Primato della società e «seme» della cultura per emergere

LA SICILIA
GIOVEDÌ 23 GIUGNO 2011
ggi
Le idee
.25
C
i sono le relazioni che si nascondono dietro all’"affaire" dell’energia eolica nel Trapanese e
quelle che sono alla base del sistema
di gestione dei rifiuti in provincia di
Caserta, la grande distribuzione commerciale a Catania, il mercato dei falsi nell’area di Napoli e il grande business dei lavori di ammodernamento
della Salerno-Reggio Calabria. «Alleanze nell’ombra - Mafie ed economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno» accende i riflettori su quell’Italia
delle professioni e dell’imprenditoria
che collabora e coabita con le tre maggiori organizzazioni criminali: mafia,
’ndrangheta e camorra. Il libro è figlio
dell’indagine promossa dalla Fondazione Res, e curata dal sociologo Rocco Sciarrone, per mettere in luce i processi di compenetrazione fra le economie locali e le diverse mafie. Al centro
c’è la cosiddetta "area grigia", quello
Il monito
Il Colle: si diano
risposte ai precari
IN UN VOLUME I DATI DI UN’INDAGINE PROMOSSA DALLA FONDAZIONE RES
L’«area grigia» che collabora con mafia, ’ndrangheta e camorra
SALVO CATALDO
spaccato di società composto da professionisti, politici, imprenditori, tecnici e burocrati che sembra sempre
meno "vittima" e sempre più "socio"
della criminalità.
Il volume, edito da Donzelli, è stato
presentato ieri, a Palermo, nel corso di
un dibattito alla facoltà di Scienze politiche. Esperti di diritto, sociologi,
giornalisti e storici si sono confrontati su cosa sia, oggi, l’area grigia e sugli
strumenti da mettere in campo per ridurre, se non cancellare definitivamente, la "coabitazione" tra mafia ed
economia. «La ricerca non si pone l’obiettivo di analizzare in generale il
rapporto tra criminalità ed economia
- afferma Sciarrone - bensì di ricostruire come i network mafiosi contribuiscono a configurare relazioni che
condizionano l’economia di determinate realtà».
L’azione della criminalità organizzata
ha un costo sull’economia nazionale
(il 2,5% del Prodotto interno lordo),
ma anche un presupposto di esistenza: messa da parte la vecchia concezione del mafioso che si fa imprenditore e che condiziona economia e politica, la ricerca mette in evidenza la
collaborazione tra la sfera illegale e
quella che opera nel mondo legale.
Nessun vincolo di subalternità dell’economia alla criminalità organizzata,
I L D I BAT TITO
GIORGIO VIT TADINI E STEFANO Z AMAGNI A CONFRONTO SU SUD E SVILUPPO
Primato della società e «seme» della cultura
«Solo così l’Italia potrà emergere dalla crisi»
GIOVANNI INNAMORATI
S
e l’Italia vuole assicurarsi una crescita economica, e
salvaguardare la coesione sociale deve saper dare risposte alle «aspettative di tanti giovani che vivono
una condizione di instabilità e di incertezza nel loro
futuro». È questo il messaggio che il presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano ha lanciato proprio nel
giorno in cui le tensioni sono sfociate in scontri tra
precari della scuola e della pubblica amministrazione con la polizia.
Il capo dello Stato ha voluto inviare un messaggio alla presentazione dell’Associazione «Generazioninsieme», sodalizio che vuole approfondire il tema della solidarietà attiva tra le generazioni di fronte ai
cambiamenti demografici, economici e culturali:
obiettivi di cui Giorgio Napolitano ha sottolineato
«la ricchezza e l’importanza».
Prendendo spunto dagli interventi all’evento di diversi giovani ricercatori, Napolitano ha toccato il tema del
lavoro precario, divenuto caldo dopo gli attacchi del
ministrodella Pubblica amministrazione Renato Brunetta che ha definito «l’Italia peggiore» alcuni precari della pubblica amministrazione che lo contestavano.
«Un deciso e accresciuto impegno per la salvaguardia
e la valorizzazione del capitale umano del nostro
Paese e delle sue risorse di creatività e d’innovazione
- ha affermato Napolitano - è condizione indispensabile per assicurare una equilibrata crescita economica e la stessa tenuta del tessuto civile e sociale». Due
obiettivi che nei mesi scorsi Napolitano ha spesso
portato all’attenzione delle categorie sociali.
Napolitano ha esortato a mirare a «in una corretta visione di uno sviluppo sostenibile e nel rispetto del
principio fondamentale di solidarietà»; obiettivi che
richiedono «rapporti di responsabilità e fiducia fra le
generazioni». Questi poi sono «le basi essenziali» per
assicurare precisi elementi necessari alla tenuta sociale e alla crescita: «Una effettiva integrazione tra patrimoni di esperienze, valori e ideali», e la risposta «alle
esigenze e alle aspettative di tanti giovani che vivono
una condizione di instabilità e incertezza nel loro futuro».
A mostrare platealmente la drammaticità di questa
«condizione di incertezza» ci hanno pensato degli
scontri, ieri, tra la polizia e i precari della Pubblica amministrazione dei sindacati di base che stavano protestando davanti a Montecitorio. Precari che hanno
spiegato di aver deciso di manifestare dopo gli «insulti di Brunetta» che, però «hanno avuto il merito di riportare all’attenzione dei media e della politica la
questione del precariato nel pubblico impiego».
E nella polemica sollevata dalle parole di Brunetta si
è inserita anche Famiglia Cristiana. «Un ministro, in
una manifestazione pubblica, si è permesso - si legge
in un’editoriale del settimanale - di definire i precari
"la parte peggiore d’Italia" ». Ma «a noi pare che l’Italia peggiore sia un’altra», «quella di chi continua a tagliare risorse alle fasce più deboli: disabili, anziani, famiglie. O l’Italia della corruzione dilagante, degli appalti truccati. Dove, con cinismo, si lucra su tutto». E
ancora: una situazione di fronte alla quale «il Paese è
stanco, stremato».
«In Italia - osserva il settimanale dei Paolini - i precari sono circa quattro milioni. Soprattutto giovani.
Dunque, la parte più dinamica e sana del Paese. Quella più ricca di energie, progetti e sogni. Che non riesce
a incanalare il proprio futuro, a costruirsi un lavoro
stabile, una famiglia, un’esistenza più serena. Eppur
sono il futuro dell’Italia». Famiglia Cristiana invita
quindi la politica a trovare soluzioni, perché «se in Italia l’ascensore sociale è bloccato, non basta indicare,
con sufficienza, le scale».
«Non basta - si legge ancora nell’editoriale - distogliere l’attenzione dai problemi reali, dando ancora addosso allo straniero. O facendo il gioco delle tre carte
con i ministeri, spostandoli da una città all’altra. Il Paese ha bisogno di ben altro. Soprattutto, di una scossa
morale e una classe politica più credibile. Con ministri all’altezza, che pensino all’unità e al bene del
Paese. Non a trastullarsi tra proposte inaccettabili
(vedi gli incentivi agli insegnanti del Nord) e interessi di bottega. Davvero di bassissima lega», conclude
Famiglia Cristiana.
ma tre diversi livelli di relazione tra le
due sfere: dalla semplice "complicità",
che mette in luce una collaborazione
legata a singoli casi, agli stadi più alti
della "collusione" e della"compenetrazione".
Il mafioso, secondo l’indagine, non
impone le sue regole ma si fa "imprenditore sociale" costruendo una
rete di relazioni che mette spesso in
collegamento politica ed economia. I
confini tra il legale e l’illegale, dunque,
si fanno sempre meno marcati e le
alleanze restano "nell’ombra" di un
sistema sempre più magmatico. Evidenze dei fatti che portano gli autori
dell’indagine a sostituire la parola "in-
filtrazione" con "compenetrazione".
In oltre 500 pagine, il libro riporta numerosi dati statistici che danno l’idea
del peso della criminalità organizzata
sull’economia, ma racconta anche singole vicende giudiziarie provenienti
dal Mezzogiorno d’Italia: si tratta di
otto casi, raccontati attraverso risultanze giudiziarie e interviste a magistrati, imprenditori e investigatori.
Cancellata anche l’immagine dell’uomo d’affari che subisce passivamente
i dettami del boss di turno: oggi sono
le aziende che cercano il contatto con
la criminalità organizzata e che si
muovono in un sistema che consente
loro di trarre profitti attraverso relazioni da pari a pari con le mafie. «Il libro - spiega lo storico Salvatore Lupo
(nella foto) - ci emancipa da una visione esclusivamente criminologica del
problema e dall’idea che la mafia venga fatta esclusivamente dai mafiosi».
ORAZIO VECCHIO
R
ivalutare le articolazioni «popolari» della società, piuttosto che affidarsi alla politica come soluzione di tutti i mali. E piantare un albero che non smetterà di crescere, piuttosto che costruire un edificio e fermarsi a guardarlo quando sarà completo. Così Giorgio Vittadini, presidente
della Fondazione Sussidiarietà, e Stefano Zamagni, a capo
dell’Agenzia per le Onlus, vedono l’unica chance di futuro per
l’Italia. Perché la crisi di oggi - sostengono entrambi - è culturale più che economica. Morale più che finanziaria. E allora la risposta non può che trovarsi su quel piano.
I due studiosi sono stati invitati a riflettere, sollecitati da
Carlo Saggio, presidente della Compagnia delle Opere Sicilia
orientale, sul rapporto tra politica e cultura nell’incontro
pubblico svoltosi ieri a Catania (nella foto di Gianni D’Agata)
nell’ambito dei Dialoghi d’Aragona, la scuola di alta formazione in corso in questi giorni cui partecipano quaranta ricercatori italiani e
stranieri sul tema «Lo spazio
umano e le culture mediterranee».
«I fatti hanno
dimostrato - ha
affermato Giorgio Vittadini l’inconsistenza
del sogno della
politica come
soluzione magica che possa
salvare l’uomo.
Nella Seconda
repubblica, si è
affermata l’idea
che il partito
avrebbe reso
possibile non
soltanto la governabilità, ma persino la felicità. Obiettivi in
realtà falliti. Adesso analogamente il pensiero del cambiamento sembra promettere le stesse illusioni. Ma dopo la delusione della svolta liberale - argomenta il presidente della
Fondazione Sussidiarietà - c’è alle porte la delusione della
svolta popolare».
L’assunto errato, secondo Vittadini, è che lo scopo della politica sia quello di risolvere tutti i problemi della società. E invece essa ha lo scopo di valorizzare, riconoscere, permettere l’affermazione di realtà che sono alla base dello sviluppo
della società. «La storia d’Italia prova che quando lo Stato ha
valorizzato le realtà sociali e i corpi intermedi allora c’è stata crescita», afferma Vittadini: di qui la riaffermata necessità
di sussidiarietà. «La politica - è l’ammonimento - deve essere vissuta come strumento in grado di dare risposta ai bisogni che nascono dal basso. Altrimenti, la conseguenza è l’involuzione. Solo così l’Italia si salverà dalla retrocessione in Serie B e affronterà con successo la concorrenza che oggi non
è rappresentata dai grandi capitali, ma dalle aspirazioni di altri popoli a una esistenza più dignitosa».
Scritti C
di ieri
Secondo i pm
milanesi li avrebbero
usati i top manager
dell’Eni che sarebbero
coinvolti in un grande
giro di tangenti
i sono, detto alla francese,
combine e combine. C’è quella
della rete di Gigi Bisignani dove ci si scambia favori e confessioni,
ma non ci sono soldi in mezzo, e
quella dove invece si parla solo di
soldi e non di affari o di avanzamenti di carriera. Ora la Procura di Milano
ha scoperto che l’Eni pagava tangenti ai dirigenti dei vari Paesi dove voleva installare le sue trivelle. E fino a
questo punto si potrebbe dire che i
pm abbiano scoperto l’acqua calda,
perché da che mondo è mondo se
vuoi ottenere concessioni all’estero
devi pagare in moneta sonante. Così,
secondo quanto scrive il «Corriere
della sera» , il cane a sei zampe ha
potuto avere le concessioni su due
dei più grandi giacimenti petroliferi
Il Mediterraneo, appunto. Il confronto pubblico dei Dialoghi d’Aragona in realtà prosegue il dibattito aperto nei giorni scorsi sulle colonne di questi giornale dal sociologo Franco Cassano, che «spinge» la Sicilia e il Sud a partecipare alla
costruzione di una politica mediterranea, ora che dalle rivolte degli ultimi mesi sono emersi interlocutori affidabili.
È un invito alla politica a guardare oltre i propri confini anche quello di Stefano Zamagni, che citando Thomas Eliot considera la cultura non come un edificio che si costruisce fino
a completarlo, ma come un albero che dal seme piantato cresce e può essere «sostenuto» se lo si innaffia adeguatamente. È proprio questo il punto. E l’economista, individuato
nell’«indifferetismo» il principale male della società italiana,
indica quattro direzioni possibili: «In Italia si è affermato un
modo di interpretare la ricchezza che attribuisce alla rendita un valore eccessivo rispetto al profitto e al salario, addirittura al 32% del Pil. Oggi la rendita ci sta strangolando, come
la droga che se all’inizio sembra portare benefici, nel lungo
termine manifesta i suoi danni». E dunque
bisogna ridimensionarla.
Al contrario,
chiede spazio il
nuovo welfare,
che non potrà
essere gestito
dallo Stato ma
avrà le caratteristiche della
«società civile
organizzata.
Quindi sarà necessario che la
società chieda
la libertà di
operare essendo liberata dei
lacci e lacciuoli
che oggi imbrigliano la creatività». E poi, secondo Zamagni,
l’Italia ha bisogno di riportare le norme legali in sintonia con
quelle sociali e morali, migliorando le stesse leggi. «Infine finisce Zamagni l’elenco dei suoi quattro punti - dobbiamo
decidere se il nostro modello di ordine sociale sia bi o tripolare. Noi infatti distinguiamo unicamente tra pubblico e privato, mentre in realtà esiste una terza via: la dimensione civile». In sostanza, conclude il presidente dell’Agenzia per le
Onlus, «dobbiamo cambiare gli occhiali e guardare diversamente alla realtà».
A «chiudere il cerchio» è Pietro Barcellona, direttore dei
Dialoghi d’Aragona: «Per cambiare la società - sostiene il filosofo - il fondamento non può che essere la formazione, intesa tuttavia non come semplice acquisizione di competenze per fare. È la formazione della persona che permette lo sviluppo delle articolazioni della società». D’altronde, è questo
lo spirito alla base del corso che propone una nuova riflessione sul Sud «come luogo di apprendimento e riferimento nel
Mediterraneo, oggi che sono caduti anche gli ultimi "muri"
rappresentati dai regimi dittatoriali dei Paesi nordafricani».
SONO FABBRICATI IN LITUANIA
Attenzione ai cellulari non intercettabili
TONY ZERMO
del mondo, quello iracheno di Zubair, vicino Bassora, e quello di Jurassic Field in Kuwait. Diciamo che
queste tangenti sono normali. Sarebbe sorprendente che non ci fossero.
Quello che è meno normale è che,
stando ai pm milanesi, ci sarebbero
grandi aziende italiane che per partecipare agli appalti avrebbero pagato
importanti funzionari dell’Eni.
Si tratta di cifre colossali. Basti pensare che nel gennaio 2010 l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, guarda caso amico di Bisignani
nei suoi rapporti romani, era volato a
Bagdad per firmare un impegno di 20
miliardi di dollari (assieme ad altre
società petrolifere internazionali) per
lo sfruttamento di 68 pozzi da cui
estrarre 700.000 barili di greggio al
giorno. Ed è ingenuo pensare che in
questa trattativa non siano corse tangenti ai dirigenti iracheni.
Quindi da una parte l’Eni avrebbe
pagato i funzionari stranieri e dall’altro grandi imprese italiane avrebbe
pagato a loro volta i funzionari dell’Eni. Ma la cosa più sorprendente è che
Il cane-avvocato
e il gatto-ladro
S
iamo tutti animali tutti. Lo sapevamo. Ma che ne dite di
queste due storie di cane e
gatto malamente incappati tra le
maglie della giustizia ?
Innanzitutto la prima, quella del cane che non era un avvocato. Pochi
giorni fa i giornali israeliani, e subito dopo le agenzie stampa internazionali, avevano lanciato lo strano
allarme: "un cane randagio è stato
condannato a morte per lapidazione da un tribunale rabbinico di Gerusalemme, perché ritenuto la reincarnazione di un avvocato che 20
anni fa aveva calunniato i giudici
della corte". Beh, era una bufala mediatica. Era successo che i giudici
avevano chiamato l’accalappiacani,
perché la religione ebraica vieta il
maltrattamento degli animali. La
cosa divertente è che sulla scorta
del giornale Maariv, che ora si scusa
per l’incidente mediatico, la notizia era rimbalzata sul web. Meglio
così. E’ vero che ci sono parecchi
avvocati cani, con tutto il rispetto
dei secondi, ma i cani che agiscono
come avvocati è troppo, no?
La seconda sorpresa riguarda un
gatto, Dusy, anche lui incriminato
pesantemente. Solo che nel suo caso, purtroppo, non c’è equivoco. Dusy dagli occhi di ghiaccio, libero e
fiero abitante di un quartiere di San
Mateo, in California, è stato ripreso
dalle telecamere durante il suo ennesimo furto, perpetrato ai danni
della comunità. Seicento, per l’esattezza, i furti a lui contestati, e infatti l’ingente bottino, come mostra il
(delizioso) filmato on line, è stato
ritrovato dai poliziotti in una zona
vicina: palle, pupazzi di peluche,
asciugamani, biancheria intima, calze e scarpe da tennis. Dusy operava
di notte, insinuandosi felpatamente
nelle case col favore delle tenebre,
nel modo più silenzioso possibile.
Un cat-counselor, cioè uno psicoanalista dei gatti, potrebbe trovarci
un senso. Farsi ladro per bisogno di
conforto, di calore, per vuoto di relazioni. Seguiranno Dusy in terapia,
anziché processarlo?
alcuni di questi personaggi per non
essere intercettati usavano i cellulari
lituani che non sono tracciabili. E le
notizie riservate venivano caricate su
chiavette usb da scambiarsi e da distruggere. Così siamo passati dai «pizzini» artigianali di Provenzano alla
tecnologia più sofisticata. E’ questo sistema riservato che colpisce di più.
Pensate se anche i boss mafiosi o gli
intrallazzatori di casa nostra fossero
in grado di avere in mano questi cellulari lituani o queste chiavette usb.
Come farebbero gli inquirenti a seguire le loro conversazioni o le loro
mosse sul terreno? Perfino Gioacchino Genchi, il «mago delle intercettazioni», sarebbe in serie difficoltà. L’unico sistema è proibirli su scala internazionale. E bisogna fare presto.