Multidisciplinary Respiratory Medicine Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB MILANO Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie march 1 2007 Polverino F, Santoriello C, De Sio V, Musella V, De Rosa C, Cicchitto G, De Blasio F, Andò F, Polverino M Recumbent hypoxemia ("clinodeoxia") in cirrhosis: relationship with age-related trends of alveolar ventilation and right-to-left shunting Ipossiemia in clinostatismo ("clinodeoxia") nella cirrosi: rapporti con le modificazioni della ventilazione alveolare legate all'età e con lo shunt destro-sinistro Pastorino U, Calabrò E Progetto MILD: prevenzione e diagnosi precoce del tumore polmonare The MILD project: prevention and early diagnosis of lung cancer Van Schil PE, Sardari Nia P, Hendriks JM, Lauwers P Early and medium-term follow-up after lung cancer resection Follow-up a breve e medio termine dopo resezione di tumore polmonare Moeller A, Kolb M Gene therapy for cystic fibrosis Terapia genetica della fibrosi cistica anno 2 - n. 1 - Reg.Trib. Novara n.120 del 11/11/2005 ISSN 1828-695X Multidisciplinary Respiratory Medicine 1/ march 2007 no. MULTIDISCIPLINARY RESPIRATORY MEDICINE Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie Multidisciplinary Respiratory Medicine Multidisciplinary Respiratory Medicine (MRM) è la rivista scientifica trimestrale di AIMAR (Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie), pubblicata da Novamedia s.r.l. La rivista pubblica, in lingua italiana e inglese, articoli originali, nuovi approcci metodologici, review, opinioni, editoriali, stati dell'arte, documenti di consenso e atti di congresso di pertinenza alla Medicina Respiratoria. Novamedia s.r.l. detiene i diritti di autore degli articoli pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l'autorizzazione dell'Editore. Registrazione presso il Tribunale di Novara n. 120/05 dell'11/11/05. Direttore Responsabile: Claudio M. Sanguinetti, Roma. Finito di stampare nel mese di aprile 2007. Stampa: RG Centro Stampa, Assago (MI). www.rgcentrostampa.it Spedizione in abbonamento postale comma 20, articolo 2, legge 662/96. Abbonamento annuo (4 numeri più eventuali supplementi) € 60,00. Per i soci AIMAR l'abbonamento è compreso nella quota d'iscrizione all'Associazione. Gli interessati possono rivolgersi all'editore Novamedia, tel. 0322 846549, [email protected]. Pubblicità: per le quotazioni riferire a Effetti s.r.l. L'Editore si riserva la facoltà di accettare o non accettare proposte di inserimento di pagine pubblicitarie. Informazione per il Lettore Informativa ai sensi dell'art. 13, d.lgs 196/2003. I dati degli abbonati sono trattati, con modalità anche informatiche, per l'invio della rivista richiesta e per svolgere attività ad essa connesse. Titolare del trattamento è Novamedia srl, Via Cavigioli 10, 28021 Borgomanero NO. Le categorie di soggetti incaricati per il trattamento dei dati per le finalità suddette sono gli addetti alla registrazione, modifica, elaborazione dati e loro stampa, al confezionamento e spedizione delle riviste, al call center, alla gestione amministrativa e contabile. Ai sensi dell'art.7, d.lgs. 196/2003, è possibile esercitare i relativi diritti tra cui consultare, modificare, aggiornare o cancellare i dati rivolgendosi a Novamedia srl, al succitato indirizzo, presso cui è disponibile a richiesta elenco dei responsabili. MULTIDISCIPLINARY RESPIRATORY MEDICINE Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie Multidisciplinary Respiratory Medicine Multidisciplinary Respiratory Medicine (MRM) è la rivista scientifica trimestrale di AIMAR (Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie), pubblicata da Novamedia s.r.l. La rivista pubblica, in lingua italiana e inglese, articoli originali, nuovi approcci metodologici, review, opinioni, editoriali, stati dell'arte, documenti di consenso e atti di congresso di pertinenza alla Medicina Respiratoria. Novamedia s.r.l. detiene i diritti di autore degli articoli pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l'autorizzazione dell'Editore. Registrazione presso il Tribunale di Novara n. 120/05 dell'11/11/05. Direttore Responsabile: Claudio M. Sanguinetti, Roma. Finito di stampare nel mese di aprile 2007. Stampa: RG Centro Stampa, Assago (MI). www.rgcentrostampa.it Spedizione in abbonamento postale comma 20, articolo 2, legge 662/96. Abbonamento annuo (4 numeri più eventuali supplementi) € 60,00. Per i soci AIMAR l'abbonamento è compreso nella quota d'iscrizione all'Associazione. Gli interessati possono rivolgersi all'editore Novamedia, tel. 0322 846549, [email protected]. Pubblicità: per le quotazioni riferire a Effetti s.r.l. L'Editore si riserva la facoltà di accettare o non accettare proposte di inserimento di pagine pubblicitarie. Informazione per il Lettore Informativa ai sensi dell'art. 13, d.lgs 196/2003. I dati degli abbonati sono trattati, con modalità anche informatiche, per l'invio della rivista richiesta e per svolgere attività ad essa connesse. Titolare del trattamento è Novamedia srl, Via Cavigioli 10, 28021 Borgomanero NO. Le categorie di soggetti incaricati per il trattamento dei dati per le finalità suddette sono gli addetti alla registrazione, modifica, elaborazione dati e loro stampa, al confezionamento e spedizione delle riviste, al call center, alla gestione amministrativa e contabile. Ai sensi dell'art.7, d.lgs. 196/2003, è possibile esercitare i relativi diritti tra cui consultare, modificare, aggiornare o cancellare i dati rivolgendosi a Novamedia srl, al succitato indirizzo, presso cui è disponibile a richiesta elenco dei responsabili. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 1 MULTIDISCIPLINARY RESPIRATORY MEDICINE OFFICIAL SCIENTIFIC JOURNAL OF AIMAR An Italian scientific journal of AIMAR dedicated to the advancement of knowledge in all fields of respiratory medicine. MRM publishes - in Italian and English - original articles, new methodological approaches, reviews, points of view, editorials, states of the art, position papers and congress proceedings. Editors Fernando De Benedetto, Chieti Claudio F. Donner, Borgomanero (NO) Claudio M. Sanguinetti, Roma Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie Multidisciplinary Respiratory Medicine Managing Editor Gianfranco Sevieri, Viareggio (LU) Editorial Office Manager Stefano Nardini, Vittorio Veneto (TV) Editorial Board Mario Polverino, Cava de’ Tirreni (SA) - Coordinator Sabina Antoniu, Iasi, Romania Alberto Braghiroli, Veruno (NO) Mauro Carone, Veruno (NO) Lucio Casali, Terni Mario Cazzola, Roma Stefano Centanni, Milano George Cremona, Milano Filippo De Marinis, Roma Francesco Ioli, Veruno (NO) Giovanni Paolo Ligia, Cagliari Rasmi Magadle, Baka El-Garbia, Israel Riccardo Pela, Ascoli Piceno Luca Richeldi, Modena Roberto Torchio, Torino AIMAR Scientific Committee Coordinator: Luigi Allegra (MI) Cardiology: Nazzareno Galié (BO) Endocrinology: Aldo Pinchera (PI) Allergology and Environmental Medicine: Renato Corsico (PV) Epidemiology: Fernando Romano (CH) Formation and Quality: Maurizio Capelli (BO), Piera Poletti (PD) Gastroenterology: Gabriele Bianchi Porro (MI), Lucio Capurso (RM) General Medicine: Claudio Cricelli (FI) Geriatrics: Emanuele Tupputi (BA), Stefano M. Zuccaro (RM) Imaging: Alessandro Carriero (NO), Francesco Schiavon (BL) Immunology: Giuseppe Montrucchio (TO) Infectivology: Ercole Concia (VR) Intensive Care: Marco Ranieri (TO) Internal Medicine: Roberto Corinaldesi (BO) Microbiology: Giancarlo Schito (GE) Neurology: Luigi Ferini Strambi (MI) Occupational Medicine: Plinio Carta (CA), Giacomo Muzi (PG) Oncology: Filippo De Marinis (RM), Cesare Gridelli (AV) Otolaryngology: Michele De Benedetto (LE), Desiderio Passali (SI) Pediatrics: Angelo Barbato (PD), Fernando M. De Benedictis (AN) Pharmacology: Ilario Viano (VC) Pneumology: Francesco Blasi (MI), Lucio Casali (TR), Mario Cazzola (RM), Giuseppe U. Di Maria (CT), Giuseppe Girbino (ME), Carlo Grassi (MI), Dario Olivieri (PR), Pier Luigi Paggiaro (PI), Paolo Palange (RM), Riccardo Pela (AP), Mario Polverino (Cava de’ Tirreni, SA), Luigi Portalone (RM). Relationships with Patients’ Organizations: Mariadelaide Franchi (RM) Thoracic Surgery: Francesco Sartori (PD) Editorial Office NOVAMEDIA s.r.l. Via Monsignor Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO) Tel +39 0322 846549 – Fax +39 0322 869737 Elena Spadari - Manager [email protected] Manuela Paolini [email protected] Editorial Supervision Rosemary Allpress, Alberto Braghiroli [email protected] Marketing & Advertising Effetti s.r.l. Raffaele Romeo Via Gallarate 106, 20154 Milano Tel +39 02 33432824 – Fax +39 02 38002105 [email protected] MRM 1 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 2 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 3 Trattamento eziologico dell'asma bronchiale: passato, presente e futuro Etiological treatment of bronchial asthma: past, present and future 7 Claudio F. Donner Parametri surrogati da utilizzare negli studi sulla BPCO Adequate surrogate parameters in COPD studies 10 Mario Cazzola La BPCO, la medicina respiratoria e i cambiamenti in corso nell'assistenza sanitaria COPD, respiratory medicine and the changes underway in medical care INDICE / INDEX Editoriali / Editorials 13 Fernando De Benedetto, Claudio F. Donner, Stefano Nardini, Claudio M. Sanguinetti Il Progetto MILD e la prevenzione primaria e secondaria del cancro del polmone The MILD project and primary and secondary prevention of lung cancer in Italy 16 Francesco Schiavon, Marco Colella, Roberto Cappelli, Stefano Nardini Documento ufficiale / Official statement Schiarire l'aria: uno studio nazionale sulla broncopneumopatia cronica ostruttiva Clearing the air: a national study of chronic obstructive pulmonary disease 19 UK Commission for Healthcare Audit and Inspection Commento al Documento / Comment on Statement Commento delle associazioni dei pazienti in Italia: il punto di vista dell'Associazione Pazienti Italiana BPCO Comment from patients associations in Italy: point of view of the Italian COPD Patients Association 23 Mariadelaide Franchi Commento delle associazioni dei pazienti in Italia: il punto di vista dell'Associazione per la Lotta contro l'Insufficienza Respiratoria (ALIR) Comment from patients associations in Italy: point of view of ALIR (Respiratory Failure Association) 24 Alda Bernardi Pesce Interview / Intervista Interview with Antonio Anzueto How management of COPD may change in the near future Un'intervista ad Antonio Anzueto Come la gestione della BPCO potrebbe cambiare nel prossimo futuro 26 Stefano Nardini MRM 3 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 4 Original Article / Articolo Originale Recumbent hypoxemia (“clinodeoxia”) in cirrhosis: relationship with age-related trends of alveolar ventilation and right-to-left shunting Ipossiemia in clinostatismo (“clinodeoxia”) nella cirrosi: rapporti con le modificazioni della ventilazione alveolare legate all'età e con lo shunt destro-sinistro 28 Francesca Polverino, Carlo Santoriello, Vittorio De Sio, Valentina Musella, Concetta De Rosa, Gaetano Cicchitto, Francesco De Blasio, Filippo Andò, Mario Polverino Rassegna / Review Scarsa aderenza al trattamento e mancato controllo dell'asma Uncontrolled asthma and poor treatment compliance 37 Roberto Walter Dal Negro Identificazione di nuovi outcome per la BPCO Defining new outcomes for COPD 46 Claudio F. Donner, Claudio M. Sanguinetti Progetto MILD: prevenzione e diagnosi precoce del tumore polmonare The MILD project: prevention and early diagnosis of lung cancer 52 Ugo Pastorino, Elisa Calabrò Una “pallottola magica” per la terapia dell'asma allergico A “magic bullet” for the treatment of allergic asthma 58 Francesco Tarantini, Ilaria Baiardini, Giovanni Passalacqua, Fulvio Braido, Giorgio Walter Canonica Case Report / Caso Clinico Early and medium-term follow-up after lung cancer resection Follow-up a breve e medio termine dopo resezione di tumore polmonare 65 Paul E. Van Schil, Peyman Sardari Nia, Jeroen M. Hendriks, Patrick Lauwers Multidisciplinary Focus On: Therapeutic issues in cystic fibrosis Old and new therapeutic approaches in cystic fibrosis: pulmonary or systemic targeting? Vecchio e nuovo nell'approccio terapeutico alla fibrosi cistica: focalizzare l'intervento a livello polmonare o sistemico? 70 Sabina A. Antoniu, Claudio F. Donner Gene therapy for cystic fibrosis Terapia genetica della fibrosi cistica 72 Antje Moeller, Martin Kolb Managing inflammation in cystic fibrosis La gestione dell'infiammazione nella fibrosi cistica 78 Vincenzina Lucidi Management of extra-pulmonary manifestations of cystic fibrosis Gestione delle manifestazioni extra-polmonari della fibrosi cistica Giovanni Taccetti, Filippo Festini 4 MRM 82 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 5 Il trapianto polmonare nella fibrosi cistica 88 Sarosh Irani, Markus Hofer, Annette Boehler La terapia inalatoria nella fibrosi cistica Inhaled therapy in cystic fibrosis 93 Cesare Braggion, Riccardo Giuntini, Maria Chiara Cavicchi Proceedings di Ravello Introduzione Introduction 98 INDICE / INDEX Lung transplantation for cystic fibrosis Mario Polverino, Giuseppe Fiorenzano Expiratory airflow limitation and physical exercise Limitazione al flusso espiratorio ed esercizio fisico 100 Paolo Parola, Barbara Franzoso, Giuseppe Coletta, Valter Gallo, Riccardo Pellegrino Tolleranza all'esercizio dopo trapianto cardiaco Exercise tolerance in heart transplant recipients 104 Claudio Marconi Scompenso cardiaco cronico ed alta quota Chronic heart failure and high altitude 108 Piergiuseppe Agostoni Problematiche cardiorespiratorie negli sport equestri Cardiorespiratory issues in equestrian sport 111 Maurizio Dottorini Interdisciplinary Pages Agenesia arteria polmonare: valutazione angio-scintigrafica e funzionale Pulmonary artery agenesis: morphologic and functional assessment 115 Carlo Santoriello, Francesca Polverino, Giuseppe Fiorenzano, Mario Polverino RUBRICHE Spotlight on Pathophysiology From Doctor to Patient La protezione dal fumo passivo: intervista a Roberto Boffi, pneumologo e responsabile dell'Unità per la Prevenzione dei Danni da Fumo dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano 118 Stefano Nardini Meeting Calendar 121 Stefano Nardini MRM 5 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 6 Certificazione ISO 9001-2000 N. IT-37575 Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie Modulo di Iscrizione da inviare alla segreteria * campi obbligatori Nome:* ________________________________________________________________________ Cognome:* _____________________________________________________________________ Specialità:* _____________________________________________________________________ Ente: ___________________________________________________________________________ Indirizzo:* ________________________________________________________ N. __________ Città:* _____________________________________ CAP:* ___________ Provincia:* ______ Regione:* __________________________________ Stato:* ____________________________ Tel. privato: _____________________________ Tel. Ente: _____________________________ Tel. mobile: _____________________________ Fax: __________________________________ e-mail:* _________________________________________________________________________ La quota per l’anno 2007 è: t 50.00 per pneumologi t 20.00 per non pneumologi Modalità di pagamento - barrare l’opzione desiderata: contanti assegno: Banca ____________________________________________ Estremi per Bonifico Bancario: Banca d'appoggio: Banca Popolare Commercio e Industria - Filiale di Borgomanero (NO) ABI 05048 CAB 45220 C/C 000000010006 Intestato a: Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie (AIMAR) Autorizzo l’invio di newsletter periodiche Firma:* __________________________________________________ Data: _______________ Collegandosi al sito internet dell’Associazione (www.aimarnet.it), i Soci AIMAR potranno richiedere l’attivazione di una propria casella di posta elettronica, nonché accedere gratuitamente a tutti i servizi offerti. Segreteria: Via Monsignor Cavigioli, 10 - 28021 Borgomanero (NO) Tel +39 0322 846549 Fax +39 0322 869737 e-mail: [email protected] Informativa art. 13, d. lgs 196/2003 I Suoi dati saranno trattati, con modalità anche informatiche, da AIMAR - titolare del trattamento - Via Monsignor Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO) - per gestire la Sua iscrizione ad AIMAR e, laddove richiesto, per attivare la casella di posta elettronica, e per attività a ciò strumentali. Inoltre, previo consenso, i Suoi dati saranno trattati per l'invio di newsletter periodiche. Le categorie di soggetti incaricati del trattamento dei dati per le finalità suddette sono gli addetti alla registrazione, modifica ed elaborazione dati, al confezionamento e spedizione di nostre riviste e newsletter, all'amministrazione, alla segreteria soci. Ai sensi dell'art. 7, d. lgs 196/2003 può esercitare i relativi diritti fra cui consultare, modificare, aggiornare o cancellare i Suoi dati, nonché richiedere elenco aggiornato dei responsabili del trattamento rivolgendosi al titolare al succitato indirizzo. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 7 Editoriale / Editorial Trattamento eziologico dell'asma bronchiale: passato, presente e futuro Etiological treatment of bronchial asthma: past, present and future Claudio F. Donner Mondo Medico, Centro Medico Polispecialistico e Riabilitativo, Borgomanero (NO) Italia L'asma bronchiale è una malattia cronica delle vie aeree che rappresenta un grave problema di salute pubblica in tutti i Paesi del mondo. Se i sintomi non sono adeguatamente tenuti sotto controllo può limitare in modo considerevole la vita dei pazienti dal punto di vista fisico, emotivo e sociale. Infatti pazienti con asma grave non controllato lamentano sintomi asmatici variabili e continui e frequenti sintomi notturni, subiscono la limitazione delle comuni attività quotidiane e vanno incontro a riacutizzazioni gravi nonostante il trattamento. Nell'asma grave persistente l'obiettivo del trattamento è ottenere i migliori risultati possibili in termini di riduzione dei sintomi, di miglioramento della funzionalità respiratoria e del consumo al bisogno di β2-agonisti a rapida insorgenza d'azione. Gli schemi terapeutici descritti dalle linee guida BTS (British Thoracic Society), NHI (National Institute of Health) e dal documento GINA (Global Iniziative for Asthma) concordano nel prevedere la somministrazione quotidiana di più farmaci antiasmatici: innanzitutto corticosteroidi per via inalatoria ad alte dosi (> 1000 mcg/die di beclometasone dipropionato o equivalenti) e β2-agonisti a lunga durata d'azione per via inalatoria, ai quali possono essere aggiunti antileucotrieni, teofillina a lento rilascio, o β2-agonisti per via orale. A volte, in assenza di valide alternative, vengono prescritti anche broncodilatatori non specifici per la terapia dell'asma bronchiale (es: tiotropio bromuro). Se necessario, si può ricorrere al trattamento a lungo termine con steroidi per via orale, anche se questi vanno usati alla minima dose possibile per ri- durre gli effetti collaterali sistemici. La complessità di uno schema terapeutico che prevede più farmaci da assumere quotidianamente rappresenta però spesso per il paziente un fattore deterrente che rende più difficile mantenere l'asma sotto controllo. È evidente pertanto la necessità di alternative terapeutiche che permettano di raggiungere un controllo adeguato dell'asma anche in questi pazienti, riducendo i rischi di morbilità e mortalità associati e i relativi costi sanitari. Negli ultimi anni è stata fatta luce sul substrato patogenetico infiammatorio che caratterizza la risposta allergica delle vie aeree agli agenti sensibilizzanti e sono state isolate numerose molecole che governano le interazioni tra le cellule stanziali e quelle che, come ad esempio gli eosinofili, accorrono nelle mucose delle vie aeree provenendo dal torrente ematico, attratte, in corso di flogosi allergica, da stimoli chemiotattici. L'importanza delle IgE nel substrato eziopatogenetico dell'asma allergico grave ha focalizzato l'interesse dei ricercatori nel cercare un anticorpo che contrastasse le risposte allergiche IgE-mediate. Lo sviluppo delle strategie terapeutiche che mirano ad inattivare IgE, quali gli anticorpi anti-IgE, è un ovvio approccio nella realizzazione di un trattamento specifico per migliorare l'espressione clinica di malattie come asma allergico e rinite allergica. Tuttavia, la traduzione di questo semplice concetto di base in un farmaco sicuro ed efficace è stata un viaggio estremamente complesso, durato quasi 20 anni, che ha portato però alla sintesi di un farmaco innovativo: il primo anticorpo monoclonale utile Claudio F. Donner Mondo Medico, Centro Medico Polispecialistico e Riabilitativo Via Monsignor Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO), Italia email: [email protected] Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 7-9 MRM 7 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 7-9 MRM 01-2007_def 8 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 8 nella pratica clinica (dopo che altri anticorpi monoclonali - vedi anti-Interleuchina-5 - non hanno evidenziato i risultati attesi) e, per ora, unico capostipite di una nuova classe terapeutica. In primo luogo, un anticorpo anti-IgE clinicamente utile deve essere IgE specifico e non legare alcun altra classe di immunoglobuline. Tale anticorpo deve poi legare IgE libere, ma non il recettore legato all'IgE né le IgE sulle superfici delle cellule: se questo accadesse, con alta probabilità l'anticorpo anti-IgE causerebbe reazioni allergiche gravi invece di impedirle. Questi ostacoli sono stati superati sintetizzando un anticorpo attivo verso un dominio che è unico per le molecole di IgE ed è “nascosto” quando l'IgE è legata ai recettori sulla superficie delle cellule. Il terzo ostacolo era costituito dal potenziale antigenico degli anticorpi non umani: un anticorpo IgE clinicamente utile non deve indurre la produzione endogena di anticorpi anti-anti-IgE. Infine, né l'anticorpo dell'anti-IgE, né i complessi immuni IgE/anti-IgE devono potere fissare ed attivare la cascata del complemento. Tali ostacoli sono stati sormontati tramite un processo lento e scrupoloso di “umanizzazione” dell'anticorpo monoclonale murino originale, cioè una sostituzione progressiva della sequenza murina con la sequenza umana. La variante che finalmente è stata selezionata è solo per circa il 5% murina e per il restante 95% umana ed ora è conosciuta come omalizumab [1]. Questa è la venticinquesima variante studiata ed è stata precedentemente denominata rhuMAb-E25. Lo sviluppo farmaceutico e la selezione della via di somministrazione hanno rappresentato un'altra parte del tortuoso viaggio. La via di somministrazione tramite inalazione era tecnicamente fattibile, anche se complessa, ma si è dimostrata inefficace. La via endovenosa si è dimostrata sicura ed efficace durante sviluppo iniziale, ma era un'opzione difficilmente accettabile per i pazienti ed i medici. Per sviluppo clinico è stata quindi scelta una formulazione iniettiva sottocutanea somministrata una o due volte un mese: questa formulazione sembra assicurare l'equilibrio migliore fra la riproducibilità della dose e la facilità d'uso. Il maggior problema per lo sviluppo del dosaggio è stato definire il limite di riduzione di IgE libere nel siero necessario per la risposta clinica, dosaggio e regime terapeutico di omalizumab richiesto per ottenere tale riduzione. La minima dose efficace di omalizumab è risultata di 0,016 mg/kg/(IU/mL) somministrata sottocute ogni 4 settimane. Le dosi sono state aggiustate in base al peso corporeo per garantire concentrazioni sieriche adeguate di omalizumab nella popolazione studiata. Un ulteriore aggiustamento è stato calibrato in base al carico di antigene IgE basale così da ottenere una soppressione di IgE congrua che comporta una risposta clinica soddisfacente. Lo schema di dosaggio individuale è stato modificato per raggruppare i singoli pazienti in un algoritmo nel quale sia la do- se che la frequenza di somministrazione vengano facilmente individuate in base ad un range di peso e di concentrazioni seriche di IgE, affinché ciascun paziente riceva almeno la dose minima efficace proposta. La dose massima raccomandata è di 375 mg di omalizumab ogni due settimane [2,3]. In una serie di studi realizzati in pazienti affetti da asma grave si è potuto rilevare come una percentuale significativamente superiore di pazienti trattati con omalizumab è stata ritenuta avere raggiunto un marcato miglioramento o un controllo completo dell'asma rispetto ai pazienti trattati con placebo [4-11]. Nei trial clinici, in pazienti adulti ed adolescenti (612 anni) con asma allergico moderato-grave, omalizumab ha dimostrato di ridurre le riacutizzazioni asmatiche e migliorare il controllo dell'asma, ridurre l'uso di corticosteroidi mantenedo il controllo dell'asma, migliorare i sintomi asmatici e la funzionalità polmonare, migliorare la qualità di vita dei pazienti. Anche in numerosi studi registrativi effettuati nella rinite allergica stagionale, omalizumab ha dimostrato di ridurre i maggiori sintomi correlati alla rinite allergica stagionale, ridurre l'uso di farmaci antistaminici, ridurre la perdita di giornate lavorative o scolastiche e migliorare la qualità della vita dei pazienti anche durante la stagione pollinica [12]. Omalizumab è risultato sicuro e ben tollerato in pazienti con asma allergico o rinite allergica stagionale di età compresa tra 12 e 79 anni; in particolare non è risultato associato ad un aumento di incidenza di eventi avversi clinicamente significativi, né è stato osservato alcun sintomo o segno di tossicità nei confronti di organi o apparati. Rispetto al placebo non si è osservato un aumento del rischio di reazioni da ipersensibilità quali reazione da immunocomplessi, infestazioni parassitarie o infezioni. La frequenza globale di orticaria è risultata simile nei pazienti trattati con omalizumab e con placebo. L'effetto collaterale più frequente registrato durante gli studi controllati è stata l'epistassi, anche se con percentuali sovrapponibili nei pazienti trattati con farmaco e con placebo. Le reazioni avverse più comunemente segnalate sono state: reazioni nel sito di iniezione, comprendenti dolore, gonfiore, eritema e prurito, e cefalea. La maggior parte delle reazioni è stata di lieve o moderata gravità. Come con ogni proteina, possono verificarsi reazioni allergiche locali o sistemiche, compresa anafilassi. Negli studi clinici, in rare occasioni, sono state rilevate reazioni allergiche di tipo anafilattico, con una incidenza estremamente ridotta, pari a circa lo 0,1% dei pazienti. È necessario tener presente che l'incidenza delle reazioni di questo tipo rilevate con altri anticorpi monoclonali in commercio per il trattamento di altre patologie è compresa tra l'1 e il 3%. In questo specifico ambito l'immunoterapia allergene-specifica costituisce, a tutt'oggi, un ben documentato trattamento nell'asma bronchiale e nella rinite allergi- MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 9 nali e perenni?), l'efficacia terapeutica intesa come entità del miglioramento della sintomatologia in rapporto all'immunoterapia iniettiva anche in una patologia meno impegnativa rispetto all'asma allergico grave, la durata degli effetti dopo l'interruzione del trattamento,la compliance reale nel trattamento domiciliare. È possibile a questo punto affermare che il trattamento dell'asma allergico grave non controllato con anticorpi monoclonali anti-IgE ha posto in evidenza caratteristiche di efficacia, di sicurezza e di tollerabilità nettamente superiori a tutti i trattamenti immunoterapici sviluppati in precedenza. In particolare, in pazienti adulti ed adolescenti (> 12 anni) con asma allergico moderato-grave, ha dimostrato di ridurre le riacutizzazioni asmatiche e migliorare il controllo dell'asma, ridurre l'uso di corticosteroidi mantenendo il controllo dell'asma, migliorare i sintomi asmatici e la funzionalità polmonare e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Tutto ciò con livelli di sicurezza e di tollerabilità assolutamente elevati e nettamente più favorevoli in rapporto a trattamenti consolidati di tipo immmunoterapico, che presentano livelli di efficacia certamente inferiori. CF Donner Editoriale - Editorial ca. Gli aspetti negativi correlati alla via iniettiva sono tradizionalmente rappresentati dal rischio di effetti collaterali sistemici (specie nella fase di induzione) e dal tempo necessario per raggiungere la dose di mantenimento. Reazioni sistemiche sono state osservate nel 39,1% [13] e nel 32,8% [14] dei pazienti, con una percentuale di reazioni anafilattiche inferiore all'1% [13]. La via di somministrazione sublinguale ha negli ultimi anni raccolto notevole interesse nella prospettiva di ridurre significativamente gli effetti collaterali di tipo sistemico. Una recente review sistematica con meta-analisi sul trattamento della rinite allergica [15] ha riportato, accanto alla completa assenza di reazioni sistemiche, effetti collaterali locali di tipo minore, rappresentati da gonfiore e prurito della mucosa orale, nella quasi totalità dei casi, ma raramente significativi. La stessa fonte sottolinea come non sia possibile, sulla base dei dati esistenti, comparare questo trattamento con le altre terapie disponibili ed in particolare con l'immunoterapia iniettiva ed evidenzia tutta una serie di problemi aperti: la dose ideale, la durata del trattamento (eguale per allergeni stagio- Bibliografia 1. 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MRM 9 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 10 Editoriale / Editorial Parametri surrogati da utilizzare negli studi sulla BPCO Adequate surrogate parameters in COPD studies Mario Cazzola Unità di Malattie Respiratorie, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Roma “Tor Vergata”, Roma Il termine broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), una condizione patologica caratterizzata dalla presenza di una limitazione del flusso aereo parzialmente reversibile, è usato comunemente per indicare entità differenti quali la bronchite cronica, l'enfisema e l'asma irreversibile grave, che hanno marker ed outcome distinti. Questo è il motivo per il quale molti ricercatori hanno ancora una certa difficoltà nel comprendere quello che realmente costituisce una risposta ad un intervento farmacologico nella BPCO, difficoltà amplificata dal fatto che la BPCO è una malattia a più componenti che induce a livello polmonare ipersecrezione mucosa, restringimento delle vie aeree e perdita degli alveoli, a livello sistemico perdita della massa corporea magra ed effetti cardiovascolari. I pazienti con BPCO sono anche diversi per quanto attiene la presentazione clinica, la gravità e la velocità di progressione della malattia. I classici endpoint usati nei trial clinici su pazienti con BPCO per definire la progressione della malattia sono la velocità del declino del FEV1 e la mortalità dovuta alla malattia o altre comorbilità. Il FEV1, il test tradizionale della funzione polmonare, rimane un endpoint primario tanto prezioso da essere ancora considerato dalle autorità regolatrici come una misura accettabile di efficacia nei trial clinici su pazienti con BPCO, ovviamente in combinazione con endpoint basati sui sintomi. Tuttavia, è ben noto che il grado di ostruzione bronchiale, così com'è misurato mediante il FEV1, non correla necessariamente con gli outcome clinici riferiti dal paziente, quali, ad esempio, lo stato di salute, la dispnea o la capacità di eseguire un esercizio fisico. Ciò avviene perché anche altri fattori fisiopatologici (ad esempio, l'iperinflazione dinamica dei polmoni) e psicologici (ad esempio, un'ansia coesi- stente) condizionano tali outcome. Questo è il motivo per il quale i cambiamenti del FEV1 con la terapia non dovrebbero essere considerati come un sostituto delle modifiche degli outcome clinici i quali, invece, dovrebbero essere misurati separatamente ad integrazione degli altri marker del danno fisiologico. A proposito del danno fisiologico, si deve sempre considerare che nella BPCO da moderata a grave, l'ostruzione bronchiale è associata di solito con l'intrappolamento dei gas e con l'iperinflazione polmonare, quantificati obiettivamente attraverso un aumento del volume residuo. L'iperinflazione si riflette anche con una riduzione della capacità inspiratoria (IC). Queste anormalità fisiologiche si traducono in dispnea, intolleranza all'esercizio fisico e inabilità del paziente. Di conseguenza, le strategie che diminuiscono l'iperinflazione dovrebbero migliorare i summenzionati parametri. Relativamente agli outcome riferiti dai pazienti, la dispnea e lo stato di salute sono considerati importanti per caratterizzare la risposta al trattamento. La dispnea, un fondamentale e debilitante sintomo di BPCO, è ora considerata un outcome importantissimo per la sua relazione diretta con la qualità della vita del paziente e la sua capacità di predire la sopravvivenza. Gli strumenti usati per misurare la dispnea dovrebbero basarsi sugli outcome riportati dal paziente, essere, quando ciò è possibile, multidimensionali, aderire ad una metodologia standardizzata e, idealmente, essere computerizzati, mentre le misurazioni dello stato di salute dovrebbero essere eseguite usando questionari specificamente disegnati, anche se è noto che la percezione della qualità della vita differisce fra individui con anormalità fisiologiche obiettive altrimenti simili. La misura contemporanea delle due dimensioni, obietti- Mario Cazzola Dipartimento di Medicina Interna, Università di Roma “Tor Vergata” Via Montpellier 1, 00133 Roma, Italia email: [email protected] Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 10-12 10 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 11 terminazione negli studi che valutano la mortalità come outcome richiede la corretta identificazione della causa di morte. Poiché le riacutizzazioni aumentano il rischio di morte nei pazienti con BPCO e si associano con un rapido declino della funzione polmonare e dello stato di salute, la loro frequenza è un altro outcome importante che dovrebbe essere considerato nei trial farmacologici della BPCO. Il tipo di definizione usata per la riacutizzazione può influenzare significativamente gli outcome del trial al punto tale che qualsiasi beneficio del trattamento osservabile può variare grandemente. Una definizione generale come “una riacutizzazione della BPCO è un aumento dei sintomi respiratori rispetto alla condizione basale che richiede di solito l'intervento medico” può essere appropriata. Tuttavia, ciascuna riacutizzazione dovrebbe essere comunque classificata secondo una scala di gravità: lieve: un aumento dei sintomi respiratori controllati dal paziente con un aumento del trattamento abituale; moderata: quella che richiede un trattamento con steroidi sistemici e/o antibiotici; grave: le riacutizzazioni che richiedono l'ospedalizzazione o un accesso al Pronto Soccorso. È ben noto, in ogni caso, che la metodologia relativa all'uso di una scala di gravità per le riacutizzazioni come variabile non è stata ancora standardizzata. Infatti, i criteri per l'ammissione in ospedale possono differire da paese a paese e nei diversi ospedali. Inoltre, l'uso degli steroidi sistemici e/o degli antibiotici per le riacutizzazioni differisce in aree diverse. Sfortunatamente, al momento, non è stato identificato alcun marker surrogato della BPCO o delle sue riacutizzazioni, tranne il FEV1. Molte cellule, diversi mediatori e una moltitudine di enzimi infiammatori sono coinvolti nel processo patologico, ma la loro importanza relativa è ancora poco compresa, sebbene noi attualmente sappiamo che i marker infiammatori, inclusi la PCR e le molecole di adesione solubili, sono elevati nel circolo sistemico dei pazienti con BPCO e potrebbero rappresentare il “collegamento mancante” tra la disfunzione delle vie aeree e le manifestazioni extrapolmonari della BPCO. Di conseguenza, si dovrebbero fare considerazioni sulla necessità di inclusione di potenziali marker surrogati come endpoint secondari nei futuri trial clinici. Ciò può condurre all'identificazione dei marker biologici che correlano con l'outcome clinico. La produzione di tali dati risulterebbe di aiuto anche nello sviluppo di nuove ipotesi per i futuri trial clinici. Infine, si deve evidenziare che la minima differenza clinicamente importante (MDCI), cioè la più piccola differenza del punteggio nel dominio di interesse che i pazienti percepiscono come benefica e che consente, in assenza di effetti collaterali fastidiosi e di costi eccessivi, una modifica nella gestione del paziente, è un importante concetto che sta emergendo e che si aggiunge alla differenza statisticamente significativa. La MDCI delle varie misure che sono usate negli studi sugli outcome della BPCO deve essere validata su popolazioni con BPCO, M Cazzola Editoriale - Editorial va e soggettiva, finisce così per divenire complementare: è nota infatti la possibilità di un miglioramento dello stato di salute riferito da pazienti con BPCO anche dopo un trattamento regolare con placebo e il più diffuso questionario per la qualità di vita specifico per la BPCO, il St George's Respiratory Questionnaire, è sostanzialmente capace di differenziare fra condizione di salute e presenza di BPCO, ma non è un vero indicatore graduale di gravità della malattia che corrisponda al livello di ostruzione delle vie aeree. La tolleranza all'esercizio fisico è un altro outcome clinico importante che dovrebbe essere misurato negli studi farmacologici sulla BPCO. È alterata in maniera significativa in molti pazienti con BPCO ed è un importante determinante della qualità della vita che non può essere predetto dalle misure della funzione polmonare a riposo (ad esempio, dal FEV1). Il test dell'esercizio è utile in ambiente clinico per valutare il grado del danno, la prognosi e gli effetti degli interventi terapeutici. I test in piano, come il relativamente semplice test del cammino per 6 minuti, sono stati usati ampiamente nei trial per valutare i possibili benefici della terapia farmacologica. Consente di registrare, oltre alla distanza percorsa, l'intensità della dispnea (e a volte la fatica delle gambe), la frequenza cardiaca e la saturazione arteriosa dell'ossigeno all'inizio e alla fine dell'esercizio. Le ragioni appena menzionate giustificano il perché i trial in pazienti affetti da BPCO devono includere non solo il FEV1 ma anche altri parametri di funzionalità respiratoria: ad esempio la capacità vitale forzata (FVC) e la IC, oltre a misure della dispnea, dello stato funzionale e di quello della salute, della tolleranza dell'esercizio fisico, e della sensazione di mancanza di fiato dopo l'esercizio. Un approccio più pratico potrebbe essere l'uso di uno strumento multidimensionale come l'indice BODE, una scala a 10 punti che combina le misure dell'indice di massa corporea o BMI (B), il grado dell'ostruzione bronchiale (O) e della dispnea (D) e la capacità di compiere un esercizio fisico (E) in un'unica misura, in modo da includere gli effetti polmonari e quelli sistemici della BPCO. Un altro approccio può essere il considerare varie combinazioni di outcome della BPCO e determinarne le associazioni usando l'analisi di alcuni componenti principali (ACP). Comunque applicabilità e affidabilità dell'indice BODE e dei metodi ACP nei trial farmacologici sono ancora da confermare. La mortalità rimane l'outcome clinico più importante e robusto nella ricerca incentrata su pazienti con BPCO ed è ben noto che diverse variabili, differenti dal semplice grado di ostruzione bronchiale, come, ad esempio, un più alto punteggio della dispnea, un più alto punteggio dell'indice BODE, un basso indice di massa corporea isolato, frequenti riacutizzazioni/ospedalizzazioni, una ridotta capacità/tolleranza all'esercizio fisico, il cuore polmonare, i tassi ematici di proteina C reattiva (PCR), predicono la mortalità nei pazienti con BPCO in maniera indipendente. Ovviamente, l'accurata de- MRM 11 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 10-12 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 12 proporzionata alla gravità e omogeneità della popolazione in cui viene determinata e prima di una possibile applicazione universale valutata rigorosamente con l'accordo generale. Relativamente ad alcune misure di outcome comunemente usate, le MDCI suggerite sono: 100-140 ml per il FEV1, 10 watt per i test da sforzo massimali, e così via. Comunque, i valori delle MDCI rappresentano solo stime derivate empiricamente, ed è difficile comparare una MDCI con un'altra. Come arrivare ad un'interpretazione comune di alcuni outcome attraverso le diverse MDCI è un problema che attende ancora di essere risolto. Bibliografia essenziale 1. Barnes PJ, Chowdhury B, Kharitonov SA, Magnussen H, Page CP, Postma D, Saetta M. Pulmonary biomarkers in chronic obstructive pulmonary disease. Am J Respir Crit Care Med 2006;174:6-14. 2. 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Whilst there are many examples of new and innovative approaches in COPD care in some areas, best practice is not always followed and there is considerable variation in COPD services across the country. It is clear that more needs to be done to ensure that all patients suffering from this debilitating disease are given the standards of care they deserve". Rosie Winterton Minister of Health Services, UK Il servizio sanitario nazionale (SSN) che garantisce l'assistenza a tutti i cittadini è una indiscutibile conquista dello stato moderno ed è contemporaneamente un patrimonio della comunità che va difeso, in quanto ha garantito finora una costante crescita della vita media della popolazione insieme con il benessere del singolo individuo. Negli ultimi cinquant'anni - a seguito dei progressi della medicina e dell'organizzazione dello stato sociale - le comunità dei paesi occidentali hanno visto modificarsi radicalmente il quadro delle malattie prevalenti e causa di morte ed è a questo cambiamento che si sta cercando ora - faticosamente di rispondere, riadattando il sistema alla effettiva situazione epidemiologica. Il singolo medico, le società scientifiche cui egli fa riferimento e le stesse associazioni di pazienti non possono disinteressarsi allo sforzo in corso nella programmazione sanitaria per adattarne l'organizzazione alle nuove necessità di salute. Le società scientifiche debbono in particolare supportare i cittadini e lo stato in questo sforzo, portando il proprio apporto al dibattito in corso e alle decisioni che verranno prese in seguito ad esso. Per far questo, non basta che esse conoscano gli ultimi sviluppi della scienza medica ma debbono anche sapere quali sono le preoccupazioni dei politici e quali le necessità avvertite dai cittadini. In ambito respiratorio, a fronte della crescente importanza epidemiologica delle pneumopatie, riconosciuta ormai ufficialmente dai governi sia internazionali (la UE ha di recente compreso le pneumopatie nel programma quadro per la ricerca) sia nazionali (il piano sanitario nazionale italiano ha incluso le malattie respiratorie croniche tra le quattro patologie prioritarie) si registra la significativa assenza di un seppur minimo dibattito. Nel Regno Unito un tale dibattito è da tempo in corso. Tra gennaio e giugno dello scorso anno il Ministero della Sanità inglese ha posto all'ordine del giorno la discussione sull'assistenza delle patologie croniche invalidanti in generale e della BPCO in particolare (http://www.dh.gov.uk/PublicationsAnd Statistics/PressReleases/PressReleasesLibrary/): il punto di arrivo è stato l'annuncio da parte del Ministro per la Salute Patricia Hewitt nel giugno 2006 che sarebbe stato sviluppato un nuovo “National Service Framework (NSF)”, in pratica un programma quadro, per migliorare gli standard di cura per i pazienti affetti da BPCO (rapporto n° 2006/0241, pubblicato il 28 giugno 2006), al quale hanno prontamente e positivamente reagito le associazioni di medici e pazienti di area respiratoria (http://www.brit-thoracic.org.uk/article47.html). Date le somiglianze esistenti tra la realtà inglese e la nostra (quanto meno in termini di organizzazione statale, di dimensione di popolazione e di patologia prevalente) appare utile che gli argomenti oggetto di discussione nel Regno Unito siano portati Editors, Multidisciplinary Respiratory Medicine c/o AIMAR Editorial Office Via M. Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO), Italia email: [email protected] Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 13-15 MRM 13 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 13-15 MRM 01-2007_def 14 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 14 alla conoscenza del mondo medico italiano. Per questo viene pubblicato in questo numero il sommario esecutivo del documento “Clearing the air” [1] elaborato dalla Commissione sanità inglese sulla BPCO che ha dato il via alle azioni del governo inglese sulla malattia (come vedrà chi leggerà il documento, un “National Service Framework” sulla BPCO era una delle raccomandazioni della Commissione), mentre il presente editoriale intende sia introdurre tale documento sia dare tutte le informazioni che possono essere necessarie per iniziare un dibattito sull'argomento anche in Italia che coinvolga, oltre ai medici e ai pazienti, anche le istituzioni. Il punto di partenza è che le patologie croniche invalidanti (si pensi, oltre alle bronco-pneumopatie croniche, al tumore dei polmoni e ai tumori in generale, al diabete, alle cardiopatie) sono di gran lunga prevalenti nella nostra comunità: l'assistenza all'individuo che ne è affetto costa sempre di più (a misura che nuove terapie farmacologiche e riabilitative vengono introdotte e aumenta la speranza di vita) e il numero di persone colpite è destinato ad aumentare in modo sostanziale con il crescere della età media della popolazione. Questa constatazione pone in primo piano il problema della sostenibilità della spesa sanitaria: di fronte al prevalere di malattie croniche e degenerative il ruolo dello stato e l'organizzazione del servizio sanitario nazionale devono cambiare per garantire la finanziabilità del sistema nel medio e lungo periodo, altrimenti in un futuro non lontano non sarà più possibile assistere, come si fa oggi, tutti i malati di malattie croniche degenerative, indipendentemente dal loro reddito e dalla condizione sociale. Nel 1800, di fronte al prevalere di malattie infettive a carattere epidemico (basterà citare il colera, la tubercolosi, la poliomielite), il ruolo dello stato era fondamentalmente quello di garantire la potabilità dell'acqua, migliorare lo smaltimento delle acque fognarie e migliorare in generale le condizioni abitative; nel XX secolo la priorità era prevenire la diffusione di malattie infettive mediante le vaccinazioni. Attualmente, dato che tutte le malattie oggi prevalenti sono legate a stili di vita individualmente scelti e non a condizioni di vita collettivamente vissute, sul piano strategico lo stato non dovrà più scegliere le migliori opzioni di salute per conto dei cittadini, ma piuttosto aiutarli a sceglierle da se stessi, attraverso l'educazione, l'informazione sanitaria e l'offerta di servizi integrati di prevenzione primaria, secondaria e terziaria. Sul piano operativo il sistema sanitario nazionale, mentre cercherà di curare (non potendo guarire) le malattie croniche già instaurate, riducendone mediante la diagnosi precoce e la riabilitazione le conseguenze invalidanti con il minor costo per la comunità, dovrà aiutare la popolazione a prevenirne l'insorgenza. Miglior organizzazione e integrazione dei servizi porteranno ad un miglioramento della salute individuale e ad una riduzione dell'inappropriatezza delle pratiche assistenziali, inappropriatezza che rap- presenta un costo non indifferente. L'istituto per l'innovazione e il miglioramento del sistema sanitario nazionale inglese ha ad esempio evidenziato come 1 miliardo e trecento milioni di sterline siano spesi ogni anno per accessi al pronto soccorso di malati di 18 malattie. Per queste vengono effettuati ogni anno anche tre o quattro accessi da parte dello stesso paziente. La lista delle malattie vede al primo posto la BPCO (oltre 106.000 accessi, con un costo annuo di 253 milioni di sterline), al secondo l'angina pectoris e al terzo l'asma (oltre 61.000 accessi, 64 milioni). Percentuali variabili di questi accessi sono risultate inappropriate ad una valutazione retrospettiva. Una gestione ottimale della malattie suddette non soltanto ridurrebbe l'affollamento delle strutture di pronto soccorso e la spesa sanitaria globale, ma migliorerebbe anche le condizioni di vita di chi ne è affetto. In base alla ricerca citata, migliorare i servizi sanitari riducendo di circa il 30% gli accessi non necessari al pronto soccorso consentirebbe un risparmio annuale di circa 400 milioni di sterline (Documento: Improve healthcare by reducing unnecessary emergency admissions- n° 2006/0104, pubblicato il 20 Marzo 2006). I rimedi possibili sul piano organizzativo sono una maggiore responsabilizzazione dei medici di medicina generale (medici di famiglia) e la creazione di livelli intermedi tra la valutazione ambulatoriale del MMG e l'ospedale, anche con una maggiore e più veloce comunicazione tra medici specialisti e MMG (magari associati in un unico studio-poliambulatorio), un utilizzo ragionato della telemedicina, una strutturazione dell'assistenza domiciliare. Il documento “Clearing the air”, dopo aver analizzato la patologia ostruttiva cronica polmonare nel dettaglio, e aver constatato che per questa patologia il SSN fornisce nel suo insieme un'assistenza meno qualificata che per altre altrettanto diffuse malattie croniche (si pensi a quanto offerto ai diabetici o ai servizi previsti per i malati terminali di patologia neoplastica) perviene all'enunciazione di alcune priorità per il SSN. Nell'insieme la Commissione raccomanda alle Unità Sanitarie Locali di: 1. prevenire lo sviluppo della BPCO attraverso una consistente riduzione del numero di fumatori nella comunità; 2. migliorare la diagnosi della BPCO, in particolare attraverso un utilizzo più diffuso dei test spirometrici; 3. aiutare il paziente nell'auto-gestione della propria malattia, attraverso la riabilitazione respiratoria; 4. integrare l'assistenza dei pazienti affetti da BPCO, ossia collegare le cure specialistiche e quelle primarie. Non c'è dubbio che tali raccomandazioni - mutatis mutandi - valgono per l'Italia quanto per il Regno Unito, per la BPCO come per altre malattie croniche, respiratorie e non. E valgono anche per le società scientifiche e il singolo professionista, non solo per le Unità Sanitarie Locali. Le associazioni scientifiche debbono partecipare al dibattito in cor- MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 15 Patologie Respiratorie Croniche”), ha in corso una collaborazione con il Ministero della Salute, è stata ed è in prima linea nella promozione del controllo del fumo. Ciò facendo il singolo professionista e le associazioni scientifiche cui egli fa riferimento avranno dato un contributo non marginale all'ammodernamento del SSN rendendo possibile il mantenimento di quel patrimonio comune che è la salute della comunità attraverso l'assistenza sanitaria. Editors MRM Editoriale - Editorial so e hanno l'obbligo, sul piano sia della formazione individuale sia della sensibilizzazione delle istituzioni e della popolazione, di sostenere la prevenzione primaria e secondaria, di promuovere la ricerca sull'effettiva qualità dell'assistenza fornita, di promuovere la fornitura di livelli di assistenza adeguati agli standard esistenti, indipendentemente dalla regione di appartenenza. AIMAR cerca di svolgere tali azioni. Fa parte del progetto GARD dell'OMS (“Alleanza Globale contro le Bibliografia 1. Schiarire l'aria: uno studio nazionale sulla broncopneumopatia cronica ostruttiva. Multidisplinary Respiratory Medicine 2007;1:19-22. MRM 15 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 16 Editoriale / Editorial Il Progetto MILD e la prevenzione primaria e secondaria del cancro del polmone in Italia The MILD project and primary and secondary prevention of lung cancer in Italy Francesco Schiavon1, Marco Colella2, Roberto Cappelli3, Stefano Nardini2 1 UO Radiologia, Ospedale di Belluno, ULSS 1 Regione Veneto UO Pneumotisiologia, Ospedale di Vittorio Veneto, ULSS 7 Regione Veneto 3 UOS Chirurgia Toracica, Dipartimento di Chirurgia, Ospedale di Conegliano, ULSS 7, Regione Veneto 2 Nel nostro Paese il tumore al polmone è la prima causa di morte per cancro negli uomini (25.540 decessi/anno: il 27,8% di tutti i tumori) e la terza nelle donne (5.890 decessi/anno: l'8,7%). Il tasso di mortalità standardizzato per età è pari a 38,5/100.000 negli uomini e 5,3/100.000 nelle donne e aumenta da Sud a Nord: il tasso nel Nord-Ovest negli uomini è pari a 51,1/100.000 e nel Nord-Est nelle donne di 10,0/100.000 (www.epicentro.iss.it). La mortalità per il tumore del polmone si è caratterizzata, nell'ultimo trentennio, per una forte variabilità temporale, sia per genere sia per area geografica. Per quanto riguarda gli uomini, si è osservato un rapido e forte incremento del rischio a partire dagli anni '70 e, all'inizio del decennio '90, una inversione di tendenza che si mantiene stabile nelle proiezioni (si stima nel 2010 il raggiungimento degli stessi livelli di incidenza del 1980). Mortalità e incidenza nelle donne italiane, pur restando molto al di sotto dei livelli registrati negli uomini (nel 2000 il tasso di incidenza per 100.000 è circa 20 contro 100 per gli uomini), sono in costante aumento, mentre i tassi standardizzati sono invece stimati stabili a partire dal 2000. Questi andamenti sono spiegabili dall'effetto combinato di invecchiamento della popolazione e livelli di rischio in aumento per le generazioni nate prima del 1950 [1]. Si tratta in ogni caso di una vera e propria epidemia, ma la notizia peggiore è che la sopravvivenza dalla diagnosi non si è sostanzialmente modificata negli ultimi decenni: solo una quota pari a circa il 10% (in Europa, mentre negli Usa è di poco supe- riore al 14%) è ancora viva a cinque anni dalla diagnosi. In pratica, a differenza di quasi tutte le neoplasie di altri distretti, negli ultimi trenta anni, la sopravvivenza a 5 anni non si è sostanzialmente modificata [2]. Nel nostro Paese i dati di sopravvivenza indicano un miglioramento del tutto marginale, dato che si è passati dall'8% dei pazienti diagnosticati portatori di cancro negli anni 1983-85, all'11% circa per gli anni di diagnosi 1992-94. Questa mancanza di progresso nella sopravvivenza differenzia notevolmente il cancro del polmone da altre neoplasie, per le quali negli anni è stata fornita alla popolazione la possibilità di fare prevenzione secondaria mediante diagnosi precoce (www.istitutotumori.mi.it). Ciò ci porta a chiederci: possiamo cambiare il nostro approccio alle neoplasie polmonari? È possibile una loro diagnosi precoce? Come molti di noi ricordano, negli anni '70 del secolo scorso ci fu un fervore di iniziative nel campo di programmi di screening del cancro polmonare, che hanno utilizzato sia la radiologia sia la citologia [3]. Questi studi sono stati criticati per fattori di confondimento, bias di selezione e, soprattutto, debolezza statistica [4], i risultati prodotti hanno portato all'abbandono dello screening del cancro del polmone [5]. Oggi i progressi delle tecnologia, in particolare informatica, della genetica e della biologia molecolare, ma soprattutto la constatazione della immutata terribile consistenza della epidemia di cancro del polmone, hanno portato a riproporre l'opzione della profilassi secondaria della neoplasia polmonare Francesco Schiavon Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Scienze Radiologiche, Ospedale Civile “San Martino” ULSS 1 Regione Veneto, Belluno, Italia email: [email protected] Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 16-18 16 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 17 Ciò significa che sempre di più si abbassa l'asticella di visibilità del nodulo, ma altrettanto sempre meno abbiamo idee su quale sia la natura di quel nodulo. E per i noduli di pochi o pochissimi millimetri non possiamo aiutarci né con la morfologia (cioè la semeiotica del nodulo) né con misure di densità prima e dopo mezzo di contrasto, per le dimensioni troppo ridotte, né per la stessa ragione con metodiche di imaging che “fotografino” l'attività metabolica della supposta lesione. Bisogna, quindi, usare una strategia di attesa (di mesi se non anni) che pone il medico di fronte a scelte che possono avere elevata valenza medico-legale e il paziente di fronte allo stress di attendere una verifica che confermi o neghi una malattia potenzialmente letale (che come tale è ben nota al grande pubblico). Perciò, quando nell'introduzione del progetto MILD si dice - riferendosi alla TAC spirale - che i “continui miglioramenti tecnologici potrebbero rendere questo strumento più efficace della mammografia utilizzata per la diagnosi precoce del tumore alla mammella”, va ricordato che la mammografia associa un buon grado di sensibilità e di specificità, e comunque ha un gap tra le due molto minore rispetto alla TAC. Inoltre, la mammografia risponde quasi sempre - tranne nelle mastiti carcinomatose, che però hanno una evidenza clinica - alla domanda “tumore si, tumore no”, la TAC invece - come si diceva prima alla domanda “nodulo si, nodulo no”. Cioè, le forme iniziali di tumore centrale, endobronchiale, possono sfuggire alla TAC, tanto più quando essa viene eseguita “a bassa dose”, perché i dati acquisiti con tale modalità non sono sufficienti a ricostruire con attendibilità riformattazioni dei bronchi ilo-parailari. A onor del vero va anche ricordato che la scelta della TAC “a bassa dose” riduce un aspetto negativo della metodica in fase di screening: quello dell'“over diagnosis”, cioè degli elementi di confondimento, che sono inevitabili con una metodica pan-esplorante, quale appunto è la TAC. Perciò, in definitiva, l'uso “a basso dosaggio di radiazioni” della TAC spirale - come suggerito dal progetto MILD - è l'unico compromesso attualmente possibile tra “il miglior trattamento dei pazienti con tumore polmonare e il minimo danno per i soggetti sani arruolati”. Circa i costi - economici e biologici - della TAC spirale la nostra esperienza basata sulla TAC multidetettore a 64 canali indica che con tecnica a bassa esposizione (90 KVp; 20 mAs) la dose assorbita è di 0,5 mSv, mentre con l'ERT nelle due proiezioni essa è di 0,1 mSv, vale a dire 5 volte di meno, tenendo presente che la TAC convenzionale del torace arriva sino a 5-10 mSv; ed ancora che i costi economici di una TAC eseguita con il protocollo dell'Early Lung Cancer Action Project (ELCAP) si aggirano sui 30,00-31,00€ ad esame (1,00€ il cd, 7,00€ il costo del personale tecnico, 23,00€ il tempo del medico), escludendo l'ammortamento dell'apparecchio e del software. Peraltro, l'impiego della TAC “in prima battuta” in F Schiavon, M Colella, S Nardini Editoriale - Editorial attraverso l'uso della TAC spirale a basso dosaggio da sola o associata ad altre metodiche [6]. Un recente lavoro riporta i risultati di uno studio su circa 30.000 persone a rischio sottoposte a TAC: 484 sono risultate affette da cancro del polmone, l'85% in stadio I. Di questi ne sono stati operati 302, il 92% dei quali sopravvivevano a 10 anni [7]. Tuttavia, nonostante questo e numerosi altri studi pubblicati, ancora non si è pervenuti a una dimostrazione della reale utilità di tali metodiche nel ridurre la mortalità per cancro polmonare [8]. In questo numero della rivista compare l'articolo di Pastorino e collaboratori, che presentano uno studio multicentrico nazionale, il progetto Multicentric Italian Lung cancer Detection (MILD), dotato della potenza statistica necessaria a rispondere ai quesiti che circondano tuttora la profilassi secondaria del tumore polmonare. La proposta di screening viene fatta a tutti i fumatori attuali (o che hanno smesso da meno di 10 anni) con più di 49 anni di età, che vengono poi tutti sottoposti a trattamento per smettere di fumare, mentre una metà viene randomizzata a eseguire periodiche TAC spirali a basso dosaggio. Quale deve essere l'atteggiamento dello specialista di medicina respiratoria e del radiologo di fronte a questa proposta e come presentare questo screening ai pazienti suoi potenziali fruitori? Tenuto conto, come evidenziato in precedenza, che non vi sono ancora evidenze per raccomandare estensivamente lo screening, pensiamo che esso si possa consigliare agli appartenenti alla popolazione a rischio senza nascondersi e nascondere gli aspetti problematici che vengono qui di seguito accennati. In altre parole, evidenziandone il carattere di sperimentazione. Molto si è discusso, sia nell'ambito pneumologico che in quello radiologico, se la TAC sia o no una metodica da screening, da usare cioè - va tenuto ben presente - in persone sane o che tali si ritengono. I motivi sono plurimi: - i costi: una TAC costa indubitabilmente più di un semplice esame radiologico del torace (ERT); - l'esposizione radiante: sebbene la tecnica di screening sia “a bassa dose”, come il progetto MILD più volte sottolinea la dose erogata è ben maggiore che con l'ERT; - la pan-esplorabilità: fornisce comunque informazioni su tutto l'ambito toracico e non solo sulla presenza o meno del “nodulo”; - la ridotta o limitata capacità diagnostica: di fatto si limita a risolvere il solo quesito “nodulo sì, nodulo no”. Ciò va detto - a nostro avviso - non per inficiare la bontà dei test, ma per chiarire meglio il contesto e favorire sin d'ora il dibattito sui dati che verranno. Ma vediamo più compiutamente i vari punti. In primo luogo bisogna ricordare che la TAC è una metodica di grande sensibilità, ma di altrettanto limitata specificità, più o meno il contrario di quanto avviene per l'ERT; e che tali caratteristiche si rendono ancor più evidenti con le TAC multidetettore di ultimissima acquisizione, ora arrivate a 64 canali. MRM 17 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 16-18 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 18 un settore ove fino a poco tempo fa si usava l'ERT con le medesime finalità deve imporre delle riflessioni sia da parte del radiologo che del clinico: ad esempio, dopo l'impiego della TAC come esame di I livello a tutti gli effetti, se non sia necessario ridisegnare la potenzialità e i confini di impiego clinico dell'ERT, che come e forse più della TAC ha beneficiato dei progressi tecnologici. Ma questo ragionamento impone altre riflessioni che esulano dallo scopo di questo editoriale. Se, come detto, la TAC può non avere, in alcuni casi, la possibilità di scoprire il tumore, un modo per superarne i limiti può essere quello di affiancarla ad altre metodiche. Oltre a questo studio multicentrico italiano, infatti, sono in corso altre iniziative meno estese ma più articolate: uno studio che utilizzi spirometria, citologia non solo morfologica ma anche genetica dell'espettorato e TAC spirale a basso dosaggio e, in caso di non negatività di uno di questi accertamenti, utilizzi la broncoscopia con autofluorescenza per il rilievo di stadi subclinici di cancro o di stati pre-cancerosi è stata recentemente proposta alla Regione Toscana dal Policlinico di Siena [9]. In conclusione, a fronte della evidente necessità di cambiare il nostro approccio al cancro del polmone superando la strategia di pura passività, vi sono, anche nel nostro Paese, tentativi di risposta che meritano di essere, seppur criticamente, appoggiati e sostenuti. Come tutte le altre iniziative che vanno nel senso indicato dalla Global Alliance against chronic Respiratory Diseases (GARD) dell'OMS e cioè concorrono a ridurre il carico derivante alla società dalle malattie polmonari [10]. In questa ottica, tuttavia, la necessità di verificare fattibilità, rendimento e convenienza della prevenzione secondaria del cancro del polmone, con la sola TAC spirale o associandola alla broncoscopia ad autofluorescenza, non ci deve distrarre dalla più importante considerazione (del resto implicita nel disegno dello studio MILD): la prevenzione primaria - attraverso la disassuefazione dal fumo - è possibile e costo-efficace. Lo pneumologo deve perciò impegnarsi nella disassuefazione dal fumo, sia nel suo ambito specialistico, per il quale sono di grande aiuto le nuove linee guida dell'ERS [11], sia nell'ambito della comunità nel suo insieme, stimolando le iniziative di prevenzione che vogliono agire sugli stili di vita dannosi e prendendovi parte attivamente. Bibliografia 1. De Angelis R, Francisci S, Corazziari I, Capocaccia R. Andamenti italiani ed europei dei tumori polmonari: differenze tra generi e proiezioni. LEB congresso 2002. 2. Smith RA, Glynn TJ. Epidemiology of lung cancer. Radiol Clin North Am 2000;38:453-470. 3. Flehinger BJ, Melamed MR. Current status of screening for lung cancer. Chest Surg Clin North Am 1994;4:1-15. 4. Fontana RS, Sanderson DR, Woolner LB, Taylor WF, Miller WE, Muhm JR, Bernatz PE, Payne WS, Pairolero PC, Bergstralh EJ. Screening for lung cancer. A critique of the Mayo Lung Project. Cancer 1991;67:1155-1164. 5. Bach PB, Kelley MJ, Tate RC, McCrory DC. Screening for lung cancer: a review of the current literature. Chest 2003;123(suppl):72s-82s. 6. Swensen SJ, Jett JR, Sloan JA, Midthun DE, Hartman TE, Sykes AM, Aughenbaugh GL, Zink FE, Hillman SL, Noetzel GR, Marks RS, Clayton AC, Pairolero PC. Screening for lung cancer with low dose spiral computed tomography. Am J Respir Crit Care Med 2002;165:508-513. 18 MRM 7. International Early Lung Cancer Action Program Investigators; Henschke CI, Yankelevitz DF, Libby DM, Pasmantier MW, Smith JP, Miettinen OS. Survival of patients with stage I lung cancer detected on CT screening. N Engl J Med 2006;355:1763-1771. 8. Schiavon F, Cavagna E, D'Andrea P, Vettorazzi M. Qualche considerazione sugli screening. Radiol Med 2002;104: 115-118. 9. Collodoro A. Toscana Medica, 2007 (marzo): in stampa. 10. Nardini S, De Benedetto F, Sanguinetti CM, Donner CF. Il progetto SOS Respiro - Il primo frutto della collaborazione AIMAR alla GARD dell'OMS. Multidisciplinary Respiratory Medicine 2006;3:8-12. 11. Tonnesen P, Carrozzi L, Fagerström KO, Gratziou C, Jimenez-Ruiz C, Nardini S, Viegi G, Lazzaro C, Campell IA, Dagli E, West R. Smoking cessation in patients with respiratory diseases: a high priority, integral component of therapy. Eur Respir J. 2007;29:390-417. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 19 Documento ufficiale / Official statement Schiarire l'aria: uno studio nazionale sulla broncopneumopatia cronica ostruttiva Clearing the air: a national study of chronic obstructive pulmonary disease Traduzione del Sommario Esecutivo del rapporto Clearing the air: a national study of chronic obstructive pulmonary disease © 2006 Commission for Healthcare Audit and Inspection, London UK Traduzione per AIMAR a cura di Stefano Nardini, Editorial Office Manager, Multidisciplinary Respiratory Medicine La commissione Sanità ha compiuto uno studio nazionale relativo all'assistenza e alla terapia disponibili per le persone affette da malattia polmonare cronica ostruttiva (BPCO) in Inghilterra. BPCO è il termine che viene attualmente utilizzato per descrivere una serie di condizioni patologiche croniche respiratorie, che comprendono la bronchite cronica e l'enfisema polmonare. È una malattia cronica evolutiva, inguaribile ma largamente prevenibile, per lo più dovuta al fumo di sigaretta. È caratterizzata da un danno permanente ai polmoni che limita la capacità della persona di respirare e di svolgere le normali attività quotidiane. Le persone affette da BPCO avvertono una crescente mancanza di respiro, a misura che la loro malattia si sviluppa. Possono arrivare ad aver paura di svolgere le normali attività quotidiane a causa della crescente mancanza di respiro associata allo sforzo fisico. Alcune delle persone con BPCO che hanno partecipato a questo studio erano affette da una malattia in un grado così avanzato che non riuscivano a vestirsi, a fare le scale o a portare a termine le loro attività domestiche abituali. Molti erano impossibilitati a uscire di casa senza aiuto. Nel Regno Unito la BPCO colpisce una popolazione stimata intorno ai tre milioni di persone. Fornire assistenza e terapia a queste persone rappresenta un costo significativo per il Servizio Sanitario Nazionale (NSH). L'istituto nazionale per l'eccellenza in sanità e in clinica (NICE) stima che i costi diretti legati all'assistenza che il servizio sanitario nazionale eroga per persone affette da BPCO ammontino a circa 500 milioni ogni anno. Più della metà di questi costi è correlata alla fornitura di as- sistenza all'interno degli ospedali. A misura che la popolazione invecchia questo carico assistenziale è destinato ad aumentare. Fino ad ora i servizi dedicati alle persone affette da BPCO hanno teso a reagire ai problemi nel momento in cui si verificavano, piuttosto che a tentare di intervenire precocemente per prevenirli. Il report annuale del Chief Medical Officer, Sir Liam Donaldson, ha evidenziato nel 2005 la necessità di cure più strutturate per le persone che sono affette da BPCO [1]. Il Department of Health ha anche sottolineato la necessità di migliorare l'assistenza ai pazienti affetti da una serie di situazioni patologiche croniche compresa la BPCO [2]. In particolare è stata evidenziata la necessità di assistenza personalizzata strutturata integrata per le persone che hanno i maggiori bisogni; per esempio un recente libro bianco del governo ha chiaramente individuato nelle Unità Sanitarie la struttura responsabile della pianificazione di servizi in grado di rispondere ai bisogni della popolazione locale. Questo pone anche l'accento sul fatto che in futuro un maggior numero di servizi sarà reso direttamente nella comunità. Oltre a queste iniziative, al servizio sanitario nazionale è stato anche richiesto di rafforzare gli incentivi per motivare i medici di medicina generale e tutti gli operatori di cure primarie a migliorare le modalità di gestione dei servizi per le persone affette da malattie croniche invalidanti [3]. Tuttavia nonostante il recente interesse del governo e di altre istituzioni, l'informazione e l'educazione sanitaria sulla BPCO fra gli operatori della salute e la popolazione nel suo complesso rimangono molto scarse. In alcune aree i servizi che vengono offer- Editors, Multidisciplinary Respiratory Medicine c/o AIMAR Editorial Office - Via M. Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO) email: [email protected] Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 19-22 MRM 19 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 19-22 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 20 ti alle persone affette da BPCO non sono in linea con le linee guida cliniche esistenti e ci sono ampie variazione negli standard di assistenza in differenti aree del paese. Inoltre, molte persone con BPCO appartengono a fasce di popolazione in condizione sociale sfavorita e spesso trovano difficoltà nell'accedere ai servizi sanitari più appropriati. Le persone che appartengono a queste comunità possono anche sentirsi spesso emarginate e stigmatizzate a causa della stretta associazione che esiste tra la malattia e il fumo. Questo studio parte da un programma più ampio di lavoro che è focalizzato a migliorare i servizi per le persone che sono affette da malattie croniche invalidanti. È stato portato a termine tra aprile e dicembre del 2005. Durante questo periodo abbiamo lavorato a stretto contatto con medici clinici e persone affette da BPCO per identificare gli aspetti chiave nel trattamento della BPCO e per mettere in luce la pratica maggiormente degna di nota. Abbiamo anche: • condotto una revisione della letteratura per identificare i punti nodali relativi all'organizzazione dell'assistenza ai pazienti affetti da BPCO; • consultato una notevole quantità di Stakeholders, compresi gruppi rappresentativi di pazienti e di operatori della salute; • richiesto informazioni di ritorno da un gruppo di consulenti che comprendeva specialisti nel campo delle malattie respiratorie; • esaminato le caratteristiche delle attività ospedaliere, compresi il numero dei ricoveri ripetuti, la lunghezza delle degenze e le giornate letto; • istituito tre gruppi focali in collaborazione con la British Lung Foundation; • esaminato aspetti specifici dei servizi per la popolazione affetta da BPCO in 12 differenti comunità. PROBLEMI CHIAVE Abbiamo identificato un certo numero di problemi chiave che poniamo all'attenzione dei responsabili dell'assistenza e cura alle persone affette da - o a rischio di - BPCO, che comprendono: • la necessità per le cure primarie di migliorare la diagnosi di BPCO: si stima che il numero di casi di BPCO non correttamente diagnosticati sia di almeno due milioni. Analogamente vi è anche un numero significativo di diagnosi parzialmente o del tutto errate. Il numero di casi diagnosticati può variare fino a cinque volte da un distretto di medicina generale ad un'altro. Questo è in parte dovuto ad un tasso più elevato della malattia in alcune aree particolarmente povere, ma è spesso associato anche all'abilità degli operatori sanitari di sospettare e diagnosticare la malattia. Iniziative per migliorare la diagnosi, come ad esempio lo spostamento dei servizi di spirometria dagli ospedali alla medicina di base, possono essere di aiuto; • una maggiore attenzione da parte delle Unità Sanitarie Locali, nel loro ruolo di programmatori 20 MRM di servizi sanitari, deve essere dedicata ad assicurare che le persone malate di BPCO ricevano trattamenti strutturati appropriati alle loro necessità [4]. Questo significa focalizzare l'attenzione sulla diagnosi accurata e precoce e sui trattamenti strutturati, al fine di assicurare che le persone con BPCO da lieve a moderata ricevano un trattamento appropriato che minimizzi l'impatto della loro malattia sulla vita; • l'aiuto ai pazienti con BPCO per gestire da soli la loro malattia. Le misure chiave per supportare pazienti con BPCO sono l'educazione sanitaria e la rieducazione all'esercizio strutturate (nell'insieme conosciute come riabilitazione respiratoria). Questo è stato dimostrato avere un impatto diretto sulla qualità di vita della persona e ci sono evidenze che può ridurre il numero di persone con BPCO che vengono ricoverate in ospedale così come la lunghezza delle degenze in ospedale per le persone ospedalizzate. Tuttavia l'accesso alla riabilitazione polmonare (e la partecipazione alla stessa) è assolutamente disomogeneo sul territorio nazionale, con percentuali minori del 5% di persone affette da BPCO che risultano avere una effettiva opportunità di prendere parte a questo tipo di programma [5]. Alcune Unità Sanitarie Locali come ad esempio Lambeth o Southwark e il King's College Hospital hanno affrontato questo problema sviluppando servizi di riabilitazione respiratoria sul territorio; • la riduzione del numero di persone ospedalizzate per BPCO. Fra il 1991 e il 2001 i tassi di ospedalizzazione per BPCO corretti per età sono cresciuti di almeno il 50% [6]. Anche il numero delle ospedalizzazioni in emergenza continua ad aumentare ogni anno. I tassi di ospedalizzazione possono variare fino a 5 volte in differenti aree dell'Inghilterra. Questo riflette da un lato differenze nella prevalenza di BPCO e dall'altro ampie variazioni nella qualità dell'assistenza fornita a tali pazienti nella comunità. In alcune Unità Sanitarie Locali rendere disponibile un'assistenza strutturata ha avuto un significativo impatto sul numero di ospedalizzazioni delle persone con BPCO; • capire i motivi della prognosi infausta per molti pazienti. In media il 15% di coloro che vengono ospedalizzati con BPCO muoiono entro tre mesi. Sebbene le stime varino, si pensa che un quarto dei pazienti morirà entro un anno dall'ospedalizzazione [7,8]. • assicurare che l'assistenza prenda in considerazione i bisogni individuali di ciascuna persona e l'impatto generale della patologia sulla sua vita, piuttosto che semplicemente trattare i sintomi nel momento in cui si presentano; • provvedere ad un trattamento tempestivo ed appropriato per gli episodi acuti di BPCO; la gamma dei servizi disponibili per le persone affette da BPCO varia e non sempre comprende servizi di comunità, cure primarie, assistenza sociale; • migliorare l'accesso all'assistenza di supporto e alle cure palliative per le persone con BPCO in MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 21 COSA DEVE FARE IL DEPARTMENT OF HEALTH? Il Department of Health dovrebbe sviluppare una cornice generale nazionale di servizio per la BPCO (national service framework - NSF). Questo dovrebbe incoraggiare una maggiore attenzione a questa patologia che è stata precedentemente trascurata. Dovrebbe anche fornire l'opportunità per includere nei servizi socio sanitari indicatori maggiormente significativi per misurare i risultati dell'assistenza del trattamento per le persone affette da BPCO. Questi indicatori dovrebbero essere monitorati routinariamente. La commissione sanità vedrebbe di buon occhio la possibilità di lavorare con il ministero della salute, con pazienti e clinici per sviluppare migliori misure di processo e di risultato e per monitorare queste misurazioni nel tempo. COSA DEVONO FARE LE UNITÀ SANITARIE LOCALI? Le unità sanitarie locali devono: • continuare a supportare iniziative che riducano il numero di fumatori nella comunità e in particolare il numero di giovani che iniziano a fumare; • migliorare la diagnosi di BPCO, specialmente nelle aree con elevato livello di disagio sociale, aumentando il supporto a tutti coloro che sono in grado di fare spirometrie sul territorio; • organizzare servizi che migliorino l'accesso alla riabilitazione polmonare per tutte le persone con BPCO, secondo le linee guida del NICE, e agevolando l'accesso alle cure palliative per quelli che possono beneficiare di questo approccio; • lavorare con i clinici delle “reti respiratorie” per rivedere insieme i tassi di ospedalizzazione in emergenza nell'ospedale per le persone con BPCO ed esplorare le ragioni alla base dell'ospedalizzazione e la disponibilità di servizi alternativi che potrebbero supportare le persone a domicilio; • lavorare con i clinici delle “reti respiratorie” per assicurare che venga resa disponibile alle persone con BPCO un'assistenza strutturata; questo significa assicurare che ci siano registri accurati delle persone affette da BPCO, che l'assistenza e la terapia delle persone con BPCO sia regolarmente rivalutata e che ci sia disponibilità di supporti per aiutare la popolazione affetta da tale malattia ad autogestirla. Una rete respiratoria è un gruppo di professionisti della salute il cui sco- po è sviluppare un approccio coerente e completo per pianificare e fornire servizi respiratori in una particolare area. COSA FARÀ LA COMMISSIONE PER LA SALUTE IN FUTURO? Come parte del nostro lavoro di controllo annuale dello stato di salute, la commissione per la salute valuterà e ragguaglierà sulla performance rispetto agli indicatori di implementazione delle linee guida NICE per la BPCO. Ciò verrà fatto attraverso il nostro controllo dei miglioramenti rispetto agli standard di sviluppo che il governo ha stabilito per l'efficacia clinica e in rapporto ai costi. Un set completo di indicatori sarà sviluppato dopo appropriate consultazioni con i principali stakeholders e monitorato nel tempo. Inoltre questa commissione: • intraprenderà azioni di follow-up più dettagliate con le unità sanitarie locali che mostrano variazioni inaccettabili di performance; • continuerà a misurare - e fare un rapporto su - i progressi ottenuti dalle Unità Sanitarie Locali nel raggiungere gli obiettivi di ridurre il numero di letti d'ospedale occupati in emergenza, ridurre il tasso di fumo, e fornire una gestione completa della malattia alle persone che richiedono un elevato livello di assistenza e terapia; • farà un rapporto sui rilievi provenienti dalla revisione del miglioramento del controllo del fumo nella comunità e continuerà a lavorare con le unità sanitarie in questa area per ridurre sostanzialmente i casi totali di BPCO; • controllerà nel tempo tutte le problematiche locali che dovessero insorgere circa la performance in relazione agli indicatori, agli obiettivi e alle raccomandazioni, preoccupazioni che dovessero emergere dalla nostra revisione sul miglioramento. Lavoreremo con il ministero della sanità, con i pazienti e gli altri stakeholders per migliorare la qualità dell'informazione a disposizione dei pazienti con BPCO. Questo li aiuterà a fare scelte maggiormente informate su assistenza e terapia. Aiuterà anche noi a misurare meglio la qualità dei servizi. Abbiamo in corso un programma di lavoro per rivedere la qualità dei servizi offerti alle persone anziane. Il programma di lavoro che ci daremo includerà ispezioni integrate dell'assistenza socio-sanitaria alle persone con pluripatologie croniche a lungo termine e una misurazione dell'effettiva implementazione delle linee guida del programma quadro nazionale (NSF) e del NICE. Questo ci aiuterà a ottenere un quadro più dettagliato della qualità dell'assistenza per i pazienti che soffrono di condizioni croniche a lungo termine e per tenere traccia dei miglioramenti nel tempo. Editors MRM Documento ufficiale - Official statement stadio terminale. La fornitura e la qualità di questi servizi per persone con BPCO è estremamente limitata, se comparata con i servizi che sono disponibili per persone con cancro in stadio avanzato. MRM 21 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 19-22 MRM 01-2007_def 22 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 22 Bibliografia 1. UK Department of Health (2005). On the State of the Public Health: Annual Report of the Chief Medical Officer 2004. 2. UK Department of Health (2005). Supporting People with Long Term Conditions. 3. Dixon J, Lewis R, Rosen R, Finlayson B, Gray D. Can the NHS learn from US managed care organisations? BMJ 2004;328:223-225. 4. Stang P, Lydick E, Silberman C, Kempel A, Keating ET. The prevalence of COPD: using smoking rates to estimate disease frequency in the general population. Chest 2000;117(5 Suppl 2):354S-359S. 5. British Lung Foundation and British Thoracic Society (2002). Pulmonary Rehabilitation Survey. 6. Lung and Asthma Information Agency factsheets on COPD. 7. Groenewegen KH, Schols AM, Wouters EF. Mortality and mortality-related factors after hospitalization for acute exacerbation of COPD. Chest 2003;124:459-467. 8. British Lung Foundation (2003). Breathing Fear - The COPD Effect. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 23 Commento al Documento / Comment on Statement Commento delle associazioni dei pazienti in Italia: il punto di vista dell'Associazione Pazienti Italiana BPCO Comment from patients associations in Italy: point of view of the Italian COPD Patients Association Mariadelaide Franchi Presidente, Associazione Italiana Pazienti BPCO La BPCO è una malattia cronica respiratoria, che porta gradualmente ad una sostanziale invalidità, alla perdita di produttività e ad una scarsa qualità della vita del paziente e della sua famiglia, che peggiora con il progredire della malattia. Le riacutizzazioni richiedono l'uso di terapie complesse e costose e frequenti ricorsi alla medicina d'urgenza e ricoveri in ospedale, anche in unità di terapia intensiva. La complicanza più temuta è l'insufficienza respiratoria, che comporta ossigenoterapia o ventilazione assistita, con pesanti ricadute umane e socio-sanitarie. In Italia si contano più di 62.000 persone in ossigenoterapia e più di 20.000 in ventilazione assistita. L'emergenza odierna, che conta quasi tre milioni di persone affette da BPCO, 130.000 ricoveri e circa 18.000 decessi all'anno, è in primo luogo conseguenza di danni lenti e progressivi indotti dall'abitudine tabagica protratta nel corso del tempo, spesso per decenni. Ciononostante in Italia questa malattia resta sottovalutata, soprattutto dal fumatore, che teme sì il cancro al polmone, ma ha scarsa consapevolezza delle conseguenze del fumo di sigarette in termini di invalidità cronica respiratoria. Con l'approvazione e divulgazione di linee guida nel 2001, il mondo scientifico ha accolto l'allarme lanciato dall'OMS: la BPCO sarà nel 2020 la terza causa di morte nel mondo, se non si farà qualcosa nel frattempo per contrastarla. In Italia la scarsa attenzione a questo dilagante fenomeno sociale è testimoniata dal fatto che, ancora oggi, dopo otto anni, il Ministero della Salute non ha modificato il Decreto Ministeriale 329/99 per introdurre la BPCO nella lista delle malattie croniche e invalidanti. Questo importante passo potrebbe consentire ai pazienti di beneficiare della gratuità di alcune prestazioni essenziali per il monitoraggio della malattia, come avviene per la maggioranza delle malattie croniche. L'assenza del riconoscimento di “malattia cronica e invalidante” causa gravi pregiudizi ai pazienti, non solo per quanto riguarda i costi, che continuano a gravare sulla famiglia, ma anche perché non possono beneficiare di altre misure specifiche di supporto ai malati cronici. Le conseguenze di tutta questa situazione sono sotto gli occhi di tutti: scarsa prevenzione, sottodiagnosi, trattamenti spesso non corrispondenti alle più recenti acquisizione scientifiche e inadeguatezza dei programmi di riabilitazione. Infine, se da una parte i progressi scientifici hanno migliorato la sopravvivenza del malato con BPCO, grazie all'ossigenoterapia e alla ventilazione assistita, dall'altra la risposta ai reali bisogni dei pazienti in termini di continuità dell'assistenza socio-sanitaria, e in particolare di assistenza domiciliare, resta il principale problema non risolto in molte delle nostre Regioni. Ben venga quindi l'iniziativa di AIMAR di pubblicare il sommario esecutivo del documento della Healthcare Commission del Regno Unito, che formula le direttive in materia di assistenza in questo settore. Ci auguriamo che questo serva non solo a stimolare un dibattito, che stenta da troppi anni a decollare, ma anche a indicare azioni che possano essere rapidamente intraprese anche da noi. Mariadelaide Franchi Presidente, Associazione Italiana Pazienti BPCO Onlus - Via Cassia 605, 00189 Roma, Italia email: [email protected] - www.pazientibpco.it Nota: Commento all'Executive Summary del rapporto Clearing the air: a national study of chronic obstructive pulmonary disease © 2006 Commission for Healthcare Audit and Inspection, UK, pubblicato in versione tradotta a pag 19-22 di questo numero. Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 23 MRM 23 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 24 Commento al Documento / Comment on Statement Commento delle associazioni dei pazienti in Italia: il punto di vista dell'Associazione per la Lotta contro l'Insufficienza Respiratoria (ALIR) Comment from patients associations in Italy: point of view of ALIR (Respiratory Failure Association) Alda Bernardi Pesce Segretaria nazionale, ALIR (Associazione per la Lotta contro l'Insufficienza Respiratoria) Ho letto con interesse il documento elaborato dalla Commissione sanità inglese sulla BPCO, che testimonia come le autorità sanitarie europee intendano affrontare il mondo delle malattie croniche respiratorie, finora trattato con sufficienza, e non solo in Italia. Finalmente. Per me, che rappresento l'ALIR, associazione nazionale che da venticinque anni si adopera per interventi nel campo respiratorio, “finalmente” ha un contenuto liberatorio, che pare coronare un quarto di secolo di frustrazioni, che hanno accompagnato l'opera intensa ma misconosciuta dell'associazione che rappresento. Un quarto di secolo vissuto in prima persona, perché già da allora militavo con mio marito, pneumologo ospedaliero, che faceva parte del gruppo dei fondatori, e si è sempre battuto per il miglioramento della terapia agli insufficienti respiratori, e lo ha fatto fino alla morte. Intendiamoci; essendo stata testimone della tragedia rappresentata dall'insufficienza respiratoria grave, complicanza terminale di molte malattie dell'apparato respiratorio (fra cui la BPCO), ho finito per concentrare l'attenzione mia e dell'associazione sui malati più gravi, e sugli aspetti correlati con l'ossigenoterapia e la ventiloterapia domiciliare. Il fatto che siano quantitativamente meno numerosi non ci ha esentato dal profondere tutto l'impegno di cui siamo capaci, in questo confortati da pari impegno dei pneumologi ospedalieri, che hanno corso anche rischi personali per costruire l'attuale tecnica di terapia domiciliare, oggi possibile con successo, anche se purtroppo diffusa sul territorio nazionale soltanto a macchia di leopardo, con organizzazioni locali di assoluta eccellenza, ma affiancate a vaste aree di negligenza. Non posso non condividere le raccomandazioni della Commissione inglese; anche se la mia sensibilità mi spinge soprattutto sull'ultimo punto, la riorganizzazione degli interventi a domicilio del paziente, tanto più importante oggi che, dopo l'aziendalizzazione dei servizi sul territorio, soltanto una concreta integrazione fra gli operatori sanitari coinvolti, dallo specialista al Medico di Medicina Generale e al care giver, può consentire l'efficienza della cura domiciliare agli insufficienti respiratori. Essendo soltanto una profana, non posso esprimermi sull'appropriatezza di certi interventi; ma troppo spesso mi trovo davanti ad operatori innamorati della propria specializzazione, e completamente impermeabili alle esigenze dei colleghi di team con i quali dovrebbero collaborare. Non è ancora questo il Servizio Sanitario Nazionale che ha cura della salute dei cittadini, come sentiamo tanto spesso millantare dai politici. Esistono difficoltà oggettive nel governo della sanità in Italia; ma non ho ancora visto, dopo la chiusura di un reparto di Terapia Intensiva Respiratoria, la semplice attivazione di una procedura di rapido accesso ai Centri di eccellenza comunque presenti sul territorio nazionale. È come se ciascun reparto, ciascun operatore, vivesse in un'isola felice, senza alcuna conoscenza di quello che succede altrove. Alda Bernardi Pesce Segretaria nazionale, ALIR “Associazione per la Lotta contro l'Insufficienza Respiratoria” email: [email protected] - www.alir.it Nota: Commento all'Executive Summary del rapporto Clearing the air: a national study of chronic obstructive pulmonary disease © 2006 Commission for Healthcare Audit and Inspection, UK, pubblicato in versione tradotta a pag 19-22 di questo numero. Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 24-25 24 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 25 za, alle residenze protette, all'Assistenza Domiciliare Integrata, ai Medici di Medicina Generale, ai caregiver. Tutti collegati on-line fra loro, come operatori sanitari appartenenti allo stesso reparto. Chiedo troppo? A Bernardi Pesce Il punto di vista dell'ALIR - Point of view of ALIR Per questo vedo, in quelle poche parole dell'ultimo punto del documento inglese, la realizzazione di un sogno lungamente accarezzato, dove esiste un solo Servizio Sanitario Nazionale, che funzionalmente si estende dai reparti ospedalieri, alle strutture di riabilitazione, alle strutture di lungo degen- MRM 25 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 26 Interview / Intervista Interview with Antonio Anzueto How management of COPD may change in the near future Un'intervista ad Antonio Anzueto Come la gestione della BPCO potrebbe cambiare nel prossimo futuro Stefano Nardini Regione Veneto, ASL 7, Sinistra Piave, Ospedale di Vittorio Veneto, U.O. di Pneumotisiologia Segretario Generale AIMAR INTRODUCTION With the general population ageing, and doctors and health systems delivering good care to respiratory patients, the prevalence of COPD is increasing (and will continue to increase). In Italy as in other countries where assistance is delivered through an established National Health System, there is a widespread feeling that we cannot continue to manage COPD in the way that we are doing today, because it is becoming too expensive and will simply not be sustainable in the long term. In Italy, we are currently trying to move the routine management of these patients from the hospital to the family setting, helping GPs with the specialist advice they need for the delivery of complete home care. 1) In the US are you experiencing the same trend? Yes, there are several issues in the US. Primary care doctors are not doing enough to diagnose these patients. Newly diagnosed COPD patients are now younger (under 65 years of age) and have mild to moderate disease. Most of the severe COPD patients are older patients and are already diagnosed. 2) In the US you have a private health system. What are the differences, if any, in coping with the increasing burden of a chronic illness like COPD? Our systems, both private and public, are overwhelmed by the increased number of patients, fre- Stefano Nardini AIMAR Editorial Office Via M. Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO), Italia email: [email protected] Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 26-27 26 MRM quent hospitalizations due to exacerbations and the lack of an efficient ambulatory system for prevention. 3) The more advanced the disease, the more expensive is its management and heavier the consequences on the individual's quality of life. An early diagnosis may be the answer, but is this feasible in COPD and how? Yes, it is feasible. By identifying the patients at risk and doing pulmonary function tests (PFTs) we should be able to identify patients when they have mild disease and not severe disease. 4) Hospitalization seems to be the main problem for administrators: reduction in hospital admissions and/or in length of stay (LOS) are outcomes eagerly looked for. In your experience what tools do clinicians have at their disposal today to satisfy administrators, i.e. reduce admissions and LOS? We have seen a significant reduction in exacerbations and hospitalizations in patients with COPD due to the routine use of pharmacotherapy. Since the introduction of tiotropium and routine use of the fixed combination of long-acting beta agonists and inhaled corticosteroids, the frequency of exacerbation is decreasing. The impact on healthcare systems is so great that the largest healthcare provider in the US, the Veterans Health Administration system, recently approved the unrestrictive use of tiotropium in COPD. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 27 6) Some past experiences seem to show that distance monitoring 'from-patient-to-physician' does not help: on the contrary, it can increase the use of hospital facilities. Is your experience in the US the same? Do you think that the use of distance monitoring to link GP offices to the pulmonary care unit could help better? I have no experience with distance monitoring. I believe that linking GP offices with pulmonary care and allowing rapid intercommunication could have a huge impact on diagnosis and patient care. 7) We can try to reduce the use of hospital resources by COPD patients. However, the main cost borne by the community for this disease is not that for medical care itself but for loss of productivity. This fact would seem to highlight the need for pulmonary rehabilitation, but this practice - at least in Italy - is neither promoted nor financed.What is the situation in the US? Pulmonary rehabilitation costs in the US are covered by the health system only for 6 weeks. Data have shown that the increased exercise endurance and other benefits gained from pulmonary rehabilitation are lost in a few months. A recent report of Casaburi et al. [1] showed that adding a long active bronchodilator (tiotropium) you can maintain the effect of rehabilitation for up to 28 weeks. I believe that this study should be repeated and the time period extended, because if these data are true this finding could be very important. S Nardini Interview with A Anzueto - Intervista con A Anzueto 5) For the same purpose, in your opinion, can distance-monitoring help and, if so, how? Yes, it can, but at this time it is not feasible in the US. There is no structure in place and no money to set it up. Reference 1. Casaburi R, Kukafka D, Cooper CB, Witek TJ Jr, Kesten S. Improvement in exercise tolerance with the combination of tiotropium and pulmonary rehabilitation in patients with COPD. Chest 2005;127:809-817. MRM 27 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 28 Original Article / Articolo Originale Recumbent hypoxemia (“clinodeoxia”) in cirrhosis: relationship with age-related trends of alveolar ventilation and right-to-left shunting Ipossiemia in clinostatismo (“clinodeoxia”) nella cirrosi: rapporti con le modificazioni della ventilazione alveolare legate all'età e con lo shunt destro-sinistro Francesca Polverino, Carlo Santoriello, Vittorio De Sio, Valentina Musella, Concetta De Rosa, Gaetano Cicchitto, 1Francesco De Blasio, 2Filippo Andò, Mario Polverino Respiratory Physiopathology, Cava de' Tirreni Hospital, Cava de' Tirreni Italy 1 Clinic Center Hospital, Pulmonary Rehabilitation Unit, Napoli Italy 2 Lung Diseases Institute, University of Messina Medical School, Messina Italy ABSTRACT The postural changes that occur in respiratory function have been well studied in normal subjects, but in pathological conditions they have been described in only a few cases of chronic liver disease: going from supine position to an erect one produced dyspnea (“platypnea”) and a worsening of the basal arterial oxygen tension (“orthodeoxia”). Our study was undertaken to investigate the incidence of orthodeoxia and platypnea and the mechanisms of hypoxemia in unselected patients. We studied 18 consecutive biopsy-proven liver cirrhosis patients, all lifelong non smokers, none of whom complained of platypnea. We evaluated arterial blood gases, pulmonary ventilation and right-to-left shunt in sitting and recumbent positions in each patient. In sitting position arterial oxygen tension (PaO2) ranged between 57.8 and 93.7 mmHg and hypoxemia was found in 6/18 patients (33%). All but one patient showed a decrease in PaO2 when lying down. In most patients the decrease was higher than predicted, and a high percentage of patients showed hypoxemia (14/18 patients: 78%). We propose the term “clinodeoxia”, as the reverse of “orthodeoxia”, to describe the accentuated arterial oxygen desaturation in clinostatism. The change of posture provoked age-related variations of ventilation and right-to-left shunt, the postural trends of which differed significantly according to the patient's age. Platypnea and orthodeoxia have also been described in patients without liver diseases but sharing a severe standing hypoxemia. We conclude that platypnea and orthodeoxia can probably be found only in patients with severe hypoxemia, and, when present, are not markers of chronic liver disease, but simply of severe arterial hypoxemia. Keywords: Alveolar hypoventilation, cirrhosis, clinodeoxia, orthodeoxia, postural hypoxemia, right-to-left shunt. RIASSUNTO Le variazioni posturali della funzione respiratoria sono state ben studiate nei soggetti normali, mentre vi sono poche segnalazioni, in alcuni soggetti affetti da cirrosi epatica, in cui l'assunzione della posizione eretta produce dispnea (“platypnea”) e peggioramento della saturazione ossiemoglobinica (“orthodeoxia”). Il nostro studio è stato effettuato per valutare l'incidenza di orthodeoxia e platypnea e i meccanismi dell'eventuale ipossiemia in pazienti non selezionati sulla scorta dei sintomi.Abbiamo studiato 18 pazienti consecutivi con dimostrazione bioptica di cirrosi, da sempre non fumatori, nessuno dei quali presentava platypnea. Abbiamo valutato i gas arteriosi, la ventilazione polmonare e lo shunt destro-sinistro in decubito seduto e supino. In posizione seduta la PaO2 variava da 57,8 a 93,7 mmHg e l'ipossiemia era presente in 6 di essi (33%).Tutti, tranne uno, mostravano una riduzione della PaO2 nel passaggio al decubito supino. In molti di essi il decremento clinostatico della PaO2 era maggiore di quanto prevedibile dai valori teorici, e, complessivamente, un maggior numero di pazienti presentava ipossiemia (14 su 18: 78%). Noi proponiamo il termine “clinodeoxia”, come opposto della “orthodeoxia”, per descrivere l'accentuata desaturazione arterio- Mario Polverino Respiratory Physiopathology Director, Centro Medico Italo-Australiano, Cava de' Tirreni (SA), Italy email: [email protected] Data di arrivo del testo: 13/01/2007 - Accettato per la pubblicazione: 09/02/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 28-36 28 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 29 Parole chiave: Cirrosi, clinodeoxia, ipossiemia posturale, ipoventilazione alveolare, orthodeoxia, shunt destro-sinistro. INTRODUCTION Occasional association between liver cirrhosis and cyanosis without evidence of cardiopulmonary dysfunction was first reported a century ago [1]. Following that, arterial oxygen desaturation in patients with liver cirrhosis was described by Snell in 1935 [2]. Several studies have since confirmed arterial hypoxemia at rest in many patients with liver cirrhosis [3-8]. These findings have been variously attributed to right-to-left intrapulmonary shunting [9-15], alveolar-capillary diffusion limitation, or alveolar ventilation-perfusion (VA/Q) mismatching [5-7,16,17]. Sheila Sherlock coined the term “hepatopulmonary syndrome” to describe arterial hypoxemia (< 10.7 kPa or < 80 mmHg) in patients with liver cirrhosis [18]. The effects of postural change on arterial oxygenation in normal subjects have been well documented [19-25]. Craig et al. [25] showed that the relationship of closing volume to the tidal breathing level could account in healthy subjects for the changes in alveolar-arterial PO2 difference with posture, according to the functional residual capacity (FRC) movements up and down the range of lung volumes [26,27]: in the seated position, the FRC is consistently below closing volume in subjects aged around 65 years or more, while in the lying position, as the expiratory reserve volume is markedly reduced, this occurs at around 44 years of age [28]. The respiratory effects of change of body position have been described only in a few patients suffering from chronic liver diseases [11,29,30]. These patients were evaluated because of a peculiar functional and clinical posture-related syndrome: moving from a supine position to an erect one produced a worsening of the basal arterial oxygen tension while the reassumption of a lying position improved the arterial hypoxemia. These patients complained of dyspnea in the sitting position which was relieved in the lying position. Robin et al. [11] suggested the term “platypnea” to describe the dyspnea produced by assumption of an erect position which was relieved when lying, while the term “orthodeoxia” was coined to describe the accentuated arterial oxygen desaturation in the sitting or standing position improved by the supine one. In their report Robin et al. [11] related this peculiar postural behaviour to increased pulmonary right-to-left shunting of blood, which seemed to be due to a gravity-related increased basal flow through true vascular lung shunts (spider naevi). Chest angiographic studies proved these shunts to be largely basal in location. Edell et al. [31] studied the distribution of VA/Q and the right-to-left intrapulmonary shunting in 6 patients with liver cirrhosis, selected on the basis of criteria such as presence of hypoxemia (from 35 to 67 mmHg of sitting or standing PaO2) and orthodeoxia. Krowka and Cortese [32], to better characterize hypoxemia in chronic liver diseases, studied 11 patients with severe hypoxemia (from 31 to 65 mmHg of sitting or standing PaO2): 10 of them improved the PaO2 when lying (in 7 the increase was more than 10%). All the above-mentioned studies were undertaken in selected patients, since the enrolling criteria included the presence of hypoxemia, which was sometimes severe, and/or orthodeoxia. To our knowledge, an extensive evaluation of the respiratory effects of change of body position in unselected patients affected by liver cirrhosis has never been made. We therefore investigated the postural modifications of pulmonary function in patients regardless of the presence and degree of hypoxemia and dyspnea. MATERIAL AND METHODS The protocol was approved by the institutional Medical Ethics Committee and written informed consent for the study was obtained from each patient. Patients were eligible for the study if they had never smoked and were in a stable condition of disease without cardiac dysfunction or clinically evident hepatic encephalopathy. The first 18 consecutive patients who matched our criteria were enrolled. Studies were performed on 6 females and 12 males, ranging in age from 25 to 77 years (mean 52.8 ± 13.6 years) with clinical, laboratory and biopsy evidence of liver cirrhosis. The patients' data are shown in table I. None had any history of chronic or acute cardiopulmonary disease. All had normal findings on electrocardiogram and echocardiogram and chest roentgenogram. None complained of platypnea or any other kind of dyspnea. All but one (patient #1) showed cutaneous spider naevi. Six of them clinically demonstrated mild ascites. The severity of the hepatic involvement was defined according to Pugh's modification of Child's grading for hepatic functional reserve [33]. Pulmonary function tests in sitting position, and arterial gas analysis in sitting and lying position were performed in all patients. Intrathoracic gas volume (ITGV) and resistances of airways (Raw) were measured by body plethysmography (Jaeger, Wurzburg, D); single-breath diffusing capacity for carbon monoxide (DLCO) was measured by the technique of Ogilvie et al. [34] after correcting for low haemoglobin levels [35]. After determination of spirometric data, patients were connected to a nonrebreathing -Y- valve with the expiratory part con- F Polverino, C Santoriello, V De Sio, V Musella, C De Rosa, G Cicchitto, F De Blasio, F Andò, M Polverino Recumbent hypoxemia in cirrhosis - Ipossiemia in clinostatismo nella cirrosi sa di ossigeno in clinostatismo. La variazione di postura provoca variazioni della ventilazione e dello shunt destro-sinistro, i cui trend posturali sono significativamente differenti in base all'età dei pazienti. La platypnea e la orthodeoxia sono state descritte anche in pazienti affetti da altre patologie, tutte però caratterizzate da una severa ipossiemia in posizione eretta. Concludiamo quindi che la platypnea e la orthodeoxia possono probabilmente essere riscontrate solo in pazienti con severa ipossiemia: se riscontrate, esse non sono marker patognomonici di cirrosi, ma, indipendentemente dalla causa, di severa ipossiemia. MRM 29 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 28-36 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 30 TABLE I: PATIENT AND LIVER FUNCTION DATA Patient 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 Sex M/F Age yrs Spiders YES/NO Albumin g/dl Bilirubin mg/dl PRO % Ascites mild/NO CHILD A/B/C M M M F M M F M F M F M M F M M F M 25 37 41 41 49 50 52 56 58 60 60 69 70 72 74 76 76 77 NO YES YES YES YES YES YES YES YES YES YES YES YES YES YES YES YES YES 2.8 2.4 4 3.1 2.3 3.5 3.4 3.4 3.3 3.4 4.2 2.9 3 2.8 3.5 2.7 2.5 2.7 1.2 2.3 0.8 1 2.4 0.7 1.3 2.3 2.8 2.5 1.5 1.4 1.8 1.1 2.3 1.2 2.9 1.6 82 68 85 88 59 86 82 71 56 63 94 92 90 88 68 88 70 86 NO NO NO NO mild NO NO mild mild mild NO NO NO NO mild NO mild NO A B A A B A A B B B A A A A B A B A Definition of abbreviations: PRO, Prothrombin Time; CHILD, Pugh's modification of Child's grading for hepatic functional reserve. nected to a balloon for expired gas collection. Expired gas was collected in each position for 1 minute under steady-state conditions to determine minute ventilation (MV), at least 10 minutes after the assumption of the supine or sitting position, which was assumed in random order. Achievement of steady-state was indicated by the regularity of tidal mixed expired CO2 concentration. Expired gas was analysed for CO2, and O2 concentrations. Samples of radial arterial blood were drawn during the gas collection and were collected by indwelling arterial catheter while that patient was in the supine and sitting positions. Each position was maintained for at least 10 minutes. The blood samples were immediately analyzed for partial pressures of oxygen (PaO2) and carbon dioxide (PaCO2) with conventional electrodes (ABL, Radiometer, Copenhagen, DK). The blood gas analyzer was properly maintained and calibrated (quality controls were performed by Qualicheck vials, Radiometer, Copenhagen, DK). Physiological dead space (VD/VT), alveolar-arterial oxygen gradient (AaPO2) and right-to-left shunting (Qs/Qt) were calculated as follows: VD/VT = (PaCO2 - PECO2) - PaCO2; with PECO2 being the partial pressure of CO2 in expired gas; the alveolar-arterial oxygen gradient (AaPO2) was calculated from the alveolar gas equation: AaPO2 = (FIO2 (PB-47) - (PACO2/R) + FIO2 (1-R) (PACO2/R)) - PO2 where FIO2 is the O2 inspiratory fraction, PB is the barometric pressure, PACO2 is alveolar PCO2, assumed to be equal to PaCO2 and R is the respiratory exchange ratio determined from measured O2 uptake and CO2 production values. Right-to-left shunt was measured with the 100% 30 MRM oxygen technique, by the following equation: R-L shunting (%) = AaPO2 x 0.0031. 4.5 + AaPO2 x 0.0031 where 4.5 = normal artero-venous difference in volumes of oxygen; and 0.0031 = transforming factor of oxygen in volumes %. Hypoxemia was defined as a decrease of PaO2 more than 10% compared to the predicted value (by calculation in standing [36] and supine position [24]). Data are expressed as mean ± 1 SD. The sitting and recumbent data were compared using the paired t-test. Linear regression correlations were used when appropriate. Probability values x 0.05 were considered significant. RESULTS Pulmonary function tests are shown in table II: air trapping [increased residual volume (RV)] was found in most of the patients. According to our statement, sitting hypoxemia (table III) was detected in 6 out of 18 patients (33.3%); in half of them (9/18) sitting hypocapnia (PACO2 reduced below 35 mmHg) was found. Arterial oxygen tension was significantly and linearly related to the increase of RV (r= -0.679; p = 0.0019) and to the decrease of maximal expiratory flow (MEF75) at 75% of the forced vital capacity (FVC) (r = 0.576; p = 0.0123). The minute ventilation (MV) was significantly and inversely correlated to albumin (figure 1). The change of posture from sitting to recumbency (figure 2) produced a decrease of PaO2 in all but one patient, and 14/18 (77.8%) showed recumbent hypoxemia according to our definition (a decrease of PaO2 more than 10% in comparison with predicted MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 31 Patient 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 FVC % pred. FEV1.0 % pred. RV % pred. TLC % pred. MEF75 % pred. DLCO % pred. Raw kPa•l-1•s 82 107 72 91 92 109 106 99 83 76 117 83 85 96 86 84 91 88 90 105 76 89 104 117 93 96 82 78 121 99 92 99.5 90 95.5 95 95 141 155 148 109 135 182 129 110 109 201 123 171 167 162 189 169 175 172 99 122 94 97 105 132 113 103 92 119 119 117 117 119 126 117 122 119 65 97 47 63 84 88 106 75 51 80 100 85 86 90 45 85 67 76 89,5 110 76 87 103 99 121 97 77 98 118 69 105 108 68 87 88 87 0.225 0.135 0.19 0.235 0.26 0.14 0.13 0.2 0.27 0.28 0.09 0.28 0.12 0.185 0.2 0.2 0.19 0.2 Definition of abbreviations: DLCO, diffusing capacity for carbon monoxide; FEV1.0, forced expiratory volume at 1 sec; FVC, forced vital capacity; MEF75, maximal expiratory flow at 75% of the FVC; Raw, resistances of airways; RV, residual volume; TLC, total lung capacity. value). As the sitting PaO2 declined, the magnitude of the postural change significantly decreased (figure 3). Hypocapnia, in supine position, was found in fewer patients (5/18 = 27.8%). In recumbency the MV increased in 10 and decreased in 8 patients: the mean value was slightly and not significantly lower in sitting position (11.6 ± 2.5 l/min) compared to lying position (12.1 ± 1.7 l/min). Similarly the ratio alveolar ventilation/dead space (VA/VD) and the pattern of breathing (respiratory rate: RR, and tidal volume: VT) did not change significantly with body position. Oxygen uptake, CO2 production and AaPO2 increased slightly but non significantly in the move to supine position (from 310 ± 59 to 341 ± 54 ml/min; from 302 ± 41 to 330 ± 39 ml/min; and from 24.1 ± 8.6 to 30.3 ± 10.8 mmHg respectively). Recumbency was finally associated with a non significant increase of Qs/Qt (from 6 ± 1.6 to 7.7 ± 3). In attempting to understand whether the trend of postural variation was associated with any clinical and/or functional stigmata, subjects were first divided into 3 groups depending on whether they showed hypoxemia in standing and/or supine positions: 4 patients showed normoxaemia in both positions (# 3, 12, 14, 16), 8 had hypoxemia only in the supine position: “clinodeoxia” (# 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 13), and 6 in both supine and standing positions (# 1, 10, 11, 15, 17, 18). No significant differences among the 3 groups were detected in anthropomorphic data, severity of liver disease, clinical stigmata of cirrhosis (clubbing, cutaneous spider angiomata, varices) or any pulmonary function data. Similar results were obtained when the patients were divided according to other functional or clinical criteria. In a forward stepwise regression the only determinant of ventilation and gas exchange data was the patient's age. Age was significantly related to the postural changes of MV (figure 4), alveolar ventilation (figure 5), dead space ventilation (figure 6) and right-to-left shunting (figure 7). F Polverino, C Santoriello, V De Sio, V Musella, C De Rosa, G Cicchitto, F De Blasio, F Andò, M Polverino Recumbent hypoxemia in cirrhosis - Ipossiemia in clinostatismo nella cirrosi TABLE II: PULMONARY FUNCTION DATA DISCUSSION Our investigation confirms that, in some liver cirrhosis patients, hypoxemia and hypocapnia can be found in the absence of any cardiopulmonary disorder. The percentage (33.3%) of standing hypoxemia (6 patients out of 18) found in our study plausibly reflects a real percentage of O2 hyposaturation strictly due to the hepatic disease, because only lifelong non smokers with normal findings on electrocardiogram and echocardiography were selected. In some reports the prevalence of hypoxemia ranges from about 30% to 70% in the different patient populations [37-39]. Our percentage of hypoxemia (about one third of patients) is lower and has been confirmed by other authors [40,41]; Moller et al. [42] indicate that the prevalence of arterial hypoxemia in patients without encephalopathy is about 22%, ranging from 10 to 40% depending on the degree of hepatic dysfunction. We confirm that arterial hypoxemia in patients with cirrhosis of differing severity seems lower than previously reported, and patients with severe arterial hypoxemia are not common. Even using the limit value of 10.7 kPa (80 mmHg), the percentage of hypoxemia is quite similar: 38.9% (7 out of 18). In MRM 31 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 28-36 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 32 TABLE III: VENTILATION AND GAS EXCHANGE DATA Patient PaO2 mmHg PaO2 PaCO2 % pred. mmHg MV l/min RR TV/VC min-1 % VA VD/VT l/min % Qs/Qt % VO2 VCO2 AaPO2 ml/min ml/min mmHg 1 sitting supine 82 70.4 84.1 71.7 33.1 34.3 10.97 12.08 18 18 18 20 7.21 8.79 35.7 29 5.24 9.9 252 367 281 317 18.2 20.3 2 sitting supine 93.7 78.2 99.5 84 34.3 36.1 12 11.21 20 20 10.8 12.4 6.39 7.01 33.6 37.1 5.755 9.52 349 334 321.5 313.5 20.7 41.4 3 sitting supine 88.2 89.4 94.7 97.8 42.8 42.2 8 9.99 20 20 14.3 17.8 4.69 6.08 41.3 39.1 5.06 11.47 198 334 223 289 15.8 8.9 4 sitting supine 84.8 73.4 91.1 80.3 34.9 37.1 9.64 11.42 21 21 13.6 16.1 5.55 7.59 41.6 32.3 5.72 7.62 300 357 299 380 18.6 22.25 5 sitting supine 86.9 78.2 95.5 88.9 31.7 30.9 13.95 14.18 16 16 21.8 22.2 9.73 11.5 30.2 18.9 5.43 8.33 307 400 339 345 20.6 31.7 6 sitting supine 83 71.7 91.5 81.9 33.1 33.4 9.03 12.71 22 20 9.3 14.4 5.96 7.69 34 39.5 4.26 13.56 317 449 356 356 26.8 46.3 7 sitting supine 87.9 71.4 97.5 82.4 33.1 33.5 10.22 9.71 18 20 12.3 10.5 6.82 6.33 33.3 34.8 7.25 5.48 382 220 287 271 14.6 36.5 8 sitting supine 83.5 69.9 93.7 82.3 35.2 37.1 10.58 12.24 20 20 15.6 18 5.29 6.12 50 50 4.96 5.39 300 350 300 340 14.5 18.1 9 sitting supine 81.3 75.6 91.8 89.9 37.8 35 8.71 10.61 22 22 11.6 14.2 5.81 9.06 33.3 14.6 6.49 9.86 300 364 299 420 22.7 26.4 10 sitting supine 57.8 55.9 65.7 67.2 35 35.5 14.88 14.12 16 16 30 28.4 10.27 31 9.01 36.2 7.67 3.93 213 366 236 346 44.7 43.8 11 sitting supine 72.7 65 82.6 78.1 39.9 41.4 10.83 10.62 16 16 13 12.8 7.58 7.08 30 33.3 4.42 4.29 393 302 311 301 26.8 30.7 12 sitting supine 84.2 79.3 98.4 100 31.4 36.1 16.09 15.43 16 14 33.6 36.7 13.68 15 10.57 31.6 5.17 5.39 368 310 358 289 28.8 24.2 13 sitting supine 77.4 69.4 90.7 88 39.5 43.4 14.23 13.31 14 16 32.8 26.8 10.96 23 9.52 28.6 10.46 8.68 361 281 343 329 28.6 36.6 14 sitting supine 79.1 76.1 93.3 97.6 33.2 32 12.85 12.37 16 16 21.5 20.6 8.92 8.04 30.5 34.7 6.04 4.11 303 334 273 323 35.7 37.2 15 sitting supine 62.1 57 73.7 73.9 38.4 39.6 12.44 13.7 18 18 20.3 22.4 9.58 8.77 23 36 9.70 8.51 357 329 260 221 45.2 54.8 16 sitting supine 90 81 107.6 106.1 32 36.4 15.16 14.37 15 15 33.2 31.7 12.32 19 10.04 30.1 7.815 7.03 364 295 350 309 28.7 30.4 17 sitting supine 68.9 66.7 82.3 87.4 37.5 38.3 12.64 13.03 17 17 20.9 21.5 9.25 8.40 26.7 35.3 7.87 6.31 330 331 266 272 40.4 46 18 sitting supine 64.4 58 77.2 76.4 37.3 38.5 13.90 13.70 16 16 27 26.6 10.78 22.8 9.22 32.7 7.84 6.67 347 313 308 290 34.5 38.2 Definition of abbreviations: AaPO2, alveolar-arterial difference of oxygen; MV, minute ventilation; PaO2, arterial oxygen tension; PaCO2, arterial carbon dioxide tension; Qs/Qt, right-to-left shunting (% of cardiac output); RR, respiratory rate; TV/VC, tidal volume/vital capacity; VA, alveolar ventilation; VCO2, carbon dioxide production; VD/VT, dead space ventilation/tidal volume; VO2, oxygen uptake. any case we believe that our criterion to detect hypoxemia (a value lower than 90% compared to the age-adjusted PaO2, calculated by regression equation) is more discriminant; with the limit value of 80 mmHg we should consider elderly patients as hypoxemic (# 13: aged 70 years, and # 14: 72 years) while, viceversa, we cannot detect hypoxemia in younger patients (# 1: 25 year-old patient with a sitting PaO2 of 82 mmHg). The lying down position (figure 2) provoked a fall in arterial oxygen tension in all but one patient, in whom the PaO2 was substantially unchanged (from 32 MRM 88.2 to 89.4 mmHg), but a higher percentage of hypoxemia was detected in the lying position (table III): 77.8% (14 out of 18 patients) compared to 33% of standing hypoxemia. We propose the term “clinodeoxia”, as the reverse of orthodeoxia, to describe the accentuated arterial oxygen desaturation in the lying position. From our findings on this series of liver cirrhosis patients three points are worthy of note: 1) Hypoxemia was seen in about one third of the patients affected by liver cirrhosis. 2) In most of them, similar to normal subjects, the MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 33 18 FIGURE 3: MAGNITUDE OF POSTURAL CHANGE [LYING/SITTING (%)] OF PaO2 ACCORDING TO THE BASAL, SITTING, VALUE 20 14 15 12 10 ∆ PaO2 lying/sitting (%) MV (l/min) 16 10 8 6 4 y=2.4774x + 19.702 r=0.543; p=0.02 2 0 0 -5 -10 -15 y=0.2424x + 11.378 r=0.5074; p=0.031 0 0 1 2 3 Albumin (g/dl) 4 5 -20 50 60 Definition of abbreviation: MV, minute ventilation. 70 80 PaO2 sitting (mmHg) 90 100 Definition of abbreviation: PaO2, arterial oxygen tension. PaO2 deteriorated when lying down, but the decrease in PaO2 was often more pronounced than expected (“clinodeoxia”). 3) The postural trends of MV, VA and R-L shunting (which are the pathophysiological mechanisms accounting for this “clinodeoxia”) were significantly related to the patient's age. The peculiar, posture-related hypoxemia described by Robin et al. [11] and by Kennedy and Knudson [29] was related to gravity-located vascular shunts; Santiago and Dalton [30] postulated that the orthodeoxia of their case report may be due to increased fractional flow through the arteriovenous malformations or to a reduction in cardiac output and mixed venous oxygen saturation without a change in the magnitude of the shunt. In any case, all the previous investigations were undertaken only because the patients complained of a peculiar dyspnea while supine (platypnea). Our study shows that, in the absence of platypnea, the supine position provokes a fall in PaO2. Abnormal vascular lung shunts, if present, should not have a gravity-related (basal) distribution, as would happen in patients with platypnea, but a uniform distribution through the vertical axis of the lungs. In the study of Edell et al. [31], five out of six patients had severe hypoxemia (lower than 60 mmHg). In the report of Krowka and Cortese [32], 9 out of 11 patients had a PaO2 lower than 60 mmHg: in this study 10 patients showed an improvement of PaO2 while lying (an increase higher than 10% was seen in 7; in 3 patients the improvement was lower than 1%); in only 1 patient did the PaO2 deteriorate in lying position. It is noteworthy that the patient with the highest value of sitting PaO2 (65 mmHg) was the only one whose PaO2 decreased while FIGURE 2: INDIVIDUAL VALUES OF PaO2 IN SITTING AND RECUMBENT POSITION (IDENTITY LINE IS SHOWN) FIGURE 4: RELATIONSHIP BETWEEN POSTURAL VARIATION [SITTING/SUPINE (%)] OF MINUTE VOLUME AND AGE 100 F Polverino, C Santoriello, V De Sio, V Musella, C De Rosa, G Cicchitto, F De Blasio, F Andò, M Polverino Recumbent hypoxemia in cirrhosis - Ipossiemia in clinostatismo nella cirrosi FIGURE 1: RELATIONSHIP BETWEEN ALBUMIN AND MINUTE VENTILATION IN SITTING POSITION 150 ∆ MV sitting/supine (%) PaO2 lying (mmHg) 90 80 70 100 50 60 y=0.4582x + 133.77 r=0.5266; p=0.025 50 0 50 60 70 80 PaO2 sitting (mmHg) 90 Definition of abbreviation: PaO2, arterial oxygen tension. 100 0 20 40 60 age (yrs) 80 100 Definition of abbreviation: MV, minute ventilation. MRM 33 16-05-2007 16:38 Pagina 34 FIGURE 5: RELATIONSHIP BETWEEN POSTURAL VARIATION [SITTING/SUPINE (%)] OF ALVEOLAR VENTILATION AND AGE 350 y=2.6865x + 281.69 r=0.62; p=0.006 ∆ R-L shunting sitting/supine (%) 300 100 50 y=0.9747x + 161.73 r=0.6672; p=0.0025 250 200 150 100 50 0 0 0 20 40 60 age (yrs) 80 100 0 20 40 60 age (yrs) 80 100 Definition of abbreviation: VA, alveolar ventilation. Definition of abbreviation: R-L, right-left. supine; the highest values of PaO2 among the remaining 10 patients (respectively 61, 54 and 47 mmHg) were recorded in the three patients in whom the change of posture produced a very slight increase (lower than 1%) of PaO2; values between 44 and 31 mmHg were recorded in the other patients who showed orthodeoxia. The sitting PaO2 in the case report of Kennedy and Knudson [29] was 47.3 mmHg. In the report of Robin et al. [11], the sitting PaO2 was 44 and 36 mmHg in the two patients affected by chronic liver disease, and 39 mmHg in the patient affected by congenital arteriovenous fistula. Several groups of disorders have been associated with platypnea-orthodeoxia syndrome, such as some lung diseases (pulmonary arteriovenous shunt, chronic obstructive pulmonary disease, pneumonectomy, hepatopulmonary syndrome, lung embolism, adult respiratory distress syndrome), intracardiac shunt (foramen ovale), and autonomic neuropathy [43-57]: the common feature in all these cases is always a severe, standing hypoxemia. In our study, undertaken in unselected patients, the values of sitting PaO2 ranged between 57.8 and 93.7 mmHg. According to the predicted value in the same posture, hypoxemia (PaO2 lower than 90% of predicted) was detected in six patients. The patient with the lowest value of sitting PaO2 showed a slight variation (of nearly 2%) when posture changed. Therefore the main difference between ours and other studies based on liver cirrhosis patients lies in the different criteria of patient selection. Most of the patients in the other reports had severe hypoxemia whilst those in our study were not selected on the basis of PaO2. The different results and the conclusions, consequently, cannot be homogeneously compared. Orthodeoxia (and the correspondent clinical symptom: platypnea) can probably be found only in severely hypoxemic patients, while in normoxemic and also in non severely hypoxemic patients affected by liver cirrhosis, the postural variations follow the trend of normal subjects, even if with a different magnitude. It has been well documented that, in normal subjects, recumbency increases the total cardiac output by an increase in venous return that results in a very high stroke volume [58]; similarly, the recumbent decrease in FRC by moving tidal breathing into airway closing volume is the major factor determining arterial desaturation in the supine position [24,27,59]. In conclusion, liver cirrhosis produces significant variations of the respiratory function. The variations in ventilation are strictly related to the disease, as emphasized by the significant relationship between MV and albumin. Compared to the sitting position, more patients have hypoxemia when in recumbency FIGURE 6: RELATIONSHIP BETWEEN POSTURAL VARIATION (SITTING % SUPINE) OF DEAD SPACE VENTILATION AND AGE 250 ∆ VD/VT sitting/supine (%) 200 y=1.5364x + 25.299 r=0.6156; p=0.0065 150 100 50 0 0 20 40 60 age (yrs) 80 Definition of abbreviation: VD/VT, physiological dead space. 34 MRM FIGURE 7: RELATIONSHIP BETWEEN POSTURAL VARIATION (SITTING % SUPINE) OF RIGHT-TO-LEFT SHUNTING AND AGE 150 ∆ VA sitting/supine (%) Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 28-36 MRM 01-2007_def 100 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 35 contrary, show a more pronounced recumbent hypoxemia (“clinodeoxia”). Orthodeoxia and platypnea are not markers of chronic liver diseases but, when present, should be considered as hallmarks of severe, standing hypoxemia, regardless of the underlying determining mechanism. CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: The authors do not have any financial relationship with a commercial entity that has an interest in the subject of this manuscript. References 1. Fluckiger M. Vorkommen von trommeelschlagelformigen Fingerendphalangen ohne chronische veranerungen an den lungen oder am Herzen. Med Wochenschr (Wien) 1884;34:1457-1458. 2. Snell AM. The effects of chronic disease of the liver on the composition and physicochemical properties of blood: changes in the serum proteins; reduction in the oxygen saturation of the arterial blood. Ann Intern Med 1935;9: 690-711. 3. Karetzky MS, Mithoefer JC. The cause of hyperventilation and arterial hypoxia in patients with cirrhosis of the liver. Am J Med Sci 1967;254:797-804. 4. Cotes JE, Field GB, Brown GJA, Read AE. Impairment of lung function after portocaval anastomosis. Lancet 1968;1:952-955. 5. Ruff F, Hughes JM, Stanley N, McCarthy D, Greene R, Aronoff A, Clayton L, Milic-Emili J. 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Abnormal vascular lung shunts, if present, should not have a gravity-related (basal) distribution, as would happen in patients with platypnea, but should have a uniform distribution through the vertical axis of the lungs. Orthodeoxia (and its clinical manifestation: platypnea) is not common in cirrhotic patients, who, on the MRM 35 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 28-36 MRM 01-2007_def 36 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 36 34. Ogilvie CM, Forster RE, Blakemore WS, Morton JW. A standardised breathholding technique for the clinical measurement of the diffusing capacity of the lung for the carbon monoxide. J Clin Invest 1957;36:1-7. 35. Cotes JE, Dabbs JM, Elwood PC, Hall AM, McDonald A, Saunders MJ. Iron-deficiency anaemia: its effect on transfer factor for the lung, diffusing capacity and ventilation and cardiac frequency during submaximal exercise. Clin Sci 1972;42:325-335. 36. Mellemgaard K. The alveolar-arterial oxygen difference: its size and components in normal men. 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MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 37 Rassegna / Review Scarsa aderenza al trattamento e mancato controllo dell'asma Uncontrolled asthma and poor treatment compliance Roberto Walter Dal Negro Divisione di Pneumologia, Ospedale Orlandi, Bussolengo (VR) RIASSUNTO Uno scarso livello di compliance e/o di aderenza al piano terapeutico è fenomeno frequente nei pazienti con asma bronchiale, per la quale è comunque prevista una strategia terapeutica di lungo periodo con uno o più principi attivi, prevalentemente per via inalatoria. Sono diversi gli attori potenzialmente coinvolti in tale fenomeno (paziente, medico, care-giver, ecc) che comunque riconosce ulteriori determinanti, legati principalmente ai principi attivi impiegati e alla metodologia usata per la loro assunzione. Fattori intenzionali e non intenzionali possono contribuire a determinare un insufficiente livello di aderenza alla terapia: è comunque certo che il livello di compliance/aderenza al piano terapeutico è in grado di condizionare in maniera significativa la gestione della malattia e gli esiti clinici, sociali ed economici ad essa correlati. Per un efficace governo clinico dell'asma bronchiale non va quindi trascurata l'analisi e la comprensione di tutti i fattori che possono influire negativamente sulla compliance alla terapia, centrando gli eventuali interventi sul miglioramento delle strategie per la somministrazione dei farmaci, sull'ottimizzazione della partnership medico-paziente e sull'implementazione delle strategie di comunicazione. SUMMARY Poor compliance and poor adherence to treatment and to medical advice are common in asthma, which is a disease requiring long-term assumption of one or more drugs, mainly assumed via the inhalation route. Several actors (patient, doctor, caregiver, etc.) are actively involved in the disease management process and several determinants of the poor treatment adherence are known, mainly related to both the pharmacological substances and the devices used for therapeutic purposes. Intentional and non intentional factors can contribute to compliance to treatment which is able to affect the outcomes of asthma management substantially. The identification of these factors represents a crucial step in the clinical governance of bronchial asthma. Possible interventions should be oriented to: optimizing drug administration strategies, reinforcing the doctor-patient partnership, and implementing communication strategies in order to improve the patient-centered care of bronchial asthma. Parole chiave: Aderenza al trattamento, asma bronchiale, compliance. Keywords: Adherence to treatment, bronchial asthma, compli- INTRODUZIONE sono contribuire a rendere particolarmente complessa l'interpretazione degli accadimenti e dei comportamenti ad essi correlati, rendendo in tal modo assai complicata la gestione clinica di tale forma morbosa. Infatti, se sono essenziali le scelte basate sulla valutazione delle caratteristiche intrinseche delle molecole da impiegare, lo sono altrettanto quelle che tengono conto delle modalità di somministrazione dei diversi principi attivi disponibili e quelle che valutano nella giusta misura la possibilità di rispondere al meglio alle esigenze del paziente, identificato L'asma bronchiale rappresenta certamente una condizione patologica nella quale il ruolo della terapia farmacologica riveste notoriamente un valore critico, nondimeno quello del piano terapeutico risulta assolutamente strategico [1]. I determinanti di coinvolgimento e adesione al processo terapeutico da parte del paziente, pur se ampiamente indagati e valorizzati in tempi recenti, non risultano ancora del tutto definiti e compresi [2]. Sono molte infatti le fonti di variabilità che pos- ance. Roberto Walter Dal Negro Divisione di Pneumologia, Ospedale Orlandi Via Ospedale 2, 37012 Bussolengo (VR), Italia email: [email protected] Data di arrivo del testo: 05/02/2007 - Accettato per la pubblicazione: 05/03/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 37-45 MRM 37 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 37-45 MRM 01-2007_def 38 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 38 come unico riferimento dell'attenzione e dell'azione terapeutica, ed inserito nella sua vita reale quotidiana [3]. Da un punto di vista generale, l'asma bronchiale è oggi considerata una forma morbosa caratterizzata, in varia maniera e con diverse connotazioni, dalla presenza di fenomeni di origine infiammatoria [1,46]. Dal punto di vista semeiologico, la tosse, l'ipersecrezione, il senso di costrizione toracica, la broncocostrizione e la dispnea episodica o persistente (solo a seguito di sforzo fisico o anche a riposo, prevalentemente diurna o prevalentemente notturna) e l'esaltata risposta bronchiale a particolari trigger (come gli agenti allergenici e/o gli stimoli aspecifici), oltre ad una più o meno precisa e prolungata stagionalità annuale, rappresentano i segni ed i riferimenti clinici più caratteristici e di più agevole riscontro. Va comunque tenuto in debita considerazione che la persistenza delle alterazioni strutturali, il frequente ricorrere o perdurare dei principali fattori di rischio, dei trigger e in genere delle condizioni di variabilità della malattia, fanno sì che il paziente di fatto necessiti di un trattamento regolare e quotidiano di lungo periodo orientato al raggiungimento del suo controllo clinico. E per controllo si intende la normalizzazione (o l'ottimizzazione) multidimensionale della malattia, comprendendo le alterazioni fisiopatologiche, la sintomatologia clinica, la qualità di vita e l'impatto sociale ed economico dell'asma [2,7-9]. Da un punto di vista generale, la gestione strategica di questo genere di pazienti diventa complessa proprio in virtù di tali obiettivi da raggiungere ed è ad essi richiesta un'adesione quotidiana ever and ever ai programmi terapeutici, oltre che un elevato grado di skillness gestionale di se stessi. Purtroppo, però, i dati disponibili, anche quelli più recenti, stanno invece a dimostrare come da parte dei soggetti asmatici sia ancora insufficiente il livello di adesione alle strategie terapeutiche per essi impostate. In un recente studio condotto su oltre 500 soggetti asmatici adulti al fine di valutare l'aderenza all'uso di farmaci controller, la non aderenza terapeutica per almeno due volte la settimana si è verificata nel 27% dei soggetti per un motivo accidentale, ma nel 24% dei casi è stata dimostrata essere di natura intenzionale [10]. Non a caso, anche tutte le più recenti linee guida sottolineano ed enfatizzano l'importanza di instaurare strategie terapeutiche le più semplici possibili, e corredate da indicazioni comportamentali altrettanto semplici e chiare [1]. È importante comunque puntualizzare la differenza ormai accettata fra il termine “compliance” ed il termine “aderenza” alla terapia: mentre con il primo termine si intende la capacità del paziente di adeguarsi passivamente, in qualità di semplice esecutore, al programma terapeutico o gestionale per lui prescelto, col secondo si intende invece la capacità autonoma del paziente di assecondare criticamente ed in maniera motivata e consapevole il piano terapeutico in tutte le sue fasi, risultandone l'at- tore principale ed alla fine il principale decisore [3,11]. Non si tratta solo di una distinzione semantica, in quanto vi sono racchiuse tutte le motivazioni e tutti i valori che hanno determinato, ormai in modo irreversibile, il passaggio etico-filosofico dal modello paternalistico a quello contrattuale della professione sanitaria. Sono numerosi i fattori che possono condizionare la compliance del paziente asmatico e/o la sua aderenza al progetto terapeutico (Tabella I). A - Fattori di natura farmacologica È ormai condiviso l'assunto che l'asma bronchiale debba essere considerata una condizione patologica persistente di natura infiammatoria in grado, fin dai suoi più precoci stadi evolutivi, di coinvolgere estesamente le strutture bronchiali (epitelio, mucosa, sottomucosa, vascolarità, muscolatura liscia, terminazioni nervose). A ciò, dal punto di vista clinico, corrispondono iperreattività bronchiale, tosse, ipersecrezione, ostruzione bronchiale, senso di costrizione toracica, limitazione funzionale e, con frequenza variabile, episodi anche gravi di broncospasmo, reversibili (totalmente o parzialmente) spontaneamente o a seguito di terapia [1]. Tale variabilità di espressione clinica può far sì che il paziente passi repentinamente da una situazione di quasi normalità o completa normalità ad una situazione clinicamente grave o molto grave. Ciò, unitamente ad un'ancora insufficiente conoscenza dei fenomeni, ha contribuito non poco ad ingenerare il falso convincimento che asma bronchiale (e quindi il suo riconoscimento clinico) debba necessariamente corrispondere e coincidere con quella che di fatto rappresenta soltanto la fase critica della malattia, in altri termini con la crisi d'asma. Per converso, l'assenza di segni clinici conclamati, peraltro variamente percepiti dal paziente e valorizzati dal medico, è ancora troppo spesso interpretata come “assenza di malattia” piuttosto che come “fase in cui la malattia è sotto controllo”. Un recente studio su questo particolare aspetto ha dimostrato come il 53% dei pazienti adulti con asma persistente siano convinti di non essere ammalati di asma quando non manifestano i tipici segni clinici della malattia. Un tale errato convincimento è stato dimostrato correlare positivamente con l'età ed il sesso maschile dei soggetti, oltre che con l'elevato consumo di steroidi per via orale, con la scarsa conoscenza del valore strategico della terapia prescritta e col basso livello di self-management [12]. Il fatto che l'asma bronchiale troppo spesso venga ancora approcciata in tal modo nella vita reale è purtroppo ancora documentabile e percepibile nella gestione quotidiana (territoriale e non solo) della malattia: dati recenti hanno infatti dimostrato come, tuttora, una rilevante quota di soggetti asmatici sfugga completamente alla diagnosi clinica e alla stadiazione di gravità della malattia, e vengano gestiti in modo estemporaneo, mediante l'impiego di soli farmaci al bisogno; di fatto negando la dignità di malattia all'asma bronchiale, misconoscendola [5]. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 39 1 fattori correlati ai principi attivi impiegati • tollerabilità (locale e sistemica) • “dislike” • complessità del piano terapeutico (numero e frequenza delle somministrazioni; farmaci a diversa via di assunzione; combinazione di farmaci a diversa cinetica di azione, ecc) • efficacia ed efficacia percepita 2 fattori correlati alla via e modalità di assunzione/erogazione • più vie di somministrazione • unica via di somministrazione per principi attivi combinati • tipo di device 3 fattori correlati al paziente • età e sesso • profilo di personalità • livello socio-culturale • convincimenti etico-religiosi • patologie concomitanti • conoscenza della malattia • propensione al self-management 4 fattori correlati al medico • conoscenza specifica • grado di empatia e sinergia col paziente • comunicazione (predisposizione di piani scritti) 5 fattori correlati alla “public awareness - pubblica consapevolezza” Il risultato finale è che, a differenza di quanto avviene nei soggetti puntualmente identificati come asmatici, a tali soggetti non risulta possibile accedere in egual misura e con la dovuta tempestività ed efficacia alle cure appropriate per il controllo della malattia, non restando loro, in caso di necessità, che ricorrere alle strutture di emergenza per far fronte alle situazioni di criticità anche frequenti che non sono in grado di gestire e controllare autonomamente. I principi di appropriatezza e congruità terapeutica entrano quindi prepotentemente in gioco e su queste basi andranno valutate compliance ed aderenza al programma terapeutico. Soprattutto nell'ambito di un trattamento prolungato (a medio-lungo termine) come l'asma richiede, è perfino troppo evidente che sia la compliance che l'aderenza al trattamento possano e debbano risentire sfavorevolmente di una scarsa o cattiva tollerabilità dei principi attivi impiegati. L'insorgenza non rara di effetti collaterali locali o sistemici rappresenta ovviamente motivo di sospensione spontanea e intenzionale della terapia da parte del paziente, in questi casi motivata da accadimenti non dipendenti dalla sua volontà. È peraltro vero che la tollerabilità dei farmaci utilizzati nel trattamento di patologie respiratorie croniche, specie per quelli somministrati per via inalatoria, è da ritenere generalmente assai buona (Tabella II): un'attenta analisi delle cause degli effetti indesiderati riscontrabili consente di ricondurli spesso a un loro incongruo uso (dosaggio errato o eccedente; assunzione in condizioni non ottimali e non aderenti a quanto consigliato; particolare sensibilità del soggetto; insufficiente illustrazione dei limiti di impiego, ecc). Un fenomeno da non trascurare e comunque connesso alle molecole impiegate è quello del dislike, cioè della percezione sgradevole del farmaco assunto da parte del paziente, che quindi tenta di rifiutarlo o lo rifiuta in toto dopo le prime assunzioni. Salvo casi paradigmatici di scadente palatabilità, in molti di questi episodi i motivi oggettivi per il rifiuto risultano fortemente intricati a quelli soggettivi e, a volte, di difficile attribuzione esclusiva. È inoltre evidente che, indipendentemente dalla qualità dei principi attivi prescritti ed impiegati, sia la compliance che l'aderenza alla terapia risulteranno altrettanto condizionate dalla loro quantità, intendendo con ciò soprattutto il numero, e quindi la frequenza, delle somministrazioni giornaliere da effettuare che, nel caso specifico, avvengono nella maggior parte dei casi per via inalatoria e/o orale. In altri termini, la complessità del piano terapeutico è certamente un fattore che può risultare gravemente condizionante un livello accettabile di compliance/aderenza, specie quando prevede, al contempo, l'assunzione quotidiana e frequente di farmaci per via orale e di farmaci per via inalatoria, soprattutto se a cadenze orarie diverse e ravvicinate nell'arco della giornata. È noto infatti che, nell'asmatico adulto, passando da una a quattro somministrazioni giornaliere l'aderenza alla terapia si abbatte drasticamente dal 87% al 39%, con cifre ancor più basse in età adolescenziale e giovanile [13]. In un'ottica di strategie di controllo, un corretto approccio terapeutico deve comunque proiettarsi nel RW Dal Negro Aderenza al trattamento e compliance nell'asma - Treatment adherence and compliance in asthma TABELLA I: FATTORI IN GRADO DI CONDIZIONARE LA COMPLIANCE E L'ADERENZA ALLA TERAPIA MRM 39 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 37-45 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 40 lungo periodo e non accontentarsi di risultati immediati e gratificanti ottenibili già dopo pochi giorni. Sappiamo che l'asma riconosce la flogosi come fondamentale momento patogenetico e in tale contesto i corticosteroidi inalatori sono i farmaci antinfiammatori più efficaci nel trattamento a lungo termine dell'asma. Inoltre rivolgendosi a questa malattia come ad una condizione patologica persistente e, quindi, da controllare tutti i giorni e per tutto l'arco delle 24 ore (notte compresa), risulta consequenziale dover privilegiare principi attivi in grado di consentire il controllo long-term dei sintomi, dotati sia di una tollerabilità adeguata che di un numero ragionevole di somministrazioni giornaliere (non più di due volte al dì). È il caso dei farmaci β2 adrenergici a lunga durata di azione (LABA), la cui efficacia è documentata persistere almeno fino a 12 ore dalla loro assunzione. Ecco, quindi, che diventa consequenziale la necessità di associare costantemente gli steroidi inalatori (ICS) ai LABA: ciò al fine strategico di incidere efficacemente anche sugli effetti del coinvolgimento flogistico delle strutture bronchiali, e quindi sui meccanismi patogenetici fondamentali della malattia [6]. Va ricordato che la terapia di combinazione è indicata nel trattamento regolare dell'asma in pazienti che non sono adeguatamente controllati con corticosteroidi per via inalatoria e con β2 agonisti a breve durata d'azione usati al bisogno o in pazienti che sono già adeguatamente controllati sia con corticosteroidi per via inalatoria che con β2 agonisti a lunga durata d'azione. Per quanto attiene i potenziali motivi di ridotta compliance terapeutica correlabili alla tollerabilità degli steroidi inalatori, va tenuto presente che, a conferma di quanto ricordato precedentemente, la loro tollerabilità locale e sistemica si è dimostrata di andamento lineare e proporzionale alla dose assunta. Differente è l'andamento della funzione che ne rappresenta l'efficacia, la quale invece non risulta lineare [14], con ciò significando che il controllo della malattia medio-grave non va perseguito con la somministrazione regolare e prolungata dei soli steroidi inalatori a dosi elevate, ma, come hanno già da tempo dimostrato alcuni studi fondamentali, mediante l'aggiunta di un β2 agonista long-acting, in quanto questa strategia long-term è in grado di produrre un consistente miglioramento del controllo dei sintomi, ben più efficace di quanto ottenibile col raddoppio della dose dello steroide [14-19]. Tuttavia, poiché tale strategia terapeutica deve essere regolarmente mantenuta per tempi lunghi, ritorna attuale il problema della compliance e dell'aderenza al trattamento: un loro insufficiente utilizzo può infatti condizionare di per sé, in maniera anche significativa, il disease management della malattia asmatica (Tabella II). Infine, se è scontato l'aspetto meramente correlato all'efficacia intrinseca dei principi attivi impiegabili ed impiegati (requisito garantito sulla base degli standard e delle procedure previste dalle istituzioni nazionali ed internazionali preposte), non è del tutto scontato l'aspetto della “efficacia percepita” da parte del paziente. Non è raro, infatti, che alcuni principi attivi, proprio in virtù della non-percezione immediata da parte del soggetto che li assume di un loro effetto benefico sul sintomo, vengano di fatto abbandonati poco dopo l'inizio della terapia, in quanto ritenuti erroneamente inefficaci. Per converso, altri principi attivi vengono privilegiati dal paziente, fino ad abusarne, in virtù di una fugace efficacia sul sintomo, sufficiente comunque a gratificarlo, indipendentemente dal loro valore terapeutico strategico nel lungo periodo o dalla possibilità di indurre effetti indesiderati anche rilevanti. È questo il caso paradigmatico dei β2 adrenergici short-acting (SABA), di cui infatti il paziente asmatico tendenzialmente abusa ed ai quali ancora troppo spesso egli si rivolge in maniera estemporanea. Anche la frequente autoprescrizione di SABA è risultata correlare molto bene con la scarsa conoscenza della malattia e con la scarsa attitudine del paziente (e verosimilmente anche del suo medico) ad approntare efficacemente un piano per il self-management [12]. B - Fattori correlati alla via e alla modalità di assunzione/erogazione Il ricorso alla via inalatoria per la somministrazione di sostanze ad uso terapeutico rappresenta una prassi ormai invalsa nell'uso e consolidata da molti anni soprattutto in medicina respiratoria, specialità nella quale tale via di somministrazione è, in assoluto, da ritenere la più conveniente. Da un punto di TABELLA II: ASPETTI DELLA TERAPIA FARMACOLOGICA IN BASE ALLA VIA DI SOMMINISTRAZIONE DEL PRINCIPIO ATTIVO Via di assunzione del principio attivo Facilità Orale Inalatoria ++ + +± Necessità di supporti +++ - + Assorbimento +++ ++ ± Possibili interferenze farmacocinetiche ++ ++ ± Effetti collaterali +± +± ± Raggiungimento target Rapidità d'azione 40 MRM Parenterale + + +++ +++ + +++ MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 41 trollato diventa il margine di variabilità in termini di efficacia (effectiveness), fortemente determinato da quanto il paziente è in grado di eseguire correttamente l'inalazione. Anche studi molto recenti confermano che i pazienti che usano MDI commettono errori procedurali con alta frequenza e tali da inficiare, non raramente, l'efficacia terapeutica del prodotto inalato. Uno studio condotto su oltre 3.800 soggetti asmatici ha dimostrato che ancora oggi il 75% dei soggetti commettono almeno un errore procedurale rilevante impiegando gli MDI tradizionali, mentre tale proporzione si riduce al 50-55% con l'impiego degli MDI breath-actuated [23]. Gli errori più comuni continuano ad essere la non effettuazione di una manovra espiratoria prima di inspirare dal device (28,9%) e il non trattenere il respiro dopo aver eseguito l'inalazione del farmaco (28,3%). Un rilevante salto di qualità è stato compiuto da quando sono stati introdotti i più moderni erogatori per polveri secche. Questi device consentono, fra gli altri, un grande vantaggio: quello di prescindere in maggior misura dalle capacità cognitive e motorie del paziente. Si verifica così una serie di processi favorevoli a cascata: una maggiore frazione respirabile del farmaco implica una maggior efficacia del principio attivo inalato e una riduzione dell'incidenza degli effetti collaterali orofaringei, da cui risulta un sensibile miglioramento della compliance/aderenza al piano terapeutico. L'efficacia reale (efficacy) e quella percepita risultano perciò assai maggiori. Limitatamente agli errori dipendenti esclusivamente dal tipo di device (comunque possibili in virtù delle differenze costruttive, a volte rilevanti, che li contraddistinguono), la proporzione di chi commette almeno un errore rilevante è risultata del 69% con gli MDI, percentuale che cala drasticamente con l'impiego dei moderni inalatori di polveri secche (DPIs) come il Turbohaler (32%) e il Diskus (12%), risultando quest'ultimo quello impegato in maniera di gran lunga più efficace dai pazienti asmatici [23]. In una recente ricerca condotta su oltre 150 pazienti adulti con ostruzione bronchiale persistente, il Turbohaler è risultato il device che ha dimostrato il più basso livello di preferenza da parte dei pazienti, in virtù dell'elevato numero di manovre richieste per l'attuazione dell'inalazione. Ciò è risultato indipendente dall'età, dal sesso dei soggetti e dalla loro precedente esperienza con DPIs; le maggiori criticità del device sono state identificate nella difficoltà del suo impiego nelle situazioni critiche e nella sua scarsa maneggevolezza [24]. Il problema si complica ulteriormente quando al paziente vengano prescritti due o più principi attivi diversi da assumere quotidianamente sempre mediante MDI, magari secondo precise sequenze di assunzione nell'arco della giornata. La recente disponibilità di combinazioni di due farmaci inalatori fondamentali nella gestione dell'asma (LABA + ICS) erogati da un unico device, specie se sotto forma di polveri secche, ha determina- RW Dal Negro Aderenza al trattamento e compliance nell'asma - Treatment adherence and compliance in asthma vista generale, i vantaggi della via inalatoria per la somministrazione dei farmaci di interesse respiratorio sono molteplici: il farmaco viene convogliato nelle vie aeree ove agisce direttamente, risultandone esaltata l'efficacia; viene evitato il first step epatico del principio attivo e la sua degradazione lungo il tratto gastrointestinale; possono essere usate dosi efficaci assai inferiori a quelle sistemiche del principio attivo, con grandi vantaggi in termini di tollerabilità; possono essere evitate eventuali interferenze farmacocinetiche e farmacodinamiche con altre sostanze biologicamente attive (Tabella II). Tuttavia, l'inalazione dei principi attivi può variare, anche in maniera consistente, a seconda delle modalità adottate e del tipo di erogatore impiegato per l'assunzione del farmaco, fattori che, a loro volta, possono influire in maniera rilevante sulla compliance e sull'aderenza alla terapia. Per esempio, nel caso venga impiegato un aerosolizzatore domestico tradizionale, la dose di farmaco (o di farmaci) inalata risulta certamente variabile in funzione dell'attenzione e dell'accuratezza poste dal paziente nell'approntare il binomio farmaco-aerosolizzatore, e in secondo luogo anche in funzione dei limiti tecnici intrinseci agli strumenti impiegati, di cui il paziente solitamente nulla conosce. In sintesi, oltre a risentirne l'efficacia del farmaco inalato (di solito si tratta di più farmaci mescolati estemporaneamente dal paziente stesso all'atto di porli nell'ampolla dell'aerosolizzatore), le procedure richieste da questo tipo di inalazione e il tempo necessario al completamento dell'erogazione del farmaco (da ripetere più volte al giorno) finiscono per favorire la non compliance al piano terapeutico. Inoltre, la quota di farmaco che residuerà nel cavo orofaringeo potrà contribuire ad abbassare la tollerabilità locale, inducendo un'ulteriore riduzione intenzionale della compliance. A partire dagli anni '60 si è reso possibile assumere i farmaci mediante inalatori pressurizzati predosati (MDI): ancora oggi, la maggior parte della terapia inalatoria viene effettuata mediante tale sistema di erogazione. Nell'arco degli anni si sono resi disponibili numerosissimi erogatori pressurizzati di foggia e dimensioni diverse, variamente caratterizzati per peculiarità tecniche e costruttive, ma purtroppo non sempre ugualmente rispondenti alle necessità. Nonostante l'apparente semplicità d'impiego, l'inalazione mediante MDI comporta alcuni aspetti di criticità di valore non trascurabile, parzialmente correlati alla struttura intrinseca del device usato e alla difficoltà del suo impiego pratico. Fondamentalmente, la necessità di coordinamento fra l'atto di inalare e la manualità richiesta per attuare l'inalazione ha fatto sì che tale genere di erogatori, pur se a tutt'oggi i più divulgati, siano tuttavia quelli peggio utilizzati dai pazienti [20-22]. Va infatti sottolineato che se le performance terapeutiche assolute di principi attivi appartenenti alla medesima categoria terapeutica si possono fra loro differenziare in modo significativo in virtù delle caratteristiche farmacologiche intrinseche che li contraddistinguono (efficacy), assai ampio ed incon- MRM 41 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 37-45 MRM 01-2007_def 42 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 42 to un ulteriore, sensibile miglioramento dell'aderenza terapeutica long-term da parte dei pazienti asmatici, confermata anche in studi recenti. Tali vantaggi sono stati anche dimostrati per le fasce di età tradizionalmente meno complianti alla terapia inalatoria prolungata (adolescenti, anziani) [25-27]. C - Fattori correlati al paziente In corso di asma bronchiale, la compliance/adesione al trattamento dipende grandemente dalla volontà e dalla decisionalità del paziente: in altri termini dalla sua capacità di corrispondere in maniera più o meno intenzionale a quanto consigliatogli e/o prescrittogli dal medico. Si potrà quindi parlare di compliance totale, parziale, o non-compliance a seconda che il paziente segua, o sia in grado di seguire, meticolosamente, piuttosto che parzialmente (in termini di dosi o di durata della terapia), o non segua affatto quanto gli è stato detto e prescritto dal medico che lo ha in cura. A questo proposito è ormai consolidato il consenso sul fatto che l'assunzione da parte del paziente delle dosi consigliate in proporzione < 70-75% rispetto a quelle prescritte rappresenta un livello insufficiente di compliance/aderenza alla terapia: al di sotto di questa soglia, infatti, l'efficacia della strategia terapeutica è da ritenere inficiata. Va da sé che questo valore soglia può essere condizionato da fattori non esclusivamente dipendenti dalla volontà del paziente, ma anche risultare condizionato da limiti fisico-cognitivi (motivati da particolari concomitanze patologiche) eventualmente presenti [20]. In una recente review è stato confermato che, in generale, la compliance dei pazienti asmatici mediamente non supera il 55% [28], ma i risultati più deludenti riguardano l'uso degli steroidi inalatori: in parte poiché essi, come precedentemente ricordato, non determinano al paziente un gratificante effetto immediato sui sintomi (come avviene invece con i β2 adrenergici), in parte per il pregiudizio, in certi casi quasi fobico, nei confronti di tali farmaci, anche se assunti per via inalatoria [29]. L'età e il sesso del paziente sembrano di per sé costituire un fattore rilevante in termini di compliance. In uno studio condotto su oltre 5.500 soggetti con asma bronchiale, l'aderenza alla terapia è risultata correlata in modo diretto al sesso maschile e a un'età > 35 anni, per una copertura terapeutica media di circa 22 giorni/mese [30]. In soggetti di età più giovane, la compliance/aderenza alla terapia long-term risulta assai minore in virtù di alcune motivazioni che questo genere di pazienti adduce: in sintesi, l'asma è vissuta come motivo di diversità e segregazione sociale rispetto ai coetanei sani e la necessità di eseguire la terapia inalatoria quotidiana è ancora oggi percepita come motivo di disabilità almeno nel 25% dei giovani [13]. Non a caso il livello di compliance alla terapia long-term finisce col fare i conti con le aspettative del paziente nei confronti della terapia stessa, risultando la risoluzione dei sintomi (52%), la guarigione definitiva (36%), il miglioramento dello stato fi- sico (21%), e il miglioramento dello stato psicologico (15%) le fondamentali discriminanti dell'efficacia percepita da parte del soggetto asmatico. Naturalmente, anche queste dimensioni risultano a loro volta condizionate da altri fattori, quali il livello di gravità e di conoscenza della malattia, il livello culturale e sociale del soggetto, il suo stato di ansia e insicurezza e, come vedremo successivamente, dal rapporto col proprio medico curante [31,32]. Gli aspetti psicologici ed il profilo di personalità del paziente asmatico risultano giocare di per sé un ruolo effettivamente assai rilevante in termini di aderenza alla terapia prolungata, soprattutto tenendo presente la già nota scarsa correlazione fra effettivo grado dell'ostruzione bronchiale e la percezione della gravità dei sintomi respiratori correlati [33,34]. È stato di recente dimostrato come la depressione possa incidere per circa il 32% nei pazienti asmatici e l'ansia per circa il 35%. Entrambe queste condizioni psicologiche si caratterizzano per una scarsa accettazione della malattia e delle limitazioni da essa imposte, ma anche per una scarsa conoscenza della malattia e per una insufficiente capacità di identificare i segni clinici del peggioramento della stessa. Lo stato ansioso, inoltre, è direttamente proporzionale con il timore di effetti collaterali dovuti alla terapia [35]. Anche tenendo conto di tutti i fattori di complessità e di confondimento sopra riportati, è dunque importante ricercare e adottare le soluzioni gestionali che consentano di ottimizzare l'aderenza alla terapia da parte del paziente. Fatti salvi gli assunti fondamentali sul razionale in termini di efficacia della “terapia di associazione”, tutti gli studi controllati ad oggi disponibili in letteratura sull'impiego clinico a medio-lungo termine della “terapia di combinazione” sottolineano la migliore convenienza terapeutica di quest'ultima, soprattutto in termini di accettabilità da parte del paziente e della sua adesione al programma terapeutico. In altre parole, la “terapia di combinazione” da un unico erogatore si conferma capace di migliorare ulteriormente l'effectiveness della ormai consolidata “terapia di associazione”, riducendo in maniera significativa il ruolo dei molti fattori critici legati alla doppia inalazione da erogatori diversi. A questo proposito, un'indagine telefonica condotta su soggetti ignari di essere controllati dal punto di vista della loro adesione al trattamento e ai quali veniva richiesto soltanto di riferire (dopo 2 e 4 settimane dall'inizio del trattamento) il numero di dosi residue nell'erogatore all'atto della telefonata, ha consentito di dimostrare come l'impiego di un unico erogatore per la terapia combinata facesse sì che il livello di adesione fosse superiore al 90% ancora dopo 4 settimane di trattamento, mentre con l'uso di due distinti erogatori la compliance fosse alla stessa epoca già scesa sotto il 75% [25]. D - Fattori correlati al medico Per avere una completa visione dei fattori in grado di condizionare la compliance/aderenza alla tera- MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 43 glior controllo dei sintomi, una migliore qualità di vita, un migliore e più appropriato impiego dei farmaci [40]. In tal modo, infatti, l'aderenza alla terapia risulta grandemente facilitata e favorita, poiché generata e sostenuta da una completa concordanza di intenti fra i due attori principali, oltre che da una efficace e pro-attiva consapevolezza da parte del paziente [3,41]. E - Fattori correlati alla public awareness Nella società attuale, un altro aspetto di cui non va trascurata la rilevanza strategica è quello correlato all'incremento della conoscenza e della consapevolezza di questi problemi a livello di opinione pubblica: ciò, infatti, non potrà che contribuire a sensibilizzare per via indiretta i pazienti asmatici, in quanto anch'essi cittadini inseriti nella società reale e nella vita attiva e produttiva. La promozione di campagne informative in tal senso da parte delle istituzioni sanitarie, oltre a incrementare la sensibilità generale sulla malattia asmatica, indurranno infatti i pazienti ad una più attenta e motivata condotta gestionale di se stessi, in quanto viene loro fornita un'ulteriore opportunità di meglio percepirne il valore strategico anche dal punto di vista della società cui appartengono [42]. In un'ottica di gestione globale della malattia, è quindi sempre più importante conoscere e far conoscere le necessità, le aspettative e i limiti comportamentali del paziente asmatico. Ancora oggi, infatti, una scarsa conoscenza della malattia e dei farmaci assunti giustificano molto spesso aspettative errate da parte del paziente che, a loro volta, possono, per scetticismo, sfiducia e falsi convincimenti, condurre ad una incredibile tolleranza dei limiti indotti dalla malattia, oltre che ad un sempre più basso livello di aderenza alla strategia terapeutica long-term [43]. A tale proposito, il ruolo e l'azione delle associazioni dei pazienti sono di rilevanza non trascurabile, sia perché in grado di raggiungere capillarmente e con messaggi idonei tutti i pazienti affiliati, sia perché possono stimolare con efficaci proposizioni le istituzioni preposte alla salute pubblica [44]. RW Dal Negro Aderenza al trattamento e compliance nell'asma - Treatment adherence and compliance in asthma pia dei soggetti asmatici, va fatto riferimento anche all'altro grande attore coinvolto nel controllo della malattia: il medico. Il suo carisma, la sua empatia, la sua voglia di farsi coinvolgere in modo attivo e pro-attivo nella gestione del paziente rappresentano gli aspetti fondamentali. È perfino troppo evidente, infatti, che l'impegno globale del medico gioca in tutto ciò un ruolo critico: da esso derivano infatti esiti fra loro interdipendenti come la tempestività della diagnosi, l'effettivo controllo clinico della malattia, la soddisfazione del paziente, il corretto e appropriato impegno delle risorse disponibili, il contenimento dei costi sociali. A tale proposito, è stato di recente dimostrato che, ancora oggi, i pazienti asmatici ricevono poco più del 50% della terapia consigliata dalle linea guida e che risulta migliore la gestione della loro malattia se avviene a cadenza routinaria, piuttosto che in occasione degli eventi di riacutizzazione [36]. È quindi sempre più cruciale e critico il ruolo della relazione fra medico e paziente, che sempre più spesso dovrebbe trasformarsi in vera e propria “alleanza” finalizzata a meglio interagire, avendo come obiettivo comune il controllo della malattia asmatica. Studi recenti hanno dimostrato che se tale alleanza è forte e consolidata risulta assai migliore la conoscenza della malattia da parte del paziente; è più elevata l'efficacia e l'utilità percepita della terapia; è più elevato il livello di compliance ed è più frequente ritrovare un efficace self-management da parte del paziente [37]. La propensione del medico a comunicare al paziente le giuste informazioni riguardanti la sua malattia, così come a renderlo edotto sui fattori di rischio e sui più convenienti comportamenti da assumere per evitarne gli effetti più negativi, oltre alla qualità della comunicazione stessa, risultano aspetti critici e capaci di condizionare fortemente gli atteggiamenti e i convincimenti del paziente, e quindi la sua compliance alla strategia terapeutica [11,12,38]. In particolare, nell'ambito di un'efficace partnership medico-paziente, grande attenzione deve essere riservata ai problemi connessi alla gestione terapeutica e all'informazione sui farmaci che al paziente sono stati consigliati e prescritti: ciò soprattutto nell'intento di fugare convincimenti errati e consolidare invece l'assunzione di evidenze che contribuiscano a sostenere una buona aderenza alla terapia nel lungo periodo. Risultati assai incoraggianti sono stati ottenuti avviando i soggetti, specie quelli più predisposti e meglio attrezzati psicologicamente, ad un percorso educazionale guidato, fino all'ottenimento, in alcuni casi, di un soddisfacente livello di self-management: ciò, possibilmente, sulla base di piani strategici scritti da consegnare al paziente, con il duplice intento di consolidarlo nei giusti convincimenti e di accompagnarlo nel percorso terapeutico corretto [39]. Tale modo di procedere si sta sempre più rivelando un metodo gestionale efficace, consentendo migliori outcome clinici e gestionali, quali un mi- CONCLUSIONI In conclusione, nei pazienti affetti da asma bronchiale la scarsa aderenza alla strategia terapeutica è fenomeno frequente e di non trascurabile rilevanza in termini di esito, in quanto contribuisce in modo sostanziale a determinare il non controllo della malattia, oltre che all'aumento dei costi sanitari correlati. Se l'efficacia dell'impegno terapeutico non può essere disgiunta dai concetti di appropriatezza e di congruità della strategia adottata, è tuttavia altrettanto vero che l'attitudine del medico a scegliere le opportunità migliori e più favorevoli al paziente, unitamente alla disponibilità di quest'ultimo ad assecondarle in maniera consapevole e motivata, possono fare la differenza in termini di risultati ottenibili, sia dal punto di vista clinico che socio-economico. MRM 43 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 37-45 MRM 01-2007_def 44 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 44 Implementare il livello di compliance/aderenza alla strategia terapeutica rappresenta forse la strategia più semplice e alla portata di tutti gli operatori sanitari per aumentare in maniera significativa la cost-effectiveness della gestione dell'asma bronchiale, consentendo al paziente di ottenerne un miglior controllo e alla società un minor impegno di risorse. DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: L'autore non ha rapporti finanziari con entità commerciali che abbiano un interesse nel soggetto di questo manoscritto. Bibliografia 1. Global Strategy for asthma management and prevention. WHO/NHLBI Workshop report. National Institute of Health, National Heart, Lung and Blood Institute, Publication n. 95-3659,1995. 2. Chipps BE, Spahn JD. What are the determinants of asthma control? J Asthma 2006;43:567-572. 3. Irwin RS, Richardson ND. 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RW Dal Negro Aderenza al trattamento e compliance nell'asma - Treatment adherence and compliance in asthma 30. 16-05-2007 MRM 45 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 46 Rassegna / Review Identificazione di nuovi outcome per la BPCO Defining new outcomes for COPD 1 Claudio F. Donner, 2Claudio M. Sanguinetti 1 2 Mondo Medico, Centro Medico Polispecialistico e Riabilitativo, Borgomanero (NO) U.O.C. di Pneumologia, A.C.O. San Filippo Neri, Roma RIASSUNTO La BPCO è una malattia respiratoria che può manifestarsi con differenti quadri clinici e determinare anche complicanze sistemiche. Pertanto appare necessario individuare degli “outcome” che, riflettendo la molteplicità delle espressioni cliniche della malattia, siano in grado di rilevare lo stato di salute complessivo del paziente. Fino ad ora nelle sperimentazioni farmacologiche riguardanti la BPCO e nelle valutazioni di tipo medico-legale e assicurativo sono state quasi sempre utilizzate come outcome le modificazioni della funzione respiratoria, in particolare del FEV1, che hanno una scarsa correlazione con i sintomi, con lo stato funzionale e la qualità della vita. Nell'ottica di una valutazione più globale della BPCO bisogna considerare, oltre agli indici funzionali respiratori, altri outcome, come la frequenza ed intensità delle riacutizzazioni, la necessità di terapia al bisogno, lo stato funzionale del paziente e la qualità della vita correlata con lo stato di salute, misurati con appositi strumenti. Parole chiave: BPCO, FEV1, outcome, qualità della vita connessa con la salute, riacutizzazioni, stato funzionale. ABSTRACT COPD is a respiratory disease that can present with different clinical aspects and cause systemic consequences. It seems thus necessary to find outcomes that are able to reflect the variety of clinical manifestations of the disease and to reveal the whole patient's health status. In pharmacological trials and in health insurance assessment relative to COPD patients, respiratory function parameters, in particular FEV1, have been used to date as an outcome measure. However, respiratory function changes show a poor correlation with patients' symptoms, health status and health-related quality of life (HRQoL). Thus, in an overall view of COPD it is necessary to take into consideration, besides respiratory function parameters, new outcomes like the rate and severity of exacerbations, rescue therapy, the patient's functional status and HRQoL measured with appropriate instruments. Keywords: COPD, COPD exacerbations, FEV1, functional status, health-related quality of life, outcome. INTRODUZIONE La definizione di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) contenuta nel recente documento congiunto dell'American Thoracic Society e della European Respiratory Society [1] sottolinea che essa è “una malattia prevenibile e trattabile caratterizzata da una limitazione del flusso aereo che non è completamente reversibile, abitualmente progressiva e associata ad una anormale risposta infiammatoria dei polmoni a particelle o gas tossici, primariamente causata dal fumo di sigarette. Sebbene la BPCO colpisca i polmoni, essa determina anche significative conseguenze sistemiche”. In questa definizione sono contenuti alcuni concetti molto importanti e con caratteristiche decisamente più positive [2] rispetto alle precedenti, in primis quello che richiama l'attenzione sulla possibilità di prevenire la malattia, in particolare contrastando l'abitudine al fumo di sigarette e controllando l'inquinamento ambientale. Ne deriva quindi la necessità di impegnare ogni risorsa per aumentare la conoscenza della malattia e l'educazione ad uno stile di vita più sano, onde impedire che si raggiungano quegli stadi di gravità che comportano una invalidità permanente. Un altro punto è quello della curabilità, che lascia ampio spazio ai continui progressi farmacologici e non farmacologici registrati in questa patologia cronica, che può essere discretamente controllata in un'ampia maggioranza di casi, specie se la diagnosi viene effettuata precocemente e il danno respiratorio non è ancora grave. Infine, l'aspetto forse più innovativo e anche interessante, frutto di numerosi e qualificati studi condotti negli ultimi tempi sull'argomento, è quello che la BPCO, malattia respiratoria cronica, può anche avere, con l'intermediazione di una flogosi sistemica, conseguenze su altri organi ed apparati dell'organismo [3,4]. Claudio M. Sanguinetti U.O.C. di Pneumologia, A.C.O. San Filippo Neri Via Martinotti 20, 00135 Roma, Italia email: [email protected] Data di arrivo del testo: 09/01/2007 - Accettato per la pubblicazione:19/02/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 46-51 46 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 47 lati all'andamento clinico, come le modificazioni della capacità inspiratoria e dell'iperinflazione polmonare, che correlano in modo più attendibile del FEV1 con l'incidenza di mortalità nei pazienti con BPCO [9], anche se persistono ancora alcune difficoltà in ordine alla standardizzazione e riproducibilità dei risultati [10,11]. Gli indicatori di risultato che riflettono lo stato di salute del paziente debbono però comprendere, oltre a misure relative ai valori di funzionalità respiratoria, anche la qualità e l'intensità dei sintomi, la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni (che rappresentano un importante fattore di progressione della malattia), lo stato funzionale del paziente, cioè la capacità che egli ha di svolgere determinate funzioni e in particolare quelle abituali della vita quotidiana, la necessità di ricorrere alla terapia e le sue preferenze in ordine alla stessa, il livello di soddisfazione e la qualità della vita connessa con lo stato di salute [5]. La spirometria, e specialmente i parametri che studiano la pervietà delle vie aeree, come il FEV1, sono molto utili per lo screening diagnostico e, assieme ad altri parametri, per la stadiazione della BPCO. L'emogasanalisi arteriosa è indispensabile per la rilevazione della presenza di insufficienza respiratoria [12,13]. Nei pazienti con BPCO la valutazione funzionale respiratoria assume ancor più valore per il fatto che in ampi studi epidemiologici è emerso che oltre il 60% dei soggetti con deficit spirometrici di tipo ostruttivo non avevano mai ricevuto in precedenza una diagnosi di BPCO e quindi una quota molto rilevante di questa patologia rimane non diagnosticata specie nelle fasi di gravità lieve-moderata [14], mentre d'altra parte è noto che molti pazienti cui è stata attribuita una diagnosi di BPCO non hanno mai eseguito un esame spirometrico. Di fatto, molto spesso la malattia è diagnosticata quando ha già raggiunto un livello di progressione abbastanza avanzato, mentre sarebbe più logico e molto più efficace evidenziare le alterazioni infiammatorie o degenerative nella loro fase iniziale in risposta all'esposizione di inquinanti ambientali o voluttuari, così da poter intervenire con un'opera più efficace di prevenzione. A differenza di altre condizioni patologiche nella BPCO non è stato ancora stabilito definitivamente quali marcatori biologici siano utilizzabili per monitorare la progressione della malattia e anche come indice di risultato nelle sperimentazioni cliniche; tuttavia è ormai chiaro che gli outcome nella BPCO debbano comprendere anche altre variabili, di cui bisogna tener conto nel disegno di trial farmacologici o di ricerca clinica [15]. Si è infatti nel tempo consolidata l'esigenza di poter disporre di altri obiettivi per un giudizio più completo e soprattutto più rispondente a quanto il paziente percepisce. In questo contesto sono stati individuati degli outcome la cui misura può essere riferita direttamente dal paziente, quali lo stato di salute, lo stato funzionale, la compliance verso la terapia e la soddisfazione nei confronti dell'assi- CF Donner, CM Sanguinetti Identificazione di nuovi outcome per la BPCO - Defining new outcomes for COPD Necessità di nuovi outcome per la BPCO Questa nuova interpretazione di una vecchia malattia come la BPCO implica anche che per attuare una verifica più completa e clinicamente significativa della progressione della malattia e dell'efficacia di un certo approccio terapeutico, sia esso farmacologico che di altro tipo, è necessario individuare degli outcome (cioè dei risultati) che, riflettendo la molteplicità delle espressioni cliniche della BPCO, siano in grado di qualificare lo stato di salute complessivo del paziente [5,6]. Ovviamente gli outcome, e i “marker” atti a rappresentarli, cambiano a seconda delle necessità che si configurano in un certo momento, in un particolare contesto o ancora per specifici interessi, come possono essere ad esempio quelli incentrati sulla percezione del paziente, oppure le rilevazioni di economia sanitaria o ancora quelle medico-legali ed assicurative. In particolare, per quanto riguarda le sperimentazioni farmacologiche gli outcome devono rispondere al criterio della praticabilità, chiarezza di interpretazione e praticità, sia per lo svolgimento degli studi clinici che -ancor più- per l'applicazione pratica dei risultati. La tipologia degli outcome può così modificarsi a seconda del momento, del contesto e dello scopo per cui essi sono utilizzati [7]. Fino ad ora negli studi clinici riguardanti la BPCO e nelle valutazioni di tipo medico-legale ed assicurativo è stato quasi sempre utilizzato come indicatore di risultato il volume espiratorio forzato nel 1° secondo (FEV1), ritenuto essere il parametro obiettivo più adatto a rappresentare le modificazioni della malattia, spontanee o farmacologicamente indotte, cioè un marker globale per tutte le alterazioni fisiopatologiche che si verificano nella BPCO. Tuttavia, il grado di limitazione del flusso aereo evidenziabile misurando il valore di FEV1 ha una scarsa correlazione con la presenza e l'intensità dei sintomi accusati dal paziente e più in generale con il suo stato di salute, che necessita di una valutazione multidimensionale e più completa per stabilire la progressione della malattia e l'effetto dei vari interventi terapeutici [8]. Infatti le modificazioni del FEV1 nel breve termine a seguito dell'intervento terapeutico, specie con broncodilatatori, sono piuttosto scarse in questa malattia, che per definizione causa una limitazione del flusso aereo scarsamente reversibile, nonostante si registri spesso un contemporaneo miglioramento della sintomatologia e dello stato di benessere del paziente, mentre si hanno risultati più significativi, seppure sempre di modesta entità e probabilmente poco rilevanti dal punto di vista clinico, in osservazioni di lunga durata che prevedano alcuni anni di monitoraggio dell'indice funzionale. Quindi sembra piuttosto paradossale usare questo outcome funzionale per giudicare l'efficacia dell'intervento terapeutico e diversi studi che hanno impostato la valutazione di esito su questo parametro non hanno potuto ottenere risultati soddisfacenti [2]. Anche per questo motivo si è cercato di selezionare altri indici funzionali potenzialmente più corre- MRM 47 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 46-51 MRM 01-2007_def 48 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 48 stenza sanitaria [16,17]. Tali misure debbono necessariamente avere le caratteristiche della semplicità e della chiarezza dal punto di vista del paziente, ma anche di affidabilità, sensibilità, specificità e credibilità biologica per quanto riguarda gli investigatori. Poiché la BPCO ha molte componenti, così che la stessa malattia si può presentare con una certa eterogeneità di espressioni cliniche, con diversa gradualità di impegno anatomo-funzionale respiratorio e con manifestazioni patologiche anche extrapolmonari, è del tutto improbabile che un singolo indice, come il FEV1, o anche più parametri funzionali respiratori possano fungere da indicatori di outcome complessivi in tutti i casi di BPCO [7]. Nuovi outcome per la BPCO In una malattia basata sulla risposta infiammatoria delle vie aeree a noxae esogene, la necessità di outcome basati sulle modificazioni di marker biologici che testimoniano e descrivono lo stato infiammatorio sembrerebbe piuttosto evidente. In questo contesto però siamo ancora in fase sperimentale e non sempre è facile distinguere i pazienti con BPCO da quelli che, pur esposti al medesimo fattore di rischio, non accusano i sintomi della malattia e non hanno alterazioni funzionali evidenziabili [18]. Date le caratteristiche della BPCO, in cui spesso si determina un'estensione sistemica della flogosi broncopolmonare, con conseguenze a livello di altri organi ed apparati, la verifica di outcome basata sulla variazione dopo terapia di marker sistemici, come il livello ematico di proteina C reattiva [19], può riservare future interessanti prospettive. Al riguardo sarebbe molto importante poter disporre di indicatori abbastanza precisi dello stato di riacutizzazione della malattia, anche per poter intervenire efficacemente con farmaci o altri interventi a scopo preventivo. Al momento, pur essendo già in uso da qualche tempo negli studi clinici, l'incidenza delle riacutizzazioni della BPCO rappresenta un nuovo outcome molto importante, non solo perché gli episodi acuti possono significare un insuccesso del trattamento, ma anche e soprattutto perché essi contribuiscono alla progressione della malattia, oltre ad imporre un aggravio di spesa sanitaria e sociale per la necessità di aumentare la terapia farmacologica e soprattutto per la frequente necessità di ricoverare il paziente in ospedale [20,21]. Questo è particolarmente frequente negli stadi di maggiore gravità della BPCO [22], con conseguenti prolungate assenze dal lavoro in coloro che ancora svolgono un'attività professionale. Negli studi clinico-farmacologici che riguardano la BPCO, e specialmente gli effetti che la terapia broncodilatatrice e antinfiammatoria produce, questo indicatore di outcome dovrebbe essere inserito routinariamente, assieme agli altri parametri che fanno riferimento alla presenza e intensità della sintomatologia e alla qualità della vita che il paziente percepisce, anche per le valutazioni relative ai costi sanitari e all'allocazione delle risorse. Numerosi studi su ampia scala in cui è stata sperimentata nei pazienti con BPCO la somministrazione prolungata dei corticosteroidi per via inalatoria, isolatamente o in associazione ai broncodilatatori a lunga durata d'azione [23,24], e dei broncodilatatori anticolinergici ad azione prolungata [25], hanno dimostrato una diminuzione nella frequenza e gravità delle riacutizzazioni, parallelamente ad un miglioramento dei sintomi, spesso dovuto a diminuzione dell'iperinflazione polmonare, e conseguentemente anche della qualità della vita, pur in presenza di scarsi miglioramenti della funzione respiratoria, almeno per ciò che concerne la limitazione del flusso nelle vie aeree. Vale la pena sottolineare che i dati provenienti da studi clinici effettuati con la terapia di associazione β2-agonisti a lunga durata d'azione e corticosteroidi per via inalatoria hanno mostrato un effetto addizionale significativo sulla funzione polmonare e sulla riduzione dei sintomi nei pazienti che ricevono la terapia di combinazione rispetto ai singoli componenti in monoterapia. I maggiori effetti in termini di riacutizzazioni e stato di salute si riscontrano in pazienti con FEV1 < 50% del teorico, pazienti nei quali la terapia di associazione è chiaramente più efficace dei singoli componenti in monoterapia [1]. Attualmente la terapia di combinazione è indicata per il trattamento sintomatico di pazienti con BPCO grave (FEV1 < 50% del teorico) ed una storia di riacutizzazioni ripetute, che abbiano sintomi significativi nonostante la terapia regolare con broncodilatatori. D'altra parte i pazienti sono raramente in grado di percepire e valutare modificazioni più o meno consistenti della funzione respiratoria, ma il loro principale interesse è giustamente rivolto alla presenza e intensità di una sintomatologia clinica, che è il motivo per cui più spesso essi si rivolgono al medico. Il sintomo che nella BPCO riveste maggiore rilievo per il paziente è la dispnea che, assieme alla limitazione della capacità di svolgere esercizio fisico di cui è uno dei fattori determinanti, deve quindi essere visto come outcome di primaria importanza nella valutazione di esito. Tanto più che con opportuni interventi terapeutici, farmacologici e non, la dispnea, così come la capacità di svolgere esercizio e lo stato di salute, può migliorare significativamente, a differenza degli indici funzionali respiratori tradizionali [13]. Infatti le variazioni della dispnea esprimono in pratica l'influenza del trattamento sulla possibilità che il paziente ha di svolgere in maniera più o meno soddisfacente la sua vita quotidiana e anche per questo motivo, oltre che per la correlazione con l'evoluzione della malattia, la graduazione del sintomo è stata inserita nell'indice multidimensionale di valutazione dei pazienti con BPCO proposto e validato da Celli e coll. [26]. La percezione della dispnea da parte del paziente non si modifica parallelamente alle variazioni del valore di FEV1 [27] e pertanto deve essere direttamente valutata con appositi strumenti [6]. I punteggi di quantificazione della dispnea si sono già da MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 49 di salute, si può dire che essa sia la risultante del livello di influenza esercitato dalla salute sul personale grado di soddisfazione di ogni individuo. Vi è una certa sovrapposizione fra stato funzionale, cui abbiamo accennato sopra, e qualità della vita correlata alla salute e spesso i due parametri vengono misurati contemporaneamente con strumenti volti ad obiettivare lo stato di salute generale del paziente, anche se essi presentano caratteristiche differenti [16,17,36]. Diversi questionari, sia generici [37] che specifici per la BPCO [38], sono in grado di cogliere eventuali modificazioni dello stato di salute e della qualità della vita in conseguenza della malattia cronica respiratoria e in relazione all'apporto terapeutico. Il loro impiego in alcuni studi clinici di lunga durata condotti su ampie popolazioni di pazienti con BPCO [39] ha consentito il riscontro di un peggioramento dello stato di salute, specie nei pazienti con BPCO più grave, ed il suo miglioramento con corticosteroidi per via inalatoria. Similmente, un punteggio maggiore di HRQoL, cioè il suo peggioramento, correla con una più frequente incidenza e gravità delle riacutizzazioni della malattia [40]. Risultati simili in termini di miglioramento della qualità della vita, del TDI, dello stato funzionale e della incidenza delle riacutizzazioni, con allungamento del tempo intercorrente fra un episodio acuto e il successivo, si sono resi evidenti nello studio di Vincken et al. [25] in cui i pazienti con BPCO sono stati trattati nel lungo termine con un anticolinergico inalatorio a lunga durata di azione. Queste osservazioni rafforzano ulteriormente il valore della prevenzione delle riacutizzazioni, cercando di ridurne l'incidenza e la gravità, come indicatore di outcome che ogni approccio terapeutico alla BPCO dovrebbe prevedere, oltre alla valutazione dello stato di salute e di altri parametri intimamente connessi con la vita quotidiana del paziente. CF Donner, CM Sanguinetti Identificazione di nuovi outcome per la BPCO - Defining new outcomes for COPD molto tempo dimostrati adatti e utili per verificare la presenza del sintomo, sia a riposo che durante l'esercizio fisico, e vengono correntemente usati allo scopo [28-30]. Ulteriori modifiche delle scale di valutazione della dispnea consentono attualmente una obiettivazione più precisa del sintomo e soprattutto delle sue modificazioni in relazione all'intervento terapeutico, così come espresso ad esempio dal rapporto fra Baseline dyspnea index e Transitional dyspnea index (BDI/TDI) e dalle Minimally important differences (MIDs), cioè le minime variazioni in senso migliorativo o peggiorativo che abbiano un significato clinico [31,32]. In un'analisi retrospettiva di quasi mille pazienti con BPCO, trattati con broncodilatatori a lunga durata di azione di tipo simpaticomimetico o anticolinergico, oppure con placebo, in aggiunta alla terapia abituale, significative variazioni positive di questo indice sono apparse correlare anche con un maggiore controllo della malattia, espresso dal minor uso di broncodilatatori ad azione rapida al bisogno, con una diminuzione della incidenza di riacutizzazioni e con un miglioramento dello stato di salute [33]. Infatti, in una valutazione di outcome che sia incentrata sul paziente bisogna anche tener conto del suo stato di salute, ed in particolare dello stato funzionale, intendendosi con questo termine la capacità del paziente di svolgere le normali attività della vita quotidiana. Lo stato funzionale è un parametro complesso, solo in parte dipendente dalle alterazioni della fisiologia respiratoria, che viene influenzato anche dalla presenza di altre malattie di cui il paziente non raramente soffre oltre a quella respiratoria, dal condizionamento comunque indotto e dalla motivazione che il paziente può sviluppare [6]. È importante valutare e misurare con opportuni metodi lo stato funzionale, che può servire come outcome di riferimento in determinati gruppi di pazienti, ad esempio quelli in cui lo svolgimento di una normale vita quotidiana è profondamente alterato e che può ripristinarsi almeno in parte come conseguenza della terapia. La misura di questo indicatore di risultato può essere effettuata interrogando il paziente per raccogliere le informazioni relative alle attività di diverso tipo che egli è in grado di compiere e graduando i sintomi che tali attività determinano [34]. Alternativamente possono essere utilizzati metodi di osservazione diretta delle attività mediante registrazione delle stesse, così da verificarne meglio la consistenza e la qualità allo scopo di migliorare la performance fisica laddove possibile. Strettamente connessa con lo stato funzionale è la qualità della vita correlata alla salute (HRQoL) che il paziente percepisce. Dal punto di vista del paziente quindi questo è un outcome fondamentale del trattamento, anche perché non sufficientemente surrogato dalle sole variazioni della funzionalità respiratoria [35]. Pur essendo in generale la qualità della vita condizionata da molte variabili, facendo specifico riferimento a quella che deriva dallo stato CONCLUSIONI Finora nella maggioranza delle valutazioni di risultato di vari interventi terapeutici nella BPCO sono stati utilizzati come outcome le modificazioni dei valori funzionali respiratori ed in particolare del FEV1, che per definizione è scarsamente modificabile in questa malattia. Anche in considerazione delle varie manifestazioni cliniche, respiratorie e non, con cui la malattia può manifestarsi, si è nel tempo rafforzata la convinzione che gli outcome funzionali da soli non siano in grado di soddisfare i requisiti per una valutazione globale degli effetti dei vari interventi terapeutici e soprattutto non esprimano adeguatamente quello che per il paziente è un interesse primario e cioè lo stato di salute. Poiché la scelta di un outcome adeguato dipende dalle caratteristiche della malattia e dallo scopo per cui viene condotto un determinato studio clinico, appare fondamentale che esso possa essere misurato facilmente e abbia una certa rispondenza a quanto si verifica nella pratica clinica [41]. MRM 49 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 46-51 MRM 01-2007_def 50 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 50 Al momento vi è la concreta possibilità di scegliere vari outcome, con caratteristiche diverse atte a rappresentare i differenti aspetti con cui la BPCO può presentarsi o evolvere nel tempo, molti dei quali maggiormente orientati a valutare l'esito dal punto di vista del paziente, come la presenza ed intensità della sintomatologia, lo stato di salute e conseguentemente la qualità della vita che egli percepisce. In una malattia che spesso inesorabilmente progredisce nonostante la terapia, ottenere modificazioni positive di questi indicatori di outcome costituisce già un reale ed importante beneficio. DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: Gli autori non hanno rapporti finanziari con entità commerciali che abbiano un interesse nell'oggetto di questo articolo. Bibliografia 1. Celli BR, MacNee W; ATS/ERS Task Force. 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CF Donner, CM Sanguinetti Identificazione di nuovi outcome per la BPCO - Defining new outcomes for COPD 31. 16-05-2007 MRM 51 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 52 Rassegna / Review Progetto MILD: prevenzione e diagnosi precoce del tumore polmonare The MILD project: prevention and early diagnosis of lung cancer Ugo Pastorino, Elisa Calabrò Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Milano RIASSUNTO Il carcinoma polmonare è la principale causa di morte per tumori al mondo; si stima che nel terzo millennio oltre 1.300.000 saranno i decessi all'anno per tale patologia; la sopravvivenza complessiva a 5 anni del 10% in Europa e del 15% negli Stati Uniti. La prognosi più favorevole si ha se la diagnosi è effettuata in uno stadio precoce (stadio I) che ne permetta la resezione completa. L'uso della TAC spirale a basso dosaggio di radiazioni è stato proposto per individuare precocemente la presenza di noduli polmonari nella popolazione a rischio (sostanzialmente fumatori o ex-fumatori di età compresa tra i 50 e i 70 anni), ma la reale efficacia nel ridurre la mortalità è tuttora oggetto di discussione. In particolare la mortalità per cause non oncologiche legate al tabagismo impone un intervento coordinato di prevenzione primaria e secondaria che ha suggerito la progettazione dello studio MILD (Multicentric Italian Lung cancer Detection) ad opera dell'Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano, volto a promuovere la disassuefazione al fumo, il monitoraggio periodico con TAC spirale annuale o biennale e un'attività di ricerca sui marcatori biologici. Parole chiave: Prevenzione primaria, prevenzione secondaria, TAC spirale a basso dosaggio, tumore polmonare. ABSTRACT Lung cancer is the major cause of cancer mortality world-wide. It is estimated that in the third millenium there will be more than 1,300,000 deaths per year from lung cancer with a global 5-year survival rate of 10% in Europe and 15% in the United States. The prognosis is best if the disease is diagnosed at an early stage (stage I) thus permitting complete surgical resection. The use of low-dose spiral computed tomography (CT) has been proposed for an early detection of the presence of pulmonary nodules in the high-risk population (mainly smokers or ex-smokers aged 50-70 years) but its real effectiveness in reducing mortality has yet to be established. In particular, the mortality from non oncologic causes linked to tobacco smoking calls for a coordinated intervention of primary and secondary prevention: it is for this reason that the Multicentric Italian Lung cancer Detection (MILD) study has been implemented, under the auspices of the National Institute for Cancer Research and Treatment of Milan, with the aim to promote smoking cessation, annual or biennial spiral CT screening and research on biological markers. Keywords: Low-dose spiral CT, lung cancer, primary prevention, secondary prevention. INTRODUZIONE La sopravvivenza complessiva a 5 anni per il tumore polmonare è solo del 10% in Europa e del 15% negli Stati Uniti. Negli ultimi 20 anni i progressi in termini curativi in questo ambito sono stati modesti. La diagnosi tardiva di una malattia già in stadio avanzato rimane la causa principale del fallimento terapeutico. La diagnosi precoce mediante l'utilizzo della tomografia assiale computerizzata (TAC) spirale a basso dosaggio di radiazioni risulta una delle più promettenti metodiche nell'ambito della ricerca clinica e continui miglioramenti tecnologici potrebbero rendere questo strumento più efficace della mammografia utilizzata per la diagnosi precoce del tumore alla mammella. I risultati degli studi pilota condotti nell'ultimo decennio hanno dimostrato che il monitoraggio annuale con TAC spirale a basse dosi senza contrasto è in grado di identificare molti tumori polmonari in stadio iniziale, ma non è certo che sia in grado di ridurre la mortalità per tumore polmonare nei forti fumatori. Per dimostrarne l'efficacia reale, sarà necessario arruolare un numero ampio di soggetti ad alto Ugo Pastorino Divisione di Chirurgia Toracica - Istituto Nazionale Tumori Via Venezian 1, 20133 Milano, Italia email: [email protected] Data di arrivo del testo: 11/11/2006 - Accettato per la pubblicazione: 08/01/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 52-57 52 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 53 Stato dell'arte Il carcinoma polmonare è la principale causa di morte per tumori al mondo; si stima che nel terzo millennio oltre 1.300.000 saranno i decessi all'anno per tale patologia [1]. Nei paesi occidentali le iniziative volte alla prevenzione primaria e alla disassuefazione al fumo hanno dato buoni risultati in termini di prevalenza di fumatori attivi, ottenendo una significativa riduzione della mortalità tra gli uomini, ma non ancora nelle donne. Tuttavia, negli ultimi vent'anni la sopravvivenza globale dei malati di cancro polmonare non è migliorata, nonostante l'impiego di risorse terapeutiche ottimali. Ancora oggi più del 90% di tutti i casi diagnosticati in Europa muoiono nell'arco di 5 anni, un valore di molto diverso rispetto alla mortalità per cancro della mammella o del colon [2]. In ogni caso la prognosi del tumore polmonare dipende molto dalla estensione della malattia al momento della diagnosi e dalla possibilità di procedere ad un trattamento loco-regionale curativo prima che si siano manifestate localizzazioni metastatiche extra-polmonari. Quando il tumore è confinato al polmone senza evidenza patologica di lesioni metastatiche (stadio I), il tasso di sopravvivenza a 5 anni dopo resezione chirurgica è maggiore del 60% [3-5], con un range compreso tra l'80% e il 90% se la dimensione del tumore è inferiore ai 3 cm [6]. Questi dati suggeriscono che la diagnosi precoce e il trattamento chirurgico potrebbero migliorare la sopravvivenza dei pazienti con tumore polmonare. In passato, gli studi randomizzati sulla diagnosi precoce con l'esame citologico dell'espettorato e la radiografia del torace non hanno dimostrato una riduzione della mortalità per cancro polmonare [7-10] ed i risultati negativi di questa esperienza clinica hanno bloccato ogni sviluppo sui programmi di diagnosi precoce rivolti a questa patologia. In tempi più recenti l'avvento della TAC spirale a basso dosaggio di radiazioni ha generato un rinnovato interesse nei confronti della prevenzione secondaria del tumore polmonare. Infatti, oggi è possibile eseguire una TAC spirale senza mezzo di contrasto in meno di 15 secondi, con dose radiante limitata e costi che sono simili a quelli dello screening mammografico. Uso della TAC spirale low-dose per la diagnosi precoce del tumore polmonare Molti studi pubblicati negli ultimi dieci anni hanno dimostrato l'elevata sensibilità della TAC spirale e i buoni risultati che si ottengono con l'uso sistematico della TAC spirale del torace per la diagnosi precoce su soggetti ad alto rischio. Gli studiosi giapponesi hanno condotto per primi questa esperienza provando l'inequivocabile sensibilità diagnostica della TAC spirale, anche se il tasso di scoperta di tumori polmonari era fortemente influenzato dal profilo di rischio della popolazione arruolata in questi screening, che comprendeva anche soggetti giovani e non fumatori [11-12]. Nel 1999, l'Early Lung Cancer Action Project (ELCAP) promosso dalla Cornell University di New York ha dimostrato che la TAC spirale possiede elevata accuratezza e sensibilità se paragonata alla radiografia standard del torace nell'identificare tumori di piccole dimensioni (56% < 1 cm) con una resecabilità del 96% e una frequenza di tumori in stadio I dell'80% [13]. In quello studio, che utilizzava una TAC torace di prima generazione a strato singolo, per ottenere la migliore performance l'esame doveva essere ripetuto con il mezzo di contrasto numerose volte in una gran parte dei volontari, con un complesso algoritmo di ricostruzione tridimensionale per la valutazione dell'incremento volumetrico e per un lungo periodo di intervento (3, 6, 12 e 24 mesi). Lavori successivi di altri gruppi di ricerca, negli Stati Uniti e in Europa, hanno ottenuto risultati molto simili per quanto riguarda la valutazione iniziale, definita come esame baseline (Tabella I). Invece, i risultati a lungo termine appaiono alquanto discordanti. Ad esempio, l'esperienza della Mayo Clinic con TAC multi-strato ha dimostrato una frequenza globale di riscontro di noduli non calcificati molto alta, aumentando così gli interrogativi sulla difficoltà di una diagnosi differenziale, sull'efficacia e sui costi di un programma di screening [14-19]. La nostra esperienza, iniziata il giugno 2000 su una coorte di 1.035 volontari (età: ≥ 50 anni, fumo: ≥ 20 pacchetti/anno), aveva lo scopo di testare il valore della TAC a basso dosaggio di radiazioni eseguita annualmente, associata alla tomografia ad emissione di positroni (PET) e ai biomarker molecolari [19]. Questo studio è stato il primo a cercare di semplificare l'algoritmo diagnostico e di migliorare l'accuratezza della TAC spirale nei confronti di noduli polmonari indeterminati, considerando non sospette le lesioni fino a 5 mm (da controllare con nuova TAC low-dose a distanza di un anno) e utilizzando la PET al posto dell'agobiopsia percutanea per la valutazione di lesioni non calcifiche di diametro ≥ 7 mm. I risultati a due anni hanno confermato la sicurezza di tale approccio conservativo, con 22 casi di tumore diagnosticati, il 95% di resezioni complete e il 77% di stadio I (dimensione media del tumore: 18 mm). Tuttavia, se si confrontano i nostri dati a 5 anni con quelli della Mayo Clinic, le differenze nel protocollo diagnostico (17% versus 74% di lesioni sospette) non hanno alcun impatto sul numero di tumori polmonari diagnosticati e trattati, né sulla percentuale di neoplasie in primo stadio (70% verso 68%) (Tabella II). U Pastorino, E Calabrò Progetto MILD per il tumore polmonare - The MILD project for lung cancer rischio in studi prospettici e randomizzati che associno la prevenzione primaria mediante la disassuefazione al fumo con l'utilizzo della TAC spirale a basso dosaggio di radiazioni, fornendo al contempo il miglior trattamento dei pazienti con tumore polmonare e il minimo danno per i soggetti sani arruolati. Inoltre, la determinazione contestuale di marcatori molecolari con l'analisi genomica e proteomica sul sangue e sull'espettorato, potrebbe migliorare la diagnosi differenziale, definire il rischio individuale dell'incidenza di cancro, e orientare la scelta di terapie sistemiche mirate sulla base del profilo biologico del singolo individuo. MRM 53 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 52-57 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 54 TABELLA I: DIAGNOSI PRECOCE DEL TUMORE POLMONARE CON TAC SPIRALE: RISULTATI INIZIALI DI STUDI OSSERVAZIONALI 1° autore Ref. # soggetti # con lesioni (%) # tumori Henschke Sone Nawa Sobue Diederich Swensen Pastorino [13] [14] [15] [16] [17] [18] [19] 1.000 5.483 7.956 1.611 817 1.520 1.035 233 (23) 588 (11) 541 (7) 907 (56) 350 (43) 1.049 (69) 284 (27) 27 23 36 13 12 26 11 Diagnosi precoce e mortalità per cancro polmonare In Italia la mortalità per tumore è di oltre 35.000 morti/anno e l'unico rimedio davvero efficace è rappresentato dalla chirurgia. Non solo la mortalità per questa patologia rimane altissima, ma al contrario di quanto avvenuto per altri tumori molto frequenti come mammella e colon, non si è modificata in modo significativo negli ultimi 20 anni. Anche l'introduzione dei nuovi farmaci molecolari non appare in grado di migliorare la percentuale di guarigioni, e gli studi controllati mostrano un effetto solo di palliazione, a fronte di costi estremamente elevati. La riduzione della mortalità, specifica per tumore polmonare e specialmente globale, dovrebbe essere l'obiettivo principale di ciascun programma di diagnosi precoce in individui ad alto rischio, e certamente è l'unica dimostrazione della sua reale efficacia. È comunque molto difficile valutare variazioni di mortalità in forti fumatori sia in studi osservazionali che in studi randomizzati, a causa di fattori di confondimento dovuti all'esposizione al fumo di tabacco durante il monitoraggio radiologico. Infatti, il perdurare delle abitudini tabagiche interferisce poco con l'incidenza di tumore a medio termine, ma presenta un forte effetto sulla mortalità dovuta a tutte le altre cause (cardiovascolari, BPCO) e può essere strettamente associata alla modalità di intervento diagnostico. Ad esempio, il fatto che i soggetti sottoposti a controllo TAC annuale mantengano un consumo di tabacco elevato potrebbe essere almeno in parte dovuto al senso di protezione generato dallo screening, e l'aumento di mortalità conseguente a tale comportamento sarebbe in grado di oscurare il potenziale beneficio della diagnosi precoce. Per va- # stadio I (%) 23 (85) 23 (100) 28 (78) 10 (77) 7 (64) 19 (73) 6 (55) lutare la grandezza dei fattori di rischio di morte concomitanti, si dovrebbe tener conto del fatto che nel gruppo di controllo dei due maggiori studi del National Cancer Institute statunitense sulla chemoprevenzione del tumore polmonare con beta-carotene [21-23], che hanno arruolato oltre 50.000 forti fumatori, l'incidenza del cancro polmonare è stata pressoché identica (4,7 vs. 4,6 per 1.000 persone-anno, Tabella III) mentre la mortalità globale è stata più alta del 70% (20,1 vs. 11,9) nel trial ATBC dove tutti i partecipanti fumavano e l'80% di questi ha continuato a farlo durante l'intero periodo di intervento rispetto al trial CARET che ha arruolato il 39% di ex fumatori [24]. Nel valutare i risultati a lungo termine della diagnosi precoce, Patz et al. hanno dedotto che la mortalità specifica nei trial che usano la TAC spirale è molto simile a quella osservata nel vecchio studio MLP (Mayo Lung Project) condotto negli anni settanta, cosa che dimostrerebbe l'inefficacia delle nuove tecnologie diagnostiche [25]. Comunque, se si confronta la mortalità per cancro polmonare senza la restrizione del campione usata da Patz (Tabella II), è evidente che i dati della Mayo Clinic come quelli dello studio di Milano sono compatibili con una riduzione della mortalità di almeno il 20% (1,6 e 2,4 vs. 4,4 e 3,9 per 1.000 persone-anno) nei soggetti che si sottopongono alla TAC spirale annuale [20,25]. TABELLA III: INCIDENZA DI CANCRO AL POLMONE E TASSO GLOBALE DI MORTALITÀ (1.000 PERSONE-ANNO) NEL GRUPPO DI CONTROLLO DEI TRIAL DI CHEMOPREVENZIONE DEL US NATIONAL CANCER INSTITUTE (NCI) Fumatori (%) Attuali Ex TABELLA II: CONFRONTO TRA I RISULTATI DELLO STUDIO DELLA MAYO CLINIC E DI QUELLO DI MILANO: PERCENTUALI CUMULATIVE A 5 ANNI DEI SOGGETTI CON LESIONI SOSPETTE ALLA TAC, E CON TUMORI POLMONARI, PER RESECABILITÀ E STADIO PATOLOGICO a 5 anni Soggetti con lesioni sospette (%) Carcinomi polmonari (%) Resecabilità chirurgica (%) Tumori polmonari in stadio I (%) 54 MRM Mayo 1.520 Milano 1.035 74 4 94 68 17 4 94 70 PHS TRIAL [21] Incidenza di tumore polmonare Tasso totale di mortalità 0,6 7,3 11 39 ATBC TRIAL [22] Incidenza di tumore polmonare Tasso totale di mortalità 4,7 20,1 100 0 CARET TRIAL [23] Incidenza di tumore polmonare Tasso totale di mortalità 4,6 11,9 60 39 Legenda: ATBC, Alpha-Tocopherol Beta-Carotene Cancer Prevention Study; CARET, Carotenoid and Retinol Efficacy Trial; PHS, Physicians' Health Study. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 55 Gent. ma Signora, Egr. Signore, L'Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori Milano promuove uno studio per la prevenzione/diagnosi precoce dei tumori polmonari (Progetto MILD) rivolto alla cittadinanza A chi si rivolge il Progetto MILD? Si rivolge a persone ad alto rischio di tumore polmonare in quanto forti fumatori, o ex-fumatori che abbiano smesso di fumare da meno di dieci anni, di età compresa tra i 49 e i 75 anni. A quali esami verrà sottoposto chi aderisce al progetto? Il soggetto eleggibile sarà assegnato casualmente a uno dei 2 gruppi: un gruppo di controllo che effettua visita pneumologica con esame spirometrico e un programma di prevenzione primaria attraverso la cessazione del fumo, e un gruppo che associa la TAC spirale periodica alla prevenzione primaria. Quest'ultimo gruppo sarà ulteriormente randomizzato in TAC annuale verso TAC ogni 2 anni. A seconda del suo gruppo di randomizzazione, Lei eseguirà: Gruppo di controllo • Visita pneumologica ogni anno con esecuzione di spirometria, un esame semplice e rapido che permette di misurare la quantità di aria che una persona può inspirare ed espirare soffiando in un tubo connesso ad un computer. • Intervento di prevenzione primaria. Se Lei è ancora fumatore o fumatrice possiamo illustrarLe i vantaggi ottenibili con la cessazione del fumo, gli eventuali danni che sono stati dimostrati essere legati all'abitudine al fumo e se desidererà sottoporsi a programmi di disassuefazione da fumo riceverà un elenco di tutti i Presidi nei quali sono attivi programmi di prevenzione primaria. • In occasione di ognuno di questi appuntamenti annuali dovrà riempire un questionario sul consumo di tabacco ed esibire eventuali esami medici eseguiti nell'intervallo fra gli appuntamenti. Gruppo TAC spirale • eseguirà una TAC spirale ogni anno / ogni 2 anni presso l'Istituto Tumori di Milano o altro centro partecipante al Progetto per la durata dello studio (minimo 3 anni). • in occasione di ognuno di questi appuntamenti annuali / biennali dovrà fornire un campione di sangue. • eseguirà una visita pneumologica, ogni anno / ogni 2 anni a seconda del gruppo di randomizzazione, con esecuzione di spirometria, un esame semplice e rapido che permette di misurare la quantità di aria che una persona può inspirare ed espirare soffiando in un tubo connesso ad un computer. • Le verrà proposto un intervento di prevenzione primaria. Se Lei è ancora fumatore o fumatrice possiamo illustrarLe i vantaggi ottenibili con la cessazione del fumo, gli eventuali danni che sono stati dimostrati essere legati all'abitudine al fumo e se desidererà sottoporsi a programmi di disassuefazione da fumo riceverà un elenco di tutti i Presidi nei quali sono attivi programmi di prevenzione primaria. • In occasione di ognuno di questi appuntamenti, annuali/biennali, dovrà compilare un questionario sul consumo di tabacco ed esibire eventuali esami medici eseguiti nell'intervallo fra gli appuntamenti. U Pastorino, E Calabrò Progetto MILD per il tumore polmonare - The MILD project for lung cancer DIAGNOSI PRECOCE DEL TUMORE POLMONARE: STUDIO MULTICENTRICO ITALIANO Come si aderisce al Progetto MILD dell'Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano? L'adesione al Progetto MILD è assolutamente volontaria ed è completamente GRATUITA. Il soggetto verrà contattato telefonicamente per fissare un appuntamento per l'esecuzione degli esami che potranno essere effettuati presso l'Istituto Nazionale Tumori di Milano oppure in qualsiasi ALTRO CENTRO che aderisce al progetto MILD. Per acquisire informazioni dettagliate sull'adesione al Progetto telefonare al numero verde 800.21.36.01. o collegarsi al sito internet dedicato www.mildtrial.org, oppure inviare una mail all'indirizzo [email protected]. Anche se uno studio non-randomizzato presenta dei bias di selezione nella popolazione di riferimento, è importante sottolineare che il tasso di mortalità per tumore polmonare del 4 per 1.000 persone-anno osservato nel trial MLP si avvicina molto a quello osservato nei trial CARET e ATBC, e rappresenta oggi il tasso di mortalità attesa più plausibile per una popolazione tipica di forti fumatori di età compresa tra i 50 e i 70 anni [24]. Un tentativo più sofisticato per predire la mortalità mediante modelli epidemiologici, proposto recentemente da Bach et al. Merita ul- teriori valutazioni [26]. Gli studi pilota sul monitoraggio sistematico di soggetti ad alto rischio con TAC spirale hanno raggiunto l'obiettivo di messa a punto della metodica, indicando un potenziale effetto favorevole sulla guarigione del tumore polmonare, come dimostra lo studio recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine [27], ma l'effetto sulla mortalità globale appare molto più limitato di quello atteso, perchè questi studi non comprendono alcun intervento di prevenzione primaria. La ricerca sulla diaMRM 55 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 52-57 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 56 gnosi precoce è quindi una priorità per ridurre la mortalità nei soggetti a rischio, ma la fase degli studi pilota non controllati è finita e in tutto il mondo si sta passando alla fase degli studi prospettici randomizzati su grandi numeri, che hanno lo scopo di mostrare se esista un beneficio reale, in termini di riduzione della mortalità, nei soggetti che si sottopongono al controllo periodico. Il progetto MILD (Multicentric Italian Lung cancer Detection) è stato attivato con l'obiettivo di ridurre la mortalità dovuta al fumo di tabacco, sia per tumore polmonare che per altre patologie, in soggetti ad alto rischio. Il progetto MILD si differenzia dagli altri studi randomizzati in corso nel mondo perché per la prima volta unisce la prevenzione primaria con la diagnosi precoce e la quantificazione del rischio individuale, utilizzando le tecniche più avanzate di diagnosi strumentale e biologia molecolare. MILD è un programma gratuito rivolto a forti fumatori di almeno 49 anni (BOX). Che cosa significa arruolarsi? Significa essere tutelati, entrare in un programma di prevenzione ed essere protetti per anni. Chi si arruola viene aiutato ad uscire dalla dipendenza ed è sottoposto ad una serie di controlli che consistono in un esame della funzionalità respiratoria, che comprende la spirometria, da parte di uno specialista pneumologo, oltre ad una serie di esami biologici sul sangue. Metà dei soggetti, scelti mediante un sistema di randomizzazione stratificata, verranno sottoposti anche a monitoraggio con TAC spirale, annuale o biennale. Lo scopo è quello di individuare eventuali tumori polmonari ancora allo stato iniziale, e quindi intervenire precocemente limitando al massimo i danni funzionali della chirurgia polmonare. Ma è evidente che è previsto un intervento terapeutico anche in presenza di altre patologie non oncologiche, quindi diamo la garanzia di una protezione completa. Agli ex fumatori, oltre al controllo del respiro e alla caratterizzazione biologica molecolare, verrà offerta la randomizzazione tra TAC annuale e TAC biennale. Quindi MILD prevede: a. un'attività di prevenzione primaria: ridurre il numero dei fumatori attraverso la prevenzione primaria significa di per sé diminuire il rischio di morte per fumo, anche per le patologie non polmonari; b. la prevenzione secondaria attraverso il monitoraggio periodico con TAC spirale annuale o biennale; c. un'attività di ricerca sui marcatori biologici. Questo è un aspetto importantissimo: è dal monitoraggio dei volontari che si arruoleranno al programma che potremo capire quali sono gli strumenti diagnostici davvero efficaci (non è detto che la TAC spirale sia più utile di altri strumenti meno sofisticati), e valutare attraverso il gruppo di controllo non sottoposto alla TAC periodica la reale efficacia di un programma diagnostico su larga scala. La ricerca svolta sui campioni di sangue e sulla fuzionalità respiratoria, rivolta alla caratterizzazione biologica individuale, può consentirci sia di riconoscere precocemente forme pretumorali sia di individuare chi è predisposto geneticamente ad ammalarsi di tumore, quindi di diminuire la mortalità e mirare l'intervento diagnostico adeguandolo alle caratteristiche individuali, con minor sofferenza per il paziente e riduzione della spesa sanitaria. È grazie alla sinergia di questi tre aspetti che speriamo di raggiungere il nostro obiettivo: dimezzare la mortalità secondaria al fumo. Per raggiungere questo risultato abbiamo bisogno dell'adesione di almeno 10.000 soggetti a rischio che oltre a difendere se stessi partecipando al progetto MILD daranno un serio e concreto contributo alla ricerca aiutando così anche tutti gli altri. DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: Gli autori non hanno rapporti finanziari con entità commerciali che abbiano un interesse nell'oggetto di questo articolo. Bibliografia 1. Peto R, Lopez AD, Boreham J, Thun M, Heath C Jr, Doll R. Mortality from smoking worldwide. Br Med Bull 1996;52:1221. 2. Survival of cancer patients in Europe: The EUROCARE 2 study. IARC scientific publications 1999;151:1-572. 3. Flehinger BJ, Kimmel M, Melamed MR. The effect of surgical treatment on survival from early lung cancer. Implications for screening. Chest 1992;101:1013-1018. 4. Shah R, Sabanathan S, Richardson J, Mearns AJ, Goulden C. Results of surgical treatment of stage I and II lung cancer. J Cardiovasc Surg (Torino) 1996;37:169-172. 5. 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International Early Lung Cancer Action Program Investigators; Henschke CI, Yankelevitz DF, Libby DM, Pasmantier MW, Smith JP, Miettinen OS. Survival of patients with stage I lung cancer detected on CT screening. N Engl J Med 2006;355:1763-1771. U Pastorino, E Calabrò Progetto MILD per il tumore polmonare - The MILD project for lung cancer 13. 16-05-2007 MRM 57 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 58 Rassegna / Review Una “pallottola magica” per la terapia dell'asma allergico A “magic bullet” for the treatment of allergic asthma Francesco Tarantini, Ilaria Baiardini, Giovanni Passalacqua, Fulvio Braido, Giorgio Walter Canonica Allergy & Respiratory Diseases, DIMI University of Genova, Genova RIASSUNTO L'opportunità più affascinante tra le nuove terapie per l'asma è probabilmente rappresentata dagli anticorpi monoclonali. Le nuove tecnologie hanno reso possibile la sintesi di anticorpi monoclonali specifici, virtualmente capaci di interagire con qualsiasi antigene-bersaglio. La maggior parte di queste molecole è umanizzata, in modo tale da ridurre la possibilità di sensibilizzazione e di conseguenza la produzione di auto-anticorpi. Poiché l'asma è sostanzialmente una malattia infiammatoria sono stati sperimentati anticorpi specificamente diretti contro mediatori coinvolti nella cascata infiammatoria, ma quasi sempre con risultati deludenti per la comparsa di effetti collaterali legati al coinvolgimento del mediatore in altre importanti funzioni dell'organismo, o per l'assenza di benefici sintomatici percepibili dal paziente. Ad oggi solo l'omalizumab ha dato effetti positivi. È un anticorpo diretto contro le IgE che ne abbatte i livelli ematici entro 24 ore dalla somministrazione sottocute. Poiché le IgE non sono coinvolte in altre rilevanti funzioni biologiche è scevro di effetti collaterali e nell'asma bronchiale allergico induce un miglioramento della funzione respiratoria e dei punteggi assegnati dal paziente ai propri sintomi ed ai questionari sulla qualità di vita. Il suo uso è limitato all'asma allergico severo, nei pazienti in cui il quadro non è controllato con la classica associazione steroidi inalatori - β2-agonista a lunga durata d'azione. Parole chiave: Asma, linee guida GINA, infiammazione, omalizumab, qualità di vita. ABSTRACT Among the new therapies for asthma, monoclonal antibodies probably represent one of the most fascinating opportunities. New technologies have made it possible to synthesize specific monoclonal antibodies capable of interacting with virtually any target antigen. The majority of these molecules are humanized so as to reduce the possibility of sensitization and, as a consequence, the production of autoantibodies. Since asthma is substantially an inflammatory disease, research has focused on antibodies specifically targeted against mediators involved in the inflammatory cascade, but results have almost always been disappointing due to the appearance of side effects linked to the mediator's involvement in other important functions of the organism, or to the absence of symptomatic benefits perceivable by the patient. To date only omalizumab has yielded positive results. It is an antibody targeted against IgEs that combats their hematic levels within 24 hours following subcutaneous administration. Since IgEs are not involved in other significant biological functions it has no side effects and, in allergic bronchial asthma, leads to an improvement in respiratory function as well as in patients' self-reported symptom scores and in quality of life questionnaires. Its use is limited to severe allergic asthma, in patients in whom the clinical picture is not controlled with the classical inhaled steroid - long acting β2 -agonist association. Keywords: Asthma, GINA guidelines, inflammation, omalizumab, quality of life. L'opportunità più affascinante tra le nuove terapie per l'asma è probabilmente rappresentata dagli anticorpi monoclonali. Le nuove tecnologie attualmente disponibili nel campo della biologia molecolare e dell'immunogenetica hanno reso possibile la sintesi di anticorpi monoclonali specifici, virtualmente capaci di interagire con qualsiasi antigenebersaglio. La maggior parte di queste molecole è umanizzata, in modo tale da ridurre la possibilità di sensibilizzazione e di conseguenza la produzione di auto-anticorpi. Omalizumab Omalizumab, l'anticorpo monoclonale che ha come obiettivo le IgE, è un prodotto chimerico, costituito da una IgG1 umana al 95%, ed il restante 5% è costituito da una IgG murina e contiene il sito che lega l'antigene (il dominio µ3 IgE) (Figura 1). Francesco Tarantini Allergy & Respiratory Diseases, DIMI University of Genova, Padiglione Maragliano Largo R. Benzi 6, 16132 Genova, Italia email: [email protected] Nota: Questo studio è stato realizzato grazie al parziale supporto di ARMIA (Associazione Ricerca Malattie Immunologiche ed Allergiche) Data di arrivo del testo: 27/03/2007 - Accettato per la pubblicazione in data: 2/04/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 58-64 58 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 59 F Tarantini, I Baiardini, G Passalacqua, F Braido, GW Canonica La terapia dell'asma allergico - Treatment of allergic asthma FIGURA 1: STRUTTURA DI OMALIZUMAB Catena pesante Catena leggera Regioni determinanti complementarietà (CDR) del ratto Tratto da [1] mod. Somministrato per via sottocutanea causa una caduta del 95% dei livelli sierici di IgE dopo 24h. Il dosaggio viene determinato in base ai livelli sierici di IgE totali ed in base al peso corporeo del paziente. L'efficacia di questo farmaco sui pazienti con asma allergico di grado da moderato a severo è stata valutata in molti studi clinici ed i risultati hanno dimostrato che nei pazienti asmatici che ricevevano omalizumab si riducevano in modo significativo il numero di esacerbazioni ed il bisogno di steroidi inalatori, con un concomitante miglioramento dei sintomi [2,3]. I pazienti che avevano una migliore risposta al farmaco erano quelli che necessitavano di più alte dosi di corticosteroidi inalatori, quelli che avevano FEV1 minore e quelli che avevano un numero maggiore di riesacerbazioni e di accessi in pronto soccorso. In tale trattamento, il rapporto costi/benefici sembra essere bilanciato e ragionevole nei pazienti in cui la gestione dell'asma (visite, ricoveri, assenza dal lavoro, pronto soccorso) comporta un impegno economico elevato [4]. In conseguenza di ciò l'EMEA (European Agency for the Evaluation of Medicinal Products) ha limitato l'utilizzo di omalizumab come terapia per l'asma allergico solo ai pazienti affetti da forme severe persistenti, non controllate nonostante adeguata terapia con steroidi inalatori ad alte dosi e β2-agonisti a lunga durata d'azione (LABA), che abbiano skin prick test positivo per aeroallergeni perenni, funzionalità polmonare compromessa e riacutizzazioni severe documentate. Ciò significa che omalizumab è da considerarsi come terapia supplementare e non sostitutiva per pazienti con una storia convincente di asma IgE-mediata di grado severo non controllata dalla terapia standard (Figura 2). L'evidenza dell'efficacia di omalizumab nel tratta- mento dell'asma allergico si basa non solo su numerosi studi clinici randomizzati e controllati, ma anche sui risultati di metanalisi di tutti gli studi presenti in letteratura. La metanalisi di Walker e collaboratori fornisce a tale terapia un'evidenza di grado A, il più elevato secondo la classificazione di Shekelle, [6,7]. Altri studi lasciano intravedere un futuro per il trattamento con omalizumab anche di altre patologie allergiche come la rinite [8], nella prevenzione delle reazioni allergiche da arachidi, delle reazioni allergiche occupazionali (latex), per un utilizzo in combinazione con l'immunoterapia specifica, come pre-trattamento nell'immunoterapia rush e come terapia per la dermatite atopica [9-13]. Oltre a possedere buone caratteristiche in termini di efficacia, fino ad oggi il profilo di sicurezza di omalizumab si è dimostrato essere soddisfacente. Infatti non è stato associato allo sviluppo di alcun tipo di malignità ed ha ricevuto l'approvazione dall'FDA (Food and Drug Administration) per la commercializzazione in tutto il mondo. È comunque da riportare a tal riguardo la recente segnalazione del verificarsi di reazioni anafilattiche successive al trattamento con Xolair: ad oggi, su circa 39.500 pazienti trattati l'anafilassi si è verificata in circa lo 0,1% dei pazienti. Questi dati, che derivano dagli studi di farmacosorveglianza postmarketing, confermano l'incidenza delle reazioni anafilattiche/anafilattoidi osservate durante i trials controllati. Risulta perciò necessario che il personale medico che somministra il farmaco sia preparato a prevenire ed affrontare questo tipo di reazione: il paziente dovrebbe essere trattenuto in ospedale per almeno due ore dopo la somministrazione e dovrebbe inoltre essere informato prima della dimissione su come riconoscere i MRM 59 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 58-64 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 60 FIGURA 2: RACCOMANDAZIONI DELLE LINEE GUIDA GINA PER IL TRATTAMENTO DELL'ASMA, CHE INCLUDONO ANCHE GLI ANTI-IgE (GINA 2006) Obiettivo: il miglior risultato possibile Obiettivo: controllo dell'asma Step 4 Grave persistente Step 3 Moderata persistente Step 2 Step 1 Intermittente Nessuno Intermittente CSI a bassa dose (teofillina, antileucotrieni, cromoni) CSI a dose medio-bassa + LABA (teofillina, antileucotrieni) Per tutti e 4 gli step di trattamento è indicato un β2-agonista da utilizzare al bisogno. Legenda: CSI, corticosteroidi inalatori; LABA, β2-agonisti a lunga durata d'azione; LR, a lento rilascio Tratto da [5] mod. segni ed i sintomi di una reazione anafilattica [14]. Questo vale per il territorio USA dove il farmaco non viene somministrato in regime ospedaliero come in Italia, in considerazione del fatto che l'indicazione è anche per asma moderato. Esistono anche alcuni limiti per l'utilizzo di questo farmaco negli asmatici. In primo luogo i pazienti con asma di tipo non allergico, che rappresentano una porzione numericamente non indifferente, non possono essere trattati con anti-IgE. Rimangono inoltre esclusi dalla possibilità di essere trattati con omalizumab, tra i pazienti con asma allergico, quelli con livelli troppo elevati di IgE totali. Rimane comunque evidente che omalizumab al momento risulta l'unico anticorpo monoclonale con evidenza di efficacia e sicurezza per il trattamento dell'asma allergico severo non controllato. Si può affermare che probabilmente costituisce uno dei primi anticorpi in grado di agire in modo simile ad “una pallottola magica che va alla ricerca del proprio bersaglio”, come aveva predetto un secolo fa l'immunologo Paul Ehrlich [15]. È raro infatti che, interferendo con una specifica molecola coinvolta nella patogenesi di una malattia, si riesca in primo luogo ad ottenere dei risultati tangibili in senso terapeutico, ed in secondo luogo, che lo stesso trattamento non si renda responsabile dell'insorgenza di effetti collaterali importanti e severi. Il blocco delle IgE è solamente una delle diverse modalità di approccio terapeutico tentate negli ultimi anni per interferire con la cascata di eventi che portano all'instaurarsi della reazione allergica (Tabella I). Grazie alle biotecnologie, oltre ad oma60 MRM lizumab sono stati messi a punto e sperimentati diversi farmaci specificatamente disegnati per colpire “molecole bersaglio diverse”, come ad esempio linfociti CD4, fattore di necrosi tumorale (TNF)-α, interleuchina (IL)-4, IL-5, IL-10, IL-12, molecole di adesione dell'endotelio. I risultati ottenuti con queste nuove strategie terapeutiche sono stati al di sotto delle aspettative per scarsa efficacia o per l'insorgere di gravi eventi avversi. Keliximab e Clenoliximab Le cellule Th2, CD4+, danno inizio, attraverso la secrezione di citochine, ad iperreattività bronchiale, ipersecrezione di muco, produzione di IgE, reclutamento di eosinofili, basofili, e mastociti. Sono state quindi sviluppate due molecole diverse, Keliximab e Clenoliximab, entrambi anticorpi monoclonali di- TABELLA I: MOLECOLE RICOMBINANTI SPECIFICHE PER IL LORO CORRISPONDENTE BERSAGLIO NOME BERSAGLIO Keliximab Clenoliximab Infliximab Etanercept Nuvance Reslizumab Mepolizumab Natalizumab Omalizumab CD4 CD4 TNF-α Recettore solubile per TNF-α IL-4 IL-5 IL-5 α4-integrina IgE Legenda: IL, interleuchina; TNF, fattore di necrosi tumorale MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 61 zione, la migrazione, la chemiotassi, l'attivazione e la sopravvivenza degli eosinofili, che si ritiene abbiano un ruolo importante nella patogenesi dell'asma e di altre malattie allergiche. L'efficacia di reslizumab e mepolizumab, anticorpi monoclonali umanizzati diretti contro IL-5, è stata valutata in diversi studi clinici [24]. I livelli ematici di eosinofili venivano ridotti drasticamente dopo terapia, ma ciò non si accompagnava ad un significativo effetto sull'iperreattività bronchiale e sulla risposta asmatica ritardata. In un altro studio [25], che valutava l'effetto di dosi crescenti di anti-IL-5 nei pazienti asmatici severi, nonostante la drastica e durevole riduzione dei livelli di eosinofili circolanti, è stato riscontrato solo un modesto e fugace aumento dei valori di FEV1 rispetto al basale. Di conseguenza, anche se la frequenza di eventi avversi non era diversa tra trattamento attivo e placebo, l'efficacia clinica degli antiIL5 nell'asma bronchiale è ancora da dimostrare. IL-10 e IL-12 Un'ulteriore possibilità per interferire nella cascata patologica dell'asma, è rappresentata dall'utilizzo di citochine inibitorie, con lo scopo di domare l'anormale risposta infiammatoria. L'efficacia di IL-10 è stata valutata nei pazienti asmatici in uno studio condotto in doppio cieco, cross-over, ma non si sono osservati effetti né su PC20, né sugli eosinofili nell'espettorato, né sul FEV1 in seguito all'esposizione all'allergene. Gli effetti di IL-12 sono stati valutati in uno studio randomizzato e controllato, condotto in doppio cieco, a gruppi paralleli, su pazienti con asma lieve [26]. Sebbene sia stata dimostrata una diminuzione di eosinofilia nell'espettorato, questa terapia ha fallito nel dimostrare efficacia nel ridurre la risposta allergica all'esposizione all'allergene, e nel ridurre l'iperreattività delle vie aeree. Inoltre, gli effetti collaterali sono stati non rari, rappresentati da malessere e aritmie. Natalizumab È poi possibile interferire con la migrazione transendoteliale dei leucociti attraverso la membrana basale, mediata da molecole di adesione endoteliale. I mastociti, i basofili e gli eosinofili condividono diverse modalità di reclutamento tra di loro e con altre linee cellulari [27]. Questo approccio è stato tentato nell'asma, ma anche in altre patologie come la psoriasi, il morbo di Crohn, l'artrite reumatoide, il rigetto di trapianto renale. Natalizumab (Antegren) è un anticorpo umanizzato anti-α4-integrina che inibisce la movimentazione di leucociti attraverso l'endotelio bloccando il legame di α4β1-integrina alla molecola-1 di adesione cellulare vascolare. Questo anticorpo monoclonale è stato utilizzato in studi clinici condotti su pazienti affetti da sclerosi multipla e morbo di Crohn [27,28]. È stato recentemente reso noto che l'utilizzo di questa terapia permette di raggiungere il controllo di tali patologie, ma è associato a sviluppo di eventi avversi [29,30], legati ad una perdita di competenza immunologica nel controllare l'infezione da virus JC, che porta allo sviluppo della leucoencefalopatia multifocale progressiva [31-33]. F Tarantini, I Baiardini, G Passalacqua, F Braido, GW Canonica La terapia dell'asma allergico - Treatment of allergic asthma retti contro CD4 [16]. Per quanto riguarda il trattamento dell'asma, Keliximab ha dimostrato in vivo la capacità di esaurire le cellule CD4 e di aumentare il PEF, ma non si è mostrato in grado di diminuire in modo significativo i symptom score, deludendo così le aspettative di successo [17]. Infliximab e Etanercept Il TNF-α rappresenta il principale bersaglio terapeutico in una vasta gamma di patologie infiammatorie croniche caratterizzate da una risposta immunologia di Th1 in cui il TNF-α viene prodotto in eccesso. Al contrario, l'asma è sempre stata riconosciuta come una patologia di tipo Th2, specialmente quando associata all'atopia. Comunque, quando diventa più grave e cronica e di lunga data, assume delle caratteristiche addizionali che includono la resistenza alla terapia cortisonica ed un coinvolgimento dei neutrofili, caratteristiche queste che sono suggestive di un'alterazione del profilo infiammatorio verso una risposta di tipo Th1, incriminando citochine come TNF-α, che sembrerebbe tra l'altro responsabile della proliferazione dei fibroblasti e dei miofibroblasti [18]. Apparentemente il TNF-α rappresenta un bersaglio ottimale. Sono stati sviluppati due prodotti distinti per contrastare i suoi effetti: infliximab, diretto contro il TNF-α, e etanercept, contro il recettore solubile del TNF-α. Uno studio di Howarth [19] ha valutato l'utilizzo di etanercept nei pazienti affetti da asma cronico grave. Dopo un trattamento durato 12 settimane sono stati osservati una riduzione nella iperreattività alla metacolina ed una riduzione nei symptom score dei pazienti trattati. Un ulteriore studio ha dimostrato che i pazienti con asma refrattario hanno aumentati livelli di marker dell'attività del TNF-α nei monociti circolanti. Proprio in questo tipo di pazienti il trattamento con etanercept per 10 settimane ha dimostrato di migliorare in modo significativo la qualità della vita, il FEV1 e la PC20 rispetto al placebo [20]. Purtroppo un aspetto da segnalare riguardo la terapia anti-TNF-α è il verificarsi di eventi avversi. Le preoccupazioni maggiori riguardano l'effetto trigger per patologie demielinizzanti e linfoproliferative, e la possibile riattivazione di tubercolosi che porterebbe a forme miliari di malattia [21]. Nuvance IL-4, prodotta dalle cellule T-helper con lo scopo di attivare e reclutare le parti costituenti il sistema immunologico, è associata ad una risposta immunologica di tipo Th2 e, stimolando diversi tipi cellulari, media importanti funzioni pro-infiammatorie nell'asma. È stato sviluppato un recettore solubile per IL4 (Nuvance™), che viene somministrato per via inalatoria, ma studi in fase III hanno dato risultati deludenti le aspettative [22]. Oltre a IL4-R, sono stati sviluppati una muteina IL-4 che blocca sia IL-4 che IL13, ed un anti-IL-4, ma anche questo filone di studi è stato sospeso [23]. Reslizumab e Mepolizumab IL-5 viene prodotta in primo luogo da cellule Th2 attivate, ma è anche sintetizzata dai mastociti e dai basofili. È essenziale per la formazione, la matura- MRM 61 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 58-64 MRM 01-2007_def 62 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 62 In conclusione, quello che appare chiaro da tutti questi tentativi di contrasto degli effetti di fattori biologici, è che molti di questi giocano un ruolo positivo nella difesa dell'organismo umano da diversi tipi di danno, oltre ad essere coinvolti nello scatenamento di malattia. Di conseguenza, dal blocco di queste funzioni possono scaturire diversi effetti negativi per l'intero organismo. L'unica soluzione affinché si possano ottenere solo benefici ed evitare effetti collaterali potrebbe essere che la citochina/molecola che si intende bloccare non abbia altre funzioni biologiche di rilievo oltre quella di essere responsabile per lo sviluppo di una particolare patologia. Alla luce di queste considerazioni occorre rivalutare la strategia del blocco delle IgE. Da quanto si conosce, questa molecola è estremamente importante per il suo ruolo di trigger nelle malattie allergiche, ma sembra che non sia significativamente coinvolta in altre patologie. Questo sarebbe il motivo per il quale costituisce un bersaglio perfetto per poter bloccare la reazione allergica. Bloccare le IgE significa bloccare la degranulazione dei mastociti ed il conseguente rilascio di mediatori pro-infiammatori che portano allo sviluppo dei sintomi clinici di malattia ed alla compromissione dei parametri clinici e funzionali. Abbiamo in precedenza valutato l'effetto positivo della terapia con omalizumab sulle tradizionali misure di outcome. Esistono anche studi che evidenziano quale sia l'impatto del trattamento nell'esperienza quotidiana del paziente, valutando la qualità della vita (QoL). Anti-IgE e Qualità della Vita Ad oggi sono disponibili in MedLine 10 lavori, randomizzati e controllati, i quali mediante questionari validati forniscono una valutazione della QoL nei pazienti trattati con omalizumab. L'impatto soggettivo di tale trattamento è stato misurato sia negli adulti che nella popolazione pediatrica, in soggetti che soffrono di allergopatia respiratoria. Un miglioramento significativo della QoL in pazienti rinitici dopo trattamento con omalizumab è stato evidenziato in due diversi studi. Sia nella rinite allergica stagionale che in quella perenne, la terapia con anti-IgE si è dimostrata in grado di aumentare il benessere soggettivo del paziente, valutato mediante il Rhinoconjuctivitis Quality of Life Questionnaire (RQLQ) [34,35]. Più numerosi sono gli studi che analizzano la QoL nei pazienti affetti da asma allergico. I risultati di un trial che ha coinvolto 334 bambini di età compresa fra i 5 e i 12 anni, ha mostrato come il trattamento con omalizumab in soggetti la cui asma era ben controllata da terapia inalatoria steroidea, è in grado di apportare un significativo miglioramento della QoL. In particolare nei domini relativi ai sintomi e alle attività, oltre che nel punteggio globale del Pediatric Asthma Quality of Life Questionnaire, i bambini trattati con omalizumab ottengono miglior benessere soggettivo [36]. In 6 diversi studi che coinvolgono pazienti adulti con asma da moderato a grave, non in grado di raggiungere il controllo della malattia nonostante la terapia steroidea, è stato valutato l'impatto del trattamento con omalizumab sulla vita del paziente mediante il questionario specifico Asthma Quality of Life Questionnaire (AQLQ) [3,4,37-40]. I risultati di questi studi evidenziano come il maggior controllo dell'asma ottenuto mediante anti-IgE si riflette in un aumento del benessere percepito dal paziente nella sua vita quotidiana, con un miglioramento sia del punteggio globale dell'AQLQ, che dei singoli domini (limitazione delle attività, emozioni, sintomi, esposizione agli stimoli ambientali). Tali risultati, oltre ad essere significativi dal punto di vista statistico, acquistano una rilevanza clinica, in quanto il miglioramento ottenuto è tale da essere percepito come rilevante dal paziente stesso. L'effetto di omalizumab è stato anche dimostrato sulla qualità della vita di pazienti con asma moderata-severa e concomitante rinite allergica persistente, per mezzo dei questionari specifici ACQLQ e RQLQ [8]. I risultati di questo studio hanno dimostrato un effetto positivo non solo in termini di efficacia e sicurezza, ma anche un miglioramento significativo nei punteggi di HRQL. Omalizumab si è dimostrato più efficace del placebo in tutti i domini esplorati dal RQLQ (attività, sonno, sintomi non rinitici/oculari, problemi pratici, sintomi nasali, sintomi oculari ed emozioni) e per domini dei sintomi e dell'esposizione ambientale del AQLQ. Possiamo concludere affermando che alla luce dei dati presenti in letteratura omalizumab appare essere il farmaco più innovativo per la terapia dell'asma negli ultimi 15 anni, dimostrando buone caratteristiche di efficacia e sicurezza. CONFLITTI DI INTERESSI: F.T., I.B., G.P., F.B. Gli autori citati non hanno rapporti finanziari, con entità commerciali che abbiano un interesse nel soggetto di questo manoscritto. G.W.C. ha avuto rapporti finanziari con le seguenti aziende commerciali: A. Menarini, Alk Abello, Almirall Spa, Altana Pharma, AstraZeneca, Boeringher Ingelheim, Chiesi Farmaceutici, Istituto Gentili, GlaxoSmithKline, Lofarma, Merck Sharp & Dohme, Novartis, Pfizer, Schering Plough, Stallergenes, UCB Pharma, Uriach. 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J Allergy Clin Immunol 2004;114:265-269. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 65 Case Report / Caso Clinico Early and medium-term follow-up after lung cancer resection Follow-up a breve e medio termine dopo resezione di tumore polmonare Paul E. Van Schil, Peyman Sardari Nia, Jeroen M. Hendriks, Patrick Lauwers Department of Thoracic and Vascular Surgery, University of Antwerp, Belgium ABSTRACT Lung cancer remains the most common cause of death from cancer and even after complete resection long-term survival is disappointingly low. Most of the patients will die from recurrent disease or second primary cancer. Surveillance could be beneficial to detect these recurrences at an early stage, before any symptoms occur. However, no prospective randomized controlled studies are available to recommend a precise follow-up schedule after lung cancer resection. Most utilized methods comprise clinical examination, chest x-ray and routine blood tests at regular intervals. By a more intensive follow-up including chest computed tomography (CT) and bronchoscopy, it is probably possible to detect recurrences or second primary cancers at an early stage and provide a radical treatment. The additional value of newer tools in follow-up schedules, such as spiral CT, integrated computed tomography-positron emission tomography (CT-PET) and serum protein markers, is promising but still as yet not clearly established. Smoking cessation is essential and beneficial for lung cancer patients at any time prior to lung operation, even for recent quitters. This point should be emphasized by every physician treating operated lung cancer patients. zati comprendono un esame obiettivo, una Rx torace e esami ematici di routine ad intervalli regolari. Mediante un follow-up più intensivo che comprenda la tomografia computerizzata del torace (CT) e la broncoscopia è probabile che diventi possibile individuare le recidive o nuovi tumori primitivi in una fase precoce e provvedere ad un trattamento radicale. Il valore addizionale di nuove tecniche da introdurre negli schemi di follow-up, come per esempio la CT spirale, la tomografia computerizzata integrata con la tomografia ad emissione di positroni (CT-PET) e i marker serici, è di certo promettente, ma ancora allo stato attuale non sicuramente codificato. La cessazione del fumo è essenziale e di beneficio per i pazienti con tumore polmonare in qualunque momento prima dell'intervento sul polmone, anche per chi ha appena deciso di smettere. Questo punto dovrebbe essere enfatizzato da ogni medico che abbia a che fare con i pazienti operati di tumore al polmone. Keywords: Chest x-ray, computed tomography, follow-up, lung cancer, positron emission tomography, serum markers. INTRODUCTION RIASSUNTO Il tumore del polmone rimane la più comune causa di morte per cancro e anche dopo la sua completa resezione la sopravvivenza a lungo termine rimane sconfortantemente bassa. La maggior parte dei pazienti muore per recidiva della patologia o per un nuovo tumore primitivo. La sorveglianza può essere di beneficio per individuare queste recidive in una fase precoce, prima ancora che si verifichi qualunque sintomo. Non è tuttavia disponibile alcuno studio prospettico, randomizzato e controllato per poter raccomandare un preciso schema di followup dopo la resezione del tumore polmonare. I metodi più utiliz- Parole chiave: Follow-up, marker sierologici, Rx torace, tomografia ad emissione di positroni, tomografia computerizzata, tumore polmonare. As reported in many studies and updated at the World Cancer Congress of the UICC (Union Internationale Contre le Cancer) in July 2006, lung cancer remains the most common cancer except for skin cancer, and represents the most common cause of death from cancer [1,2]. The general prognosis is poor with an overall 5-year survival rate of only 15%. Within one year of diagnosis 65% of patients will succumb to their disease. Even for localized lung cancer which can be completely resected, the 5-year survival rate is approximately 50%. The high mortality after complete resection is Paul E. Van Schil Department of Thoracic and Vascular Surgery University Hospital of Antwerp Wilrijkstraat 10 B-2650 Edegem (Antwerp) Belgium email: [email protected] Data di arrivo del testo: 26/12/2006 - Accettato per la pubblicazione in data: 12/01/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 65-69 MRM 65 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 65-69 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 66 explained by a high rate of local and distant recurrences and by the occurrence of metachronous lung cancer. So, close follow-up seems to be indicated to detect recurrences or a second primary lung cancer at an early stage in order to consider a subsequent treatment with curative intent. The main target population are patients with stage I - III non-small cell lung cancer (NSCLC) treated with curative intent by surgical resection or combined modality treatment. After description of an illustrative case report, two surveys are presented to look at common practice of follow-up in the USA and Europe. Subsequently, the published evidence is discussed as well as newer techniques for postoperative surveillance. Lastly, the importance of smoking status as a prognostic factor is reviewed. Case report: follow-up after lung cancer resection A male Caucasian patient born on April 12, 1928 was investigated in February 1991 for dyspnea and cardiac problems. He was a farmer and had been a heavy smoker for 43 years. Chest x-ray showed a large tumor in the left lower lobe (figure 1) which was confirmed by computed tomography (CT) of the chest. Transthoracic puncture revealed the diagnosis of large cell carcinoma. Cervical mediastinoscopy was negative and in April 1991 a lobectomy of the left lower lobe was performed. The final pathological examination was pT2N0M0, stage IB. No adjuvant therapy was given. At that time the patient stopped smoking. Regular followup was performed by clinical examination and chest x-ray, initially every 3 months for 2 years and subsequently every 6 months. Fifteen years after the initial resection an asymptomatic second primary tumor was diagnosed in the right upper lobe on chest x-ray and more detailed by CT scanning (figure 2). Bronchoscopic biopsies were suggestive for large cell carcinoma. In June 2006 a lobectomy of the right upper lobe was performed. Except for a urinary tract infection no post-operative complications occurred. Pathology showed a poorly differentiated mucoepidermoid carcinoma, pT2N1M0, stage IIB. Due to his advanced age and moderate general condition no adjuvant therapy was given. Follow-up is again being performed by clinical examination and chest x-ray at the same schedule as outlined before. This case demonstrates that even a long time after an initial complete resection, a second primary cancer may be detected during follow-up for which a complete resection is feasible. Survey In 1995 Naunheim et al. published the results of a survey performed among 3,700 members of the Society of Thoracic Surgeons [3]. There were 2,009 responses (54%). Most frequently used follow-up methods after lung cancer resection included clinical examination, chest x-ray, blood tests including blood cell count and liver function tests, and chest CT scan. Infrequently used tools were sputum cytology, CT scan of the brain, bone scanning, magnetic 66 MRM FIGURE 1: CHEST X-RAY SHOWING LUNG CANCER IN LEFT LOWER LOBE resonance imaging of the chest and bronchoscopy. Moreover, this survey revealed that there was a wide geographic variation and that surveillance clearly decreased over time in most centres. At the latest congress of the European Respiratory Society (ERS) in Munich in September 2006 we performed a small survey among participants of a “Meet the Professor” seminar on follow-up after thoracotomy for lung cancer resection. Fifteen questionnaires were filled out. Thirteen physicians (86.7%) regularly perform follow-up after complete resection for lung cancer. Except for one participant, all others also perform close follow-up in asymptomatic patients. Regarding the methods utilized, 11 (73.3%) use history combined with physical examination, 13 (86.7%) chest x-ray, 6 (40%) routine blood tests, 4 (26.7%) serum markers, 5 (33.3%) chest CT, only 2 (13.3%) bronchoscopy FIGURE 2: CHEST CT SCAN DEMONSTRATING SECOND PRIMARY LUNG CANCER IN RIGHT UPPER LOBE. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 67 Follow-up: the published evidence No randomized controlled trials on specific followup after lung cancer resection have been published. The results of 4 retrospective and 2 prospective studies are summarized in tables I and II [4-9]. The retrospective studies of table I did not show any advantage of a prospective versus a non-prospective program, of intensive versus non-intensive surveillance or of a strict follow-up in every patient versus follow-up in symptomatic patients only. However, in the study of Walsh et al. a better survival was found in asymptomatic patients [6], though this could be due to lead-time bias, meaning that recurrent or second primary cancers are detected at an earlier, indolent stage. In the prospective study of Pairolero et al. (table II) the best survival was noted in second lung cancers [8]. In the French prospective but non-randomized study reported by Westeel et al., the question was asked whether an intensive post-operative surveillance program could have an impact on survival [9]. The follow-up schedule included clinical examination and chest x-ray every 3 months, chest CT and bronchoscopy every 6 months for the first 3 years and once a year thereafter. In this study 192 patients were included. Median follow-up was 131 months. In total, 136 recurrences (71%) were diagnosed of which 71 (52%) were thoracic. Thirty-six cases (26%) were asymptomatic. In 28 patients the intrathoracic recurrence was able be treated with curative intent. Overall 3-year survival rate from the date of recurrence was 13%; however, in asymptomatic cases a better survival was noted with a 3year survival rate of 31%. So, the conclusion of this study was that an intensive surveillance program including chest CT and bronchoscopy may increase survival through the detection of recurrence at an asymptomatic stage. However, a lead-time bias could not be excluded. Recently, the Intergroupe Francophone de Cancérologie Thoracique (IFCT) initiated a prospective randomized study with a target sample size of 1,744 patients [10]. Patients who underwent a complete resection for stage I-IIIA NSCLC will be randomized between follow-up by clinical examination and chest x-ray versus the same regimen with an additional chest CT and bronchoscopy. Bronchoscopy is required for squamous cell carcinoma but optional for adenocarcinoma. Autofluorescence bronchoscopy is allowed. Follow-up is performed every 6 months for the first 2 years and every year thereafter. Also, quality of life and cost-benefit ratio will be evaluated. This study will take several years to complete. Post-operative follow-up: new techniques Recently, some newer techniques have been introduced which could play a role in follow-up of resected lung cancer patients. These include lowdose helical CT, integrated computed tomography positron emission tomography (CT-PET), autofluorescence bronchoscopy and specific serum protein markers. Low-dose CT scan of the chest has been introduced as the preferred method for early detection of lung cancer in populations at risk [11]. It is clearly more sensitive than chest x-ray; so, it may be valid in a surveillance program of patients who underwent complete resection of an early-stage NSCLC. Integrated CT-PET scanners are now available resulting in a higher accuracy than CT or PET (positron emission tomography) alone due to the fusion of both images, which increases the anatomical resolution of the PET images [12]. This technique has not yet been applied for routine followup of lung cancer patients. The cost is increased and in many countries access to integrated CT-PET scanners is limited at the present time. Autofluorescence bronchoscopy is a useful method for early detection of centrally located recurrent lung cancer. It is a promising surveillance tool to detect premalignancy and central lung cancer in high-risk patients [13]. However, its use in a surveillance program after lung cancer resection has not been evaluated and this technique is not readily available in many countries. The use of specific serum protein markers also seems to be promising. In a recent study a panel of serum protein markers was evaluated in 196 patients who had undergone resection for stage I NSCLC [2]. The angiogenesis factors, basic fibrob- PE Van Schil, P Sardari Nia, JM Hendriks, P Lauwers Follow-up after lung cancer resection - Follow-up dopo resezione di tumore polmonare and also 2 (13.3%) CT of the brain. All participants systematically assess smoking status pre-operatively, but only 11 (73.3%) post-operatively. For 13 colleagues (86.7%) it is obvious that smoking status influences prognosis and long-term survival. TABLE I: FOLLOW-UP OF RESECTED LUNG CANCER: RETROSPECTIVE STUDIES Author ref year type of follow-up stage n effect on survival Williams Virgo Walsh Younes 4 5 6 7 1981 1995 1995 1999 prospective/non-prospective intensive*/non-intensive strict/∑ not detailed I I-IIIA I-IIIA I-IIIA 350/145 120/62 67/63 358 NS NS NS a∑ ∑† Definition of abbreviations: n, number of patients in each subgroup; NS, not significant; ref, reference; a∑, asymptomatic patients; ∑, symptomatic patients. * chest CT or bronchoscopy † 16.6 versus 8.0 months MRM 67 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 65-69 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 68 TABLE II: FOLLOW-UP OF RESECTED LUNG CANCER: PROSPECTIVE STUDIES Author ref year type of follow-up Pairolero 8 1984 regular Westeel 9 2000 intensive* n results I 346 2-year survival: 2nd lung cancers 52% local rec: 23% distant mets: 9% I-IIIA 192 3-year survival 13% (a∑: 31%) Definition of abbreviations: mets, metastases; n, number of patients; rec, recurrence; ref, reference; a∑, asymptomatic patients. * includes chest CT and bronchoscopy lastic growth factor and vascular endothelial growth factor, the basement membrane factors, urokinase plasminogen activator and its receptor, and finally the metastasis formation factors, hepatocyte growth factor, CD 44 and E-selectin were studied. Samples were taken before the intervention and at 1, 4, 6, 12, 18 and 24 months post-operatively. For surviving patients the follow-up was at least 24 months. Recurrent disease was observed in 37%. Regarding the baseline level only CD 44 correlated with the pathological stage. Post-operatively, a decrease in E-selectin and an increase in CD 44 and urokinase plasminogen activator receptor were able to predict recurrence before any clinical or radiographic signs appeared [2]. So these specific markers may have the potential to predict recurrence at an early stage in patients who underwent complete resection for lung cancer. Whether this will improve efficacy of systemic therapy, still remains to be proven. Smoking status as a prognostic factor Although smoking is the most important risk factor for lung cancer, the impact of smoking on survival of patients with resected lung cancer has received little attention until recently. Problems with earlier studies include heterogeneous patient populations, the mixture of smoking subgroups and an incomplete assessment of the smoking status. The effect of smoking as a prognostic factor after lung cancer resection was recently explored in a Japanese study including 999 patients who underwent complete resection; 339 patients had squamous cell carcinoma and 660 adenocarcinoma [14]. Factors analysed included pack-year index, pathological stage and survival. Follow-up was performed by clinical examination, blood tests, serum tumor markers and chest x-ray. These tests were performed every 3 months for the first three years and at least once a year thereafter. In adenocarcinoma a better survival was found in never-smokers and those patients with a pack-year index < 20. In never-smokers with adenocarcinoma an increased incidence of stage I disease was found. In contrast, in patients with squamous cell carcinoma there was no survival difference 68 MRM stage between the various smoking subgroups. There was also no relation between pack-year index and pathological stage. In a multivariate analysis smoking status and pathological stage were significant prognostic factors. Comments on this study include the mixture of smoking subgroups as former smokers who had stopped smoking for more than 10 years were included in the non-smokers group; secondly, it was a surprising finding that smoking status had no effect in squamous cell carcinoma, which is the tumor that is most significantly associated with smoking status. In a similar study from our institution, 311 patients who underwent a surgical resection for NSCLC were subdivided into non-smokers, former smokers, recent quitters and current smokers [15]. Median follow-up time was 33 months and the overall 5year survival rate 52%. In a Cox multiple regression analysis, older age, lymph node metastasis and current smoking were significant factors for overall survival. Similar results were found for disease-free survival. Compared to current smokers, prognosis was better for non-smokers, former smokers and even recent quitters. The conclusion of both studies is that cigarette smoking does not only influence carcinogenesis of lung cancer but also affects prognosis and progression in resected NSCLC. Therefore, smoking cessation is extremely important after an intervention for lung cancer. CONCLUSIONS No prospective randomized studies exist to recommend a precise follow-up strategy after lung cancer resection. So, at the present time, no definite guidelines can be provided. More intensive follow-up including chest CT and bronchoscopy is probably beneficial to detect early recurrence or second primary lung cancer in asymptomatic patients. The added value of newer tools such as spiral CT, integrated CT-PET and serum protein markers remains to be determined. Smoking cessation is essential and beneficial for lung cancer patients at any timepoint prior to lung operation. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 69 1. Jemal A, Siegel R, Ward E, Murray T, Xu J, Smigal C, Thun MJ. Cancer Statistics 2006. Ca Cancer J Clin 2006;56:106-130. 2. D'Amico TA, Brooks KR, Joshi MB, Conlon D, Herndon J, Petersen RP, Harpole DH. Serum protein expression predicts recurrence in patients with early-stage lung cancer after resection. Ann Thorac Surg 2006;81:1982-1987. 3. Naunheim KS, Virgo KS, Coplin MA, Johnson FE. Clinical surveillance testing after lung cancer operations. Ann Thorac Surg 1995;60:1612-1616. 4. Williams DE, Pairolero PC, Davis CS, Bernatz PE, Payne WS, Taylor WF, Uhlenhopp MA, Fontana RS. Survival of patients surgically treated for stage I lung cancer. J Thorac Cardiovasc Surg 1981;82:70-76. 5. 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It is an autosomal recessive disease, and the genetic defect is represented by mutations in the cystic fibrosis transmembrane conductance regulator (CFTR) gene, ∆F508 mutation being most commonly detected [1,2]. The CFTR gene belongs to the ATP-binding cassette (ABC) gene family generating ABC proteins which are involved in multidrug resistance or in transportation of various ions and molecules [1]. In particular, CFTR protein regulates transmembranal Na+ and Cl¯ and its defective state leads to various pathophysiological abnormalities such as increase of sodium and chloride levels in sweat, abnormally thick mucus in the airways, and similar perturbations at intestinal, pancreatic and gonadal levels [3]. Lungs are the most dramatically affected, impaired clearance of viscous mucus producing local inflammation, and repetitive infections with highly deleterious bacteria such as Pseudomonas aeruginosa, bronchiectasis and chronic respiratory failure. Neutrophil-driven persistent inflammation caused by infections occurring in early life, with continuous release of high amounts of proteolytic enzymes and cytokines such as interleukin (IL)-1 and tumour necrosis factor-α favours progressive bronchial and pulmonary lesions, and impairs microbials clearance. The latter is also due to increased adherence of bacterials such as P. aeruginosa to the airways epithelium, and to ineffectiveness of local immune mechanisms [1]. Current therapeutic approaches are aimed at minimizing pulmonary inflammation and infection, improving airway clearance and providing nutritional and organ specific support. Inhaled therapies have been developed or are currently under development to address various CF abnormalities such as infection, impaired mucus clearance or inflammation, based on the assumptions that in CF the lung is the most affected and the main cause of limited survival, and that pulmonary infections could be better targeted with antibiotics given locally. In his paper Braggion et al. [4] discuss the existing data supporting the use of several inhaled therapies in CF. Inhaled antibiotics such as tobramycin, colistin or aztreonam have been evaluated in terms of efficacy on first or recurrent P. aeruginosa infections and on pulmonary function. Mucus clearance can be improved in more advanced stages of the disease where bronchiectasis exists with the use of recombinant human DNAse (RhDNAse), which reduces the high levels of bronchial mucus DNA resulting from neutrophil cells degradation, or with other potentially mucolytic therapies such as amiloride, hypertonic saline, mannitol, or denufosol. Inhaled therapy could be further used in CF in order Sabina A. Antoniu Clinic of Pulmonary Disease 30 Dr I Cihac Str, 700115, Iasi, Romania email: [email protected] Data di arrivo del testo: 26/01/2007 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 70-71 70 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 71 specific anti-cytokine therapies are currently under development for CF therapy. Cystic fibrosis is a multisystem disease, and extrapulmonary manifestations can also constitute a major cause of morbidity. Taccetti and Festini [7] review the most common CF extrapulmonary manifestations, namely pancreatic abnormalities, upper airways manifestations, bone alterations, and gastrointestinal and hepatic disorders, and they summarize the main therapeutic measures. Lung transplantation is the ultimate therapeutic approach in end-stage pulmonary CF. In their paper, Irani et al. [8] highlight the difficulty in predicting pre-transplant and post-transplant survival in CF patients, the latter being comparable however with that of other pulmonary disease despite high incidence of post-transplant gastrointestinal complications and rhino-sinusal P. aeruginosa infections. Post-transplant reproductive issues and living donor lung transplantation are present and future challenges in CF. In summary, CF is a multi-organ disease that can benefit from both systemic and pulmonary specific therapeutic targeting. The latter is aimed mainly at reducing mucus viscosity, inflammation and infection at pulmonary level, goals which can be fulfilled also by some therapies given systemically. However, these cannot treat extrapulmonary involvements which need to be treated specifically and, hence, the highest therapeutic benefit can be achieved through a complex systemic and local therapeutic regimen provided by a multidisciplinary team. SA Antoniu, CF Donner Therapeutic approaches in cystic fibrosis - Approcci terapeutici alla fibrosi cistica to reduce local inflammation (α1-antitrypsin, γ-interferon) or to correct gene defects via inhaled gene therapy. As mentioned in the paper authored by Moeller and Kolb [5], gene replacement therapy given via inhalatory route with viral and non-viral gene vectors has been looked to with great hope. However, the results of clinical studies performed so far have identified limiting factors impeding its potential efficacy such as short duration of therapeutic effect, the mounting of a host antiviral immune response, etc. Hence, other gene therapy approaches currently under development such as gene silencing or gene transfer of antimicrobials or peptides, could be appropriate therapeutic options provided they minimize the above-mentioned limiting factors of replacement gene therapy. Irrespective of the type of pharmacological or biological agent used, clinical efficacy of inhaled therapy is dependent on several individual factors including adherence and pulmonary function status. Furthermore, inhaled therapy is not effective on extrapulmonary CF and hence systemic therapies have to be used. Systemic anti-inflammatory therapies have also been assessed in CF patients. Lucidi [6] points out that oral corticosteroids can be effective antiinflammatory agents for CF treatment, but their side effects impede their long-term use, and novel corticosteroid formulations such as those loaded on autologous erythrocytes are currently under assessment. Non-steroidal anti-inflammatory agents such as ibuprofen have been evaluated in CF patients but, as pointed out by the same author, their routine use is not recommended. Macrolides, “anti-inflammatory” diet and immunosuppressors could also be used to keep inflammation under control, and other CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: The authors do not have any financial relationship with a commercial entity that has an interest in the subject of this manuscript. References 1. Gibson RL, Burns JL, Ramsey BW. Pathophysiology and management of pulmonary infections in cystic fibrosis. Am J Respir Crit Care Med 2003;168:918-951. 2. Rowe SM, Miller S, Sorscher EJ. Cystic fibrosis. N Engl J Med 2005;352:1992-2001. 3. Boucher RC. 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MRM 71 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 72 Multidisciplinary Focus on Therapeutic Issues in Cystic Fibrosis a cura di Sabina Antoniu Gene therapy for cystic fibrosis Terapia genetica della fibrosi cistica Antje Moeller1, Martin Kolb2 1 2 Department of Medicine, Respirology, Julius-Maximilian University Würzburg, Germany Department of Medicine, Firestone Institute for Respiratory Health, McMaster University, Hamilton, Ontario, Canada ABSTRACT Cystic fibrosis (CF) is a hereditary disease caused by mutations in the cystic fibrosis transmembrane conductance regulator (CFTR) gene on the surface of epithelial cells. The gene defect is associated with abnormal membranous chloride transport, resulting in highly viscous mucus in all epithelium lined inner organs.The effects on the lung and airways is clinically the most important. Mucus plugs cause obstruction of airways, favouring bacterial colonization with Pseudomonas aeruginosa and other pathogens, bronchiectasis and ultimately respiratory failure. The standard treatment is purely symptomatic with recurrent pulmonary infections and antibiotic resistances constituting an increasing clinical problem. Since discovery of the CFTR gene, gene replacement therapy was heralded as a potential future cure for CF patients, but a number of negative clinical trials have dampened the initial high hopes. Current research on viral and non-viral vectors focuses on several issues that have been problematic in CF gene therapy so far. The host immune response needs to be reduced or bypassed, and gene expression levels and duration must be enhanced before broad success can be achieved. In addition to the classical concept of gene replacement therapy, gene silencing methods and gene therapeutics are being developed and may become novel tools for the treatment of CF patients in the future. Keywords: CFTR gene, cystic fibrosis, gene therapy. RIASSUNTO La fibrosi cistica (CF) è una patologia ereditaria causata da una mutazione del gene CFTR (cystic fibrosis transmembrane conductance regulator) sulla superficie delle cellule epiteliali. Il difetto genetico è associato con una anomalia del trasporto del cloro transmembrana, che comporta un incremento della viscosità del muco in tutti i liquidi epiteliali degli organi interni. Gli effetti di maggiore gravità dal punto di vista clinico sono a carico di polmone e vie aeree. Tappi di muco causano ostruzione delle vie aeree, favorendo la colonizzazione batterica da Pseudomonas aeruginosa e altri patogeni, bronchiettasie e in ultima analisi insufficienza respiratoria. Il trattamento stan- dard è puramente sintomatico, ma le infezioni polmonari ricorrenti e la resistenza agli antibiotici costituiscono un problema clinico via via crescente. Dalla scoperta del gene CFTR la terapia di sostituzione genetica è stata preannunciata come il trattamento potenziale del futuro per i pazienti con CF, ma una quantità di studi clinici negativi hanno frustrato le grandi speranze iniziali. La ricerca corrente sui vettori virali e non virali sta cercando di risolvere i molteplici problemi che si sono presentati nella terapia genetica della CF fino ad oggi. La risposta immunitaria dell'ospite deve essere ridotta o soppressa, mentre i livelli di espressione genetica e la loro durata devono essere incrementati prima che possa essere raggiunto un successo pieno. In aggiunta al classico concetto della terapia di sostituzione genetica le metodologie di soppressione genica e di terapia genetica sono in fase di sviluppo e si spera possano entrare a far parte dell'armamentario terapeutico per la CF nel prossimo futuro. Parole chiave: Fibrosi cistica, gene CFTR, terapia genetica. INTRODUCTION Cystic fibrosis (CF) is the most common lethal genetic disease in the Caucasian population. The name “cystic fibrosis” originally referred to the presence of cysts and fibrosis in the pancreas. CF is inherited in an autosomal recessive fashion and is caused by a mutation in the cystic fibrosis transmembrane conductance regulator (CFTR) gene. This protein acts as an electrolyte channel at the outer surface of epithelial cells, controlling the influx of chloride into the cell. In CF this channel is malfunctioning, which leads to an interruption of both chloride and sodium transport, resulting in high concentrations of sodium-chloride in the sweat. Defective chloride channels in the apical membranes of alveolar and bronchial epithelial cells account for thick mucus Martin Kolb Departments of Medicine, Pathology and Molecular Medicine - McMaster University, Firestone Institute for Respiratory Health, 50 Charlton Ave East, Room T2121, Hamilton, Ontario, Canada L8N 4A6 email: [email protected] Data di arrivo del testo: 19/12/2006 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 72-77 72 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 73 and conserving lung function. Maintaining an active lifestyle along with regular postural drainage and devices for percussive therapy are recommended to achieve better mucus clearance, as well as inhalation of antimicrobial agents (e.g. tobramycin or colistin) [5,6]. Classical mucolytic drugs such as Nacetylcystein (NAC) are not particularly effective, but dornase alpha, an artificial form of DNAse, reduces mucus viscosity and improves clearance by degrading neutrophil and epithelial cell derived DNA [7]. Bi-level positive airway pressure (BiPAP) can be helpful to prevent desaturation during the night and may even support sputum clearance [8]. Antibiotic regimens need to be initiated in a timely fashion and for longer duration [9], since the development of antibiotic resistances has become a more and more prevalent issue. Ultimately, lung transplantation is an option which is becoming more available [10]. Gene replacement therapy Shortly after identification of the gene responsible for CF in 1989, gene therapy, the transfer of a normal copy of the CFTR gene into the lungs of CF patients, was proposed as an attractive new option [11]. CF seems to be an ideal candidate for gene replacement therapy, since it is caused by a single gene defect and the lungs present an environment which is easily accessible via airways. Since the discovery of the CFTR gene multiple studies based on this approach have been undertaken, but none of them showed convincing evidence that gene replacement would become the successful treatment option one was hoping for. Certain requirements need to be fulfilled for gene therapy to be successful. Most importantly, expression of the gene and its product has to be high A Moeller, M Kolb Gene therapy for cystic fibrosis - Terapia genetica della fibrosi cistica accumulation in the airways leading to frequent pulmonary infections, bronchiectasis with destruction of adjacent lung tissue and ultimately respiratory failure [1]. The CFTR gene is located on chromosome 7. The most frequent mutation is ∆F508, a deletion of three amino acids resulting in a loss of phenylalanine at the 508th position. This accounts for more than 60% of the cases, but there are hundreds of other mutations, which can cause CF as well. One in 25 Caucasian people carries a defective gene without showing symptoms [2]. Disease manifestation appears only when both genes are malfunctioning. The incidence is approximately 1 in 3300 Caucasians. Diagnosis is mostly made by a sweat test with chloride values > 60 mmol/L being indicative for disease. Several organs are potentially involved in CF. The pancreas is affected in 90% of cases, leading to insufficient secretion of enzymes into the gut. The enzymes accumulate in the pancreas and subsequently cause tissue damage, pancreatitis and eventually diabetes due to deficient insulin production [3]. Malabsorption causes malnutrition, diarrhea and distal intestinal obstruction syndrome. Other common manifestations are liver cirrhosis, disturbance of blood coagulation, increased risk of osteoporosis due to vitamin D deficiency and infertility. The involvement of the lungs is most critical in respect to quality of life and prognosis. Highly viscous mucus secretions promote respiratory complications such as infections, bronchiectasis, pneumothorax, hemoptysis, and secondary pulmonary hypertension. Advances in supportive therapy, particularly supplemental nutrition, have markedly increased life expectancy in the past decade to a mean survival of 37 years [4]. The most important therapeutic goal remains limiting tissue damage FIGURE 1: GENE THERAPY APPROACHES IN CYSTIC FIBROSIS GENE REPLACEMENT Viral Vectors Non-viral Vectors •adenovirus •adeno-associated virus •paramyxovirus •“naked” DNA •lipoplexes •polyplexes (parainfluenza type 1+3, respiratory syncytial virus •lentivirus GENE THERAPEUTICS transient administration of genes (e.g. cytokines) to affect function or modulate responses. GENE SILENCING antisense strategies •mucins •epithelial sodium channel •other targets Gene therapy approaches in cystic fibrosis are not limited to the classical gene replacement, but also include gene therapeutics and gene silencing techniques. MRM 73 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 72-77 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 74 enough and must persist for an adequate period of time [12]. Studies have shown that as little as 1015% of the normal gene expression may be sufficient to restore pulmonary and pancreatic function, but the prevention of complicating infections may require higher levels of gene expression [13]. A variety of methods of gene delivery exist including viral or non-viral vector systems (Figure 1). One common issue for all topically administered vectors is to overcome mechanical and immunological barriers before they reach the cellular target. Accumulation of thick mucus, reduced mucociliary clearance, airway surface liquid (ASL), and glycocalyx are physical barriers which can markedly impair the effect of vectors by preventing direct contact with epithelial cell membranes [14,15]. Small airways are especially difficult to reach by aerosols when they are blocked by mucus plugs [11]. Once intracellular, the vectors or their DNA have to surmount another hurdle, the nuclear membrane [15]. Numerous approaches to overcome these problems are under investigation. Pre-treatment with mucolytic or anticholinergic drugs (e.g. glycopyrrolate) can help to improve transfection efficiency. Gene expression can be further enhanced by removal of pulmonary macrophages, at least in vitro [16]. Tight junction openers such as sodium caprate are also effective, but the heavy bacterial colonization of CF airways warrants caution as they can increase the risk of systemic infections [17]. Further, passage of the nuclear membrane can be facilitated by the employment of nuclear localization signals [15]. Another option to enhance transgene expression might be to administer gene vectors via the circulation, as the submucosal glands, site of high gene expression in a healthy person, may be reached more easily via this route [18]. Viral delivery systems The major problem with viral vectors is that cellular and humoral immune responses against the virus basically preclude repeated administration [16]. Recognition of viral proteins leads to formation of neutralizing antibodies which impede the effect of subsequent doses [19]. Replication-deficient adenovirus used to be the most widely applied vector system. The receptor for human adenovirus is located on airway epithelial cells, although predominantly on the basolateral surface which is more difficult to reach [13]. The greatest advantage of adenoviral vectors is their ability to transport high copy numbers of virus into the cell, thus achieving very efficient gene expression. The main problem with this system, however, is that gene expression is transient and vector application is not repeatable due to the host immune response [20]. We have previously shown that the development of neutralizing antibodies can be delayed by corticosteroids, allowing successful gene expression from adenoviral vectors up to four times in two week intervals, but this would not be helpful for gene replacement therapy in a disease like CF [21]. The presence of high antibody titres against adenoviruses following exposure 74 MRM during childhood can further boost the immune response against adenovirus vectors [15]. Non-human adenovectors can be administered repeatedly by bypassing some of these obstacles, but they are far less efficient [22]. Adeno-associated viruses (AAV) have become more important in the last years as they cause less inflammation, and gene expression can be maintained over a longer period. Their safety profile seems to be good [23]. However, packaging of larger genes into AAV vectors is a major problem (including the CFTR gene). One attempt to overcome this is to split the therapeutic cDNA and package it into two viruses, which would reunite after transfection into the cell [16]. Further, the small cloning capacity, difficulty in achieving high titers in manufacture and lack of efficiency in human trials still limits this system for lung gene transfer, although recent success with safe repeat aerosol administration to humans is a welcome development [23]. Several other viral vector systems are under investigation. Parainfluenza type 1 and Sendai virus, seem to be efficient for airway gene transfer, and have been shown to be able to produce functional CFTR chloride channels in vitro [24]. Other members of the paramyxovirus family, the human respiratory syncytial virus and the human parainfluenza type 3, have also been successfully employed to transfect alveolar epithelial cells [16]. Repeated administration, however, is inefficient so far, similar to adenoviral vectors [20]. Lentivirus is a laboratory made retrovirus based on HIV and is able to deliver and integrate genetic information into the DNA of the host cell, which in contrast to the above mentioned viruses, allows the gene expression to persist after cell division [11]. Lentiviruses can be used for transfection of epithelial cells and have been shown to transiently and partially correct the chloride defect in CF knockout mouse nose after pretreatment with a tight junction opener [16]. Non-viral delivery systems The development of non-viral vectors has progressed considerably in the past years. Less severe immunological and inflammatory responses as well as large scale production are major benefits [19,15]. However, the key problem with these systems still is their lack of efficient gene expression, in part caused by the large size of aggregates, which makes penetration through the nuclear membrane difficult. These large aggregates are critical to protect the therapeutic DNA from damage during transfection of the cell, but smaller particle formulations are under development [20]. Cationic lipoplexes prevent DNA denaturation by building a liposome-like structure consisting of DNA covered with lipids. They interact with the cell membrane and release the DNA into the cytoplasm, a process called endocytosis. Lipoplexes used to cause toxicity and were not as efficient in non-dividing cells, a problem which might be overcome by PEGylation (a process whereby the formulation is compacted with MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 75 Other approaches of gene therapy The classical idea of gene therapy in CF implies replacement of the defective CFTR gene. However, there are other methods for gene therapy, or gene therapeutic, which may be more easily realized in the near future. Gene transfer may target other genes for a transient period of time as an attempt to ameliorate disease manifestation and possibly affect prognosis. The antimicrobic peptide humane β defensin-1 (HBD-1), for instance, is thought to be implicated in the frequent occurrence of pulmonary infections. HBD-1 activity depends on salt concentration in the environment, and in CF HBD-1 is inactivated as a result of high chloride levels [25]. Transfer of a modified gene for this peptide which is less susceptible to high salt is theoretically a promising gene therapy approach for CF. Further, transient cytokine gene transfer (interleukin-12 and interferon-α) has been shown to increase clearance of Klebsiella pneumoniae and P. aeruginosa in animal models [11,18,26]. Disease progression and life quality may be improved substantially by impeding these respiratory complications. Another approach of gene therapy is the silencing of genes involved directly or indirectly in the pathogenesis of CF. Mucus amount may potentially be reduced by interfering with mucus production. Sodium in the mucus and thus its viscosity could be increased by targeting epithelial sodium channels. For this, antisense strategies could target mucin genes, the epithelial sodium channel or other chaperone proteins (Figure 2). By way of an example, it has been demonstrated that antisense inhibition of A Moeller, M Kolb Gene therapy for cystic fibrosis - Terapia genetica della fibrosi cistica polyethyleneglycol (PEG)-substituted polylysine) [12,16]. Similarly, serpin-enzyme complex receptor (Sec-R) ligand polylysine complex transfect epithelial cells more efficiently, probably due to their small size which allows crossing the nuclear membrane [16]. A Sec-R ligand complexed to CFTR plasmid has been shown to partially correct the chloride transport defect in CF knockout mice nasal epithelium [12]. Complexes of polymers with DNA are called polyplexes. Some of these cannot cause rupture of endosomes by themselves, which prevents transcription of the therapeutic DNA. Others in contrast, such as polyethylenimine, have been modified by adding sugars [20] to gain their own methods of release. Particles formed with polyK have the advantage of being less toxic, causing no inflammatory response and being able to be administered repeatedly [12]. Overall, non-viral delivery systems seem to offer several advantages over viral systems, but a number of hurdles still need to be overcome before this approach can reach the bedside. Besides the improvement of vector systems, the development of other physical delivery methods to increase the transfection efficiency is in progress, among them electroporation, magnetism, ultrasound and vibration [16]. Electroporation is a tool which has been shown to enhance transfection efficiency of naked DNA in the lung. In magnetofection non-viral vectors are coupled to magnetic particles, a method which has been used successfully in the lungs in vitro and in the intestine in vivo. Still, numerous technical and safety issues exist for these methods [20]. FIGURE 2: SIMPLIFIED EXAMPLE OF SILENCING A GENE FOR MUCIN USING ANTISENSE STRATEGIES Silencing RNA 1 mRNA degeneration 2 mucin mRNA 4 3 Double strand “small interfering ribonucleic acid” (siRNA) with a base sequence (20-25 base pairs) complementary to a specific mucin mRNA enters the cell (1), double strand RNA unwinds in the cytoplasm and forms a stable complex with proteins (2), single strands of siRNA bind to messenger RNA of mucin target gene (3), and the RNA complex is finally degradated, thus interrupting protein synthesis (4). MRM 75 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 72-77 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 76 B-cell antigen receptor-associated protein 31 leads to enhanced CFTR gene expression and partially restored CFTR chloride channel function [16]. Circulating or bone marrow derived cells (stem cells or stem-like cells) can also be manipulated and potentially employed as vectors to transport genes into airway epithelial cells. Targeting resident lung stem or progenitor cells with integrating lentiviral vectors has shown promising results in vitro [27]. Initial in vivo experiments, however, have shown that only a small percent of these cells trans-differentiate into airway epitehial cells [28,29], demonstrating that this technique still needs to be further developed. One major advantage of such therapies would certainly be the lack of an immune response, allowing repetitive administration and potentially even preventive therapy [19]. Clinical trials More than 30 clinical trials have been performed in the past 15 years [30], but none of them has been as successful as hoped [31]. Some promising results have been reported recently. Repeated administration of AAV vectors was shown to improve pulmonary function in CF patients slightly, and interleukin (IL)-8 could be reduced in sputum, indicating a favorable effect on airway infections. The treatment was tolerated well and considered safe [16]. Another clinical trial examining delivery of lipoplex-mediated CFTR to nasal epithelium showed partial correction of nasal potential difference (to indirectly measure chloride secretion) and administration of this vector to lower airways seemed to improve chloride transport. Compared to “naked” DNA and polyplexes, the lipoplexes were slightly more efficient as reported in studies by the UK CF Gene Therapy Consortium [12]. CONCLUSIONS In the early years after discovery of the CFTR gene, gene therapy was anticipated to rapidly develop into a method for curing CF. However, a number of negative clinical trials have reduced this initial enthusiasm. Current viral and non-viral gene vectors still have serious limitations such as antiviral immune response, lack of transfection efficacy, and short term gene expression that prevent gene replacement therapy from being a useful approach for the clinical management of CF. Nevertheless, the advances in vector development are enormous and it is to be expected that most of the problems identified can be solved in the years ahead. Other promising gene therapy approaches not aimed at gene replacement are being developed. These include gene silencing by antisense strategies, transient gene transfer of antimicrobial peptides or cytokines and others. Overall, the concept of gene therapy for CF may not be as simple as was hoped a decade ago, but significant advances are being made and the future seems promising. References 1. Rowe SM, Miller S, Sorscher EJ. Cystic fibrosis. N Engl J Med 2005;352:1992-2001. 2. Rosenstein BJ, Cutting GR. The diagnosis of cystic fibrosis: a consensus statement. Cystic Fibrosis Foundation Consensus Panel. J Pediatr 1998;132:589-595. 3. Cohn JA, Friedman KJ, Noone PG, Knowles MR, Silverman LM, Jowell PS. Relation between mutations of the cystic fibrosis gene and idiopathic pancreatitis. N Engl J Med 1998;339:653-658. 4. New statistics show CF patients living longer. Cystic Fibrosis Foundation (April 26, 2006) Retrieved in July 2006. 5. Pai VB, Nahata MC. Efficacy and safety of aerosolized tobramycin in cystic fibrosis. Pediatr Pulmonol 2001;32: 314-327. 6. Westerman EM, Le Brun PP, Touw DJ, Frijlink HW, Heijerman HG. 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A Moeller, M Kolb Gene therapy for cystic fibrosis - Terapia genetica della fibrosi cistica 21. 16-05-2007 MRM 77 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 78 Multidisciplinary Focus on Therapeutic Issues in Cystic Fibrosis a cura di Sabina Antoniu Managing inflammation in cystic fibrosis La gestione dell'infiammazione nella fibrosi cistica Vincenzina Lucidi Dept. of Pediatric Medicine, CF Unit, Bambino Gesù Children's Hospital, Rome, Italy ABSTRACT The most frequent clinical manifestation in patients with cystic fibrosis (CF) is progressive pulmonary destruction due to chronic endo-bronchial infection. There is increasing evidence that immune mediated inflammation also contributes to progressive pulmonary tissue damage. In CF inflammation occurs early in the disease process - hence the rationale for the use of anti-inflammatory agents such as oral steroids. Anti-inflammatory drugs such as corticosteroids and ibuprofen have been shown to slow down the decline of the pulmonary function. However, their use is limited due to the high percentage of adverse effects. Recently, a new molecule, azithromycin, has proven to have a significant role in the treatment of bronchial inflammation. However, none of the anti-inflammatory agents so far tested, including immunosuppressors, antiproteases and glutathione, appear to have a specific and efficacious therapeutic effect. Keywords: Anti-inflammatory therapies, cystic fibrosis, pulmonary infection, pulmonary inflammation. RIASSUNTO La manifestazione clinica più frequente nei pazienti con Fibrosi Cistica è il danno polmonare progressivo causato dall'infezione endo-bronchiale cronica. Numerose evidenze scientifiche dimostrano che anche l'infiammazione immuno-mediata contribuisce al progressivo danno del parenchima polmonare. L'infiammazione polmonare è presente già nei primi mesi di vita, prima della colonizzazione batterica e pertanto potrebbero essere utili farmaci antinfiammatori come gli steroidi. I corticosteroidi e l'Ibuprofen hanno dimostrato di rallentare il declino della funzionalità polmonare ma il loro uso è stato limitato dall'elevata percentuale di effetti collaterali. Negli ultimi anni una nuova molecola come l'azitromicina ha dimostrato un ruolo significativo nella terapia dell'infiammazione bronchiale da Pseudomonas ma nessuno degli antinfiammatori fino ad oggi testati compresi immunosoppressori, antiproteasi e Glutatione sembrano determinare uno specifico ed efficace effetto terapeutico. Parole chiave: Fibrosi cistica, infezione polmonare, infiammazione polmonare, terapie antinfiammatorie. INTRODUCTION Cystic fibrosis (CF) is an autosomal recessive lethal disease affecting 1 in 2,500 newborns among Caucasians, caused by the cystic fibrosis transmembrane conductance regulator gene (CFTR) [1]. Chronic lung disease is the major cause of mortality and morbidity in CF patients. The real explosion in the knowledge of fundamental airway biology and CFTR function came in 1989 with the identification of the CFTR gene. The protein encoded by the CFTR gene is a chloride (Cl-) channel in the apical membrane of exocrine epithelial cells [2]. The pathophysiology of CF is complex and cannot be solely ascribed to loss of the Cl- channel function of CFTR: Na+ and Cl- reabsorption is clearly deficient in CF sweat ducts, whereas pancreatic juice is known to be low in HCO3-. In CF airways, Clpermeability is decreased and Na+ absorption increased [3,4]. Much of the morbidity and mortality in CF appears to be due to infection and inflammation in the small airways, but the primary cause is still debated. In patients with end-stage lung disease, areas with atelectasis and extensive bronchiectasis can be found adjacent to large areas with air trapping that reflect severe peripheral airway obstruction; however, also young patients may show the same features (table I). Airway infection in CF is largely due to impaired mucus clearance secondary to relative dehydration of airway surface liquid (ASL), which depletes the Vincenzina Lucidi Dept. of Pediatric Medicine, CF Unit, Bambino Gesù Children's Hospital, Piazza San Onofrio 4, 00165 Rome, Italy email: [email protected] Data di arrivo del testo: 21/12/2006 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 78-81 78 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 79 Defective CF gene Defective CFTR Abnormal airway surface? Bronchial obstruction Infection / Inflammation Bronchiectasis / Lung remodelling Destruction of the lung Definition of abbreviations: CF, cystic fibrosis; CFTR, cystic fibrosis transmembrane conductance regulator. periciliary layer and increases mucus viscosity, inhibiting both mucociliary transport and cough efficiency [5]. The hydration of ASL represents bringing about a balance of Cl- secretion and Na+ absorption, principally regulated by these effectors: calcium activated chloride channel (CaCC) and the epithelial Na channel (EnaC) for Na+ absorption [6]. These studies demonstrate that mucus transport is a key component of innate lung defence and suggest that novel treatment strategies that restore proper ASL volume will likely be successful in the treatment of CF lung disease. However, in CF patients, Haemophilus influenzae and Staphylococcus aureus are frequently recovered from deep throat cultures, already in the first years of life. Later in life, most of these subjects become chronically infected with Pseudomonas aeruginosa. Some investigators have observed inflammatory cells and mediators in bronchoalveolar lavage (BAL) fluid in infants with CF in the absence of apparent infection as assessed also by sensitive polymerase chain reaction (PCR) methodology. Some investigators found that culture-negative CF infants had increased interleukin (IL)-8 and neutrophils when compared to culture-positive in nonCF children [7,8]. The current studies are insufficient to prove whether inflammation can occur prior to infection in the CF airway; today we can state that, once initiated by infection, the inflammatory process in CF airways is excessive in relation to the stimulus applied, is protracted, and fails to resolve, even when the infection is resolved. Older patients show marked increases in proinflammatory mediators, including elastase and IL-8, IL-1, IL-2, IL-9, and tumor necrosis factor alfa (TNF-α) in BAL fluid and IL-6 and TNF-α in blood, compared to healthy controls. At the same time, IL-10, an anti-inflammatory cytokine, is significantly decreased, supporting the hypothesis that regulation of the in- flammatory response is aberrant in CF [9,10]. The different components of the immune system (innate and acquired) are known to be present and functional in CF. However, key aspects of the hostpathogen interaction seem to be disturbed by the absence of normal CFTR activity. Another important aspect is that, differently from other examples of chronic lung infections, the inflammatory response seen is primarily of a granulomatous type with a switch in the predominant cell type away from neutrophils. In CF patients we have the presence of an acute-type response with large amounts of neutrophils that, over time, will produce destructive changes in the airway wall. Although the mechanisms responsible for the increased susceptibility to infection with microorganisms like P. aeruginosa are not deeply understood, it is clear that the failure to treat these infections perpetuates the inflammatory response. This situation is worsened by the presence of a mucoid type of Pseudomonas and biofilms that render the microrganisms resistant to the elimination by immune mechanisms, including phagocytosis [11]. The precise intracellular abnormalities and the relationship to CFTR dysfunction is unclear; nevertheless, treatment of infection and inflammation still represents the most important independent therapeutic target in CF. V Lucidi Managing inflammation in cystic fibrosis - L'infiammazione nella fibrosi cistica TABLE I: PATHOGENESIS AND DISEASE PROGRESSION IN THE CYSTIC FIBROSIS LUNG Anti-inflammatory agents Until a therapy capable of intervening on the basic defect of the disease is available, the proper treatment for chronic suppurative bronchopneumopathy must necessarily include drugs able to reduce the bacterial load, improve the mucus removal from the bronchial tree and reduce the mucosa inflammation. Therefore, it is logical to attempt to modify this inflammatory response, ideally as early as possible, and before severe inflammation is established. The difficulty is to find a drug that is effective, easy to administer at any age and safe, taking into account that it should be administered early at the diagnosis and continued lifelong (table II). Oral corticosteroids, up to now frequently used in the clinical practice by physicians who treat CF, have been shown to slow the progression of lung disease, but have unacceptable side effects for longterm use. Three randomized controlled trials have been carried out: 2 were long-term studies (4 years) and one short-term (12 weeks only) [12]. All have indicated that dosage of 1-2 mg/kg on alternate days seems to slow down progression of lung disease; however significant adverse effects reported in the reviews, including early onset of diabetes, development of cataracts and impaired growth, suggest that such therapy should not be administered in the long term in most patients. Even more serious are the long-term results reported by Lai et al. who, in a follow-up of patients beyond 18 years of age, showed that the difference in height was permanent amongst the steroid-treated boys [13]. In a new study that is ongoing, a different formulation of corticosteroids which are loaded on autoloMRM 79 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 78-81 MRM 01-2007_def 80 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 80 TABLE II: PATHOGENESIS AND DISEASE PROGRESSION IN THE CYSTIC FIBROSIS LUNG • Oral corticosteroids • Inhaled corticosteroids • Ibuprofen • Agents directed against arachidonic acid metabolites [22,28] • Antiproteases [26] • RhDNase • Macrolides • Cyclosporine, methotrexate • Antioxidants gous erythrocytes appears to slow the progression of lung disease without causing those side effects reported above. However it should be underlined that all treated patients had completed the sexual development and, therefore, their potential for growing taller. The actual efficacy of this formulation should be evaluated in an appropriate number of patients [14]. In fact, as all studies carried out demonstrate that the benefits provided by cortisone disappear when treatment is discontinued, it is absolutely necessary to find a drug that can be taken for a long period of time and not only for a short one. It has now been suggested that inhaled corticosteroids could be administered for long periods as they should act directly on the lung without provoking side effects. The actual anti-inflammatory efficacy of inhaled corticosteroids in CF patients has not been proven yet. Ten trials which studied 293 adults and children for between 4 weeks and 2 years showed insufficient evidence of benefit and no significant reduction in inflammatory markers [15]. Recently a large UK multicenter study has evaluated the outcomes of randomised withdrawal of inhaled corticosteroids therapy in 171 children and adults [16]. In this study population the authors show that stopping inhaled corticosteroids is not harmful for CF patients who have being taking them for some years; however their study does not offer clear guidance as to who might best benefit. The same problems have been noted with the use of non-steroidal anti-inflammatory drugs (NSAID), in particular ibuprofen. In 1995 Konstan et al. published the results of treatment with high dosages of ibuprofen in CF patients [17]. Ibuprofen also showed a significant slowing of decline in lung function in CF patients with mild pulmonary disease which was most noticeable in the youngest patients; however this therapy has been limited by potential renal adverse effects (especially when the patients are also receiving other nephrotoxic drugs), peptic ulcer disease and gastrointestinal haemorrhage. As a matter of fact, the Cochrane systemic review concluded that routine use of non-steroidal, anti-inflammatory drugs should not be recommended in CF patients [18]. Studies with alternative non steroidal anti-inflammatory drugs, e.g. selective cyclo-oxygenase-2 (COX-2) inhibitors, of the Cystic Fibrosis Foundation (CFF) are being carried out, but complications correlated to the association between COX-2 inhibitors and cardiovascular events have been reported. Macrolide antibiotics may have intrinsic anti-inflammatory properties as several in vitro and animal studies have shown that they have effects on neutrophil phagocytosis, degranulation, migration and apoptosis [19]. Three randomised control trials (Australia, UK, USA) have studied azithromycin in CF: all studies concluded that there is clear evidence of a small but significant positive effect on lung function [20]. Diet as treatment of inflammation Optimal dietary intake is an essential component of nutritional care of CF patients also because nutrition is strictly correlated with prognosis. Accumulating evidence supports the hypothesis that dietary factors may have independent effects on chronic inflammation and endothelial function [21]. A study by Freedman et al. indicated that dietary factors may contribute to lung inflammation and morbidity in CF patients. In fact, it showed that supplementing the diet of CF knockout mice with linoleic acid (compared to oleic acid in the control mice) they had increased arachidonic acid and neutrophil recruitment in the lungs following Pseudomonas LPS exposure. This paralleled a 4-fold increase in neutrophil count in bronchoalveolar lavage (BAL) [22]. Two randomised double-blinded, placebo controlled trials conducted in CF patients showed that w-3 polyunsaturated fatty acids (PUFA) are incorporated in neutrophil membranes. The leukotriene B4:leukotriene B5 ratio was significantly decreased suggesting that neutrophils may produce less pro-inflammatory mediators from arachidonic pathway [23]. Omega-3 fatty acid supplementation has been studied in a small number of patients with CF over a short period of time but present evidence is not sufficient to reach a final conclusion and probably the amount that would need to be ingested for any type of therapeutic benefit would not be tolerated [24,25]. Other potential anti-inflammatory agents There are a number of other agents that have been tried in patients with CF for their potential anti-inflammatory effects. Nebulized recombinant DNase (Dornase Alpha), used for many years as mucolytic, has shown evidence that long-term therapy can have a stabilizing effect on airway inflammation in patients with mild lung disease without an actual reduction of inflammation. Antiproteases, like α1-antitrypsin or recombinant secretory leukoprotease inhibitor (rSLP), and anti-elastase agents need further trials as none of them has reached phase III [26]. The possibility of using immunosuppressors, such as cyclosporine or low-dose methotrexate, has been investigated only in small case series. There is some evidence of reduced levels of antioxidants, in particular glutathione, that is present in high concentrations in normal respiratory epithelial lining fluid (ELF). Some authors have demonstrated the feasibility of using glutathione aerosol to restore the respiratory epithelial surface oxidant-antioxidant balance in CF as a means of controlling inflammation [27]. In the future, it will probably be possible to test alternate molecules already used for other patholo- MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 81 Persistent lower airway infection with inflammation is the major cause of morbidity and mortality in cystic fibrosis. The knowledge of airway inflammation in these patients in addition to the evidence found CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: V.L. does not have a financial relationship with any commercial entity that has an interest in the subject of this manuscript. References 1. Collins FS. Cystic fibrosis: Molecular biology and therapeutic implications. Science 1992;256:774-779. 2. Riordan JR, Rommens JM, Kerem B, Alon N, Rozmahel R, Grzelczak Z, Zielenski J, Lok S, Plavsic N, Chou JL, et al. Identification of the cystic fibrosis gene: cloning and characterization of complementary DNA. Science 1989;245:1066-1073. 3. Bijman J, Quinton PM. Influence of abnormal Cl- impermeability on sweating in cystic fibrosis. Am J Physiol 1984;247:C3-C9. 4. Knowles MR, Stutts MJ, Yankaskas JR, Gatzy JT, Boucher RC. Abnormal respiratory epithelial ion trasport in cystic fibrosis. Clin Chest Med 1986;7:285-297. 5. Matsui H, Grubb BR, Tarran R, Randell SH, Gatzy JT, Davis CW, Boucher RC. 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As the ideal and safe anti-inflammatory agent is not available yet, it is still difficult to imagine an anti-inflammatory therapy not associated with a specific antibacterial one. gies, that act at different levels of the antinflammatory cascade, such as etanercept (efficacious in rheumatoid arthritis), a soluble recombinant TNF receptor fusion protein, and infliximab (efficacious in inflammatory bowel disease), a monoclonal antibody against TNF-α, or monoclonal anti-IL-5, and anti-IL-8. MRM 81 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 82 Multidisciplinary Focus on Therapeutic Issues in Cystic Fibrosis a cura di Sabina Antoniu Management of extra-pulmonary manifestations of cystic fibrosis Gestione delle manifestazioni extra-polmonari della fibrosi cistica Giovanni Taccetti1, Filippo Festini2 1 2 Cystic Fibrosis Centre of Tuscany, Meyer Hospital, Florence Italy University of Florence, Department of Pediatrics, Florence Italy ABSTRACT Although pulmonary disease accounts for the most part of morbidity and mortality of cystic fibrosis (CF), extra-pulmonary manifestations of the disease have an important role in the health status and in the quality of life of people with CF. The availability of effective treatments for exocrine pancreatic insufficiency and malabsorption have contributed in the last decades to the improvement of life expectancy. CF hepatopathy remains a major problem, which may often lead to the need for liver transplantion; however prevention of progression can be effectively undertaken. CF-related diabetes (CFRD) and bone density alterations have emerged as frequent manifestations of CF and call for adequate prevention and treatment. A multidisciplinary, patient-centered, integrated approach to CF is paramount to keep CF people in satisfactory health conditions. Keywords: CFRD, cystic fibrosis, malabsorption, pancreatic insufficiency, osteopenia. RIASSUNTO Sebbene siano le manifestazioni polmonari a determinare la maggior parte della mortalità e morbilità della fibrosi cistica (CF), le manifestazioni extra-polmonari della malattia hanno un ruolo di rilievo nello stato di salute e per la qualità di vita delle persone affette da CF. La disponibilità di trattamenti efficaci per l'insufficienza esocrina del pancreas e per il malassorbimento hanno contribuito nell'ultimo decennio a migliorare l'attesa di vita. L'epatopatia da CF rimane un problema sostanziale che spesso può portare al trapianto di fegato; tuttavia una prevenzione della progressione della patologia può essere perseguita con successo. Il diabete causato da CF (CFRD) ed alterazioni della densità ossea sono emerse come manifestazioni frequenti della CF e richiedono adeguate misure di prevenzione e trattamento. Un approccio integrato, mulidisciplinare, fo- calizzato sul paziente è fondamentale per mantenere le persone con CF in condizioni di salute soddisfacenti. Parole chiave: CFRD, fibrosi cistica, insufficienza pancreatica, malassorbimento, osteopenia. Cystic fibrosis (CF) is a multi-system disease and although the major cause of morbidity and mortality is lung disease, extra-pulmonary manifestations are numerous and significant. All organs and apparatuses that have exocrine secretion glands are subject to alterations due to the basic molecular defect - mutation of the cystic fibrosis transmembrane conductance regulator (CFTR) gene - and may feature several clinical manifestations. Such manifestations require continuous monitoring and careful treatment in order to keep CF patients in satisfactory health. A multi-disciplinary integrated approach is vital for a good control of the non-respiratory expression of CF. A successful management strategy should include a gastroenterologist, dietitian, diabetologist, endocrinologist, expert radiologist and specialized nurse as part of the CF care team [1,2]. Management of exocrine pancreatic insufficiency Exocrine pancreatic insufficiency (EPI) is the most common extra-pulmonary expression of CF (affecting about 85% of CF patients) [3-6]. About 60% of patients manifest EPI in the first days of life, with a delay in weight gain in spite of normal appetite and normal caloric intake, swollen abdomen, and abun- Filippo Festini University of Florence, Department of Pediatrics, Florence, Italy email: [email protected] Data di arrivo del testo: 23/01/2007 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 82-87 82 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 83 Nutritional management Attention to nutrition is an essential part of the general care of CF patients. Clinical evaluation, growth monitoring and dietary counseling should be performed at every visit to the CF clinic in collaboration with an expert dietitian [1,2]. Normal nutritional status is defined as weight-height ratio over 90% for children or a body mass index (BMI) over 19 for adults [5]. Malnutrition in CF patients is multifactorial, with the main determinants being intestinal malabsorp- tion, increased energy requirements, and insufficient intake due to appetite reduction caused by chronic pulmonary infection. Energy intake in CF children must be carefully monitored. Its adequacy should be evaluated by taking into account weight changes, the growth curve pattern, BMI and physical activity. Attention should be given both to quantity and quality of caloric intake, as both can negatively affect growth. Careful and constant surveillance is needed regarding a child's request for food in-between meals as well as the duration of meals, especially for patients taking PERT. It is paramount that parents be educated regarding home management of nutritional aspects of CF [5,8]. The family of the CF patient should be asked to keep a dietary diary for three days on the occasion of annual check-ups to the CF clinic, in order to assess food intake. Infants can be breast-fed but most infants show adequate growth on standard formula feedings, which can be concentrated to maximize caloric intake [20-23]. The use of hydrolyzed protein formulae containing medium chain triglycerides might be useful in infants with liver involvement, persistent steatorrhea, or short gut syndrome [3]. A child's diet should be adapted to personal preferences and lifestyle habits. It should provide 120% to 140% of the recommended daily caloric requirement for age. Fat consumption should represent 35% to 40% of total intake [24-28]. If growth or weight gain is unsatisfactory in spite of the increased energy intake from the diet, oral nutritional supplements may be used. However, studies on their efficacy are lacking [29]. The type and quantity of supplement depends on the patient's age, preference and nutritional requirements. Dietary supplements should complement normal food intake; they should be taken after a meal or as a snack so that they never replace normal food [5,8]. Invasive nutritional support with high-caloric formulas might be required for patients with poor growth in spite of oral supplementation. Enteral feeding may be infused during nocturnal sleep through a nasogastric tube, gastrostomy, or jejunostomy to provide 30% to 40% of total energy needs [30,31]. Parenteral nutrition may be indicated for short-term use for specific problems but long-term use is not indicated because of possible complications; also, invasive nutritional measures should be discouraged during the end-of-life phase [32,33]. CF patients are at risk of low essential fatty acid levels. Supplying increased intake has been shown to be helpful although excessive intake exposes them to possible adverse effects [34]. Malabsorption of fat-soluble vitamins is likely in most patients with cystic fibrosis. In patients with EPI vitamin A, D and E supplements should be started on diagnosis [35]. Initial doses should be sufficient to normalise blood concentration without causing hypervitaminosis. It has recently been suggested that vitamin K supplementation should be routinely given to CF patients [36]. However, vitamin K should be commenced if there is evidence of G Taccetti, F Festini Extra-pulmonary manifestations of cystic fibrosis - Manifestazioni extra-polmonari della fibrosi cistica dant stools [7]. In older children EPI manifests with fetid, oily stools due to steatorrhea. Exocrine pancreatic function should be evaluated soon after diagnosis. Fecal pancreatic elastase is a simple, noninvasive indirect method to evaluate effectively pancreatic exocrine function [5,8-12] with concentrations < 100 µg/g indicative of severe pancreatic insufficiency. Treatment of EPI requires life-long pancreatic enzyme replacement therapy (PERT) [5,13,14]. Enzyme preparation may differ with regard to enzyme content, particle size and dissolution pH level. The enzyme dose is expressed as lipase units per kilogram. A more practical way to manage PERT is dosing lipase in units per kilogram of body weight per day. PERT is prepared in microspheres protected against gastric acid inactivation and contained in capsules. In infants, enzyme dosing is based on food intake, starting with 2,500 to 3,300 lipase units for every 120 ml of mother's milk or formula [5,8,11]. In older children, the dose will be 1,000 lipase units per kg of body weight per meal for children under 4 years of age and 500 lipase units per kg of body weight over 4 years of age. Older patients tend to eat less fat per kilogram of body weight [5]. Daily enzyme requirements can range between 500 and 4,000 lipase units per gram of dietary fat [14] and the response to enzymes also varies greatly. Dose adjustment should take into account weight gain and stool features. Laboratory evaluation of steatorrhea should be performed periodically and when malabsorption is clinically suspected [3,5,8] using quantitative or semi-quantitative fecal fat analysis [4,13]. Enzyme capsules can be either swallowed or opened and the microspheres mixed with food. Patients may become constipated during enzyme replacement therapy. If this occurs, the enzyme dose may need to be increased, since a reduced dosage may facilitate distal obstruction syndrome. However, doses higher than 10,000 lipase units per kg of body weight per day should be avoided since there is a higher risk of developing fibrosing colonopathy [11,15]. The role of gastric acidity reduction in increasing the action of enzymes and fat absorption using omeprazole or ranitidine has not been clarified [1618]. Oral taurine supplementation might improve fat absorption in patients with poorly controlled steatorrhea [19]. MRM 83 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 82-87 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 84 liver disease or a prolonged prothrombin time. Annual monitoring of fat soluble vitamin serum levels has been recommended [5,8]. In pancreatic sufficient patients vitamin A, D, E supplementation should be commenced when low levels are detected. Vitamin supplements should be taken at meal times together with pancreatic enzymes. Recommendations for daily vitamin supplements in CF patients are shown in table I. Extra salt is recommended in hot climates. The sodium loss is about 500 mg a day in CF adults, but may increase 10 times during physical activity in the sun. Table II shows the minimal daily need. For newborns, sodium chloride supplementation should be 35-71 mg per kg of body weight per day. Oral calcium should be given if dietary intake is insufficient. CF patients under treatment with intravenous aminoglycosides may require oral magnesium supplementation. Management of liver manifestations Cholestasis is the pathogenic basis of most of the hepatic manifestations of CF. Routine monitoring of liver involvement should be started early and should include liver and spleen clinical examination at every check-up [1]. Liver function blood tests should be performed at least annually, together with liver ultrasonography, scoring for parenchymal irregularity, periportal fibrosis and nodular alterations [37]. Gall-bladder stones have a higher incidence and earlier onset in CF patients than in the general population, although they are often asymptomatic. Ursodeoxycholate (UDCA) has strong choleretic properties and is largely used in CF patients with liver disease [38,39]. UDCA treatment from l to 2 years at 10 to 15 mg/kg of body weight per day can normalize liver function tests. However, its long-term efficacy in preventing the progression of liver disease in CF is unproven [40]. Hepatocellular failure is uncommon in CF, but patients may suffer from recurrent episodes of variceal bleeding. Vitamin K supplementation should be given in the case of abnormalities of the patient's clotting status [5]. Management of endocrine pancreatic function disorders Glucose metabolism should be assessed every year from the age of 10, especially in patients with EPI, or TABLE I: DAILY VITAMIN SUPPLEMENTATION FOR CYSTIC FIBROSIS PATIENTS Age Vitamin A Vitamin D Vitamin E <1 year 4,000 IU (1,200 µg) 400 IU (10 µg) 10 - 50 mg >1 year 4,000 - 10,000 IU (1,200 - 3,000 µg) 400 - 800 IU 50 - 100 mg (10 µg - 20 µg) Adults 4,000 - 10,000 IU (1,200 - 3,000 µg) 800 - 2,000 IU (20 - 50 µg) From [5]. 84 MRM 100 - 200 mg TABLE II: MINIMUM DAILY SODIUM CHLORIDE NEED IN CYSTIC FIBROSIS PATIENTS Age Na (mg) Cl (mg) K (mg) <1 year 120-300 180-300 500-700 >1 year 225-500 350-750 1000-2000 From [8]. more often if clinically indicated. The Oral Glucose Tolerance Test is the screening method for CF-related diabetes (CFRD): 2 h postload glucose levels ≥ 200 mg/dl is diagnostic [41,42]. Diagnosis of CFRD is also made with fasting blood glucose levels ≥ 126 mg/dl or random glucose levels ≥ 200 mg/dl [43]. The management of CFRD should include nutrition, regular physical activity and insulin [44]. Use of oral hypoglycemic agents is not supported by evidence [45]. Caloric intake reduction is not an appropriate method of controlling blood glucose levels in CF. Meals should be synchronized with the insulin regimen: 80 to 120 mg/dl blood glucose homeostasis before meals and 100 to 140 mg/dl at bedtime can be considered realistic goals. In most patients, this can be achieved with a split-dose of a rapidly acting insulin analog, alone or in association with Neutral Protamine Hagedorn (NPH) and a long-acting insulin analog [46]. Good results in glycemic control have been obtained in CFRD with continuous subcutaneous insulin infusion (CSII) [47]. Blood glucose levels should be monitored 3 to 4 times each day with a home glucose meter. Nocturnal hypoglycemia should be carefully prevented by monitoring early morning glucose levels at least monthly. Patients with diagnosed CFRD should have serum HbA1c periodically tested to assess the adequacy of metabolic control. Since diabetes complications are not uncommon [48], an annual check-up of these should be performed. Management of upper airways manifestations Almost all CF patients develop some form of nasal or sinus disease, which is frequently symptomatic. Chronic rhinitis with thick mucus secretion and hypertrophy of turbinates is common. Pansinusitis may be present, and is diagnosed with X-ray showing sinus opacification [49,50]. Nasal polyposis is common and often represents the first manifestation of CF. [51] Nasal polyps may be present in the earliest years of life and may cause obstructive sleep apnea, which may contribute to poor weight gain. Chronic headache, facial pain and nasal obstruction can significantly worsen the quality of life of CF patients [52]. Careful monitoring of the upper airways in collaboration with an Ear Nose and Throat specialist should be carried out [1]. Nasal surgery for polyposis may be needed, although recurrence is frequent. Management of mineral bone density alterations Osteopenia and osteoporosis are frequent in CF patients. Alteration of bone mineral density (BMD) may involve both the cortical and trabecular bone. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 85 Management of painful gastrointestinal manifestations Distal intestinal obstruction syndrome (DIOS) has been reported in up to 40% of CF patients, most frequently in adolescents and adults. DIOS should always be suspected when a patient complains of persistent abdominal pain and constipation. A direct abdominal X-ray usually leads to diagnosis [57,58]. The treatment of choice is the administration of a balanced intestinal lavage solution (polyethylene glycol-electrolyte solution) orally or by nasogastric tube at a dose of 20 to 40 ml/kg/h, with a maximum of 1,200 ml/h. Effective therapy may take 4 to 6 hours. The end point of therapy is determined by passage of stool [59]. After an episode of DIOS, pre- ventive measures will include optimization of pancreatic enzyme supplementation, increase in dietary fibers and fluid intake and early intervention with lactulose or fleet enemas [3]. Rectal prolapse is related to malnutrition, poor muscle tone, passage of voluminous stools in the presence of cough. Recurrences may indicate a need for increased pancreatic enzyme dosage [60]. Gastroesophageal reflux occurs frequently and esophageal strictures may develop secondary to chronic esophagitis [61]. Treatment is based on frequent small meals, avoidance of dangerous drugs, use of antacids, H2 blockers or proton pump inhibitors. CONCLUSIONS Although pulmonary disease accounts for the majority of the morbidity and mortality due to CF, the control and management of extra-pulmonary manifestations of the disease is paramount for the health status and the quality of life of people affected by CF. Effective treatment of exocrine pancreatic insufficiency and of malabsorption have been shown to contribute to an improved life expectancy. CF hepatopathy remains a major problem, which may often lead to liver transplantion; however prevention of progression can be effectively undertaken. CF-related diabetes and bone density alterations have emerged in recent years as important manifestations of CF and need adequate prevention and treatment. A multidisciplinary, patient-centered, integrated approach to CF is paramount to keep CF people in satisfactory health conditions. CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: Neither author has a financial relationship with any commercial entity that has an interest in the subject of this manuscript. G Taccetti, F Festini Extra-pulmonary manifestations of cystic fibrosis - Manifestazioni extra-polmonari della fibrosi cistica BMD alterations may be present already in childhood and adolescence, with no difference between sexes. Pathogenic factors include reduced calcium and vitamin D absorption, reduced physical activity, glucocorticoid treatment, and pulmonary exacerbations [53]. Since osteopenia in CF patients is silent until a pathological fracture occurs, BMD alterations should be actively investigated. To evaluate BMD, dual energy X-ray absorptometry (DEXA) of various bone locations is used [54]. Low risk patients should be evaluated every 2-3 years starting from school age. DEXA should be performed annually in high risk patients, together with monitoring of serum 25-hydroxyvitamin D [1]. If there is no response to dietary calcium integration, other treatments should be commenced. Higher than recommended daily allowances of vitamin D may be required. The efficacy of antiresorptive agents such as biphosphonates has been demonstrated in CF patients. Intravenous infusion of pamidronate may be necessary where bone loss is severe [55,56]. References 1. Kerem E, Conway S, Elborn S, Heijerman H. Consensus Committee. Standards of care for patients with cystic fibrosis: a European consensus. J Cyst Fibros 2005;4:7-26. 2. Cystic Fibrosis Foundation guidelines for patient services, evaluation, and monitoring in cystic fibrosis centers. The Cystic Fibrosis Foundation Center Committee and Guidelines Subcommittee. Am J Dis Child 1990;144:13111312. 3. Davidson AGF. Gastrointestinal and pancreatic disease in cystic fibrosis. In: Hodson ME, Geddes DM. Cystic Fibrosis. 2000. Arnold. London. 4. Walters MP, Kelleher J, Gilbert J, Littlewood JM. 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In addition to procedurerelated difficulties such as shortage of donor organs and chronic allograft rejection disease, there are numerous specific issues related to CF and severe pulmonary disease that need to be considered. It is the aim of this article to summarize some important aspects to be considered when advising CF patients who are potential lung transplant candidates. Attention is focused in particular on: appropriate time of referral, post-transplant outcome, and issues of possible future challenges in this population. Keywords: Cystic fibrosis, lung transplantation, quality of life, referral. RIASSUNTO Nell'ultimo decennio il trapianto di polmone si è proposto come un'opzione terapeutica realmente praticabile nei pazienti con fibrosi cistica (CF) associata a grave patologia respiratoria. In aggiunta alle difficoltà correlate alla procedura come la carenza di organi donatori e la patologia cronica da rigetto, vi sono numerosi temi specifici correlati con la CF associata a grave patologia respiratoria che richiedono considerazione. Scopo di questo articolo è riassumere alcuni importanti aspetti che devono essere presi in considerazione quando si effettua un consulto nei pazienti con CF potenziali candidati ad un trapianto di polmone. L'attenzione deve focalizzarsi in particolare su: momento appropriato per il reclutamento, risultati post-trapianto e possibili future sfide in questa popolazione. Parole chiave: Consulto, fibrosi cistica, qualità di vita, trapianto polmonare. INTRODUCTION In the last two decades lung transplantation has emerged as a significant therapeutic option for patients suffering from end stage lung diseases. Internationally, over 1,800 lung transplants are performed per year. Between 1995 and 2005 the registry of the International Society for Heart and Lung Transplantation (ISHLT) accrued data on 21,265 lung transplant recipients, of whom 2,168 suffered from cystic fibrosis (CF) [1]. Compared to other lung transplant candidates, patients with CF show specific 'pros' and 'cons' for this procedure (Table I). While most major difficulties of the surgical technique have been solved and the procedure has been widely standardized, chronic allograft rejection and shortage of donor organs remain the two foremost drawbacks in current lung transplantation medicine. Therefore, in addition to considering absolute and relative contraindications in patients with CF and severe pulmonary disease, timing of referral and listing of appropriate candidates is crucial in these patients. Recently a number of models that predict spontaneous survival in CF have been described. Furthermore, data regarding post-transplant survival in steadily growing cohorts of patients has become available. Nevertheless, many questions still remain unanswered in the constantly evolving field of optimizing time of transplantation. This article provides a short overview on referral criteria, long term outcome and possible future strategies in lung transplantation of patients with CF. Annette Boehler Division of Pulmonary Medicine and Lung Transplant Program C HOER 27 University Hospital Ramistrasse 100 CH-8091 Zurich, Switzerland email: [email protected] Data di arrivo del testo: 30/11/2006 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 88-92 88 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 89 Pros Young age High motivation Comprehension for complex medical regimen Vigilance for infectious and other complications Competent supporting system High level of functional coping strategies Cons Multisystem disease Colonisation with resistant pathogens Adolescence, unstable period of life Lack of career prospects and outlook Definition of abbreviation: CF, cystic fibrosis. Timing of Referral Waiting time for lung transplantation depends on many factors such as height, blood group, donor/recipient cytomegalovirus status, underlying disease and local allocation policy, to name only a few. Therefore, guidelines regarding timing of referral should only be considered as loose recommendations rather than as categorical. In view of the multisystem nature and the highly variable clinical course of CF it should be emphasized that referral to a transplant center should not be based on one single determinant. Rather, the disease pattern of a particular CF patient should be evaluated in collaboration with the local multidisciplinary transplant team. Recently, updated guidelines for the selection of lung transplant candidates were published by an international consensus committee [2] (Table II). Generally, referral for transplantation assessment is appropriate when the expected two to three year survival is less than 50%. Unfortunately, recently published multivariable models predicting survival in CF patients show inconsistent results. A multivariate model to predict five year mortality published by Liou et al. [3] includes nine clinical parameters (age, gender, FEV1 % predicted, weight, pancreatic sufficiency, diabetes mellitus, Staphylococcus aureus infection, Burkholderia cepacia infection, and the number of exacerbations within the last year). These parameters fitted much better than simple FEV1 based models. On the other hand, in a large data set of over 14,000 CF patients Mayer-Hamblett et al. [4] developed and validated predictors of two TABLE II: GUIDELINES FOR REFERRAL OF TRANSPLANT CANDIDATES WITH CF FEV1 < 30% Rapid decline in FEV1, in particular in young females Increasing frequency of exacerbations Refractory and/or recurrent pneumothorax Recurrent hemoptysis Definition of abbreviation: CF, cystic fibrosis. year mortality. Interestingly, in spite of its sophistication, the diagnostic accuracy of their model was not superior to the often used single criterion of FEV1 < 30% predicted [5]. Additional factors potentially influencing the clinical course of patients with CF were identified in single center studies. Ellaffi et al. [6] recently showed that poor one year survival after hospitalization due to pulmonary exacerbation in CF was associated with the severity of hypoxemia at admission, the need for treatment in the intensive care unit and prior colonization with B. cepacia. Venuta et al. [7] found that dying on the waiting list was associated with pulmonary hypertension in CF patients. In another study [8] CF patients listed for lung transplantation with severe perfusion abnormalities on perfusion scans had an increased risk for dying while waiting for transplantation. Considering the difficulties of predicting spontaneous survival in CF patients it becomes obvious that predicting survival benefit of lung transplantation in these patients is highly complex. In a retrospective study, Liou et al. [9] compared 468 lung transplant recipients with CF from 115 centers in the United States with 11,630 CF patients who did not undergo lung transplantation. The authors found that only patients with a predicted 5-year survival of less than 30% according to the above mentioned model [3] did benefit from lung transplantation. More recently, the same group compared 845 lung transplanted CF patients with 12,826 control subjects [10]. Pre-transplant factors associated with increased hazard of death were youth, B. cepacia infection and CF-related arthropathy. Improved survival after lung transplantation was identified in adult CF patients with a predicted survival of less than 50% without arthropathy or B. cepacia infection. One major drawback of these models is the fact that quality of life is not taken into account. It has been shown repeatedly that quality of life varies considerably before and after lung transplantation [11,12]. Other relevant factors to consider when dealing with data from large registries are variable prevalence and difficult taxonomy of B. cepacia complex [13,14], local differences in experience with peri- and post-transplant management of CF patients and the retrospective character of these data. S Irani, M Hofer, A Boehler Lung transplantation for cystic fibrosis - Trapianto polmonare nella fibrosi cistica TABLE I: LUNG TRANSPLANTATION FOR CF: PROS AND CONS Outcome Internationally, long-term survival after lung transplantation is similar in CF patients compared to patients who received their lung transplant by way of other diseases [1]. Compared to patients with chronic obstructive pulmonary disease or lung fibrosis CF patients have a significantly better long-term survival after lung transplantation (5-year survival 48.7, 43.1 and 54.1 percent, respectively [1]). In Figure 1 the survival curves of CF patients compared to the entire population of lung transplant recipients of our center are shown. In the following section, selected CF-specific challenges are discussed briefly. Gastrointestinal (GI) complications are frequent in MRM 89 16-05-2007 16:38 Pagina 90 FIGURE 1: KAPLAN-MEIER SURVIVAL BY DIAGNOSIS FOR ADULT LUNG TRANSPLANTATIONS OF DIFFERENT TIME PERIODS FOR ALL DIAGNOSES (UPPER PANEL) AND CF PATIENTS (LOWER PANEL) AT THE LUNG TRANSPLANT PROGRAM OF THE UNIVERSITY OF ZURICH AND THE REGISTRY OF THE INTERNATIONAL SOCIETY OF HEART AND LUNG TRANSPLANTATION All patients 100 80 1998-2005, n=140 Survival (%) Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 88-92 MRM 01-2007_def 60 1992-2005, n=196 40 20 ISHLT 1994-2004 n=15,047 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 Years CF patients 100 Survival (%) 80 1998-2005, n=53 1992-2005, n=69 60 40 ISHLT 1994-2004 n=1,970 20 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 Years Definition of abbreviations: CF, cystic fibrosis; ISHLT, International Society of Heart and Lung Transplantation. From [1] mod. CF patients after lung transplantation. Distal intestinal obstruction syndrome (DIOS) is one of the most frequent GI complications in CF patients. We have observed this serious complication not only in the early post-transplant period but also in association with other surgeries, analgesic therapies, bed rest and hot weather conditions. Like others [15,16] we recommend prophylactic measures and a high clinical alertness in the above mentioned instances. Additionally, enzyme substitution therapy of exocrine pancreatic insufficiency should be consequently adapted to the actual oral food intake. Particularly under high dose immunosuppressive regimen the initial clinical manifestation of DIOS might be 90 MRM unimpressive and misleading. Delayed gastric emptying has been shown to be frequent among CF patients [17]. Noteworthy, many patients are asymptomatic and nonetheless have significant but silent gastroesophageal reflux both pre- and posttransplant [18,19]. There is increasing evidence that gastroesophageal reflux and consecutive pulmonary aspiration in lung transplant recipients might play a major role in the development of chronic graft deterioration [20]. Due to delayed gastric emptying and fat malabsorption, particularly lipophilic drugs like the immunosuppressive cyclosporine are prone to inconstant blood levels in CF patients [21]. In our experience this problem can be MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 91 Present and future challenges Successful lung transplantation leads to high psychological [23] and physiological [11,24] rehabilitation in CF patients. With recent improvements in long-term survival, lung transplant teams will be faced with novel challenges (Table III). In view of the assumed premature death of CF patients healthcare providers themselves used to neglect professional training and career prospects in CF patients. It has been shown that pre-transplant encouragement to obtain paid employment can improve post-transplant reintegration in the workforce [25]. We believe that, particularly in individuals suffering from CF, this process should be initiated early and should be part of both paediatric and adult CF programs. Additionally, this matter ought to be focused on systematically with the aid of well structured transition programs. Not surprisingly, with the higher rates of long-term survival, particularly among CF patients, issues of pregnancy and reproduction become a relevant aspect in both male [26] and female [27] individuals. Consequently, in lung transplant programs counselling on fertility and reproductive health should occur in the pre-transplant period. Graft deterioration during the peripartum period has been TABLE III: CHALLENGES IN LUNG TRANSPLANTATION OF PATIENTS WITH CF Early pre-transplant consideration of professional training Strict segregation strategies in CF patients infected with B. cepacia Implementation of and cooperation with transition programs Early consideration of sexual and reproductive health issues Consideration of living related transplantation in selected patients Definition of abbreviations: CF, cystic fibrosis; B. cepacia, Burkholderia cepacia. repeatedly shown in lung transplanted mothers and graft loss after delivery is reported in up to 23% of cases [28]. Therefore, the potential risks of a pregnancy after lung transplantation should be balanced carefully. For male CF patients assisted reproductive techniques are available at present [29]. Scientific data in lung transplant recipients are scant and ethical difficulties can be significant. Nevertheless these procedures may be appropriate in selected stable patients after thoughtful preparation including adequate psychological counselling. Due to small body shape particularly in CF patients living donor lung transplantation may be an appropriate measure to overcome donor organ shortage [30]. CF recipients mainly receive right and left lower lobes, typically from each parent [31]. Apart from ethical reservations, this procedure offers multiple advantages in selected cases (best possible preparation of the recipient, elective surgery, short graft ischemia, on time procedure in severely ill patients). Though favourable short-term outcomes for both donor and recipient have been shown [32,33] worldwide living donor lung transplantation is seldom performed as yet. CONCLUSION Lung transplantation has emerged as an important therapeutic option for patients with CF and severe pulmonary disease. Since both spontaneous survival and post-transplant outcome depend on numerous factors, determination of time for referral is complex and should be evaluated in collaboration with the local transplant team. Generally, referral for transplantation assessment is appropriate when the expected two to three year survival is less than 50%. Though CF is a multi system disorder the benefit from lung transplantation is similar or better compared to lung transplant recipients with underlying diseases other than CF. Disease-related difficulties like distal intestinal obstruction syndrome, delayed gastric emptying, gastroesophageal reflux, colonisation with multiresistant pathogens, or infectious rhinosinusitis are well recognized. In experienced centers specific countermeasures have been initiated successfully. With the recent improvements in long-term survival, particularly in patients with CF, lung transplant teams are faced with further challenges of chronically diseased patients. Issues of fertility and reproduction, professional training and career prospects are examples of challenges that require a multidisciplinary approach, ideally starting long before lung transplantation is performed. Although not widely performed yet, in highly selected patients living donor lung transplantation might be an excellent option to circumvent shortage of donor organs. S Irani, M Hofer, A Boehler Lung transplantation for cystic fibrosis - Trapianto polmonare nella fibrosi cistica managed by consequent enzyme substitution therapy and balanced meals. While many CF patients show hepatic involvement, only for a minority of patients does CF liver disease cause significant portal hypertension and synthesis dysfunction. In highly selected cases liver transplantation may be an option. However, timing of the procedures is exceptionally challenging in combined transplantation in CF patients. Chronic infectious rhinosinusitis is frequent in CF patients - in most cases Pseudomonas aeruginosa is involved. In our program we follow a rigorous combined surgical and medical treatment concept after lung transplantation in all CF patients [22] in order to reduce bacterial spread from the upper to lower airways. Usually, three to four weeks after transplantation fronto-spheno-ethmoidectomy is performed. Shortly after surgery the patients are briefed on a meticulous nasal douching. Consultations with the rhinologist including microbiological workup are scheduled on a regular basis thereafter. CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: The authors do not have a financial relationship with any commercial entity that has an interest in the subject of this manuscript. MRM 91 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 88-92 MRM 01-2007_def 92 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 92 References 1. 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Meyer”, Firenze RIASSUNTO La terapia inalatoria è una parte fondamentale del trattamento della malattia polmonare nella fibrosi cistica (FC). Per inalare broncodilatatori e steroidi sono utilizzati inalatori pre-dosati e pressurizzati o inalatori di polvere. Il trattamento quotidiano dei pazienti con FC include anche l'inalazione di antibiotici e mucolitici utilizzando nebulizzatori ad aria compressa. Considerando diversi nebulizzatori jet e farmaci diversi, gli studi in vivo hanno dimostrato una deposizione polmonare molto variabile nei pazienti con FC. Vi è un interesse crescente nello sviluppo di nuovi farmaci per la malattia polmonare e la via inalatoria, che offre un maggiore indice terapeutico, è la preferita negli studi di fase I e II. Sono necessari ulteriori studi per migliorare la deposizione dei farmaci direttamente nel sito della loro azione nelle vie aeree, riducendo così gli effetti collaterali locali e sistemici. Parole chiave: Antibiotici, fibrosi cistica, inalazione, mucolitici. ABSTRACT The inhalation of medications represents a mainstay of treatment for lung disease in cystic fibrosis (CF). Either pressurized metered-dose inhalers or dry powder inhalers are used to inhale bronchodilators and steroids. The daily treatment of patients with CF includes also the inhalation of antibiotics and mucolytics by jet nebulisers. A highly variable lung deposition has been shown with in vivo studies in CF patients, who inhaled different drugs with different nebulisers. There is ongoing interest in developing novel drugs for lung disease and because of the greater therapeutic index the inhalation route is preferred in many Phase I and II studies. Further clinical trials are required to improve the delivery of drugs directly to the site of action in the airways, significantly reducing local and systemic side-effects. Keywords: Antibiotics, cystic fibrosis, inhalation, mucolitycs. La terapia inalatoria ha avuto un'importanza crescente nel trattamento della fibrosi cistica (FC). Dopo un diffuso impiego negli anni 60-70 dei nebulizzatori ultrasonici per sfruttare il loro elevato output di soluzione salina o semisalina, che veniva somministrata per molte ore al giorno anche sotto una tenda da ossigenoterapia per ottenere un effetto fluidificante del muco bronchiale, sono state utilizzate le modalità e gli strumenti per la terapia inalatoria, impiegati correntemente nelle altre malattie respiratorie [1,2]. L'utilizzo dell'ampolla aerosol ad aria compressa, dei dosatori spray e degli inalatori per polveri è attualmente entrato nella routine terapeutica quotidiana dei pazienti con FC. Rispetto all'asma ed alla broncopatia cronica ostruttiva (BPCO), la terapia inalatoria nella FC punta tuttora prevalentemente sull'impiego dell'apparecchio aerosol ad aria compressa per la somministrazione di antibiotici, di farmaci mucolitici ed anche per le molte terapie innovative in corso di sperimentazione [1,2]. Gli ostacoli principali ad una efficace penetrazione polmonare dei farmaci sono rappresentati dall'effetto “filtro” prodotto dalle vie aeree superiori nei lattanti e bambini in età prescolare, che respirano obbligatoriamente attraverso il naso ed hanno il complesso ipofaringe-laringe più piccolo, e dall'effetto “filtro” prodotto dalle vie aeree più centrali, quando è presente broncoostruzione. Anche le particelle aerosol di diametro inferiore a 5 micron (frazione “respirabile”) si depositano per impatto inerziale in queste sedi e non sono perciò disponibili per raggiungere la periferia polmonare. Gli studi con radioisotopi, che hanno valutato l'efficienza dei nebulizzatori jet, hanno dimostrato una deposizione polmonare di circa l'1% della dose aerosolizzata di Cesare Braggion Centro Regionale Toscano di Riferimento per la Fibrosi Cistica, Dipartimento di Attività Integrate di Pediatria Internistica, Ospedale Pediatrico “A. Meyer”, Via L. Giordano 13, 50132 Firenze, Italia email: [email protected] Data di arrivo del testo: 15/01/2007 - Accettato per la pubblicazione: 29/01/2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 93-97 MRM 93 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 93-97 MRM 01-2007_def 94 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 94 un farmaco nel primo anno di vita e tra l'1 ed il 19% della dose nominale (dose contenuta nell'ampolla aerosol) nell'età pediatrica, adolescenziale ed adulta, senza evidenziare un effetto dell'età sulla deposizione polmonare (tabella I) [3-10]. La tabella I mostra notevoli differenze di deposizione polmonare tra gli studi che dipendono in buona parte dalle caratteristiche dell'apparecchio aerosol utilizzato, in particolare dalla distribuzione del diametro delle particelle aerosol prodotte [3-10]. Anche il coefficiente di variazione inter-individuale era elevato, fino al 60-70%: ciò sottolinea che, a parità di strumento, ampolla aerosol e farmaco impiegati, i fattori individuali, come il pattern respiratorio ed il grado di broncoostruzione, sono rilevanti nella deposizione polmonare di un farmaco [3-10]. Come nel caso dell'asma, la deposizione polmonare di farmaci inalati con boccaglio da dosatori pressurizzati spray, inseriti in una camera di inalazione, non è inferiore a quella ottenuta con i nebulizzatori jet, né vi è una relazione tra deposizione polmonare di farmaco radiomarcato ed età [3,11,12]. Per gli erogatori di polvere invece la dose polmonare aumenta proporzionalmente al flusso inspiratorio e perciò con l'età [13]. Poiché quest'ultima modalità di somministrazione per via inalatoria è dipendente dal flusso inspiratorio risulta adatta a bambini di età superiore ai 5-6 anni. In età più precoci i broncodilatatori e gli steroidi possono essere somministrati utilizzando i dosatori pressurizzati spray con camera di riserva, facendo attenzione ad usare maschere facciali morbide e ben aderenti e quanto prima possibile il boccaglio, per garantire una deposizione polmonare più efficiente dei farmaci [3,11,12]. La deposizione polmonare di RhDNase, una molecola con effetto “mucolitico” per lisi dell'abbondante DNA contenuto nel muco bronchiale, e di tobramicina è stata studiata, rispettivamente, nel liquido di broncolavaggio e nell'espettorato: anche con queste misure “surrogate” della deposizione polmonare vi era una grande variabilità di deposizione polmonare, ma senza evidente effetto dell'età [14,15]. Se si considera l'impiego degli erogatori pressurizzati spray, è noto il ruolo del pattern respiratorio nella deposizione polmonare: questa è maggiore se vi è un'apnea post-inspiratoria, se il flusso inspiratorio è il minore possibile e l'erogazione avviene all'inizio della inspirazione [16]. Un minimo flusso inspiratorio è anche importante per la deposizione di radioaerosol nella periferia polmonare, specie se si utilizza una ampolla aerosol, che produce particelle aerosol di diametro di 1 micron [17]. Vi è un diffuso impiego di broncodilatatori e steroidi per via inalatoria nei pazienti con FC [18,19]. Per questi farmaci si utilizzano i dosatori pressurizzati o le polveri. La terapia inalatoria con antibiotici viene utilizzata come terapia “soppressiva” dell'infezione polmonare cronica da Pseudomonas aeruginosa (Pa). La maggior esperienza riguarda l'uso degli aminoglicosidi, in particolare la tobramicina. Uno studio randomizzato e controllato (RCT) di 6 mesi ha dimostrato che l'inalazione a mesi alterni di tobramicina riduceva la carica batterica di Pa e migliorava la funzione polmonare (FEV1 + 10-12% del teorico) [20]. Anche la colistina viene utilizzata per lo stesso scopo, specialmente in Europa: un recente studio ha dimostrato che questo antibiotico riduceva la carica batterica di Pa, ma non aveva un effetto positivo sulla funzione polmonare [21]. Attualmente è in corso uno studio multicentrico negli USA, che ha lo scopo di valutare l'efficacia e la sicurezza dell'aztreonam nell'infezione polmonare cronica da Pa (www.clinicaltrials.gov). Per altri antibatterici non abbiamo a disposizione ricerche cliniche randomizzate e controllate per considerarne l'impiego nella pratica clinica. La tobramicina per via inalatoria è stata anche valutata nella sua efficacia di eradicazione di Pa alla prima o nuova comparsa del germe [22,23]. Alcuni studi multicentrici sono in corso con la finalità di valutare lo stesso indicatore di risultato, l'eradicazione di Pa alla prima comparsa: uno studio europeo (“ELITE”) confronta un mese di terapia inalatoria con tobramicina rispetto a due mesi con il medesimo antibiotico ed uno studio nordamericano (“EPIC”) confronta l'inalazione di tobramicina per un mese vs. associazione di tobramicina per via inalatoria e ciprofloxacina per via orale (www.clinicaltrials.gov). Uno degli obiettivi del trattamento della FC è quello di migliorare la clearance muco-ciliare (CMC), alterata in rapporto al difetto di base, all'infezioneinfiammazione polmonare e alla presenza di muco abbondante e viscoso [1,2]. L'RhDNase è un enzima che rompe le molecole di DNA, abbondante nel muco bronchiale, rendendolo più fluido e facilitandone l'espettorazione. Vi sono molti RCT che hanno valutato l'efficacia di questo farmaco: essi hanno dimostrato che questo enzima migliora la CMC, riduce il numero delle esacerbazioni polmonari ed ha un effetto significativo ma clinicamente scarso sulla funzione polmonare (FEV1 + 6% rispetto al valore basale in 6 mesi) [24]. Più recentemente questo farmaco è stato valutato nelle fasi più precoci di malattia, dimostrando di ridurre l'air trapping ed altre alterazioni anatomiche polmonari, dimostrabili con la TAC ad alta risoluzione [25,26]. L'inalazione di RhDNase è una risorsa terapeutica applicata correntemente nei pazienti con FC: in attesa di RCT che ne valutino l'efficacia nelle fasi più precoci di malattia, il farmaco va impiegato, combinandolo a tecniche di drenaggio delle secrezioni bronchiali, in presenza di bronchiectasie con evidenze di impatto mucoide endobronchiale ed esiti di atelettasie lobari o segmentarie. L'ipotesi attualmente più accreditata dell'evoluzione della pneumopatia nella FC prevede che si stabilisca precocemente una alterazione della CMC: le anomalie di scambio ionico (riduzione dell'escrezione di cloro ed aumentato riassorbimento di sodio) attraverso la membrana apicale dell'epitelio respiratorio potrebbero contribuire a ridurre il volume del liquido periciliare (LPC), rendendo inefficace la CMC nel suo meccanismo di allontanamento di germi e corpi estranei dalle vie aeree [1]. Questa ipotesi ha dato slancio a studi di fase I e II su farmaci che agiscono sul canale del sodio riducendone il MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 95 Autore Farmaco n. Età (anni) Dose polmonare‡ (% dose aerosolizzata) Chua HL [3], 1994 Ilowite JS [4], 1987 Newman SP [5], 1988 Dose polmonare† (% dose nominale)# CV (%) Salina 0,9% 12 0,3-1,4 1,3 Gentamicina, 160 mg 13 8-37 7,7 (3,7) 48 Carbenicillina, 1 gr 6 22-48 1,6 (0,2) 10 Thomas SH [6], 1991 Amiloride, 1 mg 8 > 18 10,3 (5,3) 51 Mukhopadhyay S [7], 1994 Tobramicina, 120 mg 27 4-23 6,7 (4,3) 64 Diot P [8], 1997 RhDNase, 2,5 mg 15 6-31 18,6 (6,6) 35 Marshall LM [9], 1994 Salina 0,9% 12 10-16 11,1 (7,8) 70 Fauroux B [10], 2000 Salina 0,9% 18 6-21 2,4 (1,5) 63 Legenda: CV, coefficiente di variazione interindividuale ‡ mediana † media (DS tra parentesi) # dose di farmaco contenuto nell'ampolla aerosol riassorbimento (amiloride, benzamide), o attivando canali alternativi del cloro Ca2+-dipendenti (UTP, INS37217) [27-29]. L'inalazione anche combinata di questi farmaci produrrebbe un miglioramento della CMC di effetto peraltro breve e senza benefici evidenti sulla funzione polmonare o sui sintomi della malattia [30]. Tra questi farmaci il più promettente è l'INS37217 o denufosol: è in corso uno studio multicentrico di fase III negli U.S.A., che valuta l'efficacia e la sicurezza dell'inalazione di questo farmaco (www.clinicaltrials.gov). Anche sostanze osmotiche, come la soluzione salina ipertonica (SI) ed il mannitolo, richiamando acqua dalle cellule, potrebbero aumentare il LPC [1]. Recentemente è stato dimostrato che l'inalazione di SI aumenta la CMC, attraverso un aumento del LPC [31]. Un RCT condotto per circa 12 mesi in Australia ha dimostrato che l'inalazione due volte al giorno di SI, dopo premedicazione con broncodilatatore, aveva un effetto significativo statisticamente ma non clinicamente sulla funzione polmonare (FEV1 + 70 ml rispetto al valore basale), mentre contribuiva a ridurre il numero delle esacerbazioni polmonari [32]. Gli effetti collaterali, in particolare la broncoostruzione, non sembrerebbero essere frequenti, ma il campione in studio era caratterizzato da una malattia polmonare di grado lievemoderato. È noto che l'inalazione di SI e di mannitolo sono impiegati come test di provocazione bronchiale indiretto e che l'inalazione di SI dopo inalazione di broncodilatatore è utilizzata come induttore di espettorazione [33,34]. Uno studio di 3 mesi ha confrontato l'inalazione di SI con l'inalazione di RhDNase, dimostrando un maggiore effetto di quest'ultimo farmaco sulla funzione polmonare [35]. È in corso uno studio di fase II sul mannitolo, inalato come polvere [36]. Questa breve rassegna testimonia del rilievo che ha la terapia inalatoria per la FC sia nel trattamento corrente che nella ricerca di farmaci innovativi. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto è degno di nota l'uso della terapia inalatoria per la terapia genica, allo scopo di far arrivare a contatto con l'epitelio respiratorio vettori virali e non virali. Sono in corso studi di fase I e II mirati a testare farmaci potenzialmente incisivi sulla cascata di eventi che auto-mantengono il circolo vizioso infiammazione-infezione polmonare (ad es. α1-antitripsina, L-arginina, glutatione ridotto ed interferon γ-1b) [37-40]. Per quanto riguarda la cura dei pazienti, uno dei problemi più rilevanti è rappresentato dalla scarsa aderenza dei pazienti alla terapia inalatoria, spesso motivata dal dover utilizzare quotidianamente più di un farmaco per aerosol, col conseguente dispendio di tempo, o dalla percezione da parte dei pazienti che la terapia inalatoria non offra apparenti benefici immediati e che talora prevalgano gli effetti collaterali, attribuibili soprattutto a broncoostruzione. La ricerca offre oggi una possibile soluzione a questi problemi: sono infatti a disposizione sul mercato strumenti aerosol in grado di ridurre i tempi di inalazione a 6-8 minuti e sono in corso studi che stanno valutando l'efficacia e la sicurezza di farmaci da inalare come polveri secche. Questo è il caso sia del mannitolo che della tobramicina e colistina, valutati attualmente in ricerche di fase II e III (www.clinicaltrials.gov). I vantaggi tecnologici si dovrebbero accompagnare ad una maggiore capacità dei Centri specialistici per la FC di individualizzare la terapia inalatoria sulla base dell'età e soprattutto delle caratteristiche della pneumopatia, riducendo al minimo gli effetti collaterali della terapia ed individuando le priorità del trattamento della malattia polmonare. C Braggion, R Giuntini, MC Cavicchi La terapia inalatoria nella fibrosi cistica - Inhaled therapy in cystic fibrosis TABELLA I: DEPOSIZIONE POLMONARE, STUDIATA CON RADIOISOTOPI, IN PAZIENTI CON FIBROSI CISTICA CHE UTILIZZAVANO UNA AMPOLLA AEROSOL AD ARIA COMPRESSA DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: gli autori non hanno rapporti finanziari con entità commerciali che abbiano un interesse nel soggetto di questo manoscritto. MRM 95 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 93-97 MRM 01-2007_def 96 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 96 Bibliografia 1. Gibson RL, Burns JL, Ramsey BW. 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Coauthors of the Task Force Report: Joss GF (Chairman), O'Connor B (Co-Chairman), Anderson SD, Chung F, Cockcroft DW, Dahlen B, Di Maria G, Foresi A, Hargreave FE, Holgate ST, Inman M, Lotvall J, Magnussen H, Polosa R, Postma DS, Riedler J. Indirect airway challenges. Eur Respir J 2003;21:1050-1068. 34. Sagel SD, Kapsner R, Osberg I, Sontag MK, Accurso FJ. Airway inflammation in children with cystic fibrosis and healthy children assessed by sputum induction. Am J Respir Crit Care Med 2001;164:1425-1431. 35. Suri R, Metcalfe C, Lees B, Grieve R, Flather M, Normand C, Thompson S, Bush A, Wallis C. Comparison of hypertonic saline and alternate day or daily recombinant deoxyribonuclease in children with cystic fibrosis: a randomised trial. Lancet 2001;358:1316-1321. 36. Robinson M, Daviskas E, Eberl S, Baker J, Chan HK, MRM 97 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 98 Atti / Proceedings Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello” Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005 Introduzione Introduction Mario Polverino, Giuseppe Fiorenzano Respiratory Physiopathology, Cava de' Tirreni Hospital, Italy L'esercizio fisico è tradizionalmente materia di studio dei fisiologi, che hanno approfondito il comportamento dell'organismo umano ai limiti delle sue possibilità [1,2]. D'altro canto si sono accumulate sempre maggiori evidenze riguardanti il valore dell'esercizio come prevenzione e riabilitazione, considerata l'importanza che la limitazione all'esercizio fisico riveste nel condizionare la qualità di vita dei portatori di patologie croniche, in particolare cardio-respiratorie. Per queste ragioni l'ergometria cardio-polmonare acquista un valore crescente nella valutazione funzionale, dati i noti limiti delle indagini eseguite a riposo nel predire la capacità di esercizio dei soggetti affetti da tali patologie [3-6]. Inoltre, lo studio dell'esercizio fisico in ambienti estremi, quali l'alta quota o l'immersione, consente di approfondire i meccanismi di adattamento dell'uomo all'ambiente, le possibili complicazioni patologiche di un maladattamento ed il comportamento dei portatori di malattie cardio-polmonari in queste particolari condizioni ambientali [7-13]. Sulla base di tali considerazioni è nata l'idea del convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello”, con l'intento di mettere a confronto esperti di varia estrazione (fisiologi, pneumologi, cardiologi, medici dello sport, intensivisti) sui vari aspetti dell'esercizio fisico nel soggetto normale e nei portatori di patologie cardio-polmonari, anche in ambienti estremi [14]. Il convegno, organizzato dalla Fisiopatologia Respiratoria di Cava de' Tirreni, si è svolto dal 24 al 26 novembre 2005 ed ha coinvolto numerose società scientifiche (AIMAR, SIMeR, SIMEM, SIP Sport, FMSI, ACCP Italia) e Scuole di Specializzazione in Malattie dell'Apparato Respiratorio (Messina, Napoli) e Medicina dello Sport (Chieti, Genova, Milano, Napoli, Perugia). Complice la suggestiva cornice di Ravello, perla della Costiera Amalfitana, l'incontro ha mantenuto le promesse di confronto aperto ed interdisciplinare, con vivaci discussioni al termine di ogni relazione, suscitando subito l'esigenza di pubblicare gli Atti del convegno per dare un seguito all'iniziativa. Viste le premesse di cui si è detto in precedenza, quale sede più naturale per la pubblicazione di una rivista denominata Multidisciplinary Respiratory Medicine (MRM), organo ufficiale dell'AIMAR, che è nata proprio dall'esigenza di confrontare esperienze diverse che convergono sull'interesse per l'apparato respiratorio? Grazie alla disponibilità del comitato editoriale di MRM possiamo quindi offrire anche a coloro che non hanno partecipato il resoconto delle tre giornate di studio, inaugurate dalla Lettura Magistrale di John West su “The History of High Altitude Physiology”. La prima giornata è stata dedicata alla Medicina di Montagna, la seconda a “Esercizio e fisiopatologia cardiopolmonare”. La terza giornata, dopo una sessione dal titolo “Dall'ipobaria all'iperbaria”, si è conclusa con una Tavola Rotonda sul Doping, dedicata alla memoria di Ruggero Rossi, direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport, scomparso tragicamente pochi mesi orsono. Vista la soddisfazione espressa da relatori e partecipanti, siamo certi che anche i lettori di MRM apprezzeranno i contributi scientifici presentati su temi anche particolari rispetto a quelli che siamo abituati ad ascoltare nei nostri convegni, che saranno pubblicati sotto forma di serie in più numeri della rivista. Mario Polverino Respiratory Physiopathology Director, Centro Medico Italo-Australiano Cava de' Tirreni (SA) - Italy email: [email protected] Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 98-99 98 MRM MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 99 1. McArdle WD, Katch FI, Katch VL. Fisiologia applicata allo sport. Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1998. 2. Cerretelli P. Fisiologia dell'esercizio. Società Editrice Universo, Roma, 2001. 3. Wasserman K, Hansen JE, Sue DY, Casaburi R, Whipp BJ. Principles of Exercise Testing and Interpretation. Lippincott Williams & Wilkins, Philadelphia, 1999. 4. Roca J, Whipp BJ. Clinical Exercise Testing. Eur Respir Mon 1997;2:6. 5. Palange P, Schena F. Il Test da sforzo cardiopolmonare. Teoria ed Applicazioni. Edizioni COSMED, 2001. 6. Weisman IM, Zeballos RJ. Clinical Exercise Testing. Karger, Basel, 2002. 7. Rossi A, Schiavon M. Apparato respiratorio e attività subacquea. Editeam, 2000. 8. Bove A. Bove and Davis' Diving Medicine. 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M Polverino, G Fiorenzano Introduzione - Introduction Bibliografia MRM 99 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 100 Atti / Proceedings Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello” Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005 Expiratory airflow limitation and physical exercise Limitazione al flusso espiratorio ed esercizio fisico Paolo Parola1, Barbara Franzoso1, Giuseppe Coletta1, Valter Gallo2, Riccardo Pellegrino2 1 2 Anestesia e Rianimazione, Azienda Sanitaria Ospedaliera S. Croce e Carle Centro di Fisiopatologia Respiratoria e dello Studio della Dispnea, Azienda Sanitaria Ospedaliera S. Croce e Carle, Cuneo ABSTRACT Expiratory flow limitation (EFL) is a functional respiratory condition occurring when the airways carry maximum flow and characterized by the collapse of the airways downstream from this flow limiting segment. In normal conditions it only occurs during maximal voluntary ventilation, cough or strenuous physical exercise in physically very well trained individuals. In disease, it may occur as a result of either a progressive decrement in maximal flow, such as in bronchial asthma or chronic obstructive pulmonary disease, or a drop in functional residual capacity, such as in interstitial lung diseases, chest wall disorders, chronic heart failure, and obesity. Under all these disease conditions EFL may be experienced even at rest or during moderate exercise, depending on the severity of the disease. There is now compelling evidence that achieving maximum flow during tidal breathing is associated with lung hyperinflation, dyspnea, impeded venous return to the heart, and reduction of local blood flow to the locomotor muscles. The present review explores the physiological and clinical aspects of EFL especially during physical exercise in lung and cardiovascular diseases. Keywords: Expiratory flow limitation, maximum flow, physical exercise. RIASSUNTO La limitazione di flusso espiratorio (EFL) è una condizione funzionale respiratoria che si verifica quando le vie aeree raggiungono il flusso massimale ed è caratterizzata dal collasso delle vie aeree a valle di questo segmento limitante il flusso. In condizioni normali si verifica soltanto durante la ventilazione massima volontaria, la tosse o l'esercizio fisico massimale in soggetti fisicamente molto ben allenati. In patologia si può verificare come risultato sia di un decremento progressivo del flusso massimale, come avviene nell'asma bronchiale o nella bron- chite cronica ostruttiva, o per una riduzione della capacità funzionale residua, come nelle interstiziopatie, nelle patologie restrittive toraciche, nello scompenso cardiaco cronico e nell'obesità. In tutte queste condizioni patologiche l'EFL si può verificare persino a riposo o in corso di esercizio moderato, a seconda della gravità della patologia. Vi è ormai evidenza provata che il raggiungimento del flusso massimo a volume corrente è associato con iperinflazione polmonare, dispnea, riduzione del ritorno venoso al cuore, riduzione del flusso ematico zonale ai muscoli locomotori. Questa rassegna esplora gli aspetti fisiologici e clinici dell'EFL, specie durante esercizio fisico, a livello polmonare e nelle patologie cardiovascolari. Parole chiave: Esercizio fisico, flusso massimale, limitazione al flusso espiratorio. In mammals maximum expiratory flow is limited by the physical properties of lung parenchyma and airways because it is largely independent of the expiratory effort (figure 1, left panel). Its main determinants are, indeed, airway size at the site where the airways choke (figure 1, right panel) and airway wall elastance downstream from this flow limiting segment [1,2]. The latter represents the resistance of the airways to collapse under the force applied on the external surface. During tidal breathing, expiratory flow is far less than during a forced expiration. However, with increasing minute ventilation as with exercise, the expiratory flow reserve progressively decreases. If exercise is so strenuous that tidal flow achieves maximum flow, then expiratory airflow obstruction Riccardo Pellegrino Centro di Fisiopatologia Respiratoria e dello Studio della Dispnea, Azienda Sanitaria Ospedaliera S. Croce e Carle Via Michele Coppino 26, 12100 Cuneo, Italia email: [email protected] Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 100-103 100 MRM 16:38 Pagina 101 Flow FIGURE 1: DETERMINANTS OF MAXIMUM EXPIRATORY FLOW IN MAMMALS FIGURE 2: TIDAL FLOW-VOLUME LOOPS AT REST, AT MIDEXERCISE (240 WATTS) AND AT MAXIMUM EXERCISE (350 WATTS) IN A WELL TRAINED YOUNG INDIVIDUAL 350 Watts 240 Watts Rest VOLUME Note the decrease in expiratory flow reserve, i.e. the difference in flow between near tidal expiration and maximum flow at isovolume, as a result of both an increase in ventilation and a decrease in functional residual capacity (FRC) with exercise. At maximum exercise tidal flow exceeds maximal flow, an artefact resulting from the different thoracic gas compression volume of the tidal and maximal manoeuvres; breathing is now flow limited and FRC increases to the baseline value. son of tidal to maximal expiratory flow measured at the mouth. Flow at the mouth is the ultimate result of lung emptying. Its monotonic decrease with lung volume is apparently in net contrast with the well known structural and functional heterogeneities of the respiratory apparatus. To render expiratory flow homogeneous, however, mechanisms such as flow interdependence allow greater emptying from areas served by larger than smaller airways [13,14]. In disease or after inhaling a constrictor agent [15], the distribution of airway narrowing across the lungs is quite dishomogeneous. With the less involved air- P Parola, B Franzoso, G Coletta, V Gallo, R Pellegrino How expiratory flow limitation limits physical exercise - Limitazione al flusso espiratorio ed esercizio fisico (EFL) occurs (figure 2). Under these conditions, generation of transpulmonary pressure in excess to that necessary to cause maximal flow [1,2] is dissipated in part within the large airways downstream from the flow limiting segments and in part across the lungs to compress alveolar gas. Dynamic compression of the airways is known to cause discomfort and dyspnea [3] possibly elicited by neural reflexes travelling from the airways to the respiratory centres through the vagi nerves [4]. Such reflexes are deemed to prematurely terminate expiration, thus causing an increase in FRC [5]. That this is so has been documented in mild-to-moderate COPD after applying a small expiratory load [5] and in élite runners [6,7], whose physical performance is so good that they can exploit all their respiratory reserve and achieve maximum flow. Visual analysis of the tidal flow-volume curves under these conditions shows an upward shift of the operational lung volumes, a condition called lung hyperinflation. In respiratory diseases, EFL is commonly experienced at rest or at low levels of exercise mostly through two main mechanisms. Firstly, in obstructive disease such as bronchial asthma or chronic obstructive pulmonary disease (COPD) EFL occurs as a result of a progressive decrease in maximum flow caused by airway narrowing and/or decrease in lung elastic recoil [8-10]. Secondly, in disorders characterized by restrictive defects such as pulmonary fibrosis, chronic heart failure, obesity, and others [11,12], EFL occurs as a result of a drop in functional residual capacity. The two mechanisms are shown in figure 3. Detection of EFL is usually based on the compari- FIGURE 3: MAIN MECHANISMS BY WHICH EXPIRATORY FLOW LIMITATION OCCURS IN DISEASE Exp Insp By decreasing flow By decreasing volume Flow Flow 16-05-2007 FLOW MRM 01-2007_def Flow Volume Left panel: Progressive increase in inspiratory flow with increasing effort. In contrast, on expiration increasing effort does not produce an increase in flow, thus suggesting that maximal flow is regulated by the physical properties of lung parenchyma and airways rather than the force of the expiratory muscles. Right panel: Occurrence of choke points (CP) during a forced expiration starting from the trachea and moving backwards to the next generation of airways. CPs do not occur simultaneously across the airways of the same generation as a result of structural and functional heterogeneities of the respiratory apparatus. Volume Volume Expiratory flow limitation during tidal breathing may occur as a result of either a decrease in flow, as in obstructive conditions (left panel), or as a result of a decrease in functional residual capacity (FRC), as in restrictive diseases (right panel). Small loop inside the figure is tidal breathing flow-volume curve, external continuous lines are the observed maximum flows, whereas dashed lines are the predicted values for flow. The arrows indicate the decrease in flow (left panel) and decrease in FRC (right panel). MRM 101 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 100-103 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 102 ways carrying some extra flow as a result of flow interdependence, the detection of EFL at the mouth measured by comparison of tidal and maximal flows is delayed, despite the occurrence of lung hyperinflation which is one of the well known sideeffects of the dynamic collapse of the airways downstream from the flow limiting segment [15]. In addition, comparison of the tidal flow-volume loops at the mouth with maximal flow does not take into account other critical artefacts such as the effects of thoracic gas compression [16] and the volume history effects of the manoeuvres [17]. Even though these certainly represent some limits of the flow measurement in detecting EFL, the comparison of tidal to maximal flows is simple, intuitive, and may have some clinical relevance in assessing the functional respiratory conditions and symptoms during physical exercise. Other more sophisticated and sensitive methods to detect EFL have been reported but will not be discussed in the present review [18]. Before EFL occurs during tidal breathing in respiratory diseases, dynamic collapse of the airways downstream from the flow limiting segment may be experienced only during physical exercise when the increased tidal expiratory flow during exercise impinges on the reduced flow. Excessive compression downstream from the flow limiting segment under these conditions is usually minimized by increasing FRC. If on one hand this is a safe reaction to preserve ventilation and gas exchange, on the other hand lung hyperinflation puts the inspiratory muscles in a disadvantageous physical condition and at greater risk of fatigue as a result of the increased elastic work of breathing. The occurrence of dyspnoea under these conditions is deemed to result from either breathing at high lung volumes or neural reflexes triggered within the large airways undergo- ing collapse and transmitted to the central nervous system where they are sensed as shortness of breath. The impingement of tidal on maximal flow during exercise in the early stages of bronchial asthma or COPD is delayed by the natural decrease in bronchial tone occurring with the progressive increase in minute ventilation and ensuing stretching of airway wall [10,19]. The phenomenon is of a great importance for it allows extra ventilation to be accomplished with no further respiratory constraint. In contrast, such bronchodilatation gradually disappears with the progression of the disease [20], thus contributing to cause EFL with minimal physical activity. Recent studies have provided evidence that breathing under EFL conditions is associated with cardiovascular side-effects especially during exercise [21]. In an attempt to further increase ventilation in the presence of EFL, patients tend to develop extra expiratory pressures within the abdominal and chest wall compartments. This impairs the venous return from the locomotor muscles to the right heart cavities, and from here to the left heart through the lungs [22,23]. As a result, cardiac output and oxygenation may decrease, thus contributing to limit exercise. In addition, with the respiratory muscles highly loaded, blood flow to the locomotor muscles may be locally reduced and preferentially directed to the respiratory muscles in a sort of competition to safeguard ventilation [24]. In conclusion, EFL is a functional condition occurring in many cardiovascular and respiratory diseases. Evidence suggests that it may play a critical role in limiting physical exercise through different and independent mechanisms ranging from fatigue of the respiratory muscles, dyspnea, decrease in cardiac output, and vasoconstriction of the limb muscle vasculature. Bibliografia 1. Hyatt RE. Forced expiration. In: Macklem PT, Mead J, eds. Handbook of Physiology. Section 3, vol. III, part 1. The respiratory system. Mechanics of breathing. American Physiological Society, Bethesda 1986;295-314. 2. Brusasco V, Pellegrino R, Rodarte JR. Airway mechanics. Chapter 5. In: Respiratory Mechanics. The European Respiratory Monograph 1999;4:68-91. 3. O'Donnell DE, Sanii R, Anthonisen NR, Younes M. Effect of dynamic airway compression on breathing pattern and respiratory sensation in severe chronic obstructive pulmonary disease. Am Rev Respir Dis 1987;135:912-918. 4. Koehler RC, Bishop B. 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MRM 103 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 104 Atti / Proceedings Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello” Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005 Tolleranza all'esercizio dopo trapianto cardiaco Exercise tolerance in heart transplant recipients Claudio Marconi Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare, Consiglio Nazionale delle Ricerche Palazzo L.I.T.A., Milano RIASSUNTO La ridotta tolleranza all'esercizio dei pazienti sottoposti a trapianto cardiaco (HTR) ha un'origine multifattoriale, con complesse interazioni tra anomalie polmonari, cardiache, vascolari e muscolari. La presente rassegna ha lo scopo di valutare l'importanza di fattori centrali (cardio-polmonari) e periferici (muscolari) nel limitare la massima prestazione aerobica dei pazienti HTR. Mentre la funzione polmonare non sembra avere un ruolo di rilievo, almeno finché la capacità di diffusione polmonare non raggiunge valori critici, il deterioramento della funzione del cuore e dei muscoli scheletrici sembra essere il fattore principale responsabile della ridotta tolleranza all'esercizio. La funzione cardiaca è principalmente limitata dalla alterata risposta cronotropa e dalla disfunzione del ventricolo sinistro. La funzione muscolare sembra invece limitata dal minor apporto di ossigeno dovuto alla ridotta capillarizzazione. Nel futuro, usando tecniche innovative di biologia molecolare, sarà necessario investigare l'eventuale presenza di alterazioni metaboliche intracellulari. Parole chiave: Esercizio, funzione cardiaca, funzione muscolare, trapianto cardiaco. ABSTRACT The exercise intolerance of heart transplant recipients (HTR) has a multifactorial origin, involving complex interactions among pulmonary, cardiac, vascular and skeletal muscle abnormalities. The present review is aimed at evaluating the role of the above factors in limiting maximal aerobic performance in HTR. Whereas pulmonary function does not seem to affect gas exchange until a critical value of diffusing lung capacity is attained, cardiac and skeletal muscle function deterioration may consistute significant factors limiting maximal and submaximal aerobic performance. Cardiac function is mainly limited by chronotropic incompetence and diastolic dysfunction, whereas muscle activity seems to be limited by impaired oxygen supply as a consequence of the reduced capillary network. Future research based mainly on genome and proteome analysis should investigate the presence of possible muscle metabolic alterations. Claudio Marconi I.B.F.M. - Consiglio Nazionale delle Ricerche Palazzo L.I.T.A. Via Fratelli Cervi 93, 20090 Segrate (MI), Italia email: [email protected] Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 104-107 104 MRM Keywords: Cardiac function, exercise, heart transplantation, muscle function. INTRODUZIONE STORICA Si dice che il primo trapianto cardiaco sia stato effettuato dal famoso medico cinese Pien Ch'iao (~500 a.C.), il quale scambiò il cuore di un uomo forte di spirito ma debole di volontà, con quello di un uomo debole di spirito ma forte di volontà, con lo scopo di bilanciarne le caratteristiche. Tuttavia si deve attendere la realizzazione della macchina cuore-polmone nella seconda metà del XX secolo per assistere al primo vero tentativo di trapianto cardiaco nell'uomo. Nel 1964 James Hardy, spinto dall'improvviso scompenso di un paziente in lista di attesa per il trapianto e dall'impossibilità di disporre di un donatore umano, impiantò senza successo il cuore di uno scimpanzè. Successivamente, il 3 dicembre 1967 Christian Barnard effettuò il primo trapianto allografo presso il Groote Shuur Hospital di Città del Capo in Sud Africa. Louis Washkansky ricevette il cuore di Denise Darvall, deceduta per un incidente automobilistico. Il paziente sopravvisse solo 18 giorni, durante i quali fu costantemente sotto gli occhi del mondo intero. Il 2 gennaio 1968, Philip Blaiberg, un dentista di 58 anni, diventò il secondo paziente sottoposto a trapianto cardiaco. Egli sopravvisse 20 mesi, durante i quali fu sottoposto ad una serie di valutazioni funzionali, da cui risultò che il cuore denervato del donatore non andava incontro a reinnervazione e che la massima potenza aerobica era estremamente bassa (V̇O2max: 0,65 l·min-1). Con molta intuizione, la causa della modesta prestazione fisica del paziente fu attribuita a fattori periferici, in particolare alla MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 105 La massima potenza aerobica (V̇O2max) Dopo le pionieristiche osservazioni del gruppo di Barnard [1], la massima potenza aerobica dei pazienti riceventi un trapianto cardiaco in età adulta (A-HTR) e pediatrica (P-HTR) è stata ampiamente studiata. La Figura 1 riassume dati raccolti nella letteratura internazionale relativi ad oltre 2.000 pazienti, da cui risulta che V̇O2max si riduce progressivamente con l'età. Infatti, la media ponderata dei valori di V̇O2max di 131 P-HTR (età media 11,7 anni) è maggiore di quella di 1888 A-HTR (età media 48 anni), essendo rispettivamente 27 e 21 ml·kg-1·min-1. Un'analisi della letteratura effettuata recentemente dall'autore [2], cui si rimanda per maggiori dettagli, ha consentito di trarre alcune interessanti conclusioni: FIGURA 1: MASSIMO CONSUMO DI OSSIGENO (V̇O2max, ESPRESSO IN ml·kg-1·min-1) DI PAZIENTI RICEVENTI UN TRAPIANTO CARDIACO IN FUNZIONE DELL'ETÀ (ANNI) AL MOMENTO DELLO STUDIO [2,6-15]. 50 VO2 max (ml•kg-1•min-1) 40 30 20 10 0 0 10 20 30 40 Età (anni) 50 60 70 1.i pazienti A-HTR esaminati entro un anno dal trapianto hanno valori di V̇O2max (~ 17 ml·kg-1·min-1) sensibilmente inferiori rispetto alla media; 2.i pazienti A-HTR operati in anni recenti mostrano la tendenza ad avere valori di V̇O2max sensibilmente più alti (~ 7%) di quelli operati in epoca antecedente al 1998, probabilmente come risultato della miglior selezione dei donatori e dei riceventi, così come delle modificazioni intervenute nella tecnica chirurgica e nel trattamento immuno-soppressore; 3.in assenza di uno specifico programma di allenamento aerobico, il valore di V̇O2max aumenta rapidamente entro i primi due mesi dal trapianto, per poi tendere a livellarsi su valori che in ogni caso non eccedono il 60% del V̇O2max, comunemente riscontrato in gruppi di controllo di pari per età e livello di attività fisica; 4.per quanto studi sistematici siano carenti, sembra che A-HTR sottoposti al trapianto a causa di una miocardiopatia ischemica abbiano valori di V̇O2max leggermente superiori a quelli di pazienti operati per miocardiopatia idiopatica (rispettivamente 22 e 20 ml·kg-1·min-1); 5.indipendentemente dall'età, i pazienti riceventi un trapianto cardiaco sono caratterizzati da una cinetica del riaggiustamento di V̇O2 all'inizio di un esercizio sottomassimale a carico costante più lenta di quella normalmente riscontrata nei soggetti di controllo, e non modificabile con esercizi preparatori. C Marconi Esercizio dopo trapianto cardiaco - Exercise after cardiac transplantation “debolezza dei muscoli delle gambe” [1]. Dopo questi primi avventurosi inizi, il trapianto cardiaco è diventato, negli anni, un intervento molto diffuso per il trattamento di pazienti con scompenso cardiaco. In Italia si effettuano ormai mediamente circa 320 trapianti ogni anno. Dal 1982 si effettuano trapianti cardiaci anche in età pediatrica (< 15 anni). Grazie ai progressi conseguiti principalmente nel campo dell'immunologia, la sopravvivenza a 5 anni è considerevolmente aumentata, specie nei pazienti più giovani (88% nei bambini, 80% negli adolescenti e 72% negli adulti). Inoltre, molti pazienti sono in grado di riprendere una regolare attività lavorativa e di fruire di un'accettabile qualità di vita. Tuttavia, nei pazienti riceventi il trapianto cardiaco, la massima potenza aerobica (V̇O2max), indice globale della massima prestazione cardio-polmonare, pur aumentando significativamente rispetto ai valori osservati prima dell'intervento, non raggiunge i valori previsti in base dell'età del paziente. In altre parole, la tolleranza all'esercizio dei pazienti riceventi un trapianto cardiaco è generalmente molto limitata. Fattori limitanti la massima potenza aerobica dei pazienti HTR La ridotta tolleranza all'esercizio dei pazienti HTR ha un'origine multifattoriale, caratterizzata dalla progressiva comparsa di anomalie funzionali a carico di numerosi organi ed apparati, probabilmente in parte già compromessi prima dell'intervento. Polmone: Nei pazienti con grave scompenso cardiaco il polmone può andare incontro a riduzione dei volumi, ostruzione delle vie aeree, riduzione della capacità di diffusione per il monossido di carbonio (DLCO), ecc. Dopo il trapianto cardiaco, spesso la funzione polmonare si normalizza. In genere però la DLCO rimane bassa o continua a ridursi col tempo, probabilmente in conseguenza di un danno irreversibile della membrana alveolo-capillare. Tuttavia gli effetti della riduzione di DLCO sulla prestazione fisica appaiono modesti, tanto che difficilmente i pazienti HTR diventano ipossiemici al picco di un esercizio massimale. Cuore: La denervazione del segna-passi atriale del donatore determina la particolare risposta della frequenza cardiaca (FC) all'esercizio. All'inizio di un esercizio a carico costante, FC rimane invariata per qualche decina di secondi rispetto ai valori di riposo, che sono generalmente più elevati del normale. Successivamente, FC aumenta in modo lineare fino a stabilizzarsi. Spesso, FC continua ad aumentare e/o rimane elevata anche oltre il termine dell'esercizio, particolarmente se questo è molto intenso, a causa dei livelli ematici di catecolamine [3,4]. Al MRM 105 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 104-107 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 106 termine di un esercizio esauriente, i valori della massima frequenza cardiaca (FCmax) sono inferiori a quelli attesi in base all'età dei soggetti. La Figura 2 mostra l'andamento di FCmax in pazienti di età compresa, al momento dello studio, tra 9 e 60 anni. Il valore medio ponderato di FCmax di 131 P-HTR e di 1900 A-HTR è, rispettivamente, 153 e 140 b·min-1. Considerato che in queste condizioni la massima gettata sistolica è ridotta del 20%, ne consegue che anche i valori di massima gettata cardiaca sono significativamente inferiori a quelli dei soggetti di controllo. Tuttavia, la relazione tra gettata cardiaca e consumo di ossigeno non è alterata, a suggerire l'incapacità da parte del muscolo di aumentare l'estrazione di ossigeno, nel tentativo di compensare il minor quantitativo di O2 trasportato ai tessuti. A qualche anno dal trapianto la prestazione cardiaca si può ulteriormente deteriorare a causa di una disfunzione diastolica del ventricolo sinistro dovuta alla vasculopatia cardiaca tipica dell'organo trapiantato, che rappresenta la più importante complicazione a lungo termine del trapianto [2]. Muscolatura scheletrica: Il contributo della muscolatura scheletrica nel limitare la massima prestazione aerobica di pazienti HTR è stato messo recentemente in luce nel nostro laboratorio, studiando la risposta metabolica all'esercizio di giovani pazienti trapiantati in età pediatrica [5]. In questi ultimi, infatti, non era presente alcuna delle già citate anomalie funzionali potenzialmente capaci di ridurre la tolleranza all'esercizio. Al contrario, il 50% dei giovani pazienti studiati (“responder” P-HTR) era caratterizzato da un completo recupero della normale risposta di FC ad esercizi massimali o sottomassimali a carico costante (Figura 3). Tuttavia, il ripristino del controllo di FC, indicativo della normalizzazione anche della gettata cardiaca e quindi della capacità di trasporto convettivo di ossigeno ai tessuti, non è stato accompagnato da un aumento FIGURA 2: MASSIMA FREQUENZA CARDIACA (FCmax, ESPRESSA IN B·MIN-1) DI PAZIENTI RICEVENTI UN TRAPIANTO CARDIACO IN FUNZIONE DELL'ETÀ (ANNI) AL MOMENTO DELLO STUDIO [2,6-15]. della massima potenza aerobica, né da una più rapida attivazione della macchina metabolica ossidativa, come evidenziato dall'analisi della cinetica dell'adeguamento di V̇O2 all'inizio di un esercizio sottomassimale a carico costante. Queste osservazioni sono state interpretate come espressione di una limitazione funzionale a carico della muscolatura scheletrica, di natura ancora sconosciuta. Al momento, infatti, disponiamo di poche conoscenze sui meccanismi responsabili della disfunzione muscolare. Dopo il trapianto cardiaco ed in assenza di un programma di allenamento specifico, la percentuale delle fibre di tipo II rimane relativamente alta (~ 66%), mentre si normalizza l'area della loro sezione trasversa. Dal punto di vista morfologico, il riscontro più significativo è la ridotta capillarizzazione dei muscoli, verosimilmente già presente prima del trapianto e non migliorabile neanche con intensi programmi di allenamento. L'alterazione microcircolatoria, limitando l'apporto di ossigeno ai tessuti, potrebbe quindi essere responsabile dei ridotti valori di V̇O2max osservati. In effetti, la somministrazione di un ACE-inibitore, riducendo la vasocostrizione periferica, aumenta sensibilmente il V̇O2max dei pazienti HTR. Negli ultimi anni, la causa della ridotta capillarizzazione è stata identificata in una disfunzione endoteliale, associata ad aumentati livelli ematici di citochine proinfiammatorie. La compromissione dell'apporto convettivo di ossigeno ai tessuti potrebbe essere però solo un aspetto del problema. Infatti essa non spiega numerose FIGURA 3: VARIAZIONE DELLA FREQUENZA CARDIACA (∆ FC, ESPRESSA IN B·MIN-1) RISPETTO AL VALORE DI RIPOSO FATTO UGUALE A 0, IN FUNZIONE DEL TEMPO (ESPRESSO IN SECONDI) DURANTE UN ESERCIZIO SOTTOMASSIMALE, DI INTENSITÀ PARI A ~ 60% DEL VALORE INDIVIDUALE DI V̇O2max, IN TRE GRUPPI DI SOGGETTI DI ETÀ MEDIA COMPRESA TRA 13 E 14 ANNI: : BAMBINI RICEVENTI UN TRAPIANTO CARDIACO CON SEGNI FUNZIONALI DI REINNERVAZIONE (RES P-HTR); : BAMBINI RICEVENTI UN TRAPIANTO CARDIACO CON CUORE TIPICAMENTE DENERVATO (NON RES P-HTR); : BAMBINI SANI DI CONTROLLO (CTL). • 200 180 30 ∆ FC (b•min-1) FCmax (b•kg-1•min-1) res P-HTR non resp P-HTR CTL 40 160 140 20 10 120 0 100 -60 80 0 106 MRM 10 20 40 30 Età (anni) 50 60 70 Tratta da [5], modificata. 0 60 Tempo (sec) 120 180 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 107 nismi molecolari alla base delle citate alterazioni funzionali non sono stati ancora investigati. In particolare manca l'analisi differenziale del proteoma muscolare dei pazienti HTR, che consentirebbe di identificare eventuali proteine abnormemente espresse, da mettere in relazione con i dati funzionali. Questo tipo di analisi potrebbe essere utile anche in campo diagnostico, permettendo l'identificazione precoce di eventuali marker di rigetto. C Marconi Esercizio dopo trapianto cardiaco - Exercise after cardiac transplantation osservazioni, tra cui il mancato aumento della massima potenza aerobica e la marcata inerzia metabolica descritte nei bambini trapiantati caratterizzati dal ripristino completo della normale funzionalità cardiaca. In questi ultimi pazienti è verosimile che la limitazione funzionale possa essere causata da un'alterazione a carico dei processi metabolici energetici intracellulari. Al momento attuale, per quanto ci consta, i mecca- Bibliografia 1. Beck W, Barnard CN, Schrire V. Heart rate after cardiac transplantation. Circulation 1969;40:437-445. 2. Marconi C, Marzorati M. Exercise after heart transplantation. Eur J Appl Physiol 2003;90:250-259. 3. Cerretelli P, Marconi C, Meyer M, Ferretti G, Grassi B. Gas exchange kinetics in heart transplant recipients. Chest 1992;101:199S-205S. 4. Ferretti G, Marconi C, Achilli G, Caspani E, Fiocchi R, Mamprin F, Gamba A, Ferrazzi P, Cerretelli P. The heart rate response to exercise and circulating catecholamines in heart transplant recipients. Pflügers Arch Eur J Physiol 2002;443:370-376. 5. Marconi C, Marzorati M, Fiocchi R, Mamprin F, Ferrazzi P, Ferretti G, Cerretelli P. Age-related heart rate response to exercise in heart transplant recipients. Functional significance. Pflügers Archiv Eur J Physiol 2002;443:698-706. 6. Haykowsky M, Eves N, Figgures L, McLean A, Koller M, Taylor D, Tymchak W. Effect of exercise training on VO2peak and left ventricular systolic function in recent cardiac transplant recipients. Am J Cardiol 2005;95:10021004. 7. 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Preserved response of mitochondrial function to short-term endurance training in skeletal muscle of heart transplant recipients. J Am Coll Cardiol 2003;42:126-132. MRM 107 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 108 Atti / Proceedings Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello” Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005 Scompenso cardiaco cronico ed alta quota Chronic heart failure and high altitude Piergiuseppe Agostoni Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Istituto di Cardiologia, Università di Milano e Department of Medicine, University of Washington, Seattle, WA, USA RIASSUNTO L'adattamento alla quota dei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico dipende dalla capacità di incrementare la gettata cardiaca e la differenza artero-venosa di ossigeno (C(a-v)O2). La C(a-v)O2 dipende dalle modificazioni in contenuto di O2 in arteria polmonare (CvO2) e sistemica (CaO2). Nell'arteria sistemica le modificazioni di CaO2 sono dovute all'incremento del contenuto in emoglobina relato ad aumento del potere oncotico intracellulare ed a spremitura della milza. Nell'arteria polmonare il contenuto di O2 si riduce progressivamente. Questo dipende da maggiore estrazione di O2 con riduzione della PO2 e da spostamento della curva di dissociazione di emoglobina a destra dovuto all'acidosi. Infine la ridistrubuzione a favore dei muscoli della portata cardiaca concorre a mantenere la capacità di esercizio in quota. La riduzione della capacità di esercizio dopo esposizione rapida alla quota (ogni 1.000 m di dislivello) è maggiore nei pazienti più gravi. La capacità di aumentare la diffusione alveolo-capillare durante esercizio moderato è un elemento predittivo della capacità di lavoro in quota. Alcune categorie di farmaci, utili nel trattamento dello scompenso cardiaco a livello del mare, hanno probabilmente un effetto favorevole sugli adattamenti all'esercizio in quota, e fra questi ACE-inibitori ed antialdosteronici, altri sfavorevole e fra questi i beta-bloccanti. Parole chiave: Altitudine, diffusione alveolo-capillare, esercizio, scompenso cardiaco. ABSTRACT Adaptation to high altitude can be poor in chronic heart failure patients. This is related to an insufficient cardiac output increase. The artero-venous oxygen difference (C(a-v)O2) can partially counteract the cardiac output deficit. The C(a-v)O2 increase is due to hemoglobin increase, PO2 reduction and a leftward-shift of the hemoglobin/oxygen curve. Adaptation to high altitude is also influenced by the capacity to divert blood flow toward the exercising muscles. Exercise capacity at high altitude declines in inverse relation to the severity of heart failure. The capability to increase lung diffusion during light exer- Agostoni Piergiuseppe Centro Cardiologico Monzino Via Parea 4, 20138 Milano, Italia email: [email protected] Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 108-110 108 MRM cise is predictive of high altitude adaptation in heart failure patients. Drugs can positively or negatively influence exercise capacity at altitude in heart failure. Among those with a positive influence are ACE-inhibitors and antialdosteronic drugs; among those with a negative influence are beta-blockers. Keywords: Altitude, alveolar-capillary diffusion, exercise, heart failure. Le capacità di adattamento alla quota dei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico sono limitate. Esse sono influenzate da tutti i parametri fisiologici che contribuiscono alla performance fisica. Il primo elemento di discriminazione è la capacità di esercizio a livello del mare come indicata dal consumo di ossigeno (VO2)di picco. Il VO2 è la gettata cardiaca x la differenza artero-venosa di ossigeno (C(a-v)O2) [1,2]. È da notare che nel soggetto sano, siccome l'incremento di C(a-v)O2 è lineare con l'incremento del carico di lavoro, è possibile, conoscendo il VO2 stimare l'incremento della portata cardiaca. Questo non è vero nel soggetto con scompenso cardiaco dove la gettata deve essere misurata. La C(a-v)O2 dipende dalle modificazioni che si sviluppano durante esercizio in contenuto di O2 in arteria polmonare (CvO2) e sistemica (CaO2). Nell'arteria sistemica le modificazioni di CaO2 al di sopra della soglia anaerobica sono dovute all'incremento del contenuto in emoglobina. Cioè aumenta il delivery di ossigeno ai muscoli impegnati nell'esercizio. Infatti l'incremento di PO2 che si ha nella seconda parte dell'esercizio è poco significativo perchè, in condizioni normali, la saturazione dell'emoglobina è, a riposo, praticamente completa e la quota di ossigeno disciolto nel sangue è minima. Le cause più probabili dell'emoconcentrazione in- MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 109 13,1 ± 2,7 e 13,4 ± 2,6 in classe A (picco VO2 > 20ml/min/kg), B (picco VO2 15-20 ml/min/kg) e C (picco VO2 < 15 ml/min/kg) (* = p < 0,05 vs. B e C) [3,4]. Questa differenza è dovuta ad una maggiore quota, percentualmente parlando, di sangue in arteria polmonare in arrivo dai muscoli che partecipano all'esercizio che compensa la maggiore anemia dei pazienti più gravi. La riduzione della capacità di esercizio dopo esposizione rapida alla quota (ogni 1.000 m di dislivello) è di: classe A (picco VO2 > 20ml/min/kg) 4% classe B (picco VO2 15-20 ml/min/kg) 4% classe C (picco VO2 < 15 ml/min/kg) 10% Un altro parametro predittore delle capacità di compiere esercizio in quota è la diffusione alveolo capillare e le sue modificazioni durante esercizio di modesta entità. Infatti i pazienti che sono in grado di aumentare la diffusione alveolo-capillare durante esercizio di modesta entità sono quelli che meglio si adattano alla quota. Poco note sono le modificazioni relate alla quota della ventilazione nei pazienti con scompenso cardiaco [5]. Infatti, se è vero che a livello del mare durante esercizio si ha un incremento di ventilazione per l'aumento del volume corrente e della frequenza respiratoria, l'aumento del volume corrente si osserva soprattutto nella parte iniziale dell'esercizio, mentre l'incremento della frequenza respiratoria è presente soprattutto nella parte finale. Anche in assenza di cardiopatia organica, nei pazienti con fibrillazione atriale, l'incremento di ventilazione è leggermente superiore rispetto ai pazienti in ritmo sinusale, come è documentabile dall'aumento di VE/VCO2 sia in termini di pendenza (slope) che di valore assoluto alla soglia anaerobica. Nei pazienti con scompenso cardiaco, si ha un abnorme aumento della ventilazione durante esercizio: esso è dovuto ad un aumento della frequenza respiratoria che compensa, in eccesso, il ridotto incremento del volume corrente. Numerose sono le cause d'iperventilazione nello scompenso cardiaco; fra esse, l'alterazione della meccanica toraco/polmonare, la riduzione della diffusione alveolo-capillare, l'aumento della necessità di ventilare per incremento sproporzionato della produzione di CO2, l'aumento dello spazio morto, l'eccessiva attività dei metaborecettori, dei chemorecettori e dei barorecettori. Molti farmaci possono influenzare la ventilazione: gli ACE-inibitori, ma non gli AT1-bloccanti, aumentano la diffusione alvelo-capillare, probabilmente attraverso un aumento della bradichinina polmonare. Gli antialdosteronici migliorano la diffusione alveolo-capillare attraverso una riduzione della fibrosi polmonare (con il trattamento a lungo termine). I beta-bloccanti riducono l'iperventilazione e questa loro azione, positiva a livello del mare, limita la capacità di adattamento alla quota nei pazienti che ne fanno uso. PG Agostoni Scompenso cardiaco cronico ed alta quota - Chronic heart failure and high altitude dotta da esercizio sono: a) effetto oncotico dovuto all'incremento intracellulare di lattati e loro metaboliti, che genera movimento di fluido dal comparto intravascolare a quello extravascolare, b) contrazione della milza. Infatti, anche nell'uomo è stata documentata dopo esercizio riduzione delle dimensioni della milza; inoltre nei soggetti talassemici sottoposti a splenectomia l'incremento di emoglobina durante esercizio è ridotto rispetto a quello di soggetti talassemici non sottoposti a splenectomia. L'emoconcentrazione è responsabile di circa il 20% dell'incremento di C(a-v)O2 al picco dell'esercizio [2]. Nell'arteria polmonare il contenuto di O2 si riduce progressivamente. Questo dipende al di sotto della soglia anaerobica da una maggiore estrazione di O2 con riduzione della PO2 e, al di sopra della soglia anaerobica, dalla riduzione di PO2 e da uno spostamento della curva di dissociazione dell'emoglobina verso destra dovuto all'acidosi, il cosiddetto effetto Bohr. In arteria polmonare arriva, anche durante esercizio massimale, sangue refluo dai muscoli che partecipano attivamente allo sforzo e da organi che non partecipano allo sforzo. Differente è il quadro della vena femorale dove la riduzione del contenuto di ossigeno durante esercizio dipende prima della soglia anaerobica dalla riduzione della PO2, sopra la soglia solo dall'effetto Bohr. La riduzione di PO2 è responsabile del 60% della riduzione del C(a-v)O2 mentre l'effetto Bohr è responsabile del 20% dell'incremento indotto da esercizio di C(a-v)O2 [2]. Il valore più basso di PO2 nella vena femorale è di circa 18 mmHg. Questo ha generato il concetto di PO2 capillare critica concetto che dice che non esiste diffusione di ossigeno tra capillare e mitocondrio per PO2 inferiori a 18 mmHg. Questo concetto è errato perché non segue la legge di diffusione dei gas e perché sono state ottenute misure di PO2 nella vena femorale < 18 mmHg anche se in condizioni sperimentali particolari. Tuttavia il valore di 18 è quello comunemente raggiunto con un test incrementale in cui la riduzione di PO2 si ha per aumento di VO2 per incremento di estrazione. Nel 20% dei pazienti con scompenso cardiaco cronico si osserva, nella fase finale dell'esercizio, un aumento della PO2 nella vena femorale. Questo dato suggerisce la presenza di alterazione del rapporto tra perfusione del muscolo e consumo di ossigeno, verosimilmente per il reclutamento, a fine esercizio, di gruppi di fibre muscolari poco efficienti o per la comparsa di shunt all'interno del muscolo. Il muscolo, in altre parole, avrebbe fenomeni di mismatch perfusione/consumo simili a quelli ventilazione/perfusione polmonare. La C(a-v)O2 alla soglia anaerobica merita un commento particolare. Infatti alla soglia anaerobica la C(a-v)O2 ha un valore funzione della quantità di emoglobina disponibile e della riduzione di PO2 ad un valore intorno a 18 mmHg. Infatti è con la soglia anaerobica che si inizia ad instaurare l'acidosi. In una popolazione di pazienti affetti da scompenso cronico la C(a-v)O2 era pari a 12,3 ± 1,3*ml/100ml, MRM 109 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 108-110 MRM 01-2007_def 110 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 110 Bibliografia 1. Stringer WW, Hansen JE, Wasserman K. Cardiac output estimated noninvasively from oxygen uptake during exercise. J Appl Physiol 1997;82:908-912. 2. Perego GB, Marenzi M, Guazzi M, Sganzerla P, Assanelli E, Palermo P, Conconi B, Lauri G, Agostoni PG. 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MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 111 Atti / Proceedings Convegno “SMS (Sea, Mountain, Sport) from Ravello” Ravello, Italia, Novembre 24-26, 2005 Problematiche cardiorespiratorie negli sport equestri Cardiorespiratory issues in equestrian sport Maurizio Dottorini SCA Pneumologia e Terapia Intensiva Respiratoria, Azienda Ospedaliera di Perugia RIASSUNTO Le problematiche medicosportive, e specificatamente quelle cardiorespiratorie, dei cavalieri praticanti gli sport equestri, in particolare le discipline olimpiche, sono state a lungo trascurate. Tradizionalmente si è ritenuto che l'atleta cavallo fosse impegnato con costi metabolici anche elevati, mentre il dispendio energetico dell'atleta cavaliere fosse particolarmente limitato. In realtà, l'impegno cardiorespiratorio del cavaliere può essere submassimale. Nei giovani cavalieri pertanto va incoraggiata una buona preparazione atletica di base, mentre vanno considerate le problematiche legate all'atopia e alle possibili patologie respiratorie allergiche e non. L'abitudine al fumo di sigaretta dei cavalieri va assolutamente contrastata. Parole chiave: Dispendio energetico, equitazione, fumo di sigarette, malattie polmonari. ABSTRACT Medical, in particular cardiorespiratory, problems have long been neglected in horse riders engaged in the sport of horse riding, particularly those performing in olympic equestrian sports. While the metabolic expenditure of horses has always been considered of importance, the metabolic expenditure of riders has traditionally been underestimated. Nevertheless, the cardiorespiratory energy expenditure in riders can be submaximal. Young riders should therefore be encouraged to undergo adequate physical training. Problems related to atopy and to possible respiratory diseases, atopic and non, should be considered. Every effort should be made to discourage riders from smoking. Keywords: Cigarette smoking, energy expenditure, horse riding, lung diseases. INTRODUZIONE L'interesse per l'impiego sportivo del cavallo è in aumento in Italia. Dei 350mila cavalli presenti in Italia, 200mila sono impiegati nel turismo equestre e 50mila sono utilizzati nelle varie discipline sportive. Oltre 70mila cavalieri sono tesserati per la Federazione Italiana Sport Equestri (FISE). Ogni anno si disputano circa tremila gare di trotto, galoppo e salto ostacoli. Inoltre, in 150 centri riconosciuti dalla Associazione Nazionale Italiana Rieducazione Equestre (ANIRE) si pratica l'ippoterapia [1], che prevede l'impiego del cavallo a scopo riabilitativo in un largo numero di patologie, soprattutto neurologiche e neuromuscolari. Brevemente si ricorda che nell'ambito degli sport equestri le discipline olimpiche comprendono il salto ostacoli ed il completo (dressage, salto ostacoli e cross). Le discipline non olimpiche comprendono endurance, attacchi, volteggio, polo, cross, monta da lavoro, equitazione americana, equitazione da campagna, horse ball [2]. Gli atleti che praticano salto ostacoli (patente A, B, 1° e 2° grado) sono tenuti a sottoporsi annualmente a visita di idoneità sportiva, che prevede visita medica, prove di funzionalità respiratoria ed elettrocardiogramma da sforzo. Da un punto di vista medico sportivo va sottolineato che gli sport equestri sono di fatto uno sport gravato da un'elevata quota di incidenti. I traumi più frequenti sono fratture delle ossa lunghe e traumi cranici. È interessante notare che circa il 15% degli Maurizio Dottorini SCA di Pneumologia e Terapia Intensiva Respiratoria Azienda Ospedaliera “R. Silvestrini” Via Dottori, 06100 Perugia, Italia email: [email protected] Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 111-114 MRM 111 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 1: 111-114 MRM 01-2007_def 112 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 112 incidenti avvengono in rapporto con attività collaterali, quali la pulizia e la preparazione del cavallo e che più colpite sono le femmine, che praticano più dei maschi questo sport con un picco di incidenza intorno ai 14 anni [3]. In Italia su diecimila assicurati vengono denunciati ogni anno 80 sinistri, 19 dei quali con esiti permanenti. La prevenzione (misure di protezione e pratica sportiva sempre sotto la guida di istruttori federali) può contenere numero e gravità degli incidenti. Negli USA operano l'American Medical Equestrian e la Safe Riders Foundation allo scopo di promuovere studi che migliorino la sicurezza dei cavalieri. Abitudine al fumo e patologie polmonari in atleti praticanti sport equestri In occasione di un Concorso Ippico di Salto Ostacoli tenutosi a Narni (TR) presso il Club Ippico Regno Verde dal 30.04 al 02.05.04 è stato somministrato agli atleti partecipanti un questionario. Le domande riguardavano principalmente, oltre a dati anagrafici, categoria (che riflette il livello di abilità equestre) e pratica eventuale di altri sport oltre l'equitazione, l'abitudine al fumo di sigaretta, la presenza di atopia e di malattie respiratorie anamnestiche, quali asma bronchiale, bronchite e polmonite. Sono stati esaminati 69 atleti (37 F), di età pari a 25,9 ± 13,4 anni (M ± SD), praticanti salto ostacoli da 11,1 ± 9,3 anni, suddivisi per livello tecnico in 4 con Patente A, 32 con Patente B, 28 con 1° grado e 5 con 2° grado (il secondo grado è il livello superiore). Atopia era presente in 12/69 (17%), asma bronchiale in 5/69 (7%), bronchiti pregresse in 3/69 (4%) e polmoniti pregresse in 5 su 69 (7%). Venti cavalieri su 69 (29%) dichiaravano di praticare altri sport oltre al salto ostacoli. Venti atleti su 69 (29%) erano fumatori, 6 su 69 (9%) erano ex-fumatori e 43/69 (62%) erano non fumatori. Sette atleti su 32 (22%) di età inferiore a 18 anni risultavano fumatori (4 femmine su 21 pari al 19% e 3 maschi su 11 pari al 27%). Per quanto concerne l'atopia è noto che manifestazioni oculorinitiche ed asmatiche da peli e forfore di cavallo sono di frequente riscontro nei praticanti gli sport equestri e sono di maggior gravità in soggetti con polisensibilizzazione [4]. L'insorgenza di manifestazioni allergiche può essere spiegata dal tempo che gli atleti passano quotidianamente in scuderia per le operazioni di toilette dell'animale. Uno studio longitudinale condotto per 5 anni su due gruppi di bambini in Svezia nelle zone di Goeteborg (SudOvest) e di Kiruna (Nord), ha rilevato tuttavia una minor sensibilizzazione atopica al cavallo a Goeteborg, ove l'equitazione è più diffusa, ed una minore sensibilizzazione al cavallo tra le femmine, che praticano equitazione più dei maschi. La prevalenza di manifestazioni allergiche (rinocongiuntivite ed eczema) era uguale a Kiruna e a Goeteberg [5]. L'esposizione a termoactinomiceti presenti nel fieno può esporre i cavalieri che frequentano maneggi anche ad alveoliti allergiche [6]. Salto ostacoli ed apparato cardiorespiratorio Solo la realizzazione di un binomio cavaliere-cavallo fa sì che possano essere raggiunti obiettivi sportivi di rilievo. Gli istruttori sanno, ad esempio, che il cavallo si rilassa quando la respirazione del cavaliere è profonda e di tipo diaframmatico o addominale, mentre la respirazione superficiale e di tipo toracico è percepita negativamente dal cavallo e si può tradurre in stress ed ansietà. Anche un corretto bilanciamento del cavaliere in sella con stabilizzazione del tronco, ottenuta grazie al tono del muscolo traverso dell'addome, è necessaria per realizzare un armonico equilibrio tra cavaliere e cavallo. Per lungo tempo la medicina sportiva non è stata coinvolta nella valutazione dell'impegno cardiorespiratorio del cavaliere, condizionata dall'errata ipotesi che il vero atleta fosse il cavallo, mentre al cavaliere si richiedeva essenzialmente una fine tecnica equestre. Certamente, se è pur vero che andare a cavallo in passeggiata richiede un lieve dispendio metabolico, l'addestrare al salto ostacoli puledri o il montare cavalli in gare di alto livello determinano costi energetici superiori: 2,3 vs 6,3-7 MET (Metabolic EquivalenT - quantità di ossigeno per minuto necessaria a un individuo a riposo). In realtà, la condizione fisica del cavaliere è un aspetto rilevante nell'equitazione moderna. È interessante notare che, monitorando contemporaneamente la frequenza cardiaca di cavallo e cavaliere, per incrementi di frequenza cardiaca del cavallo in rapporto al superamento di ostacoli, si osservano paralleli incrementi della frequenza cardiaca nel cavaliere [7]. Il costo energetico dell'attività sportiva è stato oggetto di studi anche per quanto riguarda i cavalli; si è visto che esso è influenzato dal diverso tipo di andatura (passo, trotto, galoppo) e di lavoro effettuato (salto di ostacoli di varia difficoltà) oltre che dal peso di cui il cavallo è gravato (cavaliere, sella, ecc) [8]. Tradizionalmente inseriti tra le attività di destrezza, che richiedono senso di equilibrio e coordinazione neuromotoria [9], in realtà gli sport equestri prevedono un notevole impegno muscolare a scopo posturale e direzionale e un non trascurabile impegno cardiorespiratorio, che si accentua in gara, anche per l'associata partecipazione emotiva. La frequenza cardiaca può raggiungere livelli massimali e, soprattutto al termine delle gare di cross, si può avere un incremento dei lattati ematici ed il superamento della soglia anaerobica. Generalmente, tuttavia, in corso di prove di salto ostacoli il consumo di ossigeno è submassimale. Il “training” del cavaliere che pratica la disciplina salto ostacoli è giornaliero, con sessioni che prevedono in sequenza andature di passo, trotto, galoppo e salto ostacoli. In rapporto alle diverse andature si ha un diverso impegno metabolico e cardiorespiratorio. Fattori importanti nel condizionare il costo energetico sono il grado di preparazione tecnica e di allenamento del cavaliere e il tipo di cavallo. Vi sono, MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 113 FIGURA 2: FREQUENZA CARDIACA DURANTE LE VARIE FASI DELLA PROVA FIGURA 1: IL CAVALIERE INDOSSA L'APPARECCHIATURA PER TELEMETRIA FIGURA 3: VENTILAZIONE DURANTE LE VARIE FASI DELLA PROVA chiede un consistente impegno muscolare da parte del cavaliere, tuttavia è nel salto ostacoli che si realizza il maggior consumo di ossigeno. CONCLUSIONI Nella pratica degli sport equestri molta attenzione è prestata alla condizione fisica del cavallo, minor attenzione è prestata, invece, alla condizione fisica, ed in particolare cardiorespiratoria, dell'altro elemento del binomio, il cavaliere. Questo per il motivo che si è sempre ritenuto che l'impegno cardiorespiratorio sia modesto in questo sport. I pochi studi fisiologici sull'argomento smentiscono questa convinzione. I giovani che praticano la disciplina salto ostacoli dovrebbero essere vivamente sconsigliati all'abitudine al fumo di sigaretta, dovrebbero essere maggiormente controllati per quanto riguarda le patologie allergiche e cardiopolmonari. Un'adeguata preparazione atletica di base potrebbe, infine, essere utile al raggiungimento degli obbiettivi sportivi. M Dottorini Problematiche cardiorespiratorie negli sport equestri - Cardiorespiratory issues in equestrian sport infatti, cavalli “pigri” che necessitano di essere costantemente stimolati dalla pressione di gambe del cavaliere. Al cavaliere si richiede una buona capacità aerobica, considerando che nel salto ostacoli si raggiunge mediamente un consumo di ossigeno pari al 75% del VO2 max. Devienne e Guezennec hanno valutato il dispendio energetico dell'equitazione [10]. In cinque cavalieri questi autori hanno esaminato frequenza cardiaca, ventilazione e consumo di ossigeno in rapporto a varie andature (passo, trotto, galoppo, galoppo in sospensione, superamento di ostacoli al trotto, superamento di ostacoli al galoppo, percorso di salto ostacoli). I parametri esaminati mostrano un impegno crescente del cavaliere passando dal passo al trotto al galoppo, al salto ostacoli con i massimi valori nella sessione di percorso, consistente nel superamento di una sequenza di ostacoli, come avviene in gara. Sia la tipologia del cavaliere (più o meno esperto) sia la tipologia del cavallo (più o meno vivace) condizionano il diverso costo energetico. I cavalieri di elite hanno un consumo di ossigeno inferiore rispetto a cavalieri esperti, ma non di elite, per lo stesso tipo di lavoro; anche le diverse condizioni in cui si effettua la gara condiziona una diversa spesa metabolica [11,12]. Presso il Centro Ippico di Valmarino (Perugia) un cavaliere, istruttore FISE, su cavallo allenato ed abitualmente impiegato in concorsi ippici, è stato esaminato con apparecchiatura COSMED K4, che consente di misurare in telemetria FE O2 e FE CO2 (Figura 1). La sessione di allenamento prevedeva, come di norma, alcuni minuti al passo, alcuni minuti al trotto e al galoppo ed, infine, il salto di dodici ostacoli di media difficoltà con fase finale di recupero, per un totale di circa venti minuti. Nelle Figure 2, 3 e 4 vengono evidenziati frequenza cardiaca, ventilazione, consumo di ossigeno e quoziente respiratorio in rapporto alle varie fasi della sessione. È evidente che l'andatura al trotto ri- Legenda: VE, ventilazione/minuto MRM 113 16-05-2007 Multidisciplinary Respiratory Medicine 2007; 111: 114 MRM 01-2007_def 16:38 Pagina 114 FIGURA 4: CONSUMO DI OSSIGENO E QUOZIENTE RESPIRATORIO DURANTE LE VARIE FASI DELLA PROVA Legenda: VO2, consumo di ossigeno RINGRAZIAMENTI Si ringraziano per la collaborazione l'Azienda COSMED nella persona del Sig. Carminati e gli istruttori FISE Gianluca Quondam Gregorio (Club Ippico Regno Verde, Narni - Terni) e Billy Lombardi (Club Ippico Scuderia Valmarino, Corciano - Perugia). Bibliografia 1. All AC, Loving GL, Crane LL. Animals, horseback riding, and implications for rehabilitation therapy. Journal of Rehabilitation 1999;65:49-57. 2. Dragoni S. Sport equestri. Medicina dello Sport 2002;55:62-77. 3. McCrory P, Turner M. Equestrian injuries. Med Sport Sci 2005;48:8-17. 4. Lelong M, Castelain MC, Bras C, Drain JP, Leonard JC, Robberecht MN, Libessart Y, Thelliez P, Miersman R. An outbreak of allergy to horses in children. A review of 56 recent cases. Pediatrie 1992;47:55-58. 5. Hesselmar B, Aberg B, Eriksson B, Aberg N. Allergic rhinoconjiuntivitis, eczema, and sensitisation in two areas with different climates. Pediatr Allergy Immunol 2001;12:208215. 6. Kristiansen JD, Lahoz AX. Riding-school lung? Allergic alveolitis in an 11-years-old girl. Acta Pediatr Scand 1991;80:386-388. 114 MRM 7. Danese M, Piantoni P. Heart rate recordings in the riders and horse during training and three-days event official competition. Proc. XXIV World Congress of Sports Medicine. Amsterdam: Elsevier Science Publ 1990;110-114. 8. Pagan JD, Hintz HF. Equine energetics II. Energy expenditure in horses during submaximal exercise. J Anim Sci 1986;63:822-830. 9. Dal Monte A. La valutazione funzionale dell'atleta. Firenze: Sansoni Editore Nuova 1983;8-10. 10. Devienne MF, Guezennec CY. Energy expenditure of horse riding. Eur J Appl Physiol 2000;82:499-503. 11. Gutierrez Rincon JA, Vives Turco J, Muro Matinez I, Casas Vaque I. A comparative study of the metabolic effort expended by horse riders during a jumping competition. Br J Sports Med 1992;26:33-35. 12. Westerling D. A study of physical demands in riding. Eur J Appl Physiol Occup Physiol 1983;50:373-382. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 115 RUBRICA Interdisciplinary pages A CURA DI MARIO POLVERINO Questa rubrica si propone come spazio interdisciplinare con lo scopo di raccogliere notizie, informazioni, opinioni, contributi metodologici e casi clinici tratti dalle varie discipline che interagiscono con la Medicina Respiratoria. email: [email protected] Spotlight on Pathophysiology Agenesia dell’arteria polmonare: valutazione angio-scintigrafica e funzionale Pulmonary artery agenesis: morphologic and functional assessment Carlo Santoriello, Francesca Polverino, Giuseppe Fiorenzano, Mario Polverino Fisiopatologia Respiratoria, Centro Regionale ad Alta Specializzazione Centro Medico Italo-Australiano, Cava de' Tirreni (SA) e-mail: [email protected] RIASSUNTO L'agenesia dell'arteria polmonare è una rara anomalia congenita, di cui sono stati descritti 119 casi a partire dal 1978. Descriviamo i dati funzionali e di imaging di una ragazza di 11 anni, rimasta clinicamente silente nel successivo follow-up per 20 anni fino al parto felicemente portato a termine senza alcuna complicanza. Parole chiave: Agenesia arteria polmonare. ABSTRACT Unilateral pulmonary artery agenesis is an uncommon anomaly and since 1978 only 119 cases have been reported. We describe the morphologic and functional assessment of an 11-year old girl, clinically asymptomatic in the 20 year followup, including an uncomplicated pregnancy and delivery. Keywords: Pulmonary artery agenesis. Presentiamo il caso di P.I. di anni 11. La bambina ha sempre goduto di perfetta salute fino all'epoca della nostra prima osservazione (nel 1986). Tre giorni prima di presentarsi a noi la bambina aveva presentato tosse secca, stizzosa accompagnata da faringodinia e da febbre alta (39-39,5°). All'esame obiettivo toracico si evidenziava una diffusa riduzione del murmure vescicolare e del fremito vocale tattile in tutto l'emitorace di sinistra; normale il suono plessico da entrambi i lati. Sulla scorta di questo reperto veniva eseguita una radiografia del torace che evidenzia uno spostamento dell'ombra cardiaca verso sinistra con ipoevoluzione dell'intero emitorace omolaterale (figura 1). Veniva eseguito un esame spirometrico: l'esame evidenziava un lieve disordine qualitativo della capacità polmonare totale con intrappolamento d'aria; la capacità vitale, il volume espiratorio forzato dopo un secondo (FEV1.0), la capacità vitale forzata (FVC) e il FEV1.0/FVC erano nei limiti della norma. La capacità di diffusione alveolo-capillare (DLCO) risultava ridotta del 50% rispetto al teorico, ma l'indice di accoppiamento diffusione su ventilazione (DLCO/VA) era pari al 100%. L'emogasanalisi evidenziava una PaO2 di 97 mmHg e una PaCO2 di 37 mmHg. Nel frattempo la bambina veniva trattata soltanto con salicilato e dopo 24 ore non presentava più febbre. Veniva ripetuto l'esame radiografico a distanza di cinque giorni dalla scomparsa della febbre (figura 2) e l'esame risultava invariato rispetto alla prima osservazione. La bambina veniva sottoposta a una scintigrafia perfusiva (figura 3) e ventilatoria (figura 4) che evidenziava una diffusa omogenea riduzione della ventilazione in tutto l'emitorace di sinistra e una totale assenza di perfusione dallo stesso lato. Veniva eseguita una angiografia polmonare che evidenzia una malformazione della vascolatura polmonare con agenesia dell'arteria polmonare di sinistra (figura 5). L’episodio febbrile era stato esclusivamente un episodio virosico intercorrente che, a causa di un esame obiettivo anomalo, aveva innescato l'iter che aveva poi portato alla diagnosi di “Agenesia dell'arteria polmonare”. Descriviamo il caso per sottolineare che, pur in presenza di un'anomalia congenita importante, con anormalità sia dell'esame obiettivo che dell'esame radiografico, l'esame della funzionalità respiratoria MRM 115 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 116 (pur in presenza di ipoplasia del polmone sx, omolateralmente all'agenesia dell'arteria polmonare) risultava assolutamente nei limiti della norma, ad eccezione della capacità di diffusione alveolo-capillare che era ridotta esattamente della metà. L'agenesia dell'arteria polmonare è un'anomalia congenita rara, più frequente a destra (63% dei casi), isolata o associata ad altre anomalie non solo cardiovascolari [1]: fra il 1978 e il 2000 in letteratura sono stati riportati 119 casi [2]. Le caratteristiche cliniche più frequenti [3] includono infezioni respiratorie ricorrenti, dispnea (40% dei casi), dolore toracico e pleurite (37%), emottisi (20%); ma la conseguenza fisiopatologica più temibile è lo sviluppo di ipertensione polmonare, che complica il 44% dei casi. Sono stati anche descritti casi clinici asintomatici (12,9% dei casi) o che si sono appalesati per il comparire di complicanze: pneumotorace ricorrente [4], reflusso gastro-esofageo; la complicanza più comune, comunque, è rappresentata dall'edema polmonare da alta quota [5-8], talora anche fatale [9]. Generalmente l'esame obiettivo è negativo ma l'Rx torace evidenzia ipoplasia omolateralmente all'agenesia dell'arteria polmonare [10-12]. Nel caso da noi osservato, in 20 anni di follow-up non vi è stata alcuna importante manifestazione clinica o conseguenza fisiopatologica, ad eccezione della diffusione alveolo-capillare, il cui valore si è sempre attestato all'incirca alla metà del valore teorico. Del tutto recentemente la paziente ha partorito con parto spontaneo senza alcuna complicazione per sé o per il neonato: questa evenienza è stata descritta del tutto recentemente in letteratura [13]. FIGURA 1: RX TORACE ALL'INGRESSO FIGURA 2: RX TORACE ALLA RISOLUZIONE CLINICA FIGURA 3: SCINTIGRAFIA PERFUSIVA A: anteriore 116 MRM B: posteriore MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 117 FIGURA 4: SCINTIGRAFIA VENTILATORIA A: anteriore B: posteriore FIGURA 5: ANGIOGRAFIA POLMONARE Bibliografia 1. Nazir Z, Qazi SH, Ahmed N, Atiq M, Billoo AG. Pulmonary agenesis--vascular airway compression and gastroesophageal reflux influence outcome. J Pediatr Surg 2006;41:1165-1169. 2. Atik E, Tanamati C, Kajita L, Barbero-Marcial M. Isolated unilateral pulmonary artery agenesis: evaluation of natural and long term evolution after corrective surgery. Arq Bras Cardiol 2006;87:423-428. 3. Ten Harkel AD, Blom NA, Ottenkamp J. 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Acta Obstet Gynecol Scand 2006;85:755-757. MRM 117 RUBRICA MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 118 From Doctor to Patient A CURA DI STEFANO NARDINI Un paziente informato è un migliore partner per il medico rispetto al soggetto passivo. Scopo di questa sezione è presentare le iniziative che possono arricchire il rapporto medico-paziente. Tutti i Colleghi sono invitati a contribuire a questa rubrica con le loro esperienze e i loro commenti su quanto riportato. email: [email protected] La protezione dal fumo passivo: intervista a Roberto Boffi, pneumologo e responsabile dell'Unità per la Prevenzione dei Danni da Fumo dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano Stefano Nardini Regione Veneto, ASL 7, Sinistra Piave, Ospedale di Vittorio Veneto, U.O. di Pneumotisiologia Segretario Generale AIMAR Da molti anni il Dr. Boffi si occupa di fumo attivo e passivo e, essendo pneumologo e vedendo molti casi di malattie croniche polmonari (asma, BPCO), ha - come altri colleghi - da tempo focalizzato il problema della protezione dal fumo passivo. Infatti il fumo passivo è in grado non solo di causare “ex novo” malattie, ma anche di aggravare patologie respiratorie preesistenti, aumentando la frequenza e la gravità delle ricadute. Pertanto la protezione dal fumo passivo assume un ruolo primario, preminente rispetto alle terapie farmacologiche, alla stessa stregua della cessazione dal fumo attivo dei pazienti respiratori fumatori o dell'allontanamento dall'ambiente di lavoro dei pazienti allergici a sostanze che vi sono utilizzate. L'ambulatorio di cui il Dr. Boffi è responsabile può offrire un esempio di un rapporto medico-paziente che va al di là della semplice visita e aiuta il paziente a gestire completamente la sua malattia. 1. Dr. Boffi, quale è l'importanza del fumo passivo nella gestione dei pazienti respiratori, acuti e cronici? Dopo tutto un famoso lavoro scientifico apparso sul BMJ circa due anni fa sembrava smentire la maggior parte degli effetti patogeni del fumo passivo. E anche recenti sentenze nel nostro paese sembrano minimizzarne la portata. Innanzitutto va ricordato che il fumo passivo (o come forse è meglio definirlo, involontario) è stato già da molti anni e definitivamente dichiarato dall'International Agency for Research on Cancer (IARC) in un'apposita monografia un cancerogeno di gruppo 1 per l'essere umano. E il tumore del polmone, come tutti sappiamo, è non solo la neoplasia maggiormente fumo-correlata ma anche quella di più frequente insorgenza nei pazienti fumatori ed 118 MRM ex- fumatori affetti da BPCO, i quali devono perciò essere assolutamente protetti da questo ulteriore, sicuro fattore cancerogeno. È vero peraltro che alcuni recenti articoli hanno cercato di ridimensionare i pericoli per la salute, in particolare per l'apparato respiratorio, dovuti a questo agente, ma c'è da chiedersi ad esempio nel caso dell'articolo del BMJ sul tema, come mai gli autori (Enstrom e Kabat) erano stati curiosamente finanziati per le loro ricerche proprio dalle multinazionali del tabacco. Per quanto riguarda l'ormai famoso caso Paribas, sulla giovane donna asmatica deceduta in un ambiente lavorativo dove i colleghi fumavano continuamente in sua presenza, va detto una volta per tutte che se il processo di appello si era concluso con l'assoluzione degli imputati, la famiglia aveva successivamente ricorso in cassazione e la Banca ha pertanto patteggiato un accordo economico, che se non ha sancito né una colpa né tantomeno una vittoria per nessuno, ha comunque riconosciuto di fatto la legittimità della richiesta di un risarcimento per i parenti della vittima. 2. Nella sua esperienza, i pazienti hanno coscienza dell'importanza del fumo passivo? Gli asmatici sì, da sempre. Nella popolazione “sana” questa presa d'atto è invece ancora incompleta, e comunque di più recente acquisizione. Ma va detto che gli studi scientifici effettuati in questi ultimi anni da vari gruppi di ricerca, come quello da me diretto all'Istituto Nazionale dei Tumori, hanno mostrato inequivocabilmente la capacità del fumo passivo di inquinare significativamente (anche decine di volte più di un diesel) ed hanno senz'altro così contribuito a creare progressivamente nella gente, fumatori compresi, una cultura del rispetto per il MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 119 diritto degli altri alla salute e in particolare all'aria pulita attorno a sé. 3. È possibile misurare l'esposizione al fumo passivo? Sul piano individuale e collettivo? Sul piano individuale, nel nostro centro antifumo abbiamo messo a punto in questi ultimi anni l'analisi gascromatografica del capello dei fumatori passivi per il dosaggio della nicotina, e nei primi 50 soggetti studiati abbiamo verificato una specificità di tale metodica del 100%. Purtroppo, la sensibilità di tale ricerca è risultata di solo il 60%, soprattutto in presenza di precedenti trattamenti ai capelli come tinte e permanenti. Comunque la metodica è risultata talmente interessante che, con la nostra collaborazione, l'analisi della nicotina nel capello è stata prima inserita nelle linee guida della regione Lombardia per lo studio dei casi di sospetta SIDS (la “morte nella culla del lattante”), poi dal febbraio 2006 anche nella nuova legge italiana sulla stessa malattia, che come è noto colpisce in maggioranza bambini nati da madre fumatrice attiva o passiva e/o da padre fumatore. Riguardo l'inquinamento collettivo da fumo passivo, oltre all'analisi della nicotina ambientale è stato sancito da importanti pubblicazioni scientifiche il valore di indicatori altrettanto affidabili, e col pregio di essere utilizzabili in tempo reale (ormai addirittura secondo per secondo), quali gli analizzatori portatili che utilizzano la tecnologia laser per misurare le concentrazioni di polveri sottili (PM10, PM2,5, PM1), da anni in nostra dotazione. 4. Nella sua esperienza, è prevalente l'esposizione al fumo passivo in casa o in ambiente di lavoro? Fino al 2005 senza dubbio al lavoro, dove situazioni di piccoli ricatti, dispetti e ripicche sono purtroppo all'ordine del giorno, come sappiamo tutti. In casa, l'amore (in particolare per i propri figli) spesso prevale invece sulla voglia di fumare sempre e comunque. Ora, dopo la legge antifumo, la situazione si è paradossalmente rovesciata. La propria abitazione (e la propria autovettura…) sono rimaste per alcuni tra le poche “oasi” da affumicare. E i bambini, così come gli anziani, che passano inevitabilmente gran parte del loro tempo in casa, ovviamente non se ne sono certo giovati. 5. Come si comporta con i genitori fumatori di figli con patologie respiratorie? Cerco di comportarmi come faccio sempre, sia tra i ragazzi nelle scuole sia davanti a un paziente oncologico che fuma e che smettendo di fumare può condizionare positivamente l'effetto dei trattamenti chirurgici, radio e chemioterapici che si appresta a subire: “conoscere per decidere”. Senza colpevolizzare insomma, ma anche senza paura di informare su ogni rischio come su ogni potenziale beneficio. 6. E i genitori come si comportano? Si vedono molte più persone oggi, rispetto a ieri, sui terrazzi delle case a fumare: vi è stato qualche cambiamen- to nella coscienza dei danni da fumo negli ultimi anni? Le norme antifumo hanno indubbiamente reso la vita un po’ più difficile a tutti i fumatori. Per chi non è riuscito, nel frattempo, a cogliere l'occasione per dire finalmente basta alle sigarette, il rispetto delle nuove regole si è aggiunto alla voglia di rispettare gli altri, per chi già ce l'aveva. E uscire fuori ogni volta a fumare è diventato per molti fumatori un gesto, oltre che rassegnato, quasi automatico. Ora però il nostro gruppo di lavoro ha dimostrato scientificamente l'esistenza anche del cosiddetto “residual tobacco smoke”, ossia la capacità del fumatore di inquinare, tramite l'esalazione di notevoli quantità di polveri sottili, per almeno 2-3 minuti dopo lo spegnimento della sua sigaretta. Quindi, già che esce, se resta fuori ancora un po’. 7. Cosa è cambiato dopo l'applicazione della legge Sirchia? Tutto e nulla. Tengo comunque a sottolineare, con amarezza e preoccupazione, una persistente carenza dei servizi sanitari italiani: i 13 milioni di nostri fumatori hanno mostrato di comprendere e accettare la legge Sirchia che ha reso i locali pubblici smoke-free, ma non hanno ricevuto in cambio un numero adeguato di ambulatori certificati dal SSN in grado di assisterli quando decidono di smettere di fumare. Sappiamo tutti che i farmaci che si sono dimostrati attivi nella smoking cessation sono inoltre a loro completo carico e la ricerca sulle malattie direttamente legate al fumo, come il tumore del polmone, non ha tuttora fondi sufficienti. Le più recenti iniziative sul fumo dell'Istituto Nazionale dei Tumori, come la creazione di un forum per fumatori ed ex-fumatori e un radio-reality con due fumatrici e ascoltatrici di Radio 24, vanno in questa direzione: dimostrare l'efficacia e quindi la necessità di aumentare i servizi ambulatoriali e a distanza per l'assistenza ai fumatori che vogliono smettere. 8. L'impressione generale in Italia rispetto ad altri Paesi è che i sindacati dei lavoratori si disinteressino della patogenicità del fumo passivo e dei danni che derivano dall'esposizione ad esso per causa di lavoro. Dopo tutto, il dibattito che ha preceduto la applicazione della legge Sirchia è stato centrato sulla salute degli avventori e non ha mai nemmeno accennato a quella di baristi o camerieri. Lei è mai stato contattato da strutture sindacali per il problema del fumo passivo o, al contrario, ha sempre e solo avuto approcci individuali? In questi anni all'Istituto Nazionale dei Tumori siamo stati, oltre che paladini dei diritti del singolo, fosse esso un asmatico come una donna incinta, più volte partner nell'organizzazione di convegni sul fumo passivo con realtà aziendali e anche sindacali, in particolare con la rivista specializzata “Ambiente e Lavoro”. Ma molto di più si può e si deve fare, soprattutto nell'intensificare i contatti e costruire delle solide collaborazioni con importanti figure quali i medici del lavoro, che rivestono seMRM 119 MRM 01-2007_def 120 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 120 condo me un ruolo chiave nella verifica dell'applicazione e del rispetto delle norme vigenti. evidenziata da volantini, circolari da parte della dirigenza e delibere ad hoc. 9. Come si comporta al termine della visita per aiutare il paziente nella gestione della sua malattia respiratoria? Una volta accertata, con la visita e la spirometria, l'esistenza di una patologia sensibile, come l'asma e la bronchite cronica, abbiamo consegnato in questi anni ai nostri fumatori passivi decine e decine di lettere di diffida per il loro datore di lavoro, in cui sono specificate non solo le varie norme di legge, ma anche le più importanti evidenze scientifiche in tema di danni da fumo passivo. Ebbene, posso dire con soddisfazione che in più del 50% dei casi le lettere da noi consegnate dal 2001 ad oggi hanno portato non solo ad un allontanamento del paziente dall'esposizione al fumo altrui, ma anche ad una radicale antismoking policy nelle aziende stesse, 10. Cosa consiglia oggi a un paziente respiratorio, dipendente di una piccola azienda, esposto al fumo passivo in orario di lavoro: difficile consigliargli di intraprendere un'azione sindacale o di denunciare il suo datore di lavoro in quanto equivarrebbe ad auto-licenziarsi. Non sono certo io a dover dire quanto il posto di lavoro sia importante e difficile da conquistare al giorno d'oggi. Ma la salute è una, e realtà come quella del nostro centro antifumo, dedicato anche a loro, possono aiutare tutti i fumatori passivi a trovare la forza, con l'esempio ma anche nei fatti, per combattere una dannosa ingiustizia. Come il nostro, tutti gli “ambulatori per smettere” possono aiutare i pazienti pneumologici a conquistare il diritto alla difesa della propria salute. MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 121 RUBRICA Meeting Calendar A CURA DI STEFANO NARDINI Questa rubrica informa i lettori dei prossimi eventi congressuali, nazionali ed internazionali, nell’ambito della Medicina Respiratoria; fornisce un recapito a cui rivolgersi per ottenere ulteriori informazioni. email: [email protected] WHEN WHERE WHAT WHO TO CONTACT 2007 March, 15-18 Grapevine (USA) Pan American Allergy Society Annual Meeting 2007 [email protected] March, 19-21 Trieste (Italy) “Respiro Trieste 2007” Scienza e tecnologia in Pneumologia, Clinical Year in Review, 2nd Mittel-European Meeting, Simposio AIPO-SIMeR-SIMG Alpha Studio, 0407600101 [email protected] March, 23-25 Taormina (CT) (Italy) 5th ERS Lung Science Conference www.ersnet.org/lsc April, 18-20 Barcelona (Spain) International Forum on Quality and Safety in Health Care www.quality.bmjpg.com May, 10-13 Island of Kos (Greece) New aspects and treatment of lung cancer: Expectations and reality [email protected] May, 18-23 San Francisco (USA) ATS 2007 www.thoracic.org June, 16-20 Tours (France) ISAM (International Society for Aerosols in Medicine) Congress 2007 [email protected] www.isam2007.com June, 21-23 Milano (Italy) 11th National Congress of SIMRI, Italian Paediatric Respiratory Society [email protected] June, 22-25 Istanbul (Turkey) World Asthma Meeting, WAM 2007 Istanbul [email protected] June, 27-30 Riga (Latvia) 4th Congress of IUALTD, Europe Region [email protected] www.tubercolosis.IV/congress2007 www.iualtd.org September, 15-19 Stockholm (Sweden) ERS 2007 www.ersnet.org October, 3-6 Roma (Italy) Conferenza Nazionale di Consenso in Medicina Respiratoria [email protected] October, 20-25 Chicago (USA) CHEST 2007 Segreteria scientifica ACCP +1 (847) 498-1400 December, 2-6 Bangkok (Thailand) World Allergy Organization 2007 Congress [email protected] December, 4-7 Firenze (Italy) XXXIX Congresso Nazionale AIPO VIII Congresso Nazionale UIP www.aiponet.it MRM 121 MRM 01-2007_def 122 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 122 MRM 01-2007_def 16-05-2007 16:38 Pagina 123 MRM 123 MRM 01-2007_def 124 MRM 16-05-2007 16:38 Pagina 124 Multidisciplinary Respiratory Medicine Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB MILANO Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie march 1 2007 Polverino F, Santoriello C, De Sio V, Musella V, De Rosa C, Cicchitto G, De Blasio F, Andò F, Polverino M Recumbent hypoxemia ("clinodeoxia") in cirrhosis: relationship with age-related trends of alveolar ventilation and right-to-left shunting Ipossiemia in clinostatismo ("clinodeoxia") nella cirrosi: rapporti con le modificazioni della ventilazione alveolare legate all'età e con lo shunt destro-sinistro Pastorino U, Calabrò E Progetto MILD: prevenzione e diagnosi precoce del tumore polmonare The MILD project: prevention and early diagnosis of lung cancer Van Schil PE, Sardari Nia P, Hendriks JM, Lauwers P Early and medium-term follow-up after lung cancer resection Follow-up a breve e medio termine dopo resezione di tumore polmonare Moeller A, Kolb M Gene therapy for cystic fibrosis Terapia genetica della fibrosi cistica anno 2 - n. 1 - Reg.Trib. Novara n.120 del 11/11/2005 ISSN 1828-695X Multidisciplinary Respiratory Medicine 1/ march 2007 no.