01-Fiaccadori (405-411) - Giornale Italiano di Cardiologia

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PROCESSO AI GRANDI TRIAL
Lo studio CARRESS
Enrico Fiaccadori1, Giuseppe Regolisti1, Giancarlo Marenzi2
1
Unità di Fisiopatologia dell’Insufficienza Renale Acuta e Cronica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Università degli Studi, Parma
2
Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Milano
Background. L’ultrafiltrazione è stata proposta come strategia alternativa alla terapia diuretica per il trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco acuto, ma la sua efficacia e sicurezza risultano ancora poco definite in pazienti con concomitante congestione persistente e peggioramento della funzione renale.
Metodi. Un totale di 188 pazienti con scompenso cardiaco acuto, peggioramento della funzione renale e congestione persistente sono stati randomizzati a trattamento farmacologico incrementale (94 pazienti) o trattamento con ultrafiltrazione (94 pazienti). L’endpoint primario dello studio era rappresentato dalla variazione combinata rispetto al valore basale della creatinina sierica e del peso corporeo a 96h dalla randomizzazione.
I pazienti sono stati seguiti per 60 giorni.
Risultati. Il trattamento con ultrafiltrazione è risultato inferiore alla terapia farmacologica per quanto riguarda
l’endpoint primario della variazione combinata rispetto al valore basale della creatinina sierica e del peso corporeo a 96h dalla randomizzazione (p=0.003), prevalentemente a causa di un aumento della creatininemia
nel gruppo ultrafiltrazione. A 96h, la variazione media del valore di creatininemia è stata pari a -0.04 ± 0.53
mg/dl (-3.5 ± 46.9 µmol/l) nei pazienti in terapia farmacologica rispetto a +0.23 ± 0.70 mg/dl (20.3 ± 61.9
µmol/l) nei pazienti trattati con ultrafiltrazione (p=0.003). Non sono state osservate differenze significative tra
i due gruppi nel calo ponderale (terapia farmacologica vs ultrafiltrazione: 5.5 ± 5.1 kg [12.1 ± 11.3 libbre] vs
5.7 ± 3.9 kg [12.6 ± 8.5 libbre]; p=0.58). Il rischio di un evento avverso è stato più elevato nel gruppo ultrafiltrazione rispetto al gruppo terapia farmacologica (72 vs 57%, p=0.03).
Conclusioni. In uno studio randomizzato che ha coinvolto pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco acuto con peggioramento della funzione renale e congestione persistente, l’uso della terapia farmacologica secondo un protocollo incrementale si è dimostrato superiore al trattamento con ultrafiltrazione nel preservare
la funzione renale a 96h, a fronte di un analogo calo ponderale osservato con le due strategie. L’ultrafiltrazione è risultata associata ad una maggiore incidenza di eventi avversi. [N Engl J Med 2012;367:2296-304]
G Ital Cardiol 2013;14(6):405-411
IL PUNTO DI VISTA DI ENRICO FIACCADORI E
GIUSEPPE REGOLISTI
Lo scompenso cardiaco in fase di acuzie (ADHF) rappresenta un
importante problema clinico, sul piano sia dell’approccio terapeutico alla congestione sistemica e polmonare che dei costi
correlati alla gestione dei pazienti ospedalizzati per questa patologia. Molti di questi pazienti vengono infatti dimessi senza
avere ottenuto una significativa riduzione della congestione, né
un calo ponderale clinicamente rilevante, o addirittura con un
incremento di peso rispetto all’ingresso; una diretta conseguenza di tale inadeguato trattamento della congestione è
spesso rappresentata dall’elevato tasso di riospedalizzazione a
breve e medio termine, con inevitabile incremento dei costi1.
© 2013 Il Pensiero Scientifico Editore
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Prof. Enrico Fiaccadori Unità di Fisiopatologia dell’Insufficienza
Renale Acuta e Cronica, Dipartimento di Medicina Clinica e
Sperimentale, Università degli Studi, Via Gramsci 14, 43100 Parma
e-mail: [email protected]
Dr. Giancarlo Marenzi Centro Cardiologico Monzino, IRCCS,
Via Parea 4, 20138 Milano
e-mail: [email protected]
La terapia diuretica continua a rappresentare il fondamento della terapia della congestione sistemica e polmonare nei
pazienti con ADHF anche nelle più recenti linee guida cardiologiche2; una insoddisfacente risposta al trattamento in termini di perdita di fluidi viene solitamente definita come “refrattarietà” o “resistenza” ai diuretici, trascurando che le cause più
comuni di tale condizione sono invece costituite da una inadeguata considerazione dei principi di farmacocinetica e farmacodinamica nella somministrazione dei diuretici e dalla frequente coesistenza di insufficienza renale3. Lo sviluppo di un
deterioramento della funzione renale in corso di ADHF è un fenomeno fortemente temuto per le sue potenziali ripercussioni
negative sulla prognosi4; in particolare, sulla base di studi osservazionali, una terapia diuretica “aggressiva” è stata incriminata per i suoi effetti presunti sul peggioramento della funzione renale in corso di ADHF5, sebbene studi più recenti6, anche
randomizzati7, abbiano evidenziato come un più deciso trattamento della congestione attuato con dosi elevate di diuretici
dell’ansa si associ con una sopravvivenza uguale o addirittura
superiore dei pazienti, nonostante lievi peggioramenti della
creatininemia8.
I possibili effetti sfavorevoli di una decongestione “eccessivamente” aggressiva mediante la terapia diuretica, teoricaG ITAL CARDIOL | VOL 14 | GIUGNO 2013
405
E FIACCADORI ET AL
mente sostenuti da inadeguato refilling vascolare con conseguente caduta del volume circolante effettivo ed aggravamento dell’ipoperfusione periferica, da intensa attivazione neurormonale e dai possibili disturbi elettrolitici ed acido-basici (ad es.
ipokaliemia, ipomagnesiemia, alcalosi metabolica), hanno rappresentato le principali motivazioni a sostegno dell’impiego dell’ultrafiltrazione isolata (UFI) come strategia alternativa al trattamento della congestione nei pazienti con ADHF9. I vantaggi
teorici di questo approccio risiedono nella possibilità di un migliore controllo della velocità di sottrazione di acqua plasmatica, adattabile alla velocità del refilling vascolare dall’interstizio,
in una maggiore deplezione di sodio ed in una minore attivazione neurormonale10; altri presunti effetti favorevoli (ad es.,
eliminazione di citochine) non sono in realtà consentiti dalle
stesse – limitate – caratteristiche operative della metodica3.
L’impiego dell’UFI in pazienti con ADHF è stato testato a
partire dall’inizio degli anni ’90 in studi non controllati condotti su casistiche limitate, con risultati apparentemente incoraggianti in termini di riduzione delle pressioni di riempimento, miglioramento dell’indice cardiaco e ripristino della sensibilità ai
diuretici10. Il primo studio randomizzato e controllato (RAPIDCHF) – condotto su 40 pazienti con scompenso cardiaco – è
stato pubblicato nel 200511 ed ha suggerito che una singola
sessione di 8h di UFI attuata in aggiunta al trattamento diuretico potrebbe ottenere una maggiore sottrazione di fluidi rispetto al trattamento diuretico isolato senza ripercussioni negative sulla funzione renale. I risultati favorevoli di questo studio hanno incoraggiato la progettazione di uno studio di più
ampie dimensioni – lo studio UNLOAD12 – finalizzato a documentare una superiorità dell’UFI rispetto al trattamento diuretico convenzionale. Basandosi sui dati ottenuti in complessivi
200 pazienti, i ricercatori hanno sostenuto che la procedura di
UFI protratta per una durata mediana di 40h possa ottenere
una sottrazione di fluidi superiore rispetto alla terapia diuretica
“convenzionale” senza effetti negativi sulla funzione renale, e
con un vantaggio in termini di riduzione del numero delle riospedalizzazioni a 90 giorni. Lo studio è in realtà criticabile2
sotto molti punti di vista, e soprattutto per i numerosi limiti metodologici, in primis l’assenza di un protocollo formale per il
trattamento diuretico nel gruppo di controllo; in particolare, in
questo gruppo la dose media equivalente di furosemide somministrata nelle prime 48h (181 ± 121 mg) risultava inadeguata in base a considerazioni di tipo farmacocinetico, e – in termini di dose media quotidiana – era inferiore al 20% della dose endovenosa massima raccomandata dalle linee guida per il
trattamento dei pazienti con ADHF13.
Con la finalità di superare le obiezioni ed i limiti metodologici dello studio UNLOAD, è stato disegnato un altro studio
multicentrico (CARRESS), dotato di un rigoroso protocollo formale per la somministrazione della terapia diuretica nel braccio
controllo14. Complessivamente 188 pazienti con ADHF, congestione persistente e peggioramento della funzione renale (incremento di creatininemia ≥0.3 mg/dl entro le 12 settimane
precedenti o fino a 10 giorni successivi la data di ricovero) sono stati randomizzati a ricevere UFI (94 pazienti) per una durata mediana di 40h (range interquartile 28-67h), con velocità di
200 ml/h, ovvero un trattamento farmacologico (94 pazienti)
incrementale (furosemide, furosemide + metolazone, furosemide + metolazone + inotropi e/o vasodilatatori) graduato sul
volume quotidiano di diuresi. L’endpoint primario dello studio
era rappresentato dalla variazione combinata rispetto al basale del valore di creatininemia e del peso corporeo a 96h dalla
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randomizzazione. L’endpoint primario è risultato significativamente più sfavorevole (p=0.003) nel gruppo UFI rispetto al
gruppo terapia farmacologica, essenzialmente in relazione ad
un maggiore incremento della creatininemia nel primo gruppo
(+0.23 ± 0.70 vs -0.04 ± 0.53 mg/dl), mentre non si è osservata una differenza significativa nel calo ponderale (5.7 ± 3.9 vs
5.5 ± 5.1 kg, p=0.58). Nessuna differenza significativa è stata
inoltre osservata tra gruppo UFI e gruppo terapia farmacologica nel punteggio di dispnea o nella sensazione di benessere,
così come nel composito di mortalità e riospedalizzazione per
scompenso cardiaco o nel composito di morte e riospedalizzazione per qualsiasi causa. Una percentuale più elevata di pazienti del gruppo UFI ha sperimentato eventi avversi (72 vs
57%, p=0.03), essenzialmente rappresentati da progressione
dell’insufficienza renale, complicanze emorragiche e complicanze legate all’accesso venoso.
In base ai risultati dello studio CARRESS si dovrebbe concludere – con gli autori – che l’UFI non rappresenta una strategia
consigliabile per il trattamento della congestione nei pazienti
con ADHF. Per una valutazione critica di questo importante studio occorre tuttavia considerare alcuni punti importanti:
1. la mortalità globale a 60 giorni dei pazienti arruolati era particolarmente elevata (17% nel gruppo UFI e 13% nel gruppo terapia farmacologica, p=0.47), a suggerire che la popolazione studiata era rappresentativa di una fase particolarmente avanzata dello scompenso; per confronto, nella
popolazione dello studio UNLOAD, la mortalità era stata
9.6% nel gruppo UFI e 11.6% nel gruppo terapia diuretica;
2. il valore di creatininemia basale, sia nel gruppo UFI (mediana 1.90 mg/dl, range interquartile 1.57-2.37 mg/dl) che nel
gruppo terapia farmacologica (mediana 2.09 mg/dl, range
interquartile 1.71-2.65 mg/dl), era tendenzialmente più elevato nello studio CARRESS rispetto allo studio UNLOAD
(UFI: media 1.5 mg/dl, range 0.7-2.8 mg/dl; terapia farmacologica: media 1.5 mg/dl, range 0.5-2.7 mg/dl);
3. la percentuale di pazienti diabetici era più elevata nello studio CARRESS rispetto allo studio UNLOAD, sia nel gruppo
UFI (65 vs 50%) che nel gruppo terapia farmacologica (67
vs 49%).
L’importanza dei tre punti sopra ricordati emerge con maggiore evidenza all’esame di un altro studio15, peraltro osservazionale e condotto in un singolo Centro su 63 pazienti con
scompenso cardiaco refrattario alla terapia farmacologica guidata dalle rilevazioni emodinamiche invasive tramite catetere di
Swan-Ganz. La popolazione studiata, con una mortalità intraospedaliera pari a 30.2%, una percentuale di riospedalizzazione
del 93% a 60 giorni, una prevalenza di diabetici pari a 60% ed
una prevalenza di insufficienza renale cronica stadio III, secondo la classificazione della National Kidney Foundation, pari a
48% (creatininemia media all’ingresso 1.9 ± 0.8 mg/dl) era in effetti rappresentativa di pazienti con un elevato carico di patologia cardiovascolare ed in una fase particolarmente avanzata dello scompenso cardiaco, più vicina alla popolazione dello studio
CARRESS che a quella dello studio UNLOAD. In particolare, nello studio citato di Patarroyo et al.15, il 76% dei pazienti studiati
era stato trattato con una dose giornaliera mediana di furosemide pari a 480 mg, da confrontarsi con la dose giornaliera media assai inferiore (circa 90 mg) somministrata nei pazienti del
gruppo terapia diuretica nello studio UNLOAD (la dose giornaliera media equivalente di furosemide nelle prime 96h dalla randomizzazione non era specificata nello studio CARRESS).
Casistica
19 pazienti con ADHF resistente ai diuretici
1 seduta di UFI per ogni paziente
Assenza di gruppo di controllo
Numero di sedute di UFI a discrezione del medico
Casistica
11 pz con ADHF
Numero di sedute di UFI a discrezione del medico
(da 1 a 5 sedute)
Casistica
19 pz con ADHF
Sedute di UFI interrotte a discrezione del medico
Studio randomizzato controllato
200 pz con ADHF (100 in UFI vs 100 con diuretici)
Seduta di UFI entro 24h dal ricovero
Durata e velocità di ultrafiltrazione a discrezione del
medico
Casistica
100 pz in sovraccarico con SC
Assenza di gruppo di controllo
Una o più sedute di UFI a paziente (media 2.1±1.2)
Studio randomizzato controllato
20 pz
Singola seduta di UFI entro 24h dal ricovero
(sottostudio del trial UNLOAD)
Misurazione del volume di diuresi, GFR (iotalamato) e
RBF (para-aminoippurato)
Studio randomizzato controllato
188 pz con ADHF, WRF e congestione persistente
(94 UFI, 94 terapia diuretica)
Protocollo formale per terapia diuretica nel gruppo
controllo
UFI e terapia diuretica protratte sino a decongestione
Misurazione del peso corporeo, volume di diuresi,
creatininemia
Studio retrospettivo
63 pz con ADHF refrattario alla terapia diuretica,
WRF e congestione persistente, sottoposti a
monitoraggio emodinamico invasivo e UFI protratta
Misurazione del peso corporeo, volume di diuresi,
indici emodinamici, creatininemia
Assenza di gruppo di controllo
Costanzo et al.16, 2005
Liang et al.17, 2006
Dahle et al.18, 2006
Costanzo et al.12, 2007
Jaski et al.19, 2008
Rogers et al.20, 2008
Bart et al.14, 2012
Patarroyo et al.15, 2012
Velocità media di UFI 200 ml/h
(range 100-400 ml/h)
Durata media UFI 3±2 giorni
Perdita netta di fluidi 5.7±3.8 litri
dopo 48h di UFI
Miglioramento in tutti i
parametri emodinamici invasivi
Velocità di UFI 200 ml/h
Durata mediana UFI 40h
Sovrapponibile calo ponderale
nei due gruppi (UFI -5.7±3.9 kg,
terapia diuretica -5.5±5.1 kg,
p=0.58)
Rimozione di 2-6 litri di liquido
per seduta di 8-12h (totale 7 litri
in 2.1 sedute per pz)
Velocità di UFI massima 500 ml/h
Velocità di UFI massima 500 ml/h
Rimozione media 241 ml/h per
12.3±12h
400 l/h per 4h, quindi 200 ml/h
Durata media UFI 33.3±20h
32 sedute di UFI in totale,
ciascuna di 8h
Velocità di UFI massima 500 ml/h
Velocità di UFI massima 500 ml/h
Volume di ultrafiltrato 4650 ml a
24h
Modalità UFI
2.2±0.9
UFI: 1.90
Terapia
diuretica:
2.09
GFR
37 ml/min
1.8
1.5
1.4
2.2
2.12
1.6
Pre-UFI
Non variazioni significative di funzione renale
Maggiori volumi di diuresi con furosemide
Non variazioni significative di funzione renale
tra gruppo UFI e gruppo terapia diuretica
% pz con incremento di creatininemia >0.3
mg/dl maggiore nel gruppo UFI a 24h, 48h e
alla dimissione (p=NS)
Non variazioni significative di funzione renale
Sodiemia alla dimissione inferiore nel gruppo
UFI
In 5 pz (45%) aumento della creatinina di 0.3 mg/dl
In 4 pz necessità di dialisi durante il ricovero
1 pz sottoposto a dialisi in un ricovero
successivo
Non variazioni significative di funzione renale
Non differenze significative nella funzione
renale tra gruppo UFI e gruppo in terapia
diuretica (in UFI creatininemia pre 1.8 mg/dl,
post 1.9 mg/dl)
Commenti
2.4±1.0
59% dei pz convertiti a trattamento
emodialitico nel corso del ricovero
14% dei pz in trattamento emodialitico cronico
alla dimissione
UFI: variazione Significativa differenza nella variazione della
0.23±0.70
creatininemia a 96h dalla randomizzazione
mg/dl (96h)
(p=0.003) a sfavore del gruppo UFI
Terapia diuretica
-0.04±0.53
mg/dl (96h)
Riduzione del Nessuna differenza significativa in GFR e/o RBF
GFR di 3.4 e 3.6
ml/min nel
gruppo UFI e
diuretico
rispettivamente
1.9
Trend verso
aumento
nel gruppo UFI
1.4
2.3
2.2
1.9
Post-UFI
Creatininemia (mg/dl)
ADHF, scompenso cardiaco in fase di acuzie; GFR, filtrato glomerulare; RBF, flusso ematico renale; SC, scompenso cardiaco; WRF, peggioramento della funzione renale.
Studio randomizzato controllato
40 pz
Precoce, singola UFI di 8h + terapia tradizionale vs
terapia tradizionale soltanto (sedute aggiuntive di UFI
intraprese solo una volta raggiunti gli obiettivi a 24h)
Bart et al.11, 2005
Disegno studio e protocollo
Tabella 1. Effetti renali dell’ultrafiltrazione isolata (UFI).
LO STUDIO CARRESS
G ITAL CARDIOL | VOL 14 | GIUGNO 2013
407
E FIACCADORI ET AL
Nello studio di Patarroyo et al.15, nonostante una sottrazione di fluidi pari a 5.7 ± 3.8 litri accompagnata da un significativo miglioramento degli indici emodinamici dopo 48h di UFI, il
valore di creatininemia non si è ridotto rispetto al basale (2.4 ±
1.0 vs 2.2 ± 0.9 mg/dl, p=0.12); inoltre, 37 pazienti (59%) hanno richiesto il passaggio da UFI ad emodialisi, e tra questi 9
(14.3%) sono rimasti dipendenti dal trattamento dialitico dopo
la dimissione.
I dati appena esposti suggeriscono quindi come – anche
negli studi controllati – la tipologia dei pazienti arruolati ed il
protocollo di trattamento diuretico nel gruppo di controllo (Tabella 1)11,12,14-20 possano influire in modo assai rilevante sull’impatto dell’UFI in termini di outcome clinici, particolarmen-
Cronico
te per quanto attiene alla funzione renale. È infatti possibile
che un trattamento diuretico appropriato in termini di dose e
via di somministrazione, nonché di associazione razionale di
differenti classi farmacologiche (blocco sequenziale del nefrone) possa ottenere una decongestione altrettanto efficace rispetto alla procedura di UFI con minori rischi e costi decisamente inferiori, soprattutto se attuato precocemente; un trattamento diuretico inadeguato con insufficiente sottrazione di
fluidi – come nello studio UNLOAD – si traduce invece in un
vantaggio apparente dell’UFI. Per converso, un trattamento
depletivo extracorporeo – ancorché attuato con velocità apparentemente proporzionata a quella teorica del fenomeno di
refilling dall’interstizio – può associarsi ad una transitoria de-
Acuto
Scompenso cardiaco refrattario
alla terapia diuretica
eGFR <30 ml/min?
NO
Escludere cause pseudo-refrattarietà
+
Ottimizzazione terapia diuretica
SI
NO
Urgenze/Emergenze
(oliguria, iperazotemia,
acidosi, iperpotassiemia, ecc.)?
SI
NO
Refrattarietà
vera?
Consulenza nefrologica
SI
Proseguire terapia
diuretica
NO
Ultrafiltrazione isolata
una o più sessioni
Indicazione all’avvio
di RRT standard?
SI
Peggioramento della funzione renale?
Oliguria?
Mancato miglioramento della congestione?
SI
NO
Proseguire terapia diuretica
Emodialisi
Ipotensione, farmaci vasoattivi
e/o instabilità emodinamica?
Emofiltrazione, ecc.
NO
SI
Dialisi peritoneale
Iniziare RRT in
terapia intensiva
(SLED, CRRT)
Figura 1. Algoritmo per l’uso dell’ultrafiltrazione isolata nei pazienti con scompenso cardiaco refrattario
alla terapia diuretica.
CRRT, terapia sostitutiva renale continua; eGFR, filtrato glomerulare stimato; RRT, terapia sostitutiva renale; SLED, dialisi prolungata a basso flusso.
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G ITAL CARDIOL | VOL 14 | GIUGNO 2013
LO STUDIO CARRESS
plezione di volume plasmatico e ad un deterioramento della
funzione renale, soprattutto in pazienti con scompenso cardiaco più avanzato, maggiore compromissione emodinamica e
funzione renale alterata al basale. Infine, occorre sottolineare
come la procedura di UFI come metodo di decongestione sia
comunque inadeguata in pazienti con alterazioni metaboliche
(iperazotemia, iperkaliemia, acidosi metabolica) tali da richiedere differenti approcci depurativi extracorporei di pertinenza
squisitamente nefrologica2. Il complesso delle evidenze attualmente disponibili indirizza quindi verso un utilizzo estremamente selettivo e mirato dell’UFI nei pazienti con ADHF per il
trattamento della congestione in condizioni di urgenza clinica
o quando la congestione medesima sia realmente resistente
ad una terapia diuretica massimale ed appropriata, mentre tale impiego risulta controindicato come alternativa alla terapia
diuretica od in situazioni di insufficienza renale avanzata con
sindrome uremica (Figura 1).
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IL PUNTO DI VISTA DI GIANCARLO MARENZI
La ritenzione idrosalina, con conseguente congestione polmonare, epatica e dei compartimenti periferici, è la caratteristica tipica dello scompenso cardiaco avanzato e rappresenta il più
importante bersaglio del nostro intervento terapeutico. Oltre
ad essere la principale responsabile dei segni e sintomi del paziente scompensato, la ritenzione idrica ha una rilevante valenza prognostica. Il legame tra edema e prognosi negativa è
verosimilmente riconducibile all’equivalente emodinamico della ritenzione idrosalina, l’aumento della pressione venosa centrale che, agendo in concerto con la ridotta gettata cardiaca e
la vasocostrizione periferica, tipiche dello scompenso cardiaco,
riduce il gradiente pressorio artero-venoso di perfusione renale e, di conseguenza, il filtrato glomerulare1,2. A sua volta, il calo della filtrazione glomerulare innesca i tipici meccanismi di risposta all’ipovolemia; in particolare, l’attivazione del sistema
renina-angiotensina-aldosterone favorisce il riassorbimento di
sodio a livello del tubulo prossimale renale, riducendone così
la disponibilità a livello dell’ansa di Henle, sito di azione dei diuretici dell’ansa e, di conseguenza, l’escrezione renale. Sintetizzando, ogni volta che in un paziente con scompenso cardiaco
si crea un’importante ritenzione idrosalina, vi è anche, per definizione, insufficienza renale, attivazione neurormonale e ridotta risposta alla terapia diuretica3.
L’effetto emodinamico tipico dell’ultrafiltrazione è di ripristinare un favorevole gradiente pressorio di perfusione renale.
Ciò avviene come conseguenza della riduzione della pressione
venosa centrale, senza contemporaneo calo della pressione arteriosa sistemica4. Tale effetto è il risultato, da un lato, della rimozione selettiva di edema che grava dall’esterno, direttamente o indirettamente (aumento della pressione intra-addominale, ecc.) sul cuore aumentando le pressioni di riempimento ventricolare e, dall’altro, del mantenimento di una normale
volemia circolante, vero precarico del cuore5. L’aumento della
filtrazione glomerulare, il “disinnesco” dell’attivazione neurormonale e la ripresa di un’adeguata risposta diuretica rappreG ITAL CARDIOL | VOL 14 | GIUGNO 2013
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E FIACCADORI ET AL
sentano l’ovvia cascata di eventi favorita da questa risposta
emodinamica sistemica e renale4.
Quale sia il miglior trattamento del sovraccarico idrico nel
paziente con scompenso cardiaco e, in particolare, quale ruolo possa avere l’ultrafiltrazione, è ancora argomento di controversia e dibattito. Non disponiamo, infatti, di chiare raccomandazioni sul suo impiego dal momento che non vi sono ancora
sufficienti evidenze, in termini di indicazioni cliniche, protocolli terapeutici e impatto che questo tipo di trattamento può avere sui maggiori endpoint clinici.
Attualmente, le indicazioni all’uso dell’ultrafiltrazione tendono a spaziare tra due estremi opposti: da un lato il suo utilizzo in pazienti refrattari alla terapia diuretica, come indicato
dalle linee guida cardiologiche6; dall’altro, il trattamento di prima linea, ispirato ai risultati dello studio UNLOAD7, in cui il trattamento con ultrafiltrazione si è associato a una più rapida e rilevante disidratazione rispetto alla terapia diuretica, con conseguente riduzione delle successive ospedalizzazioni per scompenso. Visto però che, per motivi organizzativi, logistici ed economici, non è proponibile che tutti i pazienti con scompenso
congestizio siano trattati con ultrafiltrazione, sono necessarie
ulteriori ricerche che ci consentano di definire i candidati ideali cui questa metodica possa essere applicata, con sicurezza e
beneficio, come intervento di prima linea.
Lo studio CARRESS
Nello studio CARRESS, l’ultrafiltrazione è stata valutata, sulla base delle raccomandazioni delle più recenti linee guida cardiologiche, come trattamento “rescue”8. Infatti, è stata utilizzata per
trattare pazienti con scompenso cardiaco congestizio acuto complicato da insufficienza renale acuta (la cosiddetta sindrome cardiorenale). Lo studio CARRESS ha arruolato 188 pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco congestizio che hanno presentato una persistente congestione dopo il trattamento farmacologico iniziale e, contemporaneamente, un peggioramento
della funzione renale, definita da un aumento ≥0.3 mg/dl dei
valori di creatinina: 94 pazienti sono stati randomizzati a trattamento con ultrafiltrazione; i restanti 94 pazienti sono stati assegnati a trattamento con diuretici, secondo un protocollo incrementale che si poneva come obiettivo di rimuovere 3-5 l/die di
urina. I pazienti del gruppo ultrafiltrazione sono stati trattati con
un dispositivo veno-venoso Aquadex System 100 (CHF Solutions), impostato in modo tale da rimuovere acqua plasmatica alla velocità di 200 ml/h. L’endpoint primario dello studio era rappresentato dalla variazione combinata di creatinina e peso corporeo dopo 96h dalla randomizzazione. I pazienti sono stati
complessivamente seguiti per 60 giorni. A 96h, il trattamento
medico ha ridotto il peso corporeo di 5.5 kg mentre l’ultrafiltrazione di 5.7 kg. La variazione media del livello di creatinina è stata pari a -0.04 mg/dl nel gruppo terapia farmacologica e pari a
+0.23 mg/dl nel gruppo ultrafiltrazione (p=0.003). A 60 giorni,
il rischio di un evento avverso è stato più alto nel gruppo ultrafiltrazione: il 57% nei pazienti sottoposti alla terapia farmacologica contro il 72% nei pazienti trattati con ultrafiltrazione
(p=0.026). Le conclusioni dello studio sono che in pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco acuto, peggioramento della
funzione renale e persistente congestione, l’uso di un trattamento farmacologico è superiore a quello con ultrafiltrazione.
Commento allo studio
Nonostante la sua iniziale derivazione nefrologica, l’ultrafiltrazione non è mai stata considerata una vera terapia sostitutiva
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renale, poiché è in grado di controllare solo uno dei molteplici
aspetti tipici dell’insufficienza renale acuta, e cioè il sovraccarico
idrico, senza avere alcun effetto su altri fattori quali la depurazione dei soluti, la correzione dell’equilibrio acido-base, degli
squilibri elettrolitici, ecc. Per questo motivo non è mai stata proposta nel trattamento dell’insufficienza renale acuta, dove altre
forme di terapia, quali l’emofiltrazione, l’emodiafiltrazione e la
dialisi, sono più efficaci. Una prima perplessità riguardante lo
studio CARRESS riguarda proprio la scelta di impiegare l’ultrafiltrazione in pazienti che, a prescindere dalla persistenza della
congestione, sviluppano un’insufficienza renale acuta. Il razionale di una tale scelta deriva probabilmente dal suo potenziale
effetto positivo sul gradiente di perfusione renale, cui si accennava prima, che potrebbe meglio preservare la funzione renale
in una fase di instabilità. Accettando come teoricamente valida
tale motivazione, deve essere però sottolineato come il principale “effetto collaterale” dell’ultrafiltrazione è proprio l’insufficienza renale acuta che può insorgere ogniqualvolta la sottrazione di liquido risulti eccessiva, o eccessivamente rapida, rispetto alle capacità di refilling plasmatico del paziente, con conseguente ipovolemia5. In caso di ipovolemia, subclinica (vasocostrizione periferica) o conclamata (ipotensione arteriosa), il beneficio derivante dalla riduzione della pressione venosa centrale sul gradiente di perfusione renale e, quindi, sulla filtrazione
glomerulare, viene ad essere annullato. Con l’ultrafiltrazione, più
che con altri tipi di terapia, il concetto di sicurezza si identifica
con quello di efficacia. Questo vale nel paziente stabile e, a maggior ragione, nel paziente instabile dal punto di vista emodinamico, com’è appunto quello con scompenso che sviluppa insufficienza renale acuta. In altre parole, quando si utilizza l’ultrafiltrazione in questi pazienti si deve evitare una disidratazione eccessivamente aggressiva, in termini di velocità e di quantità di liquido rimosso, anche a scapito di un’incompleta risoluzione dell’edema. Un insulto ipovolemico, causato da una disidratazione
troppo rapida, in un paziente emodinamicamente instabile non
può, per definizione, tradursi in un miglioramento della funzione renale. Nello studio CARRESS non è chiaro quanto sia stata
favorita la sicurezza del paziente piuttosto che la velocità di sottrazione di liquido nei pazienti trattati con ultrafiltrazione. Apparentemente non sono state date indicazioni su come monitorare la volemia intravascolare durante il trattamento o su quando interromperlo9. Per quanto riguarda la durata dell’ultrafiltrazione è stata data solo indicazione a continuare il trattamento fino alla “ottimizzazione” dei sintomi e segni dello scompenso,
una condizione, questa, di difficile definizione in termini di confine tra normo- e ipovolemia. Alcuni elementi concorrono a pensare che questo labile confine sia stato superato in molti casi e
abbia contribuito a contrastare i possibili effetti positivi derivanti dalla risoluzione della congestione. Innanzitutto, nonostante la
quantità complessiva di liquido rimosso dopo 96h sia risultata
simile nei due gruppi, nelle prime 48h è risultata significativamente maggiore nei pazienti trattati con ultrafiltrazione (Figura
1). Questa maggiore disidratazione iniziale è stata probabilmente
la responsabile del lieve aumento della creatinina osservato a
96h, dato il ritardo, tipico di questo marcatore, nel modificare la
sua concentrazione plasmatica in risposta a variazioni del filtrato glomerulare. Secondo, nello studio la velocità di ultrafiltrazione poteva essere ridotta, o il trattamento temporaneamente
sospeso, in caso di ipotensione o di aumento della creatinina9.
Entrambi questi indicatori clinici, però riflettono con eccessivo
ritardo l’insorgenza dell’ipovolemia. Terzo, tra i motivi di interruzione del trattamento con ultrafiltrazione riportati nello stu-
LO STUDIO CARRESS
Volume urinario
Uscite (ml/24h)
4500
p=0.003
4000
3500
Volume ultrafiltrato
p=0.20
p=0.061
p=0.62
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
Terapia
medica
UF
Giorno 1
Terapia
medica
UF
Giorno 2
Terapia
medica
UF
Giorno 3
Terapia
medica
UF
Giorno 4
Figura 1. Uscite giornaliere totali (diuresi e ultrafiltrato) nei primi 4 giorni di trattamento nei due gruppi dello studio.
UF, ultrafiltrazione.
dio, vi sono stati: il raggiungimento del “miglior volume possibile di liquido” (concetto difficilmente traducibile in clinica) nel
50% dei pazienti e l’aumento di creatinina nel 16% dei casi. Se
a ciò aggiungiamo che nel 18% dei casi il trattamento è stato
complicato da un’insufficienza renale acuta, appare molto probabile che una lieve, o franca, ipovolemia dovuta a un trattamento troppo aggressivo si sia verificata nella maggior parte dei
pazienti. Questa sembra essere anche l’impressione riportata nell’editoriale di accompagnamento allo studio10, in cui si ribadisce
come una più lenta e prudente velocità di ultrafiltrazione sia un
requisito necessario per mantenere un refilling plasmatico adeguato e una funzione renale stabile. È importante ricordare, si
legge nell’editoriale, come l’obiettivo finale del trattamento sia
di risolvere la congestione in sicurezza e non di dimostrare quanto rapidamente questo possa essere ottenuto.
Infine, la differenza di eventi clinici riportata nei due gruppi
deriva essenzialmente da una maggior incidenza di polmoniti,
sepsi e batteriemie, nei pazienti trattati con ultrafiltrazione durante il follow-up a 2 mesi (20 vs 10%). Queste complicanze sono più facilmente riferibili alle condizioni cliniche di base del paziente che non al trattamento ultrafiltrativo. Quando invece vengono considerati endpoint clinici più riconducibili alle finalità del
trattamento, quali mortalità e ricovero per scompenso, non è
stata evidenziata alcuna differenza nei due gruppi (17% e 13%
la mortalità, 33% e 30% lo scompenso, rispettivamente nei pazienti trattati con ultrafiltrazione e terapia diuretica).
In conclusione, un trattamento tardivo con ultrafiltrazione,
in pazienti che presentino cioè già un deterioramento acuto
della funzione renale, caratterizzato da eccessiva o troppo rapida rimozione di liquido, non è in grado di determinare un beneficio clinico superiore a quello ottenibile con un trattamento
tradizionale. Perché ciò avvenga, è fondamentale che sia privilegiata la sicurezza del paziente, in termini di prevenzione dell’ipovolemia circolante, rispetto alla completezza del trattamento. In altre parole, bisogna rispettare il detto che “chi va
piano va sano e va lontano”.
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