PROMORAMA ::: PRESS

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BAND: MY BRIGHTEST
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TITLE: BRING ME THE
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SENTIREASCOLTARE
http://www.sentireascoltare.com/CriticaMusicale/Recensioni/2006/recensioni/Mybrightestdiamond.htm
Pj Harvey è scomparsa, lunga vita a PJ Harvey.
No, non avete letto male l’
oggetto della recensione, state davvero per leggere del disco di Shara Warden,
aka My Brightest Diamond che, sì, si chiama Bring Back The Workhorse ed è edito dall’
etichetta di Sufjan
Stevens, la Asthmatic Kitty, la piccola grande casa indipendente dal fervore spirituale (cristiano, diciamolo
pure) iniziata da Sufjan stesso. E con quest’
ultimo, del resto, Shara ha più che qualcosa da spartire, essendo
una dei componenti degli IlliNoise Makers, la piccola squadra che ha affiancato il cantautore geniale nella
stesura e nell’
esecuzione di Come on Feel the Illinoise e The Avalanche, suo seguito.
Ad ogni modo, tornando a noi - cioè, a Shara - purtroppo è abbastanza inevitabile che il suo pur buon
debutto venga immediatamente legato al nome di PJ Harvey, la vergine anoressica del Dorset: la Warden
canta come la Harvey e suona sinistra, altera, corposa e ultraterrena come se i tempi di To Bring You My
Love ed Is This Desire? fossero tornati; non a caso, nella bella TheRobin’
s Jar si parla di terra e di morte, in
Something Like of an End e Gone Away ci si concentra sulle gioie della fine, finché le percussioni lasciano
dietro terra bruciata come succede in Freak Out.
Eppure, nessuno vuole rischiare di appiattire totalmente My Brighest Diamond su di un solo paragone. La
sezione strumentale che sostiene il ballo della sua voce è ben nutrita ed in molti casi dipinge melodie soavi
per archi (Dragonfly) o per carillon (We Were Sparkling) che più che alla Harvey la avvicinano a Kate Bush
ed a un’
altra nutrita schiera di musiciste che va da Bjork a un po’dove preferite.
Una bella canzone, di chiunque sia e chiunque “
imiti”
, tante volte resta semplicemente una bella canzone,
affermazione che a conti fatti vale un po’per tutti i pezzi di questo album. E per quanto Shara resti una
polistrumentista affascinante ma non esattamente seminale, quelcosa del suo diamante, effettivamente,
splende nel buio di quello che in molti altri casi sarebbe il solito disco della solita epigona di un one-womangenre.
VELVET GOLDMINE
http://velvetgoldmine.iobloggo.com/
Shara Worden ha una gran bella storia: nipote di un chitarrista evangelico, figlia di un campione nazionale di
fisarmonica e di un'organista di chiesa; cantante nel coro della sua chiesa Pentecostale ad Ypsilanti, poi con
Whitney Houston e negli album di Maria Carey; seguita da Padma Newsome (Clogs) e collaboratrice di
Sufjan Stevens.
Ne ha fatte di cose prima di arrivare al debutto solista, tante le ispirazioni e gli studi quanto fantastica è la
sua voce, un po' teatrale ed un po' pop. Lasciando perdere scomodi e stupidi accostamenti, le sue canzoni
girano intorno a piccole storie: da una libellula imprigionata ("Dragonfly") a momenti legati alla fine di
qualcosa ("Gone Away"), fino alla morte ("The Robin's Jar").
Gli arrangiamenti sono davvero ricchi: vibrafono e wurlitzer, quartetti d'archi e piano preparato (nella
schizzata "Freak Out") per esempio. Tante e troppe cose in un solo album di debutto che, dopotutto, fa ben
sperare per il prossimo passo di Shara Worden.
Il suo percorso musicale è ben indirizzato, bisogna solo attendere il sentieri corretto senza annoiarsi troppo.
INDIE-EYE
http://www.indie-eye.it/recensore/2006/09/06/indie-eye-podcast-con-shara-worden-aka-my-brightestdiamond/
Nella sezione Indie-eye Podcast è stato appena pubblicato un nuovo numero realizzato in collaborazione con
Shara Worden, aka My Brightest Diamond in occasione dell’
uscita dell’
album di debutto sotto questo Moniker
per Asthmatic Kitty. Bring me the Workhorse è uscito il 22 agosto per il mercato americano e sarà distribuito
in Italia da promorama.it a partire dall’
11 settembre. L’
album è a nostro avviso uno dei migliori usciti
quest’
anno e nel lungo Podcast di 45 minuti, Shara Worden racconta la sua musica ai microfoni di Indie-eye
ed esegue in esclusiva 4 tracce dal vivo, per sola voce e chitarra elettrica. assolutamente da non perdere!
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LIVEROCK
http://www.liverock.it/tuttarec.php?chiave=699&chiave2=My%5EBrightest%5EDiamond
Il legame tra Shara Worden –questo il nome che si cela dietro l’
appellativo My Brightest Diamond- e Surfjan
Stevens è già ben consolidato: Shara, infatti, fa parte degli IlliNoise Makers, ha collaborato alla realizzazione
di “
Come on feel the Illinoise”e “
The Avalanche”e, non da ultimo, il suo esordio solista esce per la
Asthmatic Kitty, etichetta dello stesso Stevens. My Brightest Diamond è però un progetto che vive di vita
propria, cui Shara ha lavorato in solitudine sin dal 2005, insieme alla sua band. Ciò che ne è scaturito è un
disco dalle atmosfere lievi e sognanti, figlie di un immaginario che ci piace definire fiabesco –che si ritrova
anche nell’
elegante libretto del cd- entro il quale la notevole voce di Shara si adagia con agilità. E’un po’PJ
Harvey -o una sua versione addolcita-, un po’Kate Bush ed un po’Bjork, sia quando decide di essere eterea
(We were sparkling), come quando, invece, mostra un po’–per quanto possibile- di ruvidezza, come nel
caso di Freak out: non sempre, però, il risultato è efficace al massimo. Nonostante la presenza di qualche
piccola gemma come Something of an end, Dragonfly o Magic rabbit, non sempre i brani colpiscono nel
segno: manca, insomma, il guizzo inaspettato o il brano davvero memorabile. Quello che resta –e questo
accade davvero per tutta la durata dell’
album- è un disco dalle atmosfere affascinanti, con il valore aggiunto
di una voce decisamente notevole. Ancora una luccicata e il diamante potrebbe davvero essere tra i più
brillanti.
KALPORZ
http://www.kalporz.com/recensioni/bringmetheworkhorse-mybrightestdiamond.htm
“
C’
era un albero d’
argento vicino al fiume dove andavamo ad appendere le nostre cose belle. Uova d’
oro,
rossetti e piume, pezzi di vetro, candelieri, ciondoli, bottiglie di vino vuote, eguardavamo la luce trapassare
tutto questo”
: fotografa mondi immaginati, My Brightest Diamond, e li circonda con una musica che
potrebbe essere dei Banshees spogliati da ogni furia punk, se solo avessero chiamato la Kate Bush più
teatrale a scrivere le loro canzoni.
O almeno, questa è l’
impressione che lasciano le prime due canzoni di “
Bring me the workhorse”
, perché il
resto del programma contiene molto altro: movimenti usciti da un musical triste (“
Gone away”
), murder
ballads (“
The robin’
s jar”
), l’
oscurità che esplode all’
improvviso come nelle pagine migliori dei Castanets
(“
Magic rabbit”
); o ancora, la perfezione delle melodie e di archi melodrammatici (una “
The good and the
bad guy”che perfeziona quanto fatto dagli Ilya), una voce che –perfettamente padrona di sé –sibila come
la PJ Harvey di “
To bring you my love”tra la polvere sottile delle dissonanze (“
Freak out”
) e subito dopo vola
tra cori vespertini (“
Disappear”
)…
A questo disco manca una direzione, ma non sorprende; Shara Worden, la ragazza/diamante, che suona
qualsiasi cosa e arrangia meravigliosamente gli archi del disco, ha talmente tante esperienze nel suo
curriculum da rappresentare la schizofrenia: figlia d’
arte e appassionata di jazz, studia canto lirico e finisce
per fare la corista a Mariah Carey (!) e a Whitney Houston (!!), per poi stancarsi di lustrini e attenzioni
riservate ad altri e passare alla corte di Sufjan Stevens, e infine riversare tutto in “
Bring me the workhorse”
.
Ben venga, allora, la mancanza di direzione, se i risultati sono questi melodrammi wave, questa capacità di
mischiare visceralità e favola: “
Bring me the workhorseӏ fatto di undici microcosmi teatrali perfetti.
Ringraziamo Whitney e Mariah per averla liberata: Shara Worden è un talento straordinario, e questo è uno
dei miei dischi dell’
anno, nessun dubbio.
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MUSICCLUB
http://www.darkclub.it/musicclub/jsp/rubriche/default_one.jsp?id_rubrica=5&id_numero=11577077451980&
id_testo=11577092909850
È proprio il caso di affermare: tanto rumore per nulla! Dove il rumore è sia mediatico (dichiarazioni sin
troppo entusiastiche da parte di certa stampa) che sonoro (quello prodotto da Miss Violetta Beauregarde, qui
impegnata con il secondo disco, fatto di sedici micro pezzi). L’
opzione scelta è quella del pastiche electro in
odore di Digital Hardcore Recordings, ma con molta meno convinzione rabbiosa, una volontà pop lo-fi mal
celata e quel sentore da riot girl per il puro gusto di fare la “
monella”
, che si sgonfia già dopo un paio di
ascolti. Album finto. Ridateci Hanin Elias! Altra donna solitaria, sebbene collocata in un diverso ambito
sonoro e pur se supportata da un gruppo esteso di musicisti per l’
esecuzione dei brani dai lei ideati e
prodotti, è Shara Worden (ovvero My Brightest Diamond). Leggendo la biografia ci fa piacere apprendere dei
suoi trascorsi (sin dalla più tenera età prescolare), che l’
hanno vista protagonista nelle vesti di musicista e di
donna creativa, sognatrice e persa nei locali “
avant in”di New York. Tutto molto bello, tutto appropriato per
darsi quel tocco naif che sembra andare tanto per la maggiore oggigiorno. Così come i termini di paragone o
ispirazione, messi lì come se (all’
apparenza) dovessero passare inosservati, quando poi in realtà si tratta di
PJ Harvey, Portishead, Kate Bush, Nina Simone e via discorrendo. Tutto estremamente cool. Peccato che al
sottoscritto interessino solo le undici canzoni di ‘
Bring Me The Workhorse’e queste sono, alla resa dei conti,
normalissime ballate malinconiche, un po’rock, un po’folk, un po’wave e un po’notturne, come se ne sono
già sentite a iosa. E non sarà certo l’
interpretazione vocale buona, ma non eccezionale, di Shara Worden a
salvare il lavoro dalla mediocrità e dal dimenticatoio in cui precipiterà nel giro di pochi mesi e dopo qualche
articolo sulle “
trend riviste”
.
ROCKSHOCK
http://www.rockshock.it/news.asp?id=2223
Proveniente da una cultura ecclesiastica e musicale, Shara Worden, vero nome della cantante, passata
attraverso il pop e la classica, Maria Carey e Debussy; fino a che oggi My Brightest Diamond ci propone il
primo lavoro solista.
E ascoltando Bring me the Workhorse non si può fare altro che compiacersene. L’
album racchiude 11 tracce
che arrivano direttamente al cuore.
Un po’Kate Bush e un po’
Nina Simone, un po’Bjork e un po’Pj Harvey, un po’Porthishead e un po’
… se
stessa.
Inutile sprecarsi in paragoni, in influenze possibili, in stilemi identificabili, My Brightest Diamond non ha
paura di proporre la sua visione complessa e introspettiva della composizione.
I brano sono frutto di esperienze e punti di vista davvero personali, che oltrepassano il concetto stesso di
canzone: Sara racconta quello che sta vicino al suo cuore e ha deciso coscientemente di offrire al pubblico il
suo bene più prezioso: la musica.
Così si susseguono storie di momenti struggenti: ora una semplice telefonata, ora un cavallo ferito, ora una
libellula caduta preda della tela di un ragno.
Il risultato è uno straordinario effetto di compressione del tempo: ogni secondo, ogni singola nota racchiude
e richiama un inteso momento di vita.
Tuttavia Sara non vuole raccontare tutto, ma soltanto ciò che reputa realmente importante.
Così la sua voce, accompagnata dai più classici strumenti rock: basso chitarra, batteria, and so on, si eleva
fino al punto di raggiungere quelle recondite emozioni che troppo spesso teniamo sopite dentro di noi.
Un album capace di farci sorridere e anche farci commuovere; talvolta a distanza di un semplice frammento
di tempo. Brava Sara.
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MIUZIK
http://www.miuzik.it/
Figlia di un campione nazionale di fisarmonica e di un’
organista di chiesa, nipote di un chitarrista
evangelista, allieva di Padma Newsome (Clogs) con alle spalle collaborazioni con Surfjan Stevens,
Shara Worden - in arte My Brightest Diamond –realizza un album in bilico tra asperità rock,
sofisticati intrecci pop ed intimismi cantautorali.
La donna dimostra talento e capacità nella scrittura, oltre a essere versatile dal punto di vista vocale, tanto
da far risultare “
Bring Me The Workhorse”una raccolta variegata, toccante, godibile e dalle melodie
trascinanti.
Ad affiorare sono orchestrazioni raffinate in collisione con ritmiche risolute (“
Golden Star”
), laceranti umori
blues di memoria PJ Harvey (“
Freak Out”
,“
The Robin’
s Jar”
), pregevoli ambientazioni jazzy (“
Gone Way”
),
melanconie chiaroscurali (“
We Were Sparkling”
), suoni liquidi e cangianti (”
Magic Rabbit”
), visioni
notturne alla Portishead (“
Workhorse”
).
Ma ciò che manca, forse, è una personalità realmente incisiva.
ROCKLINE
http://www.rockline.it/modules.php?name=Reviews&rop=showcontent&id=1221
A giudicare dalle esperienze musicali della famiglia, la si potrebbe musicalmente definire una “
ragazza di
Dio”
. Ma Shara Worden, alias My Brightest Diamond, è molto di più. E’innegabile da un lato che il suo
amore per la musica sia nato grazie a un nonno chitarrista evangelista, a un padre campione nazionale di
fisarmonica e una madre organista in chiesa, però d’
altra parte i suoi gusti si raffinarono velocemente. Così,
dopo aver collaborato con niente meno che Whitney Houston e Maria Carey e aver terminato il collage in
Texas, si trasferisce nella Grande Mela, dove si innamora delle sonorità da piccolo club jazz-post rock. Di qui
abbandona gradualmente l’
attenzione per la musica classica, sua materia di studio, e si concentra sempre
più sulla sua reale passione, un pop gotico, stile Portishead, colorato con l’
appariscenza teatrale di vestiti da
ballo e corsetti. Nasce dunque il progetto My Brightest Diamond: una band che è forse più un’
idea,
un’
occasione per ricordare momenti della vita, sensazioni.
Così nel 2005 Shara lavora con lo stesso marchio su due fronti: un primo disco, contenente brani con
accompagnamento di quartetto d’
archi, e questo Bring Me The Workhorse, effettivo debut album, che si
presenta più tradizionale in quanto full band (batteria, basso, chitarra, vibrafono, violino, violoncello,
tastiere, archi).
L’
opera, composta da undici tracce, si presenta compatta stilisticamente e sovrintesa magistralmente dalla
voce calda e rilassante della vocalist americana. Tutti i brani raccontano situazioni struggenti, ma davvero
diverse come possono essere una telefonata, un cavallo ferito o una libellula intrappolata nella tela di un
ragno. Ogni nota si carica del peso di un’
immagine, di un’
emozione. Il complesso sonoro è caratterizzato
spesso dalle linee di basso che creano situazioni misteriose e affascinanti, evocando scenari da piccola strada
metropolitana. Così i toni più melodrammatici vengono toccati nella marmorea The Good & The Bad Guy e
nella cupa We Were Sparkling. Addirittura Magic Rabbit sfiora sonorità darkwave, per la sua scansione
ritmica lenta ma accentuata, con toni melodici soffusi e una voce sussurrata malinconicamente. La grande
varietà strumentale accresce l’
imprevedibilità dello stile e garantisce improvvisi cambi sonori e ritmici. Non
vengono perciò lesinate emozioni, in un album che è una perla di raffinatezza e malinconia.
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FREAKOUT
http://www.freakout-online.com/album.aspx?idalbum=1028
Il “
diamante più brillante”di Shara Worden è molto probabilmente la sua voce. Meravigliosa e pungente
come una rosa ricolma di spine, è capace di graffiare ed ammaliare, di farsi spessa e possente per poi
dissolversi in un sospiro dolcissimo e fragile. Una voce che sfiora i picchi emotivi cui ci aveva abituati Jeff
Buckley e ricalca l’
intensità soul di Nina Simone.
Shara, titolare del progetto My Brightest Diamond, nonché autrice di tutti i brani di “
Bring me…”
, scrive
canzoni straboccanti di passione ed energia, amore e dolore.
“
Something of an end”è densa di pathos, di figure drammatiche (“
Because the earth start shakin’& yeah it’
s
crazy / Heaven & hell come crashing down”
), sottolineate dall’
incalzare della musica. In “
Golden star”
raffinati archi (arrangiati qui come in tutto il disco dalla stessa Shara) dialogano con chitarre nervose. “
Gone
Away”(a metà strada tra i Portishead e un fumoso cafè newyorkese anni ’
50) è di un eleganza minimale,
notturna, malinconica, raccolta. “
Freakoutӏ invece isterica, sgangherata, liberatoria, con scampoli di suoni
“
free”
, urla ed insospettabili accelerazioni punk. “
We were sparkling”
, intima, introspettiva, si schiude con un
affascinante incontro tra feedback di chitarra e carillon. “
The good & the bad guy”è un’appassionata ballad
soul. “
Workhouseӏ un inquietante quanto suggestivo vortice sonoro (tastiere, vibrafono, violoncello, una
chitarra appena accennata) costruito attorno ad una batteria mozzafiato.
Lungi da considerare “
Bring me the workhorse”un capolavoro (in alcuni episodi pare che il songwriting sia
un po’carente, e che la ricerca formale e il “
narcisismo”vocale prendano il sopravvento sulla “
sostanza”
),
non si può far a meno di constatare –ascoltando l’
album in questione - di trovarsi davanti ad un grande
talento. C’
è da scommetterci: è nata una stella.
KRONIC
http://www.kronic.it/artGet.aspx?aID=2&sID=%09%09%09%09%0914034
Che canti a cottimo per Sufjan Stevens non vi tragga fuori strada. Shara Worden aka “
My Brightest
Diamond”è poco interessata all’
antropologia yankee. Ora che dopo anni di studi (University of North Texas,
Upper West Side di New York) può fare da sé, con questo debutto chiarisce che la sua unica vera vocazione
è il melodramma. Melodramma pop certo. Come Kate Bush. Come Pj Harvey. Plasma gli strumenti rock della
sua band a forma e sembianza della sua voce. Un’
entità eterea sempre rivolta verso la sublimazione
ultraterrena.
Shara a partire da una melanconia brumosa, carezzevole e mai sepolcrale (Nina Nastasia è molto lontana)
tende le sue corde verso un’
ascesi esistenziale che trascende la corporeità per diventare puro spirito, le sue
storie superare il quotidiano e ricercare una collocazione mitica, quasi fiabesca. Quella sfiorata da Tori Amos
prima di perdersi dietro l’
autocompiacimento tecnico e stilistico. Quello che Bjork sa raccontare con i suoi
incantesimi elettronici post moderni. E che Shara ricerca attraverso basso-batteria-chitarra, un gusto
cantautoriale orchestrale quasi francese, meditazioni jazzistiche quasi Talk Talk e la misurata enfasi
sognatrice di chi ama sospirare con gli occhi all’
insù.
Tra i tanti nomi a cui è stata paragonata, aggiungerei la Kari Rueslatten dei divini Third And The Mortal del
capolavoro “
In This Room”
. Per uscire dal circuito indie, a cui appartiene per provenienza, ma che deve
servire a Shara per prendere il volo verso ancora più originali paradisi espressivi. Il talento questa volta c’
è.
Vero e autentico.
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ONDAROCK
http://www.ondarock.it/recensioni/2006_mybrightest.htm
Spesso il primo ascolto di un disco è un susseguirsi continuo di accostamenti, parallelismi, dèjà vu che
allontanano l’
attenzione dall’
effettiva valutazione del prodotto sonoro; ciò capita soprattutto quando questo
susseguirsi è tra i più disparati, in quel caso la confusione è più che dovuta e, a volte, anche giustificata.
Shara Warden, alias My Brightest Diamond, di certo non ha pensato a tutto questo (giustamente) quando è
entrata in sala di registrazione, avvolta dall’
entusiasmo da primo disco, dalla comprensibile convinzione di chi
possiede una voce incantevole, capace di adattarsi a qualsiasi situazione. Le esperienze del passato poi,
hanno fatto tutto il resto, deviando ancor di più ciò che già vacillava nelle intenzioni della matricola Shara.
Così, dopo attente registrazioni, con l’
ausilio di svariate, talvolta misconosciute strumentazioni, nasce " Bring
Me The Workhouse ", prima fatica dell’
amica di Sufjan Stevens; già, perché questa dolce ragazza ha
collaborato con il talento di Detroit, in qualità di supporto vocale, nelle ultime due fatiche del rampollo di
casa Rough Trade.
Le prime luci che si accendono in questo laboratorio sono il riflesso tenue dei lamenti di "Something of an
end": una malinconica ballata provvista dei soliti, prevedibili stacchi, delle classiche cerniere, tra
rimpianto,odio e amore. Tutto comincia ad esser chiaro: il solito disco, testi scontati, fraseggi monotoni e fin
troppo ovvi. Eppure c’
è qualcosa che vuole a tutti i costi "eccitare", "sorprendere", ma cosa? Sicuramente la
voce ha tutte le carte in regola per creare tutto questo, ma non solo, c’
è dell’
altro: innanzitutto le melodie
che, da "Golden Star" in poi, vanno a collocarsi sempre nei punti più lontani, assumendo in continuazione
una propensione all’
imprevedibilità, spesso, fin troppo sfuggente. Da segnalare anche una buona conoscenza
delle tecniche classiche da conservatorio, utilizzate sia nel canto che nell’
introduzione di violini e violoncelli.
La ragazza dal visino candido, a questo punto, decide di ribaltare ogni pronostico iniziale alla terza fermata
del disco, mostrandoci il diamante davvero più brillante: "Gone away".
Ha ufficialmente inizio la dipartita dei dubbi, d’
ora in poi gentilmente spostati dal soffio angelico della voce di
Shara; l’
iniziale "susseguirsi" ora è una dolce conferma, ipnotizzati da una magistrale interpretazione, non
possiamo che annuire in silenzio, quasi sorpresi.
Accettato ogni compromesso, il viaggio all’
interno della casa dei lavori procede tra alti e bassi, senza sforzi
apparenti la Warden mescola dolorose sceneggiate acustiche, "We Were Sparkling", con vere e proprie
pulsazioni post-rock: "Magic Rabbit". Capace anche di maneggiare, in "Freak Out", dell’
acid- rock, danzando
in momentanea tenuta stile PJ Harvey. Nel mezzo una disarmante confusione di vocalizzi e ottime melodie,
puntualmente protetti dal classicismo orchestrale con cui è cresciuta Shara. Canzoni che inizialmente
disorientano, trasportando le emozioni altrove. Poi, come un boomerang tornano indietro e sorridono, quasi
contente nell’
aver confuso, per alcuni lanci, chi offre loro la quotidiana nutrizione. Va anche detto che ci
sono diverse componenti da principiante, che rimandano sempre al "non so" di convenienza, deviando
l’
anello di congiunzione, capace di condurre ad una valutazione compatta dell’
insieme. In tal senso la
Warden ha tante cose da offrirci, al punto tale da indurci a restare fermi un attimo, prima di scegliere con
cura i suoi (comunque) preziosi doni, offerti con la stessa veemenza infantile di una bambina che bussa alle
porte di tutti nella notte di Halloween.
Per concludere: "The Good And The Bad Guy", ovvero tutta la sensualità amorosa di questa giovane donna,
sorta di Jeff Buckley neo-classico al femminile, sempre alla continua ricerca del vocalizzo ad effetto,
soprattutto "sofferto".
Sicuramente questa ragazza va tenuta sotto osservazione, in attesa del suo prossimo lavoro, viste le
speranze che ci lascia "Bring Me The Workhouse ", è lecito aspettarsi grandi cose, in parole povere: l’
album
della maturazione e della consacrazione. Basteranno alcune modifiche nella produzione finale, nella stesura
del testo, e il gioco è fatto; con la speranza che l’
ispirazione melodica non abbandoni le sue grazie e il suo
giovane talento.
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KDCOBAIN
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Dietro questo singolare pseudonimo si cela l'estro di Shara Worden, cantautrice Americana già collaboratrice
del talentuoso Sufjan Stevens e proveniente da una tradizione musicale che non poteva non appassionarla al
mondo della musica. Shara offre uno stile molto ricercato che basa tutta la sua emozione sull'uso particolare
della voce, che raggiunge tonalità vertiginose ricordando per certi versi Tori Amos, i Portishead e le
Cocorosie.
Tra i paragoni non si può non citare Nina Nastasia per le atmosfere cupe che entrambe esprimono con la
loro musica. "Bring me the workhorse" evoca infatti le atmosfere rarefatte di un bosco invernale dove la
nebbia aleggia ai piedi degli alberi e racconta storie fantastiche come Golden Star" o "Dragonfly" o ancora
"Magic Rabbit" e "Disappear". Parlare di ogni singolo brano è inutile se estrapolato dal disco, perché ogni
nota fa parte di un solo viaggio emozionale concepito nella sua interezza.
"Bring me the workhorse" è un lavoro complesso ma al tempo stesso molto diretto all'ascolto, grazie alle
melodie usate che esprimono malinconia e speranza senza annoiare l'ascoltatore ma anzi coinvolgendolo in
vorticosi crescendo e ottime performance teatrali.
XL ONLINE
http://xl.repubblica.it/recensionidettaglio/29043
Shara Worden è un’
interprete fuori dall’
ordinario. Estensione da cantante d’
opera, teatralità, carisma e
versatilità ne fanno una diva perfetta. Figlia d’
arte (padre fisarmonicista, madre organista), ha frequentato il
mondo della classica e il pop (ha cantato con Whitney Houston e Mariah Carey) approdando infine alla scena
alternative, accanto a Sufjan Stevens. Adesso, con un nome d’
arte che levati, scatena il suo immaginario
visionario e melò: scrive, produce, dirige e arrangia un’
orchestra d’
archi, suona tutto il suonabile, dalle
chitarre al vibrafono fino ai bicchieri... E canta come una piccola Callas capricciosa, esercitando con grazia
l’
arte della retorica.
KATHODIK
http://www.kathodik.it/modules.php?name=Reviews&rop=showcontent&id=2427
Ottimo colpo in casa Ashmatic Kitty che ci regala un'uscita che potrebbe risollevare le sorti dell'asfittica scena
indie grazie a questa Shara Worden aka My Brightest Diamond che in certi passaggi potrebbe ma forse non
vorrebbe ricordare Pj Harvey e che in altri può avvicinarsi a Francois Breut per le folate jazz e Nina Nastasia
per l'approcio cantautorale.
Collaboratrice di Sufjan Stevens, nipote di un chitarrista evangelista, figlia di un campione nazionale di
fisarmonica e di un'organista di chiesa, dopo aver frequentato la University of North Texas si sposta in quel
di New York per studiare opera nell'Upper West Side fino ad arrivare ad incidere questo piccolo gioiellino.
Si parte subito in quarta con Something Of An End sorretta dalla possente voce di Shara, orchestrata
superbamente, teatrale al punto giusto (diciamo non distante da una versione female di Antony And The
Johnsons ). In tutto il lavoro non c'è una nota stonata e questo grazie all'eterogeneità della proposta; si va
dalla delicata Gone Away (roba da luci soffuse e carezze rubate) a Freakout, pezzo sperimentale e
pseudorumorista che potrebbe piacere a Mike Patton.
E poi ancora The Good & The Bad Guy molto classicheggiante e anni '50 che sarebbe stata benissimo nella
colonna sonora di Magnolia firmata da Aimee Mann per il suo incedere malinconico, Golden Star che
lambisce territori più pop (quasi un potenziale singolo per la maggior immediatezza rispetto al resto
dell'album).
Non è il caso di parlare di next big thing o di spellarsi le mani però la ragazza ha dei buoni numeri e riesce a
distinguersi in mezzo ad una pletora di lavori anonimi o scarsamente originali...brava Shara!
::: PROMORAMA ::: PRESS :::
BAND: MY BRIGHTEST
DIAMOND
TITLE: BRING ME THE
WORKHORSE
LABEL: ASTHMATIC KITTY
PAG. 17
DIRADIO
http://www.diradio.it/files/index.cfm?id_rst=6&id_art=28&idr=33214
La dimensione più consona alla signora Worden, che preferisce essere riconosciuta come “
My brightest
diamondӏ quella che si mescola con il teatro e la rappresentazione e che segue una tradizione rintracciabile
all'interno della storia del rock.
Questa è la storia di una duplice metamorfosi che alla fin fine ha condotto ad un esito liberatorio per l’
artista
e promettente per noi ascoltatori.
My brightest Diamond alias Shara Worden è passata infatti da esperienze pop non proprio di grana fine
(collaborazioni con Whitney Houston e Mariah Carey) al lavoro universitario nel campo della musica classica.
Tenuto conto della sua adolescenza vissuta in ambienti religiosi, è evidente che ha compiuto una serie di
salti carpiati non indifferenti. Alla fine approda a questa sua nuova veste all’
interno della scena newyorkese
stile Knitting Factory, per gradire.
Esordio con un album sghembo, stimolante nella sua irrisolutezza. Quasi a saggiare, con toccate e fughe
incuriosite, vari aspetti di una scena musicale che la stimola e che cerca di setacciare per scovarne,
all’
interno, ciò che più le si addice. Quindi: romanticismo barocco alla Antony (non a caso ha lavorato con
Sufjan Stevens), blues sottovoce, retaggi di trip hop fuori moda, non disdegnando neanche esplosioni
elettriche apparentemente fuori registro.
E’evidente tuttavia che la dimensione più consona alla signora Worden è quella che si mescola con il teatro,
la rappresentazione; seguendo così una tradizione consolidata, anche se minoritaria e di retaggio non
proprio selvaggio, all’
interno della storia del rock. Ed infatti l’
artista frequenta sistematicamente questa
dimensione privilegiando live in luoghi piccoli e raccolti, nei quali può soddisfare la sua passione per
travestimenti e performance quasi cabarettistiche.
Nel complesso un’
album eterogeneo e stuzzicante. Sicuramente un primo passo proficuo per My Brightest
Diamond, in attesa che focalizzi, in seguito, le sue capacità non indifferenti.
IL POPOLO DEL BLUES
http://www.ilpopolodelblues.com/rev/agosto06/anteprima/My-Brightest-Diamond.html
Viene dal Michigan ma vive a New York City dove ha realizzato già un album. Studia composizione con
Padma Newsome degli straordinari e sottovalutati Clogs che la spinge a incidere un disco assieme a un
quartetto d’
archi, “A Thousand Shark’
s Teeth”
. Quando incontra il genialoide Sufjan Stevens entra a far
parte degli Illinoismakers ma è la sua attuale carriera solista che fa parlare sempre più insistentemente nei
circuiti underground di Shara Worden, che, con il nome d’
arte del suo nuovo progetto, My brightest
Diamond, è oggi nei negozi con “
Bring me Workhorse”
.
Un po’PJ Harvey (“
Freak Out”
), un po’Kate Bush (“
We Were Sparkling”
), un po’Tori Amos (“
Magic Rabbit“
forse la più completa canzone della raccolta dal tono elettrico drammatico e vagamente epico), un po’Jeff
Buckley (“
The Good & the bad Guy “la più melodica), la Worden è seriamente piantata su una corsia di
ricerca come la scuola del club di Tribeca, Tonic, insegna.
Quello di Shara Worden ci pare un cantautorato atmosferico e multiforme, dai contrasti armonici e
emotivamente lieve (“
Disappear”
) che lascia intravedere però uno stile personale di scrittura. Oggi che New
York City produce così tanti nomi nuovi al femminile ( Regina Spektor della quale recensiremo presto il
nuovo disco, Jill Stevenson, Nina Nastasia, Rebecca Moore e molte altre ) c’
è davvero da guardare bene se
siamo davanti a una confluenza casuale o a un filone già in forma di consolidamento.
Certo è che Shara –nipote di un chitarrista evangelista viaggiatore, figlia di un campione nazionale di
fisarmonica e di una organista di chiesa –cerca disperatamente con i suoi amici a qualsiasi convenzione (ci
riesce bene in “
The Robin Jar’
s“
) ma rischia di ripetere la formula con il procedere del disco.
Peccato per le note poco chiare e la voglia di essere “
diversi”a tutti i costi che, a questo punto della storia
del mondo e della musica, diventa quasi un preconcetto per chi ascolta. La semplicità, infatti, paga a volte
ben di più mentre la Worden ci pare una cantautrice che tenda ad auto complicarsi la vita per di sfuggire ai
cliché e potrebbe rischiare di restarci dentro. Attenzione perciò al suo percorso, in tutti i sensi.
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