AIS - Associazione Italiana Sociologia - Sezione Vita Quotidiana1 (R)esistenze quotidiane di intellettuali precari Storie di vita e narrazioni contro la crisi Parma, 24 gennaio 2015 Teatro al Parco, Parco del Palazzo Ducale, Parma Una profonda trasformazione del lavoro riguarda tutti i contesti, dal lavoro dipendente a quello indipendente, dal così detto ‘manuale’ a quello ‘intellettuale’, delineando un cambiamento strutturale e irreversibile che rende inattuali le precedenti categorie di analisi ed apre a nuove domande: come inquadrare la separazione tra (proprietari dei) mezzi di produzione da un lato e forze lavoro dall’altro lato se il mercato si de-materializza e parte crescente di oggetti prodotti e consumati hanno sostanza immateriale (sono prodotti da conoscenze più che macchine?); come inquadrare la dimensione della ‘rappresentanza corporativa’ se ciascun lavoratore ha molti impieghi composti in un curriculum professionale differente, senza che si possa più dire «noi facciamo lo stesso lavoro»?; come inquadrare la questione delle ‘internazionali del lavoro’ se operai italiani e cinesi lottano con istanze e parole chiavi antitetiche mentre i movimenti globali auto-organizzati del 1°MayDay coordinano giovani architetti precari, contadini e insegnanti insieme? (Standing, 2012), solo per fare alcuni esempi. Insomma, le strutture della produzione mutano completamente forma così come mutano le soggettività lavorative di uomini e donne (i modi in cui si dà significato alle conoscenze e alle funzioni): proprio la complessa interazione tra strutture e soggettività può rappresentare lo specifico dell’analisi sociologica rispetto all’attuale scenario tardo-capitalista. Proprio in quest’ottica, ci pare emblematica la condizione dei lavoratori “autonomi di seconda generazione” (per riprendere Fumagalli 1997, Banfi 2001 e molti altri) e più precisamente “di tipo cognitivo”: il travagliato decorso di professioni intellettuali sempre più numerose e sempre meno richieste è particolarmente interessante poiché illumina molto bene il mutamento di cui parliamo. E’ infatti irreversibile la crisi del lavoro intellettuale, immateriale, più indipendente, che agisce da precario anche all’interno delle grandi istituzioni che prima collocavano stabilmente il sapere specialistico. Questo lavoro oggi è già caratterizzato da una dimensione spinta di selfemployment (il lavoro non preesiste al lavoratore, ma lui stesso deve indurne la richiesta, deve convincere gli altri dell’utilità della sua funzione); di auto-organizzazione dei mezzi di produzione; di auto-colpevolizzazione (vivere come fallimento individuale quello che invece è un cambiamento strutturale) che giunge sino all’interiorizzazione delle dinamiche di potere ‘padrone-lavoratore’; di frattura con le rappresentanze costituite (immaginiamo le riunioni del 1 In collaborazione con Università di Parma, Corso di Laurea in Servizio Sociale. sindacato degli ‘psicologi atipici’, solo per fare un esempio); di disagio economico e complessiva “proletarizzazione” dei lavoratori\trici dei settori cognitivi (per citare Martucci, 2012) e così via. In questo scenario un posto d’onore è riservato al precariato universitario, come testimoniano numerosi saggi, romanzi e film di recente uscita, come «Smetto quando voglio» - film del 2014 diretto da Sibilia - in cui un gruppo di brillanti ricercatori universitari tentano di uscire dall’impasse del precariato cronico dandosi alla malavita (il titolo è interessante, «smetto quando voglio»…). E così, incontriamo nei nostri convegni ghost writer 40enni che compongono le tesi di dottorato per altri, impiegati bancari e bariste (di giorno) che scrivono articoli scientifici (di notte) e così via. Persone che circolano negli incontri accademici del mattino, ma narrano di sè solo nel dopocena. Non si rendono visibili e non si fanno più spazio all’interno dell’accademica: i loro racconti restano appannaggio di una generazione e non di tutte. Viceversa, nel corso di questa crisi duratura e lancinante, le parole e i racconti - soltanto in apparenza privi di materialità - potrebbero rappresentare una forma di resistenza alle mancanze quotidiane economiche, professionali, reputazionali, relazionali. Condividendo esperienze ed emozioni, idee e prospettive, la vita quotidiana può essere addomesticata sia in termini di elaborazione del “lutto”, sia nell’ottica più vasta di nuove “immagini-guida”, di svelamento delle visioni dominanti in una realtà universitaria sempre più avvolta da tecnicismi e burocrazie ministeriali (e d’altronde, lo svelamento della realtà sociale ci pare uno dei compiti precipui della sociologia). Decostruire la crisi raccontandone gli effetti sulla vita quotidiana delle persone che lavorano accanto a noi può essere un buon modo per andare oltre i comodi significati veicolati dal senso comune e per ricondurre le discipline accademiche verso la realtà sociale. In particolare, ha un suo specifico interesse per gli appassionati di metodologia della ricerca sociale il modo nuovo e in parte inedito in cui l’intellettuale e il ricercatore appartengono alla propria epoca, non distaccati osservatori del disagio psicosociale ma parti in causa. Infine, incontrarsi e raccontarsi per noi vuol dire ricreare una condivisione emozionale collettiva che può divenire risorsa strategica per le argomentazioni che andranno a costituire future forme di agire collettivo non solo ‘laffuori’ e per gli altri, ma sempre ‘qui dentro’ e per noi, ad es. nell’università. *** A partire da tali considerazioni, la nostra giornata di studio ha come obiettivo di raccogliere storie di vita di persone che resistono e continuano a credere nella cultura come professione, mostrando come l’esperienza possa facilitare l’elaborazione teorica e interpretativa su un tema. L’invito alla partecipazione è rivolto a tutti i colleghi “precari”, privi cioè di contratto a tempo indeterminato: dottorandi, dottori di ricerca, assegnisti, professori a contratto, ricercatori td e così via. L’incontro si svolgerà a Parma e sarà organizzato in due sessioni: mattutina, dalle 10:00 alle 13:00 e pomeridiana, dalle 14:00 alle 18:00. A seguire, saranno ‘messe in scena’ le storie precarie. Ciascun relatore avrà a disposizione 20-30 minuti per raccontare la sua esperienza - si richiede una prima parte di tipo eminentemente narrativo, vale a dire autobiografico, descrittivo e fortemente situato nei contesti quotidiani -, per poi fornire letture interpretative circa la crisi del lavoro, le forme di discriminazione e le forme di resistenza sperimentate, seguendo l’obbiettivo di una elaborazione teorica più generale circa le attuali forma del capitalismo e le conseguenze. Per ciascuna sessione sono previsti tre\quattro interventi selezionati, seguiti dal dibattito. Per proporre interventi e relazioni è necessario inviare un abstract (max 4000 caratteri spazi inclusi) entro il 10 novembre 2014 ai seguenti indirizzi email: [email protected] e [email protected] L’intenzione è di pubblicare gli atti del seminario su una rivista di settore. Programma provvisorio Ore 10, Saluto AIS Vita Quotidiana, Marita Rampazi (coordinatrice AIS VQ) Brevi relazioni di apertura dei lavori: “Esemplari perfetti della contemporaneità: perché parlare dei precari universitari”, Vincenza Pellegrino (univ. di Parma) e Massimo Cerulo (univ. di Torino) Relazioni dei partecipanti *** Ore 13, Pausa *** Ore 14, Ripresa dei lavori Breve relazione di approfondimento: “I precari del lavoro cognitivo: possiamo davvero parlare di classi sociali emergenti?”, Andrea Fumagalli (univ. di Pavia) Relazioni dei partecipanti Conclusioni: “Come inquadrare queste narrazioni?”, Laura Balbo, sociologa e già Ministra per le Pari Opportunità *** Ore 18 - Federica Fracassi recita Aldo Nove. “Mi chiamo Roberta, ho quarant’anni, guadagno duecentocinquanta euro al mese”, di\con Federica Fracassi, regia di Renzo Martinelli e Aldo Nove (da confermare)