Norma, lingua e uso della lingua

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Norma, lingua e uso della lingua. Note e riflessioni
Alcune note di queste pagine presuppongono concetti introdotti nei capitoli successivi
al primo; nello svolgimento del testo, man mano che si incontrano tali nozioni, si
indica il relativo capitolo da consultare.
Un punto di vista normativo tende a sconsigliare l’uso di scelte espressive come se lo
sapevo lo dicevo: si tratta, appunto, di una deviazione dalla norma.
Come si può caratterizzare e misurare la devianza nella lingua? Bisogna disporre
di un canone di riferimento. Ma il canone è legato al punto di vista che viene scelto
nell'osservare un fenomeno. Possiamo, in via provvisoria, riprendere la distinzione tra
“linguistica esterna” e “linguistica interna” proposta da Ferdinand de Saussure (Cours
de linguistique générale; per la traduzione italiana di De Mauro, vedi i riferimenti nella
bibliografia del capitolo 1).
1.
Nella categoria della “linguistica esterna” rientrano molti punti di vista – sociologico,
psicologico, neurologico, filologico – che interrogano il fenomeno linguistico per avere
riscontri su ipotesi intorno a fenomeni non strettamente linguistici, o non soltanto
linguistici. Nella seconda categoria rientrano i punti di vista che guardano alla lingua
«en soi-même et pour soi-même». Anzitutto, vi è la considerazione della lingua per
come funziona. Privilegiando uno sguardo teleologico (gr. télos = fine), si riconosce che
la lingua funziona come un meccanismo complesso che organizza la correlazione tra
suoni e sensi; per riprendere la più nota fra le Tesi della Scuola di Praga, la lingua è un
sistema di elementi organizzati in vista della comunicazione (Raynaud 1990) 1 .
2.
“Lingua” è sia il repertorio dei «semilavorati» testuali (Rigotti 1984) sia il dinamismo
che presiede alla costruzione dei testi concreti (i prodotti finiti). Il testo non si riduce a
una successione di «forme linguistiche» (enunciati, suddivisi in parole, che si possono
sezionare in morfemi...). Si perderebbe la ragione comunicativa per cui il testo è testo.
Una teoria linguistica che si faccia carico di spiegare il testo deve in effetti considerare
la pragmatica della comunicazione. La catena fonica (rappresentabile, peraltro assai
poveramente, in un percorso grafico) è una delle componenti del testo, accanto alle
soggettività coinvolte, al mondo del testo, al sistema linguistico usato, fino al testo che
«guarda sé stesso». Tutti i fattori dell’atto comunicativo partecipano alla costituzione di
un testo. E ciascun momento del testo si caratterizza per quello che è solo in relazione
1
La Scuola di Praga nasce negli anni venti del Novecento. Tra i maggiori esponenti sono Nikolaj
Sergeevič Trubeckoj e Roman Osipovič Jakobson (che apportano teorie e metodi della grande tradizione
linguistica russa), Vilém Mathesius (anglista, cui dobbiamo sviluppi e applicazioni fondamentali delle
nozioni di “tema” e “rema”: vedi il capitolo ottavo del manuale) e Karl Bühler, professore a Vienna,
psicologo del linguaggio. Il modello di Bühler è fondamentale per la riflessione Praghese sul linguaggio e
il primo capitolo di questo manuale ne condivide, in parte, le prospettive.
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agli altri momenti e alla totalità dinamica in cui vivono. I testi fanno dunque parte della
vita dei soggetti coinvolti, sono parti della loro concreta esperienza. I testi, per così dire,
partecipano alla vita del sistema linguistico, che infatti si costruisce e progredisce dentro
a una comunità; le categorie del sistema partecipano alla costruzione del testo, ma sono
a loro volta sottoposte a una continua ridefinizione e ripattuizione, da parte della
comunità dei parlanti (Shaumyan 1987).
Poiché le circostanze della comunicazione cambiano di continuo, le lingue
recepiscono tali cambiamenti e si adattano alle nuove circostanze. Ma per funzionare,
esse devono mantenere le loro caratteristiche intrinseche. In particolare, cambiano le
strutture linguistiche, non tuttavia i principi organizzativi del sistema. Né mutano le
condizioni di sensatezza di un testo: cambiano le lingue, permane la lingua.
3.
Il sistema è un ente ideale (= un’ipotesi); è dinamico e la sua organizzazione aderisce
alle circostanze sociali della comunicazione. In questa prospettiva, la norma non è una
formulazione di precetti: se mira a individuare un modello linguistico chiamato italiano
standard, la norma è piuttosto la gestione ragionevole di una varietà linguistica adatta a
svolgere le funzioni sociali di prestigio e capace di assorbire apporti di altre varietà
senza peraltro che le sue funzioni specifiche ne siano complessivamente pregiudicate.
La norma ha una portata socio-linguistica, là dove si considera il ruolo dei fattori
sociali nella variazione degli usi linguistici. Ma, una volta scelta una varietà linguistica
data, la norma ne descrive il sistema tendenziale, ben sapendo che il sistema cambia a
seconda della varietà di lingua (italiana) osservata: una scelta substandard («Se lo
sapevo lo dicevo») non è organizzata come il modello standard. Inoltre, la norma
dell'italiano standard può essere modificata, nel tempo, da scelte che partono da una
varietà linguistica e si affermano nell'uso generale, fino ad essere recepite dalla
grammatica descrittiva. La norma socio-linguistica può servire per motivare variazioni
della norma grammaticale.
Devianza: alcuni criteri di classificazione
Propriamente, deviare, come verbo intransitivo, significa «modificare più o meno la
propria direzione, uscire dalla via consueta o principale». Una scelta che si allontana
dall'uso frequente ha dunque caratteri di devianza. Tale scelta può essere tuttavia
motivata dalle esigenze della comunicazione.
Invece, se intendiamo la norma come «canone», si ha devianza quando si opera
una scelta anormale, ossia che víola l'organizzazione e la natura del fenomeno
linguistico in qualche suo momento. La lesione riguarda la norma linguistica (canone),
ma può raggiungere la congruità sintattico-semantica oppure, ancora più in profondità,
la testualità ai diversi livelli di manifestazione.
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A – L’allontanamento dalla norma
Scartando l'uso preferito statisticamente, si sceglie, per ragioni comunicative, una
struttura meno frequente o insolita, che nel sistema è variante libera della strategia
prevalente.
Esempi.
1. Si dicono libere le varianti (in proposito, si veda il capitolo terzo) la cui scelta non
dipende dal sistema, ma è motivata da un dato livello testuale e/o comunicativo. In
fonetica, per esempio, l'uso della vibrante dorso-uvulare [R] invece della apicoalveolare [r] è una realizzazione che si allontana dalla realizzazione «normale»; può
essere determinata semplicemente da abitudini articolatorie particolari, ma può anche
essere voluta, ad esempio per aumentare il grado di coinvolgimento con l'interlocutore
(involvement: su questa nozione, si veda Deborah Tannen 1989 e 1994), come per
sottolineare la condivisione della medesima esperienza, oppure per diminuire o
«raffreddare» il coinvolgimento, realizzando un distacco dall'interlocutore: il parlante
consapevolmente segnala di appartenere a un noi diverso da quello dell'interlocutore che
usi [r]. Anche la realizzazione di un fono è costitutiva del noi. In casi simili, la [R] da
variante libera diventa elemento pertinente nella comunicazione: impedisce o
diminuisce il coinvolgimento, la partecipazione all'atto comunicativo.
2. Un uso appropriato, e tuttavia particolare, sorprendente delle strutture della prima
articolazione caratterizza lo stile -- più o meno elaborato -- che distingue ciascun
parlante o scrivente rispetto agli altri. In effetti, le ragioni della scelta di uno stile invece
di un altro sono testuali e comunicative; in altre parole: a scegliere è l'autore del testo,
non il codice. E l'autore de-vía da un uso che potremmo dire «non marcato», ossia
condiviso dalla maggior parte dei parlanti/scriventi. Lo scarto è rilevante soprattutto
nell'opera letteraria 2 , perché è costitutivo di uno stile che testimonia una lettura
peculiare dell'esperienza.
B – Alternanza di codici: lingua, dialetto, linguaggi specialistici (si veda in proposito il
capitolo undicesimo)
Entro una comunità ristretta l'abitudine linguistica non di rado conduce ad abbandonare
la lingua standard in favore di sottocodici o di dialetti. Le strategie espressive scelte
sono avvertite come «normali», anche se non rispettano la norma della lingua italiana.
Anzi, in certe situazioni è proprio l'uso dell'italiano standard ad essere percepito come
non normale.
2E nella ricostruzione della genesi dell'opera letteraria è fondamentale l'osservazione dello scarto tra le
varianti provvisorie e quelle definitive: esse rispecchiano lo sforzo compiuto dall'autore per adeguare
l'opera al progetto comunicativo.
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1. Il parlante può ricorrere a sistemi linguistici diversi dal codice standard. Penso qui a
fenomeni di «code switching» (commutazione di codice) e di «code mixing»
(mescolamento di lingua e dialetto) 3 . Per esempio, si può «deviare» passando da una
lingua all’altra («Cosa vuoi, c'est la vie, caro mio»), ma anche dall'italiano a una
variante dialettale («Stai attento, ostrega!»), da un codice più o meno condiviso dalla
comunità dei parlanti a un gergo o a una lingua speciale.
1.1. I motivi di tali devianze sono numerosi: vi sono, ad esempio, influssi non
controllati del dialetto, o della koiné dialettale sulla lingua nazionale o sull'italiano
regionale. Quest'ultimo, a ben vedere, è -- nelle sue diverse varianti -- l'italiano che
effettivamente prevale nella comunicazione orale; ed essendo la comunicazione
quotidiana soprattutto orale, la produzione scritta non controllata adeguatamente risente
della variante di italiano regionale.
1.2. La commutazione di codice dall'italiano (più o meno regionalizzato) al dialetto e
viceversa varia a seconda delle circostanze ambientali (città vs. campagna),
generazionali e socio-culturali. Peraltro, le motivazioni dello switching addotte dai
parlanti si lasciano ricondurre ad alcune invarianti. A questo proposito, sono interessanti
i risultati ottenuti da Alberto Sobrero in una ricerca sul territorio salentino (Sobrero
1992). Le motivazioni più frequenti date dai parlanti intervistati sono la naturalezza
(«mi viene spontaneo», «sono abituato così», «non lo so manco io perché»: 62% del
campione), la funzionalità (14%: «la frase dialettale esprime meglio il concetto»);
motivazioni meno frequenti sono il coinvolgimento («mi stavo accalorando, e così sono
passato al dialetto»), la formalità («perché è un'intervista»), l'incompetenza, il prestigio
dell'italiano, l'italianizzazione del dialetto, la prossimità conversazionale («mi ha
influenzato la tua parola: altrimenti non avrei detto...»), l'argomento («parlando di
quell'argomento, con i compagni di lavoro si usa l'italiano, e così viene naturale usare
l'italiano»). L'uso di un altro codice può essere ricercato e voluto. Questo vale
tipicamente nei casi di mescolamento dell'italiano con una lingua straniera effettuato da
soggetti non bilingui perfetti. Invece, nel passaggio dall'italiano al dialetto, la
commutazione consapevole non di rado è in parte anche automatizzata. Per esempio, un
parlante che conosca l'italiano standard in maniera appropriata può ricorrere alla
variante dialettale per aumentare il coinvolgimento, per instaurare un rapporto
informale, per rispettare la consuetudine con una data situazione comunicativa: il grado
di consapevolezza può variare a seconda delle circostanze dell'enunciazione.
In generale, nella gestione dell'alternanza di codice opera un meccanismo di
diglossia: si sceglie la varietà linguistica più adatta ai bisogni della comunicazione. In
prospettiva sociolinguistica, la lingua e il dialetto sono in distribuzione complementare.
2. La diglossia di tipo sociolinguistico caratterizza anche il rapporto fra lingua standard
da una parte, gerghi e linguaggi generazionali da un'altra (un modello per le ricerche sul
linguaggio dei giovani è Banfi-Sobrero 1992).
3
Sobrero distingue la commutazione dall’«enunciazione mistilingue» nel modo seguente: «Si ha
enunciazione mistilingue quando non c'è una preferenza di comunità per uno dei codici, e non si può
predeterminare che lingua è parlata in un dato tempo, da una data persona, in una data situazione. Negli
altri casi si ha commutazione» (Sobrero 1992: 143-144).
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2.1. La ristrutturazione del lessico è fenomeno tipico dei gerghi, che sono sottocodici
usati da gruppi coesi. I gerghi vengono inclusi di solito fra le lingue speciali (si veda
Morresi 1993). Per queste ultime si dà peraltro una tipologia variegata. Ad esempio, vi è
differenza nella struttura del sistema fra il linguaggio dei tossicodipendenti (Giacomelli
1988) e il linguaggio di una scienza naturale qualsiasi. Nel primo caso basti ricordare
che l'unità linguistica del codice standard viene deformata e rigiocata con alto tasso di
metaforicità (bucarsi, cannarsi, spararsi). Inoltre, le strutture lessicali non sono
univoche: per la polisemia che le caratterizza, assomigliano alle strutture del codice
standard (nero è l'hashish, ma è anche il futuro del tossico: cfr. ancora Morresi 1993).
Invece, nella lingua di una scienza la metaforicità non è pertinente (anche se può essere
intervenuta, diacronicamente, nella sua costituzione) e le strutture sono
(tendenzialmente) univoche. In effetti, il gergo è un sottosistema; il linguaggio di una
scienza è una classe di testi con funzione referenziale (nel senso jakobsoniano). Il senso
veicolato dagli enunciati-testi del linguaggio scientifico sono intensioni, ossia sono già
determinati e «pronti» per l'interpretazione (sulla nozione di “intensione”, si veda il
capitolo settimo). Questo spiega, tra l'altro, la relativa semplicità della resa traduttiva di
un testo scientifico: un termine specialistico ha un’intensione che permane simile nel
passaggio dal testo di una lingua al testo di un’altra lingua (Lerat 1995).
C – Devianza dal canone
Nell'accezione abituale, si ha devianza là dove, nell'uso del codice standard, non sia
rispettato il canone d'uso delle strutture di un codice. La lesione può colpire sia varianti
legate sia opposizioni pertinenti.
1. Come si visto sopra, si dicono legate le varianti che non si possono sostituire
liberamente perché la scelta dell'uno o dell'altro elemento è stabilita dal sistema. Le
varianti legate sono fra loro in rapporto di distribuzione complementare. Vediamo,
rapidamente, alcuni esempi, che riguardano l'italiano standard.
1.1. In fonologia (vedi capitolo terzo) si hanno varianti legate quando due o più foni
rappresentano il medesimo fonema. Per esempio, in italiano la fricativa dentale sonora
[z] è tendenzialmente una variante legata della sorda equivalente [s]: non tutte le sedi in
cui compare la prima ammettono la seconda. Un caso particolare si ha con
l'assimilazione progressiva: se la fricativa dentale è seguita da occlusiva sorda, si deve
usare la variante sorda (stentato con [s] iniziale); se segue un'occlusiva sonora, si deve
usare la variante sonora (sdentato con [z] iniziale) (Rigotti 1990, cap. 1). Invece, se
precede una nasale o una liquida viene selezionata la sorda [s]. Ma nella pronuncia
dell'italiano in Trentino può avvenire che la nasale [n] sia seguita da [z] (p.es. nella
pronuncia di senso). È probabile l'influsso del tedesco.
1.2. In morfologia flessionale (vedi capitolo quarto), morfi diversi possono manifestare
il medesimo morfema o il medesimo amalgama di morfemi. Per esempio, i morfi -are, ere, -ire manifestano tutti e tre l'amalgama morfematico «modo infinito, tempo
presente, voce attiva», ma sono in distribuzione complementare: non sono cioè in
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rapporto di sostituzione, poiché il lessema del verbo seleziona un determinato morfo. La
conoscenza della distribuzione di una variante legata è una crux per chi studia una
lingua straniera, ma anche per il madrelingua. L'errore è sempre in agguato. Tipico in
proposito è il caso del «fantozziano» Vadi prima lei: si ha una sostituzione, vietata dal
codice, del morfo -a di congiuntivo presente singolare con la variante legata -i, che
viene selezionata dai verbi in -are.
Tale sostituzione errata è dovuta probabilmente all'azione dell'analogia. Il verbo andare subisce infatti
l'influsso degli altri verbi in -are. Ma il congiuntivo è formato con la radice suppletiva VAD del verbo
vadere, che in italiano è latente e si manifesta solo nei composti (evadere, invadere, pervadere).
1.3. Nella morfologia lessicale (vedi capitolo quarto), le varianti legate sono ben
testimoniate dalle radici suppletive, che manifestano un medesimo morfema lessicale e
sono in distribuzione complementare: a selezionare la variante sono a volta a volta i
morfemi. Per esempio andare ha due radici, AND e VAD; buono si serve di tre radici per
formare il paradigma del grado (buono, migliore, ottimo) e così altri aggettivi. Ma le
forme suppletive hanno anche varianti libere costruite secondo la strategia prevalente (il
più buono; molto buono; buonissimo). È però possibile che le due varianti libere siano
fatte confluire in formulazioni scorrette del tipo *il più meglio, *molto ottimo. Ma
l'errore può essere sfruttato consapevolmente in un registro informale per intensificare
l'elatività (*ottimissimo).
D – La devianza dall'economia linguistica verso la povertà categoriale
1. Soprattutto nell'italiano parlato, si incontrano scelte substandard che deviano dalla
norma letteraria. Viene qui sfruttato il criterio della “marcatezza”.
La teoria della marcatezza nasce dagli studi di Roman Jakobson sulla struttura del verbo russo
(cfr. Jakobson 1966). Per Jakobson, le opposizioni morfologiche si costituiscono attorno a una
caratteristica funzionale. Un estremo dell'opposizione segnala la presenza del tratto, mentre
l'altro estremo non la segnala. Il primo estremo si dice marcato, il secondo non marcato (ibid.).
Per esempio, nell'italiano standard la frase subordinata a forme verbali come pensavo /
credevo / speravo / volevo contiene un verbo al congiuntivo (che tu sapessi). Invece
nell'italiano substandard si ammette anche l'indicativo (che tu sapevi): il congiuntivo è
avvertito come l'estremo marcato perché segnala la presenza di un tratto che,
genericamente, possiamo chiamare «relativo a un mondo possibile (compreso
l'attuale)». L'indicativo, invece, è non marcato perché non segnala la presenza di questo
tratto. Ma «non segnalazione della presenza» non vuol dire «segnalazione della non
presenza»: l'indicativo lascia implicito ciò che nel congiuntivo è esplicito. Nell'italiano
substandard, si preferisce l'indicativo perché la scelta è più «economica»: si tende a
usare l'estremo non marcato dell'opposizione binaria. Tuttavia, relativamente
all'esempio che abbiamo portato, la norma letteraria non organizza l'opposizione di
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indicativo e congiuntivo in questo modo: l'indicativo non è l'estremo non marcato
perché non può sostituire l'uso proprio del congiuntivo.
Rilevante è l'azione del principio di economia, responsabile di tante scelte
substandard. La tendenza al minimo sforzo cerca la formulazione economicamente più
vantaggiosa: si è visto un caso in cui l'indicativo sostituisce il congiuntivo; questa scelta
comporta un minor numero di forme verbali da ricordare e minore fatica di
elaborazione. Ma l'estensione di una scelta «vissuta» come non marcata può incidere
nella portata anche semantica delle opposizioni del sistema perché sminuisce la
consapevolezza dei semantismi coinvolti. Ne deriva un impoverimento di categorialità,
che confina con l'inadeguatezza ad afferrare e a comunicare l'esperienza.
2. Una categorialità impoverita emerge soprattutto nell'improprietà delle scelte lessicali.
In particolare, è possibile che un termine sostituisca l'iperonimo di cui è un iponimo e
sia così utlizzato anche come iperonimo di altri iponimi: così, per esempio, l'iponimo
giudici è usato al posto dell'iperonimo magistrati; come conseguenza, sono
genericamente giudici anche quei magistrati che specificamente sono pubblici ministeri.
E la funzione giudicante, propria del giudice, è estesa impropriamente a tutti i
magistrati, dunque anche ai pubblici ministeri. Dall'improprietà lessicale si giunge
all'impoverimento della capacità di distinguere aspetti diversi dell'esperienza. (Questo
uso del termine giudice è deviato. Ma la devianza può essere anche indotta da altri. In
questo caso si ha manipolazione...).
Quando un'opposizione fra strutture viene messa in crisi, è coinvolto anche il
significato: può avvenire che le categorie siano percepito in modo sfocato, proprio
perché vengono private di uno strumento di distinzione esplicita.
E – La lesione della congruità sintattico-semantica
La violazione della norma dà luogo a scelte scorrette delle strutture linguistiche. Ma
l'uso improprio delle strutture non devia soltanto dalla norma. Esso manifesta anche una
povertà categoriale che può condizionare in modo negativo la comprensione
dell'esperienza e confina con l'incapacità a comunicare. Peraltro, la povertà categoriale
sminuisce, ma non cancella la possibilità di comunicare. Là dove invece è pregiudicata
la sensatezza intervengono lesioni più profonde, che riguardano le regole.
1. Per regola non intendiamo una grandezza socio-linguistica o comunque rilevabile
empiricamente. La regola appartiene alla condizione della possibilità della lingua in
quanto tale. La violazione delle opposizioni fondamentali entro il sistema è violazione
della regola, poiché non si dà lingua che non funzioni come sistema di opposizioni. La
violazione del principio oppositivo comporta la lesione dell'asse paradigmatico. Ma si
dà anche lesione dell'asse sintagmatico. Essa interviene soprattutto là dove le parole non
si combinano in modo congruo e non costituiscono le parti di una totalità articolata. La
tradizione logico-semantica considera la buona formazione della struttura sintattica di
un enunciato come un requisito necessario alla composizione dei significati di una
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proposizione. La quarta Ricerca logica di Edmund Husserl è dedicata proprio alla reine
Formenlehre der Bedeutungen, che viene studiata alla luce della dottrina dell'intero e
delle sue parti (Gobber 1992). Tale dottrina è il fondamento del «principio di
composizionalità» della logica contemporanea (per il quale «il significato di un
enunciato è funzione del significato dei suoi costituenti»).
I meccanismi della congruità sintattico-semantica stabiliscono la compatibilità
fra le parti del discorso (combinazione dei significati generali o modi significandi) e
individuano la combinabilità dei significati particolari veicolati dalle parole concrete. In
una successione come re ma similmente oppure e manca la «connessità sintattica» fra le
parti del discorso. Il risultato non è una struttura articolata, e sul piano semantico si ha
un cumulo di significati invece di un significato unitario. Invece, in I pirotti carulizzano
elaticamente (per riprendere il noto esempio di Rudolf Carnap) la struttura è articolata
perché si ha congruità fra i significati generali delle parti del discorso. Tuttavia, non vi
sono significati particolari, poiché le parole fonologiche presentano solo morfemi
grammaticali agganciati a strutture fonetico-fonologiche le quali non manifestano
morfemi lessicali (in altre parole, carulizzare è un verbo solo dai punti di vista
morfologico -- presenza di -are -- e sintattico -- per il comportamento tipico del verbo -ma non da quello semantico, dato che non vi compare un lessema della lingua italiana).
Ancora: in Incolori verdi idee dormono furiosamente si ha congruità fra i significati
generali (buona formazione sintattica); si hanno inoltre significati particolari delle
parole concrete, i quali, tuttavia, non si combinano in modo congruo (ma è possibile
individuare un significato unitario entro un'interpretazione particolare, nella quale il
messaggio ha funzione poetica). La violazione anche di uno solo dei due momenti della
congruità sintattico-semantica lede la compatibilità dei significati. Si tratta peraltro di un
livello preliminare alla semantica testuale vera e propria. Potremmo parlare di un livello
del semantismo delle strutture di codice che fa parte del presupposto categoriale (vedi in
proposito Rigotti 1988).
2. Si deve osservare peraltro che la costituzione di un significato complesso a partire dai
significati semplici non trova necessariamente manifestazione nella struttura sintattica
così come viene descritta - o generata - dai modelli grammaticali studiati in linguistica.
Questi ultimi sono infatti ipotesi sulla struttura sintattica della lingua scritta. La lingua
parlata, invece, ha una «grammatica» organizzata secondo altri criteri, di tipo
semantico-comunicativo (articolazione in blocchi tematici e rematici, dinamica
interazionale, coinvolgimento ecc.). In particolare, la prosodia (ritmo, durata, pause,
andamento melodico, intensità) svolge funzioni essenziali nella delimitazione delle
unità discorsive. Una studiosa di fenomeni dell’oralità osserva che
[…] la differenza tra l’oralità non controllata e la lingua standard è stata accostata per lo
più in base al criterio della devianza in rapporto a una norma; questo è dovuto tanto ai
fondamenti culturali delle nostre grammatiche quanto alle tecniche di cui i grammatici
disponevano, prima che il magnetofono facesse la sua comparsa. La descrizione esatta
dell’orale autentico continua a suscitare problemi cruciali quali, per esempio,
l’instabilità della sintassi orale, la difficoltà di segmentare la massa testuale ecc. Una
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soluzione può consistere nel prendere in esame le strutture interazionali: certi tratti
specifici dell’orale spontaneo si spiegano grazie alla resistenza che le strutture
grammaticali oppongono alle esigenze dell’interazione. La “devianza” si produce là
dove vi sono principî interazionali che hanno la meglio sulle regole sintattiche, per
esempio quando un locutore evita di indicare una pausa al termine di un’unità testuale
(paragrafo o enunciato lungo), allo scopo di mantenere il turno di parola, oppure anche
quando, invece del silenzio, ricorre a una sequenza di parole “vuote” 4 .
Per questo, una successione di espressioni come ecco, sì, dunque, ma ... direi, dal punto
di vista dell'analisi del parlato è un segmento del discorso con precise funzioni
(mantenere il turno, prendere tempo e altro ancora); la sintassi dello scritto vi vedrebbe
soltanto un mucchio di parole (un Bedeutungshaufen, riprendendo un termine di Husserl
nella Quarta Ricerca Logica) cui corrisponde un cumulo di significati inarticolati. È
evidente che la ragione di tali scelte sfugge alla descrizione sintattica della grammatica
tradizionale. «Deviante» è allora non la produzione linguistica orale, bensì la teoria
grammaticale, che pretende di spiegare la sintassi senza considerare il fenomeno
linguistico nella totalità dei suoi fattori.
F – La lesione della sensatezza: aspetti pragmatici e testuali
La devianza che pregiudica la funzionalità della lingua non riguarda la norma, bensì le
regole, intese come l'insieme degli aspetti necessari affinché una lingua sia tale. Le
regole intervengono nel codice e descrivono il funzionamento delle opposizioni
paradigmatiche e dei contrasti sintagmatici. Esse sono il presupposto del formarsi del
testo. Ma vi sono lesioni del testo che risparmiano le regole e tuttavia producono
insensatezze. In questo caso, ad essere intaccati sono i livelli semantico-testuali o
pragmatico-comunicativi. Ci limitiamo qui ad accennare ad alcuni tipi di lesione, che
sono oggetto di molteplici ricerche effettuate in prospettive disciplinari diverse -linguistica, psico-linguistica, teoria della comunicazione, semantica logica: per una
collocazione generale si veda Rigotti-Cipolli (a cura di) 1988.
1. La linguistica del testo ha individuato alcune condizioni necessarie perché si dia un
testo: la coerenza, l'informatività, la continuità referenziale e la coesione fra sequenze
4
[...] si la différence entre parole impromptue et langue standard a le plus souvent été abordée en termes
de déviance par rapport à une norme, cela est dû autant aux fondements culturels de nos grammaires
qu'aux techniques dont disposaient les grammairiens antérieurement à l'apparition du
magnétophone/scope. La description exacte de la parole authentique continue de poser des problèmes
cruciaux: instabilité de la syntaxe orale, difficulté de découpage de la masse textuelle, etc. Un élément de
solution consiste à prendre en compte les structures interactionnelles: certains traits spécifiques de l'oral
spontané s'expliquent par la résistance qu'opposent les structures grammaticales aux exigences de
l'interaction. La «déviance» se produit lorsque des principes interactionnels l'emportent sur les règles
syntaxiques, par exemple lorsqu'un locuteur évite de marquer une pause à la fin d'une unité textuelle
(paragraphe ou énoncé long) afin de réserver son tour de parole, ou encore lorsqu'il préfère au silence une
séquence de mots «vides» (Fernandez Vest 1994: 33-34).
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testuali (si veda il capitolo ottavo). Le ultime due sono, peraltro, sviluppi della
coerenza. Anche l'informatività, a ben vedere, va considerata un fattore della coerenza.
In altre parole: tutte le condizioni di testualità sono aspetti particolari della coerenza,
intesa come congrua ordinatio degli elementi che formano la gerarchia dei predicati
(Rigotti 1993). In effetti, davanti a una qualsiasi lesione del senso si cerca anzitutto di
recuperare una «lettura» che stabilisca la congruitas fra i predicati e i loro argomenti.
1.1. Così, ad esempio, la falsità del presupposto che è fonte di inconsistence
dell'enunciato L'attuale re di Francia è calvo potrebbe essere superata ammettendo che,
usando re di Francia, si intenda in realtà riferirsi ironicamente (con violazione della
massima griceana della qualità) al presidente della repubblica francese.
1.2. La non informatività di Quell’uomo ha due gambe può essere superata ponendo il
riferimento a un mondo di persone monche (come in certi scenari fantastici proiettati in
un futuro dalle coordinate situazionali sconvolte).
1.3. L'insensatezza può derivare anche dalla sconnessione fra sequenze di testo, come
in: Piero va al mare, dove hanno visto le alghe. Non ho capito se sono animali o piante.
E - a proposito di animali: pensa che la Luigina ha comprato un persiano; ah, sti
arabi.(ecc.). A prima vista, si manifesta un tipico disordine testuale dovuto a mancanza
di coesione. Ma per recuperare la testualità non è necessario immaginare il parlante
disteso sul lettino dell'analista: è sufficiente considerare tali sequenze come frammenti
di una conversazione quotidiana «disimpegnata» -- una «chiacchierata», che ha
funzione eminentemente fàtica e che crea coinvolgimento. Così, una apparente lesione
dal punto di vista semantico-testuale viene superata considerando la pragmatica della
comunicazione.
1.4. Vi può essere una lesione di predicatività là dove il rema non soddisfi il connettivo
di sequenza, come in: Luigi è una persona molto paziente. Infatti, ieri si è adirato
perché il bus aveva un leggero ritardo. L'insensatezza nasce dalla contraddizione tra
infatti («ciò che segue spiega quello che precede») e l’enunciato che lo segue.
A ben vedere, un non-testo simile potrebbe manifestare l'incapacità o il rifiuto di
rapporto con il mondo. Lo spezzarsi della testualità diventa segnale di una lacerazione
ben più profonda della persona.
Osservazioni conclusive
Come abbiamo visto, l'accezione del termine norma varia a seconda del livello
linguistico sottoposto ad analisi. Vi sono norme che si possono trasgredire senza che la
comunicazione sia pregiudicata: le scelte «fuori della norma» sono in tal caso deviazioni
dallo standard, ma non riducono la carica semantica del testo. Quest’ultima, invece,
risulta sminuita quando la lesione conduce a un uso impoverito delle strutture del
codice; entrambi i tipi di scelta deviante sono peraltro «marcati» dal punto di vista
comunicativo. Implicitamente esse veicolano informazioni sul contesto socio-culturale
(età, provenienza, adesione a modelli culturali, atteggiamenti semantici e pragmatici nei
confronti degli altri fattori della comunicazione). Se poi il messaggio viene analizzato
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© 2014 – ISBN 978-88-386-6854-8
per individuare aspetti della personalità del mittente, tali informazioni sono cruciali: per
interpretarle, il destinatario che effettua l'analisi (per esempio, uno psicoterapeuta) può
servirsi anche dei risultati raggiunti nello studio (stilistico-testuale o dialettologico o
socio-linguistico) delle «varietà» linguistiche di un medesimo codice.
Invece, la lesione della congruità sintattico-semantica e dei livelli «profondi» del
meccanismo testuale pregiudica la costituzione di un testo «normale»: a interpretarlo
non riuscirà un destinatario «normale», che presuppone il principio di cooperazione.
Peraltro, anche l'insensatezza ha una sua pertinenza: molti tentative texts («tentative
Texte»: Harweg 1971) sono produzioni linguistiche dotate delle chiavi di accesso a un
messaggio che il soggetto non riesce o non vuole esplicitare. Per ricostruire la trama dei
nessi di senso, lo specialista impegnato nel compito interpretativo (Carta 1988) si avvale
anche delle acquisizioni della linguistica testuale.
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antropologico-retorico, in R. Bombi (a cura di), Lingue speciali e interferenza, Il
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