Elementi di elettromagnetismo avanzato

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Elena Botta
Tullio Bressani
Elementi di
elettromagnetismo avanzato
Copyright © MMIX
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–2276–4
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: gennaio 2009
v
Prefazione
Tra le varie branche della Fisica Classica (Meccanica del punto materiale, Dinamica del corpo rigido, Termodinamica, Fluidodinamica, Elettrodinamica . . . ) l’ Elettromagnetismo è senza dubbio la disciplina che più
ampiamente e profondamente pervade la nostra vita quotidiana. I principi sui quali si basa il funzionamento della gran parte dei dispositivi che la
moderna tecnologia ha sviluppato sia come aiuto e strumento per la nostra
attività sia come mezzo per migliorare il nostro tenore di vita (e permettere il
nostro svago) sono pressoché immancabilmente riconducibili alla presenza e
al comportamento peculiare di distribuzioni di cariche e correnti, stazionarie
nel tempo o meno.
Di fatto l’ Elettricità è lo strumento basilare per l’ immagazzinamento
di energia di qualunque origine, sotto forma di energia elettrica, e per la
sua distribuzione dalle centrali di produzione fino agli utilizzatori finali, con
estrema capillarità, anche a grande distanza dalle centrali stesse.
Al giorno d’ oggi non esiste praticamente nessun dispositivo che sia in
grado di funzionare se non viene alimentato con energia elettrica, sia sotto
forma di corrente proveniente direttamente dalla rete elettrica che di altri
sistemi di immagazzinamento, come i diversi tipi di batterie disponibili, sempre comunque riconducibili a distribuzioni di cariche elettriche variamente
prodotte.
Nel campo delle Telecomunicazioni, poi, l’ Elettromagnetismo, ovvero
quella parte della Elettrodinamica che ha per oggetto campi elettrici e magnetici variabili nel tempo, è lo strumento base per la realizzazione di ogni
tipo di collegamento a distanza (con onde radio, con onde centimetriche o
microonde, per mezzo di propagazione guidata entro strutture confinanti).
Tutti i dispositivi impiegati per la trasmissione, propagazione e ricezione di
informazioni a grandi distanze sfruttano le proprietà di autosostentamento
e di autopropagazione delle onde elettromagnetiche, cosicché esse fungono
da vettori dell’ informazione stessa.
Data la grande importanza di una conoscenza approfondita delle leggi
dell’ Elettromagnetismo Classico per la formazione di un laureato in Fisica
sia di primo che di secondo livello, nonché per le applicazioni, il presente
volume si propone di affrontare lo studio dell’ Elettromagnetismo Classico
partendo dalle sue equazioni basilari, ovvero dalle equazioni di Maxwell in
forma differenziale, e risolvendole in modo completo per descrivere le proprietà generali delle onde elettromagnetiche (espressioni dei campi e loro
caratteristiche dinamiche), nonché le proprietà peculiari delle onde emesse
vi
dai tipi più semplici e significativi di sorgenti, come il dipolo elettrico oscillante ideale e reale e l’ antenna lineare, e propagate da strutture guidanti
quali guide d’ onda e fibre ottiche. Verrà anche data una descrizione quantitativa della proprietà di coerenza di un’ onda elettromagnetica e verranno
descritti i principi alla base della esecuzione di esperimenti fondamentali
quali la misura del vento d’ etere (esperimento di Michelson e Morley) e
della massa apparente del fotone (esperimento di Pound e Rebka).
L’ esposizione terminerà con una trattazione descrittiva delle proprietà
delle onde elettromagnetiche emesse da particelle cariche in moto relativistico lungo orbite chiuse (luce di sincrotrone).
Poiché le equazioni differenziali che dovranno esser risolte di volta in
volta sono alquanto complicate e, comunque, se ne vuole dare una soluzione
puntuale e rigorosa, verrà fatto un uso estensivo del calcolo differenziale e
dei suoi teoremi fondamentali. Al fine di rendere più agevole la fruizione del
testo da parte dei lettori, nelle appendici vengono riassunte le definizioni e i
teoremi a cui viene fatto riferimento esplicito nello sviluppo degli argomenti.
Torino, 2008
E. Botta
T. Bressani
Indice
1 Equazioni di Maxwell
1
2 Potenziali elettromagnetici
2.1 Potenziale vettore e potenziale scalare . . . .
2.2 Superpotenziale di Hertz . . . . . . . . . . . .
2.3 Calcolo dei Potenziali con il metodo di Green
2.4 Metodo di Green e caso statico . . . . . . . .
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9
9
12
13
19
3 L’energia del campo elettromagnetico
3.1 Il vettore di Poynting . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Il tensore degli sforzi elettromagnetici . . . . . . . . . . . .
3.3 Quantità di moto elettromagnetica . . . . . . . . . . . . . .
23
23
27
30
4 Onde elettromagnetiche nel vuoto
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Tecnica di separazione delle variabili . . . . . . . .
4.2.1 Coordinate cartesiane . . . . . . . . . . . .
4.2.2 Coordinate cilindriche . . . . . . . . . . . .
4.2.3 Coordinate sferiche . . . . . . . . . . . . . .
4.3 Onde con particolari simmetrie . . . . . . . . . . .
4.3.1 Propagazione di onde a simmetria cilindrica
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38
38
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5 Emissione di onde elettromagnetiche
5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . .
5.2 Dipolo oscillante . . . . . . . . . . .
5.3 Oscillazioni smorzate . . . . . . . . .
5.4 Onde elettromagnetiche in risonanza
5.5 Antenna Lineare . . . . . . . . . . .
5.6 Antenne collineari e parallele . . . .
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53
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viii
Indice
5.7
5.6.1 Composizione di antenne collineari . . . . . . . . . .
77
Effetto del suolo. Antenna Marconiana . . . . . . . . . . . . 79
5.7.1 Antenna verticale vicina al suolo: antenna marconiana 81
6 Guide d’onda
6.1 Equazioni di Maxwell per la guida d’onda .
6.2 Guide d’onda con contorno definito . . . . .
6.2.1 Guida d’onda a sezione rettangolare
6.2.2 Guida d’onda a sezione circolare . .
6.3 Attenuazione in una guida d’ onda reale . .
6.4 Cavità risonanti . . . . . . . . . . . . . . . .
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. 94
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. 112
7 Generatori di onde elettromagnetiche
117
7.1 Il Klystron . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
8 Diffusione della radiazione
125
8.1 Diffusione da parte di elettroni liberi . . . . . . . . . . . . . 125
8.2 Diffusione da parte di elettroni legati . . . . . . . . . . . . . 127
9 Fibre ottiche
9.1 Considerazioni generali . . . . . . . . .
9.2 Trasmissione di segnali in fibre ottiche
9.3 L’approssimazione dell’iconale . . . . .
9.4 Le formule di Fresnel . . . . . . . . . .
9.5 Propagazione modale nelle fibre ottiche
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10 Ottica coerente
10.1 Elementi di Ottica coerente . . . . . . . . . . . .
10.2 L’interferometro di Michelson . . . . . . . . . . .
10.3 L’esperimento di Michelson e Morley . . . . . . .
10.4 Invarianza delle equazioni di Maxwell . . . . . . .
10.5 Misure di precisione con l’ effetto Mössbauer . . .
10.5.1 Misure di vento d’ etere . . . . . . . . . .
10.5.2 La massa apparente dei fotoni . . . . . . .
10.6 Coerenza di un’onda elettromagnetica . . . . . .
10.6.1 Coerenza spaziale e temporale . . . . . . .
10.6.2 Grado di coerenza spaziale e temporale . .
10.6.3 Misura della coerenza spaziale e temporale
10.7 Olografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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ix
Indice
10.7.1
10.7.2
10.7.3
10.7.4
10.7.5
Generalità . . . . . . . . . .
Principio fisico dell’olografia
Olografia in asse e fuori asse
Olografia in riflessione . . .
Applicazioni dell’olografia .
11 Luce di Sincrotrone
11.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . .
11.2 Proprietà della luce di sincrotrone .
11.3 Distribuzione angolare . . . . . . .
11.4 Composizione spettrale . . . . . . .
11.5 Struttura temporale . . . . . . . .
11.6 Strutture magnetiche dedicate . . .
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193
193
194
197
199
201
202
A Operatori scalari e vettoriali
207
B Teoremi notevoli del Calcolo Differenziale
211
C Operatori differenziali in diverse coordinate
215
D Cenni alle Trasformate di Fourier
219
D.1 Serie trigonometriche di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . 219
D.2 Integrale di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221
E Cenni sui tensori
223
E.1 Generalità sui tensori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223
E.2 Definizione di tensore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 224
F Cenni sulle funzioni di Bessel
227
G Letture consigliate
235
Capitolo 1
Equazioni di Maxwell
La descrizione in termini classici dei fenomeni elettromagnetici (EM) è
data dalle equazioni di Maxwell (EqM) e risale a 150 anni fa. Ad essere
pignoli, Maxwell aggiunse un termine (la corrente di spostamento) ad una
delle quattro equazioni, già proposte da altri autori precedenti, ma il suo
nome è associato a tutto il complesso di equazioni che legano i campi EM
alle sorgenti (distribuzioni di cariche e di correnti) in quanto egli operò la
prima unificazione tra fenomeni fisici apparentemente scorrelati (l’elettricità,
il magnetismo e l’ottica).
L’osservazione principale era che la velocità di propagazione delle oscillazioni trasversali dell’ipotetico mezzo materiale, l’etere (che non serviva a
niente altro se non a suffragare l’ipotesi che una qualsiasi propagazione non
potesse avvenire se non in presenza di un mezzo materiale) era eguale a
quella della luce. Nel 1905 Einstein dimostrò che l’ etere non esiste.
I fisici di oggi continuano a muoversi nella direzione indicata da Maxwell di cercare l’unificazione di fenomeni apparentemente scorrelati, e con
successo (l’unificazione tra interazioni EM e interazioni deboli è di un paio
di decenni fa).
La figura 1.1 rappresenta in modo schematico lo spettro EM oggi conosciuto. Vediamone, a grandi linee, le componenti principali, per frequenze
crescenti.
Le onde a frequenza radio hanno frequenza da pochi Hz fino a 109
Hz e comprendono le radiazioni da linee elettriche, le onde radio AM e FM
e le onde TV.
Le microonde vanno da circa 109 Hz a circa 3 × 1011 Hz, corrispondenti
1
2
Capitolo 1. Equazioni di Maxwell
Figura 1.1: Rappresentazione schematica dello spettro elettromagnetico in funzione della frequenza e della lunghezza d’ onda della radiazione. A
destra è riportata più in dettaglio la regione dello spettro visibile,
del vicino ultravioletto e dell’ infrarosso vicino, medio e lontano.
a lunghezze d’onda da 1 mm a 30 cm circa, e comprendono onde usate per
telecomunicazioni (telefonini) e onde radar.
L’infrarosso è compreso nella banda di frequenze da circa 3 × 1011 Hz
a 4 × 1014 Hz.
La luce comprende una zona assai ristretta dello spettro elettromagnetico, con lunghezze d’onda da 780 nm a 380 nm, anche se, in realtà, l’occhio
umano può spesso coprire un campo leggermente piú ampio. Nella tabella
1.1 sono riportate le frequenze e le lunghezze d’onda associate ai vari colori.
L’ultravioletto si estende al di là del violetto da una frequenza di circa
7.7 × 1014 Hz fino a circa 3 × 1017 Hz. La radiazione solare contiene
3
Colore
Rosso
Arancione
Giallo
Verde
Azzurro
Violetto
lunghezza d’onda
nel vuoto (nm)
780–622
622–597
597–577
577–492
492–455
455–380
Frequenza
(1012 Hz)
384–482
482–503
503–520
520–610
610–659
659–769
Tabella 1.1: Regione visibile dello spettro EM: associazione di frequenze e
lunghezze d’ onda ai colori che lo compongono.
ultravioletto in frazione piuttosto notevole; essa viene, però, assorbita in
larga misura negli strati più alti dell’atmosfera terrestre.
I raggi X, scoperti da Roentgen nel 1895, occupano la banda seguente
all’ultravioletto fino a circa 5 × 1019 Hz; al di là di questi raggi si hanno i
raggi gamma.
Le EqM rimangono ancora oggi lo strumento di base per la comprensione
di tutti i fenomeni EM, e soprattutto per le applicazioni.
Ricordiamo le EqM, nel sistema SI, in forma differenziale, nel vuoto:
~ = ρ/ǫ0
∇·E
(teorema di Gauss)
(1.1)
~ = 0 (non esistenza di cariche magnetiche libere)
∇·B
(1.2)
~
~ = − ∂B
∇×E
∂t
(1.3)
(legge di Faraday − Neumann − Lenz)
~
~ = µ0~j + ǫ0 µ0 ∂ E
∇×B
(1.4)
∂t
(senza l’ultimo termine è il teorema della circuitazione di Ampère).
~ è il vettore intensità di campo elettrico o
Nelle precedenti equazioni E
~ è il vettore campo di induzione magnetica
semplicemente campo elettrico, B
o semplicemente campo magnetico, ρ la densità di carica e ~j la densità di
corrente.
L’uso del sistema SI è il meno peggio soprattutto per quanto riguarda
le applicazioni, dove siamo condizionati dall’uso generalizzato dell’ unità di
~ e Tesla per |B|.
~ Siamo peraltro costretti a portarci
misura Volt/m per |E|
4
Capitolo 1. Equazioni di Maxwell
dietro i valori ǫ0 = 8.84 × 10−12 F m−1 e µ0 = 12.566 × 10−7 N A−2 . Per
√
fortuna 1/ ǫ0 µ0 = c = 299792456.2±1.1 m s−1 , misurata con tale precisione
da costituire ormai una grandezza fondamentale.
Il sistema di Gauss, che fa comparire c nei secondi membri delle (1.1)
e (1.4), è più semplice nella scrittura delle equazioni e nell’interpretazio~ eB
~ in unità poco
ne, ma si porta dietro la complicazione di esprimere E
convenzionali.
A puro titolo di esempio di complicazioni dovute alle unità di misura
e di assoluta validità delle EqM a descrivere qualsiasi fenomeno elettromagnetico, poniamoci questo problema. I fenomeni di tipo elettrico (o meglio
elettrostatico) sono molto più evidenti che non quelli di tipo magnetico ( o
meglio magnetostatico), e ciò porta alla convinzione errata che le intensità
~ ottenibili e maneggiabili siano molto superiori a quelli di B.
~ In realtà
di E
stiamo paragonando grandezze fisiche diverse, espresse in unità di misura
convenzionali diverse. Possiamo ottenere un paragone significativo guardando gli effetti. È noto che la densità di energia W in una regione spaziale in
~ uniforme ed un campo magnetico B
~ uniforme sono
cui esiste un campo E
date da:
1
(1.5)
W E = ǫ0 E 2
2
e rispettivamente
1 2
WB =
B
(1.6)
2µ0
supponendo di essere nel vuoto ed indicando con E e B i moduli dei rispettivi
vettori.
Chiediamoci ora quale sia l’intensità del campo elettrico, E, supposto
uniforme nel volume che consideriamo (1 m3 ), necessario ad avere la stessa
densità di energia ottenuta con un campo magnetico B, sempre uniforme,
di 1T . Si vede immediatamente che deve essere E = cB e quindi E risulta
essere di 3 × 108 V/m. Per completezza, la densità di energia W risulta
essere di ∼ 4 × 105 J/m3 .
Per quanto riguarda la densità di energia magnetica, i valori descritti
sono facilmente ottenibili e comunemente usati, in Laboratorio ma anche
in diagnostica medica (risonanza magnetica nucleare). Lo stesso non è per
la densità di energia elettrica. Campi elettrostatici di 3 × 108 V /m non
sono ottenibili, non certo in aria, come per un campo magnetico di 1T, ma
neanche in condizioni di vuoto spinto. Perchè e come lo vediamo dalle EqM.
Premettiamo che molto spesso, a seconda delle circostanze, confonderemo
il “vuoto teorico” con il “vuoto sperimentale” e con l’aria, nel senso che in
5
molte circostanze i fenomeni sono sostanzialmente gli stessi. Questo non
è il caso dell’esempio sopra riportato, nel senso che in aria, ma anche in
condizioni di “vuoto sperimentale” esistono comunque delle cariche libere,
~ e dissipano l’energia immagazzinata,
che vengono accelerate in un campo E
mentre non esistono cariche magnetiche libere e questo è contenuto nelle
prime due EqM.
Nelle EqM nel vuoto compaiono ρ e ~j, nell’ipotesi che la carica sia
una grandezza fisica continua. Dall’esperimento di Millikan, successivo alla
formulazione delle EqM, sappiamo che non è così, ma che esiste una carica
elettrica elementare, quella dell’elettrone, pari a 1.6 × 10−19 C. Sappiamo
anche che le cariche elementari positive e negative sono associate a particelle
di massa diversa, quella positiva al protone di massa 1.67252×10−27 kg e
quella negativa all’elettrone di massa 9.10909×10−31 kg. Come possiamo
esprimere ρ e ~j in maniera realistica, tenendo conto che la carica è discreta?
Possiamo scrivere classicamente:
dq = ρ dV
con ρ = ρ(x, y, z, t)
(1.7)
e quindi
q =
Z
ρ dV
(1.8)
V
è la carica totale contenuta in un volume V .
Tenendo conto della struttura atomica della materia possiamo scrivere,
in luogo della (1.8):
n(V )
X
q =
qi
(1.9)
i=1
che descrive il fatto che la carica considerata è costituita da n(V ) cariche
elementari qi appartenenti agli elettroni ed agli ioni positivi, oppure ai nuclei
atomici, della materia contenuta nel volume V . Scegliendo, anzichè V , un
volume ∆V abbastanza piccolo, la densità di carica nel suo punto centrale
può essere assunta eguale alla densità media. Possiamo cioè porre:
ρ =
Pn(∆V )
i=1
∆V
qi
(1.10)
Ciò richiede, però, che, anche quando ∆V è molto piccolo, n(∆V ) sia grande
abbastanza da poter ritenere continua la distribuzione di carica. In pratica
ciò accade quasi sempre; il numero di cariche presenti nella materia è, infatti,
6
Capitolo 1. Equazioni di Maxwell
molto elevato essendo il suo ordine di grandezza compreso tra 1026 /m3 , per
i gas in condizioni normali di temperatura e pressione, e 1031 /m3 , per le
sostanze solide. Si badi però che nelle (1.9) e (1.10) intervengono cariche
qi di segno opposto le quali, per un oggetto materiale macroscopico, si
compensano di regola quasi esattamente. L’eccesso di una carica, positiva
o negativa, su 1011 ÷ 1012 cariche dei due segni corrisponde già ai massimi
possibili valori di ρ. Ciò è dovuto al fatto che un sensibile eccesso di carica,
positivo o negativo, darebbe luogo a delle forze repulsive così intense da
vincere la coesione della materia di cui è costituito l’oggetto.
Tuttavia, utilizzando una speciale funzione discontinua dovuta a Dirac,
è possibile estendere il concetto di densità di carica anche a distribuzioni
discrete, contenenti un numero di cariche arbitrariamente piccolo. Consideriamo, a questo scopo, la cosiddetta f unzione δ tridimensionale; essa,
data una funzione arbitraria del posto ~x, f (~x), è definita dalla relazione:
Z
f (~x) δ(~x − x~i ) dV = f (x~i )
(1.11)
V
e, in particolare, per f (~x) = 1,
Z
δ(~x − x~i ) dV = 1
(1.12)
V
Sostanzialmente δ(~x −x~i ) è una funzione nulla dappertutto, tranne nel punto
x~i dove, pur soddisfacendo la condizione (1.12), assume un valore infinito.
Poniamo, come definizione di ρ:
n(V )
ρ(~x) =
X
i=1
qi δ(~x − x~i )
(1.13)
da essa risulta subito, integrando su V , che la (1.8) è verificata e la carica
totale q assume il valore (1.9) indipendentemente da ogni restrizione sul
valore di n. La (1.13) esprime pertanto, nel modo più generale, la relazione
tra ρ e la distribuzione della cariche qi .
Al moto delle cariche possiamo associare un vettore ~j, detto densità di
corrente, mediante le seguenti due relazioni:
Pn(∆V )
qi v~i
i=1
~j =
(1.14)
∆V
e
n(∆V )
X
~j =
qi v~i δ(~x − x~i )
(1.15)
i=1
7
dove v~i è la velocità della i–esima carica. La (1.14), analogamente al caso della (1.10), corrisponde al caso della distribuzione continua; la (1.15),
analogamente alla (1.13), è del tutto generale.
Introducendo la seguente definizione della velocità media delle n(∆V )
cariche:
Pn(∆V )
qi v~i
(1.16)
~v = Pi=1
n(∆V )
q
i
i=1
e, ricordando la (1.10), possiamo scrivere:
~j = ρ ~v
(1.17)
La generalizzazione della (1.16) al caso della distribuzione discreta è banale: ~v , in questo caso, può essere calcolato sostituendo le (1.13) e (1.15)
nella (1.17). Si deve notare, riguardo l’equazione (1.16), che il rapporto
tra la velocità media ~v e le velocità ~vi delle singole cariche può essere diversissimo a seconda dei casi. Nei raggi catodici, ad esempio, ~v coincide
praticamente con le velocità dei singoli elettroni; gli elettroni di conduzione
di un metallo, invece, posseggono delle velocità che raggiungono i 106 m/s,
contro una velocità media, dovuta al passaggio della corrente, dell’ordine di
soli 10−4 m/s.
Un’ulteriore considerazione riguarda la linearità delle EqM nei campi
~
~ Ciò significa che il campo esistente in un dato punto dello spazio,
E e B.
dovuto alla presenza di un certo numero N di sorgenti (cariche e correnti)
è la somma vettoriale degli N campi dovuti alle singole sorgenti in conformità al P rincipio di Sovrapposizio − ne. Dalla struttura stessa delle EqM
~ è un vettore polare, che cambia cioè segno per
appare anche chiaro che E
~ è invece un vettore assiale
inversione del segno delle coordinate spaziali, e B
(o pseudovettore), che non cambia segno. Si ricorda infatti che l’operatore
∇× trasforma un vettore polare in uno assiale e viceversa. Le (1.3) e (1.4)
evidenziano questa proprietà.
Per descrivere i fenomeni EM nei mezzi materiali è noto che bisogna
~ e H,
~ con le debite complicazioni di forma e di sostanza.
introdurre i vettori D
Le affronteremo al momento debito.
Capitolo 2
Potenziali elettromagnetici
2.1
Potenziale vettore e potenziale scalare
~ e B,
~ in funzione del posto e
Le EqM nel vuoto permettono di calcolare E
del tempo, quando siano note le distribuzioni di ρ e di ~j. Appare comunque
~ e B
~ (6 funzioni, le componenti) a partire
chiaro che la descrizione con E
da quattro funzioni (le componenti di ~j e ρ) è ridondante, ed è possibile
effettuare una riduzione. A questo scopo, osservando che la divergenza di
un rotore è identicamente nulla (∇ · ∇ × ~v = 0, ~v vettore qualsiasi) e che
~ poniamo:
tale è pure, per la (1.2), la divergenza di B,
~ = ∇×A
~
B
(2.1)
~ è un vettore, funzione del posto e del tempo, detto potenziale vettore.
dove A
Sostituendo la (2.1) nella (1.3) e scambiando l’ordine delle derivate temporali e spaziali si ottiene:
!
~
∂
A
~ +
= 0
(2.2)
∇× E
∂t
Tenendo conto che il rotore di un gradiente è identicamente nullo (∇ ×
∇ s = 0, s scalare qualsiasi), poniamo:
~
~ + ∂A = − ∇ V
E
∂t
(2.3)
dove V è una funzione del posto e del tempo, detta potenziale scalare. Il
segno − viene introdotto per le considerazioni già fatte per il caso elettrostatico, che deve essere contenuto nella (2.3).
9
10
Capitolo 2. Potenziali elettromagnetici
Il campo EM risulta così espresso mediante la (2.1) e la (2.3), riscritta
come:
~
~ = − ∇ V − ∂A
E
(2.4)
∂t
In esse intervengono solo quattro funzioni scalari, ossia V e le tre com~ Si deve però notare che la scelta dei potenziali A
~ e V non
ponenti di A.
è univoca. Infatti, indicata con A~0 e V0 una determinazione dei potenziali soddisfacente le (2.1) e (2.4), si verifica immediatamente che anche i
potenziali:
~ = A~0 + ∇ φ
A
(2.5)
∂φ
(2.6)
∂t
dove φ è una arbitraria funzione del posto e del tempo, soddisfano queste
equazioni. La trasformazione rappresentata dalle (2.5) e (2.4) prende il
nome di trasformazione di gauge: essa lascia invariate le espressioni dei
~ eB
~
campi E
~ e V. A
Determiniamo ora le equazioni cui obbediscono i potenziali A
questo scopo sostituiamo le (2.1) e (2.4) nella (1.4); si ottiene:
V = V0 −
2~
~ + ǫ0 µ0 ∂ ∇ V + ǫ0 µ0 ∂ A = µ0~j
∇× ∇× A
∂t
∂t2
Utilizzando l’identità
(2.7)
~ = ∇∇ · A
~ − ∇2 A
~
∇× ∇× A
(2.8)
2 A
~
∂
∂
V
1
1
~ +
~ −
= −µ0~j + ∇ ∇ · A
∇ A
c2 ∂t2
c2 ∂t
(2.9)
la (2.7) diventa:
2
Analogamente, sostituendo la (2.4) nella (1.1) abbiamo:
∇2 V +
∂
~ = −ρ
∇ · A
∂t
ǫ0
(2.10)
È possibile dare a queste equazioni una forma più compatta approfittando
della arbitrarietà della funzione φ. Supponiamo, infatti, di scegliere φ in
modo che
~ + 1 ∂V = 0
∇ · A
(2.11)
c2 ∂t
2.1. Potenziale vettore e potenziale scalare
ossia, come si vede subito usando le (2.5) e (2.6):
1 ∂2 φ
~ 0 + 1 ∂ V0
∇2 φ − 2
=
−
∇
·
A
c ∂t2
c2 ∂t
11
(2.12)
In questo modo, mediante la (2.12), che viene detta condizione di gauge di
Lorentz, le equazioni per i potenziali diventano semplicemente:
~ −
∇2 A
~
1 ∂2 A
= − µ0~j
2
2
c ∂t
(2.13)
∇2 V −
ρ
1 ∂2 V
= −
2
2
c ∂t
ǫ0
(2.14)
Esse, tenendo conto della (2.1) e della (2.4), della condizione di gauge di
Lorentz e delle condizioni al contorno, ci permettono di determinare il campo EM in funzione delle cariche e delle correnti. Sovente, per semplificare
le notazioni, si fa uso del simbolo
= ∇2 −
1 ∂2
c2 ∂t2
(2.15)
esso prende il nome di operatore D’Alambertiano. Le equazioni (2.12), (2.13)
e (2.14) assumono così la forma:
∂
V
1
0
~0 +
φ = − ∇ · A
(2.16)
c2 ∂t
~ = − µ0~j
A
ρ
V = −
ǫ0
(2.17)
(2.18)
È importante rilevare che la condizione di gauge di Lorentz implica la
validità dell’ equazione di continuità:
∂ρ
= 0
∇ · ~j +
∂t
(2.19)
che esprime il fondamentale e basilare concetto che la carica è conservata. Infatti applicando alla (2.17) l’operatore ∇· e sommando con la (2.18)
derivata rispetto a c2 t, si ottiene:
1
∂
V
∂
ρ
~ +
0 = ∇·A
= −µ0 ∇ · ~j +
(2.20)
c2 ∂t
∂t
12
Capitolo 2. Potenziali elettromagnetici
Ciò significa, in altri termini, che il legame esistente tra le soluzioni (2.17)
e (2.18) corrisponde a quello che intercorre tra ~j e ρ.
Si può notare che a partire dalle quattro funzioni che descrivono le tre
componenti di ~j e ρ si ottengono, tramite le (2.17) e (2.18), altre quattro
~ e V ). Le (2.1) e (2.4) forniscono il legame
funzioni (le tre componenti di A
~
~
con E e B che sono i campi fisici misurabili.
2.2
Superpotenziale di Hertz
Nelle applicazioni si può utilizzare la (2.19) per evitare di integrare l’e~ dalla
quazione per il potenziale scalare V . Per fare ciò basta ricavare A
(2.17) e calcolarne la divergenza, dopodichè la (2.11), con una integrazione
rispetto al tempo, ci fornisce, a meno di una costante dipendente dal posto, il valore di V . All’atto pratico questa costante può, di solito, essere
determinata senza difficoltà; è tuttavia preferibile talvolta seguire un differente procedimento che, anche a priori, non dà luogo ad alcuna ambiguità.
In altre parole, si cerca di ottenere una ulteriore riduzione del numero di
funzioni che descrivono le sorgenti (3 anzichè 4) e di componenti dei campi
generati.
~ funzione del posto e del
A questo scopo introduciamo un vettore Q,
tempo, tale che:
~
~j = ∂ Q
(2.21)
∂t
e
~
ρ = −∇ · Q
(2.22)
Si constata immediatamente che la forma di queste equazioni garantisce la
~
validità dell’equazione di continuità (2.19), qualunque sia Q.
Poniamo ora:
~
~ = 1 ∂Z
(2.23)
A
c2 ∂t
~
V = −∇ · Z
(2.24)
~ è un vettore da determinarsi, detto vettore (o superpotenziale) di
dove Z
Hertz. Sostituendo le (2.21) e (2.23) nella (2.17) si ha:
1 ∂
c2 ∂t
~
~ + Q
Z
ǫ0
!
= 0
(2.25)
2.3. Calcolo dei Potenziali con il metodo di Green
13
Analogamente, sostituendo le (2.22) e (2.24) nella (2.18) si ottiene:
!
~
Q
~ +
∇ · Z
= 0
(2.26)
ǫ0
~ tale da verificare l’equazione:
Basta pertanto assumere Z
~ = −
Z
~
Q
ǫ0
(2.27)
perchè le (2.17) e (2.18) siano a loro volta verificate. Partendo dall’espres~ si può ottenere, mediante successive derivazioni, il campo EM; è
sione di Z
da notare che la condizione di gauge di Lorentz è immediata conseguenza
~ risulta:
della forma delle (2.23) e (2.24). L’espressione per B
~
~ = 1 ∂ ∇×Z
B
c2 ∂t
(2.28)
~ con qualche trasformazione e mediante la
e quella del campo elettrico E,
(2.27):
~
E
=
=
2~
2~
~ + ∇2 Z
~ − 1 ∂ Z =
~ − 1 ∂ Z = ∇×∇×Z
∇∇ · Z
c2 ∂t2
c2 ∂t2
~
~ + Z
~ = ∇×∇×Z
~ − Q
∇×∇×Z
(2.29)
ǫ0
~ in tutti i punti dello spazio in cui Q
~ = 0, ossia
che si riduce a ∇ × ∇ × Z
al di fuori delle sorgenti.
2.3
Calcolo dei Potenziali con il metodo di Green
~
Occorre ora sviluppare un metodo che permetta di valutare i potenziali A
~
e V oppure il vettore di Hertz Z. A questo scopo osserviamo che l’equazione
(2.14), le tre componenti della (2.13), la (2.12) e le componenti della (2.27)
sono della forma:
f = ∇2 f −
1 ∂2f
= F (x, y, z, t)
c2 ∂t2
(2.30)
Per integrare una equazione di questo tipo si può utilizzare un metodo
che si basa sulla applicazione del lemma di Green (B.13), il che richiede,
14
Capitolo 2. Potenziali elettromagnetici
però, di eliminare la dipendenza esplicita dalla variabile tempo. A tal fine
sviluppiamo in serie di Fourier di forma complessa (cfr. appendice D) le
funzioni f e F , nell’ ipotesi che esse siano funzioni periodiche del tempo
con periodo T e pulsazione ω = 2π/T , altrimenti si potrà eseguire uno
sviluppo in integrali di Fourier e procedere poi in modo analogo a quanto
fatto nel seguito:
F (x, y, z, t) =
+∞
X
Φs (x, y, z)e(−iωs t)
(2.31)
ϕs (x, y, z)e(−iωs t)
(2.32)
−∞
f (x, y, z, t) =
+∞
X
−∞
nelle quali si è posto ωs = s ω con s numero intero, indice delle armoniche
successive. Sostituendo nella (2.30) abbiamo:
+∞
X
−∞
∇2 ϕs + ks2 ϕs − Φs e(−iωs t) = 0
(2.33)
dove si è posto:
ωs
= ks
c
La (2.33) è verificata se valgono le equazioni:
∇2 ϕs + ks2 ϕs = Φs
(2.34)
(2.35)
Consideriamo la funzione:
gs (r) =
e(iks r)
r
(2.36)
dove r è la distanza dal punto P (x, y, z) in cui si vuole determinare il valore della funzione ϕs . Usando l’espressione dell’operatore laplaciano in
coordinate polari, (C.9):
∂
∂2
1
∂
1
1 ∂
2 ∂
2
(2.37)
r
+ 2
sin θ
+ 2 2
∇ = 2
r ∂r
∂r
r sin θ ∂θ
∂θ
r sin θ ∂ϕ2
si verifica subito che gs è un integrale particolare dell’equazione:
∇2 gs + ks2 gs = 0
(2.38)
2.3. Calcolo dei Potenziali con il metodo di Green
15
Figura 2.1: Rappresentazione schematica della geometria utilizzata per ricavare
la formula di Kirchhoff.
Poichè gs è singolare in P usiamo per applicare il lemma di Green un
volume che escluda il punto di singolarità, cioè il volume V ∗ compreso entro
una superficie chiusa S contenente all’interno il punto P ed una seconda
superficie sferica S0 , di raggio molto piccolo, ǫ, con centro nel punto P
stesso, come indicato in figura 2.1. Poichè in questo volume le funzioni ϕs e
gs sono entrambe regolari (la funzione ϕs è regolare in quanto rappresenta
una grandezza fisica), dal lemma di Green abbiamo:
Z
Z
2
2
gs ∇ ϕs − ϕs ∇ gs dV =
(gs ∇ϕs − ϕs ∇gs ) · ~n dS0 +
V∗
S0
Z
(gs ∇ϕs − ϕs ∇gs ) · ~n dS
(2.39)
S
ovvero, applicando la definizione di derivata direzionale di un campo scalare
u:
h secondo la direzione individuata dal versore ~u, dh
du = ∇h · ~
Z
Z dϕs
dgs
2
2
gs ∇ ϕs − ϕs ∇ gs dV =
gs
− ϕs
dS0 +
dn
dn
V∗
S0
Z
dgs
dϕs
− ϕs
gs
dS
(2.40)
dn
dn
S
Usando le equazioni (2.35) e (2.38) l’integrale a primo membro della
(2.40) diventa:
Z
Z
gs Φs dV
(2.41)
gs ∇2 ϕs − ϕs ∇2 gs dV =
V∗
V∗
Trasformiamo ora il primo integrale a secondo membro della (2.40); tenendo
conto che sulla superficie S0 la derivata normale coincide, salvo il segno, con
16
Capitolo 2. Potenziali elettromagnetici
la derivata rispetto a r, si ottiene:
Z Z
dϕs
iks
dgs
1
(iks r) 1 dϕs
gs
− ϕs
− ϕs
− 2
e
dS0
dS0 = −
dn
dn
r dr
r
r
S0
S0
(2.42)
ϕ̄s
s
di ϕs e dϕ
,
applichiamo
il
teorema
del
Introduciamo i valori medi ϕ̄s e ddr
dr
valore medio all’ integrale di superficie su S0 e facciamo tendere a zero ǫ; la
(2.42) si riduce a:
Z ¯s
dgs
iks
1
dϕs
2 (iks ǫ) 1 dϕ
− ϕs
− ϕ¯s (
− 2)
dS0 = −4πǫ e
gs
dn
dn
ǫ dr
ǫ
ǫ
S0
Z dϕs
dgs
lim
gs
− ϕs
dS0 = −4πϕs (P )
(2.43)
ǫ→0 S0
dn
dn
Sostituendo le (2.41) e (2.43) nella (2.40) ed osservando che per ǫ tendente
a zero il volume V ∗ coincide con l’intero volume V (escluso il punto P )
interno ad S abbiamo:
Z
dgs
dϕs
1
− ϕs
gs Φs dV
gs
dS −
ϕs (P ) =
dn
dn
4π V
S
Z
1
1 dr
iks
(iks r) 1 dϕs
=
e
− ϕs
− 2
dS −
4π S
r dn
r
r
dn
Z (iks r)
e
1
Φs dV
(2.44)
−
4π V
r
1
4π
Z dove è stata inserita l’espressione (2.36) della funzione gs . Risulta così
determinata anche la funzione f ; per ricavarla in modo esplicito, sostituiamo
la (2.44) nella (2.32) ed eliminiamo ks mediante la (2.34). Si trova:
Z X
+∞
+∞
X
1
−iωs t
e−iωs (t − r/c)
ϕs e
=
f (P, t) =
4π
S
−∞
−∞
1 dϕs
1 dr
iωs
·
− ϕs
− 2
dS −
r dn
cr
r
dn
Z X
+∞ −iωs (t − r/c)
1
e
Φs dV
(2.45)
4π V −∞
r
Notiamo ora che, esprimendo la (2.32) all’istante t − r/c anzichè all’istante
t, si ottiene:
+∞
X
ϕs (P ) e−iωs (t − r/c)
(2.46)
f (P, t − r/c) =
−∞
17
2.3. Calcolo dei Potenziali con il metodo di Green
e analogamente la derivata di f calcolata all’istante t − r/c diventa:
∂f
∂t
t−r/c
= −
+∞
X
ϕs (P ) i ωs e−iωs (t
− r/c)
(2.47)
−∞
Infine, considerando sempre allo stesso istante la funzione F , si ha:
F (P, t − r/c) =
+∞
X
Φs (P ) e−iωs (t
− r/c)
(2.48)
−∞
Mediante la (2.46), l’equazione da essa ottenuta derivata rispetto a n e le
(2.47), (2.48), l’espressione (2.45) della funzione f assume la forma:
Z 1 ∂f
dr
1
1 df
1
+
+ 2f
dS −
f (P, t) =
4π S r dn
cr ∂t
r
dn t−r/c
Z
1
1
F
dV
(2.49)
−
4π V r t − r/c
Questa relazione, dovuta a Kirchhoff, determina il valore del campo f nel
punto P e all’istante t mediante i valori che questa funzione e le sue derivate
assumono sulla superficie S, oltrechè mediante i valori di F (le sorgenti) nel
volume interno ad S. Tutte queste quantità devono, però, essere valutate
all’istante antecedente t − r/c. In altre parole, il valore di f (P, t) dipende
con il ritardo r/c dalla situazione sulla superficie S e nel volume V . Tenendo
conto che r è la distanza tra P e il punto Q variabile nelle integrazioni in
questi domini, ne segue l’importante risultato che la funzione f si propaga
con velocità c.
Consideriamo ora due casi estremi, ma molto istruttivi e quasi sempre
utilizzati in pratica, della formula di Kirchhoff.
1. Supponiamo che la superficie S sia all’infinito e quindi V diventi tutto
lo spazio. Nessun campo può percorrere lo spazio tra S e il punto
P considerato in un tempo finito con la velocità finita c e quindi
l’integrale di superficie si annulla. In tale caso la (2.49) fornisce, nel
punto P la relazione:
Z
F (Q, t − rP Q /c)
1
dVQ
(2.50)
f (P, t) = −
4π V
rP Q
Ricordando che avevamo indicato genericamente con f le funzioni
descriventi i potenziali e con F le sorgenti, possiamo esplicitare le
18
Capitolo 2. Potenziali elettromagnetici
~ V e Z:
~
relazioni finali per A,
µ0
~
A(P,
t) =
4π
Z ~
j(Q, t − rP Q /c)
dVQ
rP Q
V
(2.51)
1
V (P, t) =
4πǫ0
Z
(2.52)
V
ρ(Q, t − rP Q /c)
dVQ
rP Q
1
4πǫ0
Z
(2.53)
V
~
Q(Q,
t − rP Q /c)
dVQ
rP Q
~
Z(P,
t) =
~ eB
~ tramite le (2.3), (2.29),
dalle quali è possibile risalire ai campi E
(2.1) e (2.28) rispettivamente. Le integrazioni su Q vanno estese a
~ sono non nulli.
tutti i domini in cui ~j, ρ o Q
2. Supponiamo che nel volume V non ci siano sorgenti. Allora la (2.49)
si riduce a:
Z 1 ∂f
dr
1
1 df
1
+
+ 2f
dS (2.54)
f (P, t) =
4π S r dn
cr ∂t
r
dn t−r/c
Ma, in assenza di sorgenti, sappiamo che le EqM forniscono le equazioni delle onde libere, e la (2.54) sarà la soluzione quando siano dati
df
e ∂f
i valori di f , dn
∂t in funzione del tempo e per tutti i punti della
superficie S.
La (2.54) è una giustificazione rigorosa a posteriori del principio di
Huygens–Fresnel, proposto in modo del tutto empirico e con prescrizioni non corrette. Essa mostra, infatti, come l’ idea che sta alla base
di questo principio, vale a dire quella di considerare ogni punto di
una superficie d’ onda come sorgente di nuove onde e sostituire queste sorgenti secondarie alle sorgenti reali, sia sostanzialmente giusta;
mette però anche in evidenza come la prescrizione per l’ applicazione
del principio di Huygens–Fresnel sia basata su un postulato non vero
e cioè che le onde elementari secondarie partano dai vari punti della
superficie S con la stessa fase e con ampiezza decrescente al crescere
dell’ angolo θ fra la direzione considerata e la normale a dS (fino ad
annullarsi per θ ≥ π/2). La (2.54) può, dunque essere considerata
come la formulazione corretta di quel famoso principio.
19
2.4. Metodo di Green e caso statico
2.4
Metodo di Green e caso statico
Il metodo di Green su esposto rappresenta una estensione al caso di
campi variabili nel tempo di un metodo matematico normalmente utilizzato per risolvere problemi di elettrostatica. Per completezza di trattazione
soffermiamoci brevemente su questo aspetto.
Come è ben noto, il comportamento di un campo elettrostatico può
essere descritto mediante le due equazioni differenziali:
~ = ρ/ǫ0
∇·E
(2.55)
~ =0
∇×E
(2.56)
~ = −∇V ; in effetti essa
La (2.56) è equivalente all’ affermazione che E
può essere ricavata a partire dalla legge di Coulomb generalizzata per una
distribuzione continua di carica:
Z
~x − x~′
1
~
ρ(x~′ )
dV ′
(2.57)
E(~x) =
4πǫ0 V ′
|~x − x~′ |3
dove ~x è il punto nel quale si vuole valutare il campo elettrico e x~′ , variabile
entro V ′ , descrive la distribuzione stazionaria di cariche. Siccome
!
1
~x − x~′
(2.58)
= −∇
|~x − x~′ |3
|~x − x~′ |
dove l’ operatore ∇ agisce sulle coordinate del punto ~x, allora si può scrivere:
~ x) = − 1 ∇
E(~
4πǫ0
Z
V′
ρ(x~′ )
dV ′ = −∇V
|~x − x~′ |
(2.59)
avendo posto
1
V =
4πǫ0
Z
V′
ρ(x~′ )
dV ′
|~x − x~′ |
(2.60)
Si deve notare che la (2.59) permette di definire la funzione V solo a meno
di una costante additiva arbitraria. Si può poi ricordare che la (2.56) eùna
diretta conseguenza della natura centrale della forza elettrostatica, cioé del
fatto che tale forza dipende soltanto dalle distanze relative tra le cariche,
mentre non dipende dalla forma esplicita di tale dipendenza.
20
Capitolo 2. Potenziali elettromagnetici
Sostituendo la (2.59) nella (2.55) si ottiene l’ equazione differenziale per
il potenziale scalare, cioé l’ equazione di Poisson:
∇2 V = −ρ/ǫ0
(2.61)
∇2 V = 0
(2.62)
ovvero l’ equazione di Laplace
in assenza di sorgenti. Una soluzione della (2.61) è già nota ed è la (2.60),
come può essere verificato applicando direttamente l’ operatore laplaciano
ad entrambi i membri.
Se i problemi di elettrostatica coinvolgessero sempre distribuzioni discrete o continue di cariche localizzate, senza superfici di contorno, la (2.60)
rappresenterebbe la soluzione più diretta di ogni problema, senza la necessità di risolvere esplicitamente la (2.61) o la (2.62). Nella pratica, invece, i
problemi di elettrostatica interessano regioni limitate di spazio, con o senza
cariche al loro interno, e con condizioni assegnate sulle superfici di contorno.
L’ impossibilità di imporre tali condizioni al contorno tramite la (2.60), fa
sì che essa sia, di fatto, uno strumento poco conveniente per il calcolo del
potenziale. Da qui la necessità di sviluppare e utilizzare altri strumenti matematici, tipici della Fisica Matematica, quali il lemma di Green (B.13); infatti, ponendo f = V e g = 1 ~′ , esso consente di scrivere per il potenziale
|~
x−x |
elettrostatico:
!
Z
Z
d|~x − x~′ |
1
dV
1
ρ(x~′ )
1
V
′
dV +
dS ′
V (~x) =
+
′
2
~
4πǫ0 V ′ |~x − x~′ |
4π S ′ |~x − x~′ | dn
dn
|~x − x |
(2.63)
′
′
dove S e la superficie che delimita il volume finito V . Se la superficie S ′
viene portata all’ infinito e il campo elettrico su di essa decresce più rapidamente di 1 ~′ , l’ integrale di supeficie si annulla e si ritrova la (2.60). L’
|~
x −x |
integrale di volume tiene conto delle sorgenti interne al volume considerato
e non da contributo al potenziale se il punto ~x si trova al di fuori di S ′ . Se
tale volume è privo di cariche, il potenziale al suo interno, soluzione della
(2.62), viene espresso in termini dei valori del potenziale e della sua derivata
normale nei punti della sola superficie di contorno S ′ .
Il problema fondamentale dell’ elettrostatica consiste, dunque, nello stabilire quali siano le condizioni al contorno appropriate per la (2.61) o la
(2.62), tali, cioè, che all’ interno della regione considerata esista una soluzione unica e regolare, fisicamente ragionevole. L’ esperienza fisica porta a
2.4. Metodo di Green e caso statico
21
ritenere che la specificazione del potenziale, V ′ , in tutti i punti di una superficie chiusa S ′ (sistema di conduttori a potenziali costanti) definisca univocamente un problema di potenziale. Questo prende il nome di problema
di Dirichlet. Similmente, è plausibile che la specificazione del campo elettri~ = dV /dn, in ogni punto della superficie (assegnazione di una densità
co, E
superficiale di carica) sia sufficiente per definire il problema univocamente:
in tal caso di parla di problema di Neumann.
Si può, inoltre, dimostrare che i problemi di elettrostatica sono specificati solamente da condizioni al contorno di Dirichlet o di Neumann su una
superficie chiusa, che in parte o in toto può trovarsi all’ infinito.
Al termine di questa breve discussione, che non ha la pretesa di essere esaustiva sull’ argomento, appare evidente come la formula di Kirchhoff
(2.49) rappresenti la naturale estensione del caso statico a campi non stazionari: il significato fisico profondo di tale estensione è già stato ampiamente
discusso nel paragrafo precedente.
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