L`Unione Europea e l`energia

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L’UNIONE EUROPEA E
L’ENERGIA:
DIPENDENZA ESTERNA E
SICUREZZA ENERGETICA
SILVIA DONNARI
32 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 6/2010
a breve analisi che segue intende focalizzare
l’attenzione sul fabbisogno energetico dei
Paesi dell’UE, sugli sbilanciamenti tra esigenze
e disponibilità, sugli approvvigionamenti esterni
dell’Unione, per poi tracciare un quadro di sintesi
sulla dipendenza esterna dell’UE in tema di
energia. Lo studio si concentrerà essenzialmente
sulle due fonti primarie del petrolio e del gas
naturale, la cui costante disponibilità e il cui
agevole nonché immediato approvvigionamento
costituiscono fattore irrinunciabile dello sviluppo
delle economie più avanzate.
Il fabbisogno energetico dei Paesi dell’UE. Quando
il primo embrione di comunità europea iniziò il
suo lento avanzare verso l’integrazione fra Stati
sovrani (CECA, EURATOM) – che diverrà, nel
corso degli anni, sempre più estesa e complessa
– le esigenze di approvvigionamento energetico
erano alquanto circoscritte, ben definite e generalmente condivise: il carbone e l’atomo.
In seguito, dette esigenze sono divenute sempre
più multiformi e disomogenee, sia per effetto di
politiche energetiche individualistiche, sia per
effetto dei successivi allargamenti, che hanno
visto tra l’altro affiancarsi ai Paesi della “vecchia
Europa” i vicini dell’est europeo con il loro
retaggio di fonti energetiche tradizionali e
strutture alquanto obsolete.
In merito alle fonti, occorre premettere che le
grandi concentrazioni di risorse energetiche, per
quelli che sono i valori e le stime sino ad oggi
resi noti1, sono disomogeneamente localizzate
in poche aree geografiche del pianeta.
In tale contesto, l’Unione Europea non produce
nemmeno la metà dell’energia che consuma. Il
petrolio costituisce la risorsa più importata con
una percentuale del 60%, seguita dal gas al
26% e dal carbone al 13%, mentre risorse rinnovabili ed elettricità rimangono basse all’1%2.
La dipendenza energetica non rappresenta di
per sé un grave problema per gli europei, ma lo
L
1
2
Alcuni Paesi, come l’Arabia Saudita, hanno la propensione a
mantenere segrete le stime delle loro riserve di idrocarburi.
Eurostat.
PAMORAMA INTERNAZIONALE 33
diventa laddove, in un contesto di sempre maggiore competitività a livello mondiale, le risorse
energetiche che vengono importate si circoscrivono ad una serie di Paesi produttori o di transito
caratterizzati da regimi politici che presentano
un considerevole deficit di democrazia o comunque fortemente instabili.
Al suo interno, l’UE utilizza anche petrolio proveniente dalla Danimarca e dal Regno Unito,
ma questo rappresenta meno di un quarto del
petrolio che consuma. La situazione del gas
risulta essere più soddisfacente, in quanto Paesi
Bassi e Regno Unito forniscono circa un terzo
del fabbisogno europeo. Anche se la dipendenza
complessiva dalle importazioni di petrolio e gas
appare elevata, le singole situazioni nazionali
sono ben diversificate: la Danimarca è assolutamente indipendente da altri Stati; il Regno Unito
e la Polonia importano circa il 20% del loro fabbisogno, mentre Paesi come Spagna, Portogallo
e Italia necessitano di importazioni che vanno
oltre l’80%; infine, piccoli Stati membri dell’UE,
come il Lussemburgo, Malta e Cipro, sono totalmente dipendenti dall’estero3. La Tab.1 presenta
l’evoluzione della dipendenza energetica dei
paesi UE nel corso di un decennio.
Tab. 1. Dipendenza energetica UE
(petrolio e gas)
Paese
Belgio
Bulgaria
Repubblica Ceca
Danimarca
Germania
Estonia
Irlanda
Grecia
Spagna
Francia
Italia
Cipro
3
Anno 1997
77.0%
52.7%
24.7%
17.0%
60.0%
34.2%
77.3%
66.9%
72.0%
48.8%
81.0%
98.3%
Anno 2006
77.9%
46.2%
28.0%
-36.8%
61.3%
33.5%
90.9%
71.9%
81.4%
51.4%
86.8%
102.5%
European Commission Energy Statistics Pocketbook 2007.
34 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 6/2010
Lettonia
Lituania
Lussemburgo
Ungheria
Malta
Paesi Bassi
Austria
Polonia
Portogallo
Romania
Slovenia
Slovacchia
Finlandia
Svezia
Regno Unito
Totale UE 27
60.0%
56.7%
98.4%
52.8%
100.0%
26.8%
67.3%
6.5%
84.1%
32.6%
55.3%
74.3%
56.1%
38.4%
-15.4%
45.0%
65.7%
64.0%
98.9%
62.5%
100.0%
38.0%
72.9%
19.9%
83.1%
29.1%
52.1%
64%
54.6%
37.4%
21.3%
53.8%
Fonte: Eurostat, A.A.V.V., Energie: quelle stratégie pour l’Union
Européenne, Documents d’information de l’Assemblée nationale, Paris, 2009.
http://www.assemblee-nationale.fr/13/europe/rapinfo/i1655.asp
Ciò premesso, di seguito verranno brevemente
trattati i flussi energetici che adducono alle
frontiere dell’UE, poiché essi rappresentano –
nel quadro dell’energy security – l’aspetto più
sensibile della dipendenza energetica dell’Unione
in quanto tale.
I flussi energetici verso l’UE. Nei mari del nord
Europa sono presenti le più significative riserve
di idrocarburi del continente; i flussi energetici
che da nord adducono alle frontiere dell’Unione
Europea – e che quindi creano dipendenza
esterna – afferiscono tutti al solo Regno di
Norvegia. La Norvegia non fa parte dell’OPEC,
né aderisce ad alcun altro cartello; il Paese è
sempre stato sin dal 1970, quando furono
scoperti i primi giacimenti petroliferi, estremamente indipendente nella gestione delle sue
risorse energetiche. Il timore di dover sottostare
alle regolamentazioni UE ha spinto l’opinione
pubblica norvegese ad esprimere a maggioranza
una netta opposizione al suo ingresso nell’Unione
(referendum del 1994). E non risulta che tale situazione sia mutata a tutt’oggi.
La Norvegia è il secondo Paese al mondo (dopo
la Russia) esportatore netto di gas e il settimo
(ad iniziare dall’Arabia Saudita) quale esportatore
di petrolio4. L’attività estrattiva è unicamente
offshore ed è concentrata essenzialmente nel
Mare del Nord (nella più grande piattaforma
d’Europa, denominata Troll, a largo di Stavanger),
nel Mare di Norvegia (a largo di Bergen, nella
piattaforma Ormen Lange) e nel Mar di Barents
(piattaforma in sviluppo, denominata Snohvit,
nel bacino di Hammerfest). Agli idrocarburi norvegesi sono, in diversa misura, interessati tutti i
Paesi UE. In particolare, il Regno Unito è il maggiore importatore del Brent norvegese (35 %),
mentre la Germania e la Francia, rispettivamente
con il 30% e il 20%, sono i maggiori consumatori
di gas naturale proveniente dalla Norvegia.
Il segmento gasifero è quello destinato a ricoprire
la maggiore valenza strategica per l’UE; esso
rappresenta una valida alternativa energetica
per l’Europa sotto il profilo sia economico che
politico. Infatti, le consistenti riserve ubicate
sopra il circolo polare artico norvegese, oltre ad
essere vicine ai mercati di consumo, possono
avere una forte incidenza nella negoziazione di
analoghe forniture con la Russia, con i Paesi
dell’Asia Centrale e del Nord Africa.
Muovendo verso est/sud-est, le fonti primarie di
energia di interesse dell’Unione sono essenzialmente
ubicate nella Siberia occidentale, nella vasta area
attorno al Mar Caspio (Repubbliche centroasiatiche incluse) e nella regione del Golfo Persico
nella sua più ampia accezione. Dette fonti sono
in gran parte controllate - direttamente o indirettamente - dalla Russia, ad eccezione di quelle
appartenenti al cartello OPEC o, più specificatamente, all’organizzazione parallela OAPEC ( Organization of Arab Petroleum Exporting Countries)5.
In tale contesto, quindi, non vi è dubbio che uno
dei maggiori player tra i Paesi fornitori di petrolio
e gas – se non il maggiore – sia la Russia, non
4
5
6
solo in virtù della sua cospicua disponibilità di
risorse energetiche, ma anche - e soprattutto per il suo peso politico. L’industria russa si sviluppa
inizialmente (primi dell’’800) lontano dai mercati
internazionali; solo dopo il secondo conflitto
mondiale, la Russia amplia il suo mercato al cosiddetto “estero vicino”, ossia ai Paesi satelliti del
Patto di Varsavia. Viene così dato inizio allo
sviluppo di una rete di oleodotti finalizzati a convogliare la produzione verso i mercati di esportazione. Particolarmente estesa e capillare sarà la
rete di oleodotti chiamata Druzba, ovvero “Amicizia”;
ancora attiva anche se obsoleta, costituisce l’ossatura del sistema di approvvigionamento di
greggio, soprattutto per gli ex Paesi satelliti dell’URSS o altrimenti detti la “nuova Europa”.6
Congiuntamente si sviluppa anche la produzione,
e l’espansione sui mercati, di gas naturale. Con
la dissoluzione dell’URSS e l’avvio delle cosiddette
“privatizzazioni spontanee”, la società russa più
forte e politicamente supportata – la Gazprom,
holding detenuta per il 51% dallo Stato –
riassorbe tutte le imprese del gas e gran parte
di quelle petrolifere. La Russia non ha mai
aderito all’OPEC; la sua posizione di free rider
nel mercato del greggio – non dissimile, in
Europa, da quella della Norvegia – garantisce
alla Russia tutti i vantaggi del prezzo OPEC,
senza essere costretta nel contempo ad operare
alcun contenimento della sua produzione.
Per quanto riguarda più specificatamente l’esportazione di gas naturale, sono agli esordi due
imponenti progetti. Un gasdotto sottomarino a
status europeo, denominato North Stream, che
dai pressi di San Pietroburgo veicolerà il gas
russo attraverso il Mar Baltico sino alla costa
tedesca, evitando così Paesi (come la Bielorussia)
che in passato hanno creato problemi per il
transito.
Il secondo gasdotto, denominato South Stream
e sviluppato congiuntamente da Gazprom ed
www.amb-Norvegia.it, sito ufficiale dell’Ambasciata del Regno di Norvegia a Roma.
http://www.oapecorg.org/
Colitti Marcello, Russia ed Europa di fronte ai problemi dell’energia, L’Europa e la Russia a vent’anni dall’89, Rapporto sull’integrazione europea, Fondazione Istituto Gramsci, CeSPI, 2009.
PAMORAMA INTERNAZIONALE 35
In apertura: raffineria con annessi depositi di petrolio visti dall'alto - www.ambienteambienti.com
Sopra: il parlamento europeo al lavoro sul potenziamento delle infrastrutture energetiche in tutto il continente
ENI, connetterà direttamente Unione Europea e
Russia, aggirando molto opportunamente ogni
Paese di transito extra comunitario, come ad
esempio l’Ucraina che, a più riprese, ha causato
non poche interferenze sui flussi diretti in Europa.
Occorre tuttavia tenere presente che – in tema
di esportazione di idrocarburi – la Russia è altresì
l’unico Paese al mondo cerniera tra due continenti:
l’Europa e l’Asia e la domanda di petrolio e gas
aumenta in Asia (segnatamente in India e Cina)
a ritmi ben più sostenuti che in Europa. Rientrerebbero sicuramente nella contesa Asia – Europa
i ricchi giacimenti della regione del Caspio. I più
estesi giacimenti, almeno quelli sino ad ora accertati, sono concentrati essenzialmente nelle
regioni offshore al largo dell’Azerbaijan e all’interno
dei territori del Kazakhstan, e in minor quantità
nel Turkmenistan e nell’Uzbekistan. Per quanto
riguarda la regione del Golfo Persico, le relazioni
7
8
tra l’Unione Europea e i Paesi situati nel Golfo
(segnatamente, Bahrain, Iran, Iraq, Kuwait, Oman,
Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) si fondano essenzialmente sul Cooperation Agreement
sottoscritto nel 1988.
L’Arabia Saudita, tradizionale biggest petroleum
exporter dell’area, veicola attualmente verso i
Paesi UE oltre il 10% delle sue esportazioni,
seguita dall’Iran (oltre il 7 %) e dall’Iraq (circa il 3
%), pur tenendo conto che quest’ultimi due Paesi
risentono del perdurare di una certa instabilità
interna ed esterna7.In particolare, l’Iran possiede
le maggiori riserve mondiali di gas dopo la Russia
e, per tale motivo, potrebbe giocare un ruolo
fondamentale nel rifornimento energetico dell’UE,
in competizione con gli idrocarburi russi.
In tale contesto è in sviluppo il progetto di un
nuovo gasdotto, denominato Nabucco, che partendo dalla Turchia è destinato a rifornire l’Europa
Fonte: Eurostat, L’Unione Europea e la Russia, edizione 2007 (Dati 1995 – 2005).
www.nabucco-pipeline.com
36 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 6/2010
attraverso i Balcani e bypassando Ucraina e
Russia8; ciò costituisce una svolta significativa
se si pensa che l’Unione Europea ha sinora preferito utilizzare il sistema dei gasdotti russi piuttosto che costruire nuovi collegamenti con il
gas iraniano, tra l’altro molto più economico9.
Guardando a sud del Mediterraneo, l’Unione
Europea – nella sua azione esterna verso il
“vicino estero” - ha tradizionalmente intensificato
i suoi rapporti con i Paesi della sponda sud attraverso vari esercizi (Euro-Mediterranean Partnership (EMP), European Neighbourhood Policy
(ENP), Union pour la Mediterranée). Attualmente,
gran parte del fabbisogno energetico dell’UE
proviene proprio da un esiguo gruppo di Paesi
della sponda meridionale del Mediterraneo.
L’Algeria – uno dei partner più attivi e collaborativi in ambito EMP – risulta essere il quarto
Paese produttore di petrolio in Africa, dopo
Nigeria, Libia e Angola, nonché il maggiore fornitore del continente di gas liquefatto (GNL).
Per quanto riguarda il gas naturale estratto dal
sottosuolo, l’Algeria si attesta come sesto produttore mondiale, dopo Russia, Stati Uniti,
Canada, Iran e Norvegia10.
I principali legami politici e commerciali dell’Algeria
sono certamente quelli intrapresi con l’Italia, la
Francia, la Spagna e la Germania, destinatari di
circa il 90% della produzione di petrolio e del
65% di quella del gas naturale. La posizione dominante nella gestione degli idrocarburi algerini
è detenuta dalla compagnia di stato Sonatrach;
l’ENI è il più importante partner europeo, che ha
saputo peraltro mantenere solidi legami di partnership anche negli anni di più cruento terrorismo
islamico11.
Il petrolio proviene in gran parte dal giant di
Hassi Messaoud, un esteso giacimento a 850
9
10
11
12
Km a sud-est di Algeri. Per quanto riguarda il
gas naturale, un quarto del prodotto proviene
dal vasto giacimento di Hassi R’Mel (scoperto
nel 1956), un hub cruciale per l’esportazione,
raccordato anche con il citato giant petrolifero
di Hassi Messaoud.
Di rilievo l’accordo recentemente sottoscritto
(febbraio 2009) da Sonatrach con la Nigerian
National Petroleum Corporation (NNPC) per la
costruzione di oltre 4000 Km di gasdotto – denominato Trans-Saharian Pipeline – che dalla
Nigeria raggiungerà l’hub di Hassi R’Mel per
immettere, attraverso la rete algerina, il gas nigeriano sul mercato europeo.
La Libia è l’altro grande produttore di idrocarburi
del nord Africa; il Paese detiene le più estese
riserve di petrolio del continente africano, seguito
da Nigeria, Algeria, Angola e Sudan; l’80% di
dette riserve sono ubicate offshore nel Golfo
della Sirte.
Importante partner della compagnia libica di
Stato, la National Oil Company (NOC), è l’ENI
che – presente in Libia per le attività di esplorazione e produzione di idrocarburi sin dal 1959 –
partecipa ai progetti in atto, pressoché ovunque
in quota 50% con la NOC.
La maggior parte del petrolio libico è destinato
ai Paesi UE (Italia 35%, Germania 14%, Francia
9%, Spagna 8%)12. L’esistente gasdotto Greenstream, costituisce l’arteria principale che convoglia il gas proveniente dai giacimenti di Wafa
(onshore nel deserto libico) e di Bahr Essalam
(offshore) verso l’ hub di Mellitah sulla costa e,
da qui, attraverso il canale di Sicilia raggiunge
l’Italia e il resto d’Europa. Trattasi di un gasdotto
operato da ENI (quota 75%) e NOC (quota 25%),
realizzato in tempi rapidissimi (agosto 2003febbraio 2004), che con i suoi 520 Km risulta
Il 14 luglio 2009 è stato firmato ad Ankara l’accordo intergovernativo con cinque dei sei Paesi coinvolti nel progetto:
Turchia, Austria, Ungheria, Bulgaria e Romania. In realtà anche la Germania, pur non essendo un Paese di transito, ha
partecipato alla ratifica. All’evento hanno preso parte rappresentanti di circa venti Paesi ed il Presidente della Commissione
Europea, Barroso. I lavori inizieranno nel 2010 per giungere ad avere le prime consegne nel 2014.
www.eia.doe.org
Il Fronte Islamico di Salvezza (FIS) con il suo braccio armato GIA ha terrorizzato la società algerina a partire dalle
controverse elezioni politiche del 1991, ma – paradossalmente – non ha mai attaccato le infrastrutture dedite all’attività
estrattiva e distributiva degli idrocarburi, infrastrutture peraltro soggette ad uno stretto controllo militare.
Dati forniti dal Global Trade Atlas 2008.
PAMORAMA INTERNAZIONALE 37
attualmente il più lungo gasdotto che attraversa
il Mediterraneo.
Altro Paese “cornerstone” che incide notevolmente
sui flussi energetici mediterranei è l’Egitto, non
tanto per il volume di idrocarburi prodotti, ma
per la sua rilevante posizione strategica di
cerniera tra i Paesi produttori maghrebini e
quelli del Golfo Persico13. Infatti, oltre a controllare
navi petroliere e carriers che trasportano gas liquefatto attraverso il canale di Suez, costituisce
uno snodo vitale per vie alternative al canale.
La dipendenza esterna dell’UE: quadro di sintesi.
L’esame sin qui condotto del fabbisogno energetico dei Paesi UE, della loro autosufficienza o
dipendenza da flussi di energia provenienti dall’esterno consente infine di tracciare una visione
d’insieme dell’Europa a 27 e di esprimere alcune
brevi considerazioni.
Come premesso all’inizio, l’Unione presenta una
forte dipendenza in tema di energia; circa il
54% del fabbisogno di petrolio e gas proviene
dall’esterno, con un trend che – in assenza di rivoluzionarie politiche e/o svolte tecnologiche –
è destinato ad attestarsi attorno al 70% nel
203014.
Al momento, la risorsa più importata è il petrolio
(60% del fabbisogno complessivo), ma si sta già
registrando una sorta di inversione di tendenza
che vede in rapida ascesa l’esigenza di gas
naturale (attualmente al 26%), fonte di energia
relativamente più pulita, di più economico trasporto e di più capillare diffusione.
Preso atto dei presumibili trend del fabbisogno
di petrolio e gas, l’UE vede dipendere i suoi approvvigionamenti da un ristretto numero di cosiddetti big suppliers (vds.Tab. 2 e 3): il petrolio
viene importato da Paesi OPEC (principalmente
dall’Arabia Saudita) per il 38%, dalla Russia per
il 33% e dalla Norvegia per il 16%; il gas proviene
anch’esso dalla Russia per il 42% e dalla Norvegia
per il 24%, alle quali si affianca l’Algeria per il
13
14
18% e con un ruolo in ascesa, soprattutto
quando sarà connessa alla Nigeria con la TranSaharan Pipeline.
Tabella 2
Fonte: Eurostat, A.A.V.V., Energie: quelle stratégie pour l’Union
Européenne, Documents d’information de l’Assemblée nationale, Paris, 2009.
http://www.assemblee-nationale.fr/13/europe/rapinfo/i1655.asp
Tabella 3
Fonte: Eurostat, A.A.V.V., Energie: quelle stratégie pour l’Union
Européenne, Documents d’information de l’Assemblée nationale, Paris, 2009.
http://www.assemblee-nationale.fr/13/europe/rapinfo/i1655.asp
In effetti le esportazioni di idrocarburi egiziani, con il crescere della domanda interna, sono venute ad assottigliarsi per il
petrolio, la cui produzione è oramai pari al consumo domestico, mentre rimangono significative per il gas naturale che
esporta in gran parte in Israele. Parimenti significative sono le quantità di GNL convogliate verso l’Europa. www.eia.doe.gov
Eurostat.
38 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 6/2010
Russia e Norvegia sono considerati free riders,
non legati ad alcun cartello, liberi di determinare
prezzi e quantità da produrre, anche se in realtà
subiscono comunque una qualche influenza dal
cartello OPEC.
Con riferimento ai citati big suppliers, si comprenderà che, in fatto di “uso politico” delle
risorse energetiche, Russia e Norvegia sono agli
antipodi, sotto l’aspetto geoeconomico, geopolitico
e geostrategico. La Norvegia è il più solido Paese
europeo per larga disponibilità di idrocarburi,
affidabilità, accurata gestione e moderne infrastrutture; applica da tempo molti degli acquis
communitaires, compresa
la legislazione sul mercato
interno dell’energia. La Federazione Russa presenta
un retaggio storico nella
gestione dei suoi idrocarburi
che traspare nel suo risoluto
e talvolta discutibile atteggiamento, sia verso i Paesi
consumatori (in particolare
nei confronti degli ex Stati
satelliti), sia verso i Paesi
di transito delle sue risorse
energetiche. Il quadro è
reso ancor più complesso dall’intreccio di interessi
che lega il Cremlino alla compagnia di Stato
Gazprom, che in sostanza è uno “Stato nello
Stato”. Altrettanto non può dirsi dell’Algeria,
anche se la potente Sonatrach non è certo
immune dall’influenzare le scelte politiche della
leadership algerina; il Paese è legato all’Unione
Europea da oltre un decennio di partnership
mediterranea ed i suoi rapporti economici con
l’UE sono stabili e proficui.
Anche i Paesi OPEC – dopo essersi resi protagonisti
degli shocks petroliferi degli anni ’70 – hanno
dimostrato un accettabile grado di affidabilità,
soprattutto quelli appartenenti al Gulf Cooperation
Council; i problemi rimangono circoscritti alla
15
ciclica oscillazione dei prezzi in funzione degli
investimenti nel settore energetico.
Da quanto argomentato emerge che la dipendenza
energetica dell’Europa a 27 da forniture esterne
non sempre implica situazioni di vulnerabilità. Il
rischio di un’interruzione degli approvvigionamenti
esiste in presenza di uno spregiudicato “uso politico” dell’energia, sia nei confronti dei Paesi
consumatori, sia verso Paesi di transito, talvolta
afflitti da frozen conflicts (come, ad esempio,
Georgia e Azerbaijan) o, comunque, da contrasti
con il potere dominante.
In tale quadro, la questione dell’energy supply
security – intesa come garanzia che l’energia
sia disponibile, in quantità sufficiente ed adeguata,
sul luogo di impiego a prezzi ragionevoli –
assume un ruolo centrale nel contesto della
global security dell’Unione e come tale dovrebbe
essere considerata nel quadro della European
Security Strategy, nel cui testo (del 2003) limitarsi
ad enunciare che “energy dependance is a special
concern for Europe” sembra davvero irrilevante.
E anche il suo aggiornamento15, pur prendendo
atto che “negli ultimi cinque anni sono aumentate
le preoccupazioni per la dipendenza energetica”,
non sembra aggiungere alcuna particolare linea
d’azione, oltre al generico richiamo ad una maggiore solidarietà fra Stati membri.

Consiglio dell’Unione Europea.”Relazione sull’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza – garantire la
sicurezza in un mondo in piena evoluzione”. Bruxelles, 11 dicembre 2008.
PAMORAMA INTERNAZIONALE 39
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