22_Varia_7.QXD 12-05-2008 576 11:12 Pagina 576 Varia Unanimemente si riconosce il valore di quei trattati in cui è ribadita l’unità dell’essere vivente, «ma l’assurdo è che, dinanzi a un così diffuso e generalizzato consenso sugli aspetti centrali della dottrina dell’antico medico, ognuno poi, nel lavoro di appropriazione critica del suo pensiero, abbia ippocratizzato a proprio piacimento» (pp. 312-313). Resta comunque il fatto che, al di là delle letture di parte, «per tutto il Settecento la vocazione all’ippocratismo si sposa con le aspirazioni di chi avverte la necessità di una rifondazione teorica, epistemologica e terapeutica della medicina, in grado di ridotarla di quella unità, coerenza e certezza che pare perduta di fronte al pullulare di tendenze e teorie profondamente eterogenee e in reciproco contrasto» (p. 313). Il rapporto della medicina settecentesca con Ippocrate costituisce forse il più importante piano di lettura di questo bel libro, ma sicuramente non l’unico, in quanto esso fornisce tutta una serie di spunti che vanno ben al di là di quello che abbiamo scelto. Si potrebbe, per esempio, prendere come alternativa un taglio che privilegi il rapporto tra anima e corpo e la conseguente nascita della psicologia scientifica, oppure una lettura concentrata sui testi del Corpus Hippocraticum che evidenzi la ricchezza di suggerimenti in essi contenuti, o anche il puro e semplice percorso compiuto dalla medicina del Settecento nel tentativo di chiarire a se stessa e agli altri le strade da intraprendere. Si tratta insomma di un libro estremamente ricco, capace di sollecitare, e di soddisfare, interessi e curiosità diverse. Marco Sgarbi Cosa significa scrivere una storia della tradizione? Il caso dello scetticismo M. DE CARO, E. SPINELLI (a cura di), Scetticismo: Una vicenda filosofica, Carocci, Roma 2007, 298 pp. Che cosa significa scrivere una storia della tradizione? In particolar modo che cosa significa scrivere una storia delle tradizioni filosofiche? Scrivere la storia di una tradizione ad un primo approccio potrebbe essere simile a scrivere la storia di un’idea. Una tradizione filosofica, intesa nel senso di un insieme di dottrine coerenti, è come un’idea che, pur cambiando le sue espressioni esteriori, rimane sempre la stessa nel corso della storia. Una storia di una tradizione filosofica sarebbe la storia di tracce più o meno nascoste, di incontri più o meno mancati di dottrine, di pensieri dotati di una indiscutibile unità concettuale. Scrivere una storia della tradizione sarebbe ritrovare la transizione continua ed insensibile che collega con graduali passaggi le dottrine filosofiche a ciò che le precede, al momento presente e a ciò che le segue. Un tale tipo di storia della tradizione neutralizza però la specificità e l’originalità del pensiero dell’autore: esso perde la propria identità ed è ricondotto all’interno dell’insieme delle dottrine che compongono la tradizione. Se si pensa alla storia delle due più grandi tradizioni filosofiche occidentali, il Platonismo e l’Aristotelismo, sono facilmente riconducibili a pochi postulati che sono così ampi e generici che possono essere applicati a qualsiasi filosofo della storia; per esempio la teoria delle idee e l’opposizione sensibile-intellettuale per il primo o la multivocità dell’essere e il primato della teoresi sulla prassi per il secondo. La storia di una tradizione diviene così la storia di una continuità artificiale che uno storico elabora e crea a sua discrezione. Non è questo sicuramente il miglior 22_Varia_7.QXD 12-05-2008 11:12 Pagina 577 Note Cronache Recensioni modo di scrivere una storia di una tradizione. Infatti, scrivere la storia di una tradizione non significa solo riconoscere i tratti comuni di vari filosofi con un determinato insieme di teorie ma significa individuare all’interno della tradizione stessa gli elementi di novità e di originalità che un autore ha portato. Come scrive Tom Rockmore nella sua storia della tradizione kantiana nel XX secolo, non è tanto interessante trattare gli argomenti che continuano e riprendono l’opera di Kant quanto indagare quei pensieri che, partendo da presupposti kantiani, diventano autonomi. Scrivere, per esempio, una storia dell’aristotelismo non significa perciò rintracciare dottrine aristoteliche nei vari autori della storia della filosofia, ma individuare quei pensieri aristotelici che nella storia diventano indipendenti dal pensiero di Aristotele. La storia di una tradizione non coincide però con la storia della critica, la quale considera in modo esclusivamente negativo il contributo della tradizione filosofica. La storia di una tradizione ha come primo obiettivo l’indagine del livello di profondità interpretativa con il quale un filosofo ha affrontato la tradizione. Collocare Kant, ad esempio, nella tradizione aristotelica non significa semplicemente individuare se nel pensiero kantiano ci sono delle dottrine aristoteliche ma significa capire in che modo il filosofo di Königsberg ha ricevuto la tradizione filosofica aristotelica e l’ha rielaborata. In questo senso la storia di una tradizione non può prescindere dalla storia delle fonti (Quellengeschichte). A differenza della storia della tradizione platonica e aristotelica, che sono confinate nell’ambito della filosofia, la storia della tradizione scettica apre gli orizzonti ad approcci disciplinari anche diversi dalla filosofia, come la letteratura, la religione e la scienza. Scrivere una storia completa della tradizione scettica è così un’impresa pressoché impossibile e necessita una competenza interdisciplinare ed una capacità di coesione argomentativa che forse solo Michael Albrecht, nel suo articolo 577 Skepsis, Skeptizismus per l’Historisches Wörterbuch der Philosophie (Schwabe, Basel 1995, vol. 9, pp. 938-974), è riuscito a raggiungere. Albrecht, tuttavia, per raggiungere la tanto auspicata completezza ed esaustività, ha scritto la storia della tradizione dello scetticismo in modo dossografico, cioè analizzando tutte le occorrenze pervenute del concetto nella storia della filosofia. Il risultato dal punto di vista teorico è che lo scetticismo sembra essere una dottrina monolitica ben stabilita che con piccole variazioni attraversa tutta la storia della cultura occidentale. La storia della tradizione scettica proposta da Mario De Caro ed Emidio Spinelli in Scetticismo: Una vicenda filosofica, invece, analizza, secondo le più moderne metodologie storiografiche, i momenti più significativi della tradizione scettica. Il problema, come dice Michel Foucault nell’Archéologie du savoir, non è più quello della tradizione e della traccia, ma quello della frattura e del limite, non è più quello del fondamento che si perpetua, ma quello delle trasformazioni che valgono come fondazione e rinnovamento delle fondazioni. Il merito principale del libro è quindi la sua fondazione teorica, la scelta di indagare le fratture del pensiero filosofico dalle quali emergono i problemi filosofici. La storia della tradizione dello scetticismo di De Caro e Spinelli diviene così la storia del problema dello scetticismo. Lo scetticismo pone delle domande alle quali i filosofi nella storia hanno dato la loro risposta. I curatori del volume hanno scelto di investigare in particolare la risposta epistemologica a ciò che loro chiamano la sfida scettica (p. 9). La risposta non è tuttavia una ed univoca, ed è questo il motivo per il quale nell’introduzione non si parla di scetticismo al singolare ma di «forme dello scetticismo». L’approccio adottato dai curatori è simile a quello di Robert W. Sharples per la sua storia della tradizione aristotelica in Whose Aristotle? Whose Aristotelianism? (Ashgate, Aldershot 2001). I dieci saggi che compongono il volume 22_Varia_7.QXD 12-05-2008 578 11:12 Pagina 578 Varia sono divisi in tre sezioni. La prima sezione indaga lo scetticismo dall’Antichità al Rinascimento con i saggi di Emidio Spinelli, Alfonso Maierù e Luisa Valente e Gianni Paganini, la seconda l’età moderna con i contributi di Paola Rodano, Eugenio Lecaldano e Cinzia Ferrini, mentre l’ultima parte l’età contemporanea con gli articoli di Massimo Dell’Utri, Maria Rosaria Egidi, Annalisa Coliva e Mario De Caro. Il filo conduttore degli articoli è ciò che i curatori chiamano il «dubbio scettico». Secondo le linee generali esposte nell’introduzione, il dubbio scettico è: 1) teoreticamente invalicabile, cioè non pone le condizioni per il proprio superamento; 2) artificioso; 3) assolutamente radicale, cioè non è propedeutico ad alcuna conoscenza. Se questi sono i presupposti fondamentali della sfida epistemologica scettica, alcuni autori trattati nel libro sembrano non possedere tutte queste caratteristiche. Si pensi in particolar modo a Cartesio e a Kant. Il primo non soddisfa la prima condizione. Lo scetticismo di Cartesio pone in se stesso le condizioni del proprio superamento nella fondazione metafisica dell’Io. Il secondo, invece, non soddisfa la terza condizione, perché Kant concepisce lo scetticismo proprio come un momento propedeutico per una fondazione logico-epistemica dell’Io. A parte questo piccolo rilievo critico, tutti i saggi del testo si distinguono per la novità delle tesi esposte, specialmente l’articolo di Spinelli sullo scetticismo antico e quello di Maierù-Valente sulle istanze scettiche nel Medioevo. Gli ultimi quattro articoli, invece, di carattere più teoretico che storico, colmano una notevole lacuna nella bibliografia italiana degli studi scettici esaminando la filosofia contemporanea analitica e della mente. Per ultimo, non si può dimenticare il vastissimo apparato bibliografico finale, il più ampio al momento in circolazione, che correda il libro e lo rende un ottimo strumento di consultazione. La forza del libro non risiede solo nel suo forte impegno teorico, ma anche nella capacità di creare una coesione all’interno dei vari articoli anche molto diversi fra loro. I curatori hanno sicuramente il grande merito di aver concepito questo testo, ma anche l’editore Carocci ha avuto molta lungimiranza nell’appoggiare questo progetto. Si auspica che l’iniziativa non sia isolata ma che accanto a Scetticismo vedremo presto sugli scaffali delle nostre librerie anche monografie dedicate al platonismo e all’aristotelismo. Marco Sgarbi Kant costruttivista e fenomenologo T. ROCKMORE, In Kant’s Wake: Philosophy in the Twentieth Century, Blackwell Publishing, Malden-Oxford-Carlton 2006, 213 pp. e T. ROCKMORE, Kant and Idealism, Yale University Press, Yale 2007, 286 pp. Sono varie le prospettive e le interpretazioni attraverso le quali è stato letto il pensiero di Kant nel mondo anglosassone. Si pensi ad esempio all’influente interpretazione idealistica elaborata da Henry E. Allison in Kant’s Transcendental Idealism (1981), alla posizione psicologistica di Patricia Kitcher in Kant Transcendental Psychology (1989), al realismo trascendentale di Kenneth Westphal in Kant’s Trascendental Proof of Realism (2004), al rappresentazionalismo di Richard Aquila in Representational Mind: A Study of Kant’s Theory of Knowledge (1983) e alle diverse monografie di Paul Guyer. Tutte queste interpretazioni si distinguono per una spiccata importanza che danno, probabilmente sotto l’influenza dell’esegesi di Peter F. Strawson, alla teoria epistemologica kantiana; sono tutti testi che si presentano come un commento all’estetica e all’analitica trascendentale della Kritik der reinen Vernunft. All’interno di questa linea interpretativa del pensiero kantiano è emersa recentemente, e sta assumendo sempre più rilevanza, la posizione fenomenologo-costruttivista di Tom Rockmore.