DALLA SCUOLA Riflessioni sulla pedagogia di Quintiliano e sulla

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DALLA SCUOLA
Riflessioni sulla pedagogia di Quintiliano e sulla scuola odierna
L’ “Institutio oratoria” di Quintiliano, opera composta nel I sec. d.C. e ispirata al “De Oratore” di Cicerone,
descrive la figura dell’oratore ideale, massimo grado di sviluppo dell’uomo colto, e ne esplicita l’iter
formativo. L’autore concepisce l’oratore come un “vir bonus, dicendi peritus” e rifacendosi, appunto, a
Cicerone, sostiene che il retore non deve solo avere capacità di eloquenza, ma deve anche avere delle buone
virtù morali, prima tra tutte l’onestà, che si “conquistano” con l’esperienza e l’educazione, che dovrebbero
essere garantite in quella che noi oggi chiamiamo “seconda agenzia educativa”: la scuola pubblica. In un
passo iniziale del celebre trattato in cui si ribadisce l’importanza della scuola pubblica, è evidente la fiducia
che Quintiliano nutre nei ragazzi, in quanto incita i genitori ad avere buone ambizioni sin dalla nascita in
merito al loro futuro e alla loro carriera e pensa che la maggior parte dei giovani abbia tutti i requisiti per
apprendere e formarsi al meglio, anche perché l’apprendimento è la dote naturale dell’essere umano. Il
pedagogista di cultura latina afferma che sono pochi i ragazzi “inadatti a imparare”, che faticano ad
“assimilare gli insegnamenti” per lentezza d’ingegno e per abituali perdite di tempo; riconosce che “non tutti
hanno la stessa intelligenza”, come dimostreranno gli psicologi contemporanei tra cui Binet, Thurstone e
Gardner, ma afferma anche che con il giusto impegno e la giusta determinazione, almeno una minima meta
la si raggiunge sempre. E’ chiaro che vi saranno ragazzi che otterranno risultati migliori di altri, che comunque
non devono essere invidiati, ma presi come esempio, come spunto di arricchimento e come occasione per gli
altri a rendere di più. Emerge una differenza profonda con la scuola contemporanea per quanto riguarda i
diversamente abili che sono bollati come “mostri” come si può leggere nell’opera; infatti i nati deformi
venivano esclusi dall’ambiente scolastico; al contrario, nella scuola odierna, si ospitano i disabili e coloro che
hanno disturbi meno gravi come la dislessia o la discalculia, agevolandoli con dei piani educativi differenziati,
rispettivamente il P.E.I. (Piano Educativo Individualizzato) e il B.E.S. (Bisogni Educativi Speciali). Attualmente,
l’ambiente scolastico è particolarmente attento all’inclusione, nelle singole classi, degli alunni portatori di
handicap; ciò contribuisce a far sviluppare nei giovani l’intelligenza emotiva, in quanto la classe cerca di
“andare incontro” alle esigenze del compagno diversamente abile e di includerlo appieno nel gruppo,
trattandolo con affetto e disponibilità. Personalmente, sono favorevole a tale atteggiamento di apertura
verso il diverso, in quanto penso che tutti debbano avere le stesse possibilità di istruzione ed educazione,
non solo dalla scuola, ma anche dalla prima agenzia educativa, la famiglia, di cui lo stesso Quintiliano
riconosce l’importanza. Egli sottolinea infatti il ruolo fondamentale della madre nell’educare il figlio, nei primi
anni di vita, trasmettendogli i buoni costumi e le buone doti morali. Nella nostra società diversi sono i casi di
ragazzi con deprivazione linguistica, che non hanno avuto abbastanza imput ed esperienze formative durante
i primi anni di vita e che da adulti hanno avuto problemi cognitivi e comportamentali. È provato che
l’intelligenza si sviluppa in buona parte nella prima infanzia e necessita di numerosi stimoli: in questi casi la
scuola oggi attua un’opera di individualizzazione dell’apprendimento, ossia offre curriculi educativi
differenziati in base alla natura e alle capacità del singolo. Tale metodo è stato introdotto già nell’antichità
da Quintiliano, il quale proponeva la gradualità dell’insegnamento, cioè passare dai contenuti più semplici ai
più complessi e il ruolo attivo dell’educando, riscontrabile soprattutto oggi nei nostri stage; a conferma di
ciò, in un passo della sua opera l’autore latino scrive che “in qualsiasi cosa, l’esperienza ha più valore dei
precetti”.
Le materie della scuola quintiliana erano varie, ma quelle predominanti erano la grammatica e la retorica,
fondamentali per la formazione di un buon oratore, mentre nella scuola odierna le materie sono diversificate
in base all’indirizzo di studio, la cui scelta sbagliata può far incorrere in un insuccesso scolastico, che può
essere rimediato da un riorientamento e con l’opportunità di fare la cosiddetta “passerella”, ossia di passare
da una scuola all’altra senza perdere l’anno, prima dello scadere del primo quadrimestre.
Un’ulteriore causa di insuccesso scolastico può essere il cattivo rapporto con gli insegnanti, che diminuisce il
desiderio e la motivazione ad apprendere; anche Quintiliano affermava che spesso l’insuccesso scolastico era
causato dall’incapacità dell’insegnante, a cui dedica una particolare attenzione nella sua opera, sottolineando
il fatto che il maestro deve avere buone virtù umane, oltre che essere colto e preparato nella propria materia.
Quintiliano evidenzia inoltre l’inutilità, anzi, la dannosità, del ricorso alle punizioni corporali, presenti in Italia
fino a pochi decenni fa, per incentivare un buon rendimento scolastico. Egli è convinto che siano più
stimolanti la lode, l’esempio e l’incoraggiamento a migliorare. La scuola pubblica riveste una grande
importanza per la formazione sociale ed intellettuale dei giovani, anche per il fatto che si è inseriti in un
contesto di interazione sociale e quindi di perenne confronto con i propri compagni. Quintiliano valorizza
l’aspetto relazionale dell’ambiente scolastico, dove possono nascere profonde amicizie, destinate a durare
tutta la vita. Nel confronto con gli altri si dovrebbe superare la timidezza, poiché un buon oratore deve saper
esporre le orazioni di fronte ad una moltitudine di individui, senza timore. E’ osservabile che, nel contesto
storico a cavallo fra la Roma dei valori repubblicani e quella imperiale, Quintiliano sia stato un pedagogista
piuttosto moderno ed innovativo, in quanto proponeva dei modelli e degli ideali che potrebbero essere
perfettamente localizzabili nella nostra contemporaneità; se osserviamo infatti le analogie e le differenze con
la scuola pubblica moderna, notiamo che le prime sono di gran lunga maggiori, perciò possiamo riconoscere
nell’autore il padre della scuola pubblica. A lui si deve anche l’utilizzo delle lettere dell’alfabeto mobili per
insegnare a leggere e scrivere ai bambini più piccoli, materiale didattico a cui si ispirò la pedagogista
contemporanea M. Montessori. Proprio per la sua modernità, nel periodo di svalutazione e decadenza della
cultura nel quale egli è vissuto, l’opera non riscontrò particolare successo, anzi, fu quasi completamente
ignorata; essa iniziò ad acquistare importanza nel Basso Medioevo, ma soprattutto nell’Umanesimo e nel
Rinascimento. In conclusione, se si paragonasse la scuola pubblica odierna a una casa, si potrebbe affermare
che Quintiliano fu colui che ne costruì le fondamenta, poi nella storia ci furono altri personaggi che
contribuirono alla costruzione dei muri, realizzando e proseguendo tali ideali, ma è innegabile che ci furono
anche tempi in cui i muri della scuola pubblica subirono delle frane, come ai tempi del Fascismo e anche oggi
essa è in continua costruzione ed evoluzione. Io condivido l’idea di Quintiliano sulla necessità di una scuola
pubblica, in quanto penso che l’istruzione debba essere gratuita e che lo studio sia un diritto fondamentale;
credo, a differenza di Quintiliano, che l’inclusione nella scuola degli alunni svantaggiati o con handicap sia
uno stimolo di arricchimento e crescita interiore per tutti, per poter vivere in pace con se stessi e con le
diversità che caratterizzano la nostra società complessa.
Federica Penati, 2F
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