pag. 143-184 - Siapec

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RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
Napoli, 27-30 MAGGIO 2004
Riunione Primaverile SIAPEC – Divisione Italiana IAP
Napoli, 27-29 Maggio 2004
COORDINATORI DEL COMITATO SCIENTIFICO E ORGANIZZATORE
Gaetano De Rosa (Napoli)
Oscar Nappi (Napoli)
COMITATO SCIENTIFICO
Bruno Agostini ( Napoli)
Pasquale Angrisani (Salerno)
Gerardo Botti (Napoli)
Angelo Paolo Dei Tos (Treviso)
Luigi Di Bonito (Trieste)
Roberto Fiocca (Genova)
Pietro Gallo (Roma)
Giovannino Massarelli (Sassari)
Vito Ninfo (Padova)
GuidoPettinato (Napoli)
Luigi Ruco (Roma)
Fabio Maria Vecchio (Roma)
COMITATO ORGANIZZATORE
Arturo di Blasi (Benevento)
Vittoria Donofrio (Napoli)
Umberto Ferbo (Avellino)
Giacinto Forte (Napoli)
Francesco Maria Maiello (Napoli)
Pietro Micheli (Napoli)
Ferdinando Quarto (Castellammare di Stabia)
Renato Rossi (Caserta)
Raffaele Rossiello (Napoli)
cgsdg
INDICE PER ARGOMENTI
Corsi Brevi
I Linfomi Extranodali. Profili diagnostici. “Peculiarità di sede”. Mimics
Nuovi orizzonti della Citologia: dalla “Citodiagnostica” alla “Citodiagnostica biotecnologica”
L’Apoptosi. Dai meccanismi molecolari agli aspetti applicativi
pag.
”
”
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158
163
1. Citodiagnostica, Ematopatologia, Patologia mammaria, Biologia molecolare
2. Patologia polmonare. Patologia varia
3. Procedure tecniche, Patologia gastroenterologica, Dermatopatologia
”
”
”
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173
179
Indice analitico per Autori
”
185
Comunicazioni libere
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PATHOLOGICA 2004;96:147-157
CORSO BREVE
I Linfomi Extranodali. Profili diagnostici.
”Peculiarità di sede”. Mimics
MODERATORE: F. FACCHETTI, BRESCIA
Linfomi della tiroide
I linfomi del tratto gastrointestinale
F. Menestrina
G. Pettinato
Anatomia Patologica, Università di Verona
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione di Anatomia Patologica e Citopatologia, Università
“Federico II” di Napoli
Anche se i dati a nostra disposizione sono di relativo significato epidemiologico, in quanto fanno riferimento a segnalazioni
casistiche raccolte da singole istituzioni e non a studi epidemiologici effettuati su base geografica, i linfomi della tiroide sono
neoplasie rare e sono nella stragrande maggioranza dei casi
forme primitive; la diffusione alla tiroide di linfomi insorti in
altre sedi è infatti un fenomeno di rara osservazione. I linfomi
primitivi costituiscono all’incirca il 5% delle neoplasie
tiroidee, nell’ambito dei linfomi extranodali rappresentano il
7% e il 9% dei linfomi extranodali della regione testa-collo. La
maggior parte dei linfomi appartengono alla linea B e cadono
principalmente in due categorie: a) linfoma diffuso a grandi
cellule (DLBCL); b) linfoma della zona marginale (MZL).
Il DLBCL è l’entità relativamente più frequente e per il fatto
che può essere associato, almeno focalmente, ad aree tipo
MZL, è verosimile che talora rappresenti l’evoluzione verso
l’alta malignità di un precedente MZL. In circa la metà dei casi
tuttavia il linfoma non mostra una componente a piccole cellule ed è verosimile che insorga primitivamente come tale. Dal
punto di vista morfologico non presenta aspetti diversi dai DLBCL ad insorgenza linfonodale e il principale problema diagnostico è rappresentato dalla diagnosi differenziale con le neoplasie non linfoidi della tiroide. In quest’ultimo ambito le
indagini immunoistochimiche rappresentano uno strumento
essenziale per raggiungere una precisa definizione diagnostica.
Il MZL è una forma di identificazione relativamente recente
che condivide le stesse caratteristiche generali comuni ai
MZL ad insorgenza nelle altre sedi extranodali. La fisiologica mancanza di tessuto linfoide associato alle mucose
(MALT) nella tiroide è sopperita dalla presenza di un MALT
acquisito nel contesto di una tiroidite autoimmune, linfocitaria o di Hashimoto. Le indagini immunoistochimiche possono essere particolarmente utili nella sua definizione: con
l’uso combinato di citocheratine e di CD20 l’identificazione
delle lesioni linfo-epiteliali è notevolmente facilitata. La differenziazione plasmacellulare può essere particolarmente
marcata tanto da mascherare la componente linfocitaria e da
indurre alla diagnosi, verosimilmente non adeguata, di plasmocitoma extrascheletrico.
Dal punto di vista clinico sono per lo più in stadio I o II e presentano una discreta risposta alla terapia. Questa può essere
rappresentata dalla chirurgia da sola, soprattutto nelle forme
di MZL, o in associazione alla radio e alla chemioterapia.
Anche altre forme di linfomi non-Hodgkin B possono localizzarsi alla tiroide, ma sono di riscontro notevolmente più
raro. Di rilevanza quasi aneddotica sono le segnalazioni di
linfomi ad immunofenotipo T.
I linfomi extranodali appaiono essere di grande interesse dal
momento che essi sono frequenti e vengono diagnosticati sia
dal patologo generale che dall’ematopatologo. Molte delle più
recenti classificazioni dei linfomi interessano proprio i linfomi
extranodali riconoscendo importanti entità con diverse implicazioni cliniche e biologiche. La monografia che descrive la
nuova classificazione WHO dei tumori dei tessuti linfoidi ed
ematopoietici rappresenta una insostituibile fonte di informazioni. In questa classificazione più di dieci categorie di linfomi sono rappresentate da linfomi extranodali.
Il tratto gastrointestinale (TGI) rappresenta la sede più frequente dei linfomi extranodali (4-18% nei paesi occidentali, più
del 25% nei paesi del medio oriente); nello stomaco sono valutati come il 10% di tutte le lesioni maligne, nel piccolo intestino come il 30-50%, e nel grosso intestino come lo 0,2-0,5%).
Verranno discussi tre casi paradigmatici di linfomi del TGI:
1. Linfoma extranodale gastrico a cellule B della zona marginale del tessuto linfoide associato alla mucosa (MALT); 2.
Linfoma mantellare intestinale (poliposi linfomatosa); 3.
Linfoma a cellule T associato ad enteropatia (EATL).
Linfoma gastrico della zona marginale tipo MALT
Definizione
Questo è un linfoma a cellule B di basso grado definito dalla
sua ricapitolazione del tessuto linfoide intestinale esemplificato nelle placche di Peyer. Questo include follicoli/centri
germinativi con il loro mantello, zone più periferiche marginali, plasmacellule e cellule B intraepiteliali.
La grande maggioranza dei linfomi gastrici MALT è associata con infezione da Helicobacter pilori.
– H. pylori origina l’accumulo di MALT (gastrite con follicoli).
– H. pylori è trovato in associazione con i linfomi, sebbene i
microrganismi siano più numerosi nella gastrite.
– Le cellule T presenti rispondono al H. pylori e stimolano le
cellule B che formano autoanticorpi.
I linfomi gastrici MALT dovrebbero essere identificati per
scopi clinici.
– Molti linfomi gastrici MALT rispondono a terapia antibiotica eradicante l’H. Pylori (tempo medio per la remissione
5 mesi, 3-18 mesi).
– Trasformazione in linfoma a grandi cellule può verificarsi e
questa è una ragione per il fallimento del trattamento antibiotico (insieme a disseminazione, casi H. pylori negativi, e
alcune anormalità genotipiche/cariotipiche-vedi sotto).
– I linfomi gastrici MALT sono indolenti e spesso le morti
che si verificano avvengono per carcinomi piuttosto che
per linfoma.
148
Istopatologia del linfoma gastrico MALT
– Infiltrato diffuso nella lamina propria con centri germinativi con o senza colonizzazione follicolare.
– Infiltrazione e distruzione dell’epitelio criptico, cosiddetta
lesione linfo-epiteliale (LEL).
– Cellule della zona marginale/monocitoidi/simil-centrocitiche.
– Piccoli linfociti B, plasmacellule (reattive o neoplastiche),
sparsi immunoblasti.
Lo studio immunofenotipico è critico nella valutazione degli
infiltrati linfoidi gastrici per:
– Stabilire la diagnosi di linfoma.
– Stabilire l’origine B-cellulare (escludere un inusuale linfoma a cellule T).
– Escludere linfomi a cellule B non-MALT che possono avere origine nel TGI.
Immunofenotipo
– CD 20+ CD79a+ CD22+ CD5- CD10- bcl-6- cyclin D1IgM+ IgA-/+ IgD-.
Alterazioni genetiche ed eventi molecolari di interesse pratico e biologico nel linfoma gastrico MALT – una corrente
area di ricerca
– La più comune anomalia cromosomica numerica è la trisomia 3 (fino al 60%) ma questo aspetto non è specifico.
– t(11;18)(q21;q21) coinvolgente i geni API2 (apoptosis
inhibitor-2) e MALT1 (human paracaspase).
– t(1;14)(p22;q32) coinvolgente i geni BCL10 e IgH.
– Mutazioni del gene BCL10 e anormalità nella sua espressione.
– t(14;18)(q32;q21) con riarrangiamento MALT1-IgH recentemente descritto in un subset di linfomi MALT (polmone,
altri).
– t(11;18)(q21;q21) presente in circa il 30% dei casi di linfoma gastrico MALT. Dimostrabile con la citogenetica classica, FISH & RT-PCR.
– Quando presente, è di solito la sola anormalità citogenetica.
– L’effetto biologico è correlato ad una diminuita apoptosi e
all’attivazione di NF-kB, un fattore di trascrizione pleiotropico per molecole di sopravvivenza cellulare.
– Il prodotto di fusione ma non API2 o MALT1 da soli attivano NF-kB.
– Nei linfomi gastrici MALT la traslocazione è associata ad
assenza di risposta agli antibiotici e a malattia disseminata.
– È associata ad espressione nucleare anormale di BCL10.
Linfoma a cellule del mantello (poliposi linfomatosa
multipla)
– Non tutti i linfomi del TGI sono di tipo MALT.
– Linfomi “nodali” possono interessare sedi extranodali.
– Le implicazioni clinico-terapeutiche di una diagnosi di
linfoma a cellule mantellari vs. un MALT linfoma sono importanti.
– La poliposi linfomatosa multipla è una entità clinico-patologica di solito associata con linfoma a cellule mantellari
ma talvolta con linfoma follicolare, MALT e rari linfomi a
cellule T.
Istologia del linfoma a cellule mantellari del TGI
– Infiltrazione monotona diffusa o vagamente nodulare di
piccoli linfociti atipici con variabile irregolarità nucleare
spesso attorno a centri germinativi “nudi”.
– In alcuni casi colonizzazione dei centri germinativi con risultante aspetto di crescita follicolare.
– In contrasto con altri linfomi a piccole cellule B, cellule neoplastiche trasformate (blasti) in genere non sono presenti.
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
– Può essere presente infiltrazione dell’epitelio (LEL) mimando un linfoma MALT.
Immunofenotipo
– CD20+ CD 79a+ Cyclin D1+ IgD+ CD23- CD10- BCL6Ciclina D1
– L’overespressione di ciclina D1 nel linfoma mantellare è
dovuta alla traslocazione t(11;14)(q13;q32) che coinvolge
il gene ciclina D1 (BCL1, CCND1, PRAD1) e il gene IgH.
– Con una buona immunofenotipizzazione con colorazione
per ciclina D1, studi genotipici e di citogenetica convenzionale non sono richiesti (questi sono negativi in almeno
il 25% dei casi).
– La FISH è un metodo molto sensibile per documentare la
traslocazione t(11;14).
– Attenzione! L’espressione di ciclina D1 non è specifica per
linfoma a cellule mantellari (una minoranza di mielomi
con t(11;14), una variabile proporzione di HCL (no traslocazione), rari casi di B-CLL e linfoma marginale splenico).
Poliposi linfomatosa multipla (classicamente rappresenta
un linfoma a cellule mantellari)
– Polipi multipli di grandezza variabile attraverso il TGI
(stomaco al retto).
– Grandi masse specialmente nell’area ileocecale.
– Adulti-anziani, predominanza maschile.
– Frequente ampia disseminazione.
– Decorso aggressivo come altri linfomi a cellule mantellari;
possono rispondere a chemioterapia di combinazione (riportata una sopravvivenza a 5 anni del 59%).
Linfoma a cellule T associato a enteropatia (EATL)
Definizione
– Specifico sottotipo di linfoma intestinale a cellule T che
occorre in associazione con la malattia celiaca (MC).
Aspetti clinici
– La più alta prevalenza di EATL si verifica in quelle aree
con la più alta incidenza di MC.
– L’età media alla diagnosi è 60 anni e c’è una moderata prevalenza maschile.
– Molti pazienti hanno una corta storia di MC dell’adulto
complicata da dolore addominale e perdita di peso; una
proporzione minore ha una storia di MC fin dall’infanzia
(malattia celiaca criptogenica o refrattaria).
– La presentazione come una emergenza acuta con perforazione, ostruzione o emorragia, è comune; la prognosi è
scarsa.
Aspetti patologici
– EATL è frequente nel digiuno, ma può aver origine in qualsiasi tratto intestinale; molti casi sono caratterizzati da ulcerazioni “infiammatorie” mucose multiple.
– Le cellule neoplastiche sono in genere medio-grandi, con
nuclei rotondi o angolari e nucleoli prominenti; una moderata quantità di citoplasma è di solito presente; occasionalmente il pleomorfismo cellulare è marcato e il tumore può
mimare un ALCL o un HL; l’ulcerazione è comune e frequentemente si osserva una significativa componente di
eosinofili, istiociti e altre cellule infiammatorie.
– La mucosa non interessata caratteristicamente mostra atrofia
villosa e linfocitosi intraepiteliale che è talvolta marcata.
Immunofenotipo e genotipo
– Le cellule neoplastiche mostrano positività citoplasmatica
per CD3, e sebbene siano positive per TIA-1 (antigene granulare citotossico), sono negative per CD8 e CD4; i casi
con grandi cellule anaplastiche sono caratteristicamente
positivi per CD30.
CORSO BREVE: LINFOMI EXTRANODALI
– Un subset di casi a cellule medio-piccole può mostrare una
florida infiltrazione intraepiteliale di cellule positive per
CD8 e CD56.
– Studi genotipici hanno confermato il riarrangiamento monoclonale del gene TCR.
– Una popolazione monoclonale di cellule T può essere dimostrata sia nel linfoma franco che nella mucosa apparentemente non interessata (low-grade intra-epithelial T-cell
lymphoma).
– Frequentemente associata con MC e EATL è la presenza di
digiunite ulcerativa dove è stata dimostrata una popolazione abnorme di cellule T con perdita di CD8 e CD3 di superficie.
– Una forma di sprue refrattaria, una atrofia villosa non responsiva alla dieta gluten-free, mostra anch’essa una popolazione abnorme di cellule T intraepiteliali.
Conclusioni e aspetti pratici
– Il linfoma MALT è frequentemente associato con l’infezione da Helicobacter pilori.
– Il trattamento anti-Helicobacter ha basse probabilità di
successo nei linfomi che comportano la traslocazione
t(11;18).
– La progressione verso un linfoma diffuso a grandi cellule
B non è descritta in presenza della traslocazione t(11;18).
– Il linfoma intestinale a celluleT associato ad enteropatia
(EATL) è parte di uno spettro che include la digiunite ulcerativa e la sprue refrattaria.
– Le anormalità fenotipiche in EATL possono essere riconosciute mediante l’immunoistochimica.
Bibliografia
Isaacson PG. Gastrointestinal lymphomas of T- and B-cell types. Mod
Pathol 1999;12:151-8.
Du M-Q, Isaacson PG. Gastric MALT lymphoma: from aetiology to
treatment. Lancet Oncol 2002;3:97-104.
Kinney MC, Swerdlow SH. Diagnosing extranodal lymphomas in the
new millennium. 2003 Syllabus Short Course # 54. Washington D.C.:
United States and Canadian Academy of Pathology 2003.
Rooney N, Dogan A. Gastrointestinal lymphoma. Current Diagnostic
Pathology 2004;10:69-78.
Linfomi delle ghiandole salivari
V. Stracca Pansa
U.O. di Anatomia Patologica, Ospedale Civile, Venezia
Linfoma non Hodgkin delle ghiandole salivari
• Rappresenta il 5% dei casi dei linfomi extranodali e il 10%
delle neoplasie delle ghiandole salivari minori.
• Quasi sempre a fenotipo B.
• L’istotipo più frequente è il linfoma tipo MALT, seguito dal
linfoma follicolare e dal linfoma a grandi cellule diffuse.
• Più raramente sono stati segnalati il linfoma a T cellule periferiche, T/NK e linfoma di Burkitt.
• Pazienti senza malattie autoimmuni possono sviluppare
tutti i tipi istologici dei linfomi non Hodgkin.
• Di questi, il linfoma follicolare è il più comune, probabilmente originario dai linfonodi intra- o perighiandolari.
• Non sono state dimostrate differenze significative nella traslocazione t (14;18) rispetto ai linfomi follicolari di altre
sedi.
Linfoma follicolare della ghiandola salivare (Kojima, 2001)
• Su 20 casi di linfoma primitivo delle ghiandole salivari, sono stati identificati 6 casi di linfoma follicolare.
149
• I pazienti, 4 donne e 2 uomini, avevano un’età media di 50
anni.
• In 4 casi il linfoma apparteneva alla ghiandola parotide e in
2 casi alla ghiandola sottomandibolare.
• Il grading dei linfomi follicolari era in 4 casi di grado 2 e
in 2 casi di grado 3.
• Istologicamente è stato evidenziato infiltrato linfocitico
periduttale, sialoadenite mioepiteliale (2 casi).
• Immunofenotipo: CD10+, CD79a+, Bcl6+, CD3-, CD5-,
CD21-, CD23-, Ciclina D1-.
• La proteina Bcl2 era espressa in 3 casi e p53 in 4 casi.
• Genotipo: in due casi era evidente clonalità (PCR positiva
per riarrangiamento clonale del gene IgH delle immunoglobuline).
• La traslocazione Bcl2/IgH è stata evidenziata in un solo caso.
• La prognosi è stata favorevole per tutti i casi.
• I linfomi follicolari originati nelle ghiandole salivari hanno
alcune delle caratteristiche dei linfomi MALT (prognosi indolente, presenza di sialoadenite mioepiteliale e rarità nel
riarrangiamento del gene Bcl2).
Linfoma primitivo a T cellule della ghiandola salivare (Hew
et al., 2002)
• Estremamente raro.
• Immunoistochimica e riarrangiamento genico del TCR in
PCR è indispensabile per confermare la natura feno- e genotipica della neoplasia.
• Sono stati riportati finora 14 casi di linfoma primitivo a
cellule T (la maggior parte in Oriente) e con prognosi estremamente variabile.
• I linfomi con fenotipo T/NK sono associati a infezione da
EBV.
• Gli aspetti morfologici del linfoma a T cellule possono essere confusi con quelli del linfoma a B cellule extranodale
marginale.
Infiltrati linfoidi B delle ghiandole salivari
• Benigni.
• MESA/LESA, policlonale.
• Borderline.
• MESA/LESA, monoclonale.
• MESA/LESA, con aloni di cellule B monocitoidi/centrocitosimili.
• Linfoma a basso grado.
• Tipo MALT.
• Linfoma ad alto grado.
• A grandi cellule B.
LESA/MESA
• La sialoadenite linfoepiteliale (LESA) può essere associata con la sindrome di Sjogren o con altre malattie del tessuto connettivo, in particolare l’artrite reumatoide; può talora manifestarsi in pazienti senza altre malattie associate.
• 1952: Godwin: lesioni patologiche identificate come malattia di Mikulicz sono rappresentate nelle ghiandole salivari da iperplasia linfoide e alterazioni epiteliali: conia il
termine “lesione linfoepiteliale benigna”.
• 1953: Morgan e Castlemann: le lesioni linfoepiteliali sono
costituite da cellule epiteliali e mioepiteliali proliferanti introducendo il termine MESA (sialoadenite mioepiteliale).
• Attualmente si ritiene che le cellule non linfoidi coinvolte
nelle lesioni siano cellule epiteliali basali, non mioepiteliali. Lo sviluppo delle lesioni duttali originano dall’iperplasia dei dotti striati con differenziazione aberrante in epite-
150
lio multistratificato e reticolato, con profonde alterazioni
del pattern delle citocheratine.
• Il termine LESA/MESA viene usato per descrivere una patologia caratterizzata da strutture istologiche costituite da
cellule B della zona marginale o monocitoidi che circondano e infiltrano l’epitelio nel tessuto linfoide associato alla mucosa (MALT).
Struttura delle lesioni linfoepiteliali (isole epi-mioepiteliali)
(Metwaly et al., 2003)
• Cellule epiteliali di tipo duttale, cheratina positive (CD31CD34+).
• Cellule endoteliali vascolari (formanti “sheets” o strutture
tubulari).
• Linfociti CD20+, linfociti CD3+, macrofagi CD68+.
• Le strutture ialine della matrice extracellulare risultano
dalla angiogenesi da parte delle cellule endoteliali con la
cooperazione delle cellule infiammatorie.
• La vascolarizzazione intra- lesione linfoepiteliale supporta
la rigenerazione e la proliferazione delle cellule epiteliali
salivari.
Sindrome di Sjogren (SS)
• È una malattia cronica autoimmune caratterizzata da sintomi classici di secchezza degli occhi e della bocca.
• Cheratocongiuntivite secca.
• Xerostomia.
• Infiltrati linfoidi nelle ghiandole salivari minori del labbro
inferiore.
• Ingrandimento delle parotide, bilaterale.
• S.S. secondaria: associazione con malattie autoimmuni sistemiche (LES, sclerodermia, artrite reumatoide).
• Colpisce soprattutto donne nella IV e V decade.
• La biopsia del labbro inferiore mostra una o più foci di 50
o più linfociti in 4 mm quadrati nelle ghiandole salivari accessorie.
• I pazienti con S.S. hanno un’incidenza di linfomi maligni,
usualmente un linfoma MALT, 44 volte superiore rispetto
alla popolazione normale.
• Dei pazienti con sindrome di Sjogren circa il 6% sviluppa
linfomi nelle ghiandole salivari o lacrimali, o talora in altre sedi extranodali.
• Nell’80% dei casi il linfoma si sviluppa nella parotide.
• Tutti i pazienti affetti da S.S. hanno alterazioni istologiche
caratterizzate da lesioni linfoepiteliali.
La biopsia delle ghiandole salivari minori nella diagnosi della sindrome di Sjogren (Mahlstedt et al., 2002)
• Le biopsie delle ghiandole salivari minori labiali sono state ottenute da 32 pazienti (22 con sindrome di Sjogren primitiva, e 10 secondaria).
• L’osservazione istopatologica ha evidenziato ghiandole salivari minori normali nel 37,5% dei casi e scialoadenite
cronica nel 59,4% dei casi. Solo uno aveva modificazioni
caratteristiche di MESA.
• La biopsia delle ghiandole salivari minori è un metodo non
idoneo per la evidenziazione di MESA nella diagnosi della
sindrome di Sjogren.
Diagnosi differenziale LESA/MESA vs linfoma tipo MALT
• Il punto più critico è la distinzione tra lesioni benigne tipo
LESA/MESA e il linfoma a basso grado tipo MALT.
• Gli aspetti istopatologici del LESA/MESA includono due
pattern differenti.
– pattern A: infiltrato linfoide benigno.
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
– pattern B: lesioni linfoproliferative.
Pattern A: infiltrato linfoide benigno
• L’architettura lobulare della ghiandola è preservata.
• Le lesioni linfoepiteliali sono frequenti.
• L’infiltrato linfoide monocitoide/centrocitosimile è limitato alle lesioni linfoepiteliali.
• Sono comuni follicoli reattivi senza espansione della zona
marginale o del mantello e un discreto numero di plasmacellule policlonali.
Pattern B: lesioni linfoproliferative
• Processo diffuso o multifocale.
• È preservata l’architettura della maggior parte degli acini.
• Sono presenti aggregati di cellule centrocitosimili nell’infiltrato linfoide diffuso.
• Possono essere presenti aree di restrizione delle catene leggere delle immunoglobuline.
MLDUS (monoclonal lymphoproliferative disease of undetermined significance)
• Limitate in estensione.
• Composti da piccoli linfociti.
• Riarrangiamento delle immunoglobuline.
• L’evidenza di cloni di cellule B in casi di LESA/MESA
non correla con l’evidenza morfologico-clinica di linfoma
MALT.
• Stretto follow-up con ri-biopsia in caso di lesione ricorrente o persistente.
Criteri nella diagnostica differenziale MESA/LESA vs linfoma MALT (Quintana et al., 1997)
• Nei linfomi MALT è comune l’invasione dei tessuti molli
e perineurale.
• Il coinvolgimento dei linfonodi è prerogativa del linfoma
MALT.
• Il fenotipo CD43+ si osserva più frequentemente nel linfoma MALT, ma può essere presente in tutte le altre categorie, eccetto il MALT di alto grado.
• Clonalità delle cellule B: nel 40% delle LESA/MESA,
60% del LESA/MESA con alone, 80% nei linfomi MALT,
60% nel linfoma MALT con plasmacellule monoclonali, e
in tutti i linfomi MALT ad alto grado.
• Vengono evidenziati due tipi di lesione borderline all’interno dello spettro della proliferazione linfoide associata a
MESA/LESA.
• con cellule clonali B senza aspetti istologici di neoplasia.
• con cellule B monocitoidi con alone non confluenti.
• È ancora da definire l’approccio terapeutico ottimale per le
lesioni borderline e a basso grado.
Linfoma in sindrome di Sjogren (Parke, et al.)
• I linfomi maligni insorgono in meno del 10% dei pazienti
con sindrome di Sjogren.
• Sono usualmente di basso grado.
• La trasformazione in linfoma è più frequente nella sindrome di Sjogren primitiva.
• Sono particolarmente a rischio i pazienti con persistente ingrandimento della ghiandola salivare, linfoadenopatia e
malattia extra-ghiandolare.
• Pazienti con linfoma o sindrome di Sjogren secondaria,
hanno una prognosi peggiore rispetto a pazienti con linfoma e sindrome di Sjogren primitiva.
Sviluppo del linfoma MALT nella sindrome di Sjogren
• Il follow-up molecolare di lesioni linfoproliferative a B
cellule nella sindrome di Sjogren, dallo stadio non maligno
CORSO BREVE: LINFOMI EXTRANODALI
al linfoma manifesto, indica un ruolo importante nell’accumulo di mutazioni somatiche.
Linfoma MALT
• Ha un discreto rischio di trasformazione in alto grado.
• Non vi sono attualmente criteri istologici o immunologici
per predire con attendibilità l’evoluzione e la prognosi.
• Comportamento clinico indolente.
• Normalmente rimane localizzato alla ghiandola salivare.
• Infiltrato linfoide denso diffusamente interessante la ghiandola salivare.
• Le cellule linfoidi esprimono immunoglobuline di superficie monotipiche.
• Può esserci una componente ad alto grado.
• Follicoli linfoidi reattivi e lesioni linfoepiteliali diffuse.
• A differenza della LESA/MESA le cellule centrocitosimili
formano estesi aloni attorno ai nidi di cellule epiteliali e fra
le lesioni linfoepiteliali.
Profilo immunofenotipico dei linfomi MALT e delle
LESA/MESA
• CD20+ CD43+/- Bcl2+/-.
• CD43: la coespressione CD43 sulle cellule B monocitoidi
non correla con istotipo, clonalità, o presenza di linfoma.
• L’emergenza di una popolazione monoclonale in un quadro
di LESA/MESA con cellule monocitoidi preannuncia la
trasformazione in un linfoma maligno, sebbene sono probabilmente richieste alterazioni genetiche successive per la
progressione e la disseminazione.
Biologia Molecolare nei linfomi MALT e nelle lesioni
LESA/MESA
• L’espressione di cloni di cellule linfoidi B è un evento precoce.
• Clonalità è stata dimostrata in più del 50% dei casi LESA/MESA.
• I cloni persistenti possono dar luogo a linfomi maligni, ma
la frequenza di questa trasformazione è sconosciuta.
• È stato proposto il termine di malattia linfoproliferativa
monoclonale di significato indeterminato (MLDUS).
Traslocazioni cromosomiche specifiche del linfoma MALT
• T (11,18) (q21; q21) è una traslocazione cromosomica specifica associata al linfoma MALT.
• È presente con alta frequenza nei linfomi MALT del polmone (38%) e stomaco (24%).
• Solo raramente (1%) è stato evidenziato nei linfomi
MALT delle ghiandole salivari.
• È assente nei linfomi MALT localizzati alla tiroide, cute,
fegato e in altre sedi più rare.
• IRTA 1 (immunoglobulin superfamily receptor traslocation-associated 1) è un recettore di superficie delle cellule
B espresso selettivamente da una popolazione di cellule B
della zona marginale dei follicoli e nei linfomi MALT-associati.
• IRTA 1 ha un ruolo nella funzione immunitaria delle cellule B negli epiteli.
Anomalie citogenetiche nella sindrome di Sjogren e nei linfomi MALT (Ihrler et al., 2000)
• Nessun caso di MESA/LESA mostra anomalie citogenetiche.
• La maggior parte dei linfomi alto grado, e una bassa percentuale (circa il 10%) dei linfomi a basso grado, mostra
complesse alterazioni cromosomiche e non- diploidia del
DNA nella citometria a flusso.
151
• Circa la metà dei linfomi a basso grado mostra una o due
aberrazioni cromosomiche numeriche evidenziate con ibridazione in situ.
Sequenze HHV8 in linfoma MALT associato alla sindrome di
Sjogren (Klussmann et al., 2003)
• In un caso di linfoma MALT della parotide associato a sindrome di Sjogren, è stata evidenziata la sequenza HHV8
con PCR, Elisa, IFA.
• In immunoistochimica la colorazione era positiva nelle cellule aciniche e negativa nelle cellule linfomatose.
Presentazioni del linfoma MALT in altre condizioni
• Nelle infezioni da HIV è stata descritta una condizione infiammatoria cronica con modificazioni cistiche bilaterali
delle ghiandole parotidi associate a linfoma MALT.
Linfoma MALT in sialoadenite cronica sclerosante (Kuttnertumor) (Ochoa et al., 2002)
• La sialoadenite sclerosante cronica è una lesione infiammatoria cronica fibrotica della ghiandola sottomandibolare
derivata da una sialolitiasi e non associata a una malattia
autoimmune sistemica.
• Viene presentato un caso di linfoma MALT associato a tale condizione, non accompagnato né a sindrome di Sjogren, né a LESA.
• Processi infiammatori cronici diversi dalla sindrome di
Sjogren, possono fornire un substrato allo sviluppo del
linfoma MALT delle ghiandole salivari.
Linfomi degli annessi oculari
G. De Rosa, R. Franco
Università “Federico II” e Istituto dei Tumori “G. Pascale”,
Napoli
Il significato clinico ed istopatologico degli infiltrati linfoidi
dell’orbita è stato tradizionalmente assai controverso.
Si stima, infatti, che in passato l’indice di accuratezza della
diagnosi istopatologica in funzione della capacità di predire
il decorso clinico era tra i 30-50% 1. Da una parte la lunga
sopravvivenza libera da malattia di pazienti, cui veniva formulata diagnosi di linfoma e, dall’altra, lo sviluppo di
malattia sistemica in pazienti, cui venivano diagnosticati infiltrati linfoidi benigni non hanno consentito di individuare
elementi clinici e patologici che potessero in modo inequivocabile definire chiari criteri diagnostici. L’errore diagnostico e l’inaccuratezza prognostica sono stati determinati da
diversi problemi. In primo luogo, le lesioni linfoproliferative degli annessi oculari classificate secondo i criteri standard come linfomi hanno un decorso comunque piuttosto
indolente, come già descritto per altri linfomi extranodali,
con elevata percentuale di guarigione a fronte di minimi interventi terapeutici. In secondo luogo, la maggior parte
degli infiltrati linfoidi degli annessi oculari sono costituiti
da piccole cellule, talora di complessa interpretazione
istopatologica, connessa con la definizione di malignità di
queste neoplasie, spesso risolvibili solo con complessi studi di clonalità. Infine, la mancanza di estese casistiche, vista
la relativa rarità di tale entità nosologica, non ha permesso
una chiara distinzione delle lesioni maligne rispetto a quelle
benigne 2 3.
Lo storico lavoro di Knowles, risalente a circa 20 anni fa,
definì come fondamentali gli studi immunofenotipici e di
152
clonalità per caratterizzare gli infiltrati linfoidi degli annessi
oculari e distinguere le proliferazioni benigne dai linfomi 4.
Sempre Knowles, in una casistica di 108 casi di linfomi degli
annessi oculari, osservò che spesso il quadro morfologico ed
immunofenotipico aveva un valore predittivo inferiore
rispetto ad alcuni aspetti clinici, quale la sede di insorgenza e
l’estensione della malattia alla diagnosi, così come avviene
in altri linfomi extranodali 5.
I linfomi degli annessi oculari, che mostrano aspetti di
sovrapposizione con le cosiddette iperplasie linfoidi, raggruppano storicamente i linfomi dell’orbita, delle ghiandole
lacrimali, della congiuntiva e delle palpebre 5. Essi rappresentano il 90% di tutti gli infiltrati linfoidi degli annessi oculari.
La maggior parte dei linfomi degli annessi oculari, con proporzioni variabili nelle diverse casistiche dal 50%-80%, derivano dal tessuto MALT (mucosa associated lymphoid tissue), acquisito a seguito di stimoli infettivi o autoimmunitari 6. Una minor quota (10-20%) è rappresentata dai linfomi follicolari, linfomi a grandi cellule B, linfomi a piccoli
linfociti e linfomi mantellari. Rari i linfomi a cellule T e
T/NK primitivi dell’orbita 6.
I linfomi MALT degli annessi oculari mostrano caratteristiche morfologiche ed immunofenotipiche sovrapponibili a
quelle degli altri distretti. Sono caratterizzati da centri germinativi residui “colonizzati” e da una popolazione neoplastica
diffusa di cellule monocitoidi, centrocyte-like e plasmocitoidi in differenti proporzioni. Possono esservi associate grandi
cellule singole o raggruppate in clusters, senza, però, comportare un andamento particolarmente più aggressivo. Possono essere presenti complessi linfoepiteliali. In una serie di
casi di linfomi B degli annessi cutanei da noi studiati, 39 erano rappresentati da linfomi MALT, di cui 10 con esperienza
di recidiva, 1 di progressione sistemica e 2 di non remissione.
Il linfoma MALT in genere è un tumore con bassa frazione di
crescita, ma con alterazioni molecolari che coinvolgono
pathway anti-apoptotici. L’evento critico sembrerebbe, come
in tutti i linfomi indolenti, l’attività di NF-kB, un promotore
genico di proteine con funzione anti-apoptotica. Tale evento
parrebbe determinato nei linfomi MALT da una serie di alterazioni solo in parte note. Di queste la più frequente è la
t(11;18), traslocazione responsabile della fusione del gene
API2, potente inibitore delle caspasi, con MLT1. Il prodotto
di fusione è responsabile di una chimera proteica in grado di
favorire la traslocazione di NF-kB nel nucleo e quindi l’attivazione di proteine anti-apoptotiche. L’altra alterazione nota,
ma meno frequente, è la t(1;14) (circa il 7% dei casi), responsabile del controllo del gene delle immunoglobuline sull’espressione bcl10, una proteina in grado di potenziare l’attività di MLT1, e quindi di NF-kB. Quindi due differenti
traslocazioni sono state descritte come responsabili dell’attivazione di un pathway antiapototico NF-kB mediato e di
un’unica entità clinico-patologica. Infine recentemente una
specifica traslocazione (14;18)(q32;q21), coinvolgente il
gene MLT1 è stata descritta, proponendo un’ulteriore via di
attivazione cronica di MLT1 nella patogenesi di questo tipo
di linfomi 7.
Il profilo di alterazioni geniche dei linfomi dell’orbita è stato poco studiato. Esiste sicuramente un dato interessante che
è la relativa maggiore frequenza della t(14;18) nei linfomi
MALT degli annessi oculari, descritta recentemente in 3/8
casi ed una minor frequenza della t(11,18) in 3/23 casi.
L’assenza di mutazioni di bcl10 è stata descritta recentemente
in 11 di linfomi dell’orbita 8-12. Lo studio multiparametrico
della serie da noi raccolta, che ha riguardato le proteine fon-
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
damentali coinvolte nella regolazione de ciclo cellulare, dell’apotosi e della differenziazione cellulare, ha mostrato una
localizzazione nucleare di bcl10 in una buona frazione dei
linfomi MALT e una relazione statisticamente significativa
della positività immunoistochimica citoplasmatica e nucleare
di bcl10 con la recidive, suggerendo un ruolo importante di
questa proteina e nel processo di linfomagenesi e nel rischio
di ricaduta.
La specificità, o homing, e l’etiopatogenesi rappresentano sicuramente gli aspetti più interessanti affrontati nello studio
dei linfomi di questo distretto. La specificità, o homing, è una
caratteristica tipica della maggior parte dei linfomi extranodali e fa sì che tali neoplasie difficilmente diventino malattie sistemica, tendendo piuttosto a ricadere nella sede dove
sono insorte. L’espressione dell’integrina α4α7 è stata identificata come principale recettore responsabile della ricircolazione delle cellule tumorali dei linfomi MALT 7-12.
Per quanto riguarda l’etiologia, la recente descrizione dell’uso di determinate sottofamiglie VH delle catene pesanti
(D63, D54 e DP47) sembra suggerire un etiopatogenesi autoimmune, differente da quello descritto per altre sedi extranodali 13. Inoltre la presenza di ongoing mutation supporterebbe ulteriormente questa ipotesi 14-16.
L’identificazione dell’agente patogeno e delle molecole responsabili della organo-specificità rappresentano gli steps
fondamentali per lo studio delle neoplasie di questo distretto
al fine di modulare la strategia terapeutica, come per altri linfomi extranodali.
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I linfomi polmonari
L. Ruco
II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Ospedale “Sant’Andrea”, Università di Roma “La Sapienza”
I linfomi primitivi del polmone, definiti come quei linfomi
che interessano selettivamente il polmone, sono neoplasie rare, rappresentando circa lo 0,3% di tutte le neoplasie polmonari, e sono linfomi rari, costituendo meno del 10% di tutti i
linfomi extranodali. In realtà in sede polmonare si possono
osservare localizzazioni di lesioni linfoproliferative sia benigne che maligne le più comuni delle quali sono elencate nella Tabella I, tuttavia, il linfoma a cellule B della zona marginale ad origine dal MALT è certamente il linfoma più comune costituendo circa l’80% di tutti i linfomi primitivi del polmone 1 2.
Il linfoma a cellule B della zona marginale ad origine dal
MALT insorge in pazienti di età compresa tra la seconda e
l’ottava decade con un’età media di circa 60 anni, ed ha
uguale incidenza nei due sessi. In circa il 10% dei pazienti lo
sviluppo del linfoma è preceduto da malattie che causano una
iperplasia del tessuto linfoide associato alla mucosa bronchiale (BALT). I pazienti sono generalmente asintomatici e la
presenza della neoplasia viene spesso scoperta in esami radiologici di routine. I risultati degli esami di laboratorio sono
non specifici, ma possono aiutare ad indirizzare la diagnosi.
La velocità di eritrosedimentazione è elevata in molti pazienti; un picco monoclonale di IgM, o meno frequentemente di
IgG o IgA, è presente in circa il 30% dei casi; compromissione da linfoma del midollo osseo è presente in circa il 15%
dei casi. L’esame radiologico del torace dimostra la presenza
di un nodulo unico o multipli, in sede periferica o ilare. Una
linfoadenopatia ilare è presente in circa il 25% dei pazienti.
La caratteristica clinica saliente di questa neoplasia è la sua
tendenza a rimanere localizzata per lunghi periodi di tempo.
È stato descritto che l’intervallo di tempo che può intercorrere tra la prima dimostrazione di una alterazione radiologica e
153
la diagnosi istologica di linfoma può essere compreso tra 1,5
e 21 anni con una media di 5,3 anni. Le procedure diagnostiche più appropriate sono una resezione cuneiforme in toracoscopia video-assistita, o in alternativa una segmentectomia o
una lobectomia. Nell’80% dei pazienti la malattia è diagnosticata al I stadio 1 3.
L’aspetto istologico del linfoma può variare sensibilmente da
caso a caso, o anche in aree diverse dello stesso caso. In genere è prevalentemente composto da cellule B marginali con
morfologia centrocito-simile; tuttavia, una quota variabile di
cellule B monocitoidi, piccoli linfociti B ben differenziati,
plasmacellule ed immunoblasti è presente in tutti i casi. Alcuni autori suggeriscono di definire “atipiche” le forme di
linfoma caratterizzate da una particolare ricchezza di plasmacellule o immunoblasti. Un’altra peculiarità del linfoma
può essere la presenza di numerosi centri germinativi di
aspetto reattivo con una zona mantellare poco rappresentata.
La maggior parte di essi è effettivamente reattiva essendo le
cellule B politipiche per catene leggere; tuttavia con il progredire della malattia i centri germinativi vengono progressivamente colonizzati dalla popolazione neoplastica diventando monotipici. Le cellule B marginali sono positive per
CD20 e CD79a, e sono generalmente negative per CD5,
CD10, CD23, CD43, e ciclina D1. Una restrizione per le catene leggere κ e λ è dimostrabile nel 50-70% dei casi in paraffina. In circa la metà dei casi negativi è possibile dimostrare la presenza di riarrangiamenti clonali del gene delle catene pesanti utilizzando la PCR. La maggior parte dei linfomi producono immunoglobuline di tipo IgM.
I linfomi del MALT del polmone hanno caratteristiche
morfologiche ed immunofenotipiche simili a quelle dei linfomi del MALT originanti in altri organi. Come in qualsiasi altra neoplasia il loro sviluppo è determinato da una serie di alterazioni genomiche che consentono lo stabilirsi di una popolazione neoplastica capace di crescita autonoma.
La traslocazione t(11; 18)(q21; q21) è stata identificata nel
20-60% dei linfomi del MALT esaminati 4 5. È stato dimostrato che la traslocazione provoca la fusione del gene API2
sul cromosoma 11q21 e del gene MALT1 sul 18q21. Il prodotto di fusione API2-MALT1 è stato evidenziato esclusivamente nei linfomi del MALT con incidenza variabile a seconda delle sede anatomica. Il gene API2 fa parte della famiglia di geni IAP (Inhibitor of apoptosis), ed ha un ruolo importante nella soppressione dell’apoptosi. MALT1 codifica
per una nuova proteina caspasi-simile definita paracaspasi.
Risultati sperimentali suggeriscono che i trascritti del prodotto di fusione API2-MALT1 possono esercitare un effetto
Tab. I. Lesioni linfoproliferative benigne e maligne a localizzazione polmonare.
Lesioni linfoidi non neoplastiche
Linfonodo intraparenchimale
Bronchiolite follicolare o iperplasia diffusa del MALT
Polmonite linfocitaria interstiziale
Iperplasia linfoide nodulare
Malattia di Castleman
Linfomi
Linfoma a cellule B della zona marginale ad origine dal MALT
Granulomatosi linfomatoide
Linfoma diffuso a grandi cellule B
Linfoma linfoplasmaocitoide
Plasmocitoma
Linfoma T periferico
Linfoma a grandi cellule anaplastico
Linfoma intravascolare
Linfoma delle cavità sierose
Linfoma di Hodgkin
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
154
inibitorio sull’apoptosi favorendo così la sopravvivenza delle cellule linfomatose.
La traslocazione t(1; 14)(p22; q32) è presente in circa il 5%
dei linfomi del MALT e causa una disregolazione della trascrizione del gene BCL10 dovuta alla giustapposizione della
regione enhancer IgH. Come conseguenza di ciò la proteina
BCL10 trasloca nel nucleo dove attiva il fattore di trascrizione nucleare NF-kB che favorisce la trascrizione di numerosi
geni legati alla sopravvivenza cellulare. È stato recentemente dimostrato che anche il prodotto di fusione API2-MALT1 è
un potente attivatore di NF-kB, e che anche in questi casi è
presente una debole espressione della proteina BCL10 nel nucleo dimostrabile con l’immunoistochimica anche su sezioni
in paraffina. Come conseguenza di questi studi è oggi disponibile un nuovo strumento diagnostico nei linfomi del
MALT. Infatti, la dimostrazione immunoistochimica della
proteina BCL10 nel nucleo, mai presente nei linfociti normali, è indicativa dell’esistenza delle traslocazioni t(11; 18) o
t(1; 14) tipicamente associate ai linfomi del MALT. Inoltre,
in alcuni studi si è osservato che i linfomi del MALT gastrici traslocati sono quelli che non rispondono alla terapia eradicante per H. pylori. Ciò ha suggerito che l’alterazione genetica API2-MALT1 possa avere un significato patogenetico
indipendente.
In due studi recenti effettuati su 51 e 47 casi di linfoma del
MALT del polmone il trascritto API2-MALT1 è stato identificato rispettivamente in 21 e 18 casi e la proteina BCL10
nucleare nella totalità dei casi con traslocazione 6 7. È interessante notare che quando si è ricercata la presenza del trascritto di fusione API2-MALT1 in linfomi del MALT originati in diversi organi, si è osservato che i linfomi gastrici e
polmonari presentavano una incidenza simile di traslocazioni pari al 20-40% dei casi, mentre i linfomi del MALT
della cute, della tiroide e delle ghiandole salivari non presentavano quasi mai la traslocazione. Ciò ha portato ad ipotizzare l’esistenza di due tipi di patologia pre-maligna che
precedona attraverso un meccanismo patogenetico attualmente sconosciuto. In conclusione, queste recenti acquisizioni ci dimostrano ancora una volta come la comprensione
dei meccanismi molecolari coinvolti nella patogenesi si traduca spesso nella disponibilità di nuovi utilissimi strumenti per la diagnosi istologica e nell’identificazione delle possibili cause predisponenti allo sviluppo della malattia.
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Mycosis Fungoides (MF)
M. Santucci
Department of Human Pathology and Oncology. University
of Florence Medical School, Florence
The histopathologic diagnosis of MF is well known as one of
the most difficult challenges in all histopathology, and this is
especially true of early patch stage lesions. This is in part due
to the relatively poor quality of cellular morphology and nuclear detail of lymphoid cells in cutaneous specimens. On the
other hand, the difficulties in the histopathologic diagnosis of
MF are due to the absence of reliable histologic criteria, at
least for the identification of early lesions. In fact, MF may
resemble a wide variety of inflammatory disorders and virtually any histologic criterion for MF may be seen episodically in other conditions, most of which are inflammatory. Although T-cell receptor gene rearrangement studies play an increasingly important role in diagnostic pathology, limitations
exist concerning MF because many inflammatory disorders
simulating MF (such as pityriasis lichenoides, pigmented
purpuric eruptions, pseudolymphomas, etc.) have at times
shown T-cell clonality with false positive results up to 20%.
By contrast, in early stages of MF monoclonal T-cell populations cannot be demonstrated in approximately 50% of the
cases. Similarly, early lesions of MF do not show the immunophenotypic aberrances seen in the advanced stages of
the disease and, therefore, are indistinguishable from benign
inflammatory cutaneous conditions by immunohistochemical
criteria. Therefore, the diagnosis of MF today remains within the realm of clinical-histologic-immunophenotypic-molecular correlation and, of these parameters, histologic analysis
arguably remains paramount.
Three recent studies have assessed the sensitivity and specificity of various histologic criteria and have provided useful
information regarding their relative value in the diagnosis of
MF. The three studies in question are referred to as the Stanford study 1, the EORTC study 2, and the ISCL study 3. I was
privileged to have been a part of two of these studies, namely the EORTC and the ISCL study. Each of these studies involved blinded review of biopsies from early MF patients admixed with biopsies from control patients with inflammatory
conditions mimicking MF.
The first group of criteria investigated concerns the intraepidermal pattern of growth. The presence of lymphocytes within the epidermis that are larger than those within the dermis
has been evaluated by the Stanford and ISCL studies. This
criterion was present in 17-20% of MF and was rare to absent
(0-3%) in controls. It is not a sensitive criterion, but it is important because it is relatively specific for MF, a disorder
with few specific features. It is also an interesting criterion
which reminds us that, at least initially, the neoplastic cells of
MF tend to home to the epidermis. So-called Pautrier’s microabscesses, i.e. collections of lymphocytes within the epidermis, have been evaluated by all the three studies. How often one observes Pautrier’s microabscesses depends on how
one defines them. In fact, their observed frequency ranged
from 4% in the EORTC study, that used the most strict definition, to 37% in the Stanford study, that defined them as
“four cell clusters”, a result similar to the frequency of “tiny
collections” in the EORTC study (42%). Interestingly, in the
ISCL study, despite a similar definition of Pautrier’s microabscesses, their observed frequency was 17% only. Pautrier’s microabscesses are rare in controls (0-to-8%), with a
specificity ranging among 92-to-100%. Therefore, Pautrier’s
CORSO BREVE: LINFOMI EXTRANODALI
microabscesses represent an important criterion, specific despite not sensitive, for MF. Disproportionate intraepidermal
lymphocytes, i.e. a number of intraepidermal lymphocytes
too high in relation to the relative paucity of spongiosis observed in the specimen, have been evaluated by the Stanford
and ISCL studies. Neither of the two studies attempted to
quantify them but relied on the subjective impression of the
reviewing pathologists. This criterion was found to be present in 6-to-28% of controls and 37-to-58% of MF. Basilar
lymphocytes, i.e. lymphocytes aligned within the basal layer
of the epidermis, are known euphemistically as “toy soldiers”
or “string of pearls”. Their sensitivity and specificity depend
on definition (observed in 0-23% of controls and 17-67% of
MF). Pagetoid pattern, namely individual lymphocytes are
more prominent than those in nests and arrayed in a fashion
that simulates Paget’s disease of the breast, has been evaluated by the EORTC and ISCL studies. This is an important criterion specific for MF, in fact it was never observed in controls, unfortunately it is not sensitive (observed in 0-to-33%
of MF).
The second group of criteria concerns the morphology of tumor cells. Cerebriform nuclei can be defined as nuclei with
deep indentations resembling the sulci on the surface of the
brain that, in histologic sections, have a roundish-to-oval
shape with a quite smooth contour. This criterion, addressed
by the Stanford and ISCL studies, was present in 12-32% of
controls and 53-67% of MF. Conversely in the EORTC study,
two types of cerebriform lymphocytes were identified: medium-small (so-called common type) cerebriform cells with a
nuclear diameter of 5-7 µm, and medium-large cerebriform
cells with a nuclear diameter of 7-9 µm. The criterion of
medium-large cerebriform cells combines aspects of nuclear
shape (cerebriform) and nuclear size (approximately the
same diameter as that of the nuclei of basal keratinocytes).
This is the most important criterion to identify early stage
MF lesions in the EORTC study. In fact, it is quite specific,
having been observed in 8% of controls, and sensitive, having been seen in all MF cases.
Moreover, several additional ancillary features (presence of
haloed lymphocytes or of thickened and wiry collagen bundles, extent of the infiltrate, epidermal response, mixed infiltrate) were investigated in the three studies. The large majority of these criteria has not been found to be a useful discriminator between MF and controls.
In conclusion, and according to my personal experience, the
most important features useful in achieving a reliable distinction between early MF and controls are: (i) presence of
medium-large cerebriform lymphocytes in the epidermis (either singly or in collections) and in small collections in the
dermis; (ii) presence of linearly arranged single basal lymphocytes; (iii) pagetoid spread; (iv) presence within the epidermis of lymphocytes larger than those within the dermis;
and, finally, (v) absence of both papillary dermal fibrosis and
dermal blast-like lymphocytes, these two features being observed more frequently in inflammatory conditions mimicking MF.
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Cattedra di Anatomia Patologica e Gruppo Linfomi, Istituto
di Ematologia ed Oncologia Medica “L. e A. Seràgnoli”,
Università di Bologna; 1 UOC di Anatomia Patologica,
Azienda Ospedaliera “A. Cardarelli”, Napoli; 2 Istituto di
Anatomia Patologica, Università di Pavia
Background and Objectives. Primary bone lymphoma
(PBL) is a rare condition, which has been the object of a few
studies based on large series and updated diagnostic and therapeutic criteria. The aim of the present study was to review
all the examples of PBL collected at the Bologna Lymphoma
Registry in the period May 1998-April 2004 and to assess the
efficacy of various treatments in those with non-Hodgkin’s
lymphoma (PBNHL) and a minimal 36 month follow-up period.
Design and Methods. One-hundred sixty cases were retrieved that had all been diagnosed according to the criteria
of the REAL/WHO Classification and extensively studied by
immunohistochemistry. Information was obtained regarding
disease presentation and clinical course in 52 previously untreated patients with PBNHL.
Results. The retrieved cases represented about 1% of all
nodal and extranodal lymphomas diagnosed in the same period. Ninety-nine corresponded to diffuse large B-cell lymphoma (DLBCL), more often displaying large multilobated
nuclei and/or sclerosis with compartmentalisation. Ten had
immunoblastic or anaplastic morphology, while only two fulfilled the criteria of T-cell rich B-cell lymphoma. Twentynine tumours were solitary plasmacytomas, twelve of which
provided with plasmablastic features. There were also 7 follicular lymphomas, 6 T-cell/null anaplastic large cell lymphomas (ALCL) (4 ALK-positive), 5 peripheral T-cell lymphomas unspecified (PTCL), 4 Burkitt’s lymphomas, 2 mantle cell lymphomas, 2 B-lymphoblastic lymphomas, and 1
lymphoplasmacytic lymphoma. Notably, four examples of
primary Hodgkin’s lymphoma of bone (HL) were found.
Regarding the 52 examples of PBNHL with follow-up available, complete response (CR) was observed in 35/41 (85%)
patients treated with chemotherapy with/without radiation
therapy and in 7/11 (64%) patients who received radiation
therapy alone. Relapses were found in only 2/35 (6%) patients after chemotherapy (with/without radiation therapy), as
compared with 4/7 (57%) patients after radiation therapy
alone (p = 0.004); the relapse-free survival curves of these
two subsets were significantly different. At both univariate
and multivariate analysis only type of front-line therapeutic
approach (chemotherapy with/without radiation therapy vs.
radiation therapy alone) turned out to have a significant prognostic influence.
Interpretation and Conclusions. Our data indicate that in
PBL is indeed a rare event. It mostly corresponds to DLBCL,
although other histological types can be encountered that
might represent a diagnostic challenge for the pathologist
(e.g. PTCL, ALCL and HL). The use of chemotherapy or
combined-modality therapy seems to provide more durable
CRs than radiation therapy alone.
156
Linfoma primititivo del sistema nervoso
centrale
L.M. Larocca
Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Si definisce Linfoma Primitivo del Sistema Nervoso Centrale
(LPSNC) una proliferazione linfomatosa ad esclusiva localizzazione nel SNC o nel midollo spinale, in assenza di linfoma sistemico. Definito in tal modo il LPSNC è da sempre
considerato una forma rara, rappresentando meno dell’1% di
tutti i linfomi non-Hodgkin e meno del 5% di tutte le neoplasie del SNC. Tuttavia a partire dal 1970 si è osservato uno
stabile e costante incremento nella incidenza di questa forma
di linfoma, in parte dovuta alla comparsa negli anni ’80 della Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS), in
parte indipendente dall’AIDS e non spiegabile con il miglioramento delle tecniche diagnostiche. Oggi il LPSNC rappresenta circa il 3-5% di tutti i linfomi non-Hodgkin ed è uno
dei tumori più frequenti del SNC in età adulta 1. Il LPSNC
solitamente si manifesta con una singola lesione con effetto
massa intraparenchimale. Lesioni multifocali o diffuse
periventricolari sono ugualmente possibili, sebbene più frequenti nel LPSNC AIDS-relati. Quale che sia la modalità di
esordio, il LPSNC tende a rimanere confinato nel SNC anche
nelle fasi terminali della malattia. Il principale problema
clinico-terapeutico del LPSNC è la tendenza di questi linfomi a presentare recidiva precoce dopo la iniziale terapia, con
malattia che tende ad interessare l’intero SNC 2. Da qui la
prognosi altamente infausta con una sopravvivenza media
negli immunocompetenti di meno di 18 mesi. Recenti regimi
combinati con dosi elevate di metotraxate più radioterapia,
sembrano avere una migliore risposta in termini di overall
survival, ma a costo di grave neurotossicità 3. Oltre il 90%
dei LPSNC sono linfomi a grandi cellule B, con una
sostanziale differenza tra le forme AIDS-relate e le altre: la
presenza costante di virus di Epstein-Barr (EBV) nei LPSNC
AIDS-relati. Visto il carattere quasi anedottico di forme non
B o di forme B indolenti, il presente lavoro avrà come oggetto esclusivamente le forme diffuse a grandi cellule B. Il SNC
è completamente sprovvisto di tessuto linfatico organizzato e
non contiene elementi linfoidi in condizioni normali. Il primo quesito che nasce è perché si sviluppi una proliferazione
neoplastica B linfocitaria in un tessuto assolutamente
sprovvisto di B linfociti. Per risolvere questo quesito basilare
per prima cosa ci siamo chiesti che tipo di linfocita B era alla base della proliferazione linfomatosa. Con approccio sia
fenotipico che molecolare abbiamo per primi dimostrato che
i LPSNC sono di derivazione da linfociti B del centro germinativo e questo sia nelle forme AIDS-relate che negli immunocompetenti. In più abbiamo dimostrato che caratteristiche fenotipiche post-centro germinativo, esclusive di gran
parte di LPSNC AIDS-relati, erano da ascrivere alla azione
trasformante dell’EBV. Più precisamente la espressione della late membrane protein 1 (LMP-1) dell’EBV, determina la
inibizione della espressione di BCL-6 e la contemporanea
up-regolazione di geni del differenziamento post-centro germinativo, quali IRF4/MUM-1 e Sindecano 1 4-6. Queste nostre osservazioni sono state confermate in lavori che hanno
mostrato come i LPSNC AIDS-relati mostrano mutazioni somatiche a carico dei geni delle Immunoglobuline (Ig), quello che oggi viene ritenuto il più preciso indicatore di passaggio attraverso il centro germinativo 7. Ancor più recentemente noi nei LPSNC AIDS-relati 8 e Montesinos-Rongen et
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
al. nei LPSNC dell’immunocompetente 9, abbiamo mostrato
che i LPSNC presentano ipermutazioni somatiche abberranti
a carico di proto-oncogeni e geni soppressori di tumori, ad
ulteriore definitiva conferma della derivazione da linfociti B
del centro germinativo. A questo punto la domanda è: il
fenotipo e genotipo da linfocita B del centro germinativo
viene acquisito nel SNC a seguito di stimoli infiammatori
cronici o al contrario il LPSNC è la conseguenza di una
specifica e selettiva migrazione nel SNC di linfociti B del
centro germinativo? Per rispondere a questa domanda
bisogna separare i LPSNC AIDS-relati dalle forme degli immunocompetenti. Infatti i primi presentano la caratteristica di
essere costantemente infetti da EBV. Questa caratteristica
conferisce un ruolo patogenetico fondamentale all’EBV, confermato da uno studio molto recente che ha mostrato come
sia possibile ottenere la remissione dal LPSNC, esclusivamente eradicando la infezione da EBV intracranica 10. Una
osservazione simile viene riportata dal mio gruppo nella
sezione delle comunicazioni. Noi abbiamo condotto uno studio genotipico dettagliato della infezione da EBV in una
ampia casistica di LPSNC AIDS-relati, concludendo che
l’infezione delle cellule linfomatose ha le medesime caratteristiche delle infezioni che si hanno nella popolazione AIDS
generale non affetta da LPSNC 11. Quindi non si osservano
varianti particolarmente oncogene ed il quadro complessivo
che si può avanzare è il seguente: la infezione da HIV determina da un lato una stimolazione immune cronica in assenza
di efficace controllo T-linfocitario, dall’altro infetta cellula
astrocitarie e microgliali cerebrali, realizzando un importante
sito di accumulo di virus. Nelle fasi avanzate di malattia, le
uniche che si osserva la insorgenza di LPSNC, la completa
disgregazione del sistema immune determina la presenza in
circolo di cellule del centro germinativo EBV-infette che
vengono richiamate a livello cerebrale dalla produzione di
chemochine di richiamo quali SDF-1 e BCA-1 da parte degli
astrociti infetti, che anche inducono espressione di chemochine di aggancio sulle cellule endoteliali del microcircolo
cerebrale. Si ottiene così un iniziale accumulo di linfociti B
centro germinativi EBV-infetti in un microambiente sede di
stimolo immune cronico. Questa ipotesi patogenetica è supportata da numerose osservazioni prime fra tutte in ordine di
importanza la quasi scomparsa dei LPSNC AIDS-relati con
le terapie ad alte dosi che hanno annullato la infezione da
HIV cerebrale, ma non hanno modificato la incidenza ed il
livello di infezione da EBV, e la già citata possibilità di eradicare un LPSNC AIDS-relato, agendo prevalentemente
tramite l’eradicazione della infezione da EBV intracerebrale.
Traslare queste considerazioni ai LPSNC degli immunocompetenti è solo in parte possibile. Infatti, molto recentemente
è stato dimostrato che anche in questo tipo di LPSNC si osserva la espressione di chemochine capaci di attrarre selettivamente B-linfociti, quale la BCA-1, nelle sedi di sviluppo
del linfoma. Se a questo si associa la espressione sul linfocita B di CXCR5 che è il recettore che lega BCA-1, si ottiene
anche per questa forma di LPSNC la dimostrazione di un
homing selettivo delle cellule B-linfomatose nel SNC 12. Rimangono tuttavia da chiarire le cause a monte rispetto questo
evento terminale, cioè quali sono i meccanismi che hanno
condotto alla realizzazione di tale concerto di eventi. Un dato merita di essere ricordato: i molteplici lavori che hanno
studiato in dettaglio il riarrangiamento dei geni delle Ig nei
LPSNC degli immunocompetenti, sono concordi nel trovare
un uso altamente preferenziale del segmento V4-34 della regione variabile del gene delle Ig 13. Queste osservazioni spingono ad ipotizzare che sia chiamata in causa una stimo-
CORSO BREVE: LINFOMI EXTRANODALI
lazione cronica da parte di un antigene od auto-antigene comune, non ancora individuato.
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Intervento preordinato:
Rabbit monoclonal antibodies (RabMAbs)
M.C. Giangarè
Lab Vision, Fremont, CA USA
La recente messa a punto di una particolare tecnologia capace di generare anticorpi monoclonali da coniglio
(RabMAbs) costituisce una importante novità nel campo della immunofenotipizzazione. Questa nuova classe di reattivi
deriva dalla fusione di linfociti B di coniglio con una linea
cellulare neoplastica di plasmacitoma di coniglio (240E), che
dà luogo alla nascita di un ibrido stabile coniglio-coniglio.
Lav Vision Corporation è la prima azienda produttrice certificata IVD, che ha introdotto sul mercato gli anticorpi monoclonali da coniglio clone SP. La disponibilità di tali
RabMAbs consente di avvalersi di anticorpi dotati di caratteristiche peculiari: infatti essi fanno proprie sia le caratteristiche degli anticorpi monoclonali da topo (uniformità, specificità e disponibilità illimitata nel tempo) sia quelle degli anticorpi policlonali (elevata affinità). I RabMAbs, come ad esempio l’anticorpo RabMAB anti-ciclina D1, clone SP4, o
l’anticorpo RabMAb anti-Estrogeno clone SP1, se paragonati
ai comuni monoclonali da topo si caratterizzano per maggior
affinità, maggior sensibilità ed inoltre consentono di essere
impiegati a più elevate diluizioni d’uso. Inoltre, risultano essere particolarmente indicati per uso in metodiche di doppia
colorazione ed anche per immunocolorazioni su tessuto di
topo. Gli anticorpi Lab Vision monoclonali da coniglio
(RabMAbs), clone SP, rappresentano una nuova classe di
reattivi di elevata qualità per applicazioni sia in patologia diagnostica che in ricerca.
PATHOLOGICA 2004;96:158-162
CORSO BREVE
Nuovi orizzonti della Citologia: dalla “Citodiagnostica”
alla “Citodiagnostica biotecnologica”
MODERATORE: L. PALOMBINI, NAPOLI
Autoscreen: stato dell’arte e prospettive
future di un progetto europeo
L. Di Bonito, D. Bonifacio, I. Colautti, S. Dudine, F. Zanconati
U.C.O. di Anatomia patologica, Istopatologia e Citodiagnostica, Università di Trieste
L’AUTOSCREEN fa parte di una serie di progetti finanziati
dalla Comunità Europea presentati dall’European Take-up of
Essential Information Society Technologies nell’area delle
applicazioni medicali (EUTIST-M).
Nello specifico, il progetto consiste nella validazione clinica di
un sistema automatizzato di screening del cervico-carcinoma
(NanoScan) su strisci convenzionali o su preparati in fase liquida, con l’obiettivo di poter dotare i servizi sanitari, pubblici e
privati, in ambito europeo di un Sistema competitivo per qualità ed efficienza con analoghe strumentazioni di produzione
statunitense già presenti sul mercato, ma decisamente costosi.
L’esigenza di una lettura computer-assistita dei Pap test è nata in tempi relativamente recenti, a fronte della complessità
del lavoro dei citolettori, della responsabilità che essi devono
assumersi, e dei dati non sempre confortanti sulla qualità
delle prestazioni (falsi negativi e falsi positivi). Per sua natura lo screening cervicale si basa sull’individuazione di cellule
atipiche (a volte quantitativamente scarse) nel contesto di elementi normali presenti in numero considerevolmente elevato (300.000-400.000 cellule). Si può facilmente comprendere
la fatica della lettura al microscopio, anche in considerazione
del fatto che la quota di strisci negativi per lesioni intraepiteliali o per malignità rappresenta oltre il 90% di tutti i
Pap test di un laboratorio.
I sistemi automatizzati di screening, concepiti inizialmente
come strumenti per il controllo della qualità, sono stati utilizzati anche per lo screening primario, con la possibilità di
evitare la lettura manuale di una determinata quota di Pap
test. Infatti tali strumenti non forniscono una “diagnosi”, ma
si limitano a classificare i preparati in “non da rivedere” e “da
rivedere”, sulla base di software dedicati, in grado di analizzare e rielaborare in breve tempo una serie di parametri morfometrici rilevati da un microscopio e da una telecamera.
Per i casi “non da rivedere”, che idealmente corrispondono
alla negatività, è prevista la possibilità di omettere lo screen-
ing manuale, consentendo al citolettore una maggiore attenzione ai preparati classificati come “da rivedere”, cioè quelli
in cui sono presenti anomalie morfometriche riconducibili ad
una probabile presenza di lesione squamosa o ghiandolare. È
evidente che un sistema efficiente dovrebbe garantire
l’assenza di qualsiasi tipo di anomalia cellulare nella quota di
casi “non da rivedere”, anche se rari casi di ASCUS o di lesione di basso grado potrebbero essere tollerati.
Diversi studi che hanno sperimentato sistemi già in commercio hanno evidenziato come un cut off del 25% di casi “non
da rivedere” possa essere accettabile.
Tra gli obiettivi del progetto AUTOSCREEN rientra anche la
possibilità di aumentare fino al 60% la quota di Pap test per
la quale lo screening manuale sia evitabile. Il prototipo del
sistema è stato realizzato in Danimarca mentre lo studio di
validazione ha visto il coinvolgimento di diverse qualificate
strutture europee, tra cui l’EPCC dell’Università di Edimburgo, che ha assunto il coordinamento del progetto; il trial clinico è stato affidato a tre Centri universitari con lunga esperienza di citologia cervico-vaginale, l’Università di Odense
(Danimarca), l’Imperial College School of Medicine di Londra (UK) e l’Università di Trieste (Italia). In ciascuna sede è
stato installato un prototipo del NanoScan, costituito da computer, microscopio con telecamera, monitor e stampante, in
grado di scansionare fino a 400 strisci alla volta, suddivisi in
4 supporti rotanti.
Il protocollo per la valutazione clinica del NanoScan è stato
conforme alle linee guida sugli strumenti per lo screening
primario proposto dall’International Academy of Cytology
nel 1997. Secondo tali linee guida “i dispositivi di screening
automatizzato non devono in alcun modo scendere al di sotto di determinati standard di prestazione e non devono esporre le pazienti a nuovi rischi o aumentare il livello di rischio esistente”.
Il sistema (CCS System) processa le informazioni diagnostiche in due distinti step. Nel primo, il software di analisi
d’immagine ricava dalle immagini digitali a colori, catturate
dalla telecamera connessa al microscopio, una serie di 448
parametri descrittivi. Nel secondo step, tali parametri vengono riversati in un modello di calcolo matematico, il cui
risultato, in termini di predittività diagnostica, costituisce la
base della segregazione dei preparati in due gruppi: “non ulteriore revisione” (NFR) e “ulteriore revisione” (FR).
Tab. I. Performance del CCS System.
Predittività
Diagnosi originarie
Positivi/Inadeguati
Negativi
Totale
FR
435 (99,1)
138 (71,9)
573
NFR
4 (0,9)
54 (28,1)
58
Totale
439
192
631
CORSO BREVE: CITOLOGIA
159
Tab. II. Distribuzione dei casi NFR per categorie diagnostiche.
Diagnosi
NFR (Totale)
% sul Totale
95%-CI (%)
Inadeguati
Negativi
Atipici
LSIL
HSIL
Totale
1 (49)
54 (192)
2 (100)
1 (98)
0 (192)
58 (631)
2,0
28,1
2,0
1,0
0,0
9,2
0,05-10,9
21,9-35,1
0,2-7,0
0,03-5,6
0,0-1,9
7,1-11,7
Tab. III. Distribuzione dei casi FR per categorie diagnostiche.
Diagnosi
FR (Totale)
% sul Totale
95%-CI (%)
Inadeguati
Negativi
Atipici
LSIL
HSIL
Totale
48 (49)
138 (192)
98 (100)
97 (98)
192 (192)
573 (631)
98,0
71,9
98,0
99,0
100,0
90,8
89,2-99,95
65,0-78,1
93,0-99,8
94,5-99,97
98,1-1,0
88,3-93,0
Quest’ultima categoria include i casi potenzialmente positivi
e gli inadeguati.
Per la prima parte dello studio, definita External Validation
Study (EVS), sono stati sottoposti a scansione in ciascuna
sede di sperimentazione 650 Pap test opportunamente selezionati e rappresentativi di tutte le categorie diagnostiche
citologiche. La riproducibilità diagnostica è stata valutata
mediante la comparazione dei dati forniti dal sistema con le
diagnosi manuali originarie dei singoli laboratori.
Per la parte di nostra competenza la sensibilità e la specificità
sono risultate rispettivamente del 99,1% e del 28,1%, con un
tasso di “falsi negativi” dello 0,9%. Va tuttavia ricordato che
tra questi ultimi era compreso anche 1 caso Inadeguato.
I risultati dell’EVS, relativi a 631 casi, sono riassunti nelle
Tabelle I e II.
La seconda parte dello studio, definita Clinical Trial, prevedeva la scansione di 7.000 Pap test non selezionati in ciascun Centro e già screenati, per un totale di almeno 20.000 casi.
L’elaborazione dei risultati dei primi 2.000 casi di ciascun
Centro è tuttora in corso (6.000 casi sono stati ritenuti sufficienti per un’analisi statistica attendibile).
L’esperienza a cui abbiamo partecipato ha dimostrato le
grandi potenzialità della ricerca europea sia in campo tecnologico sia scientifico.
Certamente saranno necessari gli adeguamenti del software
gestionale e delle componenti meccaniche che una fase sperimentale ha il dovere di evidenziare, tuttavia la possibilità per
i laboratori europei, di cui è noto l’ottimo livello della routine e del background culturale, di utilizzare una tecnologia
progettata su misura sui nostri standard costituisce senza
dubbio un’allettante prospettiva futura.
Citologia in strato sottile: potenzialità e limiti
A. Bondi
Anatomia, Istologia Patologica, Citodiagnostica e Citogenetica, Azienda USL di Cesena
L’allestimento di preparati per diagnostica citologica da liq-
uidi biologici è una pratica messa a punto molti anni fa, ed in
genere prevede un preliminare arricchimento del campione
tramite centrifugazione o filtrazione e poi il deposito delle
cellule sul vetrino e quindi la fissazione e la colorazione.
Gli studi sulla preparazione di campioni “in monostrato” o
almeno “in strato sottile” finalizzati alla semplificazione dei
preparati citologici per messa a punto di sistemi di lettura
computer assistita, hanno permesso di approfondire e migliorare notevolmente le classiche tecniche di separazione delle
cellule da un liquido e l’allestimento di buoni campioni per
citodiagnostica.
Le tecniche descritte comprendono metodiche di filtrazione,
citocentrifugazione modificata, separazione in gradiente di
densità.
Fra le tecniche di filtrazione la più diffusa (ThinPrep da Cytyc Corp.) contempla un cilindro con una membrana di policarbonato su un versante, che tramite uno strumento semi-automatico viene immersa dall’alto nel contenitore con la
sospensione cellulare. Mentre all’interno del cilindro viene
attivata una depressione per aspirate il liquido, il cilindro
ruota velocemente lungo il suo asse longitudinale realizzando una efficace disaggregazione dei gruppi cellulari ed una
reale randomizzazione del campione. Un presso-sensore interno al cilindro determina l’arresto dell’aspirazione quando
la gran parte dei fori della membrana sono occlusi (stop
flow). A questo punto la membrana viene pressata contro un
vetrino porta oggetti per il trasferimento del materiale cellulare.
Altra tecnica di filtrazione prevede l’impiego di una siringa
chiusa da un filtro rotondo (CytoShuttle da CellPath): le operazioni sono del tutto manuali e la realizzazione di preparati
cellulari monostrato è meno standardizzata ma comunque efficace.
Di nuova presentazione uno strumento di filtrazione che utilizza il principio delle rampe composte da un imbuto chiuso
al collo da un filtro di policarbonato di forma rettangolare
(CellSlide da Menarini Diagnostics). La randomizzazione è
manuale o fatta su vortex, lo stop flow viene realizzato in
funzione del tempo ed il trasferimento del filtro sul vetrino è
semi-automatico. I preparati sono di buona qualità.
160
Con la tecnica della citocentrifugazione si ottengono
preparati con una base più ampia delle originali citocentrifughe degli anni ’80, ma è necessario controllare densità
e volume della sospensione cellulare, perché se la quantità
degli elementi corpuscolari è troppo alta si formano ammassi illeggibili (impossibilità del controllo dello stop
flow). In commercio è disponibile un kit (CytoScreen da
Seroa) composto da una citocentrifuga corredata da un nefelometro col quale si controlla ed eventualmente si aggiusta la densità della sospensione e si determina il tempo di
citocentrifugazione.
La separazione su gradiente di densità è disponibile in commercio (PrepStain ex AutoCyte da Tripath): dopo aver centrifugato la sospensione cellulare in una soluzione densa, con
un sottile capillare si aspira lo strato corpuscolato che viene
depositato in un pozzetto fissato sopra un vetrino portaoggetto. La randomizzazione è data dal processo di centrifugazione, la quantità di cellule depositate viene regolata
dal volume di aspirazione del capillare. Dopo sedimentazione, nello stesso pozzetto si effettua la colorazione che
risulta così ben standardizzata.
Biopsia aspirativa per ago sottile
e fenotipizzazione citofluorimetrica
nella diagnosi e nella classificazione
dei linfomi non Hodgkin
P. Zeppa, G. Troncone, F. Fulciniti, A. Vetrani, L. Palombini
Dipartimento di Anatomia Patologica e Citopatologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “Federico II” di
Napoli
Introduzione. La tipizzazione citofluorimetrica (FC) delle
popolazioni linfocitarie può essere utilizzato su campioni di
biopsia aspirativa per ago sottile (FNAB) nello studio delle
malattie linfoproliferative. In questo studio è stata effettuata
una revisione critica di 307 casi di processi linfoproliferativi
linfonodali ed extra linfonodali diagnosticati mediante
FNAB e FC.
Metodi. La serie studiata è stata raccolta in periodo di quattro anni e comprende 307 processi linfoproliferativi linfonodali ed extra linfonodali di cui 185 palpabili e 122 non palpabili eseguiti con controllo strumentale. FC è stata eseguita
utilizzando i seguenti anticorpi fluoresceinati: CD3,
CD4/CD8,
CD5,
CD19,
FMC7/CD23/CD19,
CD2/CD3/CD7, CD38/CD56/CD19, bcl-2, CD13/HLA-DR.
La serie comprende 15 inadeguati, 10 sospetti, 135 iperplasie
reattive (BHR), 70 linfomi non-Hodgkin primitivi (NHL)
and 77 recidive di NHL (rNHL). Le diagnosi citologiche e
citofluorimetriche sono state controllate mediante follow-up
clinico nelle iperplasie reattive e nelle recidive di NHL e/o istologico nei NHL primitivi. Sono stati calcolati la sensibilità,
specificità, valore predittivo di positività (PPV) e valore
predittivo di negatività (NPV) delle diagnosi citologiche e
citofluorimetriche di iperplasia reattiva, NHL e rNHL e nell’identificazione dei sottotipi specifici tra i NHL a piccole e
medie cellule.
Risultati. Le diagnosi combinate citologiche e citofluorimetriche hanno dato i seguenti risultati: sensibilità 93%, specificità 100%, valore predittivo di positività (PPV) 95%, valore
predittivo di negatività (NPV) 63%. Sottotipi specifici sono
stati identificati in 70/115 casi (61%) dei linfomi a piccole e
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
medie cellule con una sensibilità del 63%, specificità 88%,
PPV 95% e NPV 37%.
Conclusioni. La tipizzazione citofluorimetrica, utilizzata in
combinazione alla biopsia aspirativa per ago sottile aumenta
la precisione della diagnostica citologica nei processi linfoproliferativi linfonodali ed extralinfonodali e permette una
corretta classificazione dei NHL a piccole cellule in più della metà dei casi evitando biopsie chirurgiche invasive in
molti pazienti.
Possibilità di estrazione del DNA
da vetrini citologici di archivio
A Caleo, G Troncone, L Palombini
Dipartimento di scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione di Citopatologia, Università “Federico II” di Napoli
L’uso di tecniche di biologia molecolare in citopatologia è
diventato negli ultimi anni una pratica accettata e riproducibile per determinate applicazioni. In seguito alla progressiva conoscenza dei meccanismi molecolari coinvolti
nel cancro e in altre patologie, alcune metodiche molecolari, oltre che essere utilizzate nel campo della ricerca e
degli studi sperimentali, hanno assunto un ruolo di utilità
clinica nella routine citopatologica. La metodica molecolare maggiormente ottimizzata su campioni citologici è la
reazione di polimerasi a catena (PCR). La PCR è un metodo altamente sensibile che permette il recupero di grosse
quantità di DNA da piccole quantità di materiale di partenza, e quindi facilmente adattabile a campioni relativamente
piccoli come quelli ottenuti dall’aspirazione per ago sottile
(FNA).
Il DNA può essere estratto da diversi tipi di preparazioni citologiche: campioni citologici in sospensione freschi o fissati,
vetrini di archivio, preparazioni cell block. Per l’estrazione
da campioni in sospensione, parte del materiale cellulare ottenuto da un ago-aspirato può essere raccolto in pochi ml di
un liquido tampone cellulare (PBS, soluzione salina) oppure
in un liquido fissativo (etanolo e metanolo sono ritenuti i fissativi migliori) 1 2. L’estrazione da vetrino prevede l’asportazione delle cellule mediante grattamento con una spatola sterile e la raccolta in tubi per PCR 3. Sia nel caso di cellule in sospensione che di cellule asportate da vetrino si può
procedere all’estrazione del DNA con metodica standard
(fenolo-cloroformio) o con kit specifici per l’estrazione di
DNA genomico.
Le differenti preparazioni a confronto mostrano risultati
sovrapponibili 4. I campioni di archivio, indipendentemente
dal tipo di colorazione effettuata e dal fissativo usato, forniscono una quantità di DNA sovrapponibile a quella ottenuta da campioni freschi. L’unica eccezione è rappresentata
dalle preparazioni cell block in cui l’estrazione di una minore
quantità di DNA è probabilmente condizionata dalla pregressa fissazione in formalina. La quantità di DNA estratto correla principalmente con la cellularità di partenza 4. Per l’estrazione da cellule in sospensione una quantità adeguata di
cellule è quella ottenuta da 2-5 aspirazioni con un ago 23 o
25 G 2. Per l’estrazione da campioni di archivio, un singolo
vetrino anche scarsamente cellulato è sufficiente 4. La misurazione del DNA allo spettrofotometro in genere fornisce
valori non dosabili ma questo non sembra condizionare la
buona riuscita di una PCR. Una piccola quantità di DNA di
partenza può essere infatti compensata dalla modifica di al-
CORSO BREVE: CITOLOGIA
cuni parametri tecnici nella metodica (primers altamente
specifici, metodica seminested, numero di cicli di PCR). La
qualità del DNA può essere valutata attraverso l’amplificazione di geni costitutivi (β-globina, β-actina). Pur non essendo un fattore particolarmente critico per la riuscita di una
PCR, la qualità del DNA condiziona il tipo di applicazione
che può essere eseguita.
Le applicazioni più frequenti della PCR in citologia
riguardano lo studio di clonalità nelle malignità ematologiche, la rilevazione di mutazioni puntiformi, la rilevazione
di microrganismi (HPV su strisci cervicali, Mycobacterium
tubercolosis su aspirato linfonodale), la rilevazione di traslocazioni (t 14;18 nel linfoma follicolare, t 11;14 nel linfoma
mantellare, ret/PTC nel carcinoma papillifero della tiroide).
Lo studio di clonalità nelle malignità ematologiche è rappresentato essenzialmente dalla valutazione del riarrangiamento
delle catene pesanti delle immunoglobuline nei linfomi B
cellulari 1 5. Il razionale di questa applicazione consiste nel
fatto che le proliferazioni clonali possono essere considerate
markers di malignità. Nel caso delle proliferazioni linfoidi, i
linfociti neoplastici sono monoclonali mentre le popolazioni
B-cellulari normali e reattive sono policlonali. L’amplificazione mediante PCR rileva il riarrangiamento somatico a
cui vanno incontro i geni delle immunoglobuline durante la
loro maturazione. Tali riarrangiamenti sono unici per ciascuna cellula e quindi non rilevabili in una popolazione policlonale. Poiché uno studio di clonalità richiede piccole quantità di DNA, anche piccole quantità di tessuto linfoide possono essere sufficienti. Il DNA amplificato appare in un gel
di elettroforesi sottoforma di una banda dominante in caso di
linfomi B-cellulari e sottoforma di multiple bande nelle
popolazioni linfoidi normali e reattive. Nella valutazione di
uno studio di clonalità va considerata la possibilità di risultati
falsi positivi e falsi negativi 5. Ad esempio campioni contenenti un numero assai ridotto di linfociti possono dar luogo
alla rilevazione di bande pseudo-clonali, così come una banda pseudoclonale può essere la conseguenza di un erroneo
appaiamento dei primers. D’altra parte campioni contenenti
un discreto numero di cellule non neoplastiche possono
generare un background policlonale che può mascherare la
banda dominante. In questi casi, la selezione accurata delle
sole cellule neoplastiche tramite microdissezione può assicurare una maggiore specificità dello studio di clonalità. Infine
va considerata la possibilità di risultati falsi negativi dovuti al
mancato appaiamento dei primers in seguito a modificazioni
geniche nelle sequenze target (ad esempio l’ipermutazione
somatica nei geni VH delle immunoglobuline o la traslocazione di bcl2 nei linfomi follicolari). Da qui la necessità
dell’individuazione accurata della banda prominente e la evidenza della riproducibilità della stessa per prevenire una falsa diagnosi di monoclonalità. I dati di PCR dovrebbero comunque essere sempre analizzati alla luce dei dati clinici e
morfologici. La sensibilità riportata in letteratura dello studio
di clonalità tramite PCR su materiale citologico varia tra il 50
e l’80% (pressoché sovrapponibile a quella relativa a campioni istologici) 5. Tale variabilità è strettamente dipendente dal
tipo di linfoma B esaminato (nei linfomi follicolari e a grandi cellule la sensibilità è più bassa per la presenza di un maggior numero di alterazioni genetiche).
La rilevazione di mutazioni puntiformi è un utile test diagnostico ancora oggi prevalentemente utilizzato a scopi di
ricerca 1. La conoscenza di una specifica mutazione puntiforme in un gene e la conseguente sintesi di specifici
primers, permette l’amplificazione della sequenza target e
quindi la identificazione della mutazione tramite sequenzia-
161
mento (strand specific PCR amplification). In un recente studio abbiamo dimostrato come le mutazioni dell’oncogene
BRAF possono essere facilmente rilevate in DNA genomico
estratto da vetrini di archivio di lesioni tiroidee permettendo
una utile analisi retrospettiva 6.
In conclusione, la PCR è una metodica molecolare facilmente
applicabile a campioni citologici anche di archivio, fornendo
un utile ausilio diagnostico in quei casi che non possono essere conclusivi sulla base dei soli dati cito-morfologici.
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Nuove prospettive nella diagnostica
del nodulo tiroideo
G. Troncone, G. Salvatore1, A. Caleo, I. Migliaccio, M.
Santoro1, L. Palombini
Dipartimenti di Scienze biomorfologiche e funzionali, 1 di
Biologia e Patologia cellulare e molecolare, Università “Federico II” di Napoli
La biopsia per ago sottile (FNB) permette la diagnosi di neoplasia tiroidea nella maggior parte dei casi; raramente, il 6%
dei nostri casi, la diagnosi è dubbia 1. Poiché l’esame intraoperatorio è anch’esso spesso inconclusivo, si esegue una
lobectomia diagnostica 2. Questa rischia di essere “troppo”,
se il processo non è neoplastico, o “troppo poco” se si tratta
di una neoplasia maligna che necessita di tiroidectomia totale. Sono così necessari markers di neoplasia sensibili e
specifici. Tuttavia, a dispetto dei numerosi test proposti,
questo problema è complesso e di difficile soluzione.
Poiché il carcinoma tiroideo raccoglie entità diverse, ciascuna con una propria base molecolare, è improbabile l’esistenza di un unico marker di malignità; d’altronde, al di là del
dilemma classico inerente la distinzione tra adenoma e carcinoma follicolare che per definizione è solo possibile sul campione operatorio, una citologia dubbia può sottendere numerose entità 3. Infatti, l’iperplasia adenomatosa e la neoplasia follicolare possono a volte condividere la stessa citologia
od altre volte le modificazioni nucleari classiche del carcinoma papillifero (PTC) possono essere sfumate (variante follicolare), difficilmente riconoscibili (variante ossifila), oscurate dalla colloide (variante cistica) o presenti in condizioni
benigne (tiroidite di Hashimoto). In questi casi la citologia,
pur non essendo autosufficiente, è comunque necessaria per
riconoscere il quesito diagnostico ed indirizzare la scelta del
test più adatto.
162
Inoltre, nessuno dei marcatori usati fino ad oggi è espresso
solo nei carcinomi; anche la molecola più promettente, la
galectina-3 4, è seppur raramente positiva negli adenomi 5. Né
pare probabile che le nuove metodiche di screening genomico possano risolvere del tutto il problema. Infatti, sebbene il
profilo di espressione genica permetta in teoria di distinguere
un adenoma da un carcinoma follicolare 6, nella pratica i
nuovi marker immunocitochimici ricavati dalle librerie genomiche, come DDIT3 ed ARG, mostrano anch’essi dei limiti 7. D’altro canto sono le stesse basi molecolari della neoplasia follicolare ad essere poco chiare; è infatti probabile
che gli adenomi raccolgano entità biologicamente eterogenee, con una maggioranza di forme benigne ed una minoranza di forme potenzialmente maligne, ancora “in situ” al momento della diagnosi. Il riarrangiamento PPAR-gamma, presente sporadicamente negli adenomi 8 e più frequentemente
nei carcinoma follicolari minimamente invasivi 9, può essere
di aiuto nella diagnosi su FNC di carcinoma follicolare incipiente.
Se lo screening genomico è in grado di fornire nuovi marker
immunocitochimici, sempre più specifici e sensibili, la loro
introduzione diagnostica può essere vanificata da alcune difficoltà, insite nella natura stessa del campione citologico 3.
Infatti, l’immunocitochimica difficilmente genera risultati
riproducibili su strisci decolorati; è quindi necessario utilizzare strisci freschi, che tuttavia non offrono garanzie precise
circa la loro effettiva cellularità. D’altro canto, ciascun marcatore è dapprima testato in istologia e solo susseguentemente applicato in citologia. Tale validazione passa attraverso studi multicentrici. Tuttavia, le differenze inter-istituzionali sulle tecniche eseguite sia per l’allestimento del campione
(cell-block vs. strisci vs. citocentrifugati) che per la fissazione (etanolo vs. acetone vs. formaldeide) possono ostacolare la interpretazione dei risultati 3. È quindi necessario
adottare procedure tecniche uniformi e riproducibili. A tal
proposito un buon esempio sull’approccio metodologico da
seguire è offerto dallo studio multicentrico, coordinato da Armando Bartolazzi, inerente la validazione della galectina-3 in
citologia ed al quale partecipano numerose Istituzioni Italiane. Tale studio si basa sull’applicazione da parte di tutte le
unità di un protocollo rigoroso basato sulla raccolta prospettica di campioni freschi, sull’allestimento di cell-blocks, sulla standardizzazione del trattamento di smascheramento antigenico e sull’utilizzo di un sistema di rilevamento del segnale
biotin-free 10.
Alcune delle difficoltà sopraelencate possono essere superate
con l’impiego di tecniche molecolari. Questo approccio appare soprattutto valido per la diagnosi di carcinoma papillifero. Tale tumore è contraddistinto nella maggioranza dei casi
dalla presenza degli oncogeni chimerici RET/PTC od in alternativa dalla mutazione puntiforme del gene BRAF
(V599E). Queste alterazioni molecolari possono essere evi-
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
denziate a partire dagli stessi vetrini utilizzati per la diagnosi
microscopica 11. Se il re-arrangiamento RET/PTC può anche
essere presente in alcuni casi di tiroidite di Hashimoto, riflettendo un limite condiviso anche da altri marcatori quali
galectina-3 e p27Kip1 12 13, al contrario BRAF è mutato solo
nei carcinomi papilliferi (circa il 45%); quindi la dimostrazione della mutazione di BRAF in un cellule aspirate
da un nodulo tiroideo può essere utile per convertire una diagnosi citologica di inconclusivo in una di carcinoma papillifero, dando così l’indicazione per una tiroidectomia totale e
scongiurando la possibilità di un intervento chirurgico in due
tempi 11.
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PATHOLOGICA 2004;96:163-166
CORSO BREVE
L’Apoptosi. Dai meccanismi molecolari
agli aspetti applicativi
MODERATORI: B. AGOSTINI (NAPOLI), G. BEVILACQUA (PISA)
Apoptosi: controllo della crescita cellulare
e cancro
A. Giordano
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università
di Siena, Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine, Temple University, Philadelphia USA
L’apoptosi è il processo di morte cellulare programmata ed è
parte integrante dello sviluppo embrionale e fetale dell’organismo e dell’omeostasi tissutale dell’adulto. La cellula
muore in risposta a diversi stimoli ma questo avviene attraverso un processo finemente regolato dal punto di vista molecolare. Per tale motivo l’apoptosi si distingue da un’altra
forma di morte cellulare, la necrosi, in cui la morte cellulare
incontrollata, indotta ad esempio da sostanze tossiche, porta
alla lisi della cellule e ad una successiva risposta infiammatoria. Al contrario l’apoptosi è un processo durante cui la cellula gioca un ruolo attivo nella propria morte: per questo motivo ci si riferisce alla apoptosi come ad un “suicidio della
cellula”.
La cellula in apoptosi presenta determinate caratteristiche
morfologiche: diminuisce di volume, perde l’espressione di
proteine di membrana ed espone sulla stessa membrana plasmatica componenti, normalmente nascosti o poco espressi.
Questi verranno riconosciuti dalle cellule vicine o dai
macrofagi, che opereranno la fagocitosi della cellula apoptotica. L’organizzazione interna è mantenuta, almeno nelle
fasi precoci del processo, mentre a livello nucleare si osserva
la disgregazione dei nucleoli, il taglio della lamina, la condensazione e il taglio diffuso della cromatina in frammenti di
circa 200 paia di basi o multipli interi di questi numeri,
lunghezza che corrisponde a quella dei tratti di DNA internucleosomale. Frammenti discreti di materiale nucleare raggiungono in seguito la membrana plasmatica, dove vengono
circondati da evaginazioni della membrana stessa che conferiscono alla cellula un aspetto a bolle (blebbing). Queste
blebs si staccano dal corpo cellulare trascinando con sé parte
del citoplasma e del materiale nucleare, dando origine ai
cosiddetti corpi apoptotici. Non verificandosi un versamento
di contenuto citosolico nell’ambiente, l’apoptosi non è accompagnata, a differenza della morte cellulare per necrosi, da
una risposta infiammatoria.
L’innesco del programma apoptotico può avere diverse origini: 1) via estrinseca o extracellulare, nel caso di un legame
di specifiche molecole-segnale coi propri recettori posti sulla membrana plasmatica. Ne è un esempio il legame del recettore Fas col suo ligando Fas-L; 2) via intrinseca o intracellulare nel caso in cui lo stimolo del processo apoptotico
abbia origine all’interno della cellula, come ad esempio nel
caso di un danno a carico del DNA o della produzione di
specie reattive dell’ossigeno. Questa via coinvolge i mitocondri ed in particolare la famiglia di proteine Bcl-2. In entrambe le vie di innesco del programma apoptotico sono
coinvolte delle cistein-proteasi, le CASPASI, enzimi prote-
olitici presenti nella cellula sotto forma di zimogeni, forme
inattive che vengono attivate a loro volta da tagli proteolitici.
Le caspasi si distinguono in INIZIATRICI, che sono attivate
nelle fasi precoci del processo apoptotico e hanno generalmente la funzione di attivare altre caspasi, le EFFETTRICI,
che hanno come target proteine cellulari che hanno un ruolo
essenziale nella integrità funzionale della cellula come ad esempio proteine del citoscheletro, proteine coinvolte nel ciclo
cellulare e proteine coinvolte nel riparo del DNA.
Come già accennato, l’apoptosi ha un ruolo fisiologico nel
regolare nel modo appropriato lo sviluppo di un organismo.
Inoltre il processo dell’apoptosi gioca un ruolo fondamentale
anche in altri ambiti come ad esempio nel sistema immunitario in cui viene indotta l’apoptosi di linfociti che siano in
grado di riconoscere il self. Anche in numerosi processi patologici, quali, ad esempio infezioni virali, malattie autoimmuni e tumori, una deregolazione dell’apoptosi può essere la
base (o una delle cause) della patogenesi della malattia. Nel
caso dei tumori infatti può verificarsi uno sbilanciamento dei
fattori che controllano il processo apoptotico, come ad esempio un incremento dei fattori anti-apoptotici o una diminuzione o inattivazione dei fattori pro-apoptotici.
Recentemente sta emergendo il ruolo delle proteine della
famiglia delle proteine del retinoblastoma (RB) non solo nella
regolazione della progressione nel ciclo cellulare ma anche del
processo apoptotico. La proteina pRb1/p105 è stato dimostrato
come sia in grado di inibire il processo apoptotico in diversi
modelli cellulari e murini. Inoltre pRb1/p105 subisce un taglio
proteolitico da parte delle caspasi, il che rappresenta una conferma del suo possibile ruolo di proteina anti-apoptotica. Per
quanto riguarda pRb2/p130 è stato dimostrato come possa
avere rendere cellule di glioblastoma più sensibili all’apoptosi
indotta dall’esposizione a radiazioni gamma. Al contrario, in
un modello di carcinoma ovarico, pRb2/p130 è in grado di
diminuire l’apoptosi indotta da camptotecina e doxorubicina,
inibitori rispettivamente delle topoisomerasi I e II, ma non
quella indotta da taxolo. Questo supporta l’idea che
pRb2/p130 abbia un ruolo nel processo apoptotico, il quale
dipende dal contesto cellulare e dal tipo di stimolo apoptotico,
nella fattispecie dal tipo di agente chemoterapico utilizzato. Inoltre una valutazione del livello di espressione di pRb2/p130
nel tumore può essere utile per individuare una terapia che
potrebbe risultare più efficace per la cura del paziente.
Apoptosi: approccio metodologico
R. Monaco
U.O.C. Anatomia ed Istologia Patologica, AORN “Cardarelli”, Napoli
L’apoptosi è il risultato di un complesso sistema interno alla
cellula, sempre presente, ma generalmente in “stand-by” e
che entra rapidamente in attività a seguito di stimoli sia intra
che extracellulari. Non sono molti i markers biochimici
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
164
specifici di questo sistema regolato in maniera complessa ed,
anche se ne sono descritti diversi regolatori, un esame critico
dei dati della letteratura indica che non sempre c’è consenso
sul loro valore di indicatori di apoptosi.
Un punto critico per la quantificazione, inoltre, è dato dal fatto che, indipendentemente dallo stimolo iniziatore, il decorso
temporale dell’apoptosi è molto rapido, come anche il
processo di eliminazione dei residui cellulari da parte di
macrofagi e/o cellule di derivazione non macrofagica. Non ci
sono dati certi, ma il decorso apoptotico potrebbe completarsi in circa 1-2 ore. La rapidità di tale processo implica che, in
ogni misurazione statica, anche pochissimi elementi in apoptosi potrebbero riflettere, in realtà, un turnover cellulare elevato. Inoltre, il tempo di apoptosi non è uguale per tutte le
cellule ed in tutte le condizioni, e ciò ha importanti implicazioni nella quantificazione dell’apoptosi. L’approccio
metodologico alla valutazione diretta dell’apoptosi richiede
innanzitutto la scelta tra metodi statici e metodi dinamici, che
dipende dal materiale di partenza e dall’obiettivo finale. Tra
i metodi statici bisogna includere l’esame morfologico.
Sebbene, storicamente, i metodi morfologici siano i favoriti,
la scoperta che l’apoptosi era associata con la frammentazione del DNA, con rotture tra i nucleosomi, ha condotto
alla possibilità di utilizzare tale evento come parametro di
analisi. Sfortunatamente, i metodi di analisi del DNA che
comportano elettroforesi, oltre a far perdere ogni informazione topografica, non permettono facili quantificazioni.
Negli anni ’90 sono diventati popolari diverse metodologie,
sempre basate sulla frammentazione del DNA associata all’apoptosi, ma praticabili su materiale citologico ed istologico. Questi metodi sono sicuramente utili nell’identificare
corpi apoptotici, ma non sono scevri da problematiche (per
esempio legate alla fissazione e processazione), ed è discutibile se abbiano più valore della sola morfologia. La frammentazione del DNA può essere utilizzata per identificare
cellule in apoptosi poiché alcuni enzimi possono aggiungere
nucleotidi marcati ai terminali dei frammenti di DNA. I nucleotidi marcati possono poi essere rivelati con metodi immunoistochimici. Tali metodiche comprendono il TUNEL
(terminal deossynucleotidyl transferasi mediated UTP nick
end labeling) e l’ISEL (in situ end labeling techniques). Diverse marcature, radioattive e non, possono essere utilizzate.
Le marcature non radioattive sono preferibili per facilità d’uso, stabilità, semplicità e rapidità nell’identificazione e
notevole risoluzione. Utilizzando questo approccio è stato
chiaramente dimostrato che la quantità e la distribuzione
delle cellule marcate è correlata con la quantità e distribuzione delle cellule riconosciute in apoptosi anche con altri metodi. La metodica può essere modificata utilizzando la
fluorescenza, per la valutazione in situ o in citoflussimetria.
Si può, inoltre, praticare un’immunoistochimica multiparametrica, per l’identificazione di specifici tipi cellulari. Le
metodiche basate sul riconoscimento della frammentazione
del DNA, tuttavia, hanno alcuni limiti; per esempio riconoscono solo l’apoptosi in fase tardiva, e possono evidenziare anche cellule in necrosi. Inoltre le tecniche in situ, effettuate su tessuti fissati ed inclusi in paraffina, possono essere condizionate dallo spessore delle sezioni e dai tempi occorsi dal prelievo di tessuto alla fissazione. Un diverso approccio, ovviamente legato al tipo di analisi che si vuole effettuare ed alla natura del tessuto utilizzato, è costituito dalla
citoflussimetria. La citometria a flusso consente di analizzare
grandi quantità di cellule in tempi rapidi, ma non fornisce informazioni topografiche sugli elementi in apoptosi, e
richiede popolazioni cellulari omogenee.
Metodi di studio dell’apoptosi in citometria a flusso comprendono:
– l’analisi della distribuzione del DNA del picco sub-G1 (colorazione con Ioduro di Propidio);
– la valutazione della perdita di asimmetria della membrana
citoplasmatica (colorazione con Annexina V);
– la valutazione della frammentazione del DNA (metodo
TUNEL).
Il test all’Annexina V è il metodo oggi che ha dimostrato
migliore sensibilità, specificità e riproducibilità, e rivela la
rilocazione della fosfatidilserina (PS) a livello della membrana
citoplasmatica delle cellule in apoptosi. Nelle cellule integre,
infatti, la distribuzione dei fosfolipidi è asimmetrica, in quanto il versante interno della membrana cellulare contiene fosfolipidi anionici (come la PS) ed il versante esterno fosfolipidi
neutri. Nelle cellule in apoptosi, invece, la quantità di PS sul
lato esterno della membrana citoplasmatica aumenta, e l’Annexina V, una proteina che si lega ai gruppi fosfolipidici in presenza di ioni Ca++ e che ha una forte affinità per la PS, può
legarsi alla PS esposta sulla superficie cellulare, divenendo
così un utile mezzo per l’evidenziazione di cellule in apoptosi.
Essendo tali modificazioni della membrana cellulare eventi iniziali del processo apoptotico, il test all’Annexina V rivela cellule in fase precoce di apoptosi. È una metodica di
preparazione semplice e rapida, applicabile su numerosi tipi
cellulari; può essere molto utile soprattutto nella valutazione di
modificazioni della cinetica apoptotica dopo induzione od in
condizioni particolari, su specifiche e congrue popolazioni cellulari. L’Annexina V rivela anche cellule in necrosi, poiché si
lega alla PS presente sul versante interno della membrana citoplasmatica alterata a causa della necrosi. Tuttavia una contemporanea colorazione con Ioduro di Propidio, che si lega al
DNA ma non colora cellule in fase precoce di apoptosi in
quanto non in grado di penetrare la membrana cellulare integra, consente in genere una distinzione tra cellule Annexina V
positive, necrotiche o apoptotiche.
Altri metodi sono descritti, ma una metodologia standardizzabile che consenta la rivelazione e la quantificazione del
fenomeno apoptotico nei differenti tessuti ed in diverse condizioni, che sia di relativamente semplice effettuazione e di
buona riproducibilità, non sembra ancora essere disponibile.
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1
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, e 2 Dipartimento di Pediatria, Università di Roma “La Sapienza”;
3
Laboratorio di Immunologia, Istituto Nazionale dei Tumori
“Regina Elena”; 4 Laboratorio di Oncologia, Ospedale Pediatrico IRCCS “Bambino Gesù”, Roma
Introduzione. I tumori neuroblastici periferici sono considerati i tumori embrionali per antonomasia, in quanto si
CORSO BREVE: APOPTOSI
165
sviluppano durante la vita fetale e nelle prime fasi della vita
postnatale ad origine dalle cellule della cresta neurale.
Nell’embriogenesi, a partire dalla 4a-5a settimana nidi di neuroblasti indifferenziati si organizzano in strutture nervose e
gangliari paravertebrali, altri migrano nella parete dei visceri
addominali dove differenziano in cellule gangliari dei plessi
di Meissner ed Auerbach, altri ancora raggiungono la midollare del surrene dove differenziano in cellule neuroendocrine
o cromaffini. Appartengono al sistema periferico autonomo
anche le cellule gliali di Schwann e le cellule subtentacolari
la cui funzione non è ancora perfettamente chiarita 1.
I tumori neuroblastici sono distinti in tre principali sottotipi
morfologici: neuroblastoma (Schwannian stroma poor), ganglioneuroblastoma (Schwannian stroma rich) e ganglioneuroma (Schwannian stroma dominant) 2.
I neuroblastomi hanno caratteristiche biologiche uniche in
quanto possono andare incontro sia ad involuzione e regressione spontanea che a maturazione spontanea o conseguente
all’impiego di chemioterapia citotossica, fino a ganglioneuroblastoma o ganglioneuroma. Questi fenomeni sono stati
correlati a processi apoptotici che sono frequentemente osservati nel normale sviluppo del sistema nervoso centrale e
periferico, in parte forse dovuti all’assenza di produzione di
fattori neurotropici quali il Nerve Growth Factor (NGF) tra
gli altri. Molti neuroblastomi hanno invece un comportamento aggressivo fin dall’esordio. Fattori prognostici importanti
sono l’età alla diagnosi, il tipo istologico, lo stadio clinico e
le alterazioni genetiche quali l’amplificazione del gene MYCN, la perdita allelica della banda 36 del braccio corto del
cromosoma 1(1p36), le extracopie del braccio lungo del cromosoma 17 (17q) e la di/tetraploidia.
Per quanto concerne il gene MYCN localizzato nel braccio
corto del cromosoma 2, esso può andare incontro a processi di amplificazione che danno luogo ad un numero di copie
del gene per cellula che può arrivare a 400. Gli aumentati
livelli di MYCN causerebbero l’attivazione transcrizionale
di un subset di geni in grado di promuovere la proliferazione cellulare 3. La delezione del braccio corto del cromosoma 1 coinvolgerebbe invece un gene soppressore che
risulterebbe quindi inattivato in un terzo circa dei neuroblastomi. Non sono noti invece i meccanismi tramite i quali
la presenza di extracopie del braccio lungo del cromosoma
17 e di di/tetraploidia è associata a maggiore aggressività
tumorale.
L’apoptosi è una forma spontanea di morte cellulare con aspetti morfologici peculiari quali il rigonfiamento e la condensazione delle membrane nucleari e della cromatina nucleare, con clivaggio endonucleasico di regioni del DNA in
frammenti della lunghezza di 180 bp nella fase finale.
L’apoptosi viene attivata da diversi eventi, alcuni interni alla
cellula quali un danno a carico del DNA, altri esterni quali le
alterazioni della membrana cellulare ad opera di enzimi proteolitici o per attivazione dei cosiddetti “death receptors”,
l’archetipo dei quali è il Fas (APO1, CD95). Tutti questi stimoli apoptotici hanno come evento finale l’attivazione di
specifiche proteasi, dette caspasi, della famiglia delle endoproteasi in grado di clivare i legami peptidici contenenti un
aspartato all’N-terminale. Un importante meccanismo di regolazione del segnale apoptotico è mediato dalla famiglia dei
geni Bcl-2/Bax. Sono stati identificati finora 16 membri di
questo gruppo di proteine, delle quali alcune come Bax e
Mcl-1 sono attivatori dell’apoptosi, mentre altre come Bcl-2
e Bcl-XL la inibiscono.
Per quanto concerne la rilevanza dell’apoptosi nei tumori
neuroblastici periferici, si ricorda che già nella classificazione INPC, l’indice mitotico-cariorressico (MKI) era stato introdotto tra gli elementi morfologici di rilevanza prognostica. Più recentemente, studi in vitro hanno dimostrato
che i neuroblastomi esprimono elevati livelli di Bcl-2 e BclXL e che tale sovraespressione correla con fattori prognostici negativi quali il tipo istologico sfavorevole ed amplificazione di MYCN 4. Inoltre è stato riportato che
Fas(APO1/CD95) è in grado di indurre apoptosi in vitro in linee cellulari di neuroblastoma 5. Le alterazioni dell’apoptosi
nel neuroblastoma sembrerebbero riguardare anche le caspasi
con riduzione della caspasi 8 in linee cellulari di neuroblastomi MYCN-amplificati 6.
Nel presente lavoro ci siamo proposti di esaminare alcuni dei
pathways apoptotici presenti nei tumori neuroblastici periferici e di correlare questi risultati con gli aspetti morfologici,il comportamento clinico e gli altri parametri molecolari. A
questo scopo sono state utilizzate metodiche di immunoistochimica ed una metodica di recente acquisizione rappresentata dai macroarrays in grado di testare l’espressione nel
tessuto di 96 geni coinvolti in senso positivo e negativo nei
meccanismi apoptotici.
Risultati e conclusioni. L’espressione di Bcl-2 e Bcl-XL, e
Bax e Mcl-1 è stata studiata mediante immunoistochimica su
Tab. I. Espressione immunoistochimica di fattori coinvolti nell’apoptosi in 71 casi di tumori neuroblastici periferici raggruppati per tipo
istologico.
Numero
casi
1
14
44
MYCN12
MYCN+
INPC
GN
GNB
(71%)
NB
(81%)
NB
(67%)
BCL-2
BCL-XL
0/1
10/14
(36%)
36/44
(67%)
8/12
(67%)
0/1
5/14
(36%)
28/44
(68%)
8/12
(58%)
GN: ganglioneuroma
GNB: ganglioneuroblastoma
NB MYCN-: neuroblastoma con MYCN in singola copia
NB MYCN+: neuroblastoma con MYCN amplificato
BAX
0/1
5/14
(43%)
30/44
(50%)
7/12
(50%)
MCL-1
0/1
6/14
22/44
6/12
166
sezioni criostatiche di 71 tumori neuroblastici periferici osservati nel periodo 1990-tutt’oggi. Di essi, 56 erano neuroblastomi (NB) di cui 12 MYCN-amplificati (21%), 14 erano ganglioneuroblastomi (GNB) ed uno era un ganglioneuroma (GN).
Come riportato nella Tabella I, l’espressione di Bax e Bcl-XL
correlava con il tipo istologico, essendo entrambi nettamente
più elevati nei NB che nei GNB. Infatti, il 36% dei GNB esprimeva Bax e Bcl-XL rispetto al 58/68% ed al 67% dei NB
con o senza MYCN-amplificazione. In contrasto, l’espressione di Bcl-2 e Mcl-1 era sovrapponibile nei NB e nei GNB,
essendo Bcl-2 espresso nel 71% dei GNB e nel 67/81% dei
NB con o senza MYCN-amplificazione, e Mcl-1 era espresso nel 43% dei GNB e nel 50% dei NB con o senza MYCNamplificazione. Analogamente, non si è osservata alcuna differenza significativa nell’espressione di Bax, Bcl-XL, Bcl-2
e Mcl-1 nei neuroblastomi MYCN-amplificati rispetto a
quelli a singola copia. Quando l’espressione di Bcl-2/Bcl-XL
e Bax/Mcl-1 è stata correlata con lo stadio clinico, non è stata identificata nessuna correlazione.
Per meglio chiarire il ruolo dell’apoptosi nei neuroblastomi,
4 tumori neuroblastici periferici sono stati studiati con la tecnica dei macroarrays. Tre di essi erano neuroblastomi con elevato indice mitotico-cariorressico ed uno era un ganglioneuroblastoma.
Il nostro studio ha evidenziato che in tutti e quattro i casi vi
era espressione di numerosi geni coinvolti nell’apoptosi ma
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
che essi erano espressi in intensità e numero variabile. I geni
coinvolti riguardavano Fas e Fas-ligand, le caspasi e le proteine della famiglia di Tumor Necrosis Factor Receptor
(TNF-R). Ulteriori indagini su un più ampio numero di osservazioni sono necessarie per meglio chiarire i meccanismi
coinvolti in questi processi.
Bibliografia
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PATHOLOGICA 2004;96:167-172
COMUNICAZIONI
1. Citodiagnostica, Ematopatologia, Patologia
mammaria, Biologia molecolare
MODERATORI: G. MASSARELLI (SASSARI), F.M. VECCHIO (ROMA)
Comparison of a RT-PCR for mammaglobin
and cytologic examination for detection
of breast cancer cells in effusions
Ricerca di mutazioni puntiformi di BRAF
e riarrangiamenti Ret/PTC in agoaspirati
tiroidei come supporto diagnostico
F. Fedeli, N. Gorji, P. Ferro, F. Fais1, B. Bacigalupo, V.
Gagliardi, L. Cortese, M. Moroni, P. Dessanti, A. Giannico, S. Roncella
R. Giannini, G. Salvatore1, P. Faviana, A. Caleo2, I. Migliaccio2, G. Troncone2, L. Palombini2, V. Bussi, M. Santoro1, F. Basolo
U.O. Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale Sant’Andrea La Spezia; 1 Sezione di Anatomia Umana, Di.Me.S, Università di Genova
Dipartimento di Oncologia, Università di Pisa; 1 Dipartimento di Biologia e Patologia cellulare e molecolare, Università
“Federico II” di Napoli; 2 Dipartimento di Scienze biomorfologiche e funzionali, Università “Federico II” di Napoli
Introduction. Human mammaglobin (hMAM) was found to
be a sensitive molecular marker for detecting micrometastases of breast cancer cells (BC) in peripheral blood, bone
marrow and lymph-node. Some authors have proposed using
this assay for screening effusions for BC micrometastatic disease. The detection of BC micrometastasis in effusions is difficult since the malignant cells are rare and spread amongst
the normal population.
In this study we investigate the potential application of RTPCR for hMAM by comparing it with traditional cytological
assessment for BC cells in effusions.
Methods. We analyzed 19 cases from patients with breast
malignancy (12 from pleural and 7 from peritoneal effusions). We also studied 93 cases of effusion without evidence
of breast cancer (52 with another type of cancer, 28 with no
malignant pathology, 13 of unknown causes).
The samples were analyzed by staining with EE, Papanicolau
technique, and by nested RT-PCR for hMAM. Cytological
examination was performed in a parallel study with RT-PCR
assay.
Results. 16/19 (84%) cases of BC pathology were positive
using nested RT-PCR for hMAM. 9/19 (47%) cases were
positive by cytological study and these were also positives by
nested RT-PCR. In contrast, 7 BC cases that were positive in
the molecular test were negative according to the staining assay. hMAM was also detected in 19/52 (36%) specimens of
other types of carcinoma (11/21 lung, 5/17 mesothelioma,
1/2 ovarian, 2/3 renal, 0/6 lymphoma, 0/2 gastric, 0/1 endometrial) and only 1/41 (2.4%) samples of non-neoplastic
origin.
Conclusion. Preliminary data demonstrate that detection of
BC in body fluid using hMAM mRNA amplification by PCR
is a promising approach and that nested RT-PCR for hMAM
was more sensitive than cytology in determining BC micrometastasis in effusions. However, positivity was not restricted to samples from BC patients as specimens from other types of tumors and 2.4% of patients without cancer were
also positive.
Our assay may be used in conjunction with routine cytopathological examination for screening of malignant BC
effusion.
Introduzione. Le mutazioni puntiformi a carico del gene
BRAF, che codifica per una serina/treonina protein-chinasi,
sono un marcatore genetico specifico dei carcinomi tiroidei
ben differenziati di istotipo papillare. Recentemente è stata,
infatti, riportata una frequenza di mutazione che varia dal 29
al 69% nei suddetti tumori.
Tutte le mutazioni identificate sono a carico del nucleotide
1796 dell’esone 15 di BRAF; una timina è sostituita da
un’adenina (T1796A) con conseguente sostituzione di una valina con glutammato nel residuo 599 (V599E) della proteina.
Scopo. Lo scopo di questo studio è di valutare se l’analisi
mutazionale di BRAF può incrementare l’accuratezza diagnostica dell’agoaspirato tiroideo.
Materiali e metodi. Il materiale utilizzato è costituito da
campioni citologici ottenuti mediante agoaspirazione di
noduli tiroidei e dai corrispondenti tessuti tumorali prelevati
chirurgicamente inclusi in paraffina.
In particolare è stata analizzata una serie di 96 neoplasie
tiroidee comprendenti: 69 carcinomi ben differenziati di istotipo papillare (PTC), 19 adenomi follicolari e 8 gozzi
multinodulari non tossici. L’analisi mutazionale è stata eseguita mediante analisi Single Strand Conformation Polymorphism (SSCP) e sequenziamento diretto del DNA genomico
degli esoni 11 e 15 di BRAF. Il riarrangiamento di Ret/PTC
è stato inoltre analizzato in 33 campioni di PTC, 19 adenomi
e 8 gozzi multinodulari.
Risultati. La mutazione di BRAF (V599E) è stata riscontrata nel 38% (26/69) dei carcinomi papillari. La prevalenza di
mutazione di BRAF nelle varianti istologiche dei PTC è la
seguente: 16/35 (45%) variante classica, 3/22 (15%) variante
follicolare, 5/9 (55%) variante a cellule alte, 2/3 (66%) variante sclerosante.
Il riarrangiamento di Ret è stato individuato in 6 dei 33 PTC
analizzati (18%).
In nessuna delle neoplasie benigne né nei gozzi multinodulari
sono state rilevate mutazioni di BRAF o riarrangiamenti
Ret/PTC.
Conclusioni. I risultati ottenuti hanno dimostrato che il 46%
dei carcinomi papillari presentano un’alterazione genica di
BRAF o del gene Ret, suggerendo la possibilità che l’analisi
molecolare di tali geni possa essere un valido supporto preoperatorio nella diagnosi dei tumori tiroidei. Tale metodica è
risultata particolarmente utile nel 33% dei casi con diagnosi
168
citologica preoperatoria indeterminata. Infatti, su 5 di 15 casi
è stata trovata un’alterazione di uno dei 2 geni permettendo
la possibilità di una diagnosi di carcinoma papillare sulla
base dei dati molecolari.
Efficacia dell’immunocitochimica
nella citologia agoaspirativa su strato sottile
E.D. Rossi, A. Mulè, C. Maggiore, M. Marino, A. Miraglia, G.F. Zannoni, F.M. Vecchio, G. Fadda
Istituto di Anatomia e Istologia patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione. L’agoaspirato rappresenta il miglior strumento diagnostico per numerose patologie di organi superficiali e
profondi. L’immunocitochimica (ICC) rappresenta un valido
aiuto nella diagnostica citologica benché la sua applicazione
ai preparati convenzionali sia talora problematica. Il presente
studio analizza l’efficacia della ICC applicata alla citologia
su strato sottile.
Metodi. Nel periodo gennaio 2001-settembre 2003 sono stati presi in esame, su un totale di 3.573 agoaspirati consecutivi, 109 casi che hanno richiesto l’applicazione della ICC,
ottenuti sia con metodica convenzionale che con citologia su
strato sottile. I preparati convenzionali sono stati fissati in
etanolo mentre quelli su strato sottile sono stati processati
secondo la metodica Thin Prep 2000 (Cytyc, Marlborough
USA); la colorazione utilizzata è stata, per entrambe le
metodiche, quella di Papanicoulau. L’ICC è stata impiegata
quasi esclusivamente nella metodica su strato sottile ed è stata eseguita sui preparati convenzionali solo quando la qualità
su strato sottile non è risultata ottimale.
Risultati. I 109 casi sono stati raggruppati come segue: 32
noduli tiroidei con 13 controlli istologici (CI); 23 patologie
linfonodali (indipendentemente dalla sede) con 14 CI; 17 lesioni epatiche e pancreatiche (2 CI); 9 noduli polmonari (4
CI); 5 lesioni renali e surrenaliche (0 CI); 6 lesioni addominali (2 CI) e 5 masse mediastiniche (2 CI); 5 lesioni delle ghiandole salivari (2 CI); 4 lesioni ossee (2 CI) e 3 lesioni sottocutanee (1 CI).
L’applicazione dell’immunocitochimica sui preparati in strato sottile ha consentito di giungere ad una diagnosi citologica in 96 casi (89%), risultando non dirimente solamente in 13
casi. La diagnosi citologica è stata confermata al successivo
esame istologico in 40 casi su 41 (97,5%).
Conclusioni. La ICC può essere applicata sulla citologia in
strato sottile con risultati molto soddisfacenti rispetto alla
citologia convenzionale e appare efficace per ottenere una
corretta diagnosi citologica su agoaspirato.
Bibliografia
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Dabbs DJ, et al. Diagn Cytopathol 1997;17:388-92.
2
Leung CS, et al. Diagn Cytopath 1997;16:368-71.
Citologia aspirativa di neoplasie rare della
mammella
A.M. Dalena, G. Melillo, P. Goglia, G. Ferrara
UOC Anatomia Patologica, A.O. “Gaetano Rummo”, Benevento
Introduzione. La biopsia aspirativa con ago sottile (FNAB)
della mammella ha permesso di by-passare in numerosi cen-
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
tri l’effettuazione degli esami al congelatore e delle biopsie
incisionali.
Metodi. In una valutazione retrospettiva della casistica di patologia mammaria della Anatomia Patologica dell’Azienda
Ospedaliera “G. Rummo” di Benevento sono stati individuati
3 casi di carcinoma mammario con istotipo speciale studiati
in fase preoperatoria mediante FNAB: il carcinoma papillare
solido, il carcinoma a cellule chiare ricche di glicogeno ed il
carcinoma adenosquamoso di alto grado.
Risultati. Su FNAB, il carcinoma papillare invasivo evidenziava una elevatissima cellularità con elementi neoplastici
relativamente monomorfi, di aspetto plasmocitoide, talora
organizzati in strutture papillari tridimensionali con un evidente “core” fibrovascolare.
Il carcinoma a cellule chiare ricche di glicogeno mostrava aggregati di grosse cellule ovalari e rotondeggianti simili a cellule vegetali per l’abbondante citoplasma debolmente acidofilo provvisto di un evidente alone chiaro perinucleare.
Il carcinoma adenosquamoso di alto grado si caratterizzava
per la combinazione di cellule fusate fibroblast-like e di cellule epiteliali spiccatamente pleomorfe, alcune della quali
cheratinizzanti.
Conclusioni. I casi qui illustrati documentano la affidabilità
della FNAB nella diagnostica preoperatoria delle neoplasie
mammarie.
Il carcinoma papillare solido può essere paradossalmente più
semplice da riconoscere su preparati citologici che non su
preparati istologici 1.
IL carcinoma a cellule ricche di glicogeno evidenzia aspetti
citologici (cellule di aspetto simil-vegetale) assai peculiari,
finora non segnalati in letteratura 2.
Il carcinoma adenosquamoso di alto grado è una neoplasia il
cui carattere “bifasico” (epiteliale e mesenchimale) può essere agevolmente riconoscibile su materiale citologico.
Bibliografia
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Lefkowitz M, Lefkowitz W, Wargotz ES. Intraductal (intracystic) papillary carcinoma of the breast and its variants: a clinico-pathological study of 77 cases. Hum Pathol 1994;25:802-9.
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Primitive uterine cervix lymphoma.
Case report
N. Scibetta, G. Sciancalepore, L. Marasà
U.O. di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico-Di CristinaAscoli”, Palermo
Introduction. The primitive uterine cervix lymphoma is very
rare, it strikes females between 30 and 60 years old; clinically it starts with menometorrhagia and pelvicalgia. The more
frequent histological types are follicular and diffuse large cell
lymphomas. Rare cases of “MALT-Type”, sometimes with
high grade, in cervical seat has been pointed out.
Materials and methods. Our case regards a 41 years old patient, with metrorrhagia and left latus’ pain. Afterward clinical examination and echographia a cervical mass has been
showed, with maximum diameter 9 cm, in uterine fibromyomatosis setting. The patient has been subjected to laparopanhysterectomy with left oophorosalpingectomy. The specimens sent were formalin 4% fixed and paraplast plus included. Sections of 3 µm thickness have been prepared;
stained with HE, Giemsa, PAS and Reticulum. Other sections
ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI
have been set on slides, previously treated with Poli-l-lysin
for the immunohistochemical stains.
Results. Macroscopically a big and deformed uterus, because
of multiple intramural leiomyomas, has been showed; while
the cervix was taken by a mass, partly projected in uterocervical canal, with maximum diameter of 9 cm. The histological feature was characterized by diffuse population of large
size lymphoid elements, with clear nuclei, large and pale cytoplasm, well-limited, high mitotic index and proliferative
fraction > 50% (MIB 1), arranged in alveolar structures or in
diffused pattern, fully infiltrating the uterine cervix, separating endocervical glands, but without attacking them. Such
neoplastic elements were positive for CD45 RA, CD20,
CD79a, CD23; only some of them were positive for BCL2;
everyone was negative for CK AE1 and AE3, CD3, CD10,
BCL6, Cyclin D1, CD5, CD43, EMA, ALK. The reached diagnosis was “Diffuse NH Lymphoma with large cells, derived from peripheral B Lymphocytes”. Immediately after
the postoperative period, the patient has been subjected to
haematochemical routine examination; LDH and β2 microglobulin determination; viral serological indagation for
CMV, EBV, HIV, HCV and HSV Antibodies research; RMN;
abdominal and thoracic TAC with negative outcome. The
PET excluded illness with high metabolic activity, also the
osteomedullary biopsy did not reveal any trace of disease.
Conclusions. We report a rare case of primitive uterine
cervix diffuse NH lymphoma, with large cells, derived from
peripheral B lymphocytes, stadium I BULKI IPI O in RC The
cellular monomorphism, the depth of paries’ invasion, the
IIC examinations allowed us to exclude an inflammatory reaction with big lymphomatoid cells and leading us toward a
lymphomatous process. The lack of lymphoepithelial injures
excluded a MALT type lymphoma, whereas the CD10 negativity excluded such elements’ derivation from follicular centre. The patient has been subjected to 6 cycles of polychemotherapy with CHOP and Rituximab with consolidation
Rt. Six months after the therapy, the clinical-instrumental
check up and the vaginal cul-de-sac biopsy have not revealed
any pathology.
Ruolo dell’IL-12 nella patogenesi
della linfoadenite di Kikuchi
M.C. Giustiniani, S. Scarpino, A. Di Napoli, A. Stoppacciaro, S. Uccini, L.P. Ruco
II Facoltà di Medicina e Chirurgia di Roma “La Sapienza”,
Istopatologia, Ospedale “Sant’Andrea”
La linfoadenite di Kikuchi è una rara malattia ad eziologia ignota caratterizzata dalla presenza di focolai di necrosi associata a macrofagi/cellule dendritiche CD68+/MPO+. Nel presente lavoro abbiamo studiato un caso di linfoadenite di
Kikuchi di cui era disponibile materiale congelato. Sezioni
del linfonodo sono state utilizzate per la caratterizzazione
immunofenotipica delle componenti cellulari presenti nella
lesione e per la microdissezione laser al fine di valutare il
profilo di citochine prodotte nelle aree necrotiche. Come
controllo sono stati microdissecati i centri germinativi dello
stesso linfonodo. L’RNA estratto dai microdissecati è stato
amplificato mediante kit specifici ed utilizzato in esperimenti di RT-PCR e analisi Macroarray per la definizione del profilo di espressione genica.
I risultati del nostro studio hanno dimostrato che nelle aree di
necrosi è presente una ricca popolazione di cellule den-
169
dritiche in parte positive per CD11c ed in parte per CD123,
le prime disposte centralmente e le seconde in periferia; al di
fuori della necrosi, nelle aree interfollicolari, sono inoltre
presenti numerose cellule dendritiche DC-LAMP+ e rare
CD1+. L’analisi della produzione di citochine effettuata con
RT-PCR ha dimostrato che la quantità di IL-12 presente nelle
aree necrotiche è circa 800 volte maggiore di quella presente
nei centri germinativi. Al contrario i livelli di IFN-γ nella
necrosi e nel centro germinativo sono paragonabili. L’analisi
di espressione genica per citochine/chemiochine ha dimostrato un complesso pattern di produzione nell’ambito
delle zone di necrosi, compatibile con una cascata indotta da
IL-12. L’assenza di CD40 nelle cellule dendritiche della lesione suggerisce che l’induzione della produzione di IL-12
avvenga attraverso un meccanismo diverso dall’interazione
CD40-CD40L. In conclusione i nostri risultati suggeriscono
che un’abnorme produzione di IL-12, indotta da cause
sconosciute, possa avere un ruolo centrale nella patogenesi
della malattia di Kikuchi verosimilmente attraverso l’attivazione della secrezione di IFN-γ da parte dei linfociti T CD8
attivati e/o da parte di altre cellule.
Un caso di linfoma di Hodgkin coesistente
con un tumore di Warthin della parotide
A. Mulè, C. Maggiore, E.D. Rossi, G. Fadda, L.M. Larocca
Istituto di Anatomia Patologica Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma
Introduzione. I linfomi, la quasi totalità dei quali sono linfomi non-Hodgkin (NHL), rappresentano lo 0,6-5% di tutte
le neoplasie parotidee. Viene qui riportato un insolito caso di
linfoma di Hodgkin (HL) coesistente con un tumore di
Warthin (WT) della parotide.
Caso clinico. Nel settembre 2003 abbiamo eseguito un
esame citologico aspirativo su una tumefazione parotidea di
7 cm insorta da 6 mesi in un uomo di 52aa. per altro asintomatico. Il materiale ottenuto, ha rivelato la presenza di una
cellularità linfoide mista con sparse cellule di aspetto sternbergoide, senza evidenza di elementi epiteliali. L’insieme di
tali dati e delle indagini immunocitochimiche (CD30+
CD15+ LCA- CD20- CK-), ha suggerito la diagnosi di HL.
L’esame istologico ed IIC su biopsia incisionale, ha confermato la diagnosi di HL, ma ha anche evidenziato un’area
marginale di WT, intimamente commista alla componente
linfomatosa. Una TC ha rivelato, oltre al massivo coinvolgimento parotideo, l’interessamento omolaterale tonsillare,
orofaringeo e laterocervicale, quest’ultimo in forma di alcuni linfonodi patologici. La biopsia osteomidollare è risultata
negativa.
Discussione. Il WT è la seconda neoplasia più frequente della ghiandola parotide (10-15%) mentre il HL a localizzazione
salivare è molto raro. La coesistenza delle due entità è stata
descritta solo due volte 1 2. Badve descrive un caso di HL
coinvolgente il mediastino e un linfonodo intraparotideo adiacente ad un WT. La componente linfoide di quest’ultimo
non mostrava alcuna atipia. Melato riporta un caso con un
quadro istologico parotideo simile al nostro, ma clinicamente
più aggressivo.
La presenza di multiple localizzazioni extralinfonodali,
sebbene limitate all’anello del Waldayer, e il minimo coinvolgimento linfonodale regionale, rende il caso qui descritto
ancor più peculiare.
170
Conclusioni. Noi descriviamo il terzo caso di coesistenza di
WT e HL. Sulla base della più accreditata teoria patogenetica del WT (linfonodo nel cui contesto si accrescono degli inclusi epiteliali benigni policlonali), un HL primitivamente insortovi è da considerare intranodale. Tuttavia, nel nostro caso, l’intima coesistenza WT/HL e l’importante interessamento tonsillare ed orofaringeo, vs. un minoritario coinvolgimento linfonodale regionale, potrebbe celare un inusuale tropismo per il tessuto linfoide mucosa associato.
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Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione. La disregolazione del processo apoptotico ed in
particolare della Bcl-2 family, ha un ruolo cruciale nella patogenesi delle neoplasie dell’apparato emolinfopoietico. La Bcl2 family è formata da un gruppo di geni pro o anti apoptotici
con strette omologie strutturali in grado di formare etero o
omodimeri. Sembra ormai chiaro che geni proapoptotici come
Bax o Bak siano i veri esecutori del messaggio apoptotico,
mentre i geni antiapoptotici come il Bcl-2 o il Bclx-L formando eterodimeri con i geni proapoptotici sarebbero in grado di
bloccarne la funzione. Studi recenti hanno dimostrato come la
disregolazione del processo apoptotico nelle neoplasie emolinfopoietiche è per lo più dovuta ad una iperespressione di geni
anti-apoptotici, che potrebbe dipendere anche da una diminuita espressione di geni pro apoptotici quali Bax, Bak, Bik o altri a causa di alterazioni molecolari come le mutazioni.
Metodi. Abbiamo studiato, tramite PCR-SSCP, la presenza
di mutazioni in tre dei geni proapoptotici più importanti Bax,
Bak e Bik, in 81 casi di linfoma non-Hodgkin di tipo B: 33
casi di linfoma follicolare, 15 casi di linfoma della zona marginale, 7 casi di linfoma mantellare, 7 casi di linfoma a piccoli linfociti, 15 casi di linfoma a grandi cellule B, 2 casi di
linfoma plasmocitoide e 2 casi di linfoma di Burkitt. 10 casi
si tonsilla palatina e 10 casi di linfonodi di soggetti sani sono
stati utilizzati come controlli normali. I casi mutati sono stati sequenziati direttamente.
Risultati. Non sono state osservate mutazioni strutturali nel
gene Bax in nessuno dei linfomi studiati. Una mutazione
silente del gene Bak (esone 2, codone 14, TGC → TGT) è stata osservata in 24 degli 81 linfomi (37% follicolari e 47% marginali) e in 4 delle 10 tessuti linfoidi iperplastici. Mutazioni del
gene Bik con alterazione della sequenza amminoacidica sono
state invece osservate in 2 su 27 (11%) dei linfomi follicolari
(FL), in 2/13 (15%) dei linfomi della zona marginale (MZL) ed
in 1/16 (6%) dei linfomi a grandi cellule B (DLBCL).
Conclusioni. Le alterazioni molecolari del gene Bak, come
per altri geni, suggeriscono una sua segregazione nei linfomi
di origine dal centro germinativo a causa del meccanismo di
somatic hypermutation che qui avviene. Le nostre ricerche
hanno altresì evidenziato come le mutazioni del gene Bik appartenente alla famiglia delle BH3 only proteins possono essere coinvolte nella disregolazione del processo apoptotico
presente nei linfomi non-Hodgkin a cellule B.
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
Linfoadenite istiocitica necrotizzante
(malattia di Kikuchi Fujimoto): descrizione
di un caso
A.V. Filardo, S. Squillaci1, F. Pontieri, F. Tallarigo
Servizio di Anatomia patologica Ospedale di Crotone, Catanzaro; 1 Esine, Brescia
Introduzione. La linfoadenite istiocitica necrotizzante è una
malattia ad eziologia sconosciuta a decorso benigno molto
più comune nel sud-est asiatico, descritta per la prima volta
nel 1972 da Kikuchi-Fujimoto, interessante per lo più giovani donne. Si presenta generalmente con aumento della temperatura e linfoadenoparia localizzata, anche se sono stati descritti in letteratura casi con interessamento extralinfonodale.
Generalmente la sintomatologia si risolve spontaneamente
nell’arco di alcuni mesi.
Materiali e metodi. Viene qui descritto il caso di una giovane donna di 28 anni che ha presentato uno sviluppo progressivo di malattia. L’esordio è coinciso con una linfoadenopatia latero-cervicale monolaterale. Dopo circa due
settimane compariva aumento della temperatura con puntate
febbrili fino a 39°C, brividi, malessere generalizzato, diminuzione dell’appetito. Gli esami ematochimici mostravano
una modesta leucopenia. Il quadro morfologico linfonodale
evidenziava necrosi sottocorticale con apoptosi, aggregati di
monociti plasmocitoidi, istiociti con nuclei eccentrici, aumentati di volume, a citoplasma schiumoso, assenza di neutrofili, focali aggregati di immunoblasti. Alcuni centri germinativi del linfonodo erano conservati, come anche la capsula.
Dal punto di vista immunoistochimico, la componente linfoide era rappresentata prevalentemente da elementi t maturi
CD8+, con una minima quota di elementi B CD20+. Gli elementi istiocitari, hanno mostrato una intensa positività al cd
68 e alla mieloperossidasi, quelli di tipo immunoblastico,
sono risultati essere CD30-, CD15- E CD45+. Discreta la
quota di elementi interdigitati dendritici positivi alla proteina
s100, soprattutto a livello della zona paracorticale. Pertanto il
quadro morfologico ed immunofenotipico ci indirizzava verso una diagnosi di linfoadenite istiocitica necrotizzante.
Discussione. La malattia di Kikuchi Fujimoto si può osservare
a tutte le età ma interessa, prevelentemente, i giovani adulti,
con un rapporto uomini-donne di 1:4. Dal punto di vista clinico si manifesta con una linfoadenopatia principalmente laterocervicale in un contesto febbrile e di astenia. Talvolta si associa una leucopenia transitoria e una moderata sindrome infiammatoria. L’evoluzione è benigna, spontaneamente, nell’arco
di alcuni mesi, possibili sono le ricadute. Dal punto di vista istologico molteplici sono le patologie con cui va in diagnosi
differenziale, sia esse neoplastiche (linfoma) che non, ma che
presentano lo stesso quadro morfologico, come malattie di tipo
autoimmune (LES, malattia di Kavasaki), linfoadeniti infettive
(Yersinia enterocolitica, malattia da graffio di gatto, citomegalovirus, virus Epstein Barr). Dal punto di vista eziologico, anche se la connessione tra questa malattia ed una infezione virale non è stata provata, quella autoimmunitaria sembra la più accreditata. Una reazione iperimmune dell’organismo indotta da un’infezione virale.
Conclusioni. Sebbene la linfoadenite istiocitica necrotizzante sia una patologia rara, questo caso mostra come la
malattia comparsa con una linfoadenite localizzata, laterocervicale, in una giovane donna, pone non pochi problemi di
diagnosi differenziale. A volte tale compito può essere arduo
per il patologo, se si utilizza il solo parametro morfologico.
pertanto è sempre necessario effettuare indagini più appro-
ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI
fondite, come può essere quella immunoistochimica, supportate sempre dal quadro clinico.
171
Fattori predittivi delle metastasi nei linfonodi
non sentinella nel cancro della mammella
B. Bruni, S.G. Carinelli, M. Giroda, S. Poma, L. Runza
Leucemia linfatica cronica b insorta in
leucemia mieloide cronica Ph+. descrizione
di un caso
L. Riccioni, A. Pragliola, F. Morigi, L. Guardigni1, M.
Maldini2, A. Bondi
U.O. di Anatomia Patologica, 1 Servizio di Ematologia, 2 Laboratorio Analisi, Ospedale “M. Bufalini”, Cesena
Introduzione. La coesistenza di leucemia mieloide cronica
(LMC) e leucemia linfatica cronica (LLC) B nello stesso
paziente è una rara evenienza. Descriviamo il secondo caso
presente in letteratura di LLC-B insorta nel decorso di una
LMC Philadelphia positiva (Ph+).
Caso clinico. Uomo di anni 71 affetto da LMC Ph+ in fase
cronica, istologicamente e geneticamente accertata e trattata
con idrossiurea. Dopo 4 anni, in cui le condizioni clinico-laboratoristiche erano rimaste stabili, il paziente iniziava Glivec,
sospeso dopo tre settimane per severa trombocitopenia. Nel
frattempo si evidenziava lieve linfocitosi (7,0x109/L). Per
questa ragione venivano ripetuti il cariotipo ed una biopsia osteomidollare, nella quale compariva accanto alla popolazione
neoplastica mieloide un infiltrato linfoide patologico compatibile con LLC, immunofenotipicamente documentata su sangue
periferico, con CD38 7%. Nessuna ulteriore terapia è stata data nei successivi 6 mesi, quando per un nuovo innalzamento
della conta leucocitaria (leucociti 50,6x109/L, con linfociti
55%) il paziente riprendeva terapia con idrossiurea.
Risultati. La prima biopsia osteomidollare appariva ipercellulata, con espansione della granulocitopoiesi, morfologicamente compatibile con LMC. La componente linfoide interstiziale non era aumentata. La seconda biopsia osteomidollare mostrava la persistenza della LMC, con lieve aumento
della quota nucleolata immatura (< 10%). Era inoltre presente
un infiltrato linfoide interstiziale e nodulare, costituito prevalentemente da piccoli linfociti immunoreattivi per CD20,
CD5, CD23 e negativi per CD3, CD10 e TDT. Il secondo cariotipo mostrava la comparsa di ulteriori anomalie genetiche
non canoniche per una progressione della LMC, quali la presenza di un nuovo clone Ph+ mostrante del (3p) e di uno Phcon perdita del cromosoma 21.
Conclusioni. La comparsa di una proliferazione linfoide nel
decorso clinico di una LMC impone di escludere una crisi
blastica del disordine mieloproliferativo sottostante, che implicherebbe differenti scelte terapeutiche. Tuttavia gli aspetti
morfologico ed immunoistochimico dell’infiltrato linfoide
presente nella seconda biopsia osteomidollare, in accordo
con quanto riportato in letteratura, depongono per una LLCB, differente da una evoluzione blastica linfoide, quale possibile evoluzione tardiva della preesistente LMC. È possibile
che l’insorgenza della LLC, analogamente a quanto riportato
in corso di mielofibrosi idiopatica, trattata con idrossiurea
(Bohm et al. Pathologie. 2002;23:480-5), sia dovuta ad un
effetto leucemizzante della terapia od in alternativa ad una
differente origine clonale delle due neoplasie (Salim et al.
Leuk Lymphoma. 2002;43:2225-7).
Anatomia Patologica e Chirurgia Plastica, Istituti Clinici di
Perfezionamento, Milano
Introduzione. Abbiamo correlato i caratteri del tumore
mammario (tipo, grado istologico e dimensioni) col Linfonodo Sentinella (LS) e il tipo delle metastasi del LS con lo stato dei linfonodi non sentinella (LNS), dopo linfoadenectomia
(LAD).
Metodi. L’analisi del LS di 108 pazienti è stata condotta secondo un protocollo (Am J Surg Pathol 2002;26:377-82) 5
sezioni istologiche, 3 colorate con EE e 2 con CK. Le metastasi (M) sono state classificate in macro-M (nodulari e maggiori di 2 mm) e micro-M (cellule singole o aggregati di cellule tumorali di dimensioni ≤ 2 mm).
Risultati. In due casi non è stato isolato il LS (1,8%). Nei
restanti 106 è stato isolato un solo LS in 56 casi (53%), due
in 28 casi (26%), tre o più in 21 casi (21%). Un caso era negativo per cancro ed il LS era negativo. Un caso di Tumore
Fillode Maligno aveva il LS negativo. Dei 23 casi di carcinoma in situ (16) o in situ con microinvasione < 2 mm, inclusa una Malattia di Paget (7) il LS era positivo in uno dei 5
casi di carcinoma duttale in situ con microinvasione, come
microemboli nel seno marginale. Due dei 6 pazienti con carcinoma lobulare infiltrante (diametro 8-17 mm + due multinodulari) avevano il LS positivo; nell’unico caso con LAD i
LNS erano diffusamente positivi. In 18 casi di carcinoma
duttale infiltrante (CDI) G1 (diametro 2-19 mm) il LS è risultato positivo in 3 casi (di cui uno come micro-M) i cui LNS
erano indenni; l’unico dei 9 con LAD che aveva LNS positivo era associato ad un LS negativo, anche dopo 21 sezioni istologiche. Nei 56 casi di CDI G2-3 (diametro 2-40 mm) il LS
è risultato positivo in 22 (39%), di cui 7 come micro-M. Il diametro medio dei tumori con macro-M del LS era maggiore
(17 mm) rispetto a quello dei tumori con micro-M del LS (12
mm). Nei 24 casi con LAD, i LNS erano metastatici in 6 casi;
in 5 il LS aveva macro-M e in uno micro-M; in 18 casi i LNS
erano indenni e di questi 12 avevano il LS positivo, 9 come
macro-M e 3 come micro-M. In nessun caso con LS negativo c’erano metastasi ai LNS. In un caso di CDI, la metastasi
nel LS era negativa alla CK7, per cui è stata aggiunta una CK
a largo spettro nella procedura.
Conclusioni. Esiste una correlazione tra caratteri del cancro,
stato del LS, caratteristiche della metastasi del LS e stato dei
LNS. La negatività del LS è predittiva di negatività dei LNS,
ma falsi negativi sono un limite della procedura. La CK 7 da
sola è insufficiente per la procedura.
172
L’assetto recettoriale tirosin-chinasico nei
carcinomi mammari: valutazione di HER2-neu
e EGFR in I.H.C. e F.I.S.H. correlata a parametri
istomorfologici ed immunofenotipici
L. Baron, M. Postiglione, A. Cesarano, P. Beltotti, F.
Quarto
S.O.C. di Anatomia ed Istologia Patologica e Citopatologia
P.O. “S. Leonardo” ASL-NA5, Castellammare di Stabbia,
Napoli
Introduzione. Il pathway di crescita autocrino HER-guidato
è implicato nello sviluppo e nella progressione del carcinoma
mammario.
Metodi. Avvalendoci di metodiche di immunoistochimica
(IHC) e biologia molecolare (FISH) abbiamo studiato l’espressione singola e la co-espressione di 2 membri della
famiglia dei recettori HER, l’EGFR e l’HER2, su 126 casi di
carcinomi mammari. L’assetto dei 2 recettori è stato correlato a parametri morfologici quali: tipo istologico, dimensioni,
stato linfonodale e a marcatori quali: indice di proliferazione
cellulare (Ki67-Mib-1), espressione di p53 e l’assetto recettoriale ormonale.
Risultati. Il 26% dei carcinomi presentano amplificazione
genica di HER2 (FISH-PathVysion-Vysis) a fronte del 28%
di casi con sovraespressione proteica all’IHC (punteggio
2+/3+, HercepTest-DakoCytomation). La percentuale di concordanza del 92% indicherebbe che la sovraespressione proteica di HER2 può verificarsi anche in assenza di amplificazione genica, quale risultato di un’anomala regolazione
trascrizionale o post-trascrizionale.
L’EGFR (LSI EGFR/CEP7-Vysis) risulta amplificato nel
22% dei casi con un corrispondente valore di sovraespressione proteica pari al 36% (EGFR pharmDx™). La minore
percentuale di concordanza tra i 2 test è dovuta al fatto che la
sovraespressione è legata anche a mutazione puntiforme del
gene che codifica per una forma del recettore priva del dominio extracellulare deputato al legame con il ligando e attivabile costitutivamente.
Per lo studio della co-espressione dei due recettori abbiamo
classificato le pazienti in 4 gruppi: EGFR-/HER2- (62%),
EGFR+/HER2+ (10%), EGFR+/HER2- (12%), EGFR/HER2+ (16%). Al pari dei due gruppi che presentano uno solo dei due recettori amplificati, la classe di co-amplificazione
presenta una correlazione statisticamente significativa con il
grado istologico e con uno stato linfonodale positivo ma non
con le dimensioni del tumore. I 3 gruppi, d’altro canto, presentano una relazione di proporzionalità diretta con l’indice di
proliferazione cellulare e con la sovraespressione della p53 e
di proporzionalità inversa con l’assetto recettoriale ormonale.
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
Conclusioni. Pertanto l’identificazione di un assetto recettoriale amplificato per EGFR e HER2, con valutazione in IHC
(EGFR) e FISH (HER2) associa in un fenotipo più aggressivo neoplasie ER-, PG-, Ki67>, p53+ e EGFR+ e/o HER2+.
Ciò a conferma dell’importanza della famiglia HER nell’iniziazione e progressione del carcinoma mammario, quindi la loro validità quali target terapeutici.
L’espressione di p27kip1 nella sua forma
fosforilata in treonina 187
A. Iaccarino, A. Caleo, I. Migliaccio, C. Frangella, M.
Russo, F. Esposito, J.C. Martinez1, L. Palombini, G. Troncone
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università “Federico II” di Napoli, Napoli; 1 Istituto Oftalmico,
Università Autonoma, Madrid, Spagna
Introduzione. La progressione G1/S del ciclo cellulare
richiede la proteolisi di p27Kip1 (p27) che è innescata dalla
sua fosforilazione su treonina 187 (T187). Fino ad oggi, l’espressione di p27 è stata studiata esclusivamente analizzando la proteina nella sua forma non-fosforilata (“plain” p27).
Lo scopo di questo studio è quello di descrivere il pattern
immunocitochimico di espressione di p27 fosforilata
(pT187-p27).
Metodi/Risultati. Nei tessuti normali pT187-p27 evidenzia i
compartimenti tessutali dove è attiva la proliferazione. Il segnale, particolarmente evidente nelle cellule con figure mitotiche, è abrogato dal pre-adsorbimento con il corrispondente fosfo-peptide. Anche nei tessuti displastici e neoplastici, pT187-p27 è correlato con la proliferazione cellulare, essendo significativamente correlato alla espressione di MIB-1
(Spearman R = 0,88; p < 0,001), mentre risulta essere alternativo alla espressione di “plain” p27 (Spearman R = -0,61;
p < 0,001). Le metodiche di doppia immunofluorescenza (IF)
e di miscopia laser confocale (LSCM) mostrano in cellule
reattive e neoplastiche la progressiva perdita della reattività
di “plain” e la acquisizione della espressione di p27 nella forma pT187.
Conclusioni. Nel complesso, i nostri dati suggeriscono che
nelle cellule proliferanti, la proteina p27 può essere evidenziata dall’anticorpo diretto contro il sito di fosforilatione in
T187. Quindi l’uso combinato degli anticorpi anti “plain” e
ad anti pT187 è necessario per valutare in pieno l’espressione
tessutale di p27 e per validarne l’uso come marker prognostico delle neoplasie umane.
PATHOLOGICA 2004;96:173-178
COMUNICAZIONI
2. Patologia polmonare, Patologia varia
MODERATORI: P. GALLO (ROMA), G. NUCIFORO (CATANIA)
Espressione e stato mutazionale di c-kit nel
carcinoma polmonare a piccole cellule (SCLC)
L. Boldrini, S. Ursino1, S. Gisfredi1, P. Faviana, V. Donati,
T. Camacci1, M. Lucchi2, A. Mussi2, F. Basolo1, R. Pingitore, G. Fontanini1
Dipartimento di Chirurgia, 1 Dipartimento di Oncologia,
Trapianti e Nuove Tecnologie in Medicina, 2 Dipartimento
Cardio-Toracico, Università di Pisa, Pisa
Introduzione. La proteina c-kit, anche conosciuta come
CD117, appartiene alla famiglia dei recettori tirosin-chinasici di tipo III. Attività chinasiche sono state implicate nella fisio-patologia di molti tumori, tra cui il carcinoma polmonare
a piccole cellule (SCLC). Attivazione paracrina e/o autocrina
di c-kit ad opera del suo ligando è stata ipotizzata nel tumore
polmonare, ma questo recettore può anche essere attivato da
mutazioni a carico del gene c-kit.
Abbiamo esaminato l’espressione e lo stato mutazionale di ckit in SCLC allo scopo di verificare la sua espressione e le
eventuali alterazioni geniche, così come il suo possibile impatto prognostico.
Metodi. Sono stati analizzati 60 campioni di SCLC per valutare la presenza di eventuali mutazioni a carico degli esoni
9 e 11 mediante la tecnica di PCR-SSCP e successivo sequenziamento automatico. Inoltre, l’espressione della proteina c-kit è stata valutata in 55 campioni mediante metodica
immunoistochimica.
Risultati. L’espressione di c-kit è stata evidenziata in circa il
40% dei campioni SCLC. Due mutazioni a carico dell’esone
9 e tre a carico dell’esone 11 sono state riscontrate. L’analisi
della sopravvivenza mediante curve di Kaplan-Meier non ha
evidenziato alcun valore prognostico per c-kit.
Conclusioni. Nella nostra serie di campioni, l’espressione di
c-kit ed il suo stato mutazionale non sembrano avere rilevante
impatto sulla sopravvivenza; ciò rende più difficile l’approccio
terapeutico con inibitori della tirosin-chinasi in SCLC, almeno
fino a quando una sicura dimostrazione della implicazione di
c-kit in questo tipo di tumore non sia stata ottenuta.
genesi è stimolata da vari fattori: un ruolo prominente svolge
il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), ma altri fattori, quali interleuchina-8 (IL-8), p53 e Tumor Necrosis Factor (TNF-α), sembrano coinvolti.
Metodi. La casistica include 88 pazienti, 73 maschi e 15
femmine, età media 63,7 anni. In base al TNM, 18 pazienti
erano classificati come T1, 60 T2, 10 T3; 29 presentavano
metastasi linfonodali alla diagnosi (11 N1 e 18 N2), 59 no
(N0). L’espressione di IL-8, VEGF e TNF-α mRNA era valutata mediante PCR-competitiva. Lo stato mutazionale del
gene p53 veniva analizzato mediante PCR-SSCP e successivo sequenziamento automatico. L’espressione di IL-8 è stata
correlata con VEGF, MVC, p53 e TNF-α.
Risultati. In base al valore mediano, i campioni erano distinti in 43 a basso e 45 ad alto livello di IL-8 mRNA. Tali
livelli non correlavano con nessuna delle caratteristiche
clinico-patologiche della neoplasia. Il grado di espressione
di IL-8 era correlato con MVC (χ2 test; p = 0,02) e VEGF
mRNA (χ2 test; p = 0,02). Campioni con alterazioni di p53
mostravano alti livelli di IL-8 (χ2 test; p = 0,01). Le curve
di sopravvivenza non evidenziavano differenze tra tumori a
bassa ed alta espressione di IL-8, sia per sopravvivenza totale (OS), che per intervallo libero da malattia (DFI). Elevati livelli di IL-8 erano associati ad alta espressione di
TNF-α (χ2 test; p = 0,03). In analogia ad un nostro precedente studio, tumori con maggior contenuto di TNF-α erano caratterizzati da miglior prognosi (Log-rank test; p =
0,03 per OS e p = 0,04 per DFI).
Conclusioni. Dai risultati ottenuti, IL-8, analogamente a
VEGF, sembra avere una funzione angiogenetica, regolata
dallo stato di p53 in NSCLC. IL-8 e VEGF potrebbero però
appartenere a pathways differenti; in particolare, IL-8
potrebbe anche interagire con TNF-α nella regressione tumorale. Ulteriori studi saranno necessari per chiarire la funzione di IL-8 in NSCLC.
Blastoma pleuropolmonare (PPb).
Studio morfologico ed immunoistochimico
di un caso
α,
Correlazione tra espressione di IL-8, TNF-α
neovascolarizzazione e p53 nel carcinoma
polmonare non a piccole cellule
N. Rizzo, C. Doglioni, G. Arrigoni
S. Ursino1, L. Boldrini, S. Gisfredi1, P. Faviana, V. Donati,
T. Camacci1, M. Lucchi2, A. Mussi2, F. Basolo1, R. Pingitore, G. Fontanini1
Introduzione. Il blastoma pleuro-polmonare è una rara neoplasia aggressiva del bambino nei primi anni di vita, fa parte
dei tumori disembrionali-disontogenetici (t. di Wilms, neuroblastoma e epatoblastoma) ed è l’unica neoplasia periferica polmonare o pleurica dell’età pediatrica distinta dal blastoma polmonare dell’adulto. Il PPb è costituito da un tessuto
primitivo in cui gli elementi sarcomatosi e blastematosi sono
variabilmente frammisti. Il PPb ha una base familiare o costituzionale nel 23% dei casi, può essere multifocale o associarsi ad altre neoplasie, displasie e/o iperplasie. Viene classificato in 3 tipi clinico-patologici, (Dehner), che rappresen-
Dipartimento Chir., 1 Dipartimento Oncol., Trap. e Nuove
Tecn. in Med., 2 Dipartimento Cardio-Torac., Università di
Pisa, Pisa
Introduzione. L’angiogenesi è un processo necessario per lo
sviluppo e la crescita tumorale ed il conteggio dei microvasi
(MVC) rappresenta un valido indice angiogenetico nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC). L’angio-
Anatomia Patologica Istituto Scientifico “San Raffaele”, Milano
174
tano un continuum di progressione istologica e biologica:
tipo I cistico, tipo II cistico e solido, tipo III solido.
Caso clinico. Descriviamo un caso di blastoma pleuro-polmonare di tipo II in un bambino di 22 mesi diagnosticato, alla
TC come cisti broncogena del lobo polmonare superiore di destra. La neoformazione, cistica, pluriloculata di cm 10 x 9 x 4
con pareti di spessore da 0,2 a 1 cm, aderiva al polmone mediante un peduncolo ed era costituita da aree solide e cistiche,
rivestite da epitelio respiratorio e separate da setti fibrosi talora mixoidi. Sotto l’epitelio vi sono cellule tumorali tonde o
fusate, immature con aspetto simile allo strato cambiale del
sarcoma botrioide accompagnate da un numero variabile di
rabdomioblasti (poligonali o allungati con strie trasversali) e di
cellule anaplastiche con nuclei pleomorfi ed ipercromici o
multinucleate. Le aree solide hanno aspetti misti blastematosi
e sarcomatosi con cellule blastematose immerse in aree simil
fibrosarcoma o istiocitoma fibroso maligno.
Immunofenotipo: CK+ nell’epitelio respiratorio; CK-, vimentina+ nelle cellule neoplastiche delle aree cistiche e
solide; desmina+ nella componente rabdomioblastica; actina
SM-, S100-, EMA-.
Conclusioni. La peculiarità di questo caso risiede:
• nella rarità del PPb;
• nella difficoltà della diagnosi clinica, che spesso è di lesione benigna;
• nella precisa definizione del tipo clinico-patologico (Dehner), in base al quale variano significativamente sopravvivenza e terapia.
Bibliografia
Dehner LP. Semin Diagn Pathol 1994;11:144-51.
Priest JR, et al. Cancer 1997;80:147-61.
Leiomiosarcoma EBV-associato in paziente
HIV+, già affetto da linfoma primitivo
del sistema nervoso centrale (PCNSL):
identità molecolare dei tumori EBV associati
F. Pierconti, M. Martini, A. Cingolani1, L.M. Larocca
Istituto di Anatomia Patologica, 1 Istituto di Clinica delle
Malattie Infettive, Università Cattolica del S. Cuore, Roma
Introduzione. Paziente HIV+, in terapia con HAART, lungosopravvivente dopo trattamento per PCNSL EBV-associato, sviluppa un leiomiosarcoma EBV-relato. Gli agenti etiologici virali identificati nei 2 tumori hanno medesime caratteristiche molecolari.
Metodi. IIC: sezioni fissate in formalina, incluse in paraffina, metodo avidina-biotina perossidasi (Dako LSAB2,
Dakopatts, Glostrup, Denmark), anticorpi monoclonali anti:
CD20, CD79a, CD3, Bcl-6, Cd138/syndecan-1, Vimentina,
Actina muscolo liscia, Desmina, S-100, HMB-45, CD31,
CD34, (Ylem, Roma, Italia), LMP-1 (CS 1-4; Dakopatts).
ISH: su sezioni fissate in formalina, sonda marcata con isotiocianato-fluoresceina complementare ad EBER-RNA (1/2;
Dakopatts).
Genotipo EBV: Estrazione DNA da paraffina con Qiamp
DNA mini Kit (QIAGEN, Chatsworth, CA). PCR per regioni specifiche di EBNA 2 e EBNA 3, per la definizione
del tipo di EBV (tipo 1 o tipo 2). Amplificazione e sequenziamento di una regione del gene EBNA-1, per i sottotipi di
EBNA 1. Il genotipo di LMP-1 si determina mediante tecniche di PCR, con primers specifici per la regione C terminale di LMP-1.
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
Risultati. Il linfoma primitivo cerebrale, viene classificato
come linfoma diffuso a grandi cellule, (REAL; WHO) immunoblastico plasmocitoide (WF), EBER+ e LMP-1+. Il tumore mesenchimale appare desmina e actina muscolo liscia,
EBER+ e LMP-1+. Ambedue le lesioni, mostrano la presenza di un identico tipo 1 di EBV e identico sottotipo 1 di
EBNA, (P-ala).
Conclusioni. Questo primo caso riportato di leiomiosarcoma
EBV-associato in paziente HIV+ con precedente PCNSL
EBV-associato, appare suggerire che:
– Alti livelli di viremia, come quelli presenti in paziente con
PCNSL EBV-associato possono determinare l’infezione di
cellule normalmente non coinvolte, come quelle muscolari
lisce.
– La radioterapia, seguita da terapia HAART, elimina l’infezione di EBV, nelle cellule linfomatose cerebrali, ma non
appare capace di ridurre i livelli di viremia sistemici e
quindi nel caso specifico di bloccare a livello delle cellule
muscolari lisce l’infezione latente di EBV e la conseguente capacità oncogenica di EBV stesso (Roychowdhury S, et
al. Cancer Res 2003;63:965-71; Ling PD, et al. Clinical Infectious Disease 2003;37:1244-9).
Sindrome di Gorlin-Goltz: un caso clinico
N. Forte, E. Tomaselli, D. Parente, I. Ardovino1, L. Pastorino2, G. Bianchi Scarrà2
Dipartimento dei Servizi Diagnostici, U.O. di Anatomia Patologica, Ospedale “Fatebenefratelli” di Benevento; 1 Ginecologia ed Ostetricia, Ospedale “Fatebenefratelli” di Benevento; 2 Università di Genova, Dipartimento di Oncologia,
Biologia e Genetica
La Sindrome di Gorlin-Goltz o Sindrome del Carcinoma Nevo Basocellulare (NBCCS) è una rara condizione a trasmissione autosomica dominante a penetranza completa, caratterizzata dalla presenza di un’ampia variabilità di segni clinici
che in base alla loro frequenza-percentuale vengono distinti
in criteri maggiori e minori. Sono da considerarsi criteri maggiori: carcinomi basocellulari (70% dei casi); cheratocisti
odontogene mandibolo-mascellari, (75% dei casi); calcificazioni della falce cerebrale (90% dei casi), anomalie costali
bifide, ipoplasiche, sinostosiche), cifoscoliosi. Sono criteri
minori, le malformazioni congenite: palatoschisi e/o
labioschisi, ipertelorismo, anomalie dentarie. Altre anomalie
scheletriche: fronte alta e larga, radice del naso larga, bozze
frontali (“facies rude”, dall’inglese “coarse face”); deformità
scapolare di Sprengel, deformità toraciche, sindattilia.
Anomalie radiologiche: “ponte” della sella turcica, fusione o
allungamento dei corpi vertebrali; fibromi ovarici, medulloblastoma. Nei soggetti di sesso maschile si può avere agenesia o iposviluppo gonadico.
La presenza di almeno due dei criteri maggiori o di uno maggiore e due minori, consentono di fare diagnosi di Sindrome di
Gorlin. Studi genetici dimostrano che la Sindrome riconosce la
presenza di una mutazione sul braccio corto del cromosoma 9
in posizione 22.3; tale gene PTCH, omologo umano del
patched Drosophila (PTC) è un anti-oncogene, codificante per
una proteina transmembrana, la cui inattivazione si traduce in
una alterazione dei meccanismi di controllo della proliferazione e trasformazione cellulare. Pertanto un’alterazione di
questo pathway non può che determinare anomalie strutturali
e di sviluppo. Gli Autori, considerato, la rarità di tale Sindrome, in Italia l’incidenza è pari a 1/256.000, ritengono utile
ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI
la segnalazione di un Caso: giovane donna di anni 23 era sottoposta, nel dicembre 2003 ad intervento chirurgico per voluminose masse ovariche bilaterali. Macroscopicamente di aspetto fibromatoso, esse mostravano aree cistiche e resistenza al
taglio per verosimile presenza di calcificazioni. L’esame microscopico deponeva per fibroma ovarico bilaterale con estese
aree calcifiche. L’anamnesi remota accurata, rivelava intervento chirurgico nel 1995 per una neoformazione cistica del mascellare, istologicamente diagnosticata come cisti dentigena o
follicolare. Nel 2001 nuovo intervento per recidiva locale.
Questa volta la diagnosi microscopica era di cheratocisti. Alla
luce di tale dato la diagnosi, per gli Autori, ultimi arrivati, era
quasi certa, mancava solo uno dei criteri maggiori o uno dei
minori. Una RM cerebrale, eseguita, mostrava calcificazioni
della falce cerebrale. La rarità della Sindrome e probabilmente
la scarsa conoscenza di essa non aveva permesso la diagnosi
anni prima.
Paraganglioma del corpo carotideo:
descrizione di un caso
S. Squillaci, F. Tallarigo1, F. Pontieri1, F. Vittimberga1
Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale di Vallecamonica, Esine; 1 Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “S.
Giovanni di Dio”, Crotone
Introduzione. Il riscontro di una neoformazione dei tessuti
molli del collo pone il problema della diagnostica differenziale tra lesioni di natura neoplastica benigna e maligna. In
corso di indagini per lo studio di una massa espansiva di tale
regione, deve essere sempre considerata la possibilità di un
paraganglioma, entità infrequente e con caratteristiche
cliniche non specifiche. Qui descriviamo un raro caso di
paraganglioma del corpo carotideo.
Donna di 41 anni a causa della comparsa di un nodulo nella regione laterocervicale destra eseguiva ecografia che evidenziava
una massa ovalare ipoecogena di circa 3 cm; la RMN ne confermava la presenza in stretta adiacenza con la biforcazione
carotidea. L’angiografia metteva in luce il carattere ipervascolare della lesione che veniva successivamente asportata.
Metodi. Lo studio immunoistochimico è stato condotto con i
seguenti antisieri: citocheratine AE1/AE3 e Cam 5,2, vimentina, cromogranina, sinaptofisina, actina, Myo-D1, S100. Sezioni sono state disaggregate e sottoposte a colorazione con propidio ioduro per la determinazione citofluorimetrica del contenuto cellulare di DNA.
Risultati. La neoformazione di cm 2,8 x 2,3 x 1,4 appariva
al taglio di colorito rosso-brunastro e consistenza duro-elastica. Istologicamente era delimitata da una capsula da cui si
irradiavano tralci fibrovascolari di spessore variabile che
ramificandosi al suo interno la scomponevano in nidi. Questi
erano costituiti da cellule epiteliomorfe, negative al PAS e
positive al Grimelius, con citoplasma ampio, granulare ed
eosinofilo, nucleo a contorni regolari e piccolo nucleolo. Alcuni elementi presentavano vacuolizzazioni citoplasmiche,
altri inclusioni nucleari, multinucleazioni e atipie. Rare le
figure mitotiche. Le cellule neoplastiche erano negative alle
citocheratine e ai markers miogenici e positive alla vimentina e ai marcatori endocrini. L’S-100 era espressa in elementi
fusati disposti alla periferia degli alveoli. L’analisi citofluorimetrica evidenziava diploidia.
Conclusioni. Nella diagnosi differenziale rientrano tumori
quali il liposarcoma, il sarcoma alveolare delle parti molli,
l’emangiopericitoma, il carcinoma midollare tiroideo e sec-
175
ondarismi di melanomi, di carcinomi renali e di neoplasie
neuroendocrine epiteliali. Approssimativamente 1 su 30.000
tumori della testa e del collo è un paraganglioma. Ciò sottolinea la rarità di queste lesioni che hanno un basso potenziale
di malignità e una prognosi per lo più favorevole.
Osteopontina: marker tumorale per i
carcinomi squamosi del distretto testa collo?
P. Somma, M. Santoro1, S. Staibano, G. Mansueto, C.
Mignogna, D. Testa2, R. Iovine2, G. De Rosa, A. Celetti1
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione di Anatomia Patologica; 1 Dipartimento di Biologia e
Patologia Cellulare e Molecolare; 2 Istituto di Otorinolaringoiatria, Università “Federico II”, Napoli
Introduzione. I carcinomi a cellule squamose della testa e
del collo rappresentano la quinta causa di morte tumorale al
mondo e nonostante i fattori di rischio siano ben conosciuti,
poco è tuttora noto circa i meccanismi molecolari responsabili per questa patologia.
Appare pertanto necessario identificare nuovi marcatori per i
tumori di questo distretto per una diagnosi precoce delle lesioni
precancerose e per il monitoraggio di neoplasie conclamate.
Metodi. Abbiamo analizzato attraverso Immunoblot ed Immunoistochimica i livelli di espressione della glicoproteina Osteopontina in una serie di cinquantotto tumori primitivi e
metastatici del distretto testa collo (carcinoma a cellule
squamose di laringe, ipofaringe e cavo orale) a differente grado
di malignità confrontati ai corrispondenti tessuti normali. Abbiamo, inoltre, studiato in ventinove tessuti displastici l’espressione di osteopontina correlandola con il grado di displasia.
Risultati. Abbiamo potuto osservare up-regolazione di osteopontina in tutti i carcinomi invasivi studiati, paragonati ai
corrispondenti tessuti normali.
Conclusioni. Il trattamento con osteopontina ricombinante esogena incrementa la proliferazione e la motilità cellulare in un
ampio pannello di cellule in linea continua di carcinoma
epiteliale squamoso. Dimostriamo, infine, che l’osteopontina è
in grado di indurre i suoi effetti in vivo ed in vitro grazie all’espressione specifica del recettore CD44v6 nelle cellule neoplastiche. In conclusione, riteniamo che i nostri risultati chiaramente identificano l’osteopontina come un effettivo marker tumorale per i carcinomi squamosi del distretto testa collo; dobbiamo altresì stressare che il maggiore risultato del nostro studio è rappresentato dal fatto che l’osteopontina appare essere un
marker di rilevamento precoce delle displasie epiteliali.
Il carcinoma a cellule squamose del cavo
orale: espressione dei geni coinvolti
nella regolazione dell’apoptosi mediante
SuperArray GEArray Q Series Human
Apoptosis Gene Array
C. Mignogna, L. Lo Muzio1, M. Emanuelli2, G. Mansueto, P. Somma, M. Mascolo, G. De Rosa, S. Staibano
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione di Patologia, Università “Federico II”, Napoli; 1 Istituto di Scienze Odontostomatologiche e 2 Istituto di Biotecnologie Biochimiche, Università Politecnica delle Marche
Introduzione. L’apoptosi è un processo geneticamente determinato che gioca un ruolo di fondamentale importanza
176
nell’omeostasi cellulare, nella morfogenesi e nella eliminazione delle cellule danneggiate o self-reactive che possono
essere potenzialmente dannose per l’ospite. Normalmente i
processi apoptotici, inducendo la morte programmata delle
cellule tumorali, precludono lo sviluppo delle patologie tumorali. A volte, tuttavia, tali processi vengono alterati con
conseguente immortalizzazione delle cellule, rapido aumento della progressione tumorale e formazione di metastasi. A
livello molecolare la trasformazione di cellule normali in cellule neoplastiche è controllata da diversi geni, alcuni dei
quali hanno assunto un’importanza notevole come inibitori
dell’apoptosi. Lo scopo di questo studio è stato quello di
analizzare l’espressione dei principali geni coinvolti nella regolazione del processo apoptotico nel carcinoma orale, mediante una valutazione dell’entità dei rispettivi RNA messaggeri.
Metodi. La popolazione studiata è costituita da 4 pazienti affetti da carcinoma insorto in sedi diverse del cavo orale e con
un grading differente. Da ogni soggetto sono stati prelevati 2
campioni di tessuto: uno dalla mucosa normale ed uno dal
carcinoma. Si è poi proceduto all’estrazione dell’RNA e al
suo esame con il kit della SuperArray GEArray Q Series Human Apoptosis Gene Array. Tale kit è progettato per esaminare l’espressione di 96 geni che codificano per proteine
coinvolte nel processo apoptotico, tra cui componenti della
famiglia bcl-2, come bcl-2, bad, bax, bcl-10, bcl-2 related
protein A1, HRK, componenti della famiglia IAP, come survivina, IAP-1, IAP-2, IAP-6, XIAP, caspasi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9,
TNF superfamily members, TRAIL, Fas ligand. I frammenti
di cDNA sono posizionati in spot separati su una membrana
di nylon di 3,8 x 4,8 cm (tetra-spot format). L’RNA purificato dai campioni è stato assoggettato ad una reazione di retrotrascrizione e marcato con dUTP biotinilato. Successivamente è stata effettuata dapprima l’incubazione con un substrato chemiluminescente e poi la rivelazione del segnale con
tecniche autoradiografiche. La valutazione quantitativa dell’espressione di ciascuno dei geni è stata ottenuta da un’analisi computerizzata condotta con un software specifico.
Risultati. L’accurata analisi dei risultati numerici e grafici ha
rivelato che ci sono alcuni geni che sono maggiormente
espressi nel carcinoma, come la p63 (3/4), ed altri che sono
invece maggiormente espressi nei tessuti sani, quali il
CRADD (4/4), il TNFRSF6 (3/4), il MCL1 (4/4), il RIPK1
(2/4) ed il RIPK2 (4/4). Inoltre, si è riscontrato un aumento
statisticamente significativo nel carcinoma del mRNA di alcuni geni responsabili del blocco dell’apoptosi, quali bcl-2,
bax, Apollon, survivina, TRAIL confermando dati ottenuti
con l’immunoistochimica.
Conclusioni. La valutazione dell’espressione genica differenziale a livello trascrizionale realizzata con tale metodica
sembra essere di rilevante ausilio per l’individuazione di
markers rappresentativi dell’attività oncogenetica nel cavo
orale. Tali dati sembrano confermare nei campioni di carcinoma una più intensa attività trascrizionale a carico dei geni
coinvolti nel blocco dell’apoptosi anche se, dato l’esiguo numero di pazienti esaminati, è necessario effettuare ulteriori
studi su casistiche più ampie.
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
Deregolazione del processo di apoptosi,
TIL e caratteristiche biologiche del melanoma
maligno dell’uvea
M. Mascolo, E. Mezza, G. Mansueto, P. Somma, C.
Mignogna, F. Tranfa, L. Nugnes, G. De Rosa, S. Staibano
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione di Patologia, e Dipartimento di Oftalmologia, Università “Federico II”, Napoli
Introduzione. La possibilità di regressione spontanea e la riportata comparsa tardiva di metastasi supportano l’ipotesi
che processi immunologici abbiano un ruolo significativo
nell’evoluzione clinica del melanoma maligno uveale
(UMM).
Metodi. È stata analizzata la correlazione fra presenza e
fenotipo dei linfociti tumore-infiltranti (TIL), l’espressione
di Fas e del suo ligando Fas-L nella popolazione neoplastica
e nei TIL, ed il comportamento biologico degli UMM. La valutazione è stata effettuata con metodiche immunoistochimiche su sezioni paraffinate di una serie selezionata di
66 UMM. I risultati sono stati comparati con i dati di followup dei pazienti.
Risultati. I TIL hanno mostrato solo in 3 casi una prevalenza di CD 56+ Natural Killer. La maggior parte dei TIL ha invece mostrato una prevalenza dei T linfociti CD 8+, o espressione equivalente di CD 4+ e CD 8+. La subunità CD3 zeta
del T-cell receptor (TCR) complex, coinvolta nella trasduzione del segnale ed attivazione dei T linfociti, è risultata
espressa nella maggior parte dei casi. Tuttavia, in un sottogruppo di casi, l’espressione della ß-chain è risultata ridotta o assente. Dal 30 all’80% dei T-linfociti CD3+ intra- e peritumorali di tutti gli UMM hanno mostrato espressione di
Fas, con livelli più elevati significativamente associati a
riduzione/assenza della TCR ß-chain. Questo sottogruppo è
risultato caratterizzato da un comportamento clinico sfavorevole.
Conclusioni. Dal momento che la perdita di espressione di ßchain è correlata ad una risposta immune inefficiente ed alla
progressione neoplastica, è ipotizzabile, in base ai risultati di
questo studio, che un danno della risposta immune di tipo
citotossico possa essere responsabile del comportamento aggressivo di un sottogruppo di UMM.
Pararectal angiomyofibroblastoma.
Case report
N. Scibetta, G. Sciancalepore, L. Marasà
U.O. di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico-Di CristinaAscoli”, Palermo
Introduction. The AMF is a rare myofibroblastic benign
neoplasm, recently described, arising in pelvi-perineal region, especially in females between menarche and
menopause. The preferential seat is vulva, but in 10% of cases they appear in paravaginal seat. The AMF is a well-limited mesenchymal tumor, without capsula, locally not aggressive, which is not inclined to relapse after surgical exeresis.
This is often smaller than 5 cm, or unusually bigger than 10
cm. Histologically it is characterized by splindle-shaped or
plasmacytoid cells, without atypia and mitosis; prevalently
localized around small blood-vessel, in a flail and oedematous stromale setting. We report a case of AMF, which is
ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI
characterized by above-average size and perineal seat with
pararectal manifestation.
Materials and methods. For some months a 42 years old patient, suffering from Sjögren’s syndrome, has noticed, when she
was erect an asymmetry in perineal region, with pain and difficulty in evacuating. Inferior region of the abdomen’s TAC and
RM showed a splindle-shaped well-limited mass. The above
mentioned mass from left para anal subcutaneous tissue extended as far as pararectal seat. The patient has been subjected
to surgical exeresis of such neoformation with conjoint abdominoperineal manoeuvre. The specimen sent was formalin at
4% fixed and paraplast plus included. Sections of 3 µm thickness have been prepared; stained with HE, Alcian-PAS and
Reticulum. Other sections have been set on slides previously
treated with Poli-l-lysin for the immunohistochemical stains.
The immunohistochemistry has been performed with Avidinbiotin peroxidase technique and APAAP method. The used Antibodies have been Vimentin, Desmin, S100, CD34, Smooth
Muscular Actin, EMA, Progesteron and Estrogen Receptors.
Pathologic distinctive features. Macroscopically the neoformation of maximum diameter 9 cm, appeared well-limited without capsula, softish. Microscopically it showed the alternation of hypocellular and hypercellular areas, with small
power. There were many small ectasic, and with thin walls
blood-vessel in oedematous matrix, where splindle-shaped or
epithelioid cells, especially in perivascular seat were dipped.
They were positive for Vimentin, Desmin, Progesteron and
Estrogen Receptors; negative for EMA, S100, Smooth Muscular Actin, CD34 and Fast Myosin. Perivascular mast cells
and lymphocytes, mature adipocytes’ areas were noticed.
Conclusions. The AMF is a tumor that arises in pelvi-perineal subcutaneous tissue, with dubious hystogenesis. It
shows a variety of ultrastructural distinctive features from fibroblastic to myofibroblastic differentiation. In our case the
tumor was correlated with perineal subcutaneous tissue and it
was equipped with adipose tissue and heterogeneous elements in central and peripheral seat. Such features confirm
the possible angiomyofibroblastoma’s origin by primitive
mesenchymal cells, with potentiality of development towards
various line of differentiation. The AMF is a benign tumor,
differently from aggressive angiomyxoma described by J.
Rosai. The differential diagnosis between first and second
one is essential for the different prognosis and therapy.
Valutazione immunoistochimica
del c-Kit (CD117) negli ameloblastomi orali
L. Ventura, A. Ranieri, M. Sarra, F. Calista1, V. Ceppa2
U.O. di Anatomia Patologica e di 1 Oncologia Medica, Azienda USL, L’Aquila; 2 Novartis Farma
Introduzione. L’ameloblastoma è una neoplasia dei tessuti
odontogeni, caratterizzata da lenta crescita ed invasività locale, con elevata incidenza di recidive e scarsa tendenza alla
metastatizzazione.
La tirosinchinasi recettoriale c-Kit è coinvolta nella proliferazione di numerose cellule normali (staminali emopoietiche,
mastociti ed altre). La sua iperespressione è documentata in
diverse neoplasie, che presentano sue mutazioni attivanti 1.
La densità mastcellulare assume valore prognostico in numerose forme tumorali 2.
Scopo del presente studio è valutare l’espressione immunoistochimica di c-Kit nell’ameloblastoma ed il ruolo dei mastociti nello sviluppo di questa neoplasia.
177
Materiale e metodi. Abbiamo valutato l’espressione di c-Kit
in 19 ameloblastomi primitivi o recidivi, relativi a 15 pazienti (8 maschi e 7 femmine) di età compresa tra 17 e 82 anni.
L’analisi immunoistochimica delle lesioni è stata effettuata
con anticorpo policlonale DAKO, metodo LSAB/perossidasi
ed immunocoloratore LabVision, utilizzando controlli positivi e negativi.
La densità mastcellulare è stata valutata contando il numero
massimo di mastociti/mm2. Espressione di c-Kit e densità
mastcellulare sono stati correlati con i dati clinico-patologici
dei soggetti (età, sesso, sede, tipo macroscopico, istotipo, recidive).
Risultati. Positività citoplasmatica è stata osservata in 2 casi,
ma appariva limitata al 10% delle cellule stellate, con preameloblasti negativi. I restanti casi risultavano negativi.
La presenza di mastociti è stata riscontrata in prossimità dei
vasi stromali e, talora, delle cellule neoplastiche. Le densità
erano comprese tra 0 e 141 mastociti/mm2; il valore medio di
43 è stato utilizzato come cut-off per dividere le lesioni in
due gruppi. Valori elevati di densità mastcellulare erano
prevalenti in sesso femminile, tipo solido/multicistico ed istotipi non follicolari. Non sono state rilevate differenze in
base ad età, sede e recidive.
Conclusioni. L’assenza di espressione significativa nelle cellule neoplastiche suggerisce che c-Kit non riveste alcun ruolo nella genesi degli ameloblastomi orali.
Evidenziando qualsiasi forma evolutiva e funzionale dei
mastociti, l’immunocolorazione con CD117 costituisce un
metodo valido per la loro conta. Gli elevati valori di densità
mastcellulare in sesso femminile, tipo solido/multicistico ed
istotipo non follicolare indicano un possibile ruolo dei mastociti nei rapporti tumore-ospite e nel determinismo della
morfologia tumorale.
Bibliografia
1
Miettinen M, et al. Eur J Cancer 2002;38(Suppl 5):S39-S51.
2
Erkiliç S, et al. J Dermatol 2001;28:312-5.
Granuloma prostatico da corpo estraneo
(pelo). Presentazione di un caso e revisione
della letteratura
L. Ventura, E. Martini1, G. Di Nicola2, T. Ventura
U.O. di Anatomia Patologica e di 1 Urologia, Azienda USL
L’Aquila; 2 U. O. Urologia, Azienda USL Avezzano-Sulmona
Introduzione. Numerosi agenti eziologici possono causare
reazione granulomatosa nella prostata. Tra questi, rari esempi di granuloma da corpo estraneo sono riportati in letteratura 1. Presentiamo un caso di granuloma prostatico da pelo osservato nel corso di uno studio retrospettivo sul carcinoma
prostatico 2, unitamente ai dati della revisione di letteratura.
Caso clinico. Un uomo di 70 anni giungeva all’osservazione
presso l’Ospedale di Avezzano in seguito a riscontro di elevati livelli di PSA sierico totale e veniva sottoposto ad
ecografia, con reperto di area ipoecogena destra del diametro
di 11 mm in ghiandola di 29 x 39 x 20 mm. L’esame istologico di 9 frustoli agobioptici prelevati in entrambi i lobi per
via perineale e transrettale evidenziava adenocarcinoma
Gleason 3 + 3 = 6 presente in tutti i frustoli, con invasione
perineurale. La scintigrafia ossea non mostrava accumuli patologici del tracciante. Il paziente veniva quindi sottoposto a
terapia con antiandrogeni per 5 settimane ed a prostatectomia
radicale, effettuata presso l’Ospedale di L’Aquila 43 giorni
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
178
Autore
Anno
Età
White, et al.
Day, et al.
Curtis, et al.
Ramìrez-Tortosa, et al.
Nostro Caso
1994
1996
1998
1998
2004
79
78
73
69
70
dopo l’esecuzione delle biopsie. L’esame istologico della
prostata evidenziava adenocarcinoma Gleason 3 + 4 = 7 in
entrambi i lobi, 30% del peso ghiandolare, con invasione perineurale, stadio pT2b pN0 pMX secondo TNM (UICC,
1997). Nelle porzioni posteriori del lobo destro erano presenti aree di flogosi granulomatosa a cellule giganti del tipo
da corpo estraneo, inglobanti segmenti di fusto pilifero.
Conclusioni. Quattro esempi di granulomi prostatici da inclusione di peli secondaria a biopsia, TUR o cateterizzazione
prolungata sono stati descritti in letteratura 1. Il caso in esame
rappresenta il terzo riscontro su prostatectomia radicale ed il
quarto osservato dopo biopsia transrettale.
Campione
TUR-P
TUR-P
Prostatectomia
Prostatectomia
Prostatectomia
Precedenti
Cateterizzazione 3 anni
TUR-P 6 mesi prima
Biopsie 16 mesi prima
Biopsie 5 mesi prima
Biopsie 1,5 mesi prima
L’introduzione di peli perineali attraverso l’iniezione con ago
bioptico o le manovre strumentali (TUR, cateterizzazione)
rappresenta il meccanismo patogenetico di questa peculiare
forma di prostatite granulomatosa focale da corpo estraneo. I
granulomi da pelo costituiscono una condizione asintomatica, priva di complicanze, di riscontro istologico occasionale,
sebbene verosimilmente sottostimato.
Bibliografia
1
Humphrey PA. Prostate Pathology. Chicago: ASCP Press 2003;4:8694.
2
Ventura L, et al. Arch Ital Urol Androl 2003;75:208-13.
PATHOLOGICA 2004;96:179-184
COMUNICAZIONI
3. Procedure tecniche, Patologia gastroenterologica,
Dermatopatologia
MODERATORI: R. FIOCCA (GENOVA), P. ANGRISANI (SALERNO)
Pretrattamento automatico di sezioni
per immunoistochimica
F.P. Morigi, C. Toni, A. Bondi
Anatomia, Istologia Patologica, Citodiagnostica e Citogenetica, Azienda USL di Cesena
Il pretrattamento delle sezioni da colorare con immunoistochimica è una fase indispensabile per ottenere preparati
adeguati. Alcune Aziende che producono immunocoloratori
li corredano anche con processatori automatici per alcune
fasi o per l’intero procedimento di preparazione.
L’U.O. di Anatomia Patologica di Cesena ha condotto una
valutazione delle performances relative alla nuova strumentazione automatica A. Menarini per la fase pre-analitica della reazione immunoistochimica: il GenoMx i1000.
Lo strumento in oggetto, provvede alla completa automazione delle seguenti due fasi operative:
– sparaffinatura delle sezioni (Dewaxing);
– recupero antigenico dei tessuti (Antigen Retrieval).
Lo strumento è composto da una camera operativa e da un PC
esterno, è in grado di processare fino a 288 vetrini per routine
in modalità bar-code; un braccio robotico (X-Y-Z) gestisce
fino a 12 rack portavetrini attraverso le varie fasi procedurali.
Le operazioni avvengono in quattro distinti alloggiamenti interni a pressione, temperatura e pH strettamente controllati.
Una volta processati i vetrini vengono posizionati in una
soluzione di stoccaggio. La colorazione immunoistochimica
può essere effettuata immediatamente dopo il pretrattamento.
Sono stati testati circa 300 vetrini rappresentativi di diverse
tipologie di tessuto: nervoso, gastrointestinale, mammario,
muscolare, midollare, linfonodale, cutaneo e ghiandolare. Su
questi tessuti sono stati valutati 50 anticorpi, confrontando in
doppio per ciascuno di essi, i risultati ottenuti col pretrattamento manuale e l’uso del GenoMx i1000.
Nel pretrattamento manuale vengono utilizzati tamponi a differente concentrazione ionica (pH 6.0, pH 7.0, pH 8.0) a seconda dell’anticorpo testato; con lo strumento testato si è impiegata una soluzione unica pH 6.2 per tutti gli anticorpi.
I risultati ottenuti con GenoMx i1000 sono stati comparati
con la metodica standard manuale e valutati in termini di
specifica localizzazione tissutale ed intensità di segnale.
La colorazione immunoistochimica è risultata comparabile
(ed il almeno il 5% migliore) rispetto a quella ottenuta con
pretrattamento standard.
In base a questa esperienza preliminare, si può pertanto affermare che il GenoMx i1000 incrementa positivamente la
performance del Laboratorio perché semplifica e standardizza le fasi di preparazione del tessuto da analizzare e migliora
la produttività.
Lavoro parzialmente supportato da A. Menarini Diagnostics.
Le lesioni elementari del colon alla
cromoendoscopia e magnificazione,
“pit pattern”: correlazioni istopatologiche
e molecolari
L. Baron, M.A. Bianco1, M. Postiglione, A. Cesarano, P.
Beltotti, F. Quarto
S.O.C. di Anatomia ed Istologia Patologica e Citopatologia
P.O. “S. Leonardo” ASL-NA5, Castellammare di Stabbia,
Napoli; 1 S.O.C. di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva P.O. “Maresca” ASL-NA5 Torre del Greco, Napoli
Introduzione. L’identificazione di due possibili meccanismi
patogenetici del carcinoma colo-rettale, legati ad indipendenti pattern morfologici e genetici (“mutatore” e “soppressore”), ha suggerito la necessità di rivedere i classici modelli di progressione ed i relativi pathway molecolari.
Una spinta importante è venuta dall’identificazione di due
modelli di crescita e di maturazione dell’epitelio criptico, differentemente legati alle vie di cancerogenesi. Il modello
“top-down”, legato al fenotipo “mutatore” ed il modello
“bottom-up”, legato al fenotipo “soppressore”. Un ruolo importante può avere l’identificazione precoce di tali fenotipi
grazie all’utilizzo di metodiche endoscopiche quali la “cro-
Tab. I. Classificazione pit pattern sec. S. Kudo e correlazioni con i tipi istologici
Classificazione
pit pattern
I
II
III
IV
V
Istologia
non iperplasica/
non adenomatosa
48
0
0
0
0
Iperplasia
0
34
0
0
0
Iperplasia
con displasia
BG
AG
0
0
5
0
0
0
0
0
1
2
Adenomi
senza
displasia
0
0
15
2
0
Adenomi con
con
displasia
BG
AG
0
0
6
1
0
0
0
2
1
1
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
180
moendoscopia e la magnificazione” (CM) che, con l’utilizzo
dell’ingrandimento e di una colorazione vitale della mucosa,
possono consentire l’identificazione di lesioni precoci, quali
le “cripte aberranti” (ACF). Sono stati identificati 5 modelli
endoscopici “pit pattern” (PP), abbinati ad aspetti istologici
caratteristici, che comprendono il normale, il serrato, l’adenoma e il carcinoma.
Metodi. Su 120 pazienti esaminati in CM con pit pattern
classificati sec. Kudo, si è valutata la corrispondenza al tipo
istologico, il pattern di crescita con Ki67, il comportamento
di hMLH1 e hMSH2 con metodiche immunoistochimiche.
Risultati. Il 40% ha presentato un’istologia “non iperplastica/non adenomatosa” con PP tipo I. Il fenotipo iperplastico
(35%) è associato prevalentemente a PP II (85%) ed ai tipi III,
IV e V in presenza di displasia: fenotipo “serrato” (III: 12%;
IV: 1%; V: 2%). Il fenotipo adenomatoso (25%) è associato ai
P.P. III (80%), IV (16%), V (4%) proporzionalmente al grado
di displasia. La distribuzione del Ki67 è basale e/o estesa nella cripta “iperplastica”, mentre è invertita nella cripta “adenomatosa”, sempre con incremento quantitativo. L’espressione
di hMLH1 è ridotta nell’8% delle sole lesioni serrate (sempre
multiple); mentre l’hMSH2 è sempre espresso.
Conclusioni. L’identificazione endoscopica precoce di lesioni potenzialmente evolutive, necessita di un ulteriore supporto diagnostico, immunoistochimico e molecolare, per il riconoscimento ed il monitoraggio di lesioni associate o meno
ad istologia significativa (vedi Tab. I).
Valutazione comparativa tra la citologia su
brushing e l’esame istologico nella diagnosi
di infezione gastrica da Helicobacter Pylori
in corso di dispepsia non ulcerosa
F. Tallarigo, F. Vinciguerra, R. Patarino1, S. Mirone, C.
Frandina2, E. Ciliberto2, P. Cotronei1, M.G. Scalia
Servizio di Anatomia patologica, 1 Divisione di Geriatria, 2
Servizio di Endoscopia digestiva, Ospedale “San Giovanni
di Dio” Crotone
Introduzione. Helicobacter Pylori (HP) è un microrganismo
che si associa a gastrite cronica e ulcera peptica. Esso ha rapporti ben definiti con la mucosa gastrica localizzandosi
prevalentemente sulla superficie delle cellule epiteliali gastriche e negli spazi intercellulari. Numerose sono le tecniche
di cui si dispone per la sua identificazione, tutte estremamente differenti per sensibilità e specificità, sia esse invasive
e non. Scopo di questo lavoro è stato quello di mettere a confronto due metodiche, quella istologica e quella citologica su
brushing.
Materiali e metodi. Sono stati arruolati, 140 pazienti (pz.)
(93 maschi e 47 femmine) di età compresa tra 24 e 86 anni
(media 53,76), affetti da dispepsia non ulcerosa (nud) con associata gastrite cronica. Durante l’esame endoscopico tutti i
pz. sono stati sottoposti a prelievo di mucosa gastrica con
biopsie a livello dell’antro e del corpo-fondo. Parallelamente
veniva eseguito ampio spazzolato della mucosa antrale, che
veniva strisciato su vetrino e immediatamente fissato in
soluzione di metanolo al 95%, dopodiché colorato in giemsa
e letto al microscopio. Le biopsie venivano poste in provette
contenente formalina tamponata al 10%, successivamente incluse in paraffina ed eseguito l’esame istologico.
Risultati. Come si può osservare dalla Tabella I, c’è stata una
significativa differenza tra le due metodiche, in quanto 75
(53,5%) sono stati i casi in cui l’HP era presente sia all’esame
istologico che al citologico, ventotto (20%) sono stati quelli
in cui l’HP è risultato essere contemporaneamente negativo.
I negativi all’esame istologico e positivi al brushing sono stati 32 (23%), mentre i positivi all’esame istologico e negativi
al brushing sono stati 5 (3,5%).
Discussione. La coltura su biopsia rappresenta il gold standard per la ricerca dell’HP ma, sebbene molto specifica, rimane indaginosa, costosa, poco sensibile ed implica lunghi
tempi di attesa per la risposta. Solo il test rapido all’ureasi, la
touch cytology e la citologia su brushing, possono fornire
risultati in tempi molto brevi. Tuttavia, a parte l’ultima,
queste metodiche consentono un campionamento molto limitato di mucosa gastrica. Per quanto riguarda l’esame istologico e la citologia su brushing, dai dati presenti in letteratura, emerge una significativa discordanza, quando le due
metodiche vengono impiegate per valutare l’eradicazione da
HP. La stessa situazione compare quando si valuta la presenza di colonizzazione gastrica da HP nei pz. con nud e gastrite
associata. Anche in questo caso emerge, come dai dati del
nostro lavoro, una significativa discordanza imputabile,
probabilmente, alla bassa densità batterica sulla mucosa gastrica di questi pz. questo è dovuto al fatto che la citologia su
brushing consente il campionamento di un’area più ampia di
superficie mucosa e di raccogliere lo strato di muco nel quale
sono contenuti numerosi batteri.
Conclusioni. Dai risultati di questo studio si evince che la
citologia su brushing si è dimostrata metodica rapida, poco
costosa e con risultati più affidabili rispetto all’istologia.
Questo non giustifica certo che si possa fare a meno della
biopsia, in quanto questa consente, oltre alla ricerca dell’HP,
la valutazione dell’eventuale danno alla mucosa. Pertanto la
citologia su brushing potrebbe essere considerata come la
metodica fondamentale, almeno nella valutazione dell’eradicazione dell’HP subito dopo terapia e nella diagnosi di colonizzazione gastrica di HP nei pz. con nud e gastrite associata. Infatti in queste condizioni la densità batterica sulla mucosa sembra relativamente bassa e l’esame istologico non si
mostra adeguato a escludere la presenza dell’HP.
Tab. I.
N. Casi
Complessivi
N. Casi
N. Casi
N. Casi
Cito +
Isto +
140
Cito Isto 75
Cito +
Isto 28
N. Casi
Cito Isto +
32 5
Carcinoma endocrino ben differenziato
dello stomaco, adenocarcinoma colico
e gist multipli gastrici in paziente
con neurofibromatosi tipo 1
L. Ventura, F. Calista1, M. Sarra, V. Ceppa2
U.O. di Anatomia Patologica e di 1 Oncologia Medica, Azienda USL L’Aquila, 2 Novartis Farma
Introduzione. La neurofibromatosi tipo 1 (malattia di von
Recklinghausen) può associarsi ad una varietà di neoplasie
epiteliali o stromali del tratto gastrointestinale 1. Il caso in
esame riguarda un uomo di 71 anni con neurofibromatosi,
ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI
181
operato per carcinoma endocrino gastrico, con riscontro di
adenocarcinoma colico e GIST multipli sottosierosi dello
stomaco.
Caso clinico. Il paziente, sottoposto a gastroscopia per epigastralgia, presentava neoformazione ulcerata antro-pilorica
diagnosticata come adenocarcinoma poco differenziato all’esame istologico delle biopsie. Contestualmente alla gastrectomia totale veniva effettuata emicolectomia destra in seguito al riscontro di neoformazione vegetante del colon ascendente.
L’esame macroscopico evidenziava neoplasia ulcerata gastrica del diametro di 8 cm, noduli sottosierosi multipli gastrici
del diametro compreso tra 0,2 e 0,4 cm e neoformazione vegetante di 6,5 cm situata 3 cm a valle della valvola ileociecale.
Erano inoltre presenti polipo sessile di 1,5 cm posto 2 cm a
valle della neoplasia vegetante e diverticoli multipli colici.
L’esame istologico consentiva di diagnosticare: carcinoma
endocrino gastrico ben differenziato infiltrante il colon
trasverso, con metastasi a 5/16 linfonodi (AE1AE3 +, cromogranina A +, sinaptofisina +, proteina S-100 -, Ki-67 + nel
40%); GIST multipli sottosierosi gastrici a cellule fusate,
senza mitosi (vimentina +, CD34 +, CD117 +, actina muscolo liscio -, proteina S100 -); adenocarcinoma G2 colico con
metastasi a 3/7 linfonodi; adenoma tubulovilloso colico.
Il paziente è deceduto un mese dopo l’intervento con quadro
clinico di pancitopenia e metastasi polmonari bilaterali. Non
è stato richiesto esame autoptico.
Conclusioni. La neurofibromatosi tipo 1 è una malattia autosomica dominante a penetranza variabile, caratterizzata da
tipiche lesioni cutanee, con un’incidenza di circa 1/3.000 2.
La malattia è causata da alterazioni del gene NF-1, localizzato nel cromosoma 17, che gioca un ruolo importante nel controllo della proliferazione cellulare di numerosi tessuti 1. Nel
25% dei casi la neurofibromatosi tipo 1 può associarsi ad una
varietà di neoplasie gastrointestinali 2, comprendenti tumori
mesenchimali, endocrini o altre neoplasie maligne 1. La presenza di neoplasie sincrone a differente potenziale evolutivo
è responsabile dei seri problemi diagnostico-terapeutici nella
gestione di questi pazienti 1.
ità neoplastica negativa. Exitus 2 mesi dopo l’intervento, per
metastasi epatiche. Duodenocefalopancreasectomia con neoplasia della testa, di cm 10, biancastra, a margini regolari,
mammellonati, infiltrante pancreas e duodeno con metastasi
linfonodali (pT3, pN1). Microscopicamente, la componente
midollare è costituita da cellule organizzate in cordoni o
lamine solide, con confini cellulari poco netti, citoplasma abbondante ed eosinofilo, nuclei grandi e vescicolosi, nucleoli
prominenti, crescita espansiva ed estesa necrosi; si osservano
cordoni microghiandolari con piccoli lumi centrali contenenti materiale amorfo eosinofilo e focale produzione di muco; è
costante un marcato infiltrato di linfociti intraepiteliali (IEL).
Immunofenotipo: hMLH1-, hMSH2+, CK20+ (focale),
SYN-, CROM-, CK7-.
Conclusioni. Si possono trarre le seguenti considerazioni
anatomo-cliniche:
– Il caso presenta inusuali aspetti “misti” di tipo midollare e
microghiandolare con infiltrato IEL, peculiare dei carcinomi midollari colici sporadici con MSI-H.
– L’immunofenotipo è hMLH1-, hMSH2+, che i dati di letteratura associano a fenotipo MSI-H; la neoplasia esprime
marcatori a differenziazione intestinale (CK20+) e non
pancreato-biliare (CK7-).
– Mentre l’istotipo midollare colico correla con prognosi favorevole, l’esigua letteratura sui carcinomi pancreatici con
aspetti midollari ed il caso presente, operato in stadio avanzato, non consentono di evidenziare un simile comportamento biologico.
Bibliografia
1
Behranwala KA, et al. World J Surg Oncol 2004;2:1-4.
2
Usui M, et al. J Gastroenterol 2002;37:947-53.
F.P. D’Armiento, A.M. Anniciello, C. Mignogna, A. Iacono, M. D’Armiento
Adenocarcinoma scarsamente differenziato
del pancreas, con aspetti solido-midollari.
Studio morfologico ed immunoistochimico
di un caso
L. Albarello, G. Arrigoni, C. Doglioni
Anatomia Patologica, Istituto Scientifico “San Raffaele”,
Milano
Introduzione. Recenti studi identificano il carcinoma midollare del pancreas come una nuova e rara variante dell’adenocarcinoma duttale, con morfologia sovrapponibile a quella
del carcinoma midollare del grosso intestino. I casi descritti
in letteratura presentano morfologia scarsamente differenziata con pattern di tipo sinciziale, margini espansivi, necrosi,
immunofenotipo hMLH1-, hMSH2+, SYN-, CROM- e presentano elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H).
Caso clinico. Maschio, 71 anni, dolore e massa in epigastrio.
TC e US preoperatorie documentavano lesione espansiva di
cm 13 della testa pancreatica, senza secondarismi. Familiar-
Bibliografia
Goggins M, et al. Am J Pathol 1998;152:1501-7.
Wilentz RE, et al. Am J Pathol 2000;156:1641-51.
Incremento della proliferazione
e dell’apoptosi nelle cellule epiteliali di colon
di pazienti affetti da colite ulcerativa cronica
in follow-up clinico/patologico
nella progressione di malattia
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche Funzionali, sez.
Anatomia Patologica e Citopatologia, Università “Federico
II” di Napoli
Introduzione. La variabilità clinico/patologica di presentazione della colite ulcerativa cronica (CUC) ha posto problemi diagnostici in relazione alla prognosi. Il nostro studio
ipotizza un ruolo dell’apoptosi e di fattori di regolazione della proliferazione cellulare quali elementi essenziali del mantenimento di un normale equilibrio omeostatico cellulare.
Nella CUC non solo in rapporto alle sue complicanze (displasia/cancro-megacolon) ma anche all’andamento di malattia (colon sinistro vs. pancolite).
Metodi. Lo studio è stato effettuato su 40 pazienti (M = 25;
F = 15 con età media all’esordio di malattia M = 43; F = 38)
con biopsia all’esordio e con controlli successivi (intervallo
mediano di 8 anni: r = 4-6 anni); nessuno dei casi studiati è
complicato con displasia o megacolon. Su tutte le biopsie è
stato effettuato studio immunoistochimico di Ki67 e P53 (anticorpi DAKO) e studio istochimico dell’apoptosi mediante
TUNEL (apopTag Plus Kit Chemicon International USA). La
conta di positività cellulare per Ki67 e P53 (n%) ha considerato 2 aree della ghiandola 1: basale e superficiale e in soli
182
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
tre casi abbiamo osservato positività superficiale. Analoga
conta è stata effettuata per l’apoptosi (n%) dove si assiste ad
una positività superficiale della ghiandola rispetto alla profonda 2. I dati ottenuti sono stati correlati tra loro e alle diverse condizioni cliniche con analisi statistica secondo test di
Mann-Whitney U-test.
Risultati. I valori mediani di Ki67, P53 e TUNEL sono significativamente diversi se valutati all’esordio di malattia
rispetto alla fine del follow-up. Sussiste infatti un incremento dei 3 marcatori adottati (Ki67 9 vs. 14 p = 0,031; P53 10
vs. 16 p = 0,046; apoptosi 12 vs. 24 p = 0,015). Il confronto
multivariato non ha mostrato significatività in rapporto ad età
di esordio della malattia e al sesso. L’aumentano dei marcatori nel tempo in maniera proporzionale si associa a malattia
stazionaria confinata al retto o come colite sinistra; un decremento o stazionarietà di Ki 67 con incremento di indice
apoptotico e P53 si associa ad una estensione della malattia
(colite sinistra vs. pancolite p = 0,048) e tale significatività è
maggiore se l’individuo ha un’età inferiore ai 40 anni.
Conclusioni. I risultati confortano l’ipotesi prospettata che
un equilibrio omeostatico cellulare non più regolato da fattori
della regolazione della proliferazione e dell’apoptosi sono
condizionanti sull’andamento clinico della malattia come
l’estensione e l’intensità dei sintomi prima delle sue complicanze.
age of stained cells was graded for semiquantitative purposes as follows: 0 (no staining); 1 (> 0 to 5%); 2 (> 5 to 25%);
3 (> 25 to 50%); 4 (> 50%). The possible correlations between immunohistochemical data and morphological characteristics of tumours were investigated using non-parametric
methods.
MT immunoexpression was found in 15/34 cases (44.1%), 11
hepatocellular carcinomas and 4 metastases, with a staining
score ranging from 1 to 3; none exhibited a MT score graded
as 4. The intensity of MT staining was variable; it was mainly localized in the cytoplasm, although a combined nuclear/cytoplasmic reactive pattern was sometimes seen in
neoplastic elements, especially in differentiated areas. Frequently immunoreactive neoplastic cells were found in direct
contact with negative ones, mainly in metastatic samples in
which the immunostaining was sporadic and less intense.
Gallbladder samples and angiomyolipoma were always unstained, while peri-neoplastic liver tissue was strongly reactive. No correlations between MT expression and age, sex,
tumour size and clinical stage were appreciable.
Bibliografia
1
Skinozaki M, et al. Proliferative activity is associated with displasia
in ulcerative colitis. Dis Colon Rectum 2000;10.
2
Chigara H, et al. Apoptosis in ulcerative colitis and surgery. J Gastroenterol Hepatol 2002;17:758-64.
Department of Human Pathology, University of Messina, 1
Department of Pathology and Laboratory Medicine, Section
of Anatomic Pathology, University of Parma
Immunohistochemical expression
of metallothionein in primary hepatocellular
carcinoma and liver metastases
D. Villari, G. Giuffrè, A. Simone, G. Tuccari
Department of Human Pathology, University of Messina
Metallothionein (MT) is a low molecular weight protein (6-7
kD) with strong affinity for heavy metal ions, which has been
involved in various processes such as storage of essential
metals, binding of large amounts of potentially toxic metal
ions, scavenging of free radicals. In human neoplastic pathology, the presence of MT has been immunocytochemically
demonstrated in both the nucleus and the cytoplasm of cells
in many carcinomas of different organs, although a definite
clinicopathological significance of MT has not yet been assessed in tumours, in reference to histological stage and
grade, patient survival and local recurrence.
In the present study, we have investigated the expression of
MT in 34 histological specimens of primary human hepatocellular carcinoma and liver metastases, taken from files of
our Department; in addition 5 samples of gallbladder and 1
hepatic angiomyolipoma have been also analysed. The immunoreaction was performed by a monoclonal mouse antiMT reactive against a single and highly conserved epitope
shared by the I and II isoforms (MT-E9, Dako, w.d. 1:100)
applied overnight at 4 °C. To test the specificity of MT staining, negative and positive control procedures were carried
out. Immunostained sections were estimated by light microscopy using a x20 and x40 objective lenses and x10 eyepiece and the relative assessment was performed on a consensus basis using a double-headed microscope. The percent-
AgNOR analysis of gastric carcinoids
G. Giuffrè, F. Mormandi1, V. Barresi, C. Bordi1, G. Tuccari
The AgNOR analysis allows to visualize at the light microscopic level a set of argyrophilic non-histone proteins (AgNOR proteins) localized in the nucleolar organizer regions
which are associated with ribosomal genes. The quantity of
these argyrophilic proteins may be determined by video image analysis and it has been demonstrated to be strictly related to the rapidity of cell proliferation; however, the prognostic value of the quantity of AgNOR proteins as an independent variable in various kinds of tumours is well known.
We report herein the personal experience concerning the applications of standardized AgNOR analysis in 24 human gastric carcinoids (13 type I, 1 type II, 10 type III), 8 of which
exhibited a tumour size > 1 cm; the main clinico-pathological data of studied cases were also available. 4 µm thick sections were submitted to the AgNOR technique according to
guidelines of the Committee on AgNOR Quantification. By
an image analysis system, the mean area (µm2) of AgNORs
per cell (NORA) was evaluated on neoplastic cells at one focal plane with a x40 objective lens in at least 100 nuclei per
specimens; a specific software was utilized to determine
mean NORA values per cell and per case, respectively.
By AgNOR method, all neoplastic specimens showed an adequate silver-staining intensity, homogeneously present
throughout the whole section, which allowed us to correctly
perform the evaluation. Mature lymphocytes, whenever present, exhibited a single round-shaped, centrally localized
AgNOR. The mean NORA value of all cases was 1.279 µm2;
SD ± 0.404); moreover, significantly higher mean NORA
values were encountered in the group of patients with higher
tumour size (> 1 cm). Therefore, since histologic criteria
failed to precisely distinguish the likelihood of aggressive or
metastatic potential in gastric carcinoids, we retain the AgNOR analysis may have a good rank order of prognostic influence in the identification of tumours with uncertain biological behaviour.
ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI
Combined small cell carcinoma
of the stomach. A case report
N. Scibetta, G. Sciancalepore, L. Marasà
U.O. di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico-Di CristinaAscoli”, Palermo
Introduction. The combined neuroendocrine small cell carcinoma “Combined SCC” is a rare malignant tumor characterized by two different neoplastic components, a undifferentiated neuroendocrine one (> 30%), and an adenocarcinomatous one, they are deeply mixed, with appearance of transition between two histotypes, also in the lymph nodal metastasis. Such aspects do not appear in collision tumors, where
two different neoplastic populations are only contiguous. The
“Combined SCC” is a very malignant neoplasm, with severe
prognosis, response to chemotherapy. It has rarely been noticed cases in the stomach (about 30 cases related in literature). More often it arises in about 69 years old males; frequently it is localized in pyloric antrum and corpus ventriculi. We report a case of “Combined SCC” of stomach, which
showed mixed appearance of mucinous adenocarcinoma.
Materials and methods. For about 6 months a 84 years old
patient, suffering from hypertension, macrocytic anaemia,
has noticed epigastralgia and emesis, with a contemporaneous, considerable thinning. EGDS revealed a voluminous
vegetating mass, with diameter of 6 cm, in gastric antrum.
Thoracic Rx appeared negative, whereas abdomen TAC, with
and without MDC, showed probably metastatic multiple
roundhish areas in VI and VIII hepatic segments. The patient
has been subjected to gastroduodenal resection; after histological diagnosis she was introduced to chemotherapy. The
gastroduodenal resected was formalin at 4% fixed and paraplast plus included. Sections of 3 µm thickness have been
prepared, stained with HE, Alcian-PAS, Grimelius, MassonFontana. Other sections of the same thickness have been set
on slides for immunohistochemical stains. The used Antibodies have been CK AE1/AE3, EMA, Chromogranin A, Synaptophysin, NSE, CD57, CEA, B72.3.
Results. Macroscopically the gastroduodenal resected was
characterized by a vegetating, ulcerated neoformation, with
diameter of 6 cm, in antral seat; which revealed fully infiltrating gastric parietis as far as peritoneal serosa. Histologically two deeply mixed neoplastic components have been
showed; the bigger share (about 70%) was constituted by
SCC, the remaining one by mucinous adenocarcinoma. The
adenocarcinomatous component was constituted by cystic
enlarged glands, filled with mucus, partly flowed into the interstitium, covered by an mucosecreting columnar epithelium, which appeared negative for Grimelius stain, and also
for other neuroendocrine tested markers; while it was positive for CEA and B72.3 stains. Here and there, along the coat
epithelium, argentophil, not argentaffin, positive for neuroendocrine markers, negative for CEA and B72.3 cells were
been inserted. The SCC component showed a population of
small, lymphocytoid elements, with poor cytoplasm, hyperchromatic nuclei, without nucleoli, argentophil, not argentaffin. They were arranged in solid fields, nests and cords with
mucosecreting glandular structures and large necrotic areas.
They were positive for neuroendocrine markers and CK
AE1/AE3, negative for CEA and B72.3. Metastasis have
been noticed in 5/11 perivisceral lymph nodes isolated, with
both histotypes in the same lymph node. The remaining gastric tunica mucosa showed chronic atrophic gastritis, with
183
diffuse intestinal metaplasia and hyperplasia of argentophil
endocrine cells.
Conclusions. The hystogenesis of such tumors is dubious. In
our case the histological aspects support the theory of a only
cellular precursor, common to neuroendocrine and adenocarcinomatous share; it agrees with the recovery of p53 punctiform mutation, recently described, in both histotypes of
“Combined SCC”.
Lo spettro clinicopatologico
della parapsoriasi a chiazze/micosi
fungoide iniziale
G. Ferrara, G. Argenziano1, P. Goglia, A. Di Blasi
UOC Anatomia Patologica, A.O. “Gaetano Rummo”, Benevento; 1 Clinica Dermatologica Seconda Università di Napoli
Introduzione. La parapsoriasi a (grandi) chiazze/micosi fungoide iniziale (PC-MFI) costituisce una entità clinicopatologica che tradizionalmente pone grandi difficoltà terminologiche, concettuali e pratiche 1. Un diagnosi basata sulla sola istologia può risultare virtualmente impossibile; il contributo dell’immunoistochimica è in genere marginale.
Metodi. Sono stati studiati 24 casi, selezionati in base a criteri clinici (lesioni eritematodesquamanti fisse da almeno 3
mesi, evolutive, relativamente simmetriche, relativamente reversibili con steroidi). Ciascun caso è stato studiato mediante
documentazione clinica, istologia convenzionale, immunoistochimica (anticorpi anti CD3, CD4, CD5, CD7 e CD8) e biologia molecolare (riarrangiamento del TCR-gamma mediante PCR-heteroduplex 2).
Risultati. Sono state osservate diverse manifestazioni
cliniche atipiche di PC/MFI (intertriginosa, a chiazze infiltrative d’emblée, simil-eczema xerotico, simil-acanthosis nigricans). Le modificazioni istologiche più frequenti sono
state riscontrate a livello del derma superficiale (fibrosi ed
infiltrazione linfocitaria lichenoide o “patchy”); in almeno 14
casi sono state osservate modificazioni più o meno sfumate a
tipo ”dermatite dell’interfaccia” (vacuolizzazione dei cheratinociti basali). L’epidermotropismo è stato osservato incostantemente e per lo più in forma modesta e focale. L’immunofenotipo dell’infiltrato è risultato CD3+ CD4+ CD5+
CD8-, con la eccezione di tre casi a fenotipo CD4- CD8+; solo in due casi è stata osservata delezione di CD7. Tredici casi
hanno evidenziato riarrangiamento clonale del TCR-gamma.
Conclusioni. La PC/MFI è contraddistinta da un grande
polimorfismo di manifestazioni clinicopatologiche. Non esiste un golden standard diagnostico, ma piuttosto una costellazione di caratteristiche cliniche, istologiche, immunofenotipiche e biomolecolari che possono orientare la diagnosi. Occorre sottolineare come modificazioni istologiche
compatibili con PC/MFI si osservino più spesso nel derma
superficiale che non nell’epidermide.
Bibliografia
1
Willemze R, et al. EORTC classification of primary cutaneous
lymphomas: a proposal from the Cutaneous Lymphoma Study Group
of the European Organization for Research and Treatment of Cancer.
Blood 1997;90:554-71.
2
Kohler S, et al. PCR-hereroduplex analysis of T-cell receptor gamma
gene rearrangement in paraffin-embedded skin biopsies. Am J Dermatopathol 2000;22:321-7.
184
RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP
Neoplasie melanocitiche con regressione:
studio clinicopatologico di 158 casi
Ossifying juvenile xanthogranuloma
G. Ferrara, G. Argenziano1, A. Dalena, A. Di Blasi
Dept. of Experimental Medicine University of L’Aquila
UOC Anatomia Patologica, A.O. “Gaetano Rummo”, Benevento; 1 Clinica Dermatologica Seconda Università di Napoli
Introduzione. Per regressione si intende la parziale o totale
scomparsa di una neoplasia in assenza di adeguata terapia.
Il nevo-alone e il melanoma sono gli esempi stereotipici di
lesioni melanocitiche con regressione. Tuttavia, l’introduzione della dermoscopia nella pratica clinica ha evidenziato come la regressione – in forma di strutture biancastre e/o
bluastre (BWS) – sia osservabile anche nel nevo comune non
alonato. È stato osservato come neoplasie melanocitiche con
regressione possano dar luogo a disaccordo diagnostico tra
istopatologi 1.
Metodi. Sono state studiate 158 neoplasie melanocitiche escisse esclusivamente a causa della evidenza dermoscopica di
BWS in assenza di altri criteri dermoscopici melanomaspecifici. I preparati istologici sono stati esaminati indipendentemente da 4 istopatologi. Le immagini dermoscopiche
sono state infine riesaminate alla luce dei dati istologici.
Risultati. Le lesioni in studio sono state asportate da 145
pazienti (75 maschi e 70 femmine) di età compresa tra 12 e
84 anni (età media: 36 anni); la localizzazione di gran lunga
più frequente è risultata il dorso (51,3%). Globalmente,
135/158 lesioni sono state giudicate unanimemente benigne,
mentre solo una è stata diagnosticata come melanoma da tutti gli osservatori. Le lesioni istologicamente dubbie erano
contraddistinte alla demoscopia da regressione interessante
più del 50% della superficie lesionale ovvero da regressione
con commistione di aree biancastre con aree bluastre.
Conclusioni. La regressione è un fenomeno relativamente
comune nelle lesioni melanocitiche del dorso e probabilmente imputabile a fotoesposizione acuta intermittente. In
assenza di altri criteri clinico-dermoscopici di melanoma,
queste lesioni sono per lo più benigne. Tale evenienza deve
essere tenuta in considerazione tanto dal Clinico quanto dal
Patologo onde evitare una overdiagnosi di melanoma. È stato proposto il solo follow-up clinico-dermoscopico per neoplasie melanocitiche con regressione inferiore al 10% della
superficie lesionale ovvero con regressione compresa tra il 10
e il 50% ma senza commistione di aree biancastre con aree
bluastre 2.
Bibliografia
1
Ferrara G, et al. Dermoscopic and histopathologic diagnosis of equivocal melanocytic skin lesions. An interdisciplinary study on 107 cases. Cancer 2002;95:1094-100.
2
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features of regression: A dermoscopic-pathological study. Br J Dermatol 2004;154:64-71.
M. De Vito, G. Coletti, A.R. Vitale, S. Di Rito, P. Leocata
Introduction. Ossifying Xanthogranuloma was first described by Salamanca et al. in 2003 1 on the trunk of a 41 year
old woman. Xanthogranuloma is a benign histiocytic process
of uncertain nature characterized by solitary or multiple redbrown papulo-nodes growing on the head and neck and upper parts of the trunk. We investigated the case of an ossifying juvenile xanthogranuloma arising on the left gluteus of a
14 year old boy with the exceptional feature of exuberant
bone formation. A 14 year old boy visited the department of
surgery of S. Salvatore hospital, complaining of a nodule on
his gluteus of 2-3 months duration. Clinical examination revealed an ulcerated, hard, brown, 0.5 cm nodule, with surface
crust formation. Pruritus was present. The lesion was locally
excised for histologic examination.
Methods. The entire biopsy specimen measured 1 x 0.7 x 0.5
cm; on gross examination the cut surface was greyish. The
biopsy was routinely fixed, processed and stained with hematoxylin-eosin. Other sections were cut for immunohistochemical examination.
Results. Microscopic examination revealed that the tumor
was entirely confined within the dermis. It was characterized
by a diffuse proliferation of eosinophilic mononucleated and
multinucleated histiocytes (Touton like) admixed with rare
foamy histiocytes and sparse inflammatory infiltrate. The
epidermis overlying the lesion was ulcerated. The central part
of the lesion showed bone formation, represented by mineralised osteoids with central lacunae housing osteocytes and
surrounded by osteoblasts. The tumor cells were strongly
positive for vimentin, CD68; CD34 and Actin were negative.
The histologic diagnosis was Ossifying Juvenile Xanthogranuloma.
Conclusions. Xanthogranuloma refers to a group of benign
cutaneous or subcutaneous lesions that affect adolescents and
adults. In about 15% of cases lesions are solitary tumors as in
the present case. Previous works have described special clinical variants including pulmonary and visceral involvment.
Cases with unusual histologic findings such as ulceration, absence of foamy and giant cells, increased mitotic activity
have been described. The present case is the 2nd one reporting bone formation within Xanthogranuloma and the 1st affecting an adolescent.
References
1
Salamanca J, et al. Ossifying adult xanthogranuloma. Arch Pathol
Lab Med 2003;127:409-10.
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