L.Fracassa Regole fiducia 14 gennaio 2016

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Dottorando: dott.ssa Laura Fracassa
Tutor. Prof. E. Chiti
Titolo tesi: I poteri di regolazione delle autorità amministrative indipendenti. Poteri impliciti e
autonomia privata
III anno di corso
L’autore analizza il concetto di fiducia ed evidenzia che oggi è diventata fondamentale di fronte alla
crisi economica e alla diffidenza riposta nei mercati. La fiducia è da sempre un punto di riferimento
perché si chiede, si arricchisce, si costruisce, si revoca: si dà e si ha fiducia.
Storicamente, il valore della moneta ha rappresentato il metro della fiducia che in essa si ripone: è
stata la fiducia a dar forza alla moneta ed è la sua forza a ingenerare fiducia. Detta fiducia riposta
nella moneta è la stessa che si trova alla base di ogni scambio e transazione sino all’affermazione
del vincolo contrattuale. Il vincolo contrattuale è sorto da un complesso di gratuità e di elargizioni
in cui entrambi i paciscenti confidavano. Mauss, nell’opera “Un’antica forma di contratto presso i
Traci”, parlando di un’ipotetica economia naturale, descrive il carattere dei contratti presso i Traci
confermando che non si potevano fare transazioni senza fare regali. La gratuità era una sorta di
apertura alla negoziazione. Beinveniste lo spiega attraverso la corrispondenza tra la famiglia
linguistica della fides e il verbo pèithomai che sta ad indicare il legame, l’obbedienza e il vincolo
da cui derivano i termini peithò (persuasione) e pìstis (fede), che indica l’impegnare con una
promessa e obbligare alla fedeltà. L’osservazione di Benveniste conduce verso la comprensione del
passaggio dal fenomeno della fiducia a quello del diritto. Il carattere relazionale della fiducia
rappresenta uno schema giuridico: la fiducia di uno verso l’altro e di uno nell’altro. La fiducia
genera automaticamente nel contraente l’aspettativa della restituzione.
Diverso il percorso svolto da Nietzsche: la fiducia continua ad essere collegata all’idea di potere,
ma l’asimmetria dell’investimento fiduciario diventa simmetria tra signori, tra coloro che non
possono che essere investiti di potere fiduciario e coloro che non possono aspettarsi altro che
protezione.
Diverse ancora le riflessioni di George Simmel che si pone il dubbio se sia peggio essere infedeli
che essere ingrati. L’autore appartiene già ad un’epoca diversa, più avanzata. La fedeltà genera
fiducia all’interno del rapporto, mentre genera sfiducia all’esterno. Continua, nella fedeltà, lo
scambio fiducia/protezione, ma viene meno il carattere universalistico che ne garantisce la tenuta
sociale. Si è sempre dentro logiche di scambio, ma cambia il gioco della reciprocità e della
simmetria. Riconoscenza, diversa da riconoscimento è conoscenza ulteriore: il riconoscimento è
semplice certificazione di qualcosa che esiste, mentre si è grati per ciò che non potrà mai essere
restituito. Il vero destinatario della gratitudine è chi non può ricambiare.
La fiducia che si ha nei rapporti di amicizia può fare a meno della giustizia. Secondo il discorso
aristotelico, tra amicizia e giustizia c’è un rapporto di inclusività poiché la giustizia è superflua
quando l’amicizia è vera, ovvero disinteressata. È quando la fiducia viene meno o si indebolisce che
è il diritto ad offrire un rimedio.
Lo schema fiducia/diritto già dal diritto romano appare emblematico: il creditor viene descritto
come colui che investe le sue aspettative sulla base della fiducia accordata a qualcuno. Dunque il
credito è legato all’aspettativa e solo successivamente diventa un puro meccanismo di solvibilità.
Oggi la buona fede che sorregge il rapporto obbligatorio sembra riprendere il concetto di fiducia. In
realtà, la correttezza, il rispetto delle regole, non sono quelle dell’amicizia vera e propria, ma quelle
della legge. Ci dobbiamo fidare della fiducia che riponiamo senza sapere perché la buona fede è
riposta verso un preciso debitore. Il concetto di buona fede sintetizza il concetto originario di
fiducia. Alla buona fede è poi stato accostato il concetto di fiducia che è finalizzata a riequilibrare
la corretta nei rapporti ed è affidata al giudice,.
Nelle tradizione romanistica la buona fede è regola di conformità a un comportamento che assicuri
a chi ha affidato ad altri un bene di poterlo riottenere. La conformità va ribadita normativamente e
smette di essere fiducia nel momento in cui la regola viene positivizzata.
La fiducia rimane comunque una sonda efficace per l’osservazione del diritto. Nel caso del rapporto
obbligatorio e della responsabilità da inadempimento, il creditore e il debitore sono attori che
orientano il proprio comportamento e le proprie aspettative sulla base della normativa. Il creditore
in forza del titolo contrattuale s aspetta di poter essere soddisfatto dal debitore e se, nonostante la
norma, la sua soddisfazione non arriva, chiederà il risarcimento in via giudiziale. Solo la sentenza
potrà in tal caso offrire gratificazione alle sue aspettative. Pertanto anche se il rapporto è normato, la
soddisfazione non può derivare direttamente dalla norma, ma deve essere cognitivamente verificata
nel giudizio.
Vi sono molte regole nell’ordinamento giuridico che impongono la solidarietà. Il contratto deve
essere eseguito secondo buona fede da individui che investono nella fiducia reciproca.
La buona fede involge il concetto di fiducia.
Oggi l’identità della buona fede ex art.1175 c.c. è data per acquisita come precipitato della
solidarietà ex art.2 Cost. In materia contrattuale la buona fede trova importanti applicazioni in
relazione alle trattative, all’interpretazione, all’esecuzione. Si concorda nel ritenere che il dovere di
buona fede sia bilaterale e gravi su entrambi i contraenti. La giurisprudenza ha inizialmente avuto
un atteggiamento di chiusura rispetto all’applicazione del criterio in quanto lo stesso mal si coniuga
con il principio di certezza del diritto. Attualmente si può sostenere che l’art.1175 c.c. sia diventato
vero e proprio obbligo adempitivo e fulcro della disciplina dei contratti.
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