Dottorando: dott.ssa Laura Fracassa Tutor. Prof. E. Chiti Titolo tesi: I poteri di regolazione delle autorità amministrative indipendenti. Poteri impliciti e autonomia privata III anno di corso L’autore analizza il concetto di fiducia ed evidenzia che oggi è diventata fondamentale di fronte alla crisi economica e alla diffidenza riposta nei mercati. La fiducia è da sempre un punto di riferimento perché si chiede, si arricchisce, si costruisce, si revoca: si dà e si ha fiducia. Storicamente, il valore della moneta ha rappresentato il metro della fiducia che in essa si ripone: è stata la fiducia a dar forza alla moneta ed è la sua forza a ingenerare fiducia. Detta fiducia riposta nella moneta è la stessa che si trova alla base di ogni scambio e transazione sino all’affermazione del vincolo contrattuale. Il vincolo contrattuale è sorto da un complesso di gratuità e di elargizioni in cui entrambi i paciscenti confidavano. Mauss, nell’opera “Un’antica forma di contratto presso i Traci”, parlando di un’ipotetica economia naturale, descrive il carattere dei contratti presso i Traci confermando che non si potevano fare transazioni senza fare regali. La gratuità era una sorta di apertura alla negoziazione. Beinveniste lo spiega attraverso la corrispondenza tra la famiglia linguistica della fides e il verbo pèithomai che sta ad indicare il legame, l’obbedienza e il vincolo da cui derivano i termini peithò (persuasione) e pìstis (fede), che indica l’impegnare con una promessa e obbligare alla fedeltà. L’osservazione di Benveniste conduce verso la comprensione del passaggio dal fenomeno della fiducia a quello del diritto. Il carattere relazionale della fiducia rappresenta uno schema giuridico: la fiducia di uno verso l’altro e di uno nell’altro. La fiducia genera automaticamente nel contraente l’aspettativa della restituzione. Diverso il percorso svolto da Nietzsche: la fiducia continua ad essere collegata all’idea di potere, ma l’asimmetria dell’investimento fiduciario diventa simmetria tra signori, tra coloro che non possono che essere investiti di potere fiduciario e coloro che non possono aspettarsi altro che protezione. Diverse ancora le riflessioni di George Simmel che si pone il dubbio se sia peggio essere infedeli che essere ingrati. L’autore appartiene già ad un’epoca diversa, più avanzata. La fedeltà genera fiducia all’interno del rapporto, mentre genera sfiducia all’esterno. Continua, nella fedeltà, lo scambio fiducia/protezione, ma viene meno il carattere universalistico che ne garantisce la tenuta sociale. Si è sempre dentro logiche di scambio, ma cambia il gioco della reciprocità e della simmetria. Riconoscenza, diversa da riconoscimento è conoscenza ulteriore: il riconoscimento è semplice certificazione di qualcosa che esiste, mentre si è grati per ciò che non potrà mai essere restituito. Il vero destinatario della gratitudine è chi non può ricambiare. La fiducia che si ha nei rapporti di amicizia può fare a meno della giustizia. Secondo il discorso aristotelico, tra amicizia e giustizia c’è un rapporto di inclusività poiché la giustizia è superflua quando l’amicizia è vera, ovvero disinteressata. È quando la fiducia viene meno o si indebolisce che è il diritto ad offrire un rimedio. Lo schema fiducia/diritto già dal diritto romano appare emblematico: il creditor viene descritto come colui che investe le sue aspettative sulla base della fiducia accordata a qualcuno. Dunque il credito è legato all’aspettativa e solo successivamente diventa un puro meccanismo di solvibilità. Oggi la buona fede che sorregge il rapporto obbligatorio sembra riprendere il concetto di fiducia. In realtà, la correttezza, il rispetto delle regole, non sono quelle dell’amicizia vera e propria, ma quelle della legge. Ci dobbiamo fidare della fiducia che riponiamo senza sapere perché la buona fede è riposta verso un preciso debitore. Il concetto di buona fede sintetizza il concetto originario di fiducia. Alla buona fede è poi stato accostato il concetto di fiducia che è finalizzata a riequilibrare la corretta nei rapporti ed è affidata al giudice,. Nelle tradizione romanistica la buona fede è regola di conformità a un comportamento che assicuri a chi ha affidato ad altri un bene di poterlo riottenere. La conformità va ribadita normativamente e smette di essere fiducia nel momento in cui la regola viene positivizzata. La fiducia rimane comunque una sonda efficace per l’osservazione del diritto. Nel caso del rapporto obbligatorio e della responsabilità da inadempimento, il creditore e il debitore sono attori che orientano il proprio comportamento e le proprie aspettative sulla base della normativa. Il creditore in forza del titolo contrattuale s aspetta di poter essere soddisfatto dal debitore e se, nonostante la norma, la sua soddisfazione non arriva, chiederà il risarcimento in via giudiziale. Solo la sentenza potrà in tal caso offrire gratificazione alle sue aspettative. Pertanto anche se il rapporto è normato, la soddisfazione non può derivare direttamente dalla norma, ma deve essere cognitivamente verificata nel giudizio. Vi sono molte regole nell’ordinamento giuridico che impongono la solidarietà. Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede da individui che investono nella fiducia reciproca. La buona fede involge il concetto di fiducia. Oggi l’identità della buona fede ex art.1175 c.c. è data per acquisita come precipitato della solidarietà ex art.2 Cost. In materia contrattuale la buona fede trova importanti applicazioni in relazione alle trattative, all’interpretazione, all’esecuzione. Si concorda nel ritenere che il dovere di buona fede sia bilaterale e gravi su entrambi i contraenti. La giurisprudenza ha inizialmente avuto un atteggiamento di chiusura rispetto all’applicazione del criterio in quanto lo stesso mal si coniuga con il principio di certezza del diritto. Attualmente si può sostenere che l’art.1175 c.c. sia diventato vero e proprio obbligo adempitivo e fulcro della disciplina dei contratti.