comunque connesso alle molecole impiegate è quello del dislike,
cioè della percezione sgradevole del farmaco assunto da parte del paziente, che quindi tenta di rifiutarlo o lo rifiuta in toto dopo le prime assunzioni. Salvo casi paradigmatici di scadente palatabilità,
in molti di questi episodi i motivi oggettivi per il rifiuto risultano fortemente intricati a quelli soggettivi e, a volte, di difficile attribuzione esclusiva.
È inoltre evidente che, indipendentemente dalla
qualità dei principi attivi prescritti ed impiegati, sia
la compliance che l'aderenza alla terapia risulteranno altrettanto condizionate dalla loro quantità,
intendendo con ciò soprattutto il numero, e quindi
la frequenza, delle somministrazioni giornaliere da
effettuare che, nel caso specifico, avvengono nella
maggior parte dei casi per via inalatoria e/o orale.
In altri termini, la complessità del piano terapeutico
è certamente un fattore che può risultare gravemente condizionante un livello accettabile di compliance/aderenza, specie quando prevede, al contempo,
l'assunzione quotidiana e frequente di farmaci per
via orale e di farmaci per via inalatoria, soprattutto
se a cadenze orarie diverse e ravvicinate nell'arco
della giornata.
È noto infatti che, nell'asmatico adulto, passando
da una a quattro somministrazioni giornaliere l'aderenza alla terapia si abbatte drasticamente dal
87% al 39%, con cifre ancor più basse in età adolescenziale e giovanile [13].
In un'ottica di strategie di controllo, un corretto approccio terapeutico deve comunque proiettarsi nel
RW Dal Negro
Aderenza al trattamento e compliance nell'asma - Treatment adherence and compliance in asthma
TABELLA I: FATTORI IN GRADO DI CONDIZIONARE LA COMPLIANCE E L'ADERENZA ALLA TERAPIA
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lungo periodo e non accontentarsi di risultati immediati e gratificanti ottenibili già dopo pochi giorni. Sappiamo che l'asma riconosce la flogosi come
fondamentale momento patogenetico e in tale contesto i corticosteroidi inalatori sono i farmaci antinfiammatori più efficaci nel trattamento a lungo termine dell'asma. Inoltre rivolgendosi a questa malattia come ad una condizione patologica persistente
e, quindi, da controllare tutti i giorni e per tutto l'arco delle 24 ore (notte compresa), risulta consequenziale dover privilegiare principi attivi in grado
di consentire il controllo long-term dei sintomi, dotati sia di una tollerabilità adeguata che di un numero ragionevole di somministrazioni giornaliere
(non più di due volte al dì). È il caso dei farmaci
β2 adrenergici a lunga durata di azione (LABA), la
cui efficacia è documentata persistere almeno fino
a 12 ore dalla loro assunzione. Ecco, quindi, che
diventa consequenziale la necessità di associare
costantemente gli steroidi inalatori (ICS) ai LABA:
ciò al fine strategico di incidere efficacemente anche sugli effetti del coinvolgimento flogistico delle
strutture bronchiali, e quindi sui meccanismi patogenetici fondamentali della malattia [6]. Va ricordato che la terapia di combinazione è indicata nel
trattamento regolare dell'asma in pazienti che non
sono adeguatamente controllati con corticosteroidi
per via inalatoria e con β2 agonisti a breve durata
d'azione usati al bisogno o in pazienti che sono già
adeguatamente controllati sia con corticosteroidi
per via inalatoria che con β2 agonisti a lunga durata d'azione.
Per quanto attiene i potenziali motivi di ridotta
compliance terapeutica correlabili alla tollerabilità
degli steroidi inalatori, va tenuto presente che, a
conferma di quanto ricordato precedentemente, la
loro tollerabilità locale e sistemica si è dimostrata di
andamento lineare e proporzionale alla dose assunta. Differente è l'andamento della funzione che ne
rappresenta l'efficacia, la quale invece non risulta
lineare [14], con ciò significando che il controllo
della malattia medio-grave non va perseguito con la
somministrazione regolare e prolungata dei soli steroidi inalatori a dosi elevate, ma, come hanno già
da tempo dimostrato alcuni studi fondamentali,
mediante l'aggiunta di un β2 agonista long-acting,
in quanto questa strategia long-term è in grado di
produrre un consistente miglioramento del controllo dei sintomi, ben più efficace di quanto ottenibile
col raddoppio della dose dello steroide [14-19].
Tuttavia, poiché tale strategia terapeutica deve essere regolarmente mantenuta per tempi lunghi, ritorna attuale il problema della compliance e dell'aderenza al trattamento: un loro insufficiente utilizzo
può infatti condizionare di per sé, in maniera anche
significativa, il disease management della malattia
asmatica (Tabella II).
Infine, se è scontato l'aspetto meramente correlato
all'efficacia intrinseca dei principi attivi impiegabili ed impiegati (requisito garantito sulla base degli
standard e delle procedure previste dalle istituzioni
nazionali ed internazionali preposte), non è del tutto scontato l'aspetto della “efficacia percepita” da
parte del paziente.
Non è raro, infatti, che alcuni principi attivi, proprio
in virtù della non-percezione immediata da parte
del soggetto che li assume di un loro effetto benefico sul sintomo, vengano di fatto abbandonati poco
dopo l'inizio della terapia, in quanto ritenuti erroneamente inefficaci. Per converso, altri principi attivi vengono privilegiati dal paziente, fino ad abusarne, in virtù di una fugace efficacia sul sintomo,
sufficiente comunque a gratificarlo, indipendentemente dal loro valore terapeutico strategico nel lungo periodo o dalla possibilità di indurre effetti indesiderati anche rilevanti. È questo il caso paradigmatico dei β2 adrenergici short-acting (SABA), di cui
infatti il paziente asmatico tendenzialmente abusa
ed ai quali ancora troppo spesso egli si rivolge in
maniera estemporanea. Anche la frequente autoprescrizione di SABA è risultata correlare molto bene con la scarsa conoscenza della malattia e con la
scarsa attitudine del paziente (e verosimilmente anche del suo medico) ad approntare efficacemente
un piano per il self-management [12].
B - Fattori correlati alla via e alla modalità di assunzione/erogazione
Il ricorso alla via inalatoria per la somministrazione
di sostanze ad uso terapeutico rappresenta una
prassi ormai invalsa nell'uso e consolidata da molti
anni soprattutto in medicina respiratoria, specialità
nella quale tale via di somministrazione è, in assoluto, da ritenere la più conveniente. Da un punto di
TABELLA II: ASPETTI DELLA TERAPIA FARMACOLOGICA IN BASE ALLA VIA DI SOMMINISTRAZIONE DEL PRINCIPIO ATTIVO
Via di assunzione del principio attivo
Facilità
Orale
Inalatoria
++
+
+±
Necessità di supporti
+++
-
+
Assorbimento
+++
++
±
Possibili interferenze farmacocinetiche
++
++
±
Effetti collaterali
+±
+±
±
Raggiungimento target
Rapidità d'azione
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Parenterale
+
+
+++
+++
+
+++
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trollato diventa il margine di variabilità in termini di
efficacia (effectiveness), fortemente determinato da
quanto il paziente è in grado di eseguire correttamente l'inalazione.
Anche studi molto recenti confermano che i pazienti che usano MDI commettono errori procedurali con alta frequenza e tali da inficiare, non raramente, l'efficacia terapeutica del prodotto inalato.
Uno studio condotto su oltre 3.800 soggetti asmatici ha dimostrato che ancora oggi il 75% dei soggetti commettono almeno un errore procedurale rilevante impiegando gli MDI tradizionali, mentre tale
proporzione si riduce al 50-55% con l'impiego degli MDI breath-actuated [23]. Gli errori più comuni
continuano ad essere la non effettuazione di una
manovra espiratoria prima di inspirare dal device
(28,9%) e il non trattenere il respiro dopo aver eseguito l'inalazione del farmaco (28,3%).
Un rilevante salto di qualità è stato compiuto da
quando sono stati introdotti i più moderni erogatori per polveri secche. Questi device consentono, fra
gli altri, un grande vantaggio: quello di prescindere
in maggior misura dalle capacità cognitive e motorie del paziente. Si verifica così una serie di processi favorevoli a cascata: una maggiore frazione respirabile del farmaco implica una maggior efficacia
del principio attivo inalato e una riduzione dell'incidenza degli effetti collaterali orofaringei, da cui
risulta un sensibile miglioramento della compliance/aderenza al piano terapeutico. L'efficacia reale
(efficacy) e quella percepita risultano perciò assai
maggiori.
Limitatamente agli errori dipendenti esclusivamente dal tipo di device (comunque possibili in virtù
delle differenze costruttive, a volte rilevanti, che li
contraddistinguono), la proporzione di chi commette almeno un errore rilevante è risultata del
69% con gli MDI, percentuale che cala drasticamente con l'impiego dei moderni inalatori di polveri secche (DPIs) come il Turbohaler (32%) e il
Diskus (12%), risultando quest'ultimo quello impegato in maniera di gran lunga più efficace dai pazienti asmatici [23]. In una recente ricerca condotta su oltre 150 pazienti adulti con ostruzione bronchiale persistente, il Turbohaler è risultato il device
che ha dimostrato il più basso livello di preferenza
da parte dei pazienti, in virtù dell'elevato numero
di manovre richieste per l'attuazione dell'inalazione. Ciò è risultato indipendente dall'età, dal sesso
dei soggetti e dalla loro precedente esperienza con
DPIs; le maggiori criticità del device sono state
identificate nella difficoltà del suo impiego nelle situazioni critiche e nella sua scarsa maneggevolezza [24].
Il problema si complica ulteriormente quando al
paziente vengano prescritti due o più principi attivi
diversi da assumere quotidianamente sempre mediante MDI, magari secondo precise sequenze di
assunzione nell'arco della giornata.
La recente disponibilità di combinazioni di due farmaci inalatori fondamentali nella gestione dell'asma (LABA + ICS) erogati da un unico device, specie se sotto forma di polveri secche, ha determina-
RW Dal Negro
Aderenza al trattamento e compliance nell'asma - Treatment adherence and compliance in asthma
vista generale, i vantaggi della via inalatoria per la
somministrazione dei farmaci di interesse respiratorio sono molteplici: il farmaco viene convogliato
nelle vie aeree ove agisce direttamente, risultandone esaltata l'efficacia; viene evitato il first step epatico del principio attivo e la sua degradazione lungo il tratto gastrointestinale; possono essere usate
dosi efficaci assai inferiori a quelle sistemiche del
principio attivo, con grandi vantaggi in termini di
tollerabilità; possono essere evitate eventuali interferenze farmacocinetiche e farmacodinamiche con
altre sostanze biologicamente attive (Tabella II).
Tuttavia, l'inalazione dei principi attivi può variare,
anche in maniera consistente, a seconda delle modalità adottate e del tipo di erogatore impiegato per
l'assunzione del farmaco, fattori che, a loro volta,
possono influire in maniera rilevante sulla compliance e sull'aderenza alla terapia. Per esempio,
nel caso venga impiegato un aerosolizzatore domestico tradizionale, la dose di farmaco (o di farmaci)
inalata risulta certamente variabile in funzione dell'attenzione e dell'accuratezza poste dal paziente
nell'approntare il binomio farmaco-aerosolizzatore, e in secondo luogo anche in funzione dei limiti
tecnici intrinseci agli strumenti impiegati, di cui il
paziente solitamente nulla conosce. In sintesi, oltre
a risentirne l'efficacia del farmaco inalato (di solito
si tratta di più farmaci mescolati estemporaneamente dal paziente stesso all'atto di porli nell'ampolla
dell'aerosolizzatore), le procedure richieste da questo tipo di inalazione e il tempo necessario al completamento dell'erogazione del farmaco (da ripetere più volte al giorno) finiscono per favorire la non
compliance al piano terapeutico. Inoltre, la quota
di farmaco che residuerà nel cavo orofaringeo potrà contribuire ad abbassare la tollerabilità locale,
inducendo un'ulteriore riduzione intenzionale della compliance.
A partire dagli anni '60 si è reso possibile assumere
i farmaci mediante inalatori pressurizzati predosati
(MDI): ancora oggi, la maggior parte della terapia
inalatoria viene effettuata mediante tale sistema di
erogazione. Nell'arco degli anni si sono resi disponibili numerosissimi erogatori pressurizzati di foggia e dimensioni diverse, variamente caratterizzati
per peculiarità tecniche e costruttive, ma purtroppo
non sempre ugualmente rispondenti alle necessità.
Nonostante l'apparente semplicità d'impiego, l'inalazione mediante MDI comporta alcuni aspetti di
criticità di valore non trascurabile, parzialmente
correlati alla struttura intrinseca del device usato e
alla difficoltà del suo impiego pratico.
Fondamentalmente, la necessità di coordinamento
fra l'atto di inalare e la manualità richiesta per attuare l'inalazione ha fatto sì che tale genere di erogatori, pur se a tutt'oggi i più divulgati, siano tuttavia quelli peggio utilizzati dai pazienti [20-22]. Va
infatti sottolineato che se le performance terapeutiche assolute di principi attivi appartenenti alla medesima categoria terapeutica si possono fra loro differenziare in modo significativo in virtù delle caratteristiche farmacologiche intrinseche che li contraddistinguono (efficacy), assai ampio ed incon-
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to un ulteriore, sensibile miglioramento dell'aderenza terapeutica long-term da parte dei pazienti
asmatici, confermata anche in studi recenti. Tali
vantaggi sono stati anche dimostrati per le fasce di
età tradizionalmente meno complianti alla terapia
inalatoria prolungata (adolescenti, anziani) [25-27].
C - Fattori correlati al paziente
In corso di asma bronchiale, la compliance/adesione al trattamento dipende grandemente dalla volontà e dalla decisionalità del paziente: in altri termini dalla sua capacità di corrispondere in maniera più o meno intenzionale a quanto consigliatogli
e/o prescrittogli dal medico.
Si potrà quindi parlare di compliance totale, parziale, o non-compliance a seconda che il paziente segua, o sia in grado di seguire, meticolosamente,
piuttosto che parzialmente (in termini di dosi o di
durata della terapia), o non segua affatto quanto gli
è stato detto e prescritto dal medico che lo ha in
cura.
A questo proposito è ormai consolidato il consenso
sul fatto che l'assunzione da parte del paziente delle dosi consigliate in proporzione < 70-75% rispetto a quelle prescritte rappresenta un livello insufficiente di compliance/aderenza alla terapia: al di
sotto di questa soglia, infatti, l'efficacia della strategia terapeutica è da ritenere inficiata. Va da sé che
questo valore soglia può essere condizionato da fattori non esclusivamente dipendenti dalla volontà
del paziente, ma anche risultare condizionato da limiti fisico-cognitivi (motivati da particolari concomitanze patologiche) eventualmente presenti [20].
In una recente review è stato confermato che, in generale, la compliance dei pazienti asmatici mediamente non supera il 55% [28], ma i risultati più deludenti riguardano l'uso degli steroidi inalatori: in
parte poiché essi, come precedentemente ricordato, non determinano al paziente un gratificante effetto immediato sui sintomi (come avviene invece
con i β2 adrenergici), in parte per il pregiudizio, in
certi casi quasi fobico, nei confronti di tali farmaci,
anche se assunti per via inalatoria [29].
L'età e il sesso del paziente sembrano di per sé costituire un fattore rilevante in termini di compliance. In uno studio condotto su oltre 5.500 soggetti
con asma bronchiale, l'aderenza alla terapia è risultata correlata in modo diretto al sesso maschile e a
un'età > 35 anni, per una copertura terapeutica media di circa 22 giorni/mese [30]. In soggetti di età
più giovane, la compliance/aderenza alla terapia
long-term risulta assai minore in virtù di alcune motivazioni che questo genere di pazienti adduce: in
sintesi, l'asma è vissuta come motivo di diversità e
segregazione sociale rispetto ai coetanei sani e la
necessità di eseguire la terapia inalatoria quotidiana è ancora oggi percepita come motivo di disabilità almeno nel 25% dei giovani [13].
Non a caso il livello di compliance alla terapia
long-term finisce col fare i conti con le aspettative
del paziente nei confronti della terapia stessa, risultando la risoluzione dei sintomi (52%), la guarigione definitiva (36%), il miglioramento dello stato fi-
sico (21%), e il miglioramento dello stato psicologico (15%) le fondamentali discriminanti dell'efficacia percepita da parte del soggetto asmatico.
Naturalmente, anche queste dimensioni risultano a
loro volta condizionate da altri fattori, quali il livello di gravità e di conoscenza della malattia, il livello culturale e sociale del soggetto, il suo stato di ansia e insicurezza e, come vedremo successivamente, dal rapporto col proprio medico curante
[31,32]. Gli aspetti psicologici ed il profilo di personalità del paziente asmatico risultano giocare di
per sé un ruolo effettivamente assai rilevante in termini di aderenza alla terapia prolungata, soprattutto tenendo presente la già nota scarsa correlazione
fra effettivo grado dell'ostruzione bronchiale e la
percezione della gravità dei sintomi respiratori correlati [33,34].
È stato di recente dimostrato come la depressione
possa incidere per circa il 32% nei pazienti asmatici e l'ansia per circa il 35%. Entrambe queste condizioni psicologiche si caratterizzano per una scarsa accettazione della malattia e delle limitazioni da
essa imposte, ma anche per una scarsa conoscenza
della malattia e per una insufficiente capacità di
identificare i segni clinici del peggioramento della
stessa. Lo stato ansioso, inoltre, è direttamente proporzionale con il timore di effetti collaterali dovuti
alla terapia [35].
Anche tenendo conto di tutti i fattori di complessità
e di confondimento sopra riportati, è dunque importante ricercare e adottare le soluzioni gestionali
che consentano di ottimizzare l'aderenza alla terapia da parte del paziente.
Fatti salvi gli assunti fondamentali sul razionale in
termini di efficacia della “terapia di associazione”,
tutti gli studi controllati ad oggi disponibili in letteratura sull'impiego clinico a medio-lungo termine
della “terapia di combinazione” sottolineano la migliore convenienza terapeutica di quest'ultima, soprattutto in termini di accettabilità da parte del paziente e della sua adesione al programma terapeutico. In altre parole, la “terapia di combinazione”
da un unico erogatore si conferma capace di migliorare ulteriormente l'effectiveness della ormai
consolidata “terapia di associazione”, riducendo in
maniera significativa il ruolo dei molti fattori critici
legati alla doppia inalazione da erogatori diversi. A
questo proposito, un'indagine telefonica condotta
su soggetti ignari di essere controllati dal punto di
vista della loro adesione al trattamento e ai quali
veniva richiesto soltanto di riferire (dopo 2 e 4 settimane dall'inizio del trattamento) il numero di dosi residue nell'erogatore all'atto della telefonata, ha
consentito di dimostrare come l'impiego di un unico erogatore per la terapia combinata facesse sì che
il livello di adesione fosse superiore al 90% ancora
dopo 4 settimane di trattamento, mentre con l'uso
di due distinti erogatori la compliance fosse alla
stessa epoca già scesa sotto il 75% [25].
D - Fattori correlati al medico
Per avere una completa visione dei fattori in grado
di condizionare la compliance/aderenza alla tera-
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glior controllo dei sintomi, una migliore qualità di
vita, un migliore e più appropriato impiego dei farmaci [40]. In tal modo, infatti, l'aderenza alla terapia risulta grandemente facilitata e favorita, poiché
generata e sostenuta da una completa concordanza
di intenti fra i due attori principali, oltre che da una
efficace e pro-attiva consapevolezza da parte del
paziente [3,41].
E - Fattori correlati alla public awareness
Nella società attuale, un altro aspetto di cui non va
trascurata la rilevanza strategica è quello correlato
all'incremento della conoscenza e della consapevolezza di questi problemi a livello di opinione
pubblica: ciò, infatti, non potrà che contribuire a
sensibilizzare per via indiretta i pazienti asmatici,
in quanto anch'essi cittadini inseriti nella società
reale e nella vita attiva e produttiva. La promozione
di campagne informative in tal senso da parte delle
istituzioni sanitarie, oltre a incrementare la sensibilità generale sulla malattia asmatica, indurranno infatti i pazienti ad una più attenta e motivata condotta gestionale di se stessi, in quanto viene loro fornita un'ulteriore opportunità di meglio percepirne il
valore strategico anche dal punto di vista della società cui appartengono [42].
In un'ottica di gestione globale della malattia, è
quindi sempre più importante conoscere e far conoscere le necessità, le aspettative e i limiti comportamentali del paziente asmatico.
Ancora oggi, infatti, una scarsa conoscenza della
malattia e dei farmaci assunti giustificano molto
spesso aspettative errate da parte del paziente che,
a loro volta, possono, per scetticismo, sfiducia e falsi convincimenti, condurre ad una incredibile tolleranza dei limiti indotti dalla malattia, oltre che ad
un sempre più basso livello di aderenza alla strategia terapeutica long-term [43].
A tale proposito, il ruolo e l'azione delle associazioni dei pazienti sono di rilevanza non trascurabile, sia
perché in grado di raggiungere capillarmente e con
messaggi idonei tutti i pazienti affiliati, sia perché
possono stimolare con efficaci proposizioni le istituzioni preposte alla salute pubblica [44].
RW Dal Negro
Aderenza al trattamento e compliance nell'asma - Treatment adherence and compliance in asthma
pia dei soggetti asmatici, va fatto riferimento anche
all'altro grande attore coinvolto nel controllo della
malattia: il medico. Il suo carisma, la sua empatia,
la sua voglia di farsi coinvolgere in modo attivo e
pro-attivo nella gestione del paziente rappresentano gli aspetti fondamentali.
È perfino troppo evidente, infatti, che l'impegno
globale del medico gioca in tutto ciò un ruolo critico: da esso derivano infatti esiti fra loro interdipendenti come la tempestività della diagnosi, l'effettivo
controllo clinico della malattia, la soddisfazione
del paziente, il corretto e appropriato impegno delle risorse disponibili, il contenimento dei costi sociali. A tale proposito, è stato di recente dimostrato
che, ancora oggi, i pazienti asmatici ricevono poco
più del 50% della terapia consigliata dalle linea
guida e che risulta migliore la gestione della loro
malattia se avviene a cadenza routinaria, piuttosto
che in occasione degli eventi di riacutizzazione
[36].
È quindi sempre più cruciale e critico il ruolo della
relazione fra medico e paziente, che sempre più
spesso dovrebbe trasformarsi in vera e propria “alleanza” finalizzata a meglio interagire, avendo come obiettivo comune il controllo della malattia
asmatica. Studi recenti hanno dimostrato che se tale alleanza è forte e consolidata risulta assai migliore la conoscenza della malattia da parte del paziente; è più elevata l'efficacia e l'utilità percepita della
terapia; è più elevato il livello di compliance ed è
più frequente ritrovare un efficace self-management
da parte del paziente [37].
La propensione del medico a comunicare al paziente le giuste informazioni riguardanti la sua malattia, così come a renderlo edotto sui fattori di rischio e sui più convenienti comportamenti da assumere per evitarne gli effetti più negativi, oltre alla
qualità della comunicazione stessa, risultano aspetti critici e capaci di condizionare fortemente gli atteggiamenti e i convincimenti del paziente, e quindi la sua compliance alla strategia terapeutica
[11,12,38].
In particolare, nell'ambito di un'efficace partnership medico-paziente, grande attenzione deve essere riservata ai problemi connessi alla gestione terapeutica e all'informazione sui farmaci che al paziente sono stati consigliati e prescritti: ciò soprattutto nell'intento di fugare convincimenti errati e
consolidare invece l'assunzione di evidenze che
contribuiscano a sostenere una buona aderenza alla terapia nel lungo periodo.
Risultati assai incoraggianti sono stati ottenuti avviando i soggetti, specie quelli più predisposti e meglio attrezzati psicologicamente, ad un percorso
educazionale guidato, fino all'ottenimento, in alcuni casi, di un soddisfacente livello di self-management: ciò, possibilmente, sulla base di piani strategici scritti da consegnare al paziente, con il duplice
intento di consolidarlo nei giusti convincimenti e di
accompagnarlo nel percorso terapeutico corretto
[39]. Tale modo di procedere si sta sempre più rivelando un metodo gestionale efficace, consentendo
migliori outcome clinici e gestionali, quali un mi-
CONCLUSIONI
In conclusione, nei pazienti affetti da asma bronchiale la scarsa aderenza alla strategia terapeutica è
fenomeno frequente e di non trascurabile rilevanza
in termini di esito, in quanto contribuisce in modo
sostanziale a determinare il non controllo della
malattia, oltre che all'aumento dei costi sanitari
correlati.
Se l'efficacia dell'impegno terapeutico non può essere disgiunta dai concetti di appropriatezza e di congruità della strategia adottata, è tuttavia altrettanto vero che l'attitudine del medico a scegliere le opportunità migliori e più favorevoli al paziente, unitamente
alla disponibilità di quest'ultimo ad assecondarle in
maniera consapevole e motivata, possono fare la differenza in termini di risultati ottenibili, sia dal punto
di vista clinico che socio-economico.
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Implementare il livello di compliance/aderenza alla strategia terapeutica rappresenta forse la strategia
più semplice e alla portata di tutti gli operatori sanitari per aumentare in maniera significativa la cost-effectiveness della gestione dell'asma bronchiale,
consentendo al paziente di ottenerne un miglior
controllo e alla società un minor impegno di risorse.
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: L'autore non ha
rapporti finanziari con entità commerciali che abbiano un interesse nel soggetto di questo manoscritto.
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Rassegna / Review
Identificazione di nuovi outcome per la BPCO
Defining new outcomes for COPD
1
Claudio F. Donner, 2Claudio M. Sanguinetti
1
2
Mondo Medico, Centro Medico Polispecialistico e Riabilitativo, Borgomanero (NO)
U.O.C. di Pneumologia, A.C.O. San Filippo Neri, Roma
RIASSUNTO
La BPCO è una malattia respiratoria che può manifestarsi con
differenti quadri clinici e determinare anche complicanze sistemiche. Pertanto appare necessario individuare degli “outcome”
che, riflettendo la molteplicità delle espressioni cliniche della
malattia, siano in grado di rilevare lo stato di salute complessivo del paziente. Fino ad ora nelle sperimentazioni farmacologiche riguardanti la BPCO e nelle valutazioni di tipo medico-legale e assicurativo sono state quasi sempre utilizzate come outcome le modificazioni della funzione respiratoria, in particolare
del FEV1, che hanno una scarsa correlazione con i sintomi, con lo
stato funzionale e la qualità della vita. Nell'ottica di una valutazione più globale della BPCO bisogna considerare, oltre agli indici funzionali respiratori, altri outcome, come la frequenza ed
intensità delle riacutizzazioni, la necessità di terapia al bisogno,
lo stato funzionale del paziente e la qualità della vita correlata
con lo stato di salute, misurati con appositi strumenti.
Parole chiave: BPCO, FEV1, outcome, qualità della vita connessa con la salute, riacutizzazioni, stato funzionale.
ABSTRACT
COPD is a respiratory disease that can present with different
clinical aspects and cause systemic consequences. It seems
thus necessary to find outcomes that are able to reflect the
variety of clinical manifestations of the disease and to reveal
the whole patient's health status.
In pharmacological trials and in health insurance assessment
relative to COPD patients, respiratory function parameters, in
particular FEV1, have been used to date as an outcome measure. However, respiratory function changes show a poor correlation with patients' symptoms, health status and health-related quality of life (HRQoL).
Thus, in an overall view of COPD it is necessary to take into
consideration, besides respiratory function parameters, new
outcomes like the rate and severity of exacerbations, rescue
therapy, the patient's functional status and HRQoL measured
with appropriate instruments.
Keywords: COPD, COPD exacerbations, FEV1, functional status,
health-related quality of life, outcome.
INTRODUZIONE
La definizione di broncopneumopatia cronica
ostruttiva (BPCO) contenuta nel recente documento
congiunto dell'American Thoracic Society e della
European Respiratory Society [1] sottolinea che essa
è “una malattia prevenibile e trattabile caratterizzata
da una limitazione del flusso aereo che non è completamente reversibile, abitualmente progressiva e
associata ad una anormale risposta infiammatoria
dei polmoni a particelle o gas tossici, primariamente
causata dal fumo di sigarette. Sebbene la BPCO colpisca i polmoni, essa determina anche significative
conseguenze sistemiche”.
In questa definizione sono contenuti alcuni concetti molto importanti e con caratteristiche decisamente più positive [2] rispetto alle precedenti, in primis
quello che richiama l'attenzione sulla possibilità di
prevenire la malattia, in particolare contrastando l'abitudine al fumo di sigarette e controllando l'inquinamento ambientale. Ne deriva quindi la necessità
di impegnare ogni risorsa per aumentare la conoscenza della malattia e l'educazione ad uno stile di
vita più sano, onde impedire che si raggiungano
quegli stadi di gravità che comportano una invalidità
permanente.
Un altro punto è quello della curabilità, che lascia
ampio spazio ai continui progressi farmacologici e
non farmacologici registrati in questa patologia cronica, che può essere discretamente controllata in
un'ampia maggioranza di casi, specie se la diagnosi viene effettuata precocemente e il danno respiratorio non è ancora grave. Infine, l'aspetto forse più
innovativo e anche interessante, frutto di numerosi
e qualificati studi condotti negli ultimi tempi sull'argomento, è quello che la BPCO, malattia respiratoria cronica, può anche avere, con l'intermediazione di una flogosi sistemica, conseguenze su altri organi ed apparati dell'organismo [3,4].
Claudio M. Sanguinetti
U.O.C. di Pneumologia, A.C.O. San Filippo Neri
Via Martinotti 20, 00135 Roma, Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 09/01/2007 - Accettato per la pubblicazione:19/02/2007
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lati all'andamento clinico, come le modificazioni
della capacità inspiratoria e dell'iperinflazione polmonare, che correlano in modo più attendibile del
FEV1 con l'incidenza di mortalità nei pazienti con
BPCO [9], anche se persistono ancora alcune difficoltà in ordine alla standardizzazione e riproducibilità dei risultati [10,11].
Gli indicatori di risultato che riflettono lo stato di
salute del paziente debbono però comprendere, oltre a misure relative ai valori di funzionalità respiratoria, anche la qualità e l'intensità dei sintomi, la
frequenza e la gravità delle riacutizzazioni (che
rappresentano un importante fattore di progressione
della malattia), lo stato funzionale del paziente,
cioè la capacità che egli ha di svolgere determinate funzioni e in particolare quelle abituali della vita
quotidiana, la necessità di ricorrere alla terapia e le
sue preferenze in ordine alla stessa, il livello di soddisfazione e la qualità della vita connessa con lo
stato di salute [5].
La spirometria, e specialmente i parametri che studiano la pervietà delle vie aeree, come il FEV1, sono molto utili per lo screening diagnostico e, assieme ad altri parametri, per la stadiazione della
BPCO. L'emogasanalisi arteriosa è indispensabile
per la rilevazione della presenza di insufficienza respiratoria [12,13].
Nei pazienti con BPCO la valutazione funzionale
respiratoria assume ancor più valore per il fatto che
in ampi studi epidemiologici è emerso che oltre il
60% dei soggetti con deficit spirometrici di tipo
ostruttivo non avevano mai ricevuto in precedenza
una diagnosi di BPCO e quindi una quota molto rilevante di questa patologia rimane non diagnosticata specie nelle fasi di gravità lieve-moderata [14],
mentre d'altra parte è noto che molti pazienti cui è
stata attribuita una diagnosi di BPCO non hanno
mai eseguito un esame spirometrico.
Di fatto, molto spesso la malattia è diagnosticata
quando ha già raggiunto un livello di progressione
abbastanza avanzato, mentre sarebbe più logico e
molto più efficace evidenziare le alterazioni infiammatorie o degenerative nella loro fase iniziale in risposta all'esposizione di inquinanti ambientali o
voluttuari, così da poter intervenire con un'opera
più efficace di prevenzione.
A differenza di altre condizioni patologiche nella
BPCO non è stato ancora stabilito definitivamente
quali marcatori biologici siano utilizzabili per monitorare la progressione della malattia e anche come indice di risultato nelle sperimentazioni cliniche; tuttavia è ormai chiaro che gli outcome nella
BPCO debbano comprendere anche altre variabili,
di cui bisogna tener conto nel disegno di trial farmacologici o di ricerca clinica [15].
Si è infatti nel tempo consolidata l'esigenza di poter disporre di altri obiettivi per un giudizio più
completo e soprattutto più rispondente a quanto il
paziente percepisce. In questo contesto sono stati
individuati degli outcome la cui misura può essere
riferita direttamente dal paziente, quali lo stato di
salute, lo stato funzionale, la compliance verso la
terapia e la soddisfazione nei confronti dell'assi-
CF Donner, CM Sanguinetti
Identificazione di nuovi outcome per la BPCO - Defining new outcomes for COPD
Necessità di nuovi outcome per la BPCO
Questa nuova interpretazione di una vecchia malattia come la BPCO implica anche che per attuare una
verifica più completa e clinicamente significativa
della progressione della malattia e dell'efficacia di
un certo approccio terapeutico, sia esso farmacologico che di altro tipo, è necessario individuare degli
outcome (cioè dei risultati) che, riflettendo la molteplicità delle espressioni cliniche della BPCO, siano
in grado di qualificare lo stato di salute complessivo
del paziente [5,6].
Ovviamente gli outcome, e i “marker” atti a rappresentarli, cambiano a seconda delle necessità che si
configurano in un certo momento, in un particolare contesto o ancora per specifici interessi, come
possono essere ad esempio quelli incentrati sulla
percezione del paziente, oppure le rilevazioni di
economia sanitaria o ancora quelle medico-legali
ed assicurative. In particolare, per quanto riguarda
le sperimentazioni farmacologiche gli outcome devono rispondere al criterio della praticabilità, chiarezza di interpretazione e praticità, sia per lo svolgimento degli studi clinici che -ancor più- per l'applicazione pratica dei risultati. La tipologia degli
outcome può così modificarsi a seconda del momento, del contesto e dello scopo per cui essi sono
utilizzati [7].
Fino ad ora negli studi clinici riguardanti la BPCO
e nelle valutazioni di tipo medico-legale ed assicurativo è stato quasi sempre utilizzato come indicatore di risultato il volume espiratorio forzato nel 1°
secondo (FEV1), ritenuto essere il parametro obiettivo più adatto a rappresentare le modificazioni della malattia, spontanee o farmacologicamente indotte, cioè un marker globale per tutte le alterazioni fisiopatologiche che si verificano nella BPCO.
Tuttavia, il grado di limitazione del flusso aereo evidenziabile misurando il valore di FEV1 ha una scarsa correlazione con la presenza e l'intensità dei sintomi accusati dal paziente e più in generale con il
suo stato di salute, che necessita di una valutazione
multidimensionale e più completa per stabilire la
progressione della malattia e l'effetto dei vari interventi terapeutici [8].
Infatti le modificazioni del FEV1 nel breve termine a
seguito dell'intervento terapeutico, specie con
broncodilatatori, sono piuttosto scarse in questa
malattia, che per definizione causa una limitazione
del flusso aereo scarsamente reversibile, nonostante si registri spesso un contemporaneo miglioramento della sintomatologia e dello stato di benessere del paziente, mentre si hanno risultati più significativi, seppure sempre di modesta entità e probabilmente poco rilevanti dal punto di vista clinico,
in osservazioni di lunga durata che prevedano alcuni anni di monitoraggio dell'indice funzionale.
Quindi sembra piuttosto paradossale usare questo
outcome funzionale per giudicare l'efficacia dell'intervento terapeutico e diversi studi che hanno impostato la valutazione di esito su questo parametro non
hanno potuto ottenere risultati soddisfacenti [2].
Anche per questo motivo si è cercato di selezionare altri indici funzionali potenzialmente più corre-
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stenza sanitaria [16,17]. Tali misure debbono necessariamente avere le caratteristiche della semplicità e della chiarezza dal punto di vista del paziente, ma anche di affidabilità, sensibilità, specificità e
credibilità biologica per quanto riguarda gli investigatori.
Poiché la BPCO ha molte componenti, così che la
stessa malattia si può presentare con una certa eterogeneità di espressioni cliniche, con diversa gradualità di impegno anatomo-funzionale respiratorio
e con manifestazioni patologiche anche extrapolmonari, è del tutto improbabile che un singolo indice, come il FEV1, o anche più parametri funzionali respiratori possano fungere da indicatori di outcome complessivi in tutti i casi di BPCO [7].
Nuovi outcome per la BPCO
In una malattia basata sulla risposta infiammatoria
delle vie aeree a noxae esogene, la necessità di outcome basati sulle modificazioni di marker biologici
che testimoniano e descrivono lo stato infiammatorio sembrerebbe piuttosto evidente. In questo contesto però siamo ancora in fase sperimentale e non
sempre è facile distinguere i pazienti con BPCO da
quelli che, pur esposti al medesimo fattore di rischio, non accusano i sintomi della malattia e non
hanno alterazioni funzionali evidenziabili [18].
Date le caratteristiche della BPCO, in cui spesso si
determina un'estensione sistemica della flogosi
broncopolmonare, con conseguenze a livello di altri organi ed apparati, la verifica di outcome basata
sulla variazione dopo terapia di marker sistemici,
come il livello ematico di proteina C reattiva [19],
può riservare future interessanti prospettive.
Al riguardo sarebbe molto importante poter disporre di indicatori abbastanza precisi dello stato di riacutizzazione della malattia, anche per poter intervenire efficacemente con farmaci o altri interventi a
scopo preventivo.
Al momento, pur essendo già in uso da qualche
tempo negli studi clinici, l'incidenza delle riacutizzazioni della BPCO rappresenta un nuovo outcome
molto importante, non solo perché gli episodi acuti possono significare un insuccesso del trattamento, ma anche e soprattutto perché essi contribuiscono alla progressione della malattia, oltre ad imporre un aggravio di spesa sanitaria e sociale per la necessità di aumentare la terapia farmacologica e soprattutto per la frequente necessità di ricoverare il
paziente in ospedale [20,21].
Questo è particolarmente frequente negli stadi di
maggiore gravità della BPCO [22], con conseguenti prolungate assenze dal lavoro in coloro che ancora svolgono un'attività professionale.
Negli studi clinico-farmacologici che riguardano la
BPCO, e specialmente gli effetti che la terapia broncodilatatrice e antinfiammatoria produce, questo
indicatore di outcome dovrebbe essere inserito routinariamente, assieme agli altri parametri che fanno
riferimento alla presenza e intensità della sintomatologia e alla qualità della vita che il paziente percepisce, anche per le valutazioni relative ai costi sanitari e all'allocazione delle risorse.
Numerosi studi su ampia scala in cui è stata sperimentata nei pazienti con BPCO la somministrazione prolungata dei corticosteroidi per via inalatoria,
isolatamente o in associazione ai broncodilatatori a
lunga durata d'azione [23,24], e dei broncodilatatori anticolinergici ad azione prolungata [25], hanno dimostrato una diminuzione nella frequenza e
gravità delle riacutizzazioni, parallelamente ad un
miglioramento dei sintomi, spesso dovuto a diminuzione dell'iperinflazione polmonare, e conseguentemente anche della qualità della vita, pur in
presenza di scarsi miglioramenti della funzione respiratoria, almeno per ciò che concerne la limitazione del flusso nelle vie aeree. Vale la pena sottolineare che i dati provenienti da studi clinici effettuati con la terapia di associazione β2-agonisti a
lunga durata d'azione e corticosteroidi per via inalatoria hanno mostrato un effetto addizionale significativo sulla funzione polmonare e sulla riduzione
dei sintomi nei pazienti che ricevono la terapia di
combinazione rispetto ai singoli componenti in
monoterapia. I maggiori effetti in termini di riacutizzazioni e stato di salute si riscontrano in pazienti con FEV1 < 50% del teorico, pazienti nei quali la
terapia di associazione è chiaramente più efficace
dei singoli componenti in monoterapia [1].
Attualmente la terapia di combinazione è indicata
per il trattamento sintomatico di pazienti con BPCO
grave (FEV1 < 50% del teorico) ed una storia di riacutizzazioni ripetute, che abbiano sintomi significativi nonostante la terapia regolare con broncodilatatori.
D'altra parte i pazienti sono raramente in grado di
percepire e valutare modificazioni più o meno consistenti della funzione respiratoria, ma il loro principale interesse è giustamente rivolto alla presenza
e intensità di una sintomatologia clinica, che è il
motivo per cui più spesso essi si rivolgono al medico. Il sintomo che nella BPCO riveste maggiore rilievo per il paziente è la dispnea che, assieme alla
limitazione della capacità di svolgere esercizio fisico di cui è uno dei fattori determinanti, deve quindi essere visto come outcome di primaria importanza nella valutazione di esito. Tanto più che con opportuni interventi terapeutici, farmacologici e non,
la dispnea, così come la capacità di svolgere esercizio e lo stato di salute, può migliorare significativamente, a differenza degli indici funzionali respiratori tradizionali [13].
Infatti le variazioni della dispnea esprimono in pratica l'influenza del trattamento sulla possibilità che
il paziente ha di svolgere in maniera più o meno
soddisfacente la sua vita quotidiana e anche per
questo motivo, oltre che per la correlazione con l'evoluzione della malattia, la graduazione del sintomo è stata inserita nell'indice multidimensionale di
valutazione dei pazienti con BPCO proposto e validato da Celli e coll. [26].
La percezione della dispnea da parte del paziente
non si modifica parallelamente alle variazioni del
valore di FEV1 [27] e pertanto deve essere direttamente valutata con appositi strumenti [6]. I punteggi di quantificazione della dispnea si sono già da
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di salute, si può dire che essa sia la risultante del livello di influenza esercitato dalla salute sul personale grado di soddisfazione di ogni individuo. Vi è
una certa sovrapposizione fra stato funzionale, cui
abbiamo accennato sopra, e qualità della vita correlata alla salute e spesso i due parametri vengono
misurati contemporaneamente con strumenti volti
ad obiettivare lo stato di salute generale del paziente, anche se essi presentano caratteristiche differenti [16,17,36].
Diversi questionari, sia generici [37] che specifici
per la BPCO [38], sono in grado di cogliere eventuali modificazioni dello stato di salute e della qualità della vita in conseguenza della malattia cronica
respiratoria e in relazione all'apporto terapeutico. Il
loro impiego in alcuni studi clinici di lunga durata
condotti su ampie popolazioni di pazienti con
BPCO [39] ha consentito il riscontro di un peggioramento dello stato di salute, specie nei pazienti
con BPCO più grave, ed il suo miglioramento con
corticosteroidi per via inalatoria. Similmente, un
punteggio maggiore di HRQoL, cioè il suo peggioramento, correla con una più frequente incidenza e
gravità delle riacutizzazioni della malattia [40].
Risultati simili in termini di miglioramento della
qualità della vita, del TDI, dello stato funzionale e
della incidenza delle riacutizzazioni, con allungamento del tempo intercorrente fra un episodio acuto e il successivo, si sono resi evidenti nello studio
di Vincken et al. [25] in cui i pazienti con BPCO sono stati trattati nel lungo termine con un anticolinergico inalatorio a lunga durata di azione.
Queste osservazioni rafforzano ulteriormente il valore della prevenzione delle riacutizzazioni, cercando
di ridurne l'incidenza e la gravità, come indicatore di
outcome che ogni approccio terapeutico alla BPCO
dovrebbe prevedere, oltre alla valutazione dello stato di salute e di altri parametri intimamente connessi con la vita quotidiana del paziente.
CF Donner, CM Sanguinetti
Identificazione di nuovi outcome per la BPCO - Defining new outcomes for COPD
molto tempo dimostrati adatti e utili per verificare
la presenza del sintomo, sia a riposo che durante
l'esercizio fisico, e vengono correntemente usati allo scopo [28-30].
Ulteriori modifiche delle scale di valutazione della
dispnea consentono attualmente una obiettivazione
più precisa del sintomo e soprattutto delle sue modificazioni in relazione all'intervento terapeutico,
così come espresso ad esempio dal rapporto fra
Baseline dyspnea index e Transitional dyspnea index (BDI/TDI) e dalle Minimally important differences (MIDs), cioè le minime variazioni in senso migliorativo o peggiorativo che abbiano un significato
clinico [31,32]. In un'analisi retrospettiva di quasi
mille pazienti con BPCO, trattati con broncodilatatori a lunga durata di azione di tipo simpaticomimetico o anticolinergico, oppure con placebo, in
aggiunta alla terapia abituale, significative variazioni positive di questo indice sono apparse correlare
anche con un maggiore controllo della malattia,
espresso dal minor uso di broncodilatatori ad azione rapida al bisogno, con una diminuzione della incidenza di riacutizzazioni e con un miglioramento
dello stato di salute [33].
Infatti, in una valutazione di outcome che sia incentrata sul paziente bisogna anche tener conto del
suo stato di salute, ed in particolare dello stato funzionale, intendendosi con questo termine la capacità del paziente di svolgere le normali attività della vita quotidiana. Lo stato funzionale è un parametro complesso, solo in parte dipendente dalle alterazioni della fisiologia respiratoria, che viene influenzato anche dalla presenza di altre malattie di
cui il paziente non raramente soffre oltre a quella
respiratoria, dal condizionamento comunque indotto e dalla motivazione che il paziente può sviluppare [6].
È importante valutare e misurare con opportuni metodi lo stato funzionale, che può servire come outcome di riferimento in determinati gruppi di pazienti, ad esempio quelli in cui lo svolgimento di
una normale vita quotidiana è profondamente alterato e che può ripristinarsi almeno in parte come
conseguenza della terapia. La misura di questo indicatore di risultato può essere effettuata interrogando il paziente per raccogliere le informazioni
relative alle attività di diverso tipo che egli è in grado di compiere e graduando i sintomi che tali attività determinano [34]. Alternativamente possono
essere utilizzati metodi di osservazione diretta delle attività mediante registrazione delle stesse, così
da verificarne meglio la consistenza e la qualità allo scopo di migliorare la performance fisica laddove possibile.
Strettamente connessa con lo stato funzionale è la
qualità della vita correlata alla salute (HRQoL) che
il paziente percepisce. Dal punto di vista del paziente quindi questo è un outcome fondamentale
del trattamento, anche perché non sufficientemente
surrogato dalle sole variazioni della funzionalità respiratoria [35]. Pur essendo in generale la qualità
della vita condizionata da molte variabili, facendo
specifico riferimento a quella che deriva dallo stato
CONCLUSIONI
Finora nella maggioranza delle valutazioni di risultato di vari interventi terapeutici nella BPCO sono
stati utilizzati come outcome le modificazioni dei
valori funzionali respiratori ed in particolare del
FEV1, che per definizione è scarsamente modificabile in questa malattia.
Anche in considerazione delle varie manifestazioni
cliniche, respiratorie e non, con cui la malattia può
manifestarsi, si è nel tempo rafforzata la convinzione che gli outcome funzionali da soli non siano in
grado di soddisfare i requisiti per una valutazione
globale degli effetti dei vari interventi terapeutici e
soprattutto non esprimano adeguatamente quello
che per il paziente è un interesse primario e cioè lo
stato di salute.
Poiché la scelta di un outcome adeguato dipende
dalle caratteristiche della malattia e dallo scopo per
cui viene condotto un determinato studio clinico,
appare fondamentale che esso possa essere misurato facilmente e abbia una certa rispondenza a
quanto si verifica nella pratica clinica [41].
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Al momento vi è la concreta possibilità di scegliere
vari outcome, con caratteristiche diverse atte a rappresentare i differenti aspetti con cui la BPCO può
presentarsi o evolvere nel tempo, molti dei quali
maggiormente orientati a valutare l'esito dal punto
di vista del paziente, come la presenza ed intensità
della sintomatologia, lo stato di salute e conseguentemente la qualità della vita che egli percepisce. In
una malattia che spesso inesorabilmente progredisce nonostante la terapia, ottenere modificazioni
positive di questi indicatori di outcome costituisce
già un reale ed importante beneficio.
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: Gli autori non
hanno rapporti finanziari con entità commerciali che abbiano
un interesse nell'oggetto di questo articolo.
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Rassegna / Review
Progetto MILD: prevenzione e diagnosi
precoce del tumore polmonare
The MILD project: prevention and early diagnosis of
lung cancer
Ugo Pastorino, Elisa Calabrò
Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Milano
RIASSUNTO
Il carcinoma polmonare è la principale causa di morte per tumori al mondo; si stima che nel terzo millennio oltre 1.300.000 saranno i decessi all'anno per tale patologia; la sopravvivenza
complessiva a 5 anni del 10% in Europa e del 15% negli Stati
Uniti. La prognosi più favorevole si ha se la diagnosi è effettuata in uno stadio precoce (stadio I) che ne permetta la resezione
completa. L'uso della TAC spirale a basso dosaggio di radiazioni
è stato proposto per individuare precocemente la presenza di
noduli polmonari nella popolazione a rischio (sostanzialmente
fumatori o ex-fumatori di età compresa tra i 50 e i 70 anni), ma
la reale efficacia nel ridurre la mortalità è tuttora oggetto di discussione. In particolare la mortalità per cause non oncologiche
legate al tabagismo impone un intervento coordinato di prevenzione primaria e secondaria che ha suggerito la progettazione
dello studio MILD (Multicentric Italian Lung cancer Detection)
ad opera dell'Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei
Tumori di Milano, volto a promuovere la disassuefazione al fumo, il monitoraggio periodico con TAC spirale annuale o biennale e un'attività di ricerca sui marcatori biologici.
Parole chiave: Prevenzione primaria, prevenzione secondaria,
TAC spirale a basso dosaggio, tumore polmonare.
ABSTRACT
Lung cancer is the major cause of cancer mortality world-wide.
It is estimated that in the third millenium there will be more
than 1,300,000 deaths per year from lung cancer with a global
5-year survival rate of 10% in Europe and 15% in the United
States. The prognosis is best if the disease is diagnosed at an
early stage (stage I) thus permitting complete surgical resection. The use of low-dose spiral computed tomography (CT)
has been proposed for an early detection of the presence of
pulmonary nodules in the high-risk population (mainly smokers or ex-smokers aged 50-70 years) but its real effectiveness
in reducing mortality has yet to be established. In particular,
the mortality from non oncologic causes linked to tobacco
smoking calls for a coordinated intervention of primary and
secondary prevention: it is for this reason that the Multicentric
Italian Lung cancer Detection (MILD) study has been implemented, under the auspices of the National Institute for
Cancer Research and Treatment of Milan, with the aim to promote smoking cessation, annual or biennial spiral CT screening
and research on biological markers.
Keywords: Low-dose spiral CT, lung cancer, primary prevention,
secondary prevention.
INTRODUZIONE
La sopravvivenza complessiva a 5 anni per il tumore polmonare è solo del 10% in Europa e del 15%
negli Stati Uniti. Negli ultimi 20 anni i progressi in
termini curativi in questo ambito sono stati modesti.
La diagnosi tardiva di una malattia già in stadio
avanzato rimane la causa principale del fallimento
terapeutico. La diagnosi precoce mediante l'utilizzo
della tomografia assiale computerizzata (TAC) spirale a basso dosaggio di radiazioni risulta una delle
più promettenti metodiche nell'ambito della ricerca
clinica e continui miglioramenti tecnologici potrebbero rendere questo strumento più efficace della
mammografia utilizzata per la diagnosi precoce del
tumore alla mammella.
I risultati degli studi pilota condotti nell'ultimo decennio hanno dimostrato che il monitoraggio annuale con TAC spirale a basse dosi senza contrasto è
in grado di identificare molti tumori polmonari in
stadio iniziale, ma non è certo che sia in grado di ridurre la mortalità per tumore polmonare nei forti fumatori. Per dimostrarne l'efficacia reale, sarà necessario arruolare un numero ampio di soggetti ad alto
Ugo Pastorino
Divisione di Chirurgia Toracica - Istituto Nazionale Tumori
Via Venezian 1, 20133 Milano, Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 11/11/2006 - Accettato per la pubblicazione: 08/01/2007
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Stato dell'arte
Il carcinoma polmonare è la principale causa di
morte per tumori al mondo; si stima che nel terzo
millennio oltre 1.300.000 saranno i decessi all'anno
per tale patologia [1]. Nei paesi occidentali le iniziative volte alla prevenzione primaria e alla disassuefazione al fumo hanno dato buoni risultati in termini di prevalenza di fumatori attivi, ottenendo una
significativa riduzione della mortalità tra gli uomini,
ma non ancora nelle donne. Tuttavia, negli ultimi
vent'anni la sopravvivenza globale dei malati di
cancro polmonare non è migliorata, nonostante
l'impiego di risorse terapeutiche ottimali. Ancora
oggi più del 90% di tutti i casi diagnosticati in
Europa muoiono nell'arco di 5 anni, un valore di
molto diverso rispetto alla mortalità per cancro della mammella o del colon [2]. In ogni caso la prognosi del tumore polmonare dipende molto dalla
estensione della malattia al momento della diagnosi
e dalla possibilità di procedere ad un trattamento loco-regionale curativo prima che si siano manifestate
localizzazioni metastatiche extra-polmonari.
Quando il tumore è confinato al polmone senza evidenza patologica di lesioni metastatiche (stadio I), il
tasso di sopravvivenza a 5 anni dopo resezione chirurgica è maggiore del 60% [3-5], con un range
compreso tra l'80% e il 90% se la dimensione del
tumore è inferiore ai 3 cm [6]. Questi dati suggeriscono che la diagnosi precoce e il trattamento chirurgico potrebbero migliorare la sopravvivenza dei
pazienti con tumore polmonare.
In passato, gli studi randomizzati sulla diagnosi precoce con l'esame citologico dell'espettorato e la radiografia del torace non hanno dimostrato una riduzione della mortalità per cancro polmonare [7-10]
ed i risultati negativi di questa esperienza clinica
hanno bloccato ogni sviluppo sui programmi di diagnosi precoce rivolti a questa patologia. In tempi più
recenti l'avvento della TAC spirale a basso dosaggio
di radiazioni ha generato un rinnovato interesse nei
confronti della prevenzione secondaria del tumore
polmonare. Infatti, oggi è possibile eseguire una TAC
spirale senza mezzo di contrasto in meno di 15 secondi, con dose radiante limitata e costi che sono simili a quelli dello screening mammografico.
Uso della TAC spirale low-dose per la diagnosi precoce del tumore polmonare
Molti studi pubblicati negli ultimi dieci anni hanno
dimostrato l'elevata sensibilità della TAC spirale e i
buoni risultati che si ottengono con l'uso sistematico della TAC spirale del torace per la diagnosi precoce su soggetti ad alto rischio. Gli studiosi giapponesi hanno condotto per primi questa esperienza
provando l'inequivocabile sensibilità diagnostica
della TAC spirale, anche se il tasso di scoperta di tumori polmonari era fortemente influenzato dal profilo di rischio della popolazione arruolata in questi
screening, che comprendeva anche soggetti giovani
e non fumatori [11-12]. Nel 1999, l'Early Lung
Cancer Action Project (ELCAP) promosso dalla
Cornell University di New York ha dimostrato che la
TAC spirale possiede elevata accuratezza e sensibilità se paragonata alla radiografia standard del torace nell'identificare tumori di piccole dimensioni
(56% < 1 cm) con una resecabilità del 96% e una
frequenza di tumori in stadio I dell'80% [13]. In
quello studio, che utilizzava una TAC torace di prima generazione a strato singolo, per ottenere la migliore performance l'esame doveva essere ripetuto
con il mezzo di contrasto numerose volte in una
gran parte dei volontari, con un complesso algoritmo di ricostruzione tridimensionale per la valutazione dell'incremento volumetrico e per un lungo periodo di intervento (3, 6, 12 e 24 mesi).
Lavori successivi di altri gruppi di ricerca, negli Stati
Uniti e in Europa, hanno ottenuto risultati molto simili per quanto riguarda la valutazione iniziale, definita come esame baseline (Tabella I). Invece, i risultati a lungo termine appaiono alquanto discordanti.
Ad esempio, l'esperienza della Mayo Clinic con TAC
multi-strato ha dimostrato una frequenza globale di
riscontro di noduli non calcificati molto alta, aumentando così gli interrogativi sulla difficoltà di una
diagnosi differenziale, sull'efficacia e sui costi di un
programma di screening [14-19].
La nostra esperienza, iniziata il giugno 2000 su una
coorte di 1.035 volontari (età: ≥ 50 anni, fumo: ≥ 20
pacchetti/anno), aveva lo scopo di testare il valore
della TAC a basso dosaggio di radiazioni eseguita
annualmente, associata alla tomografia ad emissione di positroni (PET) e ai biomarker molecolari [19].
Questo studio è stato il primo a cercare di semplificare l'algoritmo diagnostico e di migliorare l'accuratezza della TAC spirale nei confronti di noduli polmonari indeterminati, considerando non sospette le
lesioni fino a 5 mm (da controllare con nuova TAC
low-dose a distanza di un anno) e utilizzando la PET
al posto dell'agobiopsia percutanea per la valutazione di lesioni non calcifiche di diametro ≥ 7 mm. I risultati a due anni hanno confermato la sicurezza di
tale approccio conservativo, con 22 casi di tumore
diagnosticati, il 95% di resezioni complete e il 77%
di stadio I (dimensione media del tumore: 18 mm).
Tuttavia, se si confrontano i nostri dati a 5 anni con
quelli della Mayo Clinic, le differenze nel protocollo diagnostico (17% versus 74% di lesioni sospette)
non hanno alcun impatto sul numero di tumori polmonari diagnosticati e trattati, né sulla percentuale
di neoplasie in primo stadio (70% verso 68%)
(Tabella II).
U Pastorino, E Calabrò
Progetto MILD per il tumore polmonare - The MILD project for lung cancer
rischio in studi prospettici e randomizzati che associno la prevenzione primaria mediante la disassuefazione al fumo con l'utilizzo della TAC spirale a
basso dosaggio di radiazioni, fornendo al contempo
il miglior trattamento dei pazienti con tumore polmonare e il minimo danno per i soggetti sani arruolati. Inoltre, la determinazione contestuale di marcatori molecolari con l'analisi genomica e proteomica
sul sangue e sull'espettorato, potrebbe migliorare la
diagnosi differenziale, definire il rischio individuale
dell'incidenza di cancro, e orientare la scelta di terapie sistemiche mirate sulla base del profilo biologico del singolo individuo.
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TABELLA I: DIAGNOSI PRECOCE DEL TUMORE POLMONARE CON TAC SPIRALE: RISULTATI INIZIALI DI STUDI
OSSERVAZIONALI
1° autore
Ref.
# soggetti
# con lesioni
(%)
# tumori
Henschke
Sone
Nawa
Sobue
Diederich
Swensen
Pastorino
[13]
[14]
[15]
[16]
[17]
[18]
[19]
1.000
5.483
7.956
1.611
817
1.520
1.035
233 (23)
588 (11)
541 (7)
907 (56)
350 (43)
1.049 (69)
284 (27)
27
23
36
13
12
26
11
Diagnosi precoce e mortalità per cancro polmonare
In Italia la mortalità per tumore è di oltre 35.000
morti/anno e l'unico rimedio davvero efficace è rappresentato dalla chirurgia. Non solo la mortalità per
questa patologia rimane altissima, ma al contrario di
quanto avvenuto per altri tumori molto frequenti come mammella e colon, non si è modificata in modo
significativo negli ultimi 20 anni. Anche l'introduzione dei nuovi farmaci molecolari non appare in
grado di migliorare la percentuale di guarigioni, e gli
studi controllati mostrano un effetto solo di palliazione, a fronte di costi estremamente elevati.
La riduzione della mortalità, specifica per tumore
polmonare e specialmente globale, dovrebbe essere
l'obiettivo principale di ciascun programma di diagnosi precoce in individui ad alto rischio, e certamente è l'unica dimostrazione della sua reale efficacia. È comunque molto difficile valutare variazioni
di mortalità in forti fumatori sia in studi osservazionali che in studi randomizzati, a causa di fattori di
confondimento dovuti all'esposizione al fumo di tabacco durante il monitoraggio radiologico. Infatti, il
perdurare delle abitudini tabagiche interferisce poco
con l'incidenza di tumore a medio termine, ma presenta un forte effetto sulla mortalità dovuta a tutte le
altre cause (cardiovascolari, BPCO) e può essere
strettamente associata alla modalità di intervento
diagnostico. Ad esempio, il fatto che i soggetti sottoposti a controllo TAC annuale mantengano un consumo di tabacco elevato potrebbe essere almeno in
parte dovuto al senso di protezione generato dallo
screening, e l'aumento di mortalità conseguente a
tale comportamento sarebbe in grado di oscurare il
potenziale beneficio della diagnosi precoce. Per va-
# stadio I
(%)
23 (85)
23 (100)
28 (78)
10 (77)
7 (64)
19 (73)
6 (55)
lutare la grandezza dei fattori di rischio di morte concomitanti, si dovrebbe tener conto del fatto che nel
gruppo di controllo dei due maggiori studi del
National Cancer Institute statunitense sulla chemoprevenzione del tumore polmonare con beta-carotene [21-23], che hanno arruolato oltre 50.000 forti fumatori, l'incidenza del cancro polmonare è stata
pressoché identica (4,7 vs. 4,6 per 1.000 persone-anno, Tabella III) mentre la mortalità globale è stata più
alta del 70% (20,1 vs. 11,9) nel trial ATBC dove tutti
i partecipanti fumavano e l'80% di questi ha continuato a farlo durante l'intero periodo di intervento rispetto al trial CARET che ha arruolato il 39% di ex fumatori [24]. Nel valutare i risultati a lungo termine
della diagnosi precoce, Patz et al. hanno dedotto che
la mortalità specifica nei trial che usano la TAC spirale è molto simile a quella osservata nel vecchio studio
MLP (Mayo Lung Project) condotto negli anni settanta, cosa che dimostrerebbe l'inefficacia delle nuove
tecnologie diagnostiche [25]. Comunque, se si confronta la mortalità per cancro polmonare senza la restrizione del campione usata da Patz (Tabella II), è evidente che i dati della Mayo Clinic come quelli dello
studio di Milano sono compatibili con una riduzione
della mortalità di almeno il 20% (1,6 e 2,4 vs. 4,4 e
3,9 per 1.000 persone-anno) nei soggetti che si sottopongono alla TAC spirale annuale [20,25].
TABELLA III: INCIDENZA DI CANCRO AL POLMONE E TASSO
GLOBALE DI MORTALITÀ (1.000 PERSONE-ANNO) NEL
GRUPPO DI CONTROLLO DEI TRIAL DI CHEMOPREVENZIONE
DEL US NATIONAL CANCER INSTITUTE (NCI)
Fumatori (%)
Attuali
Ex
TABELLA II: CONFRONTO TRA I RISULTATI DELLO STUDIO
DELLA MAYO CLINIC E DI QUELLO DI MILANO: PERCENTUALI
CUMULATIVE A 5 ANNI DEI SOGGETTI CON LESIONI
SOSPETTE ALLA TAC, E CON TUMORI POLMONARI,
PER RESECABILITÀ E STADIO PATOLOGICO
a 5 anni
Soggetti con lesioni sospette (%)
Carcinomi polmonari (%)
Resecabilità chirurgica (%)
Tumori polmonari in stadio I (%)
54 MRM
Mayo
1.520
Milano
1.035
74
4
94
68
17
4
94
70
PHS TRIAL [21]
Incidenza di tumore polmonare
Tasso totale di mortalità
0,6
7,3
11
39
ATBC TRIAL [22]
Incidenza di tumore polmonare
Tasso totale di mortalità
4,7
20,1
100
0
CARET TRIAL [23]
Incidenza di tumore polmonare
Tasso totale di mortalità
4,6
11,9
60
39
Legenda: ATBC, Alpha-Tocopherol Beta-Carotene Cancer Prevention
Study; CARET, Carotenoid and Retinol Efficacy Trial; PHS, Physicians'
Health Study.
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Gent. ma Signora, Egr. Signore,
L'Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori Milano promuove uno studio per la
prevenzione/diagnosi precoce dei tumori polmonari (Progetto MILD) rivolto alla cittadinanza
A chi si rivolge il Progetto MILD?
Si rivolge a persone ad alto rischio di tumore polmonare in quanto forti fumatori, o ex-fumatori che abbiano
smesso di fumare da meno di dieci anni, di età compresa tra i 49 e i 75 anni.
A quali esami verrà sottoposto chi aderisce al progetto?
Il soggetto eleggibile sarà assegnato casualmente a uno dei 2 gruppi: un gruppo di controllo che effettua
visita pneumologica con esame spirometrico e un programma di prevenzione primaria attraverso la cessazione del fumo, e un gruppo che associa la TAC spirale periodica alla prevenzione primaria.
Quest'ultimo gruppo sarà ulteriormente randomizzato in TAC annuale verso TAC ogni 2 anni.
A seconda del suo gruppo di randomizzazione, Lei eseguirà:
Gruppo di controllo
• Visita pneumologica ogni anno con esecuzione di spirometria, un esame semplice e rapido che permette
di misurare la quantità di aria che una persona può inspirare ed espirare soffiando in un tubo connesso ad
un computer.
• Intervento di prevenzione primaria. Se Lei è ancora fumatore o fumatrice possiamo illustrarLe i vantaggi
ottenibili con la cessazione del fumo, gli eventuali danni che sono stati dimostrati essere legati all'abitudine al fumo e se desidererà sottoporsi a programmi di disassuefazione da fumo riceverà un elenco di
tutti i Presidi nei quali sono attivi programmi di prevenzione primaria.
• In occasione di ognuno di questi appuntamenti annuali dovrà riempire un questionario sul consumo di
tabacco ed esibire eventuali esami medici eseguiti nell'intervallo fra gli appuntamenti.
Gruppo TAC spirale
• eseguirà una TAC spirale ogni anno / ogni 2 anni presso l'Istituto Tumori di Milano o altro centro partecipante al Progetto per la durata dello studio (minimo 3 anni).
• in occasione di ognuno di questi appuntamenti annuali / biennali dovrà fornire un campione di sangue.
• eseguirà una visita pneumologica, ogni anno / ogni 2 anni a seconda del gruppo di randomizzazione,
con esecuzione di spirometria, un esame semplice e rapido che permette di misurare la quantità di aria
che una persona può inspirare ed espirare soffiando in un tubo connesso ad un computer.
• Le verrà proposto un intervento di prevenzione primaria. Se Lei è ancora fumatore o fumatrice possiamo
illustrarLe i vantaggi ottenibili con la cessazione del fumo, gli eventuali danni che sono stati dimostrati
essere legati all'abitudine al fumo e se desidererà sottoporsi a programmi di disassuefazione da fumo
riceverà un elenco di tutti i Presidi nei quali sono attivi programmi di prevenzione primaria.
• In occasione di ognuno di questi appuntamenti, annuali/biennali, dovrà compilare un questionario sul
consumo di tabacco ed esibire eventuali esami medici eseguiti nell'intervallo fra gli appuntamenti.
U Pastorino, E Calabrò
Progetto MILD per il tumore polmonare - The MILD project for lung cancer
DIAGNOSI PRECOCE DEL TUMORE POLMONARE:
STUDIO MULTICENTRICO ITALIANO
Come si aderisce al Progetto MILD dell'Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano?
L'adesione al Progetto MILD è assolutamente volontaria ed è completamente GRATUITA.
Il soggetto verrà contattato telefonicamente per fissare un appuntamento per l'esecuzione degli esami che
potranno essere effettuati presso l'Istituto Nazionale Tumori di Milano oppure in qualsiasi ALTRO CENTRO
che aderisce al progetto MILD. Per acquisire informazioni dettagliate sull'adesione al Progetto telefonare
al numero verde 800.21.36.01. o collegarsi al sito internet dedicato www.mildtrial.org, oppure inviare una
mail all'indirizzo [email protected].
Anche se uno studio non-randomizzato presenta dei
bias di selezione nella popolazione di riferimento, è
importante sottolineare che il tasso di mortalità per
tumore polmonare del 4 per 1.000 persone-anno osservato nel trial MLP si avvicina molto a quello osservato nei trial CARET e ATBC, e rappresenta oggi il
tasso di mortalità attesa più plausibile per una popolazione tipica di forti fumatori di età compresa tra i
50 e i 70 anni [24]. Un tentativo più sofisticato per
predire la mortalità mediante modelli epidemiologici, proposto recentemente da Bach et al. Merita ul-
teriori valutazioni [26].
Gli studi pilota sul monitoraggio sistematico di soggetti ad alto rischio con TAC spirale hanno raggiunto l'obiettivo di messa a punto della metodica, indicando un potenziale effetto favorevole sulla guarigione del tumore polmonare, come dimostra lo studio recentemente pubblicato sul New England
Journal of Medicine [27], ma l'effetto sulla mortalità
globale appare molto più limitato di quello atteso,
perchè questi studi non comprendono alcun intervento di prevenzione primaria. La ricerca sulla diaMRM
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gnosi precoce è quindi una priorità per ridurre la
mortalità nei soggetti a rischio, ma la fase degli studi pilota non controllati è finita e in tutto il mondo
si sta passando alla fase degli studi prospettici randomizzati su grandi numeri, che hanno lo scopo di
mostrare se esista un beneficio reale, in termini di riduzione della mortalità, nei soggetti che si sottopongono al controllo periodico.
Il progetto MILD (Multicentric Italian Lung cancer
Detection) è stato attivato con l'obiettivo di ridurre
la mortalità dovuta al fumo di tabacco, sia per tumore polmonare che per altre patologie, in soggetti ad
alto rischio. Il progetto MILD si differenzia dagli altri studi randomizzati in corso nel mondo perché per
la prima volta unisce la prevenzione primaria con la
diagnosi precoce e la quantificazione del rischio individuale, utilizzando le tecniche più avanzate di
diagnosi strumentale e biologia molecolare. MILD è
un programma gratuito rivolto a forti fumatori di almeno 49 anni (BOX). Che cosa significa arruolarsi?
Significa essere tutelati, entrare in un programma di
prevenzione ed essere protetti per anni.
Chi si arruola viene aiutato ad uscire dalla dipendenza ed è sottoposto ad una serie di controlli che
consistono in un esame della funzionalità respiratoria, che comprende la spirometria, da parte di uno
specialista pneumologo, oltre ad una serie di esami
biologici sul sangue. Metà dei soggetti, scelti mediante un sistema di randomizzazione stratificata,
verranno sottoposti anche a monitoraggio con TAC
spirale, annuale o biennale. Lo scopo è quello di individuare eventuali tumori polmonari ancora allo
stato iniziale, e quindi intervenire precocemente limitando al massimo i danni funzionali della chirurgia polmonare. Ma è evidente che è previsto un intervento terapeutico anche in presenza di altre patologie non oncologiche, quindi diamo la garanzia di
una protezione completa. Agli ex fumatori, oltre al
controllo del respiro e alla caratterizzazione biologica molecolare, verrà offerta la randomizzazione
tra TAC annuale e TAC biennale.
Quindi MILD prevede:
a. un'attività di prevenzione primaria: ridurre il numero dei fumatori attraverso la prevenzione primaria significa di per sé diminuire il rischio di
morte per fumo, anche per le patologie non polmonari;
b. la prevenzione secondaria attraverso il monitoraggio periodico con TAC spirale annuale o biennale;
c. un'attività di ricerca sui marcatori biologici.
Questo è un aspetto importantissimo: è dal monitoraggio dei volontari che si arruoleranno al programma che potremo capire quali sono gli strumenti diagnostici davvero efficaci (non è detto che la TAC spirale sia più utile di altri strumenti meno sofisticati), e
valutare attraverso il gruppo di controllo non sottoposto alla TAC periodica la reale efficacia di un programma diagnostico su larga scala.
La ricerca svolta sui campioni di sangue e sulla fuzionalità respiratoria, rivolta alla caratterizzazione
biologica individuale, può consentirci sia di riconoscere precocemente forme pretumorali sia di individuare chi è predisposto geneticamente ad ammalarsi di tumore, quindi di diminuire la mortalità e mirare l'intervento diagnostico adeguandolo alle caratteristiche individuali, con minor sofferenza per il paziente e riduzione della spesa sanitaria.
È grazie alla sinergia di questi tre aspetti che speriamo di raggiungere il nostro obiettivo: dimezzare la
mortalità secondaria al fumo. Per raggiungere questo risultato abbiamo bisogno dell'adesione di almeno 10.000 soggetti a rischio che oltre a difendere se
stessi partecipando al progetto MILD daranno un serio e concreto contributo alla ricerca aiutando così
anche tutti gli altri.
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: Gli autori non
hanno rapporti finanziari con entità commerciali che abbiano
un interesse nell'oggetto di questo articolo.
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Rassegna / Review
Una “pallottola magica” per la terapia
dell'asma allergico
A “magic bullet” for the treatment of allergic asthma
Francesco Tarantini, Ilaria Baiardini, Giovanni Passalacqua, Fulvio Braido, Giorgio Walter Canonica
Allergy & Respiratory Diseases, DIMI University of Genova, Genova
RIASSUNTO
L'opportunità più affascinante tra le nuove terapie per l'asma è
probabilmente rappresentata dagli anticorpi monoclonali. Le
nuove tecnologie hanno reso possibile la sintesi di anticorpi monoclonali specifici, virtualmente capaci di interagire con qualsiasi antigene-bersaglio. La maggior parte di queste molecole è
umanizzata, in modo tale da ridurre la possibilità di sensibilizzazione e di conseguenza la produzione di auto-anticorpi. Poiché
l'asma è sostanzialmente una malattia infiammatoria sono stati sperimentati anticorpi specificamente diretti contro mediatori coinvolti nella cascata infiammatoria, ma quasi sempre con risultati deludenti per la comparsa di effetti collaterali legati al
coinvolgimento del mediatore in altre importanti funzioni dell'organismo, o per l'assenza di benefici sintomatici percepibili
dal paziente. Ad oggi solo l'omalizumab ha dato effetti positivi.
È un anticorpo diretto contro le IgE che ne abbatte i livelli ematici entro 24 ore dalla somministrazione sottocute. Poiché le IgE
non sono coinvolte in altre rilevanti funzioni biologiche è scevro
di effetti collaterali e nell'asma bronchiale allergico induce un
miglioramento della funzione respiratoria e dei punteggi assegnati dal paziente ai propri sintomi ed ai questionari sulla qualità di vita. Il suo uso è limitato all'asma allergico severo, nei pazienti in cui il quadro non è controllato con la classica associazione steroidi inalatori - β2-agonista a lunga durata d'azione.
Parole chiave: Asma, linee guida GINA, infiammazione, omalizumab, qualità di vita.
ABSTRACT
Among the new therapies for asthma, monoclonal antibodies
probably represent one of the most fascinating opportunities.
New technologies have made it possible to synthesize specific
monoclonal antibodies capable of interacting with virtually
any target antigen. The majority of these molecules are
humanized so as to reduce the possibility of sensitization and,
as a consequence, the production of autoantibodies. Since
asthma is substantially an inflammatory disease, research has
focused on antibodies specifically targeted against mediators
involved in the inflammatory cascade, but results have almost
always been disappointing due to the appearance of side
effects linked to the mediator's involvement in other important functions of the organism, or to the absence of symptomatic benefits perceivable by the patient. To date only omalizumab has yielded positive results. It is an antibody targeted
against IgEs that combats their hematic levels within 24 hours
following subcutaneous administration. Since IgEs are not
involved in other significant biological functions it has no side
effects and, in allergic bronchial asthma, leads to an improvement in respiratory function as well as in patients' self-reported symptom scores and in quality of life questionnaires. Its use
is limited to severe allergic asthma, in patients in whom the
clinical picture is not controlled with the classical inhaled
steroid - long acting β2 -agonist association.
Keywords: Asthma, GINA guidelines, inflammation, omalizumab,
quality of life.
L'opportunità più affascinante tra le nuove terapie
per l'asma è probabilmente rappresentata dagli anticorpi monoclonali. Le nuove tecnologie attualmente disponibili nel campo della biologia molecolare e dell'immunogenetica hanno reso possibile
la sintesi di anticorpi monoclonali specifici, virtualmente capaci di interagire con qualsiasi antigenebersaglio. La maggior parte di queste molecole è
umanizzata, in modo tale da ridurre la possibilità di
sensibilizzazione e di conseguenza la produzione
di auto-anticorpi.
Omalizumab
Omalizumab, l'anticorpo monoclonale che ha come obiettivo le IgE, è un prodotto chimerico, costituito da una IgG1 umana al 95%, ed il restante 5%
è costituito da una IgG murina e contiene il sito che
lega l'antigene (il dominio µ3 IgE) (Figura 1).
Francesco Tarantini
Allergy & Respiratory Diseases, DIMI University of Genova, Padiglione Maragliano
Largo R. Benzi 6, 16132 Genova, Italia
email: [email protected]
Nota: Questo studio è stato realizzato grazie al parziale supporto di ARMIA (Associazione Ricerca Malattie Immunologiche
ed Allergiche)
Data di arrivo del testo: 27/03/2007 - Accettato per la pubblicazione in data: 2/04/2007
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F Tarantini, I Baiardini, G Passalacqua, F Braido, GW Canonica
La terapia dell'asma allergico - Treatment of allergic asthma
FIGURA 1: STRUTTURA DI OMALIZUMAB
Catena pesante
Catena leggera
Regioni determinanti
complementarietà
(CDR) del ratto
Tratto da [1] mod.
Somministrato per via sottocutanea causa una caduta del 95% dei livelli sierici di IgE dopo 24h. Il dosaggio viene determinato in base ai livelli sierici di
IgE totali ed in base al peso corporeo del paziente.
L'efficacia di questo farmaco sui pazienti con asma
allergico di grado da moderato a severo è stata valutata in molti studi clinici ed i risultati hanno dimostrato che nei pazienti asmatici che ricevevano omalizumab si riducevano in modo significativo il numero di esacerbazioni ed il bisogno di steroidi inalatori, con un concomitante miglioramento dei sintomi [2,3]. I pazienti che avevano una migliore risposta al farmaco erano quelli che necessitavano di
più alte dosi di corticosteroidi inalatori, quelli che
avevano FEV1 minore e quelli che avevano un numero maggiore di riesacerbazioni e di accessi in
pronto soccorso. In tale trattamento, il rapporto costi/benefici sembra essere bilanciato e ragionevole
nei pazienti in cui la gestione dell'asma (visite, ricoveri, assenza dal lavoro, pronto soccorso) comporta
un impegno economico elevato [4]. In conseguenza
di ciò l'EMEA (European Agency for the Evaluation
of Medicinal Products) ha limitato l'utilizzo di omalizumab come terapia per l'asma allergico solo ai
pazienti affetti da forme severe persistenti, non controllate nonostante adeguata terapia con steroidi
inalatori ad alte dosi e β2-agonisti a lunga durata
d'azione (LABA), che abbiano skin prick test positivo per aeroallergeni perenni, funzionalità polmonare compromessa e riacutizzazioni severe documentate. Ciò significa che omalizumab è da considerarsi come terapia supplementare e non sostitutiva per
pazienti con una storia convincente di asma IgE-mediata di grado severo non controllata dalla terapia
standard (Figura 2).
L'evidenza dell'efficacia di omalizumab nel tratta-
mento dell'asma allergico si basa non solo su numerosi studi clinici randomizzati e controllati, ma anche sui risultati di metanalisi di tutti gli studi presenti in letteratura. La metanalisi di Walker e collaboratori fornisce a tale terapia un'evidenza di grado A, il
più elevato secondo la classificazione di Shekelle,
[6,7].
Altri studi lasciano intravedere un futuro per il trattamento con omalizumab anche di altre patologie
allergiche come la rinite [8], nella prevenzione delle reazioni allergiche da arachidi, delle reazioni allergiche occupazionali (latex), per un utilizzo in
combinazione con l'immunoterapia specifica, come
pre-trattamento nell'immunoterapia rush e come terapia per la dermatite atopica [9-13].
Oltre a possedere buone caratteristiche in termini di
efficacia, fino ad oggi il profilo di sicurezza di omalizumab si è dimostrato essere soddisfacente. Infatti
non è stato associato allo sviluppo di alcun tipo di
malignità ed ha ricevuto l'approvazione dall'FDA
(Food and Drug Administration) per la commercializzazione in tutto il mondo. È comunque da riportare a tal riguardo la recente segnalazione del verificarsi di reazioni anafilattiche successive al trattamento con Xolair: ad oggi, su circa 39.500 pazienti
trattati l'anafilassi si è verificata in circa lo 0,1% dei
pazienti. Questi dati, che derivano dagli studi di farmacosorveglianza postmarketing, confermano l'incidenza delle reazioni anafilattiche/anafilattoidi osservate durante i trials controllati. Risulta perciò
necessario che il personale medico che somministra
il farmaco sia preparato a prevenire ed affrontare
questo tipo di reazione: il paziente dovrebbe essere
trattenuto in ospedale per almeno due ore dopo la
somministrazione e dovrebbe inoltre essere informato prima della dimissione su come riconoscere i
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FIGURA 2: RACCOMANDAZIONI DELLE LINEE GUIDA GINA PER IL TRATTAMENTO DELL'ASMA, CHE INCLUDONO ANCHE
GLI ANTI-IgE (GINA 2006)
Obiettivo: il miglior
risultato possibile
Obiettivo: controllo dell'asma
Step 4
Grave persistente
Step 3
Moderata persistente
Step 2
Step 1
Intermittente
Nessuno
Intermittente
CSI a bassa
dose
(teofillina,
antileucotrieni,
cromoni)
CSI a dose
medio-bassa +
LABA
(teofillina,
antileucotrieni)
Per tutti e 4 gli step di trattamento è indicato un β2-agonista da utilizzare al bisogno.
Legenda: CSI, corticosteroidi inalatori; LABA, β2-agonisti a lunga durata d'azione; LR, a lento rilascio
Tratto da [5] mod.
segni ed i sintomi di una reazione anafilattica [14].
Questo vale per il territorio USA dove il farmaco
non viene somministrato in regime ospedaliero come in Italia, in considerazione del fatto che l'indicazione è anche per asma moderato.
Esistono anche alcuni limiti per l'utilizzo di questo
farmaco negli asmatici. In primo luogo i pazienti
con asma di tipo non allergico, che rappresentano
una porzione numericamente non indifferente, non
possono essere trattati con anti-IgE. Rimangono inoltre esclusi dalla possibilità di essere trattati con omalizumab, tra i pazienti con asma allergico, quelli
con livelli troppo elevati di IgE totali. Rimane comunque evidente che omalizumab al momento risulta l'unico anticorpo monoclonale con evidenza
di efficacia e sicurezza per il trattamento dell'asma
allergico severo non controllato. Si può affermare
che probabilmente costituisce uno dei primi anticorpi in grado di agire in modo simile ad “una pallottola magica che va alla ricerca del proprio bersaglio”,
come aveva predetto un secolo fa l'immunologo
Paul Ehrlich [15].
È raro infatti che, interferendo con una specifica molecola coinvolta nella patogenesi di una malattia, si
riesca in primo luogo ad ottenere dei risultati tangibili in senso terapeutico, ed in secondo luogo, che
lo stesso trattamento non si renda responsabile dell'insorgenza di effetti collaterali importanti e severi.
Il blocco delle IgE è solamente una delle diverse
modalità di approccio terapeutico tentate negli ultimi anni per interferire con la cascata di eventi che
portano all'instaurarsi della reazione allergica
(Tabella I). Grazie alle biotecnologie, oltre ad oma60 MRM
lizumab sono stati messi a punto e sperimentati diversi farmaci specificatamente disegnati per colpire
“molecole bersaglio diverse”, come ad esempio
linfociti CD4, fattore di necrosi tumorale (TNF)-α,
interleuchina (IL)-4, IL-5, IL-10, IL-12, molecole di
adesione dell'endotelio. I risultati ottenuti con queste nuove strategie terapeutiche sono stati al di sotto
delle aspettative per scarsa efficacia o per l'insorgere di gravi eventi avversi.
Keliximab e Clenoliximab
Le cellule Th2, CD4+, danno inizio, attraverso la secrezione di citochine, ad iperreattività bronchiale,
ipersecrezione di muco, produzione di IgE, reclutamento di eosinofili, basofili, e mastociti. Sono state
quindi sviluppate due molecole diverse, Keliximab e
Clenoliximab, entrambi anticorpi monoclonali di-
TABELLA I: MOLECOLE RICOMBINANTI SPECIFICHE PER IL
LORO CORRISPONDENTE BERSAGLIO
NOME
BERSAGLIO
Keliximab
Clenoliximab
Infliximab
Etanercept
Nuvance
Reslizumab
Mepolizumab
Natalizumab
Omalizumab
CD4
CD4
TNF-α
Recettore solubile per TNF-α
IL-4
IL-5
IL-5
α4-integrina
IgE
Legenda: IL, interleuchina; TNF, fattore di necrosi tumorale
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zione, la migrazione, la chemiotassi, l'attivazione e
la sopravvivenza degli eosinofili, che si ritiene abbiano un ruolo importante nella patogenesi dell'asma e di altre malattie allergiche. L'efficacia di reslizumab e mepolizumab, anticorpi monoclonali
umanizzati diretti contro IL-5, è stata valutata in diversi studi clinici [24]. I livelli ematici di eosinofili
venivano ridotti drasticamente dopo terapia, ma ciò
non si accompagnava ad un significativo effetto sull'iperreattività bronchiale e sulla risposta asmatica
ritardata. In un altro studio [25], che valutava l'effetto di dosi crescenti di anti-IL-5 nei pazienti asmatici
severi, nonostante la drastica e durevole riduzione
dei livelli di eosinofili circolanti, è stato riscontrato
solo un modesto e fugace aumento dei valori di
FEV1 rispetto al basale. Di conseguenza, anche se la
frequenza di eventi avversi non era diversa tra trattamento attivo e placebo, l'efficacia clinica degli antiIL5 nell'asma bronchiale è ancora da dimostrare.
IL-10 e IL-12
Un'ulteriore possibilità per interferire nella cascata
patologica dell'asma, è rappresentata dall'utilizzo di
citochine inibitorie, con lo scopo di domare l'anormale risposta infiammatoria.
L'efficacia di IL-10 è stata valutata nei pazienti
asmatici in uno studio condotto in doppio cieco,
cross-over, ma non si sono osservati effetti né su
PC20, né sugli eosinofili nell'espettorato, né sul FEV1
in seguito all'esposizione all'allergene.
Gli effetti di IL-12 sono stati valutati in uno studio
randomizzato e controllato, condotto in doppio cieco, a gruppi paralleli, su pazienti con asma lieve
[26]. Sebbene sia stata dimostrata una diminuzione
di eosinofilia nell'espettorato, questa terapia ha fallito nel dimostrare efficacia nel ridurre la risposta allergica all'esposizione all'allergene, e nel ridurre l'iperreattività delle vie aeree. Inoltre, gli effetti collaterali sono stati non rari, rappresentati da malessere
e aritmie.
Natalizumab
È poi possibile interferire con la migrazione transendoteliale dei leucociti attraverso la membrana basale, mediata da molecole di adesione endoteliale. I
mastociti, i basofili e gli eosinofili condividono diverse modalità di reclutamento tra di loro e con altre linee cellulari [27]. Questo approccio è stato tentato nell'asma, ma anche in altre patologie come la
psoriasi, il morbo di Crohn, l'artrite reumatoide, il rigetto di trapianto renale. Natalizumab (Antegren) è
un anticorpo umanizzato anti-α4-integrina che inibisce la movimentazione di leucociti attraverso l'endotelio bloccando il legame di α4β1-integrina alla
molecola-1 di adesione cellulare vascolare. Questo
anticorpo monoclonale è stato utilizzato in studi clinici condotti su pazienti affetti da sclerosi multipla e
morbo di Crohn [27,28]. È stato recentemente reso
noto che l'utilizzo di questa terapia permette di raggiungere il controllo di tali patologie, ma è associato a sviluppo di eventi avversi [29,30], legati ad una
perdita di competenza immunologica nel controllare l'infezione da virus JC, che porta allo sviluppo
della leucoencefalopatia multifocale progressiva
[31-33].
F Tarantini, I Baiardini, G Passalacqua, F Braido, GW Canonica
La terapia dell'asma allergico - Treatment of allergic asthma
retti contro CD4 [16]. Per quanto riguarda il trattamento dell'asma, Keliximab ha dimostrato in vivo la
capacità di esaurire le cellule CD4 e di aumentare il
PEF, ma non si è mostrato in grado di diminuire in
modo significativo i symptom score, deludendo così le aspettative di successo [17].
Infliximab e Etanercept
Il TNF-α rappresenta il principale bersaglio terapeutico in una vasta gamma di patologie infiammatorie
croniche caratterizzate da una risposta immunologia di Th1 in cui il TNF-α viene prodotto in eccesso.
Al contrario, l'asma è sempre stata riconosciuta come una patologia di tipo Th2, specialmente quando
associata all'atopia. Comunque, quando diventa più
grave e cronica e di lunga data, assume delle caratteristiche addizionali che includono la resistenza alla terapia cortisonica ed un coinvolgimento dei neutrofili, caratteristiche queste che sono suggestive di
un'alterazione del profilo infiammatorio verso una
risposta di tipo Th1, incriminando citochine come
TNF-α, che sembrerebbe tra l'altro responsabile della proliferazione dei fibroblasti e dei miofibroblasti
[18]. Apparentemente il TNF-α rappresenta un bersaglio ottimale. Sono stati sviluppati due prodotti distinti per contrastare i suoi effetti: infliximab, diretto
contro il TNF-α, e etanercept, contro il recettore solubile del TNF-α.
Uno studio di Howarth [19] ha valutato l'utilizzo di
etanercept nei pazienti affetti da asma cronico grave. Dopo un trattamento durato 12 settimane sono
stati osservati una riduzione nella iperreattività alla
metacolina ed una riduzione nei symptom score dei
pazienti trattati.
Un ulteriore studio ha dimostrato che i pazienti con
asma refrattario hanno aumentati livelli di marker
dell'attività del TNF-α nei monociti circolanti.
Proprio in questo tipo di pazienti il trattamento con
etanercept per 10 settimane ha dimostrato di migliorare in modo significativo la qualità della vita, il
FEV1 e la PC20 rispetto al placebo [20].
Purtroppo un aspetto da segnalare riguardo la terapia anti-TNF-α è il verificarsi di eventi avversi. Le
preoccupazioni maggiori riguardano l'effetto trigger
per patologie demielinizzanti e linfoproliferative, e
la possibile riattivazione di tubercolosi che porterebbe a forme miliari di malattia [21].
Nuvance
IL-4, prodotta dalle cellule T-helper con lo scopo di
attivare e reclutare le parti costituenti il sistema immunologico, è associata ad una risposta immunologica di tipo Th2 e, stimolando diversi tipi cellulari,
media importanti funzioni pro-infiammatorie nell'asma. È stato sviluppato un recettore solubile per IL4 (Nuvance™), che viene somministrato per via inalatoria, ma studi in fase III hanno dato risultati deludenti le aspettative [22]. Oltre a IL4-R, sono stati sviluppati una muteina IL-4 che blocca sia IL-4 che IL13, ed un anti-IL-4, ma anche questo filone di studi
è stato sospeso [23].
Reslizumab e Mepolizumab
IL-5 viene prodotta in primo luogo da cellule Th2 attivate, ma è anche sintetizzata dai mastociti e dai
basofili. È essenziale per la formazione, la matura-
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62 MRM
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In conclusione, quello che appare chiaro da tutti
questi tentativi di contrasto degli effetti di fattori biologici, è che molti di questi giocano un ruolo positivo nella difesa dell'organismo umano da diversi tipi
di danno, oltre ad essere coinvolti nello scatenamento di malattia. Di conseguenza, dal blocco di
queste funzioni possono scaturire diversi effetti negativi per l'intero organismo.
L'unica soluzione affinché si possano ottenere solo
benefici ed evitare effetti collaterali potrebbe essere
che la citochina/molecola che si intende bloccare
non abbia altre funzioni biologiche di rilievo oltre
quella di essere responsabile per lo sviluppo di una
particolare patologia.
Alla luce di queste considerazioni occorre rivalutare la strategia del blocco delle IgE. Da quanto si conosce, questa molecola è estremamente importante
per il suo ruolo di trigger nelle malattie allergiche,
ma sembra che non sia significativamente coinvolta
in altre patologie. Questo sarebbe il motivo per il
quale costituisce un bersaglio perfetto per poter
bloccare la reazione allergica. Bloccare le IgE significa bloccare la degranulazione dei mastociti ed il
conseguente rilascio di mediatori pro-infiammatori
che portano allo sviluppo dei sintomi clinici di malattia ed alla compromissione dei parametri clinici e
funzionali. Abbiamo in precedenza valutato l'effetto
positivo della terapia con omalizumab sulle tradizionali misure di outcome. Esistono anche studi che
evidenziano quale sia l'impatto del trattamento nell'esperienza quotidiana del paziente, valutando la
qualità della vita (QoL).
Anti-IgE e Qualità della Vita
Ad oggi sono disponibili in MedLine 10 lavori, randomizzati e controllati, i quali mediante questionari validati forniscono una valutazione della QoL nei
pazienti trattati con omalizumab. L'impatto soggettivo di tale trattamento è stato misurato sia negli adulti che nella popolazione pediatrica, in soggetti che
soffrono di allergopatia respiratoria.
Un miglioramento significativo della QoL in pazienti rinitici dopo trattamento con omalizumab è stato
evidenziato in due diversi studi. Sia nella rinite allergica stagionale che in quella perenne, la terapia con
anti-IgE si è dimostrata in grado di aumentare il benessere soggettivo del paziente, valutato mediante il
Rhinoconjuctivitis Quality of Life Questionnaire
(RQLQ) [34,35].
Più numerosi sono gli studi che analizzano la QoL
nei pazienti affetti da asma allergico.
I risultati di un trial che ha coinvolto 334 bambini di
età compresa fra i 5 e i 12 anni, ha mostrato come
il trattamento con omalizumab in soggetti la cui
asma era ben controllata da terapia inalatoria steroidea, è in grado di apportare un significativo miglioramento della QoL. In particolare nei domini relativi ai sintomi e alle attività, oltre che nel punteggio
globale del Pediatric Asthma Quality of Life
Questionnaire, i bambini trattati con omalizumab
ottengono miglior benessere soggettivo [36].
In 6 diversi studi che coinvolgono pazienti adulti
con asma da moderato a grave, non in grado di raggiungere il controllo della malattia nonostante la terapia steroidea, è stato valutato l'impatto del trattamento con omalizumab sulla vita del paziente mediante il questionario specifico Asthma Quality of
Life Questionnaire (AQLQ) [3,4,37-40]. I risultati di
questi studi evidenziano come il maggior controllo
dell'asma ottenuto mediante anti-IgE si riflette in un
aumento del benessere percepito dal paziente nella
sua vita quotidiana, con un miglioramento sia del
punteggio globale dell'AQLQ, che dei singoli domini (limitazione delle attività, emozioni, sintomi,
esposizione agli stimoli ambientali). Tali risultati, oltre ad essere significativi dal punto di vista statistico,
acquistano una rilevanza clinica, in quanto il miglioramento ottenuto è tale da essere percepito come rilevante dal paziente stesso.
L'effetto di omalizumab è stato anche dimostrato
sulla qualità della vita di pazienti con asma moderata-severa e concomitante rinite allergica persistente, per mezzo dei questionari specifici ACQLQ e
RQLQ [8]. I risultati di questo studio hanno dimostrato un effetto positivo non solo in termini di efficacia e sicurezza, ma anche un miglioramento significativo nei punteggi di HRQL. Omalizumab si è
dimostrato più efficace del placebo in tutti i domini
esplorati dal RQLQ (attività, sonno, sintomi non rinitici/oculari, problemi pratici, sintomi nasali, sintomi oculari ed emozioni) e per domini dei sintomi e
dell'esposizione ambientale del AQLQ.
Possiamo concludere affermando che alla luce dei
dati presenti in letteratura omalizumab appare essere il farmaco più innovativo per la terapia dell'asma
negli ultimi 15 anni, dimostrando buone caratteristiche di efficacia e sicurezza.
CONFLITTI DI INTERESSI: F.T., I.B., G.P., F.B. Gli autori citati non
hanno rapporti finanziari, con entità commerciali che abbiano
un interesse nel soggetto di questo manoscritto. G.W.C. ha
avuto rapporti finanziari con le seguenti aziende commerciali:
A. Menarini, Alk Abello, Almirall Spa, Altana Pharma,
AstraZeneca, Boeringher Ingelheim, Chiesi Farmaceutici,
Istituto Gentili, GlaxoSmithKline, Lofarma, Merck Sharp &
Dohme, Novartis, Pfizer, Schering Plough, Stallergenes, UCB
Pharma, Uriach.
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Case Report / Caso Clinico
Early and medium-term follow-up after lung
cancer resection
Follow-up a breve e medio termine dopo resezione
di tumore polmonare
Paul E. Van Schil, Peyman Sardari Nia, Jeroen M. Hendriks, Patrick Lauwers
Department of Thoracic and Vascular Surgery, University of Antwerp, Belgium
ABSTRACT
Lung cancer remains the most common cause of death from
cancer and even after complete resection long-term survival is
disappointingly low. Most of the patients will die from recurrent
disease or second primary cancer. Surveillance could be beneficial to detect these recurrences at an early stage, before any
symptoms occur. However, no prospective randomized controlled studies are available to recommend a precise follow-up
schedule after lung cancer resection. Most utilized methods
comprise clinical examination, chest x-ray and routine blood
tests at regular intervals. By a more intensive follow-up including chest computed tomography (CT) and bronchoscopy, it is
probably possible to detect recurrences or second primary cancers at an early stage and provide a radical treatment. The additional value of newer tools in follow-up schedules, such as spiral CT, integrated computed tomography-positron emission
tomography (CT-PET) and serum protein markers, is promising
but still as yet not clearly established. Smoking cessation is
essential and beneficial for lung cancer patients at any time
prior to lung operation, even for recent quitters. This point
should be emphasized by every physician treating operated lung
cancer patients.
zati comprendono un esame obiettivo, una Rx torace e esami
ematici di routine ad intervalli regolari. Mediante un follow-up
più intensivo che comprenda la tomografia computerizzata del
torace (CT) e la broncoscopia è probabile che diventi possibile
individuare le recidive o nuovi tumori primitivi in una fase precoce e provvedere ad un trattamento radicale. Il valore addizionale di nuove tecniche da introdurre negli schemi di follow-up,
come per esempio la CT spirale, la tomografia computerizzata
integrata con la tomografia ad emissione di positroni (CT-PET)
e i marker serici, è di certo promettente, ma ancora allo stato
attuale non sicuramente codificato. La cessazione del fumo è
essenziale e di beneficio per i pazienti con tumore polmonare
in qualunque momento prima dell'intervento sul polmone, anche per chi ha appena deciso di smettere. Questo punto dovrebbe essere enfatizzato da ogni medico che abbia a che fare
con i pazienti operati di tumore al polmone.
Keywords: Chest x-ray, computed tomography, follow-up, lung
cancer, positron emission tomography, serum markers.
INTRODUCTION
RIASSUNTO
Il tumore del polmone rimane la più comune causa di morte
per cancro e anche dopo la sua completa resezione la sopravvivenza a lungo termine rimane sconfortantemente bassa. La
maggior parte dei pazienti muore per recidiva della patologia o
per un nuovo tumore primitivo. La sorveglianza può essere di
beneficio per individuare queste recidive in una fase precoce,
prima ancora che si verifichi qualunque sintomo. Non è tuttavia disponibile alcuno studio prospettico, randomizzato e controllato per poter raccomandare un preciso schema di followup dopo la resezione del tumore polmonare. I metodi più utiliz-
Parole chiave: Follow-up, marker sierologici, Rx torace, tomografia ad emissione di positroni, tomografia computerizzata, tumore polmonare.
As reported in many studies and updated at the
World Cancer Congress of the UICC (Union
Internationale Contre le Cancer) in July 2006, lung
cancer remains the most common cancer except for
skin cancer, and represents the most common
cause of death from cancer [1,2]. The general prognosis is poor with an overall 5-year survival rate of
only 15%. Within one year of diagnosis 65% of
patients will succumb to their disease. Even for
localized lung cancer which can be completely
resected, the 5-year survival rate is approximately
50%. The high mortality after complete resection is
Paul E. Van Schil
Department of Thoracic and Vascular Surgery University Hospital of Antwerp
Wilrijkstraat 10 B-2650 Edegem (Antwerp) Belgium
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 26/12/2006 - Accettato per la pubblicazione in data: 12/01/2007
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explained by a high rate of local and distant recurrences and by the occurrence of metachronous lung
cancer. So, close follow-up seems to be indicated to
detect recurrences or a second primary lung cancer
at an early stage in order to consider a subsequent
treatment with curative intent. The main target population are patients with stage I - III non-small cell
lung cancer (NSCLC) treated with curative intent by
surgical resection or combined modality treatment.
After description of an illustrative case report, two
surveys are presented to look at common practice
of follow-up in the USA and Europe. Subsequently,
the published evidence is discussed as well as
newer techniques for postoperative surveillance.
Lastly, the importance of smoking status as a prognostic factor is reviewed.
Case report: follow-up after lung cancer resection
A male Caucasian patient born on April 12, 1928
was investigated in February 1991 for dyspnea and
cardiac problems. He was a farmer and had been a
heavy smoker for 43 years. Chest x-ray showed a
large tumor in the left lower lobe (figure 1) which
was confirmed by computed tomography (CT) of
the chest. Transthoracic puncture revealed the diagnosis of large cell carcinoma. Cervical mediastinoscopy was negative and in April 1991 a
lobectomy of the left lower lobe was performed.
The final pathological examination was pT2N0M0,
stage IB. No adjuvant therapy was given. At that
time the patient stopped smoking. Regular followup was performed by clinical examination and
chest x-ray, initially every 3 months for 2 years and
subsequently every 6 months. Fifteen years after the
initial resection an asymptomatic second primary
tumor was diagnosed in the right upper lobe on
chest x-ray and more detailed by CT scanning (figure 2). Bronchoscopic biopsies were suggestive for
large cell carcinoma. In June 2006 a lobectomy of
the right upper lobe was performed. Except for a
urinary tract infection no post-operative complications occurred. Pathology showed a poorly differentiated mucoepidermoid carcinoma, pT2N1M0,
stage IIB. Due to his advanced age and moderate
general condition no adjuvant therapy was given.
Follow-up is again being performed by clinical
examination and chest x-ray at the same schedule
as outlined before.
This case demonstrates that even a long time after
an initial complete resection, a second primary
cancer may be detected during follow-up for which
a complete resection is feasible.
Survey
In 1995 Naunheim et al. published the results of a
survey performed among 3,700 members of the
Society of Thoracic Surgeons [3]. There were 2,009
responses (54%). Most frequently used follow-up
methods after lung cancer resection included clinical examination, chest x-ray, blood tests including
blood cell count and liver function tests, and chest
CT scan. Infrequently used tools were sputum cytology, CT scan of the brain, bone scanning, magnetic
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FIGURE 1: CHEST X-RAY SHOWING LUNG CANCER IN LEFT
LOWER LOBE
resonance imaging of the chest and bronchoscopy.
Moreover, this survey revealed that there was a
wide geographic variation and that surveillance
clearly decreased over time in most centres.
At the latest congress of the European Respiratory
Society (ERS) in Munich in September 2006 we performed a small survey among participants of a
“Meet the Professor” seminar on follow-up after
thoracotomy for lung cancer resection. Fifteen
questionnaires were filled out. Thirteen physicians
(86.7%) regularly perform follow-up after complete
resection for lung cancer. Except for one participant, all others also perform close follow-up in
asymptomatic patients. Regarding the methods utilized, 11 (73.3%) use history combined with physical examination, 13 (86.7%) chest x-ray, 6 (40%)
routine blood tests, 4 (26.7%) serum markers, 5
(33.3%) chest CT, only 2 (13.3%) bronchoscopy
FIGURE 2: CHEST CT SCAN DEMONSTRATING SECOND
PRIMARY LUNG CANCER IN RIGHT UPPER LOBE.
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Follow-up: the published evidence
No randomized controlled trials on specific followup after lung cancer resection have been published.
The results of 4 retrospective and 2 prospective
studies are summarized in tables I and II [4-9].
The retrospective studies of table I did not show any
advantage of a prospective versus a non-prospective program, of intensive versus non-intensive surveillance or of a strict follow-up in every patient
versus follow-up in symptomatic patients only.
However, in the study of Walsh et al. a better survival was found in asymptomatic patients [6],
though this could be due to lead-time bias, meaning that recurrent or second primary cancers are
detected at an earlier, indolent stage.
In the prospective study of Pairolero et al. (table II)
the best survival was noted in second lung cancers
[8]. In the French prospective but non-randomized
study reported by Westeel et al., the question was
asked whether an intensive post-operative surveillance program could have an impact on survival
[9]. The follow-up schedule included clinical examination and chest x-ray every 3 months, chest CT
and bronchoscopy every 6 months for the first 3
years and once a year thereafter. In this study 192
patients were included. Median follow-up was 131
months. In total, 136 recurrences (71%) were diagnosed of which 71 (52%) were thoracic. Thirty-six
cases (26%) were asymptomatic. In 28 patients the
intrathoracic recurrence was able be treated with
curative intent. Overall 3-year survival rate from the
date of recurrence was 13%; however, in asymptomatic cases a better survival was noted with a 3year survival rate of 31%. So, the conclusion of this
study was that an intensive surveillance program
including chest CT and bronchoscopy may increase
survival through the detection of recurrence at an
asymptomatic stage. However, a lead-time bias
could not be excluded. Recently, the Intergroupe
Francophone de Cancérologie Thoracique (IFCT)
initiated a prospective randomized study with a target sample size of 1,744 patients [10]. Patients who
underwent a complete resection for stage I-IIIA
NSCLC will be randomized between follow-up by
clinical examination and chest x-ray versus the
same regimen with an additional chest CT and
bronchoscopy. Bronchoscopy is required for squamous cell carcinoma but optional for adenocarcinoma. Autofluorescence bronchoscopy is allowed.
Follow-up is performed every 6 months for the first
2 years and every year thereafter. Also, quality of
life and cost-benefit ratio will be evaluated. This
study will take several years to complete.
Post-operative follow-up: new techniques
Recently, some newer techniques have been introduced which could play a role in follow-up of
resected lung cancer patients. These include lowdose helical CT, integrated computed tomography positron emission tomography (CT-PET), autofluorescence bronchoscopy and specific serum protein
markers.
Low-dose CT scan of the chest has been introduced
as the preferred method for early detection of lung
cancer in populations at risk [11]. It is clearly more
sensitive than chest x-ray; so, it may be valid in a
surveillance program of patients who underwent
complete resection of an early-stage NSCLC.
Integrated CT-PET scanners are now available
resulting in a higher accuracy than CT or PET
(positron emission tomography) alone due to the
fusion of both images, which increases the anatomical resolution of the PET images [12]. This technique has not yet been applied for routine followup of lung cancer patients. The cost is increased and
in many countries access to integrated CT-PET scanners is limited at the present time.
Autofluorescence bronchoscopy is a useful method
for early detection of centrally located recurrent
lung cancer. It is a promising surveillance tool to
detect premalignancy and central lung cancer in
high-risk patients [13]. However, its use in a surveillance program after lung cancer resection has not
been evaluated and this technique is not readily
available in many countries.
The use of specific serum protein markers also
seems to be promising. In a recent study a panel of
serum protein markers was evaluated in 196
patients who had undergone resection for stage I
NSCLC [2]. The angiogenesis factors, basic fibrob-
PE Van Schil, P Sardari Nia, JM Hendriks, P Lauwers
Follow-up after lung cancer resection - Follow-up dopo resezione di tumore polmonare
and also 2 (13.3%) CT of the brain. All participants
systematically assess smoking status pre-operatively, but only 11 (73.3%) post-operatively. For 13 colleagues (86.7%) it is obvious that smoking status
influences prognosis and long-term survival.
TABLE I: FOLLOW-UP OF RESECTED LUNG CANCER: RETROSPECTIVE STUDIES
Author
ref
year
type of follow-up
stage
n
effect on survival
Williams
Virgo
Walsh
Younes
4
5
6
7
1981
1995
1995
1999
prospective/non-prospective
intensive*/non-intensive
strict/∑
not detailed
I
I-IIIA
I-IIIA
I-IIIA
350/145
120/62
67/63
358
NS
NS
NS
a∑
∑†
Definition of abbreviations: n, number of patients in each subgroup; NS, not significant; ref, reference; a∑, asymptomatic patients; ∑, symptomatic patients.
* chest CT or bronchoscopy
†
16.6 versus 8.0 months
MRM
67
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 65-69
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TABLE II: FOLLOW-UP OF RESECTED LUNG CANCER: PROSPECTIVE STUDIES
Author
ref
year
type of follow-up
Pairolero
8
1984
regular
Westeel
9
2000
intensive*
n
results
I
346
2-year survival:
2nd lung cancers 52%
local rec: 23%
distant mets: 9%
I-IIIA
192
3-year survival 13%
(a∑: 31%)
Definition of abbreviations: mets, metastases; n, number of patients; rec, recurrence; ref, reference; a∑, asymptomatic patients.
* includes chest CT and bronchoscopy
lastic growth factor and vascular endothelial growth
factor, the basement membrane factors, urokinase
plasminogen activator and its receptor, and finally
the metastasis formation factors, hepatocyte growth
factor, CD 44 and E-selectin were studied. Samples
were taken before the intervention and at 1, 4, 6,
12, 18 and 24 months post-operatively. For surviving patients the follow-up was at least 24 months.
Recurrent disease was observed in 37%. Regarding
the baseline level only CD 44 correlated with the
pathological stage. Post-operatively, a decrease in
E-selectin and an increase in CD 44 and urokinase
plasminogen activator receptor were able to predict
recurrence before any clinical or radiographic signs
appeared [2]. So these specific markers may have
the potential to predict recurrence at an early stage
in patients who underwent complete resection for
lung cancer. Whether this will improve efficacy of
systemic therapy, still remains to be proven.
Smoking status as a prognostic factor
Although smoking is the most important risk factor
for lung cancer, the impact of smoking on survival
of patients with resected lung cancer has received
little attention until recently. Problems with earlier
studies include heterogeneous patient populations,
the mixture of smoking subgroups and an incomplete assessment of the smoking status.
The effect of smoking as a prognostic factor after
lung cancer resection was recently explored in a
Japanese study including 999 patients who underwent complete resection; 339 patients had squamous cell carcinoma and 660 adenocarcinoma
[14]. Factors analysed included pack-year index,
pathological stage and survival.
Follow-up was performed by clinical examination,
blood tests, serum tumor markers and chest x-ray.
These tests were performed every 3 months for the
first three years and at least once a year thereafter.
In adenocarcinoma a better survival was found in
never-smokers and those patients with a pack-year
index < 20. In never-smokers with adenocarcinoma
an increased incidence of stage I disease was
found. In contrast, in patients with squamous cell
carcinoma there was no survival difference
68 MRM
stage
between the various smoking subgroups. There was
also no relation between pack-year index and
pathological stage. In a multivariate analysis smoking status and pathological stage were significant
prognostic factors. Comments on this study include
the mixture of smoking subgroups as former smokers who had stopped smoking for more than 10
years were included in the non-smokers group; secondly, it was a surprising finding that smoking status had no effect in squamous cell carcinoma,
which is the tumor that is most significantly associated with smoking status.
In a similar study from our institution, 311 patients
who underwent a surgical resection for NSCLC
were subdivided into non-smokers, former smokers,
recent quitters and current smokers [15]. Median
follow-up time was 33 months and the overall 5year survival rate 52%. In a Cox multiple regression
analysis, older age, lymph node metastasis and current smoking were significant factors for overall survival. Similar results were found for disease-free
survival. Compared to current smokers, prognosis
was better for non-smokers, former smokers and
even recent quitters.
The conclusion of both studies is that cigarette
smoking does not only influence carcinogenesis of
lung cancer but also affects prognosis and progression in resected NSCLC. Therefore, smoking cessation is extremely important after an intervention for
lung cancer.
CONCLUSIONS
No prospective randomized studies exist to recommend a precise follow-up strategy after lung cancer
resection. So, at the present time, no definite guidelines can be provided. More intensive follow-up
including chest CT and bronchoscopy is probably
beneficial to detect early recurrence or second primary lung cancer in asymptomatic patients. The
added value of newer tools such as spiral CT, integrated CT-PET and serum protein markers remains
to be determined. Smoking cessation is essential
and beneficial for lung cancer patients at any timepoint prior to lung operation.
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Multidisciplinary Focus on Therapeutic Issues in Cystic Fibrosis
a cura di Sabina Antoniu
Old and new therapeutic approaches in cystic
fibrosis: pulmonary or systemic targeting?
Vecchio e nuovo nell'approccio terapeutico alla
fibrosi cistica: focalizzare l'intervento a livello
polmonare o sistemico?
Sabina A. Antoniu1, Claudio F. Donner2
1
2
Clinic of Pulmonary Disease, Iasi, Romania
Mondomedico, Multidisciplinary and Rehabilitation Outpatient Clinic, Borgomanero (NO), Italy
Cystic fibrosis (CF) is one of the most studied and
therapeutically targeted rare/orphan diseases. It is
an autosomal recessive disease, and the genetic
defect is represented by mutations in the cystic
fibrosis transmembrane conductance regulator
(CFTR) gene, ∆F508 mutation being most commonly detected [1,2]. The CFTR gene belongs to the
ATP-binding cassette (ABC) gene family generating
ABC proteins which are involved in multidrug
resistance or in transportation of various ions and
molecules [1]. In particular, CFTR protein regulates
transmembranal Na+ and Cl¯ and its defective state
leads to various pathophysiological abnormalities
such as increase of sodium and chloride levels in
sweat, abnormally thick mucus in the airways, and
similar perturbations at intestinal, pancreatic and
gonadal levels [3]. Lungs are the most dramatically
affected, impaired clearance of viscous mucus producing local inflammation, and repetitive infections
with highly deleterious bacteria such as
Pseudomonas aeruginosa, bronchiectasis and
chronic respiratory failure.
Neutrophil-driven persistent inflammation caused
by infections occurring in early life, with continuous release of high amounts of proteolytic enzymes
and cytokines such as interleukin (IL)-1 and tumour
necrosis factor-α favours progressive bronchial and
pulmonary lesions, and impairs microbials clearance. The latter is also due to increased adherence
of bacterials such as P. aeruginosa to the airways
epithelium, and to ineffectiveness of local immune
mechanisms [1].
Current therapeutic approaches are aimed at minimizing pulmonary inflammation and infection,
improving airway clearance and providing nutritional and organ specific support.
Inhaled therapies have been developed or are currently under development to address various CF
abnormalities such as infection, impaired mucus
clearance or inflammation, based on the assumptions that in CF the lung is the most affected and the
main cause of limited survival, and that pulmonary
infections could be better targeted with antibiotics
given locally.
In his paper Braggion et al. [4] discuss the existing
data supporting the use of several inhaled therapies
in CF. Inhaled antibiotics such as tobramycin, colistin or aztreonam have been evaluated in terms of
efficacy on first or recurrent P. aeruginosa infections
and on pulmonary function. Mucus clearance can
be improved in more advanced stages of the disease
where bronchiectasis exists with the use of recombinant human DNAse (RhDNAse), which reduces
the high levels of bronchial mucus DNA resulting
from neutrophil cells degradation, or with other
potentially mucolytic therapies such as amiloride,
hypertonic saline, mannitol, or denufosol.
Inhaled therapy could be further used in CF in order
Sabina A. Antoniu
Clinic of Pulmonary Disease
30 Dr I Cihac Str, 700115, Iasi, Romania
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 26/01/2007 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007
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specific anti-cytokine therapies are currently under
development for CF therapy.
Cystic fibrosis is a multisystem disease, and extrapulmonary manifestations can also constitute a
major cause of morbidity. Taccetti and Festini [7]
review the most common CF extrapulmonary manifestations, namely pancreatic abnormalities, upper
airways manifestations, bone alterations, and gastrointestinal and hepatic disorders, and they summarize the main therapeutic measures.
Lung transplantation is the ultimate therapeutic
approach in end-stage pulmonary CF. In their paper,
Irani et al. [8] highlight the difficulty in predicting
pre-transplant and post-transplant survival in CF
patients, the latter being comparable however with
that of other pulmonary disease despite high incidence of post-transplant gastrointestinal complications and rhino-sinusal P. aeruginosa infections.
Post-transplant reproductive issues and living donor
lung transplantation are present and future challenges in CF.
In summary, CF is a multi-organ disease that can
benefit from both systemic and pulmonary specific
therapeutic targeting. The latter is aimed mainly at
reducing mucus viscosity, inflammation and infection at pulmonary level, goals which can be fulfilled
also by some therapies given systemically.
However, these cannot treat extrapulmonary
involvements which need to be treated specifically
and, hence, the highest therapeutic benefit can be
achieved through a complex systemic and local
therapeutic regimen provided by a multidisciplinary team.
SA Antoniu, CF Donner
Therapeutic approaches in cystic fibrosis - Approcci terapeutici alla fibrosi cistica
to reduce local inflammation (α1-antitrypsin,
γ-interferon) or to correct gene defects via inhaled
gene therapy.
As mentioned in the paper authored by Moeller and
Kolb [5], gene replacement therapy given via
inhalatory route with viral and non-viral gene vectors has been looked to with great hope. However,
the results of clinical studies performed so far have
identified limiting factors impeding its potential efficacy such as short duration of therapeutic effect, the
mounting of a host antiviral immune response, etc.
Hence, other gene therapy approaches currently
under development such as gene silencing or gene
transfer of antimicrobials or peptides, could be
appropriate therapeutic options provided they minimize the above-mentioned limiting factors of
replacement gene therapy.
Irrespective of the type of pharmacological or biological agent used, clinical efficacy of inhaled therapy is dependent on several individual factors
including adherence and pulmonary function status. Furthermore, inhaled therapy is not effective on
extrapulmonary CF and hence systemic therapies
have to be used.
Systemic anti-inflammatory therapies have also
been assessed in CF patients. Lucidi [6] points out
that oral corticosteroids can be effective antiinflammatory agents for CF treatment, but their side
effects impede their long-term use, and novel corticosteroid formulations such as those loaded on
autologous erythrocytes are currently under assessment. Non-steroidal anti-inflammatory agents such
as ibuprofen have been evaluated in CF patients
but, as pointed out by the same author, their routine
use is not recommended. Macrolides, “anti-inflammatory” diet and immunosuppressors could also be
used to keep inflammation under control, and other
CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: The authors do not have
any financial relationship with a commercial entity that has an
interest in the subject of this manuscript.
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Multidisciplinary Focus on Therapeutic Issues in Cystic Fibrosis
a cura di Sabina Antoniu
Gene therapy for cystic fibrosis
Terapia genetica della fibrosi cistica
Antje Moeller1, Martin Kolb2
1
2
Department of Medicine, Respirology, Julius-Maximilian University Würzburg, Germany
Department of Medicine, Firestone Institute for Respiratory Health, McMaster University, Hamilton, Ontario, Canada
ABSTRACT
Cystic fibrosis (CF) is a hereditary disease caused by mutations
in the cystic fibrosis transmembrane conductance regulator
(CFTR) gene on the surface of epithelial cells. The gene defect is
associated with abnormal membranous chloride transport,
resulting in highly viscous mucus in all epithelium lined inner
organs.The effects on the lung and airways is clinically the most
important. Mucus plugs cause obstruction of airways, favouring
bacterial colonization with Pseudomonas aeruginosa and other
pathogens, bronchiectasis and ultimately respiratory failure.
The standard treatment is purely symptomatic with recurrent
pulmonary infections and antibiotic resistances constituting an
increasing clinical problem. Since discovery of the CFTR gene,
gene replacement therapy was heralded as a potential future
cure for CF patients, but a number of negative clinical trials have
dampened the initial high hopes. Current research on viral and
non-viral vectors focuses on several issues that have been problematic in CF gene therapy so far. The host immune response
needs to be reduced or bypassed, and gene expression levels
and duration must be enhanced before broad success can be
achieved. In addition to the classical concept of gene replacement therapy, gene silencing methods and gene therapeutics
are being developed and may become novel tools for the treatment of CF patients in the future.
Keywords: CFTR gene, cystic fibrosis, gene therapy.
RIASSUNTO
La fibrosi cistica (CF) è una patologia ereditaria causata da una
mutazione del gene CFTR (cystic fibrosis transmembrane conductance regulator) sulla superficie delle cellule epiteliali. Il difetto genetico è associato con una anomalia del trasporto del
cloro transmembrana, che comporta un incremento della viscosità del muco in tutti i liquidi epiteliali degli organi interni.
Gli effetti di maggiore gravità dal punto di vista clinico sono a
carico di polmone e vie aeree. Tappi di muco causano ostruzione delle vie aeree, favorendo la colonizzazione batterica da
Pseudomonas aeruginosa e altri patogeni, bronchiettasie e in
ultima analisi insufficienza respiratoria. Il trattamento stan-
dard è puramente sintomatico, ma le infezioni polmonari ricorrenti e la resistenza agli antibiotici costituiscono un problema
clinico via via crescente. Dalla scoperta del gene CFTR la terapia di sostituzione genetica è stata preannunciata come il trattamento potenziale del futuro per i pazienti con CF, ma una
quantità di studi clinici negativi hanno frustrato le grandi speranze iniziali. La ricerca corrente sui vettori virali e non virali sta
cercando di risolvere i molteplici problemi che si sono presentati nella terapia genetica della CF fino ad oggi. La risposta immunitaria dell'ospite deve essere ridotta o soppressa, mentre i
livelli di espressione genetica e la loro durata devono essere incrementati prima che possa essere raggiunto un successo pieno. In aggiunta al classico concetto della terapia di sostituzione genetica le metodologie di soppressione genica e di terapia
genetica sono in fase di sviluppo e si spera possano entrare a
far parte dell'armamentario terapeutico per la CF nel prossimo
futuro.
Parole chiave: Fibrosi cistica, gene CFTR, terapia genetica.
INTRODUCTION
Cystic fibrosis (CF) is the most common lethal genetic disease in the Caucasian population. The name
“cystic fibrosis” originally referred to the presence
of cysts and fibrosis in the pancreas. CF is inherited
in an autosomal recessive fashion and is caused by
a mutation in the cystic fibrosis transmembrane
conductance regulator (CFTR) gene. This protein
acts as an electrolyte channel at the outer surface of
epithelial cells, controlling the influx of chloride into the cell. In CF this channel is malfunctioning,
which leads to an interruption of both chloride and
sodium transport, resulting in high concentrations
of sodium-chloride in the sweat. Defective chloride
channels in the apical membranes of alveolar and
bronchial epithelial cells account for thick mucus
Martin Kolb
Departments of Medicine, Pathology and Molecular Medicine - McMaster University, Firestone Institute for Respiratory Health,
50 Charlton Ave East, Room T2121, Hamilton, Ontario, Canada L8N 4A6
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 19/12/2006 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007
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and conserving lung function. Maintaining an active lifestyle along with regular postural drainage and
devices for percussive therapy are recommended to
achieve better mucus clearance, as well as inhalation of antimicrobial agents (e.g. tobramycin or colistin) [5,6]. Classical mucolytic drugs such as Nacetylcystein (NAC) are not particularly effective,
but dornase alpha, an artificial form of DNAse, reduces mucus viscosity and improves clearance by
degrading neutrophil and epithelial cell derived
DNA [7]. Bi-level positive airway pressure (BiPAP)
can be helpful to prevent desaturation during the
night and may even support sputum clearance [8].
Antibiotic regimens need to be initiated in a timely
fashion and for longer duration [9], since the development of antibiotic resistances has become a more and more prevalent issue. Ultimately, lung transplantation is an option which is becoming more
available [10].
Gene replacement therapy
Shortly after identification of the gene responsible
for CF in 1989, gene therapy, the transfer of a normal copy of the CFTR gene into the lungs of CF patients, was proposed as an attractive new option
[11]. CF seems to be an ideal candidate for gene replacement therapy, since it is caused by a single gene defect and the lungs present an environment
which is easily accessible via airways. Since the discovery of the CFTR gene multiple studies based on
this approach have been undertaken, but none of
them showed convincing evidence that gene replacement would become the successful treatment option one was hoping for.
Certain requirements need to be fulfilled for gene
therapy to be successful. Most importantly, expression of the gene and its product has to be high
A Moeller, M Kolb
Gene therapy for cystic fibrosis - Terapia genetica della fibrosi cistica
accumulation in the airways leading to frequent
pulmonary infections, bronchiectasis with destruction of adjacent lung tissue and ultimately respiratory failure [1].
The CFTR gene is located on chromosome 7. The
most frequent mutation is ∆F508, a deletion of three amino acids resulting in a loss of phenylalanine
at the 508th position. This accounts for more than
60% of the cases, but there are hundreds of other
mutations, which can cause CF as well. One in 25
Caucasian people carries a defective gene without
showing symptoms [2]. Disease manifestation appears only when both genes are malfunctioning.
The incidence is approximately 1 in 3300
Caucasians. Diagnosis is mostly made by a sweat
test with chloride values > 60 mmol/L being indicative for disease. Several organs are potentially involved in CF. The pancreas is affected in 90% of cases,
leading to insufficient secretion of enzymes into the
gut. The enzymes accumulate in the pancreas and
subsequently cause tissue damage, pancreatitis and
eventually diabetes due to deficient insulin production [3]. Malabsorption causes malnutrition, diarrhea
and distal intestinal obstruction syndrome. Other
common manifestations are liver cirrhosis, disturbance of blood coagulation, increased risk of osteoporosis due to vitamin D deficiency and infertility.
The involvement of the lungs is most critical in respect to quality of life and prognosis. Highly viscous mucus secretions promote respiratory complications such as infections, bronchiectasis, pneumothorax, hemoptysis, and secondary pulmonary
hypertension. Advances in supportive therapy, particularly supplemental nutrition, have markedly increased life expectancy in the past decade to a
mean survival of 37 years [4]. The most important
therapeutic goal remains limiting tissue damage
FIGURE 1: GENE THERAPY APPROACHES IN CYSTIC FIBROSIS
GENE REPLACEMENT
Viral Vectors
Non-viral Vectors
•adenovirus
•adeno-associated virus
•paramyxovirus
•“naked” DNA
•lipoplexes
•polyplexes
(parainfluenza type 1+3,
respiratory syncytial virus
•lentivirus
GENE THERAPEUTICS
transient administration
of genes (e.g. cytokines) to
affect function or
modulate responses.
GENE SILENCING
antisense strategies
•mucins
•epithelial sodium channel
•other targets
Gene therapy approaches in cystic fibrosis are not limited to the classical gene replacement, but also include gene therapeutics and gene silencing
techniques.
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enough and must persist for an adequate period of
time [12]. Studies have shown that as little as 1015% of the normal gene expression may be sufficient to restore pulmonary and pancreatic function,
but the prevention of complicating infections may
require higher levels of gene expression [13]. A variety of methods of gene delivery exist including viral or non-viral vector systems (Figure 1).
One common issue for all topically administered
vectors is to overcome mechanical and immunological barriers before they reach the cellular target.
Accumulation of thick mucus, reduced mucociliary
clearance, airway surface liquid (ASL), and glycocalyx are physical barriers which can markedly impair the effect of vectors by preventing direct contact with epithelial cell membranes [14,15]. Small
airways are especially difficult to reach by aerosols
when they are blocked by mucus plugs [11]. Once
intracellular, the vectors or their DNA have to surmount another hurdle, the nuclear membrane [15].
Numerous approaches to overcome these problems
are under investigation. Pre-treatment with mucolytic or anticholinergic drugs (e.g. glycopyrrolate) can
help to improve transfection efficiency. Gene expression can be further enhanced by removal of
pulmonary macrophages, at least in vitro [16]. Tight
junction openers such as sodium caprate are also
effective, but the heavy bacterial colonization of CF
airways warrants caution as they can increase the
risk of systemic infections [17]. Further, passage of
the nuclear membrane can be facilitated by the employment of nuclear localization signals [15].
Another option to enhance transgene expression
might be to administer gene vectors via the circulation, as the submucosal glands, site of high gene expression in a healthy person, may be reached more
easily via this route [18].
Viral delivery systems
The major problem with viral vectors is that cellular
and humoral immune responses against the virus
basically preclude repeated administration [16].
Recognition of viral proteins leads to formation of
neutralizing antibodies which impede the effect of
subsequent doses [19]. Replication-deficient adenovirus used to be the most widely applied vector
system. The receptor for human adenovirus is located on airway epithelial cells, although predominantly on the basolateral surface which is more difficult to reach [13]. The greatest advantage of adenoviral vectors is their ability to transport high copy
numbers of virus into the cell, thus achieving very
efficient gene expression. The main problem with
this system, however, is that gene expression is transient and vector application is not repeatable due to
the host immune response [20]. We have previously shown that the development of neutralizing antibodies can be delayed by corticosteroids, allowing
successful gene expression from adenoviral vectors
up to four times in two week intervals, but this
would not be helpful for gene replacement therapy
in a disease like CF [21]. The presence of high antibody titres against adenoviruses following exposure
74 MRM
during childhood can further boost the immune response against adenovirus vectors [15]. Non-human adenovectors can be administered repeatedly
by bypassing some of these obstacles, but they are
far less efficient [22].
Adeno-associated viruses (AAV) have become more important in the last years as they cause less inflammation, and gene expression can be maintained over a longer period. Their safety profile seems
to be good [23]. However, packaging of larger genes into AAV vectors is a major problem (including
the CFTR gene). One attempt to overcome this is to
split the therapeutic cDNA and package it into two
viruses, which would reunite after transfection into
the cell [16]. Further, the small cloning capacity,
difficulty in achieving high titers in manufacture
and lack of efficiency in human trials still limits this
system for lung gene transfer, although recent success with safe repeat aerosol administration to humans is a welcome development [23].
Several other viral vector systems are under investigation. Parainfluenza type 1 and Sendai virus, seem
to be efficient for airway gene transfer, and have
been shown to be able to produce functional CFTR
chloride channels in vitro [24]. Other members of
the paramyxovirus family, the human respiratory
syncytial virus and the human parainfluenza type 3,
have also been successfully employed to transfect
alveolar epithelial cells [16]. Repeated administration, however, is inefficient so far, similar to adenoviral vectors [20]. Lentivirus is a laboratory made
retrovirus based on HIV and is able to deliver and
integrate genetic information into the DNA of the
host cell, which in contrast to the above mentioned
viruses, allows the gene expression to persist after
cell division [11]. Lentiviruses can be used for transfection of epithelial cells and have been shown to
transiently and partially correct the chloride defect
in CF knockout mouse nose after pretreatment with
a tight junction opener [16].
Non-viral delivery systems
The development of non-viral vectors has progressed considerably in the past years. Less severe immunological and inflammatory responses as well as
large scale production are major benefits [19,15].
However, the key problem with these systems still is
their lack of efficient gene expression, in part caused by the large size of aggregates, which makes penetration through the nuclear membrane difficult.
These large aggregates are critical to protect the therapeutic DNA from damage during transfection of
the cell, but smaller particle formulations are under
development [20]. Cationic lipoplexes prevent
DNA denaturation by building a liposome-like
structure consisting of DNA covered with lipids.
They interact with the cell membrane and release
the DNA into the cytoplasm, a process called endocytosis. Lipoplexes used to cause toxicity and
were not as efficient in non-dividing cells, a problem which might be overcome by PEGylation (a
process whereby the formulation is compacted with
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Other approaches of gene therapy
The classical idea of gene therapy in CF implies replacement of the defective CFTR gene. However,
there are other methods for gene therapy, or gene
therapeutic, which may be more easily realized in
the near future. Gene transfer may target other genes for a transient period of time as an attempt to
ameliorate disease manifestation and possibly affect
prognosis. The antimicrobic peptide humane β defensin-1 (HBD-1), for instance, is thought to be implicated in the frequent occurrence of pulmonary
infections. HBD-1 activity depends on salt concentration in the environment, and in CF HBD-1 is
inactivated as a result of high chloride levels [25].
Transfer of a modified gene for this peptide which is
less susceptible to high salt is theoretically a promising gene therapy approach for CF. Further, transient cytokine gene transfer (interleukin-12 and interferon-α) has been shown to increase clearance of
Klebsiella pneumoniae and P. aeruginosa in animal
models [11,18,26]. Disease progression and life
quality may be improved substantially by impeding
these respiratory complications.
Another approach of gene therapy is the silencing
of genes involved directly or indirectly in the pathogenesis of CF. Mucus amount may potentially be reduced by interfering with mucus production.
Sodium in the mucus and thus its viscosity could be
increased by targeting epithelial sodium channels.
For this, antisense strategies could target mucin genes, the epithelial sodium channel or other chaperone proteins (Figure 2). By way of an example, it
has been demonstrated that antisense inhibition of
A Moeller, M Kolb
Gene therapy for cystic fibrosis - Terapia genetica della fibrosi cistica
polyethyleneglycol (PEG)-substituted polylysine)
[12,16]. Similarly, serpin-enzyme complex receptor
(Sec-R) ligand polylysine complex transfect epithelial cells more efficiently, probably due to their
small size which allows crossing the nuclear membrane [16]. A Sec-R ligand complexed to CFTR plasmid has been shown to partially correct the chloride transport defect in CF knockout mice nasal
epithelium [12]. Complexes of polymers with DNA
are called polyplexes. Some of these cannot cause
rupture of endosomes by themselves, which prevents transcription of the therapeutic DNA. Others
in contrast, such as polyethylenimine, have been
modified by adding sugars [20] to gain their own
methods of release. Particles formed with polyK have the advantage of being less toxic, causing no inflammatory response and being able to be administered repeatedly [12].
Overall, non-viral delivery systems seem to offer several advantages over viral systems, but a number of
hurdles still need to be overcome before this approach can reach the bedside. Besides the improvement of vector systems, the development of other
physical delivery methods to increase the transfection efficiency is in progress, among them electroporation, magnetism, ultrasound and vibration [16].
Electroporation is a tool which has been shown to
enhance transfection efficiency of naked DNA in
the lung. In magnetofection non-viral vectors are
coupled to magnetic particles, a method which has
been used successfully in the lungs in vitro and in
the intestine in vivo. Still, numerous technical and
safety issues exist for these methods [20].
FIGURE 2: SIMPLIFIED EXAMPLE OF SILENCING A GENE FOR MUCIN USING ANTISENSE STRATEGIES
Silencing RNA
1
mRNA
degeneration
2
mucin mRNA
4
3
Double strand “small interfering ribonucleic acid” (siRNA) with a base sequence (20-25 base pairs) complementary to a specific mucin mRNA
enters the cell (1), double strand RNA unwinds in the cytoplasm and forms a stable complex with proteins (2), single strands of siRNA bind to
messenger RNA of mucin target gene (3), and the RNA complex is finally degradated, thus interrupting protein synthesis (4).
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B-cell antigen receptor-associated protein 31 leads
to enhanced CFTR gene expression and partially restored CFTR chloride channel function [16].
Circulating or bone marrow derived cells (stem cells or stem-like cells) can also be manipulated and
potentially employed as vectors to transport genes
into airway epithelial cells.
Targeting resident lung stem or progenitor cells with
integrating lentiviral vectors has shown promising
results in vitro [27]. Initial in vivo experiments,
however, have shown that only a small percent of
these cells trans-differentiate into airway epitehial
cells [28,29], demonstrating that this technique still
needs to be further developed. One major advantage of such therapies would certainly be the lack of
an immune response, allowing repetitive administration and potentially even preventive therapy
[19].
Clinical trials
More than 30 clinical trials have been performed in
the past 15 years [30], but none of them has been
as successful as hoped [31]. Some promising results
have been reported recently. Repeated administration of AAV vectors was shown to improve pulmonary function in CF patients slightly, and interleukin
(IL)-8 could be reduced in sputum, indicating a favorable effect on airway infections. The treatment
was tolerated well and considered safe [16].
Another clinical trial examining delivery of lipoplex-mediated CFTR to nasal epithelium showed
partial correction of nasal potential difference (to
indirectly measure chloride secretion) and administration of this vector to lower airways seemed to
improve chloride transport. Compared to “naked”
DNA and polyplexes, the lipoplexes were slightly
more efficient as reported in studies by the UK CF
Gene Therapy Consortium [12].
CONCLUSIONS
In the early years after discovery of the CFTR gene,
gene therapy was anticipated to rapidly develop into a method for curing CF. However, a number of
negative clinical trials have reduced this initial
enthusiasm. Current viral and non-viral gene vectors still have serious limitations such as antiviral
immune response, lack of transfection efficacy, and
short term gene expression that prevent gene replacement therapy from being a useful approach for
the clinical management of CF. Nevertheless, the
advances in vector development are enormous and
it is to be expected that most of the problems identified can be solved in the years ahead. Other promising gene therapy approaches not aimed at gene
replacement are being developed. These include
gene silencing by antisense strategies, transient gene transfer of antimicrobial peptides or cytokines
and others. Overall, the concept of gene therapy for
CF may not be as simple as was hoped a decade
ago, but significant advances are being made and
the future seems promising.
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Multidisciplinary Focus on Therapeutic Issues in Cystic Fibrosis
a cura di Sabina Antoniu
Managing inflammation in cystic fibrosis
La gestione dell'infiammazione nella fibrosi cistica
Vincenzina Lucidi
Dept. of Pediatric Medicine, CF Unit, Bambino Gesù Children's Hospital, Rome, Italy
ABSTRACT
The most frequent clinical manifestation in patients with cystic
fibrosis (CF) is progressive pulmonary destruction due to chronic endo-bronchial infection. There is increasing evidence that
immune mediated inflammation also contributes to progressive
pulmonary tissue damage.
In CF inflammation occurs early in the disease process - hence
the rationale for the use of anti-inflammatory agents such as
oral steroids. Anti-inflammatory drugs such as corticosteroids
and ibuprofen have been shown to slow down the decline of the
pulmonary function. However, their use is limited due to the
high percentage of adverse effects.
Recently, a new molecule, azithromycin, has proven to have a
significant role in the treatment of bronchial inflammation.
However, none of the anti-inflammatory agents so far tested,
including immunosuppressors, antiproteases and glutathione,
appear to have a specific and efficacious therapeutic effect.
Keywords: Anti-inflammatory therapies, cystic fibrosis, pulmonary infection, pulmonary inflammation.
RIASSUNTO
La manifestazione clinica più frequente nei pazienti con Fibrosi
Cistica è il danno polmonare progressivo causato dall'infezione
endo-bronchiale cronica.
Numerose evidenze scientifiche dimostrano che anche l'infiammazione immuno-mediata contribuisce al progressivo
danno del parenchima polmonare.
L'infiammazione polmonare è presente già nei primi mesi di vita, prima della colonizzazione batterica e pertanto potrebbero
essere utili farmaci antinfiammatori come gli steroidi.
I corticosteroidi e l'Ibuprofen hanno dimostrato di rallentare il
declino della funzionalità polmonare ma il loro uso è stato limitato dall'elevata percentuale di effetti collaterali.
Negli ultimi anni una nuova molecola come l'azitromicina ha
dimostrato un ruolo significativo nella terapia dell'infiammazione bronchiale da Pseudomonas ma nessuno degli antinfiammatori fino ad oggi testati compresi immunosoppressori, antiproteasi e Glutatione sembrano determinare uno specifico ed
efficace effetto terapeutico.
Parole chiave: Fibrosi cistica, infezione polmonare, infiammazione polmonare, terapie antinfiammatorie.
INTRODUCTION
Cystic fibrosis (CF) is an autosomal recessive lethal
disease affecting 1 in 2,500 newborns among
Caucasians, caused by the cystic fibrosis transmembrane conductance regulator gene (CFTR) [1].
Chronic lung disease is the major cause of mortality
and morbidity in CF patients. The real explosion in
the knowledge of fundamental airway biology and
CFTR function came in 1989 with the identification
of the CFTR gene. The protein encoded by the
CFTR gene is a chloride (Cl-) channel in the apical
membrane of exocrine epithelial cells [2].
The pathophysiology of CF is complex and cannot
be solely ascribed to loss of the Cl- channel function of CFTR: Na+ and Cl- reabsorption is clearly
deficient in CF sweat ducts, whereas pancreatic juice is known to be low in HCO3-. In CF airways, Clpermeability is decreased and Na+ absorption increased [3,4].
Much of the morbidity and mortality in CF appears
to be due to infection and inflammation in the small
airways, but the primary cause is still debated. In
patients with end-stage lung disease, areas with atelectasis and extensive bronchiectasis can be found
adjacent to large areas with air trapping that reflect
severe peripheral airway obstruction; however, also
young patients may show the same features (table I).
Airway infection in CF is largely due to impaired
mucus clearance secondary to relative dehydration
of airway surface liquid (ASL), which depletes the
Vincenzina Lucidi
Dept. of Pediatric Medicine, CF Unit, Bambino Gesù Children's Hospital,
Piazza San Onofrio 4, 00165 Rome, Italy
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 21/12/2006 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007
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Defective CF gene
Defective CFTR
Abnormal airway surface?
Bronchial obstruction
Infection / Inflammation
Bronchiectasis / Lung remodelling
Destruction of the lung
Definition of abbreviations: CF, cystic fibrosis; CFTR, cystic fibrosis
transmembrane conductance regulator.
periciliary layer and increases mucus viscosity, inhibiting both mucociliary transport and cough efficiency [5]. The hydration of ASL represents bringing
about a balance of Cl- secretion and Na+ absorption, principally regulated by these effectors: calcium activated chloride channel (CaCC) and the
epithelial Na channel (EnaC) for Na+ absorption
[6]. These studies demonstrate that mucus transport
is a key component of innate lung defence and suggest that novel treatment strategies that restore proper ASL volume will likely be successful in the
treatment of CF lung disease.
However, in CF patients, Haemophilus influenzae
and Staphylococcus aureus are frequently recovered from deep throat cultures, already in the first
years of life. Later in life, most of these subjects become chronically infected with Pseudomonas aeruginosa. Some investigators have observed inflammatory cells and mediators in bronchoalveolar lavage (BAL) fluid in infants with CF in the absence of
apparent infection as assessed also by sensitive
polymerase chain reaction (PCR) methodology.
Some investigators found that culture-negative CF
infants had increased interleukin (IL)-8 and neutrophils when compared to culture-positive in nonCF children [7,8]. The current studies are insufficient to prove whether inflammation can occur
prior to infection in the CF airway; today we can
state that, once initiated by infection, the inflammatory process in CF airways is excessive in relation to
the stimulus applied, is protracted, and fails to resolve, even when the infection is resolved.
Older patients show marked increases in proinflammatory mediators, including elastase and IL-8, IL-1,
IL-2, IL-9, and tumor necrosis factor alfa (TNF-α) in
BAL fluid and IL-6 and TNF-α in blood, compared
to healthy controls. At the same time, IL-10, an anti-inflammatory cytokine, is significantly decreased,
supporting the hypothesis that regulation of the in-
flammatory response is aberrant in CF [9,10].
The different components of the immune system
(innate and acquired) are known to be present and
functional in CF. However, key aspects of the hostpathogen interaction seem to be disturbed by the
absence of normal CFTR activity. Another important
aspect is that, differently from other examples of chronic lung infections, the inflammatory response
seen is primarily of a granulomatous type with a
switch in the predominant cell type away from neutrophils. In CF patients we have the presence of an
acute-type response with large amounts of neutrophils that, over time, will produce destructive
changes in the airway wall.
Although the mechanisms responsible for the increased susceptibility to infection with microorganisms like P. aeruginosa are not deeply understood,
it is clear that the failure to treat these infections
perpetuates the inflammatory response. This situation is worsened by the presence of a mucoid type
of Pseudomonas and biofilms that render the microrganisms resistant to the elimination by immune
mechanisms, including phagocytosis [11].
The precise intracellular abnormalities and the relationship to CFTR dysfunction is unclear; nevertheless, treatment of infection and inflammation still
represents the most important independent therapeutic target in CF.
V Lucidi
Managing inflammation in cystic fibrosis - L'infiammazione nella fibrosi cistica
TABLE I: PATHOGENESIS AND DISEASE PROGRESSION IN THE
CYSTIC FIBROSIS LUNG
Anti-inflammatory agents
Until a therapy capable of intervening on the basic
defect of the disease is available, the proper treatment for chronic suppurative bronchopneumopathy
must necessarily include drugs able to reduce the
bacterial load, improve the mucus removal from the
bronchial tree and reduce the mucosa inflammation. Therefore, it is logical to attempt to modify this
inflammatory response, ideally as early as possible,
and before severe inflammation is established. The
difficulty is to find a drug that is effective, easy to
administer at any age and safe, taking into account
that it should be administered early at the diagnosis
and continued lifelong (table II).
Oral corticosteroids, up to now frequently used in
the clinical practice by physicians who treat CF, have been shown to slow the progression of lung disease, but have unacceptable side effects for longterm use. Three randomized controlled trials have
been carried out: 2 were long-term studies (4 years)
and one short-term (12 weeks only) [12]. All have
indicated that dosage of 1-2 mg/kg on alternate
days seems to slow down progression of lung disease; however significant adverse effects reported in
the reviews, including early onset of diabetes, development of cataracts and impaired growth, suggest
that such therapy should not be administered in the
long term in most patients. Even more serious are
the long-term results reported by Lai et al. who, in
a follow-up of patients beyond 18 years of age,
showed that the difference in height was permanent
amongst the steroid-treated boys [13].
In a new study that is ongoing, a different formulation of corticosteroids which are loaded on autoloMRM
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TABLE II: PATHOGENESIS AND DISEASE PROGRESSION IN THE
CYSTIC FIBROSIS LUNG
• Oral corticosteroids
• Inhaled corticosteroids
• Ibuprofen
• Agents directed against arachidonic acid metabolites [22,28]
• Antiproteases [26]
• RhDNase
• Macrolides
• Cyclosporine, methotrexate
• Antioxidants
gous erythrocytes appears to slow the progression of
lung disease without causing those side effects reported above. However it should be underlined that all
treated patients had completed the sexual development and, therefore, their potential for growing taller.
The actual efficacy of this formulation should be evaluated in an appropriate number of patients [14]. In
fact, as all studies carried out demonstrate that the benefits provided by cortisone disappear when treatment is discontinued, it is absolutely necessary to find
a drug that can be taken for a long period of time and
not only for a short one. It has now been suggested
that inhaled corticosteroids could be administered for
long periods as they should act directly on the lung
without provoking side effects. The actual anti-inflammatory efficacy of inhaled corticosteroids in CF patients has not been proven yet. Ten trials which studied 293 adults and children for between 4 weeks
and 2 years showed insufficient evidence of benefit
and no significant reduction in inflammatory markers
[15]. Recently a large UK multicenter study has evaluated the outcomes of randomised withdrawal of
inhaled corticosteroids therapy in 171 children and
adults [16]. In this study population the authors show
that stopping inhaled corticosteroids is not harmful
for CF patients who have being taking them for some
years; however their study does not offer clear guidance as to who might best benefit.
The same problems have been noted with the use of
non-steroidal anti-inflammatory drugs (NSAID), in
particular ibuprofen. In 1995 Konstan et al. published
the results of treatment with high dosages of ibuprofen in CF patients [17]. Ibuprofen also showed a significant slowing of decline in lung function in CF patients with mild pulmonary disease which was most
noticeable in the youngest patients; however this therapy has been limited by potential renal adverse effects (especially when the patients are also receiving
other nephrotoxic drugs), peptic ulcer disease and gastrointestinal haemorrhage. As a matter of fact, the
Cochrane systemic review concluded that routine use
of non-steroidal, anti-inflammatory drugs should not
be recommended in CF patients [18].
Studies with alternative non steroidal anti-inflammatory drugs, e.g. selective cyclo-oxygenase-2 (COX-2)
inhibitors, of the Cystic Fibrosis Foundation (CFF) are
being carried out, but complications correlated to
the association between COX-2 inhibitors and cardiovascular events have been reported. Macrolide
antibiotics may have intrinsic anti-inflammatory
properties as several in vitro and animal studies have shown that they have effects on neutrophil phagocytosis, degranulation, migration and apoptosis
[19]. Three randomised control trials (Australia, UK,
USA) have studied azithromycin in CF: all studies
concluded that there is clear evidence of a small
but significant positive effect on lung function [20].
Diet as treatment of inflammation
Optimal dietary intake is an essential component of
nutritional care of CF patients also because nutrition
is strictly correlated with prognosis. Accumulating
evidence supports the hypothesis that dietary factors
may have independent effects on chronic inflammation and endothelial function [21]. A study by
Freedman et al. indicated that dietary factors may
contribute to lung inflammation and morbidity in CF
patients. In fact, it showed that supplementing the diet
of CF knockout mice with linoleic acid (compared to
oleic acid in the control mice) they had increased arachidonic acid and neutrophil recruitment in the lungs
following Pseudomonas LPS exposure. This paralleled
a 4-fold increase in neutrophil count in bronchoalveolar lavage (BAL) [22].
Two randomised double-blinded, placebo controlled
trials conducted in CF patients showed that w-3
polyunsaturated fatty acids (PUFA) are incorporated
in neutrophil membranes. The leukotriene B4:leukotriene B5 ratio was significantly decreased suggesting
that neutrophils may produce less pro-inflammatory
mediators from arachidonic pathway [23].
Omega-3 fatty acid supplementation has been studied in a small number of patients with CF over a
short period of time but present evidence is not sufficient to reach a final conclusion and probably the
amount that would need to be ingested for any type
of therapeutic benefit would not be tolerated [24,25].
Other potential anti-inflammatory agents
There are a number of other agents that have been
tried in patients with CF for their potential anti-inflammatory effects. Nebulized recombinant DNase
(Dornase Alpha), used for many years as mucolytic,
has shown evidence that long-term therapy can have
a stabilizing effect on airway inflammation in patients with mild lung disease without an actual reduction of inflammation. Antiproteases, like α1-antitrypsin or recombinant secretory leukoprotease inhibitor (rSLP), and anti-elastase agents need further
trials as none of them has reached phase III [26]. The
possibility of using immunosuppressors, such as cyclosporine or low-dose methotrexate, has been investigated only in small case series.
There is some evidence of reduced levels of antioxidants, in particular glutathione, that is present in high concentrations in normal respiratory epithelial lining fluid (ELF). Some authors have demonstrated the
feasibility of using glutathione aerosol to restore the
respiratory epithelial surface oxidant-antioxidant balance in CF as a means of controlling inflammation
[27]. In the future, it will probably be possible to test
alternate molecules already used for other patholo-
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Persistent lower airway infection with inflammation
is the major cause of morbidity and mortality in cystic fibrosis. The knowledge of airway inflammation
in these patients in addition to the evidence found
CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: V.L. does not have a financial relationship with any commercial entity that has an interest in the subject of this manuscript.
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V Lucidi
Managing inflammation in cystic fibrosis - L'infiammazione nella fibrosi cistica
CONCLUSIONS
of persistent inflammation in the absence of infection in the early stages of disease, supports the need
for further study on potential therapeutic anti-inflammatory interventions.
As the ideal and safe anti-inflammatory agent is not
available yet, it is still difficult to imagine an anti-inflammatory therapy not associated with a specific
antibacterial one.
gies, that act at different levels of the antinflammatory
cascade, such as etanercept (efficacious in rheumatoid arthritis), a soluble recombinant TNF receptor fusion protein, and infliximab (efficacious in inflammatory bowel disease), a monoclonal antibody against
TNF-α, or monoclonal anti-IL-5, and anti-IL-8.
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Multidisciplinary Focus on Therapeutic Issues in Cystic Fibrosis
a cura di Sabina Antoniu
Management of extra-pulmonary
manifestations of cystic fibrosis
Gestione delle manifestazioni extra-polmonari
della fibrosi cistica
Giovanni Taccetti1, Filippo Festini2
1
2
Cystic Fibrosis Centre of Tuscany, Meyer Hospital, Florence Italy
University of Florence, Department of Pediatrics, Florence Italy
ABSTRACT
Although pulmonary disease accounts for the most part of
morbidity and mortality of cystic fibrosis (CF), extra-pulmonary
manifestations of the disease have an important role in the
health status and in the quality of life of people with CF. The
availability of effective treatments for exocrine pancreatic
insufficiency and malabsorption have contributed in the last
decades to the improvement of life expectancy. CF hepatopathy
remains a major problem, which may often lead to the need for
liver transplantion; however prevention of progression can be
effectively undertaken. CF-related diabetes (CFRD) and bone
density alterations have emerged as frequent manifestations of
CF and call for adequate prevention and treatment. A multidisciplinary, patient-centered, integrated approach to CF is paramount to keep CF people in satisfactory health conditions.
Keywords: CFRD, cystic fibrosis, malabsorption, pancreatic
insufficiency, osteopenia.
RIASSUNTO
Sebbene siano le manifestazioni polmonari a determinare la
maggior parte della mortalità e morbilità della fibrosi cistica
(CF), le manifestazioni extra-polmonari della malattia hanno
un ruolo di rilievo nello stato di salute e per la qualità di vita
delle persone affette da CF. La disponibilità di trattamenti efficaci per l'insufficienza esocrina del pancreas e per il malassorbimento hanno contribuito nell'ultimo decennio a migliorare
l'attesa di vita. L'epatopatia da CF rimane un problema sostanziale che spesso può portare al trapianto di fegato; tuttavia una
prevenzione della progressione della patologia può essere perseguita con successo. Il diabete causato da CF (CFRD) ed alterazioni della densità ossea sono emerse come manifestazioni
frequenti della CF e richiedono adeguate misure di prevenzione e trattamento. Un approccio integrato, mulidisciplinare, fo-
calizzato sul paziente è fondamentale per mantenere le persone con CF in condizioni di salute soddisfacenti.
Parole chiave: CFRD, fibrosi cistica, insufficienza pancreatica,
malassorbimento, osteopenia.
Cystic fibrosis (CF) is a multi-system disease and
although the major cause of morbidity and mortality is lung disease, extra-pulmonary manifestations
are numerous and significant. All organs and apparatuses that have exocrine secretion glands are subject to alterations due to the basic molecular defect
- mutation of the cystic fibrosis transmembrane conductance regulator (CFTR) gene - and may feature
several clinical manifestations. Such manifestations
require continuous monitoring and careful treatment in order to keep CF patients in satisfactory
health. A multi-disciplinary integrated approach is
vital for a good control of the non-respiratory
expression of CF. A successful management strategy
should include a gastroenterologist, dietitian, diabetologist, endocrinologist, expert radiologist and
specialized nurse as part of the CF care team [1,2].
Management of exocrine pancreatic insufficiency
Exocrine pancreatic insufficiency (EPI) is the most
common extra-pulmonary expression of CF (affecting about 85% of CF patients) [3-6]. About 60% of
patients manifest EPI in the first days of life, with a
delay in weight gain in spite of normal appetite and
normal caloric intake, swollen abdomen, and abun-
Filippo Festini
University of Florence, Department of Pediatrics, Florence, Italy
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 23/01/2007 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007
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Nutritional management
Attention to nutrition is an essential part of the general care of CF patients. Clinical evaluation, growth
monitoring and dietary counseling should be performed at every visit to the CF clinic in collaboration with an expert dietitian [1,2]. Normal nutritional status is defined as weight-height ratio over 90%
for children or a body mass index (BMI) over 19 for
adults [5].
Malnutrition in CF patients is multifactorial, with
the main determinants being intestinal malabsorp-
tion, increased energy requirements, and insufficient intake due to appetite reduction caused by chronic pulmonary infection.
Energy intake in CF children must be carefully monitored. Its adequacy should be evaluated by taking
into account weight changes, the growth curve pattern, BMI and physical activity. Attention should be
given both to quantity and quality of caloric intake,
as both can negatively affect growth. Careful and
constant surveillance is needed regarding a child's
request for food in-between meals as well as the
duration of meals, especially for patients taking
PERT. It is paramount that parents be educated regarding home management of nutritional aspects of
CF [5,8]. The family of the CF patient should be
asked to keep a dietary diary for three days on the
occasion of annual check-ups to the CF clinic, in
order to assess food intake.
Infants can be breast-fed but most infants show adequate growth on standard formula feedings, which
can be concentrated to maximize caloric intake
[20-23]. The use of hydrolyzed protein formulae
containing medium chain triglycerides might be
useful in infants with liver involvement, persistent
steatorrhea, or short gut syndrome [3].
A child's diet should be adapted to personal preferences and lifestyle habits. It should provide 120%
to 140% of the recommended daily caloric requirement for age. Fat consumption should represent
35% to 40% of total intake [24-28].
If growth or weight gain is unsatisfactory in spite of
the increased energy intake from the diet, oral nutritional supplements may be used. However, studies on their efficacy are lacking [29]. The type and
quantity of supplement depends on the patient's
age, preference and nutritional requirements.
Dietary supplements should complement normal
food intake; they should be taken after a meal or as
a snack so that they never replace normal food
[5,8]. Invasive nutritional support with high-caloric
formulas might be required for patients with poor
growth in spite of oral supplementation. Enteral feeding may be infused during nocturnal sleep through a nasogastric tube, gastrostomy, or jejunostomy
to provide 30% to 40% of total energy needs
[30,31]. Parenteral nutrition may be indicated for
short-term use for specific problems but long-term
use is not indicated because of possible complications; also, invasive nutritional measures should be
discouraged during the end-of-life phase [32,33].
CF patients are at risk of low essential fatty acid levels. Supplying increased intake has been shown to
be helpful although excessive intake exposes them
to possible adverse effects [34].
Malabsorption of fat-soluble vitamins is likely in
most patients with cystic fibrosis. In patients with
EPI vitamin A, D and E supplements should be started on diagnosis [35]. Initial doses should be sufficient to normalise blood concentration without
causing hypervitaminosis. It has recently been suggested that vitamin K supplementation should be
routinely given to CF patients [36]. However, vitamin K should be commenced if there is evidence of
G Taccetti, F Festini
Extra-pulmonary manifestations of cystic fibrosis - Manifestazioni extra-polmonari della fibrosi cistica
dant stools [7]. In older children EPI manifests with
fetid, oily stools due to steatorrhea. Exocrine pancreatic function should be evaluated soon after
diagnosis. Fecal pancreatic elastase is a simple,
noninvasive indirect method to evaluate effectively
pancreatic exocrine function [5,8-12] with concentrations < 100 µg/g indicative of severe pancreatic
insufficiency.
Treatment of EPI requires life-long pancreatic
enzyme replacement therapy (PERT) [5,13,14].
Enzyme preparation may differ with regard to
enzyme content, particle size and dissolution pH
level. The enzyme dose is expressed as lipase units
per kilogram. A more practical way to manage PERT
is dosing lipase in units per kilogram of body weight
per day. PERT is prepared in microspheres protected against gastric acid inactivation and contained in
capsules.
In infants, enzyme dosing is based on food intake,
starting with 2,500 to 3,300 lipase units for every
120 ml of mother's milk or formula [5,8,11]. In
older children, the dose will be 1,000 lipase units
per kg of body weight per meal for children under
4 years of age and 500 lipase units per kg of body
weight over 4 years of age.
Older patients tend to eat less fat per kilogram of
body weight [5]. Daily enzyme requirements can
range between 500 and 4,000 lipase units per gram
of dietary fat [14] and the response to enzymes also
varies greatly. Dose adjustment should take into
account weight gain and stool features. Laboratory
evaluation of steatorrhea should be performed periodically and when malabsorption is clinically suspected [3,5,8] using quantitative or semi-quantitative fecal fat analysis [4,13].
Enzyme capsules can be either swallowed or
opened and the microspheres mixed with food.
Patients may become constipated during enzyme
replacement therapy. If this occurs, the enzyme
dose may need to be increased, since a reduced
dosage may facilitate distal obstruction syndrome.
However, doses higher than 10,000 lipase units per
kg of body weight per day should be avoided since
there is a higher risk of developing fibrosing
colonopathy [11,15].
The role of gastric acidity reduction in increasing
the action of enzymes and fat absorption using
omeprazole or ranitidine has not been clarified [1618]. Oral taurine supplementation might improve
fat absorption in patients with poorly controlled
steatorrhea [19].
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liver disease or a prolonged prothrombin time.
Annual monitoring of fat soluble vitamin serum levels has been recommended [5,8]. In pancreatic
sufficient patients vitamin A, D, E supplementation
should be commenced when low levels are detected. Vitamin supplements should be taken at meal
times together with pancreatic enzymes.
Recommendations for daily vitamin supplements in
CF patients are shown in table I.
Extra salt is recommended in hot climates. The sodium loss is about 500 mg a day in CF adults, but
may increase 10 times during physical activity in
the sun. Table II shows the minimal daily need.
For newborns, sodium chloride supplementation
should be 35-71 mg per kg of body weight per day.
Oral calcium should be given if dietary intake is insufficient. CF patients under treatment with intravenous aminoglycosides may require oral magnesium
supplementation.
Management of liver manifestations
Cholestasis is the pathogenic basis of most of the
hepatic manifestations of CF. Routine monitoring of
liver involvement should be started early and
should include liver and spleen clinical examination at every check-up [1]. Liver function blood tests should be performed at least annually, together
with liver ultrasonography, scoring for parenchymal
irregularity, periportal fibrosis and nodular alterations [37].
Gall-bladder stones have a higher incidence and
earlier onset in CF patients than in the general population, although they are often asymptomatic.
Ursodeoxycholate (UDCA) has strong choleretic properties and is largely used in CF patients with liver disease [38,39]. UDCA treatment from l to 2 years at
10 to 15 mg/kg of body weight per day can normalize liver function tests. However, its long-term efficacy in preventing the progression of liver disease in
CF is unproven [40]. Hepatocellular failure is uncommon in CF, but patients may suffer from recurrent
episodes of variceal bleeding. Vitamin K supplementation should be given in the case of abnormalities of
the patient's clotting status [5].
Management of endocrine pancreatic function
disorders
Glucose metabolism should be assessed every year
from the age of 10, especially in patients with EPI, or
TABLE I: DAILY VITAMIN SUPPLEMENTATION FOR CYSTIC
FIBROSIS PATIENTS
Age
Vitamin A
Vitamin D
Vitamin E
<1 year
4,000 IU (1,200 µg)
400 IU (10 µg)
10 - 50 mg
>1 year
4,000 - 10,000 IU
(1,200 - 3,000 µg)
400 - 800 IU
50 - 100 mg
(10 µg - 20 µg)
Adults
4,000 - 10,000 IU
(1,200 - 3,000 µg)
800 - 2,000 IU
(20 - 50 µg)
From [5].
84 MRM
100 - 200 mg
TABLE II: MINIMUM DAILY SODIUM CHLORIDE NEED IN
CYSTIC FIBROSIS PATIENTS
Age
Na (mg)
Cl (mg)
K (mg)
<1 year
120-300
180-300
500-700
>1 year
225-500
350-750
1000-2000
From [8].
more often if clinically indicated. The Oral Glucose
Tolerance Test is the screening method for CF-related
diabetes (CFRD): 2 h postload glucose levels ≥ 200
mg/dl is diagnostic [41,42]. Diagnosis of CFRD is also
made with fasting blood glucose levels ≥ 126 mg/dl or
random glucose levels ≥ 200 mg/dl [43]. The management of CFRD should include nutrition, regular physical activity and insulin [44]. Use of oral hypoglycemic
agents is not supported by evidence [45]. Caloric intake reduction is not an appropriate method of controlling blood glucose levels in CF. Meals should be
synchronized with the insulin regimen: 80 to 120
mg/dl blood glucose homeostasis before meals and
100 to 140 mg/dl at bedtime can be considered realistic goals. In most patients, this can be achieved with
a split-dose of a rapidly acting insulin analog, alone or
in association with Neutral Protamine Hagedorn
(NPH) and a long-acting insulin analog [46]. Good results in glycemic control have been obtained in CFRD
with continuous subcutaneous insulin infusion (CSII)
[47]. Blood glucose levels should be monitored 3 to 4
times each day with a home glucose meter. Nocturnal
hypoglycemia should be carefully prevented by monitoring early morning glucose levels at least monthly.
Patients with diagnosed CFRD should have serum
HbA1c periodically tested to assess the adequacy of
metabolic control. Since diabetes complications are
not uncommon [48], an annual check-up of these
should be performed.
Management of upper airways manifestations
Almost all CF patients develop some form of nasal
or sinus disease, which is frequently symptomatic.
Chronic rhinitis with thick mucus secretion and hypertrophy of turbinates is common. Pansinusitis
may be present, and is diagnosed with X-ray
showing sinus opacification [49,50]. Nasal polyposis is common and often represents the first manifestation of CF. [51] Nasal polyps may be present in
the earliest years of life and may cause obstructive
sleep apnea, which may contribute to poor weight
gain. Chronic headache, facial pain and nasal obstruction can significantly worsen the quality of life
of CF patients [52]. Careful monitoring of the upper
airways in collaboration with an Ear Nose and
Throat specialist should be carried out [1]. Nasal
surgery for polyposis may be needed, although recurrence is frequent.
Management of mineral bone density alterations
Osteopenia and osteoporosis are frequent in CF patients. Alteration of bone mineral density (BMD)
may involve both the cortical and trabecular bone.
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Management of painful gastrointestinal manifestations
Distal intestinal obstruction syndrome (DIOS) has
been reported in up to 40% of CF patients, most frequently in adolescents and adults. DIOS should
always be suspected when a patient complains of
persistent abdominal pain and constipation. A direct
abdominal X-ray usually leads to diagnosis [57,58].
The treatment of choice is the administration of a
balanced intestinal lavage solution (polyethylene
glycol-electrolyte solution) orally or by nasogastric
tube at a dose of 20 to 40 ml/kg/h, with a maximum
of 1,200 ml/h. Effective therapy may take 4 to 6
hours. The end point of therapy is determined by
passage of stool [59]. After an episode of DIOS, pre-
ventive measures will include optimization of pancreatic enzyme supplementation, increase in dietary fibers and fluid intake and early intervention
with lactulose or fleet enemas [3].
Rectal prolapse is related to malnutrition, poor muscle tone, passage of voluminous stools in the presence of cough. Recurrences may indicate a need
for increased pancreatic enzyme dosage [60].
Gastroesophageal reflux occurs frequently and
esophageal strictures may develop secondary to chronic esophagitis [61]. Treatment is based on frequent small meals, avoidance of dangerous drugs,
use of antacids, H2 blockers or proton pump inhibitors.
CONCLUSIONS
Although pulmonary disease accounts for the majority of the morbidity and mortality due to CF, the control and management of extra-pulmonary manifestations of the disease is paramount for the health status
and the quality of life of people affected by CF.
Effective treatment of exocrine pancreatic insufficiency and of malabsorption have been shown to
contribute to an improved life expectancy.
CF hepatopathy remains a major problem, which may
often lead to liver transplantion; however prevention
of progression can be effectively undertaken. CF-related diabetes and bone density alterations have emerged in recent years as important manifestations of CF
and need adequate prevention and treatment.
A multidisciplinary, patient-centered, integrated approach to CF is paramount to keep CF people in satisfactory health conditions.
CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: Neither author has a financial relationship with any commercial entity that has an interest in the subject of this manuscript.
G Taccetti, F Festini
Extra-pulmonary manifestations of cystic fibrosis - Manifestazioni extra-polmonari della fibrosi cistica
BMD alterations may be present already in
childhood and adolescence, with no difference
between sexes. Pathogenic factors include reduced
calcium and vitamin D absorption, reduced physical activity, glucocorticoid treatment, and pulmonary exacerbations [53].
Since osteopenia in CF patients is silent until a
pathological fracture occurs, BMD alterations
should be actively investigated. To evaluate BMD,
dual energy X-ray absorptometry (DEXA) of various
bone locations is used [54]. Low risk patients
should be evaluated every 2-3 years starting from
school age. DEXA should be performed annually in
high risk patients, together with monitoring of serum 25-hydroxyvitamin D [1]. If there is no response to dietary calcium integration, other treatments
should be commenced. Higher than recommended
daily allowances of vitamin D may be required. The
efficacy of antiresorptive agents such as biphosphonates has been demonstrated in CF patients.
Intravenous infusion of pamidronate may be necessary where bone loss is severe [55,56].
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Multidisciplinary Focus on Therapeutic Issues in Cystic Fibrosis
a cura di Sabina Antoniu
Lung transplantation for cystic fibrosis
Il trapianto polmonare nella fibrosi cistica
Sarosh Irani, Markus Hofer, Annette Boehler
Division of Pulmonary Medicine, Center for Adult Cystic Fibrosis and Lung Transplant Program, University Hospital
Zurich, Switzerland
ABSTRACT
Over the last decades lung transplantation has emerged as a
considerable therapeutic option for patients with cystic fibrosis
(CF) and severe pulmonary disease. In addition to procedurerelated difficulties such as shortage of donor organs and chronic allograft rejection disease, there are numerous specific issues
related to CF and severe pulmonary disease that need to be
considered.
It is the aim of this article to summarize some important
aspects to be considered when advising CF patients who are
potential lung transplant candidates.
Attention is focused in particular on: appropriate time of referral, post-transplant outcome, and issues of possible future challenges in this population.
Keywords: Cystic fibrosis, lung transplantation, quality of life,
referral.
RIASSUNTO
Nell'ultimo decennio il trapianto di polmone si è proposto come un'opzione terapeutica realmente praticabile nei pazienti
con fibrosi cistica (CF) associata a grave patologia respiratoria.
In aggiunta alle difficoltà correlate alla procedura come la carenza di organi donatori e la patologia cronica da rigetto, vi sono numerosi temi specifici correlati con la CF associata a grave
patologia respiratoria che richiedono considerazione. Scopo di
questo articolo è riassumere alcuni importanti aspetti che devono essere presi in considerazione quando si effettua un consulto nei pazienti con CF potenziali candidati ad un trapianto di
polmone.
L'attenzione deve focalizzarsi in particolare su: momento appropriato per il reclutamento, risultati post-trapianto e possibili future sfide in questa popolazione.
Parole chiave: Consulto, fibrosi cistica, qualità di vita, trapianto
polmonare.
INTRODUCTION
In the last two decades lung transplantation has
emerged as a significant therapeutic option for patients suffering from end stage lung diseases.
Internationally, over 1,800 lung transplants are
performed per year. Between 1995 and 2005 the registry of the International Society for Heart and
Lung Transplantation (ISHLT) accrued data on
21,265 lung transplant recipients, of whom 2,168
suffered from cystic fibrosis (CF) [1].
Compared to other lung transplant candidates, patients with CF show specific 'pros' and 'cons' for
this procedure (Table I). While most major difficulties of the surgical technique have been solved and
the procedure has been widely standardized, chronic allograft rejection and shortage of donor organs
remain the two foremost drawbacks in current lung
transplantation medicine. Therefore, in addition to
considering absolute and relative contraindications
in patients with CF and severe pulmonary disease,
timing of referral and listing of appropriate candidates is crucial in these patients.
Recently a number of models that predict spontaneous survival in CF have been described.
Furthermore, data regarding post-transplant survival
in steadily growing cohorts of patients has become
available. Nevertheless, many questions still remain
unanswered in the constantly evolving field of optimizing time of transplantation. This article provides
a short overview on referral criteria, long term outcome and possible future strategies in lung transplantation of patients with CF.
Annette Boehler
Division of Pulmonary Medicine and Lung Transplant Program
C HOER 27 University Hospital Ramistrasse 100 CH-8091 Zurich, Switzerland
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 30/11/2006 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007
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Pros
Young age
High motivation
Comprehension for complex medical regimen
Vigilance for infectious and other complications
Competent supporting system
High level of functional coping strategies
Cons
Multisystem disease
Colonisation with resistant pathogens
Adolescence, unstable period of life
Lack of career prospects and outlook
Definition of abbreviation: CF, cystic fibrosis.
Timing of Referral
Waiting time for lung transplantation depends on
many factors such as height, blood group, donor/recipient cytomegalovirus status, underlying disease
and local allocation policy, to name only a few.
Therefore, guidelines regarding timing of referral
should only be considered as loose recommendations rather than as categorical. In view of the multisystem nature and the highly variable clinical
course of CF it should be emphasized that referral
to a transplant center should not be based on one
single determinant. Rather, the disease pattern of a
particular CF patient should be evaluated in collaboration with the local multidisciplinary transplant
team. Recently, updated guidelines for the selection
of lung transplant candidates were published by an
international consensus committee [2] (Table II).
Generally, referral for transplantation assessment is
appropriate when the expected two to three year
survival is less than 50%. Unfortunately, recently
published multivariable models predicting survival
in CF patients show inconsistent results. A multivariate model to predict five year mortality published
by Liou et al. [3] includes nine clinical parameters
(age, gender, FEV1 % predicted, weight, pancreatic
sufficiency, diabetes mellitus, Staphylococcus aureus infection, Burkholderia cepacia infection, and
the number of exacerbations within the last year).
These parameters fitted much better than simple
FEV1 based models. On the other hand, in a large
data set of over 14,000 CF patients Mayer-Hamblett
et al. [4] developed and validated predictors of two
TABLE II: GUIDELINES FOR REFERRAL OF TRANSPLANT
CANDIDATES WITH CF
FEV1 < 30%
Rapid decline in FEV1, in particular in young females
Increasing frequency of exacerbations
Refractory and/or recurrent pneumothorax
Recurrent hemoptysis
Definition of abbreviation: CF, cystic fibrosis.
year mortality. Interestingly, in spite of its sophistication, the diagnostic accuracy of their model was
not superior to the often used single criterion of
FEV1 < 30% predicted [5].
Additional factors potentially influencing the clinical course of patients with CF were identified in single center studies. Ellaffi et al. [6] recently showed
that poor one year survival after hospitalization due
to pulmonary exacerbation in CF was associated
with the severity of hypoxemia at admission, the
need for treatment in the intensive care unit and
prior colonization with B. cepacia. Venuta et al. [7]
found that dying on the waiting list was associated
with pulmonary hypertension in CF patients. In
another study [8] CF patients listed for lung transplantation with severe perfusion abnormalities on
perfusion scans had an increased risk for dying while waiting for transplantation.
Considering the difficulties of predicting spontaneous survival in CF patients it becomes obvious
that predicting survival benefit of lung transplantation in these patients is highly complex. In a retrospective study, Liou et al. [9] compared 468 lung
transplant recipients with CF from 115 centers in
the United States with 11,630 CF patients who did
not undergo lung transplantation. The authors found
that only patients with a predicted 5-year survival of
less than 30% according to the above mentioned
model [3] did benefit from lung transplantation.
More recently, the same group compared 845 lung
transplanted CF patients with 12,826 control
subjects [10]. Pre-transplant factors associated with
increased hazard of death were youth, B. cepacia
infection and CF-related arthropathy. Improved survival after lung transplantation was identified in
adult CF patients with a predicted survival of less
than 50% without arthropathy or B. cepacia infection. One major drawback of these models is the
fact that quality of life is not taken into account. It
has been shown repeatedly that quality of life varies
considerably before and after lung transplantation
[11,12]. Other relevant factors to consider when
dealing with data from large registries are variable
prevalence and difficult taxonomy of B. cepacia
complex [13,14], local differences in experience
with peri- and post-transplant management of CF patients and the retrospective character of these data.
S Irani, M Hofer, A Boehler
Lung transplantation for cystic fibrosis - Trapianto polmonare nella fibrosi cistica
TABLE I: LUNG TRANSPLANTATION FOR CF: PROS AND CONS
Outcome
Internationally, long-term survival after lung transplantation is similar in CF patients compared to patients who received their lung transplant by way of
other diseases [1]. Compared to patients with chronic obstructive pulmonary disease or lung fibrosis
CF patients have a significantly better long-term survival after lung transplantation (5-year survival
48.7, 43.1 and 54.1 percent, respectively [1]). In
Figure 1 the survival curves of CF patients compared to the entire population of lung transplant recipients of our center are shown.
In the following section, selected CF-specific challenges are discussed briefly.
Gastrointestinal (GI) complications are frequent in
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FIGURE 1: KAPLAN-MEIER SURVIVAL BY DIAGNOSIS FOR ADULT LUNG TRANSPLANTATIONS OF DIFFERENT TIME PERIODS
FOR ALL DIAGNOSES (UPPER PANEL) AND CF PATIENTS (LOWER PANEL) AT THE LUNG TRANSPLANT PROGRAM OF THE
UNIVERSITY OF ZURICH AND THE REGISTRY OF THE INTERNATIONAL SOCIETY OF HEART AND LUNG TRANSPLANTATION
All patients
100
80
1998-2005, n=140
Survival (%)
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MRM 01-2007_def
60
1992-2005, n=196
40
20
ISHLT 1994-2004 n=15,047
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
Years
CF patients
100
Survival (%)
80
1998-2005, n=53
1992-2005, n=69
60
40
ISHLT 1994-2004 n=1,970
20
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
Years
Definition of abbreviations: CF, cystic fibrosis; ISHLT, International Society of Heart and Lung Transplantation.
From [1] mod.
CF patients after lung transplantation. Distal intestinal obstruction syndrome (DIOS) is one of the most frequent GI complications in CF patients. We have observed this serious complication not only in
the early post-transplant period but also in association with other surgeries, analgesic therapies, bed
rest and hot weather conditions. Like others [15,16]
we recommend prophylactic measures and a high
clinical alertness in the above mentioned instances.
Additionally, enzyme substitution therapy of exocrine pancreatic insufficiency should be consequently
adapted to the actual oral food intake. Particularly
under high dose immunosuppressive regimen the
initial clinical manifestation of DIOS might be
90 MRM
unimpressive and misleading. Delayed gastric
emptying has been shown to be frequent among CF
patients [17]. Noteworthy, many patients are
asymptomatic and nonetheless have significant but
silent gastroesophageal reflux both pre- and posttransplant [18,19]. There is increasing evidence that
gastroesophageal reflux and consecutive pulmonary aspiration in lung transplant recipients might
play a major role in the development of chronic
graft deterioration [20]. Due to delayed gastric
emptying and fat malabsorption, particularly lipophilic drugs like the immunosuppressive cyclosporine are prone to inconstant blood levels in CF
patients [21]. In our experience this problem can be
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Present and future challenges
Successful lung transplantation leads to high psychological [23] and physiological [11,24] rehabilitation in CF patients. With recent improvements in
long-term survival, lung transplant teams will be faced with novel challenges (Table III).
In view of the assumed premature death of CF patients healthcare providers themselves used to neglect professional training and career prospects in
CF patients. It has been shown that pre-transplant
encouragement to obtain paid employment can improve post-transplant reintegration in the workforce
[25]. We believe that, particularly in individuals
suffering from CF, this process should be initiated
early and should be part of both paediatric and
adult CF programs. Additionally, this matter ought
to be focused on systematically with the aid of well
structured transition programs.
Not surprisingly, with the higher rates of long-term
survival, particularly among CF patients, issues of
pregnancy and reproduction become a relevant
aspect in both male [26] and female [27] individuals. Consequently, in lung transplant programs
counselling on fertility and reproductive health
should occur in the pre-transplant period. Graft deterioration during the peripartum period has been
TABLE III: CHALLENGES IN LUNG TRANSPLANTATION
OF PATIENTS WITH CF
Early pre-transplant consideration of professional training
Strict segregation strategies in CF patients infected with
B. cepacia
Implementation of and cooperation with transition programs
Early consideration of sexual and reproductive health issues
Consideration of living related transplantation in selected patients
Definition of abbreviations: CF, cystic fibrosis; B. cepacia, Burkholderia
cepacia.
repeatedly shown in lung transplanted mothers and
graft loss after delivery is reported in up to 23% of
cases [28]. Therefore, the potential risks of a pregnancy after lung transplantation should be balanced carefully. For male CF patients assisted reproductive techniques are available at present [29].
Scientific data in lung transplant recipients are
scant and ethical difficulties can be significant.
Nevertheless these procedures may be appropriate
in selected stable patients after thoughtful preparation including adequate psychological counselling.
Due to small body shape particularly in CF patients
living donor lung transplantation may be an appropriate measure to overcome donor organ shortage
[30]. CF recipients mainly receive right and left
lower lobes, typically from each parent [31]. Apart
from ethical reservations, this procedure offers multiple advantages in selected cases (best possible
preparation of the recipient, elective surgery, short
graft ischemia, on time procedure in severely ill patients). Though favourable short-term outcomes for
both donor and recipient have been shown [32,33]
worldwide living donor lung transplantation is seldom performed as yet.
CONCLUSION
Lung transplantation has emerged as an important
therapeutic option for patients with CF and severe
pulmonary disease. Since both spontaneous survival and post-transplant outcome depend on numerous factors, determination of time for referral is
complex and should be evaluated in collaboration
with the local transplant team. Generally, referral
for transplantation assessment is appropriate when
the expected two to three year survival is less than
50%. Though CF is a multi system disorder the benefit from lung transplantation is similar or better
compared to lung transplant recipients with underlying diseases other than CF. Disease-related difficulties like distal intestinal obstruction syndrome,
delayed gastric emptying, gastroesophageal reflux,
colonisation with multiresistant pathogens, or infectious rhinosinusitis are well recognized. In experienced centers specific countermeasures have
been initiated successfully. With the recent improvements in long-term survival, particularly in patients with CF, lung transplant teams are faced with
further challenges of chronically diseased patients.
Issues of fertility and reproduction, professional
training and career prospects are examples of challenges that require a multidisciplinary approach,
ideally starting long before lung transplantation is
performed.
Although not widely performed yet, in highly selected patients living donor lung transplantation might
be an excellent option to circumvent shortage of
donor organs.
S Irani, M Hofer, A Boehler
Lung transplantation for cystic fibrosis - Trapianto polmonare nella fibrosi cistica
managed by consequent enzyme substitution therapy and balanced meals. While many CF patients
show hepatic involvement, only for a minority of
patients does CF liver disease cause significant portal hypertension and synthesis dysfunction. In highly selected cases liver transplantation may be an
option. However, timing of the procedures is exceptionally challenging in combined transplantation in
CF patients. Chronic infectious rhinosinusitis is frequent in CF patients - in most cases Pseudomonas
aeruginosa is involved. In our program we follow a
rigorous combined surgical and medical treatment
concept after lung transplantation in all CF patients
[22] in order to reduce bacterial spread from the
upper to lower airways. Usually, three to four weeks
after transplantation fronto-spheno-ethmoidectomy
is performed. Shortly after surgery the patients are
briefed on a meticulous nasal douching.
Consultations with the rhinologist including microbiological workup are scheduled on a regular basis
thereafter.
CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: The authors do not have
a financial relationship with any commercial entity that has an
interest in the subject of this manuscript.
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Multidisciplinary Focus on Therapeutic Issues in Cystic Fibrosis
a cura di Sabina Antoniu
La terapia inalatoria nella fibrosi cistica
Inhaled therapy in cystic fibrosis
Cesare Braggion, Riccardo Giuntini, Maria Chiara Cavicchi
Centro Regionale Toscano di Riferimento per la Fibrosi Cistica, Dipartimento di Attività Integrate di Pediatria
Internistica, Ospedale Pediatrico “A. Meyer”, Firenze
RIASSUNTO
La terapia inalatoria è una parte fondamentale del trattamento
della malattia polmonare nella fibrosi cistica (FC). Per inalare
broncodilatatori e steroidi sono utilizzati inalatori pre-dosati e
pressurizzati o inalatori di polvere. Il trattamento quotidiano dei
pazienti con FC include anche l'inalazione di antibiotici e mucolitici utilizzando nebulizzatori ad aria compressa. Considerando
diversi nebulizzatori jet e farmaci diversi, gli studi in vivo hanno
dimostrato una deposizione polmonare molto variabile nei pazienti con FC. Vi è un interesse crescente nello sviluppo di nuovi farmaci per la malattia polmonare e la via inalatoria, che offre un maggiore indice terapeutico, è la preferita negli studi di
fase I e II. Sono necessari ulteriori studi per migliorare la deposizione dei farmaci direttamente nel sito della loro azione nelle
vie aeree, riducendo così gli effetti collaterali locali e sistemici.
Parole chiave: Antibiotici, fibrosi cistica, inalazione, mucolitici.
ABSTRACT
The inhalation of medications represents a mainstay of treatment for lung disease in cystic fibrosis (CF). Either pressurized
metered-dose inhalers or dry powder inhalers are used to
inhale bronchodilators and steroids. The daily treatment of
patients with CF includes also the inhalation of antibiotics and
mucolytics by jet nebulisers. A highly variable lung deposition
has been shown with in vivo studies in CF patients, who inhaled
different drugs with different nebulisers. There is ongoing
interest in developing novel drugs for lung disease and because
of the greater therapeutic index the inhalation route is preferred in many Phase I and II studies. Further clinical trials are
required to improve the delivery of drugs directly to the site of
action in the airways, significantly reducing local and systemic
side-effects.
Keywords: Antibiotics, cystic fibrosis, inhalation, mucolitycs.
La terapia inalatoria ha avuto un'importanza crescente nel trattamento della fibrosi cistica (FC).
Dopo un diffuso impiego negli anni 60-70 dei nebulizzatori ultrasonici per sfruttare il loro elevato
output di soluzione salina o semisalina, che veniva
somministrata per molte ore al giorno anche sotto
una tenda da ossigenoterapia per ottenere un effetto fluidificante del muco bronchiale, sono state utilizzate le modalità e gli strumenti per la terapia inalatoria, impiegati correntemente nelle altre malattie
respiratorie [1,2].
L'utilizzo dell'ampolla aerosol ad aria compressa,
dei dosatori spray e degli inalatori per polveri è attualmente entrato nella routine terapeutica quotidiana dei pazienti con FC. Rispetto all'asma ed alla
broncopatia cronica ostruttiva (BPCO), la terapia
inalatoria nella FC punta tuttora prevalentemente
sull'impiego dell'apparecchio aerosol ad aria compressa per la somministrazione di antibiotici, di farmaci mucolitici ed anche per le molte terapie innovative in corso di sperimentazione [1,2].
Gli ostacoli principali ad una efficace penetrazione
polmonare dei farmaci sono rappresentati dall'effetto “filtro” prodotto dalle vie aeree superiori nei lattanti e bambini in età prescolare, che respirano obbligatoriamente attraverso il naso ed hanno il complesso ipofaringe-laringe più piccolo, e dall'effetto
“filtro” prodotto dalle vie aeree più centrali, quando è presente broncoostruzione. Anche le particelle aerosol di diametro inferiore a 5 micron (frazione “respirabile”) si depositano per impatto inerziale in queste sedi e non sono perciò disponibili per
raggiungere la periferia polmonare. Gli studi con
radioisotopi, che hanno valutato l'efficienza dei nebulizzatori jet, hanno dimostrato una deposizione
polmonare di circa l'1% della dose aerosolizzata di
Cesare Braggion
Centro Regionale Toscano di Riferimento per la Fibrosi Cistica, Dipartimento di Attività Integrate di Pediatria Internistica,
Ospedale Pediatrico “A. Meyer”, Via L. Giordano 13, 50132 Firenze, Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 15/01/2007 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007
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un farmaco nel primo anno di vita e tra l'1 ed il
19% della dose nominale (dose contenuta nell'ampolla aerosol) nell'età pediatrica, adolescenziale ed
adulta, senza evidenziare un effetto dell'età sulla
deposizione polmonare (tabella I) [3-10]. La tabella
I mostra notevoli differenze di deposizione polmonare tra gli studi che dipendono in buona parte dalle caratteristiche dell'apparecchio aerosol utilizzato, in particolare dalla distribuzione del diametro
delle particelle aerosol prodotte [3-10]. Anche il
coefficiente di variazione inter-individuale era elevato, fino al 60-70%: ciò sottolinea che, a parità di
strumento, ampolla aerosol e farmaco impiegati, i
fattori individuali, come il pattern respiratorio ed il
grado di broncoostruzione, sono rilevanti nella deposizione polmonare di un farmaco [3-10].
Come nel caso dell'asma, la deposizione polmonare di farmaci inalati con boccaglio da dosatori pressurizzati spray, inseriti in una camera di inalazione,
non è inferiore a quella ottenuta con i nebulizzatori jet, né vi è una relazione tra deposizione polmonare di farmaco radiomarcato ed età [3,11,12]. Per
gli erogatori di polvere invece la dose polmonare
aumenta proporzionalmente al flusso inspiratorio e
perciò con l'età [13]. Poiché quest'ultima modalità
di somministrazione per via inalatoria è dipendente
dal flusso inspiratorio risulta adatta a bambini di età
superiore ai 5-6 anni. In età più precoci i broncodilatatori e gli steroidi possono essere somministrati
utilizzando i dosatori pressurizzati spray con camera di riserva, facendo attenzione ad usare maschere
facciali morbide e ben aderenti e quanto prima possibile il boccaglio, per garantire una deposizione
polmonare più efficiente dei farmaci [3,11,12].
La deposizione polmonare di RhDNase, una molecola con effetto “mucolitico” per lisi dell'abbondante DNA contenuto nel muco bronchiale, e di tobramicina è stata studiata, rispettivamente, nel liquido di
broncolavaggio e nell'espettorato: anche con queste
misure “surrogate” della deposizione polmonare vi
era una grande variabilità di deposizione polmonare,
ma senza evidente effetto dell'età [14,15].
Se si considera l'impiego degli erogatori pressurizzati spray, è noto il ruolo del pattern respiratorio
nella deposizione polmonare: questa è maggiore se
vi è un'apnea post-inspiratoria, se il flusso inspiratorio è il minore possibile e l'erogazione avviene all'inizio della inspirazione [16]. Un minimo flusso
inspiratorio è anche importante per la deposizione
di radioaerosol nella periferia polmonare, specie se
si utilizza una ampolla aerosol, che produce particelle aerosol di diametro di 1 micron [17].
Vi è un diffuso impiego di broncodilatatori e steroidi per via inalatoria nei pazienti con FC [18,19]. Per
questi farmaci si utilizzano i dosatori pressurizzati o
le polveri. La terapia inalatoria con antibiotici viene utilizzata come terapia “soppressiva” dell'infezione polmonare cronica da Pseudomonas aeruginosa (Pa). La maggior esperienza riguarda l'uso degli aminoglicosidi, in particolare la tobramicina.
Uno studio randomizzato e controllato (RCT) di 6
mesi ha dimostrato che l'inalazione a mesi alterni
di tobramicina riduceva la carica batterica di Pa e
migliorava la funzione polmonare (FEV1 + 10-12%
del teorico) [20]. Anche la colistina viene utilizzata
per lo stesso scopo, specialmente in Europa: un recente studio ha dimostrato che questo antibiotico
riduceva la carica batterica di Pa, ma non aveva un
effetto positivo sulla funzione polmonare [21].
Attualmente è in corso uno studio multicentrico negli USA, che ha lo scopo di valutare l'efficacia e la
sicurezza dell'aztreonam nell'infezione polmonare
cronica da Pa (www.clinicaltrials.gov). Per altri antibatterici non abbiamo a disposizione ricerche cliniche randomizzate e controllate per considerarne
l'impiego nella pratica clinica. La tobramicina per
via inalatoria è stata anche valutata nella sua efficacia di eradicazione di Pa alla prima o nuova comparsa del germe [22,23]. Alcuni studi multicentrici
sono in corso con la finalità di valutare lo stesso indicatore di risultato, l'eradicazione di Pa alla prima
comparsa: uno studio europeo (“ELITE”) confronta
un mese di terapia inalatoria con tobramicina rispetto a due mesi con il medesimo antibiotico ed
uno studio nordamericano (“EPIC”) confronta l'inalazione di tobramicina per un mese vs. associazione di tobramicina per via inalatoria e ciprofloxacina per via orale (www.clinicaltrials.gov).
Uno degli obiettivi del trattamento della FC è quello di migliorare la clearance muco-ciliare (CMC),
alterata in rapporto al difetto di base, all'infezioneinfiammazione polmonare e alla presenza di muco
abbondante e viscoso [1,2]. L'RhDNase è un enzima che rompe le molecole di DNA, abbondante
nel muco bronchiale, rendendolo più fluido e facilitandone l'espettorazione. Vi sono molti RCT che
hanno valutato l'efficacia di questo farmaco: essi
hanno dimostrato che questo enzima migliora la
CMC, riduce il numero delle esacerbazioni polmonari ed ha un effetto significativo ma clinicamente
scarso sulla funzione polmonare (FEV1 + 6% rispetto al valore basale in 6 mesi) [24]. Più recentemente questo farmaco è stato valutato nelle fasi più precoci di malattia, dimostrando di ridurre l'air trapping ed altre alterazioni anatomiche polmonari, dimostrabili con la TAC ad alta risoluzione [25,26].
L'inalazione di RhDNase è una risorsa terapeutica
applicata correntemente nei pazienti con FC: in attesa di RCT che ne valutino l'efficacia nelle fasi più
precoci di malattia, il farmaco va impiegato, combinandolo a tecniche di drenaggio delle secrezioni
bronchiali, in presenza di bronchiectasie con evidenze di impatto mucoide endobronchiale ed esiti
di atelettasie lobari o segmentarie.
L'ipotesi attualmente più accreditata dell'evoluzione della pneumopatia nella FC prevede che si stabilisca precocemente una alterazione della CMC:
le anomalie di scambio ionico (riduzione dell'escrezione di cloro ed aumentato riassorbimento di
sodio) attraverso la membrana apicale dell'epitelio
respiratorio potrebbero contribuire a ridurre il volume del liquido periciliare (LPC), rendendo inefficace la CMC nel suo meccanismo di allontanamento
di germi e corpi estranei dalle vie aeree [1]. Questa
ipotesi ha dato slancio a studi di fase I e II su farmaci che agiscono sul canale del sodio riducendone il
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Autore
Farmaco
n.
Età
(anni)
Dose
polmonare‡
(% dose
aerosolizzata)
Chua HL [3], 1994
Ilowite JS [4], 1987
Newman SP [5], 1988
Dose
polmonare†
(% dose
nominale)#
CV
(%)
Salina 0,9%
12
0,3-1,4
1,3
Gentamicina, 160 mg
13
8-37
7,7 (3,7)
48
Carbenicillina, 1 gr
6
22-48
1,6 (0,2)
10
Thomas SH [6], 1991
Amiloride, 1 mg
8
> 18
10,3 (5,3)
51
Mukhopadhyay S [7], 1994
Tobramicina, 120 mg
27
4-23
6,7 (4,3)
64
Diot P [8], 1997
RhDNase, 2,5 mg
15
6-31
18,6 (6,6)
35
Marshall LM [9], 1994
Salina 0,9%
12
10-16
11,1 (7,8)
70
Fauroux B [10], 2000
Salina 0,9%
18
6-21
2,4 (1,5)
63
Legenda: CV, coefficiente di variazione interindividuale
‡
mediana
†
media (DS tra parentesi)
#
dose di farmaco contenuto nell'ampolla aerosol
riassorbimento (amiloride, benzamide), o attivando
canali alternativi del cloro Ca2+-dipendenti (UTP,
INS37217) [27-29]. L'inalazione anche combinata
di questi farmaci produrrebbe un miglioramento
della CMC di effetto peraltro breve e senza benefici evidenti sulla funzione polmonare o sui sintomi
della malattia [30]. Tra questi farmaci il più promettente è l'INS37217 o denufosol: è in corso uno studio multicentrico di fase III negli U.S.A., che valuta
l'efficacia e la sicurezza dell'inalazione di questo
farmaco (www.clinicaltrials.gov).
Anche sostanze osmotiche, come la soluzione salina ipertonica (SI) ed il mannitolo, richiamando acqua dalle cellule, potrebbero aumentare il LPC [1].
Recentemente è stato dimostrato che l'inalazione di
SI aumenta la CMC, attraverso un aumento del LPC
[31]. Un RCT condotto per circa 12 mesi in
Australia ha dimostrato che l'inalazione due volte
al giorno di SI, dopo premedicazione con broncodilatatore, aveva un effetto significativo statisticamente ma non clinicamente sulla funzione polmonare (FEV1 + 70 ml rispetto al valore basale), mentre contribuiva a ridurre il numero delle esacerbazioni polmonari [32]. Gli effetti collaterali, in particolare la broncoostruzione, non sembrerebbero essere frequenti, ma il campione in studio era caratterizzato da una malattia polmonare di grado lievemoderato. È noto che l'inalazione di SI e di mannitolo sono impiegati come test di provocazione
bronchiale indiretto e che l'inalazione di SI dopo
inalazione di broncodilatatore è utilizzata come induttore di espettorazione [33,34]. Uno studio di 3
mesi ha confrontato l'inalazione di SI con l'inalazione di RhDNase, dimostrando un maggiore effetto di quest'ultimo farmaco sulla funzione polmonare [35]. È in corso uno studio di fase II sul mannitolo, inalato come polvere [36].
Questa breve rassegna testimonia del rilievo che ha
la terapia inalatoria per la FC sia nel trattamento
corrente che nella ricerca di farmaci innovativi. Per
quanto riguarda quest'ultimo aspetto è degno di nota l'uso della terapia inalatoria per la terapia genica, allo scopo di far arrivare a contatto con l'epitelio respiratorio vettori virali e non virali. Sono in
corso studi di fase I e II mirati a testare farmaci potenzialmente incisivi sulla cascata di eventi che auto-mantengono il circolo vizioso infiammazione-infezione polmonare (ad es. α1-antitripsina, L-arginina, glutatione ridotto ed interferon γ-1b) [37-40].
Per quanto riguarda la cura dei pazienti, uno dei
problemi più rilevanti è rappresentato dalla scarsa
aderenza dei pazienti alla terapia inalatoria, spesso
motivata dal dover utilizzare quotidianamente più
di un farmaco per aerosol, col conseguente dispendio di tempo, o dalla percezione da parte dei pazienti che la terapia inalatoria non offra apparenti
benefici immediati e che talora prevalgano gli effetti collaterali, attribuibili soprattutto a broncoostruzione. La ricerca offre oggi una possibile soluzione
a questi problemi: sono infatti a disposizione sul
mercato strumenti aerosol in grado di ridurre i tempi di inalazione a 6-8 minuti e sono in corso studi
che stanno valutando l'efficacia e la sicurezza di
farmaci da inalare come polveri secche. Questo è il
caso sia del mannitolo che della tobramicina e colistina, valutati attualmente in ricerche di fase II e III
(www.clinicaltrials.gov). I vantaggi tecnologici si
dovrebbero accompagnare ad una maggiore capacità dei Centri specialistici per la FC di individualizzare la terapia inalatoria sulla base dell'età e soprattutto delle caratteristiche della pneumopatia, riducendo al minimo gli effetti collaterali della terapia
ed individuando le priorità del trattamento della
malattia polmonare.
C Braggion, R Giuntini, MC Cavicchi
La terapia inalatoria nella fibrosi cistica - Inhaled therapy in cystic fibrosis
TABELLA I: DEPOSIZIONE POLMONARE, STUDIATA CON RADIOISOTOPI, IN PAZIENTI CON FIBROSI CISTICA CHE UTILIZZAVANO UNA AMPOLLA AEROSOL AD ARIA COMPRESSA
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: gli autori non
hanno rapporti finanziari con entità commerciali che abbiano
un interesse nel soggetto di questo manoscritto.
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Atti / Proceedings
Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”
Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005
Introduzione
Introduction
Mario Polverino, Giuseppe Fiorenzano
Respiratory Physiopathology, Cava de' Tirreni Hospital, Italy
L'esercizio fisico è tradizionalmente materia di studio dei fisiologi, che hanno approfondito il comportamento dell'organismo umano ai limiti delle
sue possibilità [1,2]. D'altro canto si sono accumulate sempre maggiori evidenze riguardanti il valore
dell'esercizio come prevenzione e riabilitazione,
considerata l'importanza che la limitazione all'esercizio fisico riveste nel condizionare la qualità di
vita dei portatori di patologie croniche, in particolare cardio-respiratorie. Per queste ragioni l'ergometria cardio-polmonare acquista un valore crescente nella valutazione funzionale, dati i noti limiti delle indagini eseguite a riposo nel predire la capacità di esercizio dei soggetti affetti da tali patologie [3-6]. Inoltre, lo studio dell'esercizio fisico in
ambienti estremi, quali l'alta quota o l'immersione,
consente di approfondire i meccanismi di adattamento dell'uomo all'ambiente, le possibili complicazioni patologiche di un maladattamento ed il
comportamento dei portatori di malattie cardio-polmonari in queste particolari condizioni ambientali
[7-13]. Sulla base di tali considerazioni è nata l'idea del convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport)
from Ravello”, con l'intento di mettere a confronto
esperti di varia estrazione (fisiologi, pneumologi,
cardiologi, medici dello sport, intensivisti) sui vari
aspetti dell'esercizio fisico nel soggetto normale e
nei portatori di patologie cardio-polmonari, anche
in ambienti estremi [14].
Il convegno, organizzato dalla Fisiopatologia
Respiratoria di Cava de' Tirreni, si è svolto dal 24 al
26 novembre 2005 ed ha coinvolto numerose società scientifiche (AIMAR, SIMeR, SIMEM, SIP
Sport, FMSI, ACCP Italia) e Scuole di
Specializzazione in Malattie dell'Apparato
Respiratorio (Messina, Napoli) e Medicina dello
Sport (Chieti, Genova, Milano, Napoli, Perugia).
Complice la suggestiva cornice di Ravello, perla
della Costiera Amalfitana, l'incontro ha mantenuto
le promesse di confronto aperto ed interdisciplinare, con vivaci discussioni al termine di ogni relazione, suscitando subito l'esigenza di pubblicare gli
Atti del convegno per dare un seguito all'iniziativa.
Viste le premesse di cui si è detto in precedenza,
quale sede più naturale per la pubblicazione di una
rivista denominata Multidisciplinary Respiratory
Medicine (MRM), organo ufficiale dell'AIMAR, che
è nata proprio dall'esigenza di confrontare esperienze diverse che convergono sull'interesse per
l'apparato respiratorio?
Grazie alla disponibilità del comitato editoriale di
MRM possiamo quindi offrire anche a coloro che
non hanno partecipato il resoconto delle tre giornate di studio, inaugurate dalla Lettura Magistrale di
John West su “The History of High Altitude
Physiology”. La prima giornata è stata dedicata alla
Medicina di Montagna, la seconda a “Esercizio e fisiopatologia cardiopolmonare”. La terza giornata,
dopo una sessione dal titolo “Dall'ipobaria all'iperbaria”, si è conclusa con una Tavola Rotonda sul
Doping, dedicata alla memoria di Ruggero Rossi,
direttore della Scuola di Specializzazione in
Medicina dello Sport, scomparso tragicamente pochi mesi orsono.
Vista la soddisfazione espressa da relatori e partecipanti, siamo certi che anche i lettori di MRM apprezzeranno i contributi scientifici presentati su temi anche particolari rispetto a quelli che siamo abituati ad
ascoltare nei nostri convegni, che saranno pubblicati sotto forma di serie in più numeri della rivista.
Mario Polverino
Respiratory Physiopathology Director, Centro Medico Italo-Australiano
Cava de' Tirreni (SA) - Italy
email: [email protected]
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98 MRM
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M Polverino, G Fiorenzano
Introduzione - Introduction
Bibliografia
MRM
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Atti / Proceedings
Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”
Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005
Expiratory airflow limitation and physical
exercise
Limitazione al flusso espiratorio ed esercizio fisico
Paolo Parola1, Barbara Franzoso1, Giuseppe Coletta1, Valter Gallo2, Riccardo Pellegrino2
1
2
Anestesia e Rianimazione, Azienda Sanitaria Ospedaliera S. Croce e Carle
Centro di Fisiopatologia Respiratoria e dello Studio della Dispnea, Azienda Sanitaria Ospedaliera S. Croce e Carle,
Cuneo
ABSTRACT
Expiratory flow limitation (EFL) is a functional respiratory condition occurring when the airways carry maximum flow and
characterized by the collapse of the airways downstream from
this flow limiting segment. In normal conditions it only occurs
during maximal voluntary ventilation, cough or strenuous physical exercise in physically very well trained individuals. In disease, it may occur as a result of either a progressive decrement in
maximal flow, such as in bronchial asthma or chronic obstructive pulmonary disease, or a drop in functional residual capacity,
such as in interstitial lung diseases, chest wall disorders, chronic
heart failure, and obesity. Under all these disease conditions EFL
may be experienced even at rest or during moderate exercise,
depending on the severity of the disease. There is now compelling evidence that achieving maximum flow during tidal
breathing is associated with lung hyperinflation, dyspnea, impeded venous return to the heart, and reduction of local blood
flow to the locomotor muscles. The present review explores the
physiological and clinical aspects of EFL especially during physical exercise in lung and cardiovascular diseases.
Keywords: Expiratory flow limitation, maximum flow, physical
exercise.
RIASSUNTO
La limitazione di flusso espiratorio (EFL) è una condizione funzionale respiratoria che si verifica quando le vie aeree raggiungono il flusso massimale ed è caratterizzata dal collasso delle
vie aeree a valle di questo segmento limitante il flusso. In condizioni normali si verifica soltanto durante la ventilazione massima volontaria, la tosse o l'esercizio fisico massimale in soggetti fisicamente molto ben allenati. In patologia si può verificare come risultato sia di un decremento progressivo del flusso massimale, come avviene nell'asma bronchiale o nella bron-
chite cronica ostruttiva, o per una riduzione della capacità funzionale residua, come nelle interstiziopatie, nelle patologie restrittive toraciche, nello scompenso cardiaco cronico e nell'obesità. In tutte queste condizioni patologiche l'EFL si può verificare persino a riposo o in corso di esercizio moderato, a seconda della gravità della patologia. Vi è ormai evidenza provata che il raggiungimento del flusso massimo a volume corrente è associato con iperinflazione polmonare, dispnea, riduzione
del ritorno venoso al cuore, riduzione del flusso ematico zonale ai muscoli locomotori. Questa rassegna esplora gli aspetti fisiologici e clinici dell'EFL, specie durante esercizio fisico, a livello polmonare e nelle patologie cardiovascolari.
Parole chiave: Esercizio fisico, flusso massimale, limitazione al
flusso espiratorio.
In mammals maximum expiratory flow is limited by
the physical properties of lung parenchyma and airways because it is largely independent of the expiratory effort (figure 1, left panel). Its main determinants are, indeed, airway size at the site where the
airways choke (figure 1, right panel) and airway
wall elastance downstream from this flow limiting
segment [1,2]. The latter represents the resistance of
the airways to collapse under the force applied on
the external surface.
During tidal breathing, expiratory flow is far less
than during a forced expiration. However, with
increasing minute ventilation as with exercise, the
expiratory flow reserve progressively decreases. If
exercise is so strenuous that tidal flow achieves
maximum flow, then expiratory airflow obstruction
Riccardo Pellegrino
Centro di Fisiopatologia Respiratoria e dello Studio della Dispnea, Azienda Sanitaria Ospedaliera S. Croce e Carle
Via Michele Coppino 26, 12100 Cuneo, Italia
email: [email protected]
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Flow
FIGURE 1: DETERMINANTS OF MAXIMUM EXPIRATORY FLOW
IN MAMMALS
FIGURE 2: TIDAL FLOW-VOLUME LOOPS AT REST, AT MIDEXERCISE (240 WATTS) AND AT MAXIMUM EXERCISE (350
WATTS) IN A WELL TRAINED YOUNG INDIVIDUAL
350 Watts
240 Watts
Rest
VOLUME
Note the decrease in expiratory flow reserve, i.e. the difference in
flow between near tidal expiration and maximum flow at isovolume,
as a result of both an increase in ventilation and a decrease in
functional residual capacity (FRC) with exercise. At maximum exercise
tidal flow exceeds maximal flow, an artefact resulting from the
different thoracic gas compression volume of the tidal and maximal
manoeuvres; breathing is now flow limited and FRC increases to the
baseline value.
son of tidal to maximal expiratory flow measured at
the mouth. Flow at the mouth is the ultimate result
of lung emptying. Its monotonic decrease with lung
volume is apparently in net contrast with the well
known structural and functional heterogeneities of
the respiratory apparatus. To render expiratory flow
homogeneous, however, mechanisms such as flow
interdependence allow greater emptying from areas
served by larger than smaller airways [13,14]. In
disease or after inhaling a constrictor agent [15], the
distribution of airway narrowing across the lungs is
quite dishomogeneous. With the less involved air-
P Parola, B Franzoso, G Coletta, V Gallo, R Pellegrino
How expiratory flow limitation limits physical exercise - Limitazione al flusso espiratorio ed esercizio fisico
(EFL) occurs (figure 2). Under these conditions, generation of transpulmonary pressure in excess to that
necessary to cause maximal flow [1,2] is dissipated
in part within the large airways downstream from
the flow limiting segments and in part across the
lungs to compress alveolar gas. Dynamic compression of the airways is known to cause discomfort
and dyspnea [3] possibly elicited by neural reflexes
travelling from the airways to the respiratory centres
through the vagi nerves [4]. Such reflexes are
deemed to prematurely terminate expiration, thus
causing an increase in FRC [5]. That this is so has
been documented in mild-to-moderate COPD after
applying a small expiratory load [5] and in élite
runners [6,7], whose physical performance is so
good that they can exploit all their respiratory
reserve and achieve maximum flow. Visual analysis
of the tidal flow-volume curves under these conditions shows an upward shift of the operational lung
volumes, a condition called lung hyperinflation. In
respiratory diseases, EFL is commonly experienced
at rest or at low levels of exercise mostly through
two main mechanisms. Firstly, in obstructive disease such as bronchial asthma or chronic obstructive pulmonary disease (COPD) EFL occurs as a
result of a progressive decrease in maximum flow
caused by airway narrowing and/or decrease in
lung elastic recoil [8-10]. Secondly, in disorders
characterized by restrictive defects such as pulmonary fibrosis, chronic heart failure, obesity, and
others [11,12], EFL occurs as a result of a drop in
functional residual capacity. The two mechanisms
are shown in figure 3.
Detection of EFL is usually based on the compari-
FIGURE 3: MAIN MECHANISMS BY WHICH EXPIRATORY FLOW
LIMITATION OCCURS IN DISEASE
Exp
Insp
By decreasing flow
By decreasing volume
Flow
Flow
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FLOW
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Flow
Volume
Left panel: Progressive increase in inspiratory flow with increasing
effort. In contrast, on expiration increasing effort does not produce
an increase in flow, thus suggesting that maximal flow is regulated
by the physical properties of lung parenchyma and airways rather
than the force of the expiratory muscles. Right panel: Occurrence of
choke points (CP) during a forced expiration starting from the
trachea and moving backwards to the next generation of airways.
CPs do not occur simultaneously across the airways of the same
generation as a result of structural and functional heterogeneities of
the respiratory apparatus.
Volume
Volume
Expiratory flow limitation during tidal breathing may occur as a result
of either a decrease in flow, as in obstructive conditions (left panel),
or as a result of a decrease in functional residual capacity (FRC), as in
restrictive diseases (right panel). Small loop inside the figure is tidal
breathing flow-volume curve, external continuous lines are the
observed maximum flows, whereas dashed lines are the predicted
values for flow. The arrows indicate the decrease in flow (left panel)
and decrease in FRC (right panel).
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ways carrying some extra flow as a result of flow
interdependence, the detection of EFL at the mouth
measured by comparison of tidal and maximal
flows is delayed, despite the occurrence of lung
hyperinflation which is one of the well known sideeffects of the dynamic collapse of the airways
downstream from the flow limiting segment [15]. In
addition, comparison of the tidal flow-volume
loops at the mouth with maximal flow does not take
into account other critical artefacts such as the
effects of thoracic gas compression [16] and the
volume history effects of the manoeuvres [17]. Even
though these certainly represent some limits of the
flow measurement in detecting EFL, the comparison
of tidal to maximal flows is simple, intuitive, and
may have some clinical relevance in assessing the
functional respiratory conditions and symptoms
during physical exercise. Other more sophisticated
and sensitive methods to detect EFL have been
reported but will not be discussed in the present
review [18].
Before EFL occurs during tidal breathing in respiratory diseases, dynamic collapse of the airways downstream from the flow limiting segment may be experienced only during physical exercise when the
increased tidal expiratory flow during exercise
impinges on the reduced flow. Excessive compression downstream from the flow limiting segment
under these conditions is usually minimized by
increasing FRC. If on one hand this is a safe reaction
to preserve ventilation and gas exchange, on the
other hand lung hyperinflation puts the inspiratory
muscles in a disadvantageous physical condition and
at greater risk of fatigue as a result of the increased
elastic work of breathing. The occurrence of dyspnoea under these conditions is deemed to result from
either breathing at high lung volumes or neural
reflexes triggered within the large airways undergo-
ing collapse and transmitted to the central nervous
system where they are sensed as shortness of breath.
The impingement of tidal on maximal flow during
exercise in the early stages of bronchial asthma or
COPD is delayed by the natural decrease in
bronchial tone occurring with the progressive
increase in minute ventilation and ensuing stretching of airway wall [10,19]. The phenomenon is of a
great importance for it allows extra ventilation to be
accomplished with no further respiratory constraint.
In contrast, such bronchodilatation gradually disappears with the progression of the disease [20], thus
contributing to cause EFL with minimal physical
activity.
Recent studies have provided evidence that breathing under EFL conditions is associated with cardiovascular side-effects especially during exercise
[21]. In an attempt to further increase ventilation in
the presence of EFL, patients tend to develop extra
expiratory pressures within the abdominal and
chest wall compartments. This impairs the venous
return from the locomotor muscles to the right heart
cavities, and from here to the left heart through the
lungs [22,23]. As a result, cardiac output and oxygenation may decrease, thus contributing to limit
exercise. In addition, with the respiratory muscles
highly loaded, blood flow to the locomotor muscles
may be locally reduced and preferentially directed
to the respiratory muscles in a sort of competition to
safeguard ventilation [24].
In conclusion, EFL is a functional condition occurring in many cardiovascular and respiratory diseases. Evidence suggests that it may play a critical
role in limiting physical exercise through different
and independent mechanisms ranging from fatigue
of the respiratory muscles, dyspnea, decrease in
cardiac output, and vasoconstriction of the limb
muscle vasculature.
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MRM
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Atti / Proceedings
Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”
Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005
Tolleranza all'esercizio dopo trapianto cardiaco
Exercise tolerance in heart transplant recipients
Claudio Marconi
Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare, Consiglio Nazionale delle Ricerche Palazzo L.I.T.A., Milano
RIASSUNTO
La ridotta tolleranza all'esercizio dei pazienti sottoposti a trapianto cardiaco (HTR) ha un'origine multifattoriale, con complesse interazioni tra anomalie polmonari, cardiache, vascolari e
muscolari. La presente rassegna ha lo scopo di valutare l'importanza di fattori centrali (cardio-polmonari) e periferici (muscolari) nel limitare la massima prestazione aerobica dei pazienti
HTR. Mentre la funzione polmonare non sembra avere un ruolo
di rilievo, almeno finché la capacità di diffusione polmonare non
raggiunge valori critici, il deterioramento della funzione del cuore e dei muscoli scheletrici sembra essere il fattore principale
responsabile della ridotta tolleranza all'esercizio. La funzione
cardiaca è principalmente limitata dalla alterata risposta cronotropa e dalla disfunzione del ventricolo sinistro. La funzione muscolare sembra invece limitata dal minor apporto di ossigeno
dovuto alla ridotta capillarizzazione. Nel futuro, usando tecniche innovative di biologia molecolare, sarà necessario investigare l'eventuale presenza di alterazioni metaboliche intracellulari.
Parole chiave: Esercizio, funzione cardiaca, funzione muscolare,
trapianto cardiaco.
ABSTRACT
The exercise intolerance of heart transplant recipients (HTR)
has a multifactorial origin, involving complex interactions
among pulmonary, cardiac, vascular and skeletal muscle abnormalities. The present review is aimed at evaluating the role of
the above factors in limiting maximal aerobic performance in
HTR. Whereas pulmonary function does not seem to affect gas
exchange until a critical value of diffusing lung capacity is
attained, cardiac and skeletal muscle function deterioration
may consistute significant factors limiting maximal and submaximal aerobic performance. Cardiac function is mainly limited by chronotropic incompetence and diastolic dysfunction,
whereas muscle activity seems to be limited by impaired oxygen supply as a consequence of the reduced capillary network.
Future research based mainly on genome and proteome analysis should investigate the presence of possible muscle metabolic alterations.
Claudio Marconi
I.B.F.M. - Consiglio Nazionale delle Ricerche Palazzo L.I.T.A.
Via Fratelli Cervi 93, 20090 Segrate (MI), Italia
email: [email protected]
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Keywords: Cardiac function, exercise, heart transplantation,
muscle function.
INTRODUZIONE STORICA
Si dice che il primo trapianto cardiaco sia stato effettuato dal famoso medico cinese Pien Ch'iao
(~500 a.C.), il quale scambiò il cuore di un uomo
forte di spirito ma debole di volontà, con quello di
un uomo debole di spirito ma forte di volontà, con
lo scopo di bilanciarne le caratteristiche. Tuttavia si
deve attendere la realizzazione della macchina
cuore-polmone nella seconda metà del XX secolo
per assistere al primo vero tentativo di trapianto cardiaco nell'uomo. Nel 1964 James Hardy, spinto
dall'improvviso scompenso di un paziente in lista
di attesa per il trapianto e dall'impossibilità di disporre di un donatore umano, impiantò senza successo il cuore di uno scimpanzè. Successivamente,
il 3 dicembre 1967 Christian Barnard effettuò il primo trapianto allografo presso il Groote Shuur
Hospital di Città del Capo in Sud Africa. Louis
Washkansky ricevette il cuore di Denise Darvall,
deceduta per un incidente automobilistico. Il paziente sopravvisse solo 18 giorni, durante i quali fu
costantemente sotto gli occhi del mondo intero. Il 2
gennaio 1968, Philip Blaiberg, un dentista di 58 anni, diventò il secondo paziente sottoposto a trapianto cardiaco. Egli sopravvisse 20 mesi, durante i quali fu sottoposto ad una serie di valutazioni funzionali, da cui risultò che il cuore denervato del donatore non andava incontro a reinnervazione e che la
massima potenza aerobica era estremamente bassa
(V̇O2max: 0,65 l·min-1). Con molta intuizione, la
causa della modesta prestazione fisica del paziente
fu attribuita a fattori periferici, in particolare alla
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La massima potenza aerobica (V̇O2max)
Dopo le pionieristiche osservazioni del gruppo di
Barnard [1], la massima potenza aerobica dei pazienti riceventi un trapianto cardiaco in età adulta
(A-HTR) e pediatrica (P-HTR) è stata ampiamente
studiata. La Figura 1 riassume dati raccolti nella letteratura internazionale relativi ad oltre 2.000 pazienti, da cui risulta che V̇O2max si riduce progressivamente con l'età. Infatti, la media ponderata dei valori di V̇O2max di 131 P-HTR (età media 11,7 anni) è
maggiore di quella di 1888 A-HTR (età media 48 anni), essendo rispettivamente 27 e 21 ml·kg-1·min-1.
Un'analisi della letteratura effettuata recentemente dall'autore [2], cui si rimanda per maggiori dettagli, ha consentito di trarre alcune interessanti
conclusioni:
FIGURA 1: MASSIMO CONSUMO DI OSSIGENO (V̇O2max,
ESPRESSO IN ml·kg-1·min-1) DI PAZIENTI RICEVENTI UN
TRAPIANTO CARDIACO IN FUNZIONE DELL'ETÀ (ANNI) AL
MOMENTO DELLO STUDIO [2,6-15].
50
VO2 max (ml•kg-1•min-1)
40
30
20
10
0
0
10
20
30
40
Età (anni)
50
60
70
1.i pazienti A-HTR esaminati entro un anno dal trapianto hanno valori di V̇O2max (~ 17 ml·kg-1·min-1)
sensibilmente inferiori rispetto alla media;
2.i pazienti A-HTR operati in anni recenti mostrano
la tendenza ad avere valori di V̇O2max sensibilmente più alti (~ 7%) di quelli operati in epoca
antecedente al 1998, probabilmente come risultato della miglior selezione dei donatori e dei riceventi, così come delle modificazioni intervenute nella tecnica chirurgica e nel trattamento immuno-soppressore;
3.in assenza di uno specifico programma di allenamento aerobico, il valore di V̇O2max aumenta rapidamente entro i primi due mesi dal trapianto,
per poi tendere a livellarsi su valori che in ogni
caso non eccedono il 60% del V̇O2max, comunemente riscontrato in gruppi di controllo di pari
per età e livello di attività fisica;
4.per quanto studi sistematici siano carenti, sembra
che A-HTR sottoposti al trapianto a causa di una
miocardiopatia ischemica abbiano valori di
V̇O2max leggermente superiori a quelli di pazienti operati per miocardiopatia idiopatica (rispettivamente 22 e 20 ml·kg-1·min-1);
5.indipendentemente dall'età, i pazienti riceventi
un trapianto cardiaco sono caratterizzati da una
cinetica del riaggiustamento di V̇O2 all'inizio di
un esercizio sottomassimale a carico costante più
lenta di quella normalmente riscontrata nei soggetti di controllo, e non modificabile con esercizi
preparatori.
C Marconi
Esercizio dopo trapianto cardiaco - Exercise after cardiac transplantation
“debolezza dei muscoli delle gambe” [1].
Dopo questi primi avventurosi inizi, il trapianto cardiaco è diventato, negli anni, un intervento molto
diffuso per il trattamento di pazienti con scompenso cardiaco. In Italia si effettuano ormai mediamente circa 320 trapianti ogni anno. Dal 1982 si effettuano trapianti cardiaci anche in età pediatrica
(< 15 anni). Grazie ai progressi conseguiti principalmente nel campo dell'immunologia, la sopravvivenza a 5 anni è considerevolmente aumentata,
specie nei pazienti più giovani (88% nei bambini,
80% negli adolescenti e 72% negli adulti). Inoltre,
molti pazienti sono in grado di riprendere una regolare attività lavorativa e di fruire di un'accettabile
qualità di vita. Tuttavia, nei pazienti riceventi il trapianto cardiaco, la massima potenza aerobica
(V̇O2max), indice globale della massima prestazione cardio-polmonare, pur aumentando significativamente rispetto ai valori osservati prima dell'intervento, non raggiunge i valori previsti in base dell'età del paziente. In altre parole, la tolleranza all'esercizio dei pazienti riceventi un trapianto cardiaco
è generalmente molto limitata.
Fattori limitanti la massima potenza aerobica dei
pazienti HTR
La ridotta tolleranza all'esercizio dei pazienti HTR
ha un'origine multifattoriale, caratterizzata dalla
progressiva comparsa di anomalie funzionali a carico di numerosi organi ed apparati, probabilmente
in parte già compromessi prima dell'intervento.
Polmone: Nei pazienti con grave scompenso cardiaco il polmone può andare incontro a riduzione
dei volumi, ostruzione delle vie aeree, riduzione
della capacità di diffusione per il monossido di carbonio (DLCO), ecc. Dopo il trapianto cardiaco, spesso la funzione polmonare si normalizza. In genere
però la DLCO rimane bassa o continua a ridursi col
tempo, probabilmente in conseguenza di un danno
irreversibile della membrana alveolo-capillare.
Tuttavia gli effetti della riduzione di DLCO sulla prestazione fisica appaiono modesti, tanto che difficilmente i pazienti HTR diventano ipossiemici al picco di un esercizio massimale.
Cuore: La denervazione del segna-passi atriale del
donatore determina la particolare risposta della frequenza cardiaca (FC) all'esercizio. All'inizio di un
esercizio a carico costante, FC rimane invariata per
qualche decina di secondi rispetto ai valori di riposo, che sono generalmente più elevati del normale.
Successivamente, FC aumenta in modo lineare fino
a stabilizzarsi. Spesso, FC continua ad aumentare
e/o rimane elevata anche oltre il termine dell'esercizio, particolarmente se questo è molto intenso, a
causa dei livelli ematici di catecolamine [3,4]. Al
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termine di un esercizio esauriente, i valori della
massima frequenza cardiaca (FCmax) sono inferiori
a quelli attesi in base all'età dei soggetti.
La Figura 2 mostra l'andamento di FCmax in pazienti di età compresa, al momento dello studio, tra
9 e 60 anni. Il valore medio ponderato di FCmax di
131 P-HTR e di 1900 A-HTR è, rispettivamente,
153 e 140 b·min-1. Considerato che in queste condizioni la massima gettata sistolica è ridotta del
20%, ne consegue che anche i valori di massima
gettata cardiaca sono significativamente inferiori a
quelli dei soggetti di controllo. Tuttavia, la relazione tra gettata cardiaca e consumo di ossigeno non
è alterata, a suggerire l'incapacità da parte del muscolo di aumentare l'estrazione di ossigeno, nel
tentativo di compensare il minor quantitativo di O2
trasportato ai tessuti. A qualche anno dal trapianto
la prestazione cardiaca si può ulteriormente deteriorare a causa di una disfunzione diastolica del
ventricolo sinistro dovuta alla vasculopatia cardiaca tipica dell'organo trapiantato, che rappresenta la
più importante complicazione a lungo termine del
trapianto [2].
Muscolatura scheletrica: Il contributo della muscolatura scheletrica nel limitare la massima prestazione aerobica di pazienti HTR è stato messo recentemente in luce nel nostro laboratorio, studiando la
risposta metabolica all'esercizio di giovani pazienti
trapiantati in età pediatrica [5]. In questi ultimi, infatti, non era presente alcuna delle già citate anomalie funzionali potenzialmente capaci di ridurre
la tolleranza all'esercizio. Al contrario, il 50% dei
giovani pazienti studiati (“responder” P-HTR) era
caratterizzato da un completo recupero della normale risposta di FC ad esercizi massimali o sottomassimali a carico costante (Figura 3). Tuttavia, il ripristino del controllo di FC, indicativo della normalizzazione anche della gettata cardiaca e quindi
della capacità di trasporto convettivo di ossigeno ai
tessuti, non è stato accompagnato da un aumento
FIGURA 2: MASSIMA FREQUENZA CARDIACA (FCmax,
ESPRESSA IN B·MIN-1) DI PAZIENTI RICEVENTI UN
TRAPIANTO CARDIACO IN FUNZIONE DELL'ETÀ (ANNI)
AL MOMENTO DELLO STUDIO [2,6-15].
della massima potenza aerobica, né da una più rapida attivazione della macchina metabolica ossidativa, come evidenziato dall'analisi della cinetica
dell'adeguamento di V̇O2 all'inizio di un esercizio
sottomassimale a carico costante. Queste osservazioni sono state interpretate come espressione di
una limitazione funzionale a carico della muscolatura scheletrica, di natura ancora sconosciuta. Al
momento, infatti, disponiamo di poche conoscenze
sui meccanismi responsabili della disfunzione muscolare. Dopo il trapianto cardiaco ed in assenza di
un programma di allenamento specifico, la percentuale delle fibre di tipo II rimane relativamente alta
(~ 66%), mentre si normalizza l'area della loro sezione trasversa. Dal punto di vista morfologico, il
riscontro più significativo è la ridotta capillarizzazione dei muscoli, verosimilmente già presente prima del trapianto e non migliorabile neanche con
intensi programmi di allenamento. L'alterazione
microcircolatoria, limitando l'apporto di ossigeno
ai tessuti, potrebbe quindi essere responsabile dei
ridotti valori di V̇O2max osservati. In effetti, la somministrazione di un ACE-inibitore, riducendo la vasocostrizione periferica, aumenta sensibilmente il
V̇O2max dei pazienti HTR. Negli ultimi anni, la causa della ridotta capillarizzazione è stata identificata
in una disfunzione endoteliale, associata ad aumentati livelli ematici di citochine proinfiammatorie.
La compromissione dell'apporto convettivo di ossigeno ai tessuti potrebbe essere però solo un aspetto del problema. Infatti essa non spiega numerose
FIGURA 3: VARIAZIONE DELLA FREQUENZA CARDIACA (∆ FC,
ESPRESSA IN B·MIN-1) RISPETTO AL VALORE DI RIPOSO
FATTO UGUALE A 0, IN FUNZIONE DEL TEMPO (ESPRESSO IN
SECONDI) DURANTE UN ESERCIZIO SOTTOMASSIMALE, DI
INTENSITÀ PARI A ~ 60% DEL VALORE INDIVIDUALE DI
V̇O2max, IN TRE GRUPPI DI SOGGETTI DI ETÀ MEDIA
COMPRESA TRA 13 E 14 ANNI: : BAMBINI RICEVENTI UN
TRAPIANTO CARDIACO CON SEGNI FUNZIONALI DI
REINNERVAZIONE (RES P-HTR); : BAMBINI RICEVENTI UN
TRAPIANTO CARDIACO CON CUORE TIPICAMENTE
DENERVATO (NON RES P-HTR); : BAMBINI SANI DI
CONTROLLO (CTL).
•
200
180
30
∆ FC (b•min-1)
FCmax (b•kg-1•min-1)
res P-HTR
non resp P-HTR
CTL
40
160
140
20
10
120
0
100
-60
80
0
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10
20
40
30
Età (anni)
50
60
70
Tratta da [5], modificata.
0
60
Tempo (sec)
120
180
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nismi molecolari alla base delle citate alterazioni
funzionali non sono stati ancora investigati. In particolare manca l'analisi differenziale del proteoma
muscolare dei pazienti HTR, che consentirebbe di
identificare eventuali proteine abnormemente
espresse, da mettere in relazione con i dati funzionali. Questo tipo di analisi potrebbe essere utile anche in campo diagnostico, permettendo l'identificazione precoce di eventuali marker di rigetto.
C Marconi
Esercizio dopo trapianto cardiaco - Exercise after cardiac transplantation
osservazioni, tra cui il mancato aumento della massima potenza aerobica e la marcata inerzia metabolica descritte nei bambini trapiantati caratterizzati
dal ripristino completo della normale funzionalità
cardiaca. In questi ultimi pazienti è verosimile che
la limitazione funzionale possa essere causata da
un'alterazione a carico dei processi metabolici
energetici intracellulari.
Al momento attuale, per quanto ci consta, i mecca-
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Atti / Proceedings
Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”
Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005
Scompenso cardiaco cronico ed alta quota
Chronic heart failure and high altitude
Piergiuseppe Agostoni
Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Istituto di Cardiologia, Università di Milano e Department of Medicine,
University of Washington, Seattle, WA, USA
RIASSUNTO
L'adattamento alla quota dei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico dipende dalla capacità di incrementare la gettata
cardiaca e la differenza artero-venosa di ossigeno (C(a-v)O2). La
C(a-v)O2 dipende dalle modificazioni in contenuto di O2 in arteria polmonare (CvO2) e sistemica (CaO2). Nell'arteria sistemica
le modificazioni di CaO2 sono dovute all'incremento del contenuto in emoglobina relato ad aumento del potere oncotico intracellulare ed a spremitura della milza. Nell'arteria polmonare
il contenuto di O2 si riduce progressivamente. Questo dipende
da maggiore estrazione di O2 con riduzione della PO2 e da spostamento della curva di dissociazione di emoglobina a destra
dovuto all'acidosi. Infine la ridistrubuzione a favore dei muscoli
della portata cardiaca concorre a mantenere la capacità di esercizio in quota. La riduzione della capacità di esercizio dopo esposizione rapida alla quota (ogni 1.000 m di dislivello) è maggiore
nei pazienti più gravi. La capacità di aumentare la diffusione alveolo-capillare durante esercizio moderato è un elemento predittivo della capacità di lavoro in quota. Alcune categorie di farmaci, utili nel trattamento dello scompenso cardiaco a livello
del mare, hanno probabilmente un effetto favorevole sugli adattamenti all'esercizio in quota, e fra questi ACE-inibitori ed antialdosteronici, altri sfavorevole e fra questi i beta-bloccanti.
Parole chiave: Altitudine, diffusione alveolo-capillare, esercizio,
scompenso cardiaco.
ABSTRACT
Adaptation to high altitude can be poor in chronic heart failure
patients. This is related to an insufficient cardiac output
increase. The artero-venous oxygen difference (C(a-v)O2) can
partially counteract the cardiac output deficit. The C(a-v)O2
increase is due to hemoglobin increase, PO2 reduction and a
leftward-shift of the hemoglobin/oxygen curve. Adaptation to
high altitude is also influenced by the capacity to divert blood
flow toward the exercising muscles. Exercise capacity at high
altitude declines in inverse relation to the severity of heart failure. The capability to increase lung diffusion during light exer-
Agostoni Piergiuseppe
Centro Cardiologico Monzino
Via Parea 4, 20138 Milano, Italia
email: [email protected]
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cise is predictive of high altitude adaptation in heart failure
patients. Drugs can positively or negatively influence exercise
capacity at altitude in heart failure. Among those with a positive influence are ACE-inhibitors and antialdosteronic drugs;
among those with a negative influence are beta-blockers.
Keywords: Altitude, alveolar-capillary diffusion, exercise, heart
failure.
Le capacità di adattamento alla quota dei pazienti
affetti da scompenso cardiaco cronico sono limitate. Esse sono influenzate da tutti i parametri fisiologici che contribuiscono alla performance fisica. Il
primo elemento di discriminazione è la capacità di
esercizio a livello del mare come indicata dal consumo di ossigeno (VO2)di picco. Il VO2 è la gettata
cardiaca x la differenza artero-venosa di ossigeno
(C(a-v)O2) [1,2]. È da notare che nel soggetto sano,
siccome l'incremento di C(a-v)O2 è lineare con l'incremento del carico di lavoro, è possibile, conoscendo il VO2 stimare l'incremento della portata
cardiaca. Questo non è vero nel soggetto con
scompenso cardiaco dove la gettata deve essere misurata. La C(a-v)O2 dipende dalle modificazioni che
si sviluppano durante esercizio in contenuto di O2
in arteria polmonare (CvO2) e sistemica (CaO2).
Nell'arteria sistemica le modificazioni di CaO2 al di
sopra della soglia anaerobica sono dovute all'incremento del contenuto in emoglobina. Cioè aumenta
il delivery di ossigeno ai muscoli impegnati nell'esercizio. Infatti l'incremento di PO2 che si ha nella
seconda parte dell'esercizio è poco significativo
perchè, in condizioni normali, la saturazione dell'emoglobina è, a riposo, praticamente completa e
la quota di ossigeno disciolto nel sangue è minima.
Le cause più probabili dell'emoconcentrazione in-
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13,1 ± 2,7 e 13,4 ± 2,6 in classe A (picco VO2 >
20ml/min/kg), B (picco VO2 15-20 ml/min/kg) e C
(picco VO2 < 15 ml/min/kg) (* = p < 0,05 vs. B e C)
[3,4]. Questa differenza è dovuta ad una maggiore
quota, percentualmente parlando, di sangue in arteria polmonare in arrivo dai muscoli che partecipano all'esercizio che compensa la maggiore anemia dei pazienti più gravi.
La riduzione della capacità di esercizio dopo esposizione rapida alla quota (ogni 1.000 m di dislivello) è di:
classe A (picco VO2 > 20ml/min/kg) 4%
classe B (picco VO2 15-20 ml/min/kg) 4%
classe C (picco VO2 < 15 ml/min/kg) 10%
Un altro parametro predittore delle capacità di
compiere esercizio in quota è la diffusione alveolo
capillare e le sue modificazioni durante esercizio di
modesta entità. Infatti i pazienti che sono in grado
di aumentare la diffusione alveolo-capillare durante esercizio di modesta entità sono quelli che meglio si adattano alla quota.
Poco note sono le modificazioni relate alla quota
della ventilazione nei pazienti con scompenso cardiaco [5]. Infatti, se è vero che a livello del mare
durante esercizio si ha un incremento di ventilazione per l'aumento del volume corrente e della frequenza respiratoria, l'aumento del volume corrente
si osserva soprattutto nella parte iniziale dell'esercizio, mentre l'incremento della frequenza respiratoria è presente soprattutto nella parte finale. Anche
in assenza di cardiopatia organica, nei pazienti con
fibrillazione atriale, l'incremento di ventilazione è
leggermente superiore rispetto ai pazienti in ritmo
sinusale, come è documentabile dall'aumento di
VE/VCO2 sia in termini di pendenza (slope) che di
valore assoluto alla soglia anaerobica.
Nei pazienti con scompenso cardiaco, si ha un abnorme aumento della ventilazione durante esercizio: esso è dovuto ad un aumento della frequenza
respiratoria che compensa, in eccesso, il ridotto incremento del volume corrente. Numerose sono le
cause d'iperventilazione nello scompenso cardiaco; fra esse, l'alterazione della meccanica
toraco/polmonare, la riduzione della diffusione alveolo-capillare, l'aumento della necessità di ventilare per incremento sproporzionato della produzione di CO2, l'aumento dello spazio morto, l'eccessiva attività dei metaborecettori, dei chemorecettori e
dei barorecettori.
Molti farmaci possono influenzare la ventilazione:
gli ACE-inibitori, ma non gli AT1-bloccanti, aumentano la diffusione alvelo-capillare, probabilmente
attraverso un aumento della bradichinina polmonare. Gli antialdosteronici migliorano la diffusione alveolo-capillare attraverso una riduzione della fibrosi polmonare (con il trattamento a lungo termine). I
beta-bloccanti riducono l'iperventilazione e questa
loro azione, positiva a livello del mare, limita la capacità di adattamento alla quota nei pazienti che ne
fanno uso.
PG Agostoni
Scompenso cardiaco cronico ed alta quota - Chronic heart failure and high altitude
dotta da esercizio sono: a) effetto oncotico dovuto
all'incremento intracellulare di lattati e loro metaboliti, che genera movimento di fluido dal comparto intravascolare a quello extravascolare, b) contrazione della milza. Infatti, anche nell'uomo è stata
documentata dopo esercizio riduzione delle dimensioni della milza; inoltre nei soggetti talassemici sottoposti a splenectomia l'incremento di emoglobina durante esercizio è ridotto rispetto a quello
di soggetti talassemici non sottoposti a splenectomia. L'emoconcentrazione è responsabile di circa il
20% dell'incremento di C(a-v)O2 al picco dell'esercizio [2]. Nell'arteria polmonare il contenuto di O2
si riduce progressivamente. Questo dipende al di
sotto della soglia anaerobica da una maggiore
estrazione di O2 con riduzione della PO2 e, al di sopra della soglia anaerobica, dalla riduzione di PO2
e da uno spostamento della curva di dissociazione
dell'emoglobina verso destra dovuto all'acidosi, il
cosiddetto effetto Bohr. In arteria polmonare arriva,
anche durante esercizio massimale, sangue refluo
dai muscoli che partecipano attivamente allo sforzo
e da organi che non partecipano allo sforzo.
Differente è il quadro della vena femorale dove la
riduzione del contenuto di ossigeno durante esercizio dipende prima della soglia anaerobica dalla riduzione della PO2, sopra la soglia solo dall'effetto
Bohr. La riduzione di PO2 è responsabile del 60%
della riduzione del C(a-v)O2 mentre l'effetto Bohr è
responsabile del 20% dell'incremento indotto da
esercizio di C(a-v)O2 [2]. Il valore più basso di PO2
nella vena femorale è di circa 18 mmHg. Questo ha
generato il concetto di PO2 capillare critica concetto che dice che non esiste diffusione di ossigeno tra
capillare e mitocondrio per PO2 inferiori a 18
mmHg. Questo concetto è errato perché non segue
la legge di diffusione dei gas e perché sono state ottenute misure di PO2 nella vena femorale < 18
mmHg anche se in condizioni sperimentali particolari. Tuttavia il valore di 18 è quello comunemente
raggiunto con un test incrementale in cui la riduzione di PO2 si ha per aumento di VO2 per incremento di estrazione. Nel 20% dei pazienti con scompenso cardiaco cronico si osserva, nella fase finale
dell'esercizio, un aumento della PO2 nella vena femorale. Questo dato suggerisce la presenza di alterazione del rapporto tra perfusione del muscolo e
consumo di ossigeno, verosimilmente per il reclutamento, a fine esercizio, di gruppi di fibre muscolari
poco efficienti o per la comparsa di shunt all'interno del muscolo. Il muscolo, in altre parole, avrebbe
fenomeni di mismatch perfusione/consumo simili a
quelli ventilazione/perfusione polmonare.
La C(a-v)O2 alla soglia anaerobica merita un commento particolare. Infatti alla soglia anaerobica la
C(a-v)O2 ha un valore funzione della quantità di
emoglobina disponibile e della riduzione di PO2 ad
un valore intorno a 18 mmHg. Infatti è con la soglia
anaerobica che si inizia ad instaurare l'acidosi. In
una popolazione di pazienti affetti da scompenso
cronico la C(a-v)O2 era pari a 12,3 ± 1,3*ml/100ml,
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Atti / Proceedings
Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”
Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005
Problematiche cardiorespiratorie negli sport
equestri
Cardiorespiratory issues in equestrian sport
Maurizio Dottorini
SCA Pneumologia e Terapia Intensiva Respiratoria, Azienda Ospedaliera di Perugia
RIASSUNTO
Le problematiche medicosportive, e specificatamente quelle
cardiorespiratorie, dei cavalieri praticanti gli sport equestri, in
particolare le discipline olimpiche, sono state a lungo trascurate. Tradizionalmente si è ritenuto che l'atleta cavallo fosse impegnato con costi metabolici anche elevati, mentre il dispendio
energetico dell'atleta cavaliere fosse particolarmente limitato.
In realtà, l'impegno cardiorespiratorio del cavaliere può essere
submassimale.
Nei giovani cavalieri pertanto va incoraggiata una buona preparazione atletica di base, mentre vanno considerate le problematiche legate all'atopia e alle possibili patologie respiratorie allergiche e non. L'abitudine al fumo di sigaretta dei cavalieri va assolutamente contrastata.
Parole chiave: Dispendio energetico, equitazione, fumo di sigarette, malattie polmonari.
ABSTRACT
Medical, in particular cardiorespiratory, problems have long
been neglected in horse riders engaged in the sport of horse
riding, particularly those performing in olympic equestrian
sports. While the metabolic expenditure of horses has always
been considered of importance, the metabolic expenditure of
riders has traditionally been underestimated.
Nevertheless, the cardiorespiratory energy expenditure in riders can be submaximal. Young riders should therefore be
encouraged to undergo adequate physical training. Problems
related to atopy and to possible respiratory diseases, atopic
and non, should be considered. Every effort should be made to
discourage riders from smoking.
Keywords: Cigarette smoking, energy expenditure, horse riding,
lung diseases.
INTRODUZIONE
L'interesse per l'impiego sportivo del cavallo è in aumento in Italia. Dei 350mila cavalli presenti in Italia,
200mila sono impiegati nel turismo equestre e 50mila sono utilizzati nelle varie discipline sportive. Oltre
70mila cavalieri sono tesserati per la Federazione
Italiana Sport Equestri (FISE). Ogni anno si disputano
circa tremila gare di trotto, galoppo e salto ostacoli.
Inoltre, in 150 centri riconosciuti dalla Associazione
Nazionale Italiana Rieducazione Equestre (ANIRE) si
pratica l'ippoterapia [1], che prevede l'impiego del
cavallo a scopo riabilitativo in un largo numero di patologie, soprattutto neurologiche e neuromuscolari.
Brevemente si ricorda che nell'ambito degli sport
equestri le discipline olimpiche comprendono il
salto ostacoli ed il completo (dressage, salto ostacoli e cross). Le discipline non olimpiche comprendono endurance, attacchi, volteggio, polo, cross,
monta da lavoro, equitazione americana, equitazione da campagna, horse ball [2].
Gli atleti che praticano salto ostacoli (patente A, B,
1° e 2° grado) sono tenuti a sottoporsi annualmente a visita di idoneità sportiva, che prevede visita
medica, prove di funzionalità respiratoria ed elettrocardiogramma da sforzo.
Da un punto di vista medico sportivo va sottolineato che gli sport equestri sono di fatto uno sport gravato da un'elevata quota di incidenti. I traumi più
frequenti sono fratture delle ossa lunghe e traumi
cranici. È interessante notare che circa il 15% degli
Maurizio Dottorini
SCA di Pneumologia e Terapia Intensiva Respiratoria Azienda Ospedaliera “R. Silvestrini”
Via Dottori, 06100 Perugia, Italia
email: [email protected]
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incidenti avvengono in rapporto con attività collaterali, quali la pulizia e la preparazione del cavallo
e che più colpite sono le femmine, che praticano
più dei maschi questo sport con un picco di incidenza intorno ai 14 anni [3].
In Italia su diecimila assicurati vengono denunciati ogni anno 80 sinistri, 19 dei quali con esiti permanenti. La prevenzione (misure di protezione e
pratica sportiva sempre sotto la guida di istruttori
federali) può contenere numero e gravità degli incidenti.
Negli USA operano l'American Medical Equestrian
e la Safe Riders Foundation allo scopo di promuovere studi che migliorino la sicurezza dei cavalieri.
Abitudine al fumo e patologie polmonari in atleti
praticanti sport equestri
In occasione di un Concorso Ippico di Salto Ostacoli
tenutosi a Narni (TR) presso il Club Ippico Regno
Verde dal 30.04 al 02.05.04 è stato somministrato
agli atleti partecipanti un questionario. Le domande
riguardavano principalmente, oltre a dati anagrafici,
categoria (che riflette il livello di abilità equestre) e
pratica eventuale di altri sport oltre l'equitazione,
l'abitudine al fumo di sigaretta, la presenza di atopia
e di malattie respiratorie anamnestiche, quali asma
bronchiale, bronchite e polmonite.
Sono stati esaminati 69 atleti (37 F), di età pari a 25,9
± 13,4 anni (M ± SD), praticanti salto ostacoli da
11,1 ± 9,3 anni, suddivisi per livello tecnico in 4 con
Patente A, 32 con Patente B, 28 con 1° grado e 5 con
2° grado (il secondo grado è il livello superiore).
Atopia era presente in 12/69 (17%), asma bronchiale in 5/69 (7%), bronchiti pregresse in 3/69 (4%) e
polmoniti pregresse in 5 su 69 (7%). Venti cavalieri
su 69 (29%) dichiaravano di praticare altri sport oltre al salto ostacoli. Venti atleti su 69 (29%) erano
fumatori, 6 su 69 (9%) erano ex-fumatori e 43/69
(62%) erano non fumatori. Sette atleti su 32 (22%)
di età inferiore a 18 anni risultavano fumatori (4
femmine su 21 pari al 19% e 3 maschi su 11 pari
al 27%).
Per quanto concerne l'atopia è noto che manifestazioni oculorinitiche ed asmatiche da peli e forfore
di cavallo sono di frequente riscontro nei praticanti
gli sport equestri e sono di maggior gravità in soggetti con polisensibilizzazione [4]. L'insorgenza di
manifestazioni allergiche può essere spiegata dal
tempo che gli atleti passano quotidianamente in
scuderia per le operazioni di toilette dell'animale.
Uno studio longitudinale condotto per 5 anni su
due gruppi di bambini in Svezia nelle zone di
Goeteborg (SudOvest) e di Kiruna (Nord), ha rilevato tuttavia una minor sensibilizzazione atopica al
cavallo a Goeteborg, ove l'equitazione è più diffusa, ed una minore sensibilizzazione al cavallo tra le
femmine, che praticano equitazione più dei maschi. La prevalenza di manifestazioni allergiche (rinocongiuntivite ed eczema) era uguale a Kiruna e a
Goeteberg [5].
L'esposizione a termoactinomiceti presenti nel fieno può esporre i cavalieri che frequentano maneggi anche ad alveoliti allergiche [6].
Salto ostacoli ed apparato cardiorespiratorio
Solo la realizzazione di un binomio cavaliere-cavallo fa sì che possano essere raggiunti obiettivi
sportivi di rilievo. Gli istruttori sanno, ad esempio,
che il cavallo si rilassa quando la respirazione del
cavaliere è profonda e di tipo diaframmatico o addominale, mentre la respirazione superficiale e di
tipo toracico è percepita negativamente dal cavallo
e si può tradurre in stress ed ansietà. Anche un corretto bilanciamento del cavaliere in sella con stabilizzazione del tronco, ottenuta grazie al tono del
muscolo traverso dell'addome, è necessaria per
realizzare un armonico equilibrio tra cavaliere e
cavallo.
Per lungo tempo la medicina sportiva non è stata
coinvolta nella valutazione dell'impegno cardiorespiratorio del cavaliere, condizionata dall'errata
ipotesi che il vero atleta fosse il cavallo, mentre al
cavaliere si richiedeva essenzialmente una fine tecnica equestre. Certamente, se è pur vero che andare a cavallo in passeggiata richiede un lieve dispendio metabolico, l'addestrare al salto ostacoli puledri o il montare cavalli in gare di alto livello determinano costi energetici superiori: 2,3 vs 6,3-7 MET
(Metabolic EquivalenT - quantità di ossigeno per
minuto necessaria a un individuo a riposo).
In realtà, la condizione fisica del cavaliere è un
aspetto rilevante nell'equitazione moderna.
È interessante notare che, monitorando contemporaneamente la frequenza cardiaca di cavallo e cavaliere, per incrementi di frequenza cardiaca del
cavallo in rapporto al superamento di ostacoli, si
osservano paralleli incrementi della frequenza cardiaca nel cavaliere [7].
Il costo energetico dell'attività sportiva è stato oggetto di studi anche per quanto riguarda i cavalli; si
è visto che esso è influenzato dal diverso tipo di andatura (passo, trotto, galoppo) e di lavoro effettuato
(salto di ostacoli di varia difficoltà) oltre che dal
peso di cui il cavallo è gravato (cavaliere, sella,
ecc) [8].
Tradizionalmente inseriti tra le attività di destrezza,
che richiedono senso di equilibrio e coordinazione
neuromotoria [9], in realtà gli sport equestri prevedono un notevole impegno muscolare a scopo posturale e direzionale e un non trascurabile impegno
cardiorespiratorio, che si accentua in gara, anche
per l'associata partecipazione emotiva.
La frequenza cardiaca può raggiungere livelli massimali e, soprattutto al termine delle gare di cross, si
può avere un incremento dei lattati ematici ed il superamento della soglia anaerobica. Generalmente,
tuttavia, in corso di prove di salto ostacoli il consumo di ossigeno è submassimale.
Il “training” del cavaliere che pratica la disciplina
salto ostacoli è giornaliero, con sessioni che prevedono in sequenza andature di passo, trotto, galoppo e salto ostacoli. In rapporto alle diverse andature si ha un diverso impegno metabolico e cardiorespiratorio.
Fattori importanti nel condizionare il costo energetico sono il grado di preparazione tecnica e di allenamento del cavaliere e il tipo di cavallo. Vi sono,
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FIGURA 2: FREQUENZA CARDIACA DURANTE LE VARIE FASI
DELLA PROVA
FIGURA 1: IL CAVALIERE INDOSSA L'APPARECCHIATURA PER
TELEMETRIA
FIGURA 3: VENTILAZIONE DURANTE LE VARIE FASI DELLA
PROVA
chiede un consistente impegno muscolare da parte
del cavaliere, tuttavia è nel salto ostacoli che si realizza il maggior consumo di ossigeno.
CONCLUSIONI
Nella pratica degli sport equestri molta attenzione è
prestata alla condizione fisica del cavallo, minor attenzione è prestata, invece, alla condizione fisica,
ed in particolare cardiorespiratoria, dell'altro elemento del binomio, il cavaliere.
Questo per il motivo che si è sempre ritenuto che
l'impegno cardiorespiratorio sia modesto in questo
sport.
I pochi studi fisiologici sull'argomento smentiscono
questa convinzione.
I giovani che praticano la disciplina salto ostacoli
dovrebbero essere vivamente sconsigliati all'abitudine al fumo di sigaretta, dovrebbero essere maggiormente controllati per quanto riguarda le patologie allergiche e cardiopolmonari. Un'adeguata preparazione atletica di base potrebbe, infine, essere
utile al raggiungimento degli obbiettivi sportivi.
M Dottorini
Problematiche cardiorespiratorie negli sport equestri - Cardiorespiratory issues in equestrian sport
infatti, cavalli “pigri” che necessitano di essere costantemente stimolati dalla pressione di gambe del
cavaliere.
Al cavaliere si richiede una buona capacità aerobica, considerando che nel salto ostacoli si raggiunge
mediamente un consumo di ossigeno pari al 75%
del VO2 max.
Devienne e Guezennec hanno valutato il dispendio
energetico dell'equitazione [10]. In cinque cavalieri questi autori hanno esaminato frequenza cardiaca, ventilazione e consumo di ossigeno in rapporto
a varie andature (passo, trotto, galoppo, galoppo in
sospensione, superamento di ostacoli al trotto, superamento di ostacoli al galoppo, percorso di salto
ostacoli).
I parametri esaminati mostrano un impegno crescente del cavaliere passando dal passo al trotto al
galoppo, al salto ostacoli con i massimi valori nella
sessione di percorso, consistente nel superamento
di una sequenza di ostacoli, come avviene in gara.
Sia la tipologia del cavaliere (più o meno esperto)
sia la tipologia del cavallo (più o meno vivace) condizionano il diverso costo energetico.
I cavalieri di elite hanno un consumo di ossigeno
inferiore rispetto a cavalieri esperti, ma non di elite,
per lo stesso tipo di lavoro; anche le diverse condizioni in cui si effettua la gara condiziona una diversa spesa metabolica [11,12].
Presso il Centro Ippico di Valmarino (Perugia) un
cavaliere, istruttore FISE, su cavallo allenato ed abitualmente impiegato in concorsi ippici, è stato esaminato con apparecchiatura COSMED K4, che consente di misurare in telemetria FE O2 e FE CO2
(Figura 1). La sessione di allenamento prevedeva,
come di norma, alcuni minuti al passo, alcuni minuti al trotto e al galoppo ed, infine, il salto di dodici ostacoli di media difficoltà con fase finale di recupero, per un totale di circa venti minuti.
Nelle Figure 2, 3 e 4 vengono evidenziati frequenza cardiaca, ventilazione, consumo di ossigeno e
quoziente respiratorio in rapporto alle varie fasi della sessione. È evidente che l'andatura al trotto ri-
Legenda: VE, ventilazione/minuto
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Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 111: 114
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FIGURA 4: CONSUMO DI OSSIGENO E QUOZIENTE
RESPIRATORIO DURANTE LE VARIE FASI DELLA PROVA
Legenda: VO2, consumo di ossigeno
RINGRAZIAMENTI Si ringraziano per la collaborazione
l'Azienda COSMED nella persona del Sig. Carminati e gli
istruttori FISE Gianluca Quondam Gregorio (Club Ippico
Regno Verde, Narni - Terni) e Billy Lombardi (Club Ippico
Scuderia Valmarino, Corciano - Perugia).
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RUBRICA
Interdisciplinary pages A CURA DI MARIO POLVERINO
Questa rubrica si propone come spazio interdisciplinare con lo scopo di raccogliere notizie, informazioni,
opinioni, contributi metodologici e casi clinici tratti dalle varie discipline che interagiscono con la Medicina
Respiratoria.
email: [email protected]
Spotlight on Pathophysiology
Agenesia dell’arteria polmonare: valutazione
angio-scintigrafica e funzionale
Pulmonary artery agenesis: morphologic and functional
assessment
Carlo Santoriello, Francesca Polverino, Giuseppe Fiorenzano, Mario Polverino
Fisiopatologia Respiratoria, Centro Regionale ad Alta Specializzazione
Centro Medico Italo-Australiano, Cava de' Tirreni (SA)
e-mail: [email protected]
RIASSUNTO
L'agenesia dell'arteria polmonare è una rara anomalia congenita, di cui sono stati descritti 119 casi a partire dal 1978.
Descriviamo i dati funzionali e di imaging di una ragazza di 11
anni, rimasta clinicamente silente nel successivo follow-up per
20 anni fino al parto felicemente portato a termine senza alcuna complicanza.
Parole chiave: Agenesia arteria polmonare.
ABSTRACT
Unilateral pulmonary artery agenesis is an uncommon anomaly and since 1978 only 119 cases have been reported. We
describe the morphologic and functional assessment of an
11-year old girl, clinically asymptomatic in the 20 year followup, including an uncomplicated pregnancy and delivery.
Keywords: Pulmonary artery agenesis.
Presentiamo il caso di P.I. di anni 11. La bambina ha
sempre goduto di perfetta salute fino all'epoca della
nostra prima osservazione (nel 1986). Tre giorni prima di presentarsi a noi la bambina aveva presentato
tosse secca, stizzosa accompagnata da faringodinia e
da febbre alta (39-39,5°). All'esame obiettivo toracico si evidenziava una diffusa riduzione del murmure
vescicolare e del fremito vocale tattile in tutto l'emitorace di sinistra; normale il suono plessico da entrambi i lati. Sulla scorta di questo reperto veniva eseguita una radiografia del torace che evidenzia uno
spostamento dell'ombra cardiaca verso sinistra con
ipoevoluzione dell'intero emitorace omolaterale
(figura 1). Veniva eseguito un esame spirometrico:
l'esame evidenziava un lieve disordine qualitativo
della capacità polmonare totale con intrappolamento d'aria; la capacità vitale, il volume espiratorio forzato dopo un secondo (FEV1.0), la capacità vitale forzata (FVC) e il FEV1.0/FVC erano nei limiti della norma. La capacità di diffusione alveolo-capillare
(DLCO) risultava ridotta del 50% rispetto al teorico,
ma l'indice di accoppiamento diffusione su ventilazione (DLCO/VA) era pari al 100%. L'emogasanalisi
evidenziava una PaO2 di 97 mmHg e una PaCO2 di
37 mmHg. Nel frattempo la bambina veniva trattata
soltanto con salicilato e dopo 24 ore non presentava
più febbre. Veniva ripetuto l'esame radiografico a distanza di cinque giorni dalla scomparsa della febbre
(figura 2) e l'esame risultava invariato rispetto alla prima osservazione. La bambina veniva sottoposta a
una scintigrafia perfusiva (figura 3) e ventilatoria (figura 4) che evidenziava una diffusa omogenea riduzione della ventilazione in tutto l'emitorace di sinistra e una totale assenza di perfusione dallo stesso lato. Veniva eseguita una angiografia polmonare che
evidenzia una malformazione della vascolatura polmonare con agenesia dell'arteria polmonare di sinistra (figura 5).
L’episodio febbrile era stato esclusivamente un episodio virosico intercorrente che, a causa di un esame
obiettivo anomalo, aveva innescato l'iter che aveva
poi portato alla diagnosi di “Agenesia dell'arteria polmonare”.
Descriviamo il caso per sottolineare che, pur in presenza di un'anomalia congenita importante, con
anormalità sia dell'esame obiettivo che dell'esame
radiografico, l'esame della funzionalità respiratoria
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(pur in presenza di ipoplasia del polmone sx, omolateralmente all'agenesia dell'arteria polmonare) risultava assolutamente nei limiti della norma, ad eccezione della capacità di diffusione alveolo-capillare
che era ridotta esattamente della metà.
L'agenesia dell'arteria polmonare è un'anomalia
congenita rara, più frequente a destra (63% dei casi),
isolata o associata ad altre anomalie non solo cardiovascolari [1]: fra il 1978 e il 2000 in letteratura sono
stati riportati 119 casi [2]. Le caratteristiche cliniche
più frequenti [3] includono infezioni respiratorie ricorrenti, dispnea (40% dei casi), dolore toracico e
pleurite (37%), emottisi (20%); ma la conseguenza fisiopatologica più temibile è lo sviluppo di ipertensione polmonare, che complica il 44% dei casi. Sono
stati anche descritti casi clinici asintomatici (12,9%
dei casi) o che si sono appalesati per il comparire di
complicanze: pneumotorace ricorrente [4], reflusso
gastro-esofageo; la complicanza più comune, comunque, è rappresentata dall'edema polmonare da
alta quota [5-8], talora anche fatale [9].
Generalmente l'esame obiettivo è negativo ma l'Rx
torace evidenzia ipoplasia omolateralmente all'agenesia dell'arteria polmonare [10-12].
Nel caso da noi osservato, in 20 anni di follow-up
non vi è stata alcuna importante manifestazione clinica o conseguenza fisiopatologica, ad eccezione
della diffusione alveolo-capillare, il cui valore si
è sempre attestato all'incirca alla metà del valore
teorico.
Del tutto recentemente la paziente ha partorito con
parto spontaneo senza alcuna complicazione per sé
o per il neonato: questa evenienza è stata descritta
del tutto recentemente in letteratura [13].
FIGURA 1: RX TORACE ALL'INGRESSO
FIGURA 2: RX TORACE ALLA RISOLUZIONE CLINICA
FIGURA 3: SCINTIGRAFIA PERFUSIVA
A: anteriore
116 MRM
B: posteriore
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FIGURA 4: SCINTIGRAFIA VENTILATORIA
A: anteriore
B: posteriore
FIGURA 5: ANGIOGRAFIA POLMONARE
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RUBRICA
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From Doctor to Patient A CURA DI STEFANO NARDINI
Un paziente informato è un migliore partner per il medico rispetto al soggetto passivo. Scopo di questa sezione è presentare le iniziative che possono arricchire il rapporto medico-paziente. Tutti i Colleghi sono invitati a contribuire a questa rubrica con le loro esperienze e i loro commenti su quanto riportato.
email: [email protected]
La protezione dal fumo passivo: intervista a Roberto
Boffi, pneumologo e responsabile dell'Unità per la
Prevenzione dei Danni da Fumo dell'Istituto
Nazionale dei Tumori di Milano
Stefano Nardini
Regione Veneto, ASL 7, Sinistra Piave, Ospedale di Vittorio Veneto, U.O. di Pneumotisiologia
Segretario Generale AIMAR
Da molti anni il Dr. Boffi si occupa di fumo attivo e
passivo e, essendo pneumologo e vedendo molti
casi di malattie croniche polmonari (asma, BPCO),
ha - come altri colleghi - da tempo focalizzato il
problema della protezione dal fumo passivo. Infatti
il fumo passivo è in grado non solo di causare “ex
novo” malattie, ma anche di aggravare patologie respiratorie preesistenti, aumentando la frequenza e
la gravità delle ricadute. Pertanto la protezione dal
fumo passivo assume un ruolo primario, preminente rispetto alle terapie farmacologiche, alla stessa
stregua della cessazione dal fumo attivo dei pazienti respiratori fumatori o dell'allontanamento dall'ambiente di lavoro dei pazienti allergici a sostanze che vi sono utilizzate. L'ambulatorio di cui il
Dr. Boffi è responsabile può offrire un esempio di
un rapporto medico-paziente che va al di là della
semplice visita e aiuta il paziente a gestire completamente la sua malattia.
1. Dr. Boffi, quale è l'importanza del fumo passivo
nella gestione dei pazienti respiratori, acuti e cronici? Dopo tutto un famoso lavoro scientifico apparso sul BMJ circa due anni fa sembrava smentire la
maggior parte degli effetti patogeni del fumo passivo. E anche recenti sentenze nel nostro paese
sembrano minimizzarne la portata.
Innanzitutto va ricordato che il fumo passivo (o come forse è meglio definirlo, involontario) è stato già
da molti anni e definitivamente dichiarato
dall'International Agency for Research on Cancer
(IARC) in un'apposita monografia un cancerogeno
di gruppo 1 per l'essere umano. E il tumore del polmone, come tutti sappiamo, è non solo la neoplasia maggiormente fumo-correlata ma anche quella
di più frequente insorgenza nei pazienti fumatori ed
118 MRM
ex- fumatori affetti da BPCO, i quali devono perciò
essere assolutamente protetti da questo ulteriore, sicuro fattore cancerogeno. È vero peraltro che alcuni recenti articoli hanno cercato di ridimensionare i
pericoli per la salute, in particolare per l'apparato
respiratorio, dovuti a questo agente, ma c'è da chiedersi ad esempio nel caso dell'articolo del BMJ sul
tema, come mai gli autori (Enstrom e Kabat) erano
stati curiosamente finanziati per le loro ricerche
proprio dalle multinazionali del tabacco. Per quanto riguarda l'ormai famoso caso Paribas, sulla giovane donna asmatica deceduta in un ambiente lavorativo dove i colleghi fumavano continuamente
in sua presenza, va detto una volta per tutte che se
il processo di appello si era concluso con l'assoluzione degli imputati, la famiglia aveva successivamente ricorso in cassazione e la Banca ha pertanto
patteggiato un accordo economico, che se non ha
sancito né una colpa né tantomeno una vittoria per
nessuno, ha comunque riconosciuto di fatto la legittimità della richiesta di un risarcimento per i parenti della vittima.
2. Nella sua esperienza, i pazienti hanno coscienza
dell'importanza del fumo passivo?
Gli asmatici sì, da sempre. Nella popolazione “sana” questa presa d'atto è invece ancora incompleta, e comunque di più recente acquisizione. Ma va
detto che gli studi scientifici effettuati in questi ultimi anni da vari gruppi di ricerca, come quello da
me diretto all'Istituto Nazionale dei Tumori, hanno
mostrato inequivocabilmente la capacità del fumo
passivo di inquinare significativamente (anche decine di volte più di un diesel) ed hanno senz'altro così contribuito a creare progressivamente nella gente, fumatori compresi, una cultura del rispetto per il
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diritto degli altri alla salute e in particolare all'aria
pulita attorno a sé.
3. È possibile misurare l'esposizione al fumo passivo? Sul piano individuale e collettivo?
Sul piano individuale, nel nostro centro antifumo
abbiamo messo a punto in questi ultimi anni l'analisi gascromatografica del capello dei fumatori passivi per il dosaggio della nicotina, e nei primi 50
soggetti studiati abbiamo verificato una specificità
di tale metodica del 100%. Purtroppo, la sensibilità
di tale ricerca è risultata di solo il 60%, soprattutto
in presenza di precedenti trattamenti ai capelli come tinte e permanenti. Comunque la metodica è risultata talmente interessante che, con la nostra collaborazione, l'analisi della nicotina nel capello è
stata prima inserita nelle linee guida della regione
Lombardia per lo studio dei casi di sospetta SIDS (la
“morte nella culla del lattante”), poi dal febbraio
2006 anche nella nuova legge italiana sulla stessa
malattia, che come è noto colpisce in maggioranza
bambini nati da madre fumatrice attiva o passiva
e/o da padre fumatore.
Riguardo l'inquinamento collettivo da fumo passivo, oltre all'analisi della nicotina ambientale è stato sancito da importanti pubblicazioni scientifiche
il valore di indicatori altrettanto affidabili, e col pregio di essere utilizzabili in tempo reale (ormai addirittura secondo per secondo), quali gli analizzatori
portatili che utilizzano la tecnologia laser per misurare le concentrazioni di polveri sottili (PM10, PM2,5,
PM1), da anni in nostra dotazione.
4. Nella sua esperienza, è prevalente l'esposizione
al fumo passivo in casa o in ambiente di lavoro?
Fino al 2005 senza dubbio al lavoro, dove situazioni di piccoli ricatti, dispetti e ripicche sono purtroppo all'ordine del giorno, come sappiamo tutti. In
casa, l'amore (in particolare per i propri figli) spesso prevale invece sulla voglia di fumare sempre e
comunque.
Ora, dopo la legge antifumo, la situazione si è paradossalmente rovesciata. La propria abitazione (e
la propria autovettura…) sono rimaste per alcuni tra
le poche “oasi” da affumicare. E i bambini, così come gli anziani, che passano inevitabilmente gran
parte del loro tempo in casa, ovviamente non se ne
sono certo giovati.
5. Come si comporta con i genitori fumatori di figli
con patologie respiratorie?
Cerco di comportarmi come faccio sempre, sia tra i
ragazzi nelle scuole sia davanti a un paziente oncologico che fuma e che smettendo di fumare può
condizionare positivamente l'effetto dei trattamenti
chirurgici, radio e chemioterapici che si appresta a
subire: “conoscere per decidere”. Senza colpevolizzare insomma, ma anche senza paura di informare
su ogni rischio come su ogni potenziale beneficio.
6. E i genitori come si comportano? Si vedono
molte più persone oggi, rispetto a ieri, sui terrazzi
delle case a fumare: vi è stato qualche cambiamen-
to nella coscienza dei danni da fumo negli ultimi
anni?
Le norme antifumo hanno indubbiamente reso la
vita un po’ più difficile a tutti i fumatori. Per chi non
è riuscito, nel frattempo, a cogliere l'occasione per
dire finalmente basta alle sigarette, il rispetto delle
nuove regole si è aggiunto alla voglia di rispettare
gli altri, per chi già ce l'aveva. E uscire fuori ogni
volta a fumare è diventato per molti fumatori un gesto, oltre che rassegnato, quasi automatico.
Ora però il nostro gruppo di lavoro ha dimostrato
scientificamente l'esistenza anche del cosiddetto
“residual tobacco smoke”, ossia la capacità del fumatore di inquinare, tramite l'esalazione di notevoli quantità di polveri sottili, per almeno 2-3 minuti
dopo lo spegnimento della sua sigaretta. Quindi,
già che esce, se resta fuori ancora un po’.
7. Cosa è cambiato dopo l'applicazione della legge
Sirchia?
Tutto e nulla. Tengo comunque a sottolineare, con
amarezza e preoccupazione, una persistente carenza dei servizi sanitari italiani: i 13 milioni di nostri
fumatori hanno mostrato di comprendere e accettare la legge Sirchia che ha reso i locali pubblici
smoke-free, ma non hanno ricevuto in cambio un
numero adeguato di ambulatori certificati dal SSN
in grado di assisterli quando decidono di smettere
di fumare. Sappiamo tutti che i farmaci che si sono
dimostrati attivi nella smoking cessation sono inoltre a loro completo carico e la ricerca sulle malattie direttamente legate al fumo, come il tumore del
polmone, non ha tuttora fondi sufficienti.
Le più recenti iniziative sul fumo dell'Istituto
Nazionale dei Tumori, come la creazione di un forum per fumatori ed ex-fumatori e un radio-reality
con due fumatrici e ascoltatrici di Radio 24, vanno
in questa direzione: dimostrare l'efficacia e quindi
la necessità di aumentare i servizi ambulatoriali e a
distanza per l'assistenza ai fumatori che vogliono
smettere.
8. L'impressione generale in Italia rispetto ad altri
Paesi è che i sindacati dei lavoratori si disinteressino della patogenicità del fumo passivo e dei danni
che derivano dall'esposizione ad esso per causa di
lavoro. Dopo tutto, il dibattito che ha preceduto la
applicazione della legge Sirchia è stato centrato
sulla salute degli avventori e non ha mai nemmeno
accennato a quella di baristi o camerieri. Lei è mai
stato contattato da strutture sindacali per il problema del fumo passivo o, al contrario, ha sempre e
solo avuto approcci individuali?
In questi anni all'Istituto Nazionale dei Tumori siamo stati, oltre che paladini dei diritti del singolo,
fosse esso un asmatico come una donna incinta,
più volte partner nell'organizzazione di convegni
sul fumo passivo con realtà aziendali e anche sindacali, in particolare con la rivista specializzata
“Ambiente e Lavoro”. Ma molto di più si può e si
deve fare, soprattutto nell'intensificare i contatti e
costruire delle solide collaborazioni con importanti figure quali i medici del lavoro, che rivestono seMRM
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condo me un ruolo chiave nella verifica dell'applicazione e del rispetto delle norme vigenti.
evidenziata da volantini, circolari da parte della dirigenza e delibere ad hoc.
9. Come si comporta al termine della visita per
aiutare il paziente nella gestione della sua malattia
respiratoria?
Una volta accertata, con la visita e la spirometria,
l'esistenza di una patologia sensibile, come l'asma
e la bronchite cronica, abbiamo consegnato in questi anni ai nostri fumatori passivi decine e decine di
lettere di diffida per il loro datore di lavoro, in cui
sono specificate non solo le varie norme di legge,
ma anche le più importanti evidenze scientifiche in
tema di danni da fumo passivo. Ebbene, posso dire
con soddisfazione che in più del 50% dei casi le
lettere da noi consegnate dal 2001 ad oggi hanno
portato non solo ad un allontanamento del paziente dall'esposizione al fumo altrui, ma anche ad una
radicale antismoking policy nelle aziende stesse,
10. Cosa consiglia oggi a un paziente respiratorio,
dipendente di una piccola azienda, esposto al fumo
passivo in orario di lavoro: difficile consigliargli di
intraprendere un'azione sindacale o di denunciare il
suo datore di lavoro in quanto equivarrebbe ad
auto-licenziarsi.
Non sono certo io a dover dire quanto il posto di lavoro sia importante e difficile da conquistare al
giorno d'oggi. Ma la salute è una, e realtà come
quella del nostro centro antifumo, dedicato anche a
loro, possono aiutare tutti i fumatori passivi a trovare la forza, con l'esempio ma anche nei fatti, per
combattere una dannosa ingiustizia. Come il nostro, tutti gli “ambulatori per smettere” possono aiutare i pazienti pneumologici a conquistare il diritto
alla difesa della propria salute.
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RUBRICA
Meeting Calendar A CURA DI STEFANO NARDINI
Questa rubrica informa i lettori dei prossimi eventi congressuali, nazionali ed internazionali, nell’ambito
della Medicina Respiratoria; fornisce un recapito a cui rivolgersi per ottenere ulteriori informazioni.
email: [email protected]
WHEN
WHERE
WHAT
WHO TO CONTACT
2007
March, 15-18
Grapevine
(USA)
Pan American Allergy Society
Annual Meeting 2007
[email protected]
March, 19-21
Trieste
(Italy)
“Respiro Trieste 2007” Scienza e tecnologia
in Pneumologia, Clinical Year in Review,
2nd Mittel-European Meeting, Simposio
AIPO-SIMeR-SIMG
Alpha Studio, 0407600101
[email protected]
March, 23-25
Taormina (CT)
(Italy)
5th ERS Lung Science Conference
www.ersnet.org/lsc
April, 18-20
Barcelona
(Spain)
International Forum on Quality and Safety
in Health Care
www.quality.bmjpg.com
May, 10-13
Island of Kos
(Greece)
New aspects and treatment of lung cancer:
Expectations and reality
[email protected]
May, 18-23
San Francisco
(USA)
ATS 2007
www.thoracic.org
June, 16-20
Tours
(France)
ISAM (International Society for Aerosols
in Medicine) Congress 2007
[email protected]
www.isam2007.com
June, 21-23
Milano
(Italy)
11th National Congress of SIMRI,
Italian Paediatric Respiratory Society
[email protected]
June, 22-25
Istanbul
(Turkey)
World Asthma Meeting, WAM 2007 Istanbul
[email protected]
June, 27-30
Riga
(Latvia)
4th Congress of IUALTD, Europe Region
[email protected]
www.tubercolosis.IV/congress2007
www.iualtd.org
September, 15-19
Stockholm
(Sweden)
ERS 2007
www.ersnet.org
October, 3-6
Roma
(Italy)
Conferenza Nazionale di Consenso
in Medicina Respiratoria
[email protected]
October, 20-25
Chicago
(USA)
CHEST 2007
Segreteria scientifica ACCP
+1 (847) 498-1400
December, 2-6
Bangkok
(Thailand)
World Allergy Organization 2007 Congress
[email protected]
December, 4-7
Firenze
(Italy)
XXXIX Congresso Nazionale AIPO VIII Congresso Nazionale UIP
www.aiponet.it
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Multidisciplinary Respiratory Medicine
Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB MILANO
Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
march
1
2007
Polverino F, Santoriello C, De Sio V, Musella V, De Rosa C, Cicchitto G, De Blasio F,
Andò F, Polverino M
Recumbent hypoxemia ("clinodeoxia") in cirrhosis:
relationship with age-related trends of alveolar ventilation
and right-to-left shunting
Ipossiemia in clinostatismo ("clinodeoxia") nella cirrosi:
rapporti con le modificazioni della ventilazione alveolare legate
all'età e con lo shunt destro-sinistro
Pastorino U, Calabrò E
Progetto MILD: prevenzione e diagnosi precoce del tumore polmonare
The MILD project: prevention and early diagnosis of lung cancer
Van Schil PE, Sardari Nia P, Hendriks JM, Lauwers P
Early and medium-term follow-up after lung cancer resection
Follow-up a breve e medio termine dopo resezione di tumore polmonare
Moeller A, Kolb M
Gene therapy for cystic fibrosis
Terapia genetica della fibrosi cistica
anno 2 - n. 1 - Reg.Trib. Novara n.120 del 11/11/2005
ISSN 1828-695X
Multidisciplinary Respiratory Medicine
1/ march 2007
no.
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