A.R.I.F.S. Associazione per Ricerca e Insegnamento di Filosofia e

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A.R.I.F.S.
Associazione per Ricerca e Insegnamento di Filosofia e Storia
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Vogliamo ricordare Norberto Bobbio - che ha fatto parte del Comitato Scientifico dell'Arifs - attraverso le
parole di una conferenza sul pensiero politico di Hobbes, da lui tenuta a Brescia per un pubblico di studenti
di scuola superiore il 20 marzo 1987. Il testo, che non è stato rivisto dall'autore e conserva i caratteri della
conversazione, ci rioffre vivo il suo pensiero.
Il pensiero politico di Hobbes.
Sono stato ringraziato e ricambio il ringraziamento, perché questa è stata un'occasione per ritornare a fare una lezione: io sono un filosofo in pensione
e da anni non faccio più lezione all'Università. Questa è una nuova occasione per parlare a dei giovani; spero soltanto, data la mia età, che non sia
l'ultima.
Filosofia politica di Hobbes: io ho scritto alcuni saggi su Hobbes molti anni fa, perché ho considerato
Hobbes un classico della filosofia politica.
Che cosa s'intende per classico? Perché noi consideriamo alcuni autori come classici? Io direi brevemente
che classico è quell'autore che è sempre attuale, vale a dire che ogni tempo riprende in considerazione,
discute ed interpreta, anche se le interpretazioni possono variare di tempo in tempo. Se voi mi chiedete
quanti per me sono i classici della filosofia politica, direi che non sono moltissimi; non dico che li tengo tutti
nelle dita delle mani, ne aggiungerci tutt'al più una terza. Quindi, se io considero Hobbes come un classico, è
perché lo considero uno dei pochi filosofi politici che ha sempre qualche cosa da insegnarci. Il classico è
colui che rispecchia in modo esemplare, paradigmatico, il proprio tempo: Aristotele, la polis greca; Marsilio
da Padova (probabilmente avete sentito che ci sarà una lezione su Marsilio) rappresenta il grande conflitto tra
Stato e Chiesa; Machiavelli, la distinzione tra politica e morale, l'autonomia della politica rispetto alla
morale; Montesquieu, la crisi dell'antico regime e la nascita degli Stati costituzionali; Kant, lo stato di diritto;
Marx, il rapporto tra economia e politica, tra struttura e sovrastruttura; e, siccome ho sentito che ci sarà una
lezione anche su Max Weber, Max Weber, che io considero l'unico grande classico di questo secolo,
rispecchia il grande tema della burocratizzazione pubblica, cui egli vedeva destinata la società
contemporanea sia degli stati democratici sia di quelli collettivisti che nascevano all'epoca, quello che lui
chiamava la "gabbia d'acciaio".
Hobbes che cosa rappresenta? Hobbes rappresenta la prima grande teoria dello Stato moderno, dello Stato
moderno territoriale che nasce dalla crisi della società medievale, condotta con un metodo razionale. La
teoria di Hobbes è una teoria razionale della politica, in cui il problema politico è visto come un problema
che dev'essere risolto attraverso la ragione, senza fare appello a autorità trascendenti, perché lo Stato secondo
Hobbes, il potere secondo Hobbes, è un potere umano e creato dall'uomo. Lo Stato è per Hobbes - voi che
avete letto questi saggi lo sapete benissimo - un uomo artificiale, è un uomo fatto dagli uomini, è un uomo in
grande, tant'è vero che la copertina del Leviatano riproduce il Sovrano che è un corpo con la corona,
costituito da tanti piccoli uomini, lo Stato, in quanto uomo artificiale, è una macchina, e le macchine sono
create dagli uomini; è una macchina che gli uomini hanno creato per poter convivere pacificamente; Hobbes
dice: "E' la macchina delle macchine, machina machinarum".
Come ho detto, lo Stato moderno nasce nell'epoca di Hobbes e nasce dalla dissoluzione della società
medievale. La società medievale era una società insieme (scusate se dico delle cose semplici e molto banali
che evidentemente tutti sapete, ma bisogna riassumere, stringere) universalistica verso l'alto e particolaristica
verso il basso. Lo Stato territoriale moderno nasce dalla unificazione verso il basso di questa società
particolaristica, e dall'emancipazione verso l'alto, verso la società universalistica. Vale a dire: la società
medievale passava dall'universalità di un impero alla frammentazione dei feudi, dei comuni, di popolazioni;
l'età moderna é qualche cosa che si ferma a mezza strada, è un'unificazione rispetto al basso, ma è nello
stesso tempo una emancipazione o liberazione verso l'alto. Il concetto fondamentale di questo Stato, di
questa nuova formazione politica è la sovranità: sovranità significa sommo potere, summa potestas, vale a
dire un potere al di sopra del quale non c'è nessun altro potere. Nella tradizione medievale questo potere è
quello di Dio, ma in una concezione secolarizzata, laica della società, questo potere al di sopra del quale non
c'è nessun altro potere è quello dello Stato; siccome i poteri sono gerarchizzati, vale a dire che da un potere
inferiore si passa ad un potere superiore, è chiaro che a un certo punto si arriverà ad un potere tanto alto al di
sopra del quale non c'è nessun altro potere. Più o meno è lo stesso concetto della causa, del rapporto tra causa
ed effetto, che conduce secondo Aristotele alla causa prima; è lo stesso meccanismo logico: la causa prima di
tutte le cause è il motore immobile, e il sovrano è rispetto a tutti i poteri inferiori appunto il motore
immobile, cioè quello che muove tutto ma non è mosso, comanda tutti ma non è comandato da nessuno. E'
un processo logico che potete immaginare, perché, se c'è un potere, a un certo punto ci dev’essere un potere
al di sopra del quale non ce n'è nessun altro: questo è il sovrano.
Attualmente la sovranità ha due aspetti: uno verso l'interno e uno verso l'esterno. Rispetto all'interno, vale a
dire rispetto ai sudditi, agli individui, ai cittadini, che compongono il corpo dello Stato, sovranità significa
monopolio della forza legittima, vale a dire che solo lo Stato è detentore legittimato dell'uso della forza;
nessun altro all'interno dello Stato può usare la forza, e, se usa la forza, quest'uso della forza è considerato
illegittimo dallo Stato. E il contrappeso di questo monopolio della forza legittima, del potere legittimo, è il
dovere di ubbidienza dei cittadini al principe. Questo è il problema, il punto fondamentale: lo Stato è un ente
costruito con un potere tale, che coloro che vi partecipano hanno l'obbligo di ubbidirgli. Può sembrare una
vecchia storia, ma è una storia sempre attuale. Sapete che c'è un articolo della nostra Costituzione, che viene
ricordato, che è l'articolo 54, che dice che tutti i cittadini hanno il dovere - hanno il dovere! - di essere fedeli
alla Repubblica, e di osservarne la Costituzione e le leggi. Esiste uno Stato, quando esiste un potere al di
sopra di tutti gli altri, a cui tutti coloro che partecipano di esso debbono ubbidire. L'obbligo è quello che nella
teoria politica si chiama obbligo politico o obbligazione politica. L'obbligo politico esiste. Oltre a tanti
obblighi giuridici, che sono quelli che derivano dalle leggi particolari, esiste questo obbligo degli obblighi,
che è l'obbligo politico, che appunto deriva dal fatto che lo Stato esiste, ed esso esiste soltanto quando esiste
questo obbligo che in qualche modo funziona.
Ma un potere, una sovranità, non è soltanto verso l'interno, ma anche verso l'esterno; cosa significa?
Significa che, rispetto agli altri Stati, ogni Stato è indipendente e quindi in ultima istanza ha il diritto di
difendersi dall'aggressione, quello che gli studiosi chiamano il principio di autotutela. Mentre il principio
dell'autotutela nell'interno degli stati non esiste se non nei casi eccezionali, come ad esempio la difesa legale,
ma con molti limiti, nel rapporto tra gli Stati il principio fondamentale è l'autotutela, proprio perché, mentre
esiste questo potere superiore all'interno, questo potere non esiste nei confronti degli altri stati. Quindi la
sovranità nel rapporto esterno non significa superiorità, secondo l'etimologia della parola sovrano, ma non
significa inferiorità, perché, se vi fosse inferiorità, vi sarebbe qualcuno superiore anche allo Stato; nella
società internazionale significa uguaglianza e parità. Uno dei principi fondamentali nel diritto internazionale
è che tutti gli Stati sono uguali formalmente, giuridicamente, anche se è chiaro che non sono uguali
sostanzialmente; e del resto anche i sudditi sono uguali formalmente di fronte alla legge, ma non sono uguali
rispetto alla sostanza, ai patrimoni, alle ricchezze, ecc. ecc.
Quindi rispetto alla società medievale, che è universalistica e particolaristica, lo Stato territoriale moderno
diventa sovrano in tutto il suo senso, sia acquistando indipendenza verso lo Stato universale, sia ottenendo
dipendenza da parte degli enti minori, appunto i comuni, le corporazioni, i feudi, ecc. Lo Stato di Hobbes è
lo Stato che è sovrano in questo senso. Quindi, riprendendo quel che ho già detto, sull'autore classico che
rappresenta il proprio tempo, Hobbes rappresenta la nascita di questo Stato sovrano.
Ma il tema fondamentale di Hobbes è la giustificazione o, se volete, la fondazione di questo Stato. La
domanda fondamentale cui Hobbes risponde è in fondo questa: perché lo Stato? Donde deriva l'obbligo di
ubbidire del cittadino nei confronti dello Stato - questa, avete visto, è una costante ormai di tutti gli Stati - e,
nello stesso tempo, il diritto da parte di questo Stato di non ubbidire agli altri Stati? Questo è il duplice
aspetto, la duplice dimensione della sovranità: il dovere dei cittadini di fronte allo Stato e il diritto - che è il
contrario del dovere, lo sapete - dello Stato di non ubbidire agli altri Stati. Hobbes parte, come è noto, da
un'ipotesi, che è quella che conoscete tutti, che si legge su tutti i libri, anche sui manuali di storia della
filosofia, dello stato di natura, dello stato in cui gli uomini vivono senza leggi, oppure, diremo, senza
istituzioni. Avremmo dovuto specificare che leggi ci sono, ma in realtà nello stato di natura quelle leggi non
vengono rispettate; non vengono rispettate, perché nessuno rispetta una legge se non è sicuro che la rispetta
anche l'altro. Ecco quindi che le leggi di natura ci sono, ma queste leggi, direbbe un giurista, sono valide, ma
non sono efficaci; valide nel senso che esistono, ma non efficaci, nel senso che nessuno le rispetta. Perché si
possano rispettare queste leggi, occorre che ci sia una fiducia reciproca, vale a dire che ci sia la fiducia da
parte di ciascuno che le rispetti anche l'altro; se no colui che rispetta la legge, se l'altro non la rispetta, si
trova in una situazione di inferiorità. Esiste come legge naturale, come legge morale fondamentale - anzi è
una delle leggi più eminenti che vengono ricavate da Hobbes - che pacta sunt servanda, cioè che i patti
devono essere osservati, devono essere mantenuti; ma è chiaro che io mi considero obbligato effettivamente,
e non soltanto in coscienza, ad ubbidire ad un patto, ad osservare un patto, se sono sicuro che lo fa anche
l'altro, se no io mi ritrovo in una condizione di inferiorità. C'è uno studioso di Hobbes, visto che non è tra
quelli riportati, che ha illustrato questo esempio con un gioco, che si chiama il gioco dello stato di natura (mi
è venuto in mente perché il prof Conti me ne ha parlato quando ci siamo visti ieri), per far capire qual è la
situazione nello stato di natura: due cacciatori armati si trovano in una landa deserta, si incontrano e sanno
che, se devono dividersi la preda o il territorio, inevitabilmente si scontreranno ed essendo armati si
ammazzeranno, ovvero uno ammazzerà l'altro, ma non si sa bene quale; ed ecco che allora dicono:
“Dobbiamo buttare le armi”. (Guardate che questo gioco rispecchia in modo straordinariamente esatto quello
che avviene nel rapporto tra le due grandi potenze, per quel che riguarda il disarmo). Dicono: “Dobbiamo
metterci d'accordo di disarmarci, ma come? Chi è che butta le armi per primo?”. E' quello che accade nei
rapporti internazionali: siccome nessuno mai le butta per primo, aumentano continuamente e rispettivamente
la quantità delle armi, tra l'altro sempre più micidiali. Allora dicono: “Continuiamo fino a quando avremo
contato fino a dieci, allora butteremo le armi”. Ma nel momento in cui contano 1, 2, 3 ... ciascuno dei due
pensa: “Ma se io, arrivato al numero dieci, butto la mia arma e l'altro dopo?” Ecco che allora probabilmente
avviene che, quando si arriva al numero dieci, tutti e due continuano a tenere le armi; questo è ciò che
avviene in campo internazionale. Quindi ecco che voi capite che sono quattro le ipotesi: che le buttino via
tutti e due; che le butti il primo e non il secondo; che le butti il secondo e non il primo; oppure che non le
butti nessuno. Di queste ipotesi la più probabile è la quarta: la quarta è quella che Hobbes chiama stato di
natura. Questo rappresenta mi pare in modo straordinariamente evidente ciò che Hobbes vuol dire quando
spiega che nello stato di natura ci sono le leggi naturali, ma non vengono rispettate. Dunque, non essendoci
regole nello stato di natura, vuol dire che nello stato di natura esiste una sola legge effettiva, la legge che dice
tutto è permesso, tutto è permesso nei limiti della propria forza. Ma ne risulta chiaro che uno ha tanto più
potere quanto più ha forza; in ultima istanza nello stato di natura il diritto che vige è il diritto del più forte,
quello che dirà poi Hobbes molto bene, quando scrive appunto che uno ha tanto più diritto quanto ha più di
potere; per cui, paradossalmente, il pesce grosso ha diritto di mangiare il pesce piccolo perché è più grosso e
perché il pesce piccolo non è in grado di resistere. Questa è l'identificazione del diritto con la forza, ma è
l'identificazione del diritto con la forza che è propria di questo stato in cui non vi sono regole al di sopra
oppure, se queste regole vi sono, non vengono rispettate. Naturalmente, non essendoci regole, non c'è la
proprietà, non c'è la divisione tra il mio e il tuo - perché la divisione tra il mio e il tuo presuppone a sua volta
delle regole che vengano rispettate -, quindi c'è quello che Hobbes chiama lo ius in omnia, vale a dire il
diritto su tutte le cose: ognuno ha diritto su tutto proprio perché non c'è nessuna regola che stabilisca qual è
la differenza tra il mio e il tuo.
Noi ricordiamo che Rousseau nel famoso discorso Sull'origine della diseguaglianza tra gli uomini dice seppure lui lo dica in termini negativi, critici - che la società è nata quando qualcuno ha cominciato a mettere
un paletto su un certo terreno e a dire “questo è mio”; da questo momento sono nati i confini per gli
uomini.Ora, nello stato di natura non c'è nessuno che possa dire “questo è mio”, appunto perché tutti hanno
diritto su tutto; se uno può dire “questo è mio”, lo può dire perché lo ha occupato con la forza e cerca di
mantenerlo con la forza. Voi sapete che, laddove non vi è la differenza tra il mio e il tuo, le cose sono o di
tutti o di nessuno, per cui ci si domanda sempre, come si domandavano a quel tempo, “il mare è di tutti, è
degli stati costieri, è di nessuno?” Poniamo, per esempio, il problema della luna; la luna di chi è? Dobbiamo
considerare la luna un bene comune, nel senso che ci illumina, nel senso che godiamo della sua luce, e
facciamo anche delle poesie bellissime sopra la luna, sopra la luna che vaga tra le stelle del cielo? Oppure
non è di nessuno? Il passaggio dalla cosa comune alla cosa propria, i confini tra il mio e il tuo, nascono
attraverso due processi: o con la conquista (pensate alla luna: uno conquista la luna e impedisce agli altri di
occuparla, e la luna allora diventa il “mio” di quel potente che la occupa distinta dal “mio” degli altri) oppure
si può giungere alla conquista con un accordo: ci si mette d'accordo di distinguere i propri beni dal bene
altrui. Si capisce però che prima della conquista, o prima dell'accordo, lo ius in omnia che vige nello stato di
natura, crea quelle conseguenze che tutti sanno: che vi sia lotta con l'altro, perché ciascuno crede di avere
diritto su tutto e quindi, qualsiasi cosa venga occupata dall'altro, quell'altro occupa una cosa sua; e allora
nasce quella che Hobbes chiama la guerra di tutti contro tutti, bellum omnium contra omnes. Questo è il
punto di partenza, del resto ben noto. Questa dello stato di natura per altro non era un'ipotesi nuova. Tutto
nasce dagli antichi, non c'è nulla che gli antichi non abbiano detto che noi non riprendiamo. C'è nel Libro
quinto del De rerum natura di Lucrezio, questa famosa descrizione della società primitiva in cui gli uomini
sono raffigurati come viventi al modo delle fiere, more ferarum, questa è l'espressione che corrisponde
esattamente all'espressione che usa Hobbes quando dice che nello stato di natura l'uomo è lupo ad un altro
uomo, homo homini lupus. Quest’idea dello stato primitivo, in cui, dice Lucrezio, gli uomini vivono come
fiere e in cui non ci sono leggi né statuti, sarà ripresa nei secoli successivi, come sapete, da Vico, il quale
parte da quello che lui chiama lo stato ferino (in cui ferino è la traduzione esatta del more ferarum di
Lucrezio). Anche se la descrizione di Hobbes non è una descrizione storica, e Hobbes non la considera come
una fase storica, riproduce questo tema ricorrente di una società, la quale non aveva ancora lo Stato.
Ma occorre aggiungere che questo stato di natura, non è soltanto un'ipotesi razionale. Lo stato di natura come
bellum omnium contra omnes esiste in determinate situazioni, e quindi è uno stato reale. Hobbes ne indica
almeno tre, e queste tre vanno prese in considerazione seriamente.
La prima è la società primitiva, e chiaramente questo è un errore, perché oggi noi sappiamo benissimo ( ma
l'antropologia e l’etnologia hanno fatto molti progressi) che le società primitive non sono società naturali; ma
sapete che per tre secoli sono state chiamate società naturali, cioè popoli naturali; oggi sappiamo che non lo
sono. L'antropologia contemporanea sostiene che queste società sono semmai società senza Stato: non c'è lo
Stato nel senso attuale della parola ma non sono lo stato di natura: sono senza Stato, ma probabilmente senza
Stato, nel senso moderno della parola, era anche la polis greca. Non è detto che la polis greca possa essere
paragonata allo Stato contemporaneo, anche se noi chiamiamo, da polis, politica l'azione rivolta allo Stato.
Ora Hobbes, per far l'esempio dello stato di natura reale, dice “gli americani” e con americani egli intendeva
naturalmente le tribù degli indiani. Ma consideriamo che questo non sia un errore d'interpretazione; rimane il
fatto che Hobbes riteneva che ci fosse effettivamente uno stato che poteva essere considerato uno stato di
natura prestatale, ed era quello delle società primitive.
Un altro esempio di stato di natura non prestatale, ma si potrebbe dire antistatale, avviene quando lo Stato si
disgrega, cioè al momento delle guerra civile. Questo è l'esempio che Hobbes aveva in mente quando parlava
dello Stato di natura reale. Quando uno Stato si disgrega e si formano i vari partiti in lotta uno contro l'altro,
Hobbes dice che si ritorna allo stato di natura. Allo stato di natura, nel senso che non esiste più un potere
comune, ciascuno difende i propri interessi contro l'altro e si ha uno stato paragonabile a quello della guerra
di tutti contro tutti, seppur non universale, ma in territorio limitato. Hobbes ha scritto i suoi tre libri politici
proprio durante la crisi della monarchia inglese, durante il periodo cosiddetto della Rivoluzione inglese che
dura più o meno un decennio, dal 1640 al 1650. Se noi pensiamo a quello che avviene attualmente nel
Libano, possiamo considerare una rappresentazione particolarmente felice quella che Hobbes dà dello stato
di natura come stato di guerra di tutti contro tutti; voglio dire che questo stato è caratterizzato dall'uso della
forza reciproca, ciascuno usa la forza contro gli altri, e questo stato non finirà finché non ci sarà un vincitore,
vale a dire una forza che domina su tutti gli altri, vale a dire, come ho detto all'inizio, la sovranità politica.
La terza ipotesi dello stato di natura, quella più importante di tutte, e che corrisponde alla realtà attuale, è il
sistema internazionale. Per Hobbes il sistema internazionale era veramente uno stato di natura, perché nel
rapporto tra gli Stati c'è il ricorso alla forza reciproca; c'è, come ho detto, il principio dell'autotutela e quindi
gli Stati, fra di loro, sono in un rapporto che può essere paragonato a quello ipotetico dello stato di natura
negli individui, prima della formazione dello Stato. E' vero che nell'ambito della comunità internazionale si
possono fare delle aggregazioni, vi sono le alleanze fra gli Stati, e lo stato di natura cessa tra gli Stati che si
sono alleati, ma sino a che quell'alleanza non sarà universale, non comprenderà tutti gli Stati, è chiaro che ci
sarà tra gruppi di Stati e altri gruppi di Stati quel rapporto di forza reciproco, che per Hobbes è una
caratteristica dello stato di natura.
Dunque lo stato di natura crea uno stato di guerra proprio perché è uno stato in cui la vita di tutti è
minacciata; è uno stato da cui bisogna uscire: questo è l'imperativo fondamentale dell'etica di Hobbes. Ma
come? Ho detto non si può uscire da questo Stato se non con la forza o con l'accordo. Con la forza, se c'è un
individuo tanto forte da sottomettere tutti gli altri. Oppure per mezzo di un accordo.
Hobbes elabora la teoria dell'accordo; ed ecco nascere l'idea del contratto, l'idea del contratto sociale, che ha
dato origine a quel filone del pensiero politico che si chiama contrattualismo, di cui certamente Hobbes è,
nella teoria dello Stato moderno, il rappresentante più illustre, e forse anche l'iniziatore, l'anticipatore.
Ma per quel che riguarda il contratto si può ripetere quel che ho già detto sullo stato di natura, nulla di nuovo
sotto il sole: come c'era già l'idea dello stato di natura nell'antichità, così anche l'idea del contratto. Si
accenna, curiosamente, un'idea del contratto soprattutto in Epicuro. Ma l'idea del contratto sociale è nata, se
mai, nell'altra grande tradizione del pensiero occidentale, che è il pensiero biblico. Voi sapete che il nostro
pensiero attuale deriva da queste due grandi tradizioni che sono sembrate per un certo periodo di tempo
inconciliabili, che poi hanno trovato un periodo di assestamento, ma sono due tradizioni inizialmente
inconciliabili: una, quella del pensiero classico, è una tradizione razionalistica, laica; l'altra, quella cristiana,
ebraico-cristiana, è una tradizione profetica, escatologica. Se noi andiamo a vedere da dove è derivata l'idea
del contratto soprattutto in coloro che poi hanno sostenuto il contratto in momenti rivoluzionari (nel
momento della rivoluzione inglese, della rivoluzione americana), vediamo che quest'idea del contratto nasce
dall'idea di alleanza, dell'alleanza di Dio col popolo ebraico. Lo dico perché è uscito recentemente in italiano
un libro molto interessante di questo scrittore americano di origine tedesca, Walzer, intitolato Esodo e
rivoluzione, in cui considera quello che è raccontato nel libro dell'Esodo come un modello, lui dice, forse è
troppo dire modello, come una metafora della rivoluzione. Che cos'è l'Esodo? L'esodo è l'uscita degli ebrei
dalla schiavitù dell’Egitto per andare verso la Terra Promessa. La rivoluzione può essere concepita, è stata
concepita dai rivoluzionari, come questo uscire dalla schiavitù dallo stato presente e marciare insieme verso
la terra promessa, perché gli ebrei marciano insieme verso la terra promessa, che è la terra promessa da Dio.
Ora però questo marciare insieme, quest'andare verso, avviene attraverso l'alleanza del popolo con Dio, del
popolo ebraico con Dio, la santa alleanza. Come spiega questo scrittore, i primi rivoluzionari inglesi citavano
come esempio l'Esodo: troviamo nel discorso di Cromwell il paragone della Rivoluzione inglese all'Esodo:
anche il popolo inglese si muove, si deve muovere, verso la liberazione. E quello che è interessante, qui
voglio riferirlo brevemente, è quello che dice quest'autore appunto sul concetto d'alleanza: l'alleanza viene in
un secondo momento, quando il popolo ha già assaporato la libertà. Per Spinoza la libertà degli israeliti è
fino a questo momento, cioè prima dell'alleanza, la libertà del cammino; dopo l'alleanza, comincia l'uscita
dallo stato di natura, che è lo stato di privazione, depravazione, degradazione dell'uomo. Ma poiché la libertà
naturale non è una cosa durevole, ad essa segue necessariamente un patto di qualche tipo. Data
l'organizzazione tribale degli israeliti e la persistente autorità degli anziani, la versione dei fatti non sembra
plausibile storicamente, ma dal punto di vista morale è altamente significativa, "allora il popolo rispose citazione del versetto dell’Esodo - faremo tutto ciò che ha detto il Signore", le antiche gerarchie sono stese,
l'alleanza è un solenne impegno preso fra uomo e Dio - secolarizzato, il contratto sociale di Hobbes. Del
resto, nella sua prima grande opera politica, Hobbes ogni tanto interrompe il suo racconto per fare delle
citazioni bibliche, per far vedere che la Bibbia conferma quello che lui dice dal punto di vista razionale.
Hobbes è uno scrittore laico; però non vuole passare di fronte al pubblico, che era prevalentemente orientato
religiosamente, come un miscredente. Ecco che allora ogni tanto fa delle citazioni bibliche e, se si va a
vedere quali sono le citazioni bibliche che lui fa a commento del contratto, sono tutte citazioni dall'Esodo,
cioè di quest'alleanza fra Dio e il popolo ebraico. Importante questa frase: "Noi faremo tutto ciò che ha detto
Dio"; questo corrisponde esattamente al contratto di Hobbes.
Qual è la conseguenza dell'accordo per gli individui, quando escono dallo stato di natura e costituiscono il
potere comune? La conseguenza dell'accordo è questa: che gli individui d'ora innanzi non faranno ciascuno
quello che vuole, secondo le proprie passioni, secondo i propri interessi, secondo i propri sentimenti; ma farà
quello che vuole il signore, cioè il sovrano. L'alleanza, dice ancora questo libro, è un atto di fondazione che
crea parallelamente alla vecchia organizzazione sociale una nazione di menti coscienti, coscienti nel senso
che loro stessi liberamente si sono accordati per uscire dallo stato di natura. Le loro identità, come quella di
tutti gli uomini e donne prima della nazione, non è allora frutto di una loro libera scelta? Solo con l'alleanza
gli israeliti divengono un popolo nel vero senso della parola, un popolo capace di dar forma alla sua storia
politica e morale, capace d'ubbidire, in grado di marciare avanti o di scivolare nel nulla. Ecco l’importanza
dell'alleanza e quindi la necessità di riflettere sullo sbocco. Questo vale per la Rivoluzione inglese,
americana e in parte anche per quella francese. La Rivoluzione francese è una rivoluzione più vasta, più
razionalistica, tant'è vero che gli esempi antichi che vengono fatti dai rivoluzionari francesi, non sono quelli
che risalgono al mondo biblico. Gli esempi sono le città greche come Atene e Sparta. Voltaire considera
Atene, l'Atene di Pericle soprattutto, come un grande esempio di libertà e democrazia e, del resto, se c'è un
dio a cui si appellano i rivoluzionari francesi, è la dea ragione. Ma per quanto riguarda la rivoluzione inglese,
che è poi quella che interessa Hobbes, questo riferimento alla concezione biblica della storia, alla concezione
profetica della storia, questa considerazione anche della rivoluzione come un cammino verso il futuro della
liberazione, mi pare che valga.
Dunque il contratto sociale. Ma quale contratto? Secondo la tradizione medievale, i contratti che davano di
solito origine alla società e allo Stato erano due: pactum societatis e pactum subiectionis. Il primo patto era il
pactum societatis, vale a dire: gli individui si accordano fra di loro per consentire la società, ma una società
non è ancora uno Stato. Perché non è ancora uno Stato? Perché non c'è un potere comune. Una società è
puramente e semplicemente un insieme di uomini che collaborano fra di loro per raggiungere un fine
comune. Ma perché ci sia lo Stato occorre, dopo questo pactum societatis, che ci sia quello che veniva
chiamato pactum subiectionis, patto di assoggettamento, che è quello attraverso cui gli uomini riuniti in
società danno il potere ad una determinata persona, o ad una determinata assemblea, che da allora in poi avrà
il potere di prendere delle decisioni per tutti quelli che si chiamano i bisogni collettivi, cioè delle decisioni
collettive, nel senso che vincolano tutti anche se vengono prese da una sola persona o da poche persone. Ora
è noto che la teoria del contratto di Hobbes è particolarmente originale, perché elimina i due contratti e
risolve i due contratti in uno.
Il contratto di Hobbes si può chiamare il contratto d'unione, patto d'unione. Avete capito: il primo contratto
dà origine al popolo, vale a dire trasforma una multitudo, una moltitudine di individui distinti, separati fra di
loro, di atomi, in un popolo, ma il popolo di per sé stesso non è ancora lo Stato. Perché ci sia lo Stato occorre
il potere sovrano. Ecco il secondo contratto. E' quello che il popolo stipula con un terzo a cui attribuisce un
determinato potere. Il contratto di Hobbes è unico. Perché è unico? Perché è un contratto che avviene fra gli
individui, quindi è un contratto intersoggettivo; ma è un contratto il cui contenuto consiste nell'autorizzare,
nel dare autorità ciascuno ad un potere superiore, a condizione che facciano altrettanto tutti quanti. Quindi
nello stesso momento c'è il contratto di società, vale a dire il contratto intersoggettivo degli individui tra di
loro, e anche il pactum subiectionis, nel senso che il contratto consiste proprio nel decidere insieme a chi
attribuire questo potere superiore. Forse è meglio leggere esattamente la forma del contratto hobbesiano,
quella che si trova nell'unico libro politico di Hobbes che è il "Leviatano"; la forma del contratto è questa:
ciascuno degli individui che si accordano con gli altri, dice: “Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare
me stesso a quest'uomo, o a quest'assemblea di uomini, a questa condizione, che anche tu ceda il tuo diritto a
lui e autorizzi tutte le tue azioni allo stesso uomo". Vedete il contratto di Hobbes. Un giurista direbbe che
questo è un contratto a favore di terzi. Quindi è un contratto solo, è un contratto tra gli individui, ma a favore
di quella determinata persona che sarà il sovrano.
Importante in questo contesto è la parola autorizzare. Sarebbe interessante determinare fino in fondo la
parola autorizzare. Autorizzo, che cosa significa? Significa che io do autorità, vuol dire che io, individuo, do
autorità, cioè io trasmetto l'autorità che io ho ad un altro. Rinuncio alla mia autorità per un altro. Vuol dire
che, secondo Hobbes, l'individuo in quanto tale, nella sua natura, ha autorità; ha autorità in quanto individuo,
cioè l’autorità appartiene all'individuo, cioè il fondamento dell'autorità è l'individuo. Voi capite che qui c'è il
rovesciamento di tutta la tradizione che faceva partire l'autorità da Dio, il famoso versetto dell'Epistola ai
romani di S. Paolo: "nulla potestas sine deo" (non c'è nessun potere se non in Dio). Qui il potere nasce
dall'individuo, l'individuo in quanto tale ha un potere che nello stato di natura diviene devastante, e quindi
deve in qualche modo rinunciare a questo potere; però il fondamento dell'autorità è l’individuo. Checché se
ne dica, Hobbes non era certamente molto democratico, ma la democrazia nasce dal concepire l'individuo
come tale e quindi ogni individuo come il fondamento dell'autorità. Siamo noi che diamo l'autorità e lo Stato
che nasce dal contratto è un homo artificialis. Non esiste lo Stato in natura; nella natura esiste lo stato di
natura. Lo Stato è l'espressione artificiale dell'individuo. Dunque in Hobbes nasce quella che oggi si chiama
una concezione individualistica dello Stato, che è contrapposta alla concezione classica, che non era
individualistica, perché nell'antichità l'origine dello Stato non era l'individuo singolo, ma era la società nel
complesso; secondo l'espressione che si trova nelle prime pagine della Politica di Aristotele, non sono le parti
che creano il tutto, ma il tutto viene prima delle parti, nel senso che l'uomo come individuo non esiste,
l'uomo esiste soltanto come membro di una società. Quando Aristotele usa quell'espressione famosa che si
ripete sempre "politicon zoon" (l'uomo è un animale politico), vuol dire semplicemente questo: l'uomo come
individuo non esiste, nella realtà l'uomo è sempre membro di una società. Voi vedete, dunque, l'inversione
completa di Hobbes rispetto al modello tradizionale. Ho avuto occasione di contrapporre questi due modelli,
e ho chiamato modello aristotelico l'uno e modello hobbesiano l'altro, o modello giusnaturalistico, che è
quello che sta a fondamento dello Stato moderno, concepito appunto come uno Stato che deriva la sua
autorità dall'autorità degli individui singoli. Ecco dunque spiegata questa parola chiave di autorizzare. Un
individuo può autorizzare, perché è lui il fondamento dell'autorità. Hobbes distingue l'autore dall'attore; il
sovrano è l'attore, cioè è colui che agisce per te, ma agisce per te in quanto ha ricevuto l'autorità da te, agisce
soltanto in quanto è autorizzato.
Ma altro è la modalità del patto, questo che ho descritto, diciamo a grandi linee, contratto a favore di terzi,
altro il suo contenuto: il contenuto del patto deriva dai diritti naturali che l'uomo ha nello stato di natura, che
tu cedi al sovrano, e da quelli che conservi. Ecco, dunque, che tu allo Stato attribuisci tutti i diritti che hai,
cioè non è detto che tu in occasione dell'accordo da cui nasce lo Stato rinunzi a tutti i diritti. Quali sono i
diritti a cui tu rinunzi, e quali i diritti che tu tieni? Voi capite benissimo che, a seconda dei diritti che tu cedi e
di quelli che tu tieni, cambia radicalmente il contenuto del patto. Ne possono derivare diverse forme di Stato,
adesso si tratta di vedere qual è la forma di Stato di Hobbes, che nasce appunto rispetto al diverso contenuto
che ha il patto d'unione di Hobbes.
Facciamo l'esempio che tu rinunzi a tutti i diritti e attribuisci essi al sovrano, cioè autorizzi il sovrano ad
esercitare il potere su tutto quello che avevi nello stato di natura; questo è il patto dello schiavo. Lo schiavo è
colui che ha rinunciato a tutto. Dalla rinuncia a tutti i diritti nasce così quella forma di Stato, che
dall'antichità in poi si è chiamato dispotismo. Voi sapete che despotes in greco vuol dire padrone di schiavi.
Lo stato dispotico è quello in cui il sovrano agisce, nei confronti dei suoi cittadini, come un padrone rispetto
agli schiavi. Vuol dire che i cittadini non hanno nessun diritto allo stato di potere, mentre il sovrano ha tutti i
diritti, il massimo potere e nessun particolare dovere giuridico civico. La teoria del dispotismo è una teoria
ben nota, che nasce nell'antichità greca; la prima formulazione del dispotismo in questo senso è fatta in
Aristotele, nel III libro della Politica, quando contrappone le città greche agli imperi orientali, dicendo che
gli imperi orientali sono dispotici, perché i cittadini sono considerati come se fossero schiavi, cioè non sono
liberi. In questo caso, come ci sono gli schiavi per natura - secondo Aristotele delle specie di animali
domestici - così ci sono anche i popoli per natura schiavi, e quindi essi accettano senza lamentarsi il potere
dispotico.
All'opposto ci può essere un contratto, direi, completamente diverso, in cui sono più i diritti che l'individuo
trattiene, i diritti dello stato di natura, che quelli che cede. Quindi lo stato nasce molto limitato, nasce limitato
dai diritti che l'individuo conserva, i diritti dello stato di natura, e a cui non è disposto a rinunciare. Questa
teoria opposta è quella che possiamo identificare con Locke, che è il fondatore di quello che è stato chiamato
lo Stato limitato, quello che oggi si chiama lo stato minimo: lo Stato deve avere meno poteri possibile, deve
essere limitato nei suoi diritti. Ma come può essere limitato? Perché è limitato? E' limitato perché in questo
accordo gli individui hanno dato allo Stato soltanto i diritti indispensabili per una pacifica convivenza, non
altro. Secondo Locke allo Stato gli individui non danno per esempio il diritto di proprietà: il diritto di
proprietà è il diritto che deriva dalla fatica privata di singoli individui (famosa teoria di Locke per cui lo
Stato deriva dal lavoro che ciascuno fa nel proprio campo, quindi è un diritto che si acquista prima della
costituzione dello Stato; e quindi l'individuo, quando costituisce lo stato, non gli attribuisce la proprietà). Voi
capite quindi che lo Stato nasce con grossi limiti: non può intervenire sulla proprietà dei singoli individui.
Questa è la concezione liberale dello Stato minimo, la concezione la quale dice che il mercato, il mercato
economico, è un mercato che dev'essere disciplinato dagli individui e in cui lo Stato deve intervenire
unicamente per correggere delle storture. Tra l'altro è anche uno degli accenni che avete visto nel vostro
dossier: è Macpherson che sostiene la tesi, tra l'altro secondo me molto discutibile, che lo stato di natura è il
mercato; comunque questo stato di natura, che è questo stato che non è regolato dalle leggi dello Stato ma è
regolato da leggi diremo così interne allo stesso Stato, è il mercato, il mercato che è regolato, per ripetere la
frase di Smith, dalla mano invisibile, a differenza della mano visibile dello Stato. Ma la mano visibile dello
Stato non deve intervenire nel mercato, che si autoregola da sé. Questa è la concezione ottimistica dello stato
di natura. La tesi dello stato di natura di Hobbes è una concezione pessimistica, nel senso che, se voi lasciate
liberi gli uomini, questi si scannano. Quella del mercato è invece una teoria ottimistica; dice: se voi lasciate
liberi gli uomini, questi faranno i loro commerci, i loro contratti, vivranno nel migliore dei modi possibili,
perché c'è la mano invisibile che regola questi rapporti. C'è una razionalità spontanea, e guai a chi interviene
in questa razionalità spontanea. In questo senso si può dire che la teoria lockeana rispecchi in un certo senso
quest'idea, che si stava affacciando nel ‘600 con i fisiocratici e con la nascita dell'economia politica, che c'è
una sfera della vita umana che non ha bisogno di essere regolata dallo Stato. Quindi, se è così, gli individui
non devono dare allo Stato più diritti; allo Stato devono dare semplicemente il diritto di reprimere le azioni
dell'individuo che nuocciono all'altro; lo Stato deve intervenire soltanto con leggi penali, praticamente; la
proprietà dev'essere mantenuta e, insieme con la proprietà, la libertà del cittadino. Nasce, come ho detto, lo
Stato minimo.
Quella di Hobbes è una posizione intermedia tra il dispotismo e lo Stato liberale, perché in sostanza non è
che l'individuo di Hobbes rinunci a tutto, ma nello stesso tempo non mantiene quasi tutto, come nell'ipotesi
lockeana. Dà allo Stato tutto tranne una cosa: il diritto alla vita. Il diritto alla vita è il diritto inalienabile, a
cui l'individuo non può rinunciare. Quindi ecco che lo Stato nasce limitato. Si capisce che l'individuo non
può rinunciare al diritto alla vita, perché lui costruisce lo Stato, questa macchina artificiale, proprio per
salvare la vita che è minacciata nello stato di natura. La legge fondamentale che lo obbliga ad uscire dallo
stato di natura è pax est quaerenda (bisogna cercare la pace), bisogna cercare la pace perché in uno stato di
guerra l'individuo è completamente minacciato. Se quindi noi costruiamo lo Stato per salvare la vita, è chiaro
che noi non attribuiamo allo Stato il diritto sulla vita. Tant'è vero che Hobbes considera che l'individuo può
riprendersi i suoi diritti dello stato di natura contro lo Stato, quando lo Stato si disgrega. Quando lo Stato si
disgrega, nasce la situazione in cui anche la tua vita sembra minacciata, ed ecco, con questo Stato, in questa
situazione, tu puoi resistere. Il fatto che esistano dei diritti che sono rimasti inalienabili, che non sono stati
alienati, fa sì che esista in ultima istanza un diritto di resistenza. Lo schiavo non ha nessun diritto di
resistenza e il cittadino di Locke ha diritto di resistenza quando lo Stato invade la proprietà, quando lo Stato
viola la libertà. Il cittadino di Hobbes ha diritto di resistenza quando lo Stato minaccia la vita, quando lo
Stato non è più in grado di salvare la vita, quindi lo Stato è talmente indebolito da non assicurare
all'individuo il diritto alla vita. Questo Stato è stato chiamato assoluto per distinguerlo dallo Stato dispotico e
dallo Stato liberale.
Stato assoluto è una parola che attualmente non corrisponde molto bene alla situazione. Assoluto nel senso
che é "legibus solutus" che non è legato alle leggi, che non dipende dalle leggi, che é al di sopra delle leggi;
però abbiamo visto che il potere ha un limite nel diritto alla vita. Quello che vogliono gli individui uscendo
dallo stato di natura è, come ho detto, soprattutto la pace, fuggire la guerra. Quindi la dicotomia hobbesiana
non é tanto libertà-autorità come in Locke, ma é ordine-disordine. Lo stato di natura é lo stato del disordine;
ma lo Stato cade in una situazione di disordine, quando viene meno il monopolio della forza e si formano
delle bande armate (noi abbiamo visto questo dramma nel periodo del terrorismo), quando cioè si formano
dei nuclei che esercitano la forza contro lo Stato. In questo caso, l'individuo ha il diritto di difendersi da sé
nei confronti dell'attività eversiva dei gruppi terroristici.
Ancora un piccolo passo: lo Stato assoluto si distingue da quello liberale anche per un'altra ragione, questa
volta non rispetto al contenuto del patto, ma rispetto alla sua forma. Vale a dire il potere dall'individuo allo
Stato si può trasmettere o con una mera concessione temporanea oppure con un trasferimento definitivo. Se
in un contratto voi potete dare in prestito una cosa ad un altro, vuol dire che continuate a conservarne la
proprietà; oppure in una compravendita voi date questa cosa all'altro, la trasferite, e una volta che l'avete
trasferita questa cosa appartiene all'altro, non appartiene più a voi. Così per quanto riguarda la trasmissione
del potere. In tutta la storia del pensiero medievale si distinguono due modi di trasmissione del potere: quella
che si chiamava la "translatio imperii", e quella che si chiamava la "concessio imperii". La translatio era il
trasferimento definitivo: se un popolo ha trasferito (traslato) il potere al sovrano, l'ha perduto; ha perduto per
sempre il potere, che ora appartiene al sovrano. Se invece lo ha concesso - ecco la differenza tra le due
modalità - allora é una trasmissione temporanea, nel senso che la concessione può sempre essere ritirata; la
concessione viene fatta in base a certe condizioni, vale a dire a condizione che il sovrano rispetti certi diritti.
In questo caso, se il sovrano non rispetta i diritti, l'individuo si ritira e può esercitare quello che é stato
chiamato il diritto di resistenza. Il contratto di Locke é certamente del secondo tipo, é la concessio; gli
individui, per Locke, attribuiscono al sovrano un mandato che può essere revocato, può essere revocato se
naturalmente il sovrano non rispetta i diritti. Si tratta di sapere se il contratto dì Hobbes é un mandato oppure
una translatio, un trasferimento definitivo. Le interpretazioni sono molteplici; la mia interpretazione é per la
translatio, nel senso che, una volta che é stato trasferito, il potere é irrevocabile; e se é irrevocabile, significa
che la modalità del contratto é stata la translatio e non la concessio. C'é però sempre un limite. Soprattutto
perché un contratto a favore di terzi sia sciolto, occorre l'accordo del terzo: se il terzo non dà l'accordo, il
contratto non si scioglie; però c'é il diritto della vita, c'é questo diritto, che in ultima istanza l'individuo ha, di
resistenza quando lo Stato non é più in grado di salvaguardare la vita. Del resto voi sapete che la differenza
tra diritti disponibili e indisponibili é difficile da dare; pensate alla discussione che si fa oggi, per esempio,
sulla disponibilità del proprio corpo. Ecco, noi possiamo disporre del nostro corpo? In che misura possiamo
disporne? I sostenitori della teoria liberale dello Stato dicevano che ci sono alcuni diritti indisponibili, ad
esempio il diritto alla libertà é indisponibile, mentre per Hobbes lo è, il diritto alla proprietà può essere
disponibile o indisponibile a seconda delle interpretazioni, il diritto alla vita anche per Hobbes non lo è. Così
oggi, noi discutiamo continuamente se il diritto che noi abbiamo sul nostro corpo sia disponibile oppure no, e
in quale misura noi possiamo donare oppure no il sangue, il problema é quali organi noi possiamo donare e
quali no. Noi sappiamo qual è il problema che nasce in seguito alla possibilità aumentata dei trapianti. Del
resto, rimane fermo il fatto che un conto è disporre di un bene, un conto venderlo. Noi del nostro corpo
possiamo disporre, entro certi limiti, ma non possiamo disporne attraverso il contratto di vendita; possiamo
donare, ma non vendere. Perché evidentemente il diritto che ognuno ha sul proprio corpo é considerato
qualcosa di diverso dal diritto che io ho su un oggetto.
Una delle conseguenze di questo diritto alla vita é che la sovranità di Hobbes é anche indivisa. Hobbes é
considerato il teorico dell'unità del potere, e non solo del potere legislativo e del potere esecutivo; cioé è
contrario alla teoria della separazione dei poteri, ma é anche contrario a quella che era la grande divisione,
che aveva contrassegnato tutta la storia dell'Occidente e del popolo cristiano, cioè la distinzione tra lo Stato e
la Chiesa. Per Hobbes non ci può essere distinzione tra lo Stato e la Chiesa per una ragione radicale, che non
é mai più stata ripresa da nessuno: perché lo Stato in quanto sovrano é ateo, lo Stato ha una sovranità che
comprende anche quella della Chiesa; la Chiesa ha una sovranità subordinata a quella dello Stato; quindi lo
Stato non può essere diviso e non può esistere questa divisione tradizionale tra potere spirituale e potere
temporale.
Per finire, ho detto che lo stato di natura reale sopravvive nei rapporti internazionali. La costruzione
razionale di Hobbes ci può aiutare a capire quale sia oggi il problema dei problemi, il problema della pace.
Hobbes, appunto, aveva detto che la prima legge fondamentale è "pax est quaerenda". E' questa ancora oggi
la voce che esce dal petto di migliaia di abitanti di questa terra minacciata dalla guerra nucleare. La teoria
contrattualistica dello Stato ci aiuta perfettamente a capire come si può e si deve reagire per uscire da questo
sbaglio: "pax est quaerenda" necessita di un accordo non più tra gli individui per costruire lo Stato, ma tra gli
Stati per costruire la comunità internazionale; un accordo che sia, però, come quello tra gli individui per
costituire lo Stato, che sia universale, nel senso che abbracci tutti gli abitanti della Terra, che non sia soltanto
parziale, come sono le alleanze, e che sia anche perpetuo, che non sia soltanto temporaneo, come sono
appunto di solito le alleanze. Universale, perpetuo. Naturalmente si può argomentare come Hobbes non
l'abbia concepito, Hobbes si sia fermato allo Stato, non si sia posto il problema dell'andare al di là. Si
possono dare varie interpretazioni.
Chi si è spinto per la prima volta oltre questa semplice interpretazione, che i rapporti tra gli Stati sono stato
di natura, é stato Kant. Nel famoso libro "Sulla pace perpetua", che é stato scritto verso la fine del sec.
XVIII, una delle ultime opere di Kant, Kant prevede come soluzione per la pace, per una pace perpetua, la
federazione di Stati. Le condizioni per il superamento dello stato di natura nella comunità internazionale
sono appunto due: la federazione, cioè l'unione degli Stati per mezzo di un accordo, e nello stesso tempo la
democratizzazione di questi Stati. Però anche Kant si era fermato a metà strada, perché quello che lui aveva
previsto era un pactum societatis, non era ancora subiectionis. Il pactum societatis si é verificato con la
Società delle Nazioni, ma non il pactum subiectionis, tant'é vero che la Società delle Nazioni é durata quel
che é durata e poi é nata niente meno che la catastrofe della seconda guerra mondiale. L' ONU ha fatto un
passo avanti, perché, come sapete, due articoli fondamentali dello statuto della Nazioni Unite che sono
l'articolo 42 e il 43 - che varrebbe la pena di leggere - hanno previsto la possibilità di un potere comune, vale
a dire la possibilità di un intervento delle Nazioni Unite con un esercito proprio, un esercito costituito da
eserciti nazionali, per impedire, per prevenire. Però molte cose dello Statuto delle Nazioni Unite sono state
attuate, ma questi due articoli sono rimasti lettera morta. Il che vuol dire che la comunità internazionale,
ancora oggi, é riuscita a giungere all'associazione, ma non é ancora riuscita a fare il passo ulteriore, cioè a
costituire il potere comune. Noi oggi abbiamo, in realtà, due sistemi internazionali, e i conflitti non sono
pochi: quello esercitato dalle Nazioni Unite, che é limitato, e quello che purtroppo è efficace, ed é ancora
l'equilibrio delle potenze, seppure al vertice massimo delle grandi potenze, che oggi si chiama equilibrio del
terrore, semplicemente perché é aumentata la potenza delle armi. Ma é la stessa situazione di equilibrio delle
potenze che vigeva dal momento della formazione dei grandi Stati moderni, che ha dato origine a tutte le
guerre che voi conoscete fino alla Rivoluzione Francese. Per cui oggi possiamo semplicemente fare un
augurio, e con questo termino: che tra questi due sistemi, il diritto internazionale e quello dello Stato finisca
per prevalere il primo e non il secondo.
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