il programma di sala del concerto - Società del Quartetto di Vicenza

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107a Stagione Concertistica 2016/2017
LUNEDì 21 NOVEMBRE ore 20:45
TRIO DI PARMA
Enrico Bronzi violoncello
Ivan Rabaglia violino
Alberto Miodini pianoforte
Guglielmo Pellarin corno
CIDIM
COMITATO NAZIONALE ITALIANO MUSICA
MEMBRO
IMC-INTERNATIONAL MUSIC COUNCIL/UNESCO
programma
I PROTAGONISTI
GIAN LUCA CAS C I O L I ( 1 9 7 9 )
Trio n. 2 per violino, violoncello e pianoforte (2015)
Tema
Enigma
Omaggio
Canone
Scherzino
Corale
Aka
Aria
Phasing
Metamorfosi
Inno
TRIO DI PARMA
Era il 1990 quando Alberto Miodini, Ivan Rabaglia ed Enrico Bronzi, allievi della classe di musica da camera del maestro Maurizzi
al Conservatorio di Parma, decisero di mettere assieme il loro
talento e soprattutto un certo modo di sentire la musica.
Perfezionatasi con il mitico Trio di Trieste (all’Accademia Chigiana di Siena e alla Scuola di Musica di Fiesole), la formazione si
è subito imposta all’attenzione del pubblico vincendo prestigiose
competizioni come il Concorso “Gui” di Firenze, quello di Melbourne, il Concorso della ARD di Monaco ed il Concorso di Lione.
Nel 1994 la Critica Musicale italiana gli ha assegnato il “Premio
Abbiati” come miglior complesso cameristico.
Dalla metà degli anni ‘90 il Trio di Parma è ospite regolare delle
più importanti rassegne in Italia e all’estero, dove si è esibito in
quattro Continenti.
Oltre a numerose registrazioni radiofoniche, il Trio ha inciso integrali di Brahms, Beethoven, Ravel e Šostakovič (miglior disco
“Classic Voice” del 2008).
Il Trio ed i suoi singoli componenti sono molto coinvolti nell’attività didattica in Conservatorio ed in varie master class.
Ivan Rabaglia suona un G. ++B. Guadagnini del 1744, mentre
Enrico Bronzi suona un violoncello Vincenzo Panormo del 1775.
JOHANNES BRA H M S ( 1 8 3 3 - 1 8 9 7 )
Trio in si maggiore per archi e pianoforte op. 8
Allegro con brio. Con moto
Scherzo. Allegro molto. Trio: Meno Allegro
Adagio non troppo
Finale. Allegro molto agitato
***
JOHANNES BRA H M S
Trio in mi bemolle maggiore per violino, corno
e pianoforte op. 40
Andante
Scherzo. Allegro. Trio: Molto meno Allegro
Adagio mesto
Finale. Allegro con brio
GUGLIELMO PELLARIN
Cresciuto in una famiglia di musicisti, si avvicina al corno a 7 anni
e si diploma con il massimo dei voti e la lode a Udine nella classe
del maestro Arvati. Successivamente segue vari corsi di perfezionamento ed entra a far parte dell’Orchestra Giovanile Italiana.
Primo Corno dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia, collabora anche con altre importanti orchestre sotto la direzione di direttori come Pappano, Abbado, Gatti, Maazel, Masur,
Inbal e Prêtre.
Pellarin svolge un’intensa attività anche in ambito cameristico
collaborando con vari solisti ed ensemble in repertori che includono brani scritti apposta per lui, come il Concerto per corno e
archi di Fabián Pérez Tedesco.
Pellarin coltiva una grande passione per gli studi scientifici: laureato in Matematica a Padova, sta ora frequentando il Corso di
Laurea Magistrale in Matematica alla “Sapienza”.
NOTE A L PRO G R A M M A
Il concerto si apre con il Trio n. 2 del pianista, direttore e compositore
torinese Gianluca Cascioli. Nel 2015 il brano ha vinto la seconda edizione del Concorso Nazionale di Composizione “Francesco Agnello”
(presieduto da Ennio Morricone) indetto dal CIDIM-Comitato Nazionale Italiano Musica.
È lo stesso autore a presentare il suo brano con questa breve nota.
Nel Trio n. 2, (edito dalle edizioni Curci) ho deciso di utilizzare la massima
varietà e sintesi nella presentazione delle idee. I movimenti del brano
sono 11 (collegati fra loro), ma la durata complessiva del lavoro è di soli
8 minuti. Nonostante la frammentarietà, il brano si muove in un crescendo tensivo verso il decimo brano (Metamorfosi). Il finale (Inno) dal
carattere catartico, recupera la melodia iniziale per aumentazione.
Il linguaggio armonico è prevalentemente costruito su quadrati magici, armoniche naturali, simmetrie, accordi autosimilari, klangreihen
(il terzo brano “Omaggio” è infatti un tributo a Josef Matthias Hauer),
suoni differenziali.
Il brano (dedicato al grandissimo compositore Alberto Colla, mio insegnante) ha complessivamente una certa vitalità e brillantezza di
carattere delicato e sommesso.
Sono in totale sei i trii composti da Brahms nel corso della sua fortunata carriera. Un genere, evidentemente, verso il quale si sentiva
particolarmente vicino, dal momento che il primo trio – pubblicato
postumo nel 1938 – risale al 1850 circa, quando l’autore aveva appena
diciassette anni.
Nei trii di Brahms (quattro per l’organico “classico” pianoforte, violino
e violoncello, uno con il corno al posto del violoncello ed uno con il
clarinetto, o la viola, in luogo del violino) c’è gran parte del suo mondo
espressivo fatto di estrema limpidezza, di forte spirito inventivo e di
sapiente commistione fra schemi classici e istanze romantiche.
Aveva vent’anni, Brahms, quando nell’estate del 1853 iniziò a scrivere – nel soggiorno estivo di Mehlem – il delizioso Trio in si maggiore
che di fatto segna il suo esordio come autore di musica da camera.
Brahms rimase sempre molto legato a questo pezzo, tant’è che negli ultimi anni di vita lo riprese in mano fornendo una nuova versione
epurata da errori “giovanili” e da una certa prolissità. Ho riscritto il mio
Trio in si maggiore – scrive a Clara Schumann nel 1890 – che non sarà
più rozzo di prima, ma... sarà migliore? Particolare importante: la nuo-
va versione non sostituì la prima ed entrambe continuarono a venir
pubblicate e ad essere eseguite parallelamente, anche se gli interpreti (anche il Trio di Parma, questa sera) prediligono la seconda.
All’epoca della versione originaria Johannes e Clara (straordinaria pianista e moglie di Robert Schumann) si erano conosciuti da
poco, ma nonostante ciò sembravano essere amici di lunga data.
Nel marzo del 1854, durante il triste frangente in cui i disturbi nervosi di Schumann si palesarono in maniera evidente, Brahms fece
vedere a Clara il Trio in si maggiore e la pianista, nonostante alcune
perplessità legate soprattutto al primo movimento, ne fu l’interprete della prima esecuzione europea (a Breslavia, il 18 dicembre del
1855); la prima assoluta era andata in scena un mese prima alla
Dodsworth Hall di New York.
Il “restyling” del 1890 non tolse nulla alla freschezza e all’esuberanza della versione giovanile che tanti entusiasmi aveva suscitato fra il
pubblico. Non gli ho messo una parrucca – scrive Brahms all’amico
Julius Otto Grimm a proposito del “nuovo” Trio – l’ho solo pettinato e
gli ho ravviato un po’ i capelli!
La bellezza della natura e le lunghe passeggiate fra i boschi ispirarono a Brahms la maggior parte dei suoi capolavori, compreso
il Trio in mi bemolle maggiore per pianoforte violino e corno: una
mattina stavo camminando e quando giunsi in quel punto, il sole
iniziò a brillare fra i rami degli alberi; subito ebbi l’idea del Trio, con il
suo primo tema. Siamo nell’estate del 1864 e ci troviamo fra i boschi
della Foresta Nera, nei pressi di Baden-Baden, dove il compositore
– allora trentunenne – stava trascorrendo un periodo di vacanza.
Abbozzato in quel periodo e poi messo nel cassetto per qualche
mese, il lavoro venne portato a termine nella primavera successiva
ed eseguito per la prima volta a Zurigo nel novembre del 1865 con
lo stesso Brahms al pianoforte.
Johannes amava molto il corno, strumento che utilizzò mirabilmente nelle sue opere orchestrali, molto meno – anzi, solo in questo caso
– nella musica da camera. Sostituire il violoncello con uno strumento a fiato che certo non possiede la stessa facilità di fraseggio (per
di più considerando che Brahms continuava a prescrivere il corno
naturale invece del più facile e moderno corno a pistoni), non era impresa facile. Brahms ci riesce riservando al corno un ruolo del tutto
inedito, che tuttavia non fu subito compreso ed apprezzato da tutti.
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