[ CoolClub.it 2 Dai suoi primi passi a oggi il nostro giornale è cresciuto insieme a noi. Dalle quattro pagine fotocopiate delle origini, siamo passati alla registrazione in tribunale, al colore e oggi al traguardo delle 40 pagine. In questi anni la famiglia di Coolclub.it è cresciuta, tra parenti acquisiti e amici oggi siamo tanti, vicini e lontani. Alla soglia dei suoi tre anni il giornale ha imparato a farsi conoscere, tramite una serie di contatti arriva un po’ in tutta Italia e da questo mese, merito di nuove collaborazioni, avrà un respiro più ampio. A partire da questo numero Coolclub.it, diventa, con la modestia del principiante, un giornale pugliese. Questo grazie a una piccola rete che ci permetterà di essere distribuiti anche a Brindisi, Taranto, Bari e Foggia. Grazie quindi a Camillo Fasulo di Ciccio Riccio, ai ragazzi della Provincia dell’Impero e a Carlo Chicco di Contro Radio a Bari e agli amici di Radio Erre di Foggia. Come vedrete anche nei contenuti il giornale ha allargato i suoi orizzonti, confrontarsi con quaranta pagine offre la possibilità di ragionare su un giornale più corposo, (un “vero giornale” si è detto in redazione), di ospitare più firme, più argomenti, più recensioni, più appuntamenti. Abbiamo pensato a un giornale nuovo, che scegliesse, mese dopo mese, un argomento portante intorno a cui far gravitare interventi, interviste, approfondimenti. Questo mese si parla di musica e parole, del rapporto che intercorre tra la letteratura e la canzone d’autore. Prendendo in prestito una frase di Allen Ginsberg abbiamo scelto di intitolare il numero “La poesia nei Jukebox” e di dedicare la copertina ad Amerigo Verardi, pugliese, considerato da critica e colleghi tra i musicisti italiani più influenti degli ultimi vent’anni, l’incarnazione per noi del moderno cantaurore, geloso custode lontano dai riflettori e dalle classifiche, di poesia e musica. La parte centrale, per la quale abbiamo studiato una nuova grafica in bianco e nero è dedicata alle recensioni e non solo. Più musica, letteratura e cinema con uno sguardo più esaustivo su tutte le novità, le nostre segnalazioni, le interviste. Da questo mese inoltre abbiamo pensato a tre nuove pagine: Puglia, Italia, Mondo, il nostro sguardo su ciò che succede, ci piace o ci fa arrabbiare, una rubrica aperta a tutti gli argomenti. Si consolida la nostra amicizia e collaborazione con il portale Blackmailmag a cui dedichiamo una pagina, così come ci apriamo per la prima volta al mondo dei fumetti. Un contenitore che speriamo cresca e piaccia sempre di più. Aperti come sempre e oggi ancora di più alle collaborazioni, ancora gratuiti per scelta e convinzione. Osvaldo CoolClub.it Via De Jacobis 42 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: [email protected] Sito: www.coolclub.it Anno 2 Numero 19 ottobre 2005 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Dario Goffredo, Pierpaolo Lala, C. Michele Pierri, Cesare Liaci, Antonietta Rosato Collaboratori: Giancarlo Susanna, Valentina Cataldo, Sergio Chiari, Davide Castrignanò, Patrizio Longo, Antonio Iovane, Rossano Astremo, Rita Miglietta, Daniele Lala, Fulvio Totaro, Federico Vaglio, Lorenzo Coppola, Nicola Pace, Giacomo Rosato, Nino D’Attis, Luca Greco, Luisa Cotardo, Emanuele Carrafa, Francesco Lefons, Camillo Fasulo, Federico Baglivi, Lorenzo Donvito, Gianpaolo Chiriacò, Livio Polini, Bob Sinisi, Eugenio Levi, Nise No, Gancarlo Bruno, Davide Ruffini, Loris Romano, Dario Quarta Ringraziamo le redazioni di Blackmailmag.com e di QuiSalento In copertina Amerigo Verardi www.mescal.it Le foto di Marco Parente (di fianco e a pag. 21) sono di: Alice Pedroletti Progetto grafico dario Stampa Lupo Editore - Copertino Chiuso in redazione alle 3 del 3 ottobre 2005 (sempre più tardi per la miseria!) Per inserzioni pubblicitarie: Cesare Liaci T 3404649571 [email protected] } LA POESIA NEI JUKE-BOX Note a Margine 3 7 Mauro Pagani 9 Keep Cool 29 Be Coo l 31 Guarda che musica 32 Blackmailmag 16 Roy Paci 23 Coo librì 21 Marco Parente 27 Marco Peroni 22 Elliott Smith 28 Bevivino Editore 33 TimeZones 35 Eugenio Barba 36 Appuntamenti 38 Fumetti } Note a margine: piccolo viaggio nella canzone d’autore Cercare un legame, o meglio parlarne, ragionare sullo scambio continuo ed osmotico tra letteratura e canzone. Questa è l’idea su cui si muovono le prime pagine del nostro nuovo giornale e il trait d’union di una serata in cui le parole di Giancarlo Susanna, voce storica di Rai Stereo Notte e collaboratore di numerose testate, e Davide Sapienza, noto critico rock e romanziere, e la musica di Iain Matthews, Cristina Donà, Amerigo Verardi e Federico Fiumani racconteranno i cantautori. Un percorso che cerca di dipingere alcuni dei momenti fondamentali della musica d’autore attraverso poeti, cantanti, dischi. Un viaggio affascinante che cerca di mettere a nudo le canzoni che comincia su questo giornale e che si concluderà a Galatina il 29 ottobre. Un incontro che abbiamo deciso di chiamare Note a Margine, un gioco di parole per spiegare che dietro una canzone ci sono storie che vale la pena raccontare, che ogni canzone è un’alchimia di testo e musica che racconta una persona, un’ istante o una vita intera. Ed è su alcuni momenti, sulle esperienze, le impressioni, le storie che abbiamo tracciato le linee di una piccola parte della storia della canzone d’autore. Lo abbiamo fatto attraverso alcuni personaggi, dalle origini fino ai nostri giorni con un rush finale fatto di album per noi importanti, ognuno a suo modo. Iain Matthews Una delle voci più limpide del folk rock d’autore Sapevate che nel 1967, anno decisivo per la storia del rock, a Londra c’era una surf band? Niente di più incongruo, no? Eppure i Pyramid ebbero un discreto successo, con il singolo The Summer Of Last Year. A cantare la parte vocale più alta nel trio c’era un ragazzo di 19 anni, Ian M. MacDonald, nato nel Lincolnshire in una tipica famiglia della working class britannica, discreto calciatore e grande appassionato di musica pop (soprattutto americana). Quando il nuovo gruppo preso sotto contratto dal loro stesso manager prende il volo nelle classifiche di mezzo mondo – si tratta dei Procol Harum e il loro primo 45 giri è A Whiter Shade Of Pale - i Pyramid perdono il necessario sostegno e sono costretti a sciogliersi. Un’altra giovane band londinese, la cui formazione si sta modellando su quella dei Jefferson Airplane - una voce maschile e una femminile a dividere le parti - cerca però un cantante e quasi per caso arriva a MacDonald. Per il giovane cantante è una svolta decisiva. Ancora oggi l’acerbo primo album dei Fairport Convention, destinati in breve a diventare pionieri del folk rock, testimonia la vitalità e la creatività della scena musicale d’oltremanica. Con i Fairport MacDonald resta per appena due dischi, ma fa in tempo a dividere il ruolo di lead vocalist prima con Judy Dyble, poi con Sandy Denny, a modificare il proprio cognome in Matthews (per non essere confuso con lo Ian MacDonald dei King Crimson) e a stabilire un profondo legame di amicizia con Sandy Denny e Richard Thompson, leggendario chitarrista del gruppo. Matthews lascia i Fairport perché non è interessato alla rielaborazione in chiave elettrica dei brani dell’antica tradizione inglese. Preferisce scrivere materiale originale o attingere alla produzione dei cantautori americani (da Joni Mitchell a Eric Andersen, da Tim Buckley a Leonard Cohen). Di qui la decisione di mettersi in proprio o di guidare formazioni costruite intorno alla sua splendida voce. Nel 1970 Matthews porta al primo posto delle classifiche in Gran Bretagna la sua bella rilettura di Woodstock di Joni Mitchell e nell’arco di pochi anni realizza alcuni dei suoi album migliori - “If You Saw Thro’ My Eyes” (1971), Tigers Will Survive (1972) e In Search Of Amelia Earhart (1972) con i Plainsong aggiungendo il suo nome alla nutrita schiera dei singer-songwriters britannici (Sandy Denny, John Martyn, Nick Drake, Richard Thompson, Al Stew- Della sua sterminata discografia vi consigliamo dei titoli facilmente reperibili: If You Saw Thro’ My Eyes Forse il suo capolavoro. Registrato con Richard Thompson, Sandy Denny, Keith Tippett, tra gli altri e ristampato su cd nel 2003 dalla MK2 Records. Plainsong In Search Of Amelia Earhart e materiali sparsi dei primi Plainsong in un prestigioso doppio cd della Water (2005) Valley Hi/Some Day You Eat The Bear I primi due dischi americani in un solo cd del 2003 della californiana Water (distribuzione italiana Goodfellas). Zumbach’s Coat L’ultimo album in studio (Blue Rose/Self, 2004) Sparkler Con un bonus cd dal vivo in cui Matthews ripropone tutto If You Saw Thro’ My Eyes (Blue Rose, I.R.D., 2005) art, Ralph McTell tra gli altri). Nel 1973 Matthews è in California per incidere Valley Hi, seguito subito dopo da Some Days You Eat The Bear... (1974). Sarebbe troppo complicato seguire la sua carriera nei dettagli. Ricorderemo appena il successo commerciale di Stealin’ Home (1978); l’avventura con David Surkamp dei Pavlov’s Dog negli Hi-Fi al principio degli anni ‘80; Walking A Changing Line (1988), completamente dedicato al cantautore americano Jules Shear; la sua incessante attività come solista, leader dei Plainsong e titolare di un album con Elliott Murphy, La terre commune (2000). Matthews ha cambiato nel 1990 la grafìa del suo nome di battesimo e ha pubblicato il suo ultimo album, Zumbach’s Coat, nel 2004. Da qualche settimana è uscito Sparkler, un’antologia che propone canzoni registrate nel periodo compreso tra il 1989 e il 2004, trascorso da Matthews in Texas prima del suo definitivo rientro in Europa. Attualmente Iain, diventato di nuovo padre da appena cinque mesi, vive in una cittadina dell’Olanda meridionale. Giancarlo Susanna Federico Fiumani Leader dei Diaframma, gruppo simbolo della scena post-punk italiana, Federico Fiumani è una delle penne più ruvide e poetiche della canzone italiana. Cristina Donà La voce che negli anni 90 ha saputo accostare la scrittura cantautorale al rock. Tra le più interessanti esponenti della nuova scena italiana al femminile. Amerigo Verardi Figura storica dell’underground italiano degli ultimi quindici anni Amerigo Verardi è considerato da critici e colleghi uno dei più grandi artisti italiani. CoolClub.it uNA LUNGA STORIA D’AMORE La musica ha sempre avuto un legame molto stretto con la parola. Le storie più fantastiche, tramandate di padre in figlio per via orale, erano affidate al suono e al ritmo delle parole. Così era più facile mandarle a memoria. Soltanto quando la scrittura ha affiancato e poi sostituito completamente l’oralità, la narrativa e la poesia hanno potuto vivere senza la musica. Proviamo qui a capire come la narrativa e la poesia scritte si siano incrociate con la popular music, quella “musica di larga diffusione che circola attraverso media come il disco, la radio, la televisione” (Franco Fabbri, Il suono in cui viviamo, Arcana). Se è vero quello che taluni sostengono e cioè che negli Stati Uniti la poesia scritta, con le eccezioni della Beat poetry, si è ormai allontanata dalla cantabilità e che la recitazione rituale che Ginsberg e gli altri poeti beat cercavano nel loro lavoro è ormai scomparsa dall’orizzonte della poesia americana, è altrettanto vero che chi scrive canzoni ha spesso nel suo bagaglio di artigiano qualche raccolta di versi del passato e che la Beat poetry non ha del tutto esaurito la sua forza propulsiva. E la narrativa? Provate a confrontare una di quelle “strane” canzoni che scrive Lou Reed con una pagina di Ultima fermata a Brooklyn di Hubert Selby Jr. E le influenze sono reciproche. Quasi tutti gli scrittori americani e inglesi nati nei primi anni del secolo scorso hanno la popular music come un elemento fondante del loro paesaggio culturale. Valgano per tutti gli esempi di Jack Kerouac, di James Baldwin, di Don DeLillo, di Nick Hornby, di Lewis Shiner o di Hanif Kureishi. In Italia un vero e profondo mutamento in questo senso lo hanno segnato Pier Vittorio Tondelli, Enrico Palandri e Andrea De Carlo intorno al principio degli anni ‘80. Nei loro libri non c’erano soltanto dei riferimenti espliciti alla cultura rock, ma anche un ritmo che rimandava alla musica che ascoltavano. Enrico Brizzi, Giuseppe Culicchia, Andrea Demarchi, Marco Mancassola o Andrea Mancinelli non fanno eccezione alla regola che vuole la popular music come un nodo essenziale della narrativa degli ultimi vent’anni. Spinti soprattutto dall’industria culturale, non sono pochi i musicisti che hanno accettato di misurarsi con la scrittura. Uno dei casi più clamorosi è quello di John Lennon, indicato fin dagli esordi dei Beatles come il leader e l’intellettuale del gruppo. Altrettanto emblematico dell’interesse degli editori americani e inglesi per gli eroi della cultura giovanile è il caso di Bob Dylan (nella foto). Se fosse indispensabile individuare un solo artista tra quelli che hanno modificato profondamente la scrittura delle canzoni pop e rock, non si potrebbe fare a meno di indicare proprio lui. È con Dylan che, come scrisse Allen Ginsberg, la poesia ha fatto il suo ingresso nei juke-box. Sulla strada aperta da Lennon e Dylan troviamo dopo appena qualche anno Jim Morrison e Patti Smith. La produzione letteraria di quest’ultima anticipa addirittura l’esordio discografico di Horses, vero e proprio manifesto della poesia rock. E ricordiamo ancora Jim Carroll, Pete Townshend (degli Who), Steve Kilbey (dei Church), Lee Ranaldo e Thurston Moore dei Sonic Youth, Michael Stipe e Grant Lee Phillips (nell’antologia The Haiku Year), Nick Cave e il cantautore nord-irlandese Andy White. Fra i molti musicisti italiani - soprattutto cantautori - che si sono cimentati nella scrittura di prose, racconti e romanzi vorremmo segnalare quelli che ci sono sembrati i più motivati, a partire da Enzo Jannacci (in coppia con Beppe Viola ne L’incompiuter) per arrivare a Fabrizio De André (insieme ad Alessandro Gennari ne Un destino ridicolo). E ancora Ivano Fossati, Claudio Lolli, Sergio Endrigo - Quanto mi dai se mi sparo?, ripubblicato di recente da Stampa Alternativa, è uno dei migliori romanzi scritti da un cantautore italiano - Francesco Guccini, Luciano Ligabue e Roberto Vecchioni. Anche alcuni protagonisti del nuovo rock italiano hanno tentato la via della narrativa: Emidio Clementi (fondatore dei Massimo Volume), Manuel Agnelli, Cristina Donà, Morgan e Stefano Sardo (dei Mambassa). Non è possibile inoltre trascurare il tributo che molti musicisti pop hanno di Giancarlo Susanna reso e rendono alla poesia e alla narrativa. Donovan si è misurato con William Shakespeare, Lewis Carroll, con il repertorio delle nursery rhymes britanniche e con Dylan Thomas; John Cale ha messo in musica due liriche di Dylan Thomas; il folksinger inglese Peter Bellamy ha dedicato uno dei suoi dischi migliori a Rudyard Kipling; i Blue Aeroplanes hanno affrontato con successo liriche di W. H. Auden e Sylvia Plath; il folksinger scozzese Dick Gaughan è da sempre innamorato del poeta Robert Burns; Lou Reed ha sempre citato tra i suoi ispiratori Delmore Schwartz (suo insegnante all’università), ha intervistato Hubert Selby Jr. e ha reso un omaggio a Edgar Allan Poe con l’album The Raven. Tra i “dischi tributo”, va citato il doppio cd Closed On Account Of Rabies - Poems And Tales Of Edgar Allan Poe, ideato e prodotto nel 1997 da Hal Willner. Tra quelli italiani segnaliamo almeno l’album centrato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters di Fabrizio De André (di recente ripreso da Morgan). Un caso del tutto atipico è quello di Leonard Cohen, che essendo un poeta e un romanziere prima che un cantautore è riuscito a eccellere in ogni cosa che ha realizzato nella sua lunga carriera. I suoi due romanzi sono stati finalmente ripubblicati in Italia ed è da tempo disponibile sugli scaffali delle nostre librerie la raccolta di versi L’energia degli schiavi (con le traduzioni di un altro scrittore, Giancarlo De Cataldo). E se abbiamo in qualche modo privilegiato nella nostra sintetica analisi l’Italia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti - Allen Ginsberg ha collaborato con Bob Dylan e con i Clash; William Burroughs con Kurt Cobain - un richiamo alla Francia e ad artisti come George Brassens, Léo Ferré, Jacques Brel (che era belga, ma scriveva in francese) o Serge Gainsbourg non appaia marginale. Una delle canzoni più belle della popular music, quella in cui l’equilibrio fra musica e versi raggiunge un livello pressoché inimitabile, è pur sempre Les feuilles mortes, firmata dal poeta Jacques Prévert e dal compositore Joseph Kosma. CoolClub.it La rivoluzione etica e linguistica di Genova e Milano Riuscire a dare alla moderna canzone d’autore italiana una precisa locazione storica e geografica non è cosa semplice. Come ogni evento significativo di un grosso cambiamento è solo la fine di un lungo processo di gestazione culturale e sociale la cui origine non può essere circoscritta al solo territorio italiano. Di sicuro c’è che il vento di novità alzatosi d’oltreoceano dal 1954 (anno di nascita del rock’n’roll) e le correnti artistiche francesi hanno cominciato a soffiare forte e a farsi sentire anche là dove si è geneticamente più restii a promuovere ed innescare dinamiche di cambiamento. In Italia, invece, l’anno cruciale è il 1958, con la storica esibizione al Festival di Sanremo di Domenico Modugno, che rompe la tradizione melodrammatica della canzone italiana ed è il primo a presentarsi al Festival come autore ed interprete del brano. Ma se il fenomeno Modugno è ancora un caso troppo isolato per poter parlare di cambiamento, è solo pochi anni dopo, già a partire dal 1960 (anno in cui viene coniato per la prima volta il termine cantautore), che viene fuori, grazie all’iniziativa di Nanni Ricordi, quella che sarà conosciuta come la “scuola di Genova”. Nanni Ricordi, classe 1934, era un discografico che faceva parte di una piccola equipe di persone staccate per formazione e per cultura dalla musica leggera (si occupavano soprattutto di lirica e musica classica) e che si trovarono nelle condizioni di rifondare, partendo completamente da zero, una nuova casa discografica, la “Dischi Ricordi”. Effettivamente dietro i successi che fanno parte della cosiddetta “scuola di Genova” ci sono la tenacia e l’intraprendenza di Nanni Ricordi, che diede la possibilità a gente come Gino Paoli, Luigi Tenco, Sergio Endrigo (nella foto), Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Piero Ciampi, Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci (questi ultimi appartenenti alla, contemporanea a quella di Genova, “scuola di Milano”) di essere pubblicati tutti per la prima volta nei primi anni ’60. Volendo accennare a qualcuno di questi artisti, sicuramente non si può non citare, anche per rendere un doveroso omaggio, Sergio Endrigo, scomparso poche settimane fa. Endrigo, amava dire di non essere un cantante, ma un uomo che canta e, proprio coerentemente a questa sua impostazione, non ha mai ceduto a divismi o eccentriche manifestazioni di se stesso, neanche nei momenti di maggior successo (negli anni 60 arrivò a vendere 650.000 copie del 45 giri Io che amo solo te e vinse con Canzone il Festival di Sanremo), ma ha sempre mantenuto quella sobrietà e quella onestà intellettuale che lo ha visto progressivamente allontanarsi da un certo tipo di scena per collaborare con gente come Pasolini e Rodari (i quali intervenivano abitualmente nella stesura dei suoi testi). Nella seconda parte della sua carriera ha lavorato con cantautori brasiliani del calibro di Vinicius de Moraes, Toquinho e Chico Buarque de Hollanda. Gli esordi di Endrigo, comunemente a tutti gli artisti della cordata genovese, è impregnato di realismo, basato per lo più su quella “saudade” tutta italiana che spinge non solo a cantare di amori difficili e tormentanti, in netta antitesi però, con la formula manieristica sanremese di allora, ma ad affrontare anche temi di natura politica e sociale, basati per lo più su una forte insoddisfazione di fondo verso il quieto vivere borghese. Pezzi come La Brava gente, dello stesso Endrigo, Ciao amore, ciao di Tenco, Per un piccolo eroe di Mazzola-Bindi ne sono un esempio. In realtà, però, parlare di una vera e propria “scuola di Genova” o “di Milano” non è corretto, in quanto in senso stretto non sono mai esistite, ma il termine sta ad indicare un gruppo di artisti, come quegli sopra citati, che in parte si richiamavano agli chansoniers francesi, in parte al jazz e al rock e che nulla avevano a che fare con i canoni delle precedenti produzioni musicali del tempo. Raccontava Giorgio Gaber: “Nanni puntava su cavalli ai quali non avrebbe creduto nessuno, non erano il genere di prodotto che di Francesco Lefons si pensava potesse vendere: come Paoli, Tenco, Bindi e io”. Ricordi diede “asilo”, lasciando completamente carta bianca, ad artisti che a modo loro furono la prima svolta “progressiva” della canzone italiana, artisti che, ognuno con il suo stile e la sua concezione musicale, hanno ricongiunto la quotidianità con la musica restituendo una dimensione più popolare alla canzone d’autore. Ci si trova di fronte, insomma, ad una vera e propria rivoluzione etica e linguistica, che ha inevitabilmente creato nuovi spazi artistici, dove ogni autore è riuscito a mettere in musica il proprio mondo, la propria quotidianità, la propria visione delle cose. In un certo senso esiste un filo conduttore che a livello funzionale accomuna Paoli, Tenco, Lauzi, Endrigo, Bindi, Ciampi, Gaber, Jannacci, ma è proprio questa funzionalità, che si traduce in quella rivoluzione linguistica ed etica, che ha restituito degli artisti completamente diversi per stile, temi e formazione artistica e che comincia a costituire l’humus fondamentale della crescente scena musicale italiana. È quindi grazie ai genovesi e ai milanesi che la canzone d’autore comincia a delineare i contorni della raffinatezza, dell’introspezione, dell’invenzione d’autore: i primi ispirati dalla canzone francese, portano in scena tutta la malinconia di amori disperati e un malessere di fondo dovuto ad un distacco metafisico nei confronti della società borghese; mentre i secondi, tra cui compare, oltre ai già citati Jannacci e Gaber anche Dario Fo, basano il loro lavoro artistico sul calembour del cabaret, sul paradosso, sull’ironia del reale condito dalla satira politica. Comincia a fiorire, dunque, una precisa coscienza intellettuale, che ha visto i suoi primi germogli qualche anno prima nel torinese, con l’esperienza dei Cantacronache, e che ha gettato le basi sia del folk revival che della grande stagione della canzone politica. Cool- Il Canto di protesta “Le canzoni non possono cambiare il mondo, ma possono provare a raccontarlo”. Così, con una retorica apparentemente banale, Francesco De Gregori riassume un principio inconfutabile: la musica non fa rivoluzioni. Eppure il verso cantato possiede da sempre un potere innegabile: quello di rischiarare un lato del mondo altrimenti oscuro, di chiarire con una parola il punto di vista dell’altro. E talvolta riesce anche a infondere un sentimento di solidarietà; questa è la vera forza della canzone di protesta. “Avvoltoio vola via / Tra le foglie in mezzo ai rami / Passan sol raggi di sole /…/ Non più i colpi del fucil”(Italo Calvino). Tutto cominciò a Torino, verso la fine degli anni Cinquanta. Sotto il nome di Cantacronache si incontrarono intellettuali celebrati e giovani innovatori, desiderosi di inserire nella forma canzone tematiche vicine al popolo e al sentire comune. L’esperienza fu breve, ma la miccia era stata accesa. Dopo poco, il centro di diffusione diventò Milano, il Nuovo Canzoniere Italiano e la sua fondamentale testimonianza su vinile, I dischi del Sole. Da qui il canto di protesta mosse il primo passo importante: lo spettacolo Bella Ciao, messo in scena al festival di Spoleto del 1964, di fronte all’alta borghesia ingioiellata e sbigottita, definì il genere e lo portò all’attenzione degli uomini di cultura italiani. “Mio caro padrone domani ti sparo / farò di tua pelle sapon di somaro” (Paolo Pietrangeli). Intorno al Nuovo Canzoniere gravitavano i giovani cantastorie italiani. Mancavano però i grandi modelli, e si iniziò allora a guardare oltreoceano, verso Bob Dylan, e poi anche verso i suoi maestri Woody Guthrie e Pete Seeger. Nacque in questo modo un modello di ballata e di canzone il cui fulcro era la realtà operaia e la lotta del proletariato. Numerosissimi gli esempi, dalla celeberrima Contessa a La ballata della Fiat di Alfredo Bandelli, dalla toccante I treni per Reggio Calabria di Giovanna Marini alle canzoni più dure, come Nove maggio, di Ivan Della Mea. “Tre, noi volessimo sapé / se Andreotti s’è deciso da mandarce’n paradiso / ché all’inferno ce stamo già” (Canzoniere del Lazio). Fino a questo punto l’operazione di riscoperta era rimasta di carattere squisitamente intellettuale, ristretta all’interno del circuito del PCI e dei sindacati. Come in tanti altri contesti socioculturali, anche nel mondo della canzone protestataria il sessantotto si pose come divisorio tra il vecchio e il nuovo, tra le esperienze isolate e l’esplosione di un fenomeno. Dalle rivendicazioni studentesche e operaie sorse infatti un interesse generalizzato, diffuso ovunque, verso il repertorio di canti del popolo contadino e montanaro. Benzina sul fuoco fu gettata dagli inglesi: i due ca- di Gianpaolo Chiriacò polavori del folk-rock, Liege & Lief (Fairport Convention,1969) e John Barleycorn Must Die (Traffic, 1970), dimostrarono ai musicisti italiani quanto fosse importante appropriarsi del senso più profondo della canzone popolare, di quell’emozione sempre viva per poi trasferirla in nuove composizioni o modificarla con nuovi arrangiamenti. Fu la svolta definitiva. In pochi mesi nacquero centinaia di gruppi di riproposta, in chiave inevitabilmente politica, della canzone popolare, dai più rispettosi Taberna Mylaensis e Nuova Compagnia di Canto Popolare all’irriverenza degli e’Zezi, all’innovazione degli Stormy six. Ma la parabola più significativa la visse il Canzoniere del Lazio. Nato nei primi anni Settanta, si dedicò subito alla composizione di brani originali, prima nel segno più tradizionale per poi discostarsi verso una originale mistura di jazz-rock e folk. La sua peculiarità: Piero Brega, la voce più affascinante e intensa del canto popolare italiano, interprete sincero e allo stesso tempo artista, caso unico eppure simbolo. Una figura simile, per personalità e per un vissuto interiore travagliato, a quella rappresentata da Sandy Denny per il folk inglese. “Capelli corti generale ci parlò all’Università /…/ ma non fumammo con lui, non era venuto in pace” (De André). Alimentata dall’esistenza del movimento giovanile, alla morte di questo, anche la canzone di protesta subì un forte arresto. Sopravissero soltanto alcune formazioni; il Canzoniere del Lazio non fu tra queste e si frantumò. Ma Piero Brega, prima di uscire completamente di scena, diede vita insieme a colossi quali Mauro Pagani e Demetrio Stratos al progetto Carnascialia, il primo esempio concreto di world-music in Italia e insieme canto del cigno di un certo tipo di ricerca musicale. Quasi trent’anni dopo, nel 2005, Piero Brega è tornato con un disco bellissimo Come li viandanti, pubblicato dal Manifesto. Non sarà un segno dei tempi, ma il suo ritorno testimonia che, nonostante tutto, ha ancora senso raccontare una parte di mondo con una canzone. Gianpaolo Chiriacò Area. Musica e rivoluzione Stampa alternativa Area. Musica e rivoluzione è il titolo dell’agile volumetto firmato da Gianpaolo Chiriacò che racconta la storia del gruppo guidato da Demetrio Stratos collocandola in maniera puntuale e documentata all’interno del difficile periodo che l’Italia visse negli anni ‘70. Nella stagione in cui il personale e il politico cercavano la propria reciproca identità, gli Area seppero offrire un’interpretazione peculiare di quei giorni di passioni e di idee. E lo fecero in musica, lavorando come un collettivo di formidabile impegno artistico, in una sapiente alchimia degli spunti più significativi e trasversali: dalle intuizioni geniali di John Cage alla complessità strutturale del “prog”, e dal jazz fino alle musiche etniche. Il volume è diviso in quattro capitoli due dei quali includono testi, commenti, recensioni, articoli, interviste. La musica, i dischi, le passioni, le idee è una accurata biografia che ricostruisce le origini, la discografia e la conclusione dell’esperienza degli Area. La sezione I linguaggi è una interessante analisi sui vari linguaggi utilizzati dagli Area nella loro miscela musicale che svaria dal carattere mediterraneo di Cometa rossa e Luglio, Agosto, Settembre (nero), all’impronta jazzistica di Diforisma urbano e Consapevolezza, dalle composizioni “in forma estesa” de L’Internazionale, al recitativo frammentato di L’abbattimento dello Zeppelin e La mela di Odessa, dall’operazione concettuale di Lobotomia, alla forma (quasi) canzone di Gioia e rivoluzione e Ici on dance. Il libro è corredato dal cd del concerto al “Parco Lambro”, il più grande festival della controcultura italiana, dove alle esecuzioni degli Area si alternano suoni, proteste e dichiarazioni del proletariato giovanile. CoolClub.it MAI PESSIMISTA COME ORA Non è necessario che abbia un disco in uscita o che partecipi a qualche evento particolare per fare una chiacchierata con Mauro Pagani. Certo non mancano gli argomenti di discussione con un artista che ha fatto parte di uno dei periodi forse più coinvolgenti della musica italiana. E per questo... abbiamo deciso di parlare, diciamo così, di politica. Vieni da una generazione, quella del ’68, in cui c’era più aggregazione sia politica che musicale, come ti raffronti a quello che stiamo vivendo oggi? Guarda, mai sono stato pessimista come ora. Poi, per fortuna sono un imbecille ottimista, sono sempre stato un ottimista da ragazzo, “per me le cose si risolveranno”, “il bicchiere mezzo pieno” e tutta la retorica dell’ottimismo. Certo è che siamo in una situazione nella quale la gente fa fatica ad aggregarsi su ideali precisi perché in realtà lo spettacolo che offre la politica non riesce ad esprimere il contenuto delle cose vere della vita. La gente prende la politica sempre più come un gioco che si fa sui giornali. In realtà la politica dovrebbe essere l’arte mentale più alta. Attraverso la politica noi dovremmo rendere realtà quello che vorremmo come ideale dalla nostra vita. La parola d’ordine nel ’68 era “il personale è politico”, qualunque cosa che fai, che mangi, che compri è politica, quella era un‘esasperazione, ma oggi siamo all’estremo opposto. Siamo abituati a delegare ai partiti, anche la sinistra è prigioniera di questo meccanismo, il ruolo del partito è stato il problema sul quale sono naufragate tutte le rivoluzioni marxiste degli ultimi 100 anni a partire da quella sovietica. Allora è evidente che, se da un lato, perfino nel mondo dell’opposizione c’è questo scollamento tra la gente e la politica, dall’altro lato vediamo poi come al potere oggi ci sia non un partito ma una ditta. I ragazzi sentono molto sulla loro pelle questo: vedo che i movimenti riescono ad aggregare molto perché la loro bandiera da subito è: “non siamo un partito”, “non prendiamo decisioni”, “siamo un contenitore dove crogiolare i nostri sogni, i nostri cambi, i nostri obiettivi” ma si fermano prima della riaggregazione in partito per non ricadere nello stesso problema. Questa è una cosa fantastica però ci rende tutti un po’ impotenti, allora il dubbio è che stiamo guardando questa Italia del secolo scorso naufragare e non abbiamo più la minima idea di come metterci una pezza. Mi sembra che le persone siano molto più individualiste e portate a “tirare l’acqua al proprio mulino”, fenomeno in parte estraneo ad una nazione come l’Italia reduce da una dittatura, poi non così lontana, e da una guerra che ha avuto nel “Ci sono dei confini che non bisogna passare che sono la compromissione della propria creatività” suo finire una “Resistenza” piuttosto forte. Ognuno pensa per sé perché non riesce a trovare qualcuno che riesca ad aggregarlo in una pratica reale, quotidiana sul come cambiare le cose. Una delle soluzioni è quella che si diceva una volta: “la unica e vera rivoluzione è la tua”. Se non riesci a cambiare le cose dall’alto proviamoci dal basso. È inutile lamentarsi, cominciamo a cambiar nel nostro quotidiano. E un musicista, un artista come te in quale modo affronta la situazione? Ci sono dei confini che non bisogna passare che sono la compromissione della propria creatività. Per il resto non si può negare la realtà e, visto che l’unico modo che hai per entrare in contatto con gli altri, è usare la comunicazione, dobbiamo ricordarci che noi non dobbiamo Intervista a Mauro Pagani di Lorenzo Donvito assumere la forma del contenitore. Se andiamo in una radio commerciale dobbiamo proporre quello che siamo. Il problema è se assumi la forma della radio e cambi la tua musica per passare da quel canale lì, quello è il peccato mortale. Che ne pensi della rivisitazione di Morgan del lavoro di De André Non Al Denaro Non All’Amore Né Al Cielo, si è spinto troppo in là? Ma sai, Morgan è uno molto bravo. Le cose che fa mi piacciano e il lavoro in parte l’ha anche registrato in studio dove lavoriamo noi. È un artista bravo, rigoroso e coerente. Io non avrei affrontato l’operazione da questo punto di vista. Io avrei fatto la mia Spoon River personale, avrei preso i testi, li avrei rimusicati, avrei riarrangiato due o tre pezzi, altri li avrei riscritti. Però è strano, è come se la generazione di Morgan attraverso questo progetto cercasse di ricostruire passo per passo una paternità che di fatto non ha avuto. Morgan è cresciuto negli anni ’80 e tutte queste cose le recupera leggendo o riascoltando i vecchi dischi. Facendo questa operazione è come se si costruisse un passato musicale che non ha avuto, da questo punto di vista è un’operazione che mi piace, poi sai… il calligrafismo a volte è un po’ pericoloso. La carriera di Mauro Pagani inizia negli anni ’60 con diverse band rock e blues. Nel 1970 si unisce ai Quelli. Poco dopo nasce la Premiata Forneria Marconi, con cui lavora fino al 1977 con quattro LP, quattro tournees americane e concerti in Italia, in tutta Europa e in Giappone. Nel 1979 realizza il suo primo album solista. Nel 1981 conosce Gabriele Salvatores e realizza le musiche del Sogno di una notte d’ estate per il Teatro dell’Elfo, dell’omonimo film e delle successive pellicole Puerto escondido, Nirvana. Nello stesso anno inizia a collaborare con Fabrizio de Andre’, di cui sarà produttore e arrangiatore per dieci anni. Insieme scrivono Creuza de Ma, Le Nuvole del 1990 e il doppio live dell’anno successivo 1991 Concerti. Sempre nel 1991 conquista il Premio Tenco con il suo secondo lavoro Passa la Bellezza. Alla fine degli anni ’90 e negli anni successivi produce il nuovo CD di Nada Dove sei sei e partecipa in diversi dischi di amici come in 4/4 degli Almamegretta, Zero dei Bluvertigo, Nido di Cristina Donà e Uno’-Due di Daniele Silvestri. Nel 2003 pubblica Domani mentre nel 2004 ripropone a vent’anni dall’uscita Creuza de Ma, una appassionata rilettura del lavoro omonimo scritto con Fabrizio de Andrè. CoolClub.it La mia CanZone d’autore di Pierpaolo Lala Sintetizzare la storia della musica d’autore italiana degli ultimi 30 o 35 anni è compito arduo per non dire impossibile. Dalla nascita della scena dei cantautori, soprattutto a Roma intorno al Folk Studio, ai gruppi prog, dal riflusso dei primi anni ’80 all’uso insistente del dialetto e delle inflessioni regionali, dalla stagione delle band al ritorno di suoni più “acustici” dei primi anni del nuovo millennio: la figura del cantautore si è trasforma e si è adeguata ai tempi. Da cantore della protesta ed egli stesso simbolo del cambiamento (si pensi al famoso “linciaggio” subito da De Gregori a Milano) alla visione molto più “intimista” delle ultime generazioni. Qui ci permettiamo solo di segnalare alcuni lp e cd usciti dal 1970 in poi che hanno segnato la vita, perlomeno di chi vi scrive. 1972 Antonello Venditti - Francesco De Gregori Theorius Campus I due cantautori romani esordiscono in coppia con questo album che contiene fra le altre la celeberrima canzoni di venditti Roma Capoccia. 1973 Edoardo Bennato - Non farti cadere le braccia È l’esordio discografico dell’architetto napoletano che entra subito nelle grazie della critica e del pubblico 1973 Roberto Vecchioni - L’uomo che si gioca il cielo a dadi L’album contiene quello che viene riconosciuto come il capolavoro di Roberto Vecchioni Luci a San Siro. 1973 Fabrizio de Andrè - Storia di un impiegato Impossibile indicare un album per uno dei maestri della canzone d’autore italiana. Storia di un impiegato è un concept album che parte dal maggio ’68 per raccontare la contestazione e l’Italia dei primi anni ’70. è comunque limitante per un artista come De Andrè che ha saputo attraversare con parole, suoni, arrangiamenti, live, collaborazione la storia del nostro paese. 1974 Paolo Conte - Paolo Conte Inseriamo qui l’esordio discografico dell’avvocato. A trentasette anni, ma con una lunga gavetta di autore alle spalle, Conte si presenta con una voce rauca (e a dir il vero stonata) e testi poetici e ironici. 1977 Eugenio Finardi - Diesel Dopo la Musica ribelle contenuta in Sugo Eugenio Finardi torna con Diesel, uno dei migliori esempi di rock italiano. 1976 Francesco Guccini - Via Paolo Fabbri 43 Piccola storia ignobile, Canzone di notte n 2, il manifesto L’avvelenata, Via Paolo Fabbri 43, Canzone quasi D’amore e Il Pensionato sono le sei canzoni che compongono questo album di Guccini scelto più per affetto e per il successo di alcuni dei brani che per un reale merito nella svariata produzione di Guccini. 1977 Lucio Dalla - Come è profondo il mare Disperato erotico stomp è la canzone più famosa di questo album, il primo firmato interamente da Dalla che riesce comunque per molti anni consecutivi a superare il milione di copie vendute. 1978 Rino Gaetano - Nuntereggaepiù Il cantautore calabrese è scomparso a 31 anni ma ci ha lasciato canzoni cariche di ironia e di impegno. 1979 Franco Battiato - L’era del cinghiale bianco Dopo numerosi album da sperimentatore di suoni e atmosfere (in maniera diversa da Fetus a L’Egitto prima delle sabbie) il cantautore siciliano esce con il suo primo lavoro di “musica leggera” prologo della produzione degli anni ’80. 1980 Lucio Battisti - Una giornata uggiosa È l’ultimo album firmato da BattistiMogol. Un premio alla carriera per una coppia che ha cambiato e innovato la scena della musica d’autore influenzando le successive generazioni. 1980 Vasco Rossi - Colpa d’Alfredo L’arrivo di Vasco Rossi nella musica italiana è sconvolgente. Punk nella musica e nelle abitudini, testi incazzati e apparizioni televisive sempre al limite. Un bel pugno nello stomaco. 1980 Pino Daniele - Nero a metà Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 Il chitarrista napoletano firma una serie di album molto ispirati che si muovono tra il blues, la musica d’autore italiana, la rabbia, l’ironia, il dialetto, il linguaggio scurrile. 1982 Francesco De Gregori - Titanic Da grande appassionato del Principe è stata dura scegliere. Inserisco Titanic perché racconta in maniera poetica l’epopea dell’emigrazione (Titanic, I muscoli del capitano, L’abbigliamento di un fuochista) e ospita brani bellissimi. 1985 Sergio Caputo - No smoking Nei primi album Sergio Caputo fonde sapientemente sonorità jazz e cocktail con testi ironici e carichi di storie. 1992 Ivano Fossati - Lindbergh – Lettere da sopra la pioggia L’Ulivo ha scippato questo album della Canzone popolare. Ma il disco è forse il più ispirato di Fossati e contiene brani come La barca di legno di rosa, Sigonella, La Madonna nera, Il disertore, la traduzione di una poesia di Boris Vian, Poca voglia di fare il soldato. 1994 Vinicio Capossela - Camera a sud Da molti considerato il miglior cd dell’istrionico cantautore, ultimo della fase “jazz”, contiene almeno due canzoni bellissime: Camera a sud e Camminante. 1994 Gianmaria Testa - Montgolfières Esce prima in Francia e dopo in Italia il primo disco di questo ferroviere di Cuneo. 1995 Daniele Silvestri - Prima di essere un uomo Le cose in comune, Domani mi sposo, La Y10 bordeaux, Prima di essere un uomo, Cose da dimenticare… quest’album è ricco di belle canzoni. Non so se è il miglior lavoro del cantautore romano ma sicuramente quello che lo ha fatto apprezzare per la prima volta al grande pubblico. 1997 Carmen Consoli - Confusa e felice La cantantessa siciliana è la capofila della nuova musica d’autore al femminile. Confusa e felice è l’album della consacrazione. 2000 Samuele Bersani - L’oroscopo speciale L’emiliano è uno degli autori più interessanti della nuova scena italiana. Nel 2000 dopo la partecipazione a Sanremo con Replay pubblica questo album. Nel 2004 conquista anche il Premio Tenco con Caramella Smog. 2003 Cristina Donà - Dove sei tu? Dopo i primi due album (Tregua e Nido) la bergamasca Cristina Donà firma per Mescal un cd nel quale ha un approccio più solare. 2004 Paolo Benvegnù - Piccoli fragilissimi film Impossibile, secondo me, non inserire il primo lavoro solista dell’ex leader degli Scisma. 2004 Morgan - Canzoni dell’appartamento Il leader dei Bluvertigo esordisce da solista e conquista subito il Premio Tenco. Keep Cool PAUL IS DEAD “Si può tranquillamente affermare che le leggende urbane siano una forma di artigianato pop. Si tratta di racconti il cui intreccio si sviluppa in luoghi quasi banali: l’interno di un collegio, un’autostrada, un supermercato, un appartamento. In questi scenari di normalità interviene un elemento di rottura e la realtà improvvisamente s’incrina. Le leggende urbane ci fanno affacciare sull’orlo di un ‘altro quotidiano’ in cui gli avvenimenti si svolgono in modo bizzarro, orrido o misterioso. Emerge un universo parallelo dove gli autostoppisti svaniscono nel nulla, i cani diventano topi, i dischi dei Beatles lanciano messaggi esoterici, i giapponesi addestrano eserciti bonsai”. (99 leggende urbane, a cura di Maria Teresa Carbone, Mondadori, 1990). Un capitolo di questo libro è naturalmente dedicato alla storia della (presunta) morte di Paul McCartney, un lato oscuro che curiosamente riemerge a distanza di anni. Come se fosse facile trovare un sosia con lo stesso talento e la stessa creatività, ma procediamo con ordine. Verso la fine del 1979 Russ Gibbs, il conduttore di un programma musicale dalla stazione radio FM di Detroit WKNR, riceve la telefonata di un giovane ascoltatore che gli comunica che Paul McCartney è morto in seguito a un grave incidente stradale nel novembre del 1966 ed è stato sostituito da un sosia. Da cosa lo ha dedotto? Dall’ascolto al contrario di Revolution n. 9 sull’Album Bianco dei Beatles. La notizia viene ripresa con un certo clamore dalla stampa e da alcune indagini risulta che in uno scontro avvenuto nello stesso periodo è morto un giovane dai capelli scuri, sfigurato al punto di impedirne il riconoscimento. Nell’inverno del 1966 si era tenuto inoltre un concorso per individuare un sosia di Paul McCartney, vinto da uno scozzese, un certo William Campbell. In cambio dell’effimera gloria di questa vittoria a Campbell era stato offerto di prendere il posto del defunto McCartney in cambio di una cospicua somma. Si era detto che il concorso non aveva avuto alcun esito e di Campbell si erano perse le tracce. Ma l’aspetto ancor più inquietante è quello che riguarda i segnali lanciati dagli altri tre Beatles per abituare piano piano il pubblico alla tragica comunicazione della scomparsa di Paul. Si è detto che la voce di John Lennon pronunci “I buried Paul” (‘Ho sepolto Paul”) verso la fine di Strawberry Fields Forever (pare in realtà che John dicesse “cranberry sauce”). In A Day In The Life John dice “He blew his mind out in a car” (“Si è giocato la testa in una macchina”), ma il riferimento è a Tara Browne, ventunenne erede della famiglia Guinness e amico dei Beatles, morto in un incidente d’auto nel 1966. Sulla quarta di copertina del Sgt. Pepper Paul è l’unico ritratto di spalle, mentre nella foto all’interno ha cucito sulla giacca un badge con su scritto “OPD” (“Officially Pronounced Dead”, “Dichiarato ufficialmente morto”; in realtà “Ontario Police Department”). Nel libretto del doppio EP Magical Mystery Tour c’è una miriade di presunti “indizi”: Paul seduto dietro una targa con su scritto”I was”, Paul senza scarpe (come i cadaveri composti nella bara), Paul con un garofano nero all’occhiello (gli altri ce l’hanno rosso”... Sulla copertina di Abbey Road Paul è l’unico senza scarpe, sulla targa di una Volkswagen c’è scritto “28IF”, ovvero “28 (anni) se”... non fosse morto! Pura follia. Non troppo lontana in fondo da quella che ha armato la mano dell’assassino di John Lennon quella terribile sera di dicembre di venticinque anni fa. Ma se avete ancora qualche dubbio... ascoltate Chaos And Creation In The Backyard. Puro Paul McCartney al mille per cento. Un genio non può avere sosia. G. S. Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge, Italiana, Indie la musica secondo coolcub Paul McCartney Chaos And Creation In The Backyard EMI di Giancarlo Susanna Quando un artista come Paul McCartney - uno di quei pochi che hanno cambiato davvero molte cose - ritorna con un nuovo album, si apre il dibattito su come sistemarlo dal punto di vista critico. Sono discorsi che lasciano un po’ il tempo che trovano. Ognuno ha un disco o una canzone che ama di più, tra i tanti che Paul ha scritto e registrato. E non è detto che siano quelli meglio giudicati dagli esperti. C’erano “confusione e creatività nel cortile” della casa dove abitavano i McCartney. Quanti anni fa? Tanti. Appena prima che i Beatles mettessero il mondo sottosopra. La foto di copertina è di Michael, il fratello di Paul, e risale al 1962. In bianco e nero. Come quasi tutti le immagini dei Beatles prima maniera. Qui scatta il primo messaggio subliminale. è un po’ difficile spiegare a chi non l’abbia vissuto cosa è stato il terremoto provocato da questi quattro ragazzi. è qualcosa che le persone della mia generazione portano inciso a fuoco nel cuore e nella mente. Molto semplicemente e senza tanti giri di parole: Chaos And Creation In The Backyard è il più beatlesiano tra gli album di Paul McCartney. Ed è anche - senza timore di sbilanciarsi, chi se ne importa! - il più bello, ispirato e coinvolgente tra i tanti che questo straordinario personaggio ha pubblicato. Lascio a chi conosce i Beatles il piacere sottile di individuare i segnali e i rimandi alla loro storia musicale che emergono nell’album. Ne segnalo uno soltanto: la chitarra acustica di Jenny Wren, che non può non ricordare BlackBird, così come il duduk che ne riprende la melodia rimanda al corno di For No One su Revolver. I passaggi dell’acustica li spiega lo stesso Paul nel documentario del DVD che è inserito in un’edizione speciale dell’al- bum, ma non pensate che Chaos And Creation sia un mero riandare al passato. Qui ci sono canzoni di Paul per il 2006. Con una malinconia sottile e penetrante. Qualcosa che ha certamente a che vedere con i capelli grigi, con le rughe che gli segnano il volto, con un’invincibile nostalgia per quel cortile, per gli anni turbinosi della beatlemania, per John e George che non ci sono più. Perfino una canzone tipicamente McCartney come English Tea - un quadretto alla When I’m Sixty-Four, per intenderci – è carica di uno spleen che raramente si è sentito nella sua musica. Non c’è una nota di troppo, in questo disco. Non c’è una parte vocale sbagliata. Paul ha suonato quasi tutto e un riconoscimento speciale va a Nigel Godrich, che si conferma come uno dei migliori produttori in circolazione. Aveva ragione George Martin quando ha fatto il suo nome a Paul... questo è quel che accade quando due “menti” si incontrano! KeepCool Frank Black Honeycomb Cooking Vinyl Tutti, o quasi, ricorderemo questo nome associato a una delle più grandi band dell’indie rock di tutti i tempi: i Pixies. In attesa dell’annunciata reunion della band e del nuovo album, Frank Black esce con un nuovo disco solista. Registrato a Nashville Honeycomb è un disco sorprendente nella sua classicità. Affiancato nel tempio della tradizione da mostri sacri del soul, questo disco è scritto e arrangiato come se dovesse prendere posto tra Johnny Cash e Neil Young. Un disco che sembra una riflessione per i sopraggiunti quaranta, neanche una svisata ma ballate figlie di un periodo difficile che ti accarezzano le orecchie, piene del talento di un uomo che o sottovoce o sguaiatamente ha ancora da dire la sua. Elbow Leaders of the Free World V2 Forse in quella data milanese dei Blur ero tra i pochi accorsi per gli Elbow. Una delle aperture più belle che abbia mai visto, un live, quello degli Elbow è un live che cresce nel suo svolgersi fino a maturare ed esplodere come un vulcano. Tanto che alla fine ho salutato con timido entusiasmo i Blur, una delle band che ha segnato la mia giovinezza. Gli Elbow sono il giusto compromesso, la prosecuzione intelligente di un certo pop da cui ci saremmo aspettati altro. Dove gli Starsailor non arriveranno mai, dove i Coldplay si erano incamminati prima di sembrare epigoni degli U2, questa è la strada battuta da questa band. La voce di Guy Garvey è velluto che si posa morbido e traina brani corali e a tratti sinfonici, tra arpeggi di chitarra e piano si dipanano melodie intriganti e intrise di coinvolgimento emotivo, una carica drammatica che le rende vive e vissute. (O. P.) Architecture in Helsinki In case we die Moshi moshi di Federico Baglivi Nonostante il nome, gli Architecture in Helsinki non sono finlandesi. Vengono dall’australiana Melbourne, e si ripresentano con In Case we die, loro secondo lavoro. L’album uscì nel 2004 per l’americana Bar None rec., arriva finalmente in Europa prodotto dalla Moshi moshi. Dopo il sorprendente disco d’esordio Finger Crossed, ci ripropongono questo eccentrico pop-elettronico mututato dai Belle&Sebastian. Reinterpretano l’elettronica variando con rapidi accenni dai Mum ai Lali Puna (Do the 10 Cocorosie Noah’s ark Touch and go di Valentina Cataldo Non mi perdono ancora di essermi persa la loro ultima inaspettata performance italiana di qualche tempo fa sul palco di Enzimi e chi c’era - fortunato - è pronto a giurare di esserne rimasto estasiato. Eteree, cariche di un erotismo naturale al punto di esplodere, musicalmente parlando di un’eleganza e una grazia sorprendente. Cosa abbia spinto le due sorelle Casady a ritrovarsi dopo anni di separazione e decidere di far musica insieme non lo sappiamo, ma visti i risultati la decisione è stata quella giusta. Con il loro primo album (La maison de mon reve), un anno fa, avevano colpito, straziato, inorridito, entusiasmato pubblico e critica indie. Giocattoli d’infanzia alla mano, carillon e pianti di neonato, squilli di telefono e “oggetti e attrezzature normali” avevano prodotto un piccolo incanto lo-fi. La meraviglia suscitata da quell’uscita stava iniziando ad assopirsi quando ecco che le belle fanciulle ritornano con Noah’s ark. Flauto chitarra e voce l’una, percussioni e voce l’altra hanno dato vita a dodici tracce scritte tra i backstages di tutto il mondo o chiuse nella loro stanzetta francese. Loro sono quelle di una anno fa, con una produzione più curata e con collaborazioni che ci lasciano allibiti. Si pensi solo alla voce struggente di Antony su Beatiful Boys. E brave le sorelline live a Bari il 16 novembre. The Coral The Invisible Invasion Deltasonic/Sony di Camillo Fasulo Una scheggia di benefica psichedelia sta viaggiando nella galassia musicale contemporanea. Se n’era avvistata la sagoma circa tre anni fa quando attraversò la nostra atmosfera emanando fragranze di fiori e colori d’altri tempi. Ecco arrivare adesso l’invasione invisibile del corallo dallo spazio profondo. Quarto episodio della saga musicale di James Skelly e soci, séguito dei CD lunghi The Coral (2002), Magic And Medicine (2003) e del mini Nightfreak And The Sons Of Becker (2004), The Invisible Invasion ripropone, in dosi modificate, gli idiomi tanto cari alla band: folk e pop mescolato con acidi rock, tastiere doorsiane e chitarre elettriche. Tutto qui collide sviluppando una stupefacente esplosione psichedelica. Da questo big bang nasce un piccolo gioiello dalle sfumature cangianti e dalle atmosfere mutevoli, un ibrido tra il miglior pop, la psichedelia sixties e qualche fantasma garage. Difficile però archiviare The Coral negli scaffali della nostalgia. Qui c’è della personalità! Non ci troviamo di fronte a del puro e semplice revival ma ad un perfetto equilibrio tra spunti retrò e contaminazioni moderne. Un ottimo esempio di come le passioni del passato possano essere ri-vitalizzate eludendo il problema dell’originalità a tutti i costi. Proprio in questo sta la loro grandezza. Nada Surf The weight is a gift City Slang 2005 di Valentina Cataldo Sono tornati, dopo tre anni da quel Let go considerato da gran parte della critica uno degli album più belli dell’annata 2002. Sono tornati con un disco che - “ispirato da esperienze difficili vissute nell’ultimo periodo”(come rivelato in un’intervista) - si fa portavoce di paure e dolori di un mondo intero. Questa quarta prova dei Nada Surf non sarà probabilmente quella che consacrerà il gruppo come miglior gruppo del momento ma è pur sempre un lavoro ben fatto, con momenti di pop impeccabile. Un songwriting elegante e melodie nostalgiche su cui regna sovrana la splendida voce di Matthew Caws, il tutto a creare undici perfette ballate per chitarra. I toni e il timbro vocale possono apparire un po’ monocorde a qualcuno, ma credo sia proprio nei loro toni così riconoscibili e in quella impronta vocale così distinta la loro peculiarità, ciò che fa del loro pop un pop spontaneo, ingenuo, non banale. Ascoltate Comes a time e mi direte. Batteria, chitarra, e poi la voce. Melanconici, semplici, come piace a me. Of Montreal The Sunlandic Twins Track & Field/Wide di Livio Polini La band indiepop di Athens arriva al suo settimo album (complimenti ragazzi!) e va incontro alla definitiva consacrazione come irrinunciabile icona del nuovo pop psichedelico americano. A meno di un anno di distanza da Satanic Panic In The Attic esce The Sunlandic Twins. In quest’ultimo lavoro gli Of Montreal non si ispirano semplicemente come avevano fatto in precedenza a Beach Boys, Beatles e Kinks, ma il loro sixties-pop viene contaminato da un’ondata synth e i riferimenti wave a cui si va incontro nell’ascolto finiscono per sprecarsi (XTC e Talking Heads solo per fare alcuni nomi). Ci si rende conto che probabilmente il progetto è quello di incrociare l’indie dei Pavement con stravaganti quanto strambe partiture dance. Protagonisti della “seconda ondata” di band affiliate al collettivo Elephant 6 (insieme ad Elf Power ed Essex Green), gli Of Montreal di Kevin Barnes hanno saputo modificarsi ed evolversi musicalmente nel tempo, dapprima con lievi sperimentazioni in una serie di album a tema e infine raggiungendo una eccezionale forma di dance-pop in grado di miscelare in armonioso equilibrio linea melodica, funk e grooves. Come definirli in una parola? Irresistibili. Whirlwind, In Case we die part 1-4). I ben otto polistrumentisti, che passano dai synth agli ottoni, al banjo, alla viola e quant’altro, in 12 tracce trattano allegramente della morte. Cantano un po’ tutti, voci maschili e femminili, e non disdegnano l’uso di qualsiasi oggetto suonante quali battito delle mani, sassi, organetti, fischietti e giocattoli. Passando dal krautrock alle ballate, sanno essere dolcemente teneri come nella migliore tradizione Belle&Sebastian (Need to shout) e dolcemente aggressivi (French, I’m faking). Termina in tenerezza con la breve traccia strumentale Rendezvous Potrero Hill e la splendida twee-atmosphere ricreata in What’s in store. Estroso e creativo, potrebbe essere uno dei migliori dischi indie-pop del 2005. Sexsmith & Kerr Destination Unknown Emergent/92e Il dolcissimo cantautore canadese, non nuovo alle collaborazioni, esce con bellissimo disco alla riscoperta delle radici americane. Insieme a Don Kerr, chitarra acustica e chitarra tenore, la morbida voce di Sexsmith, che fa pensare al suo amico Ed Harcourt (con cui ha anche collaborato in precedenza), e quella una nota più su di Kerr creano intrecci sognanti nello stile di Simon and Garfankel o più rurali alla Stills and Nash. Tutto suonato dai due, il disco ha momenti di folk più classico, piccole uscite dal suono hawaiano, ballate che fanno pensare al Bowie di Hunky Dory. Ideale per festeggiare la fine dell’estate, dopo le canzonette solari, Destination Unknown è un disco introduttivo al tepore casalingo, un album che ti prende per mano e non importa dove alla fine ti porterà. Franz Ferdinand You could have it so much better ...with franz ferdinand. Domino Il primo disco è stato in assoluto il disco indie del 2004, memorabili le loro perfomance live, gli eredi dei Devo e dei Talkin heads tornano con un album attesissimo anticipato da un singolo esplosivo (Do you want to) dall’appeal simile alla mitica My Sharona dei The Knack. La formula magica dei Franz Ferdinand è sempre la stessa e fa lo stesso travolgente effetto. Quell’adrenalinico composit di pop, rock, disco e funky danzereccio e ironico è la carta giocata con classe ben calibrata dalla band di Glasgow. In questi mesi di revival anni 80 i Franz Ferdinand ne rappresentano il lato più giocoso. I chitarroni KeepCool che saltellano tra rock and roll, pulp e art-rock sono la chiave di volta di un suono sorretto da una ritmica spesso e volentieri in levare in un disco complesso, ambizioso ma allo stesso tempo estremamente ballabile. I Franz Ferdinand confermano come sia possibile strutturare uno suono riconoscibile, uno stile originale nel suo essere retrò, in un album pop ma intelligente. Escono con la Domino, senza il battage pubblicitario delle major, non sono fighi, ma sono la cosa migliore che, in ambito pop, vende e riempie i giornali da due anni a questa parte... questo significa onore al merito. Presto saranno in Italia in concerto, una performance da non perdere. Supergrass Road to rouen Parlophone Dopo aver festeggiato i loro dieci anni con un’antologia dei vecchi singoli qualche tempo fa, i Supergrass tornano con un nuovo album. Lontani ormai dalle scorribande power-pop degli esordi si presentano con una formazione arricchita da un tastierista realizzando un disco che, sarà suggestione da copertina, sembra propedeutico al viaggio. L’ispirazione anni 70, da sempre presente nella band, emerge in questo album con toni decisamente più morbidi. Sopraggiunta maturità o passaggio verso una nuova sonorità, questo disco lascia la spensieratezza (eccezione fatta per il divertissement di Coffe on the pot, e la più ritmata Road to rouen) per lasciare spazio a ballad malinconiche e brani alla Stones (Kick in the teeth). Linea 77 Available for propaganda Earache Tra le band italiane a suonare cross over, hard core, nu metal o come volete intenderla voi i Linea 77 sono sicuramente quelli che più sono emersi arrivando al grande pubblico. Sulla scena da più di dieci anni, travolgenti come pochi nei loro live al fulmicotone, i Linea 77 arrivano al loro nuovo lavoro in studio: Available for propaganda. La coerenza nei suoni resta ma con una marcia in più: la produzione. Registrato a Los Angeles sotto la guida di Dave Dominquez (già produttore di Staind e Papa Roach) il disco pesta più pesante che mai. Come nella scorsa pubblicazione spazio anche all’italiano in due brani: Inno all’odio ed Evoluzione (primo singolo estratto). Il risultato è un disco suonato e cantato più incazzato che mai. 11 Black Rebel Motorcycle Club Howl Echo/Self di Camillo Fasulo Smontati dalle motociclette i nostri ribelli salgono a cavallo per attraversare gli States. Il nuovo album è un reale viaggio on the road verso le radici del rock americano, ma a luci basse e ad amplificatori spenti. Howl è il suo titolo… uno sporco album da strada per Black Rebel Motorcycle Club! Dopo due valide prove all’insegna di un r’n’r scuro, grintoso e distorto, i Brmc hanno preso le distanze da quel cliché e imboccata con decisione la via del recupero delle loro radici hanno costruito Howl. Fin dalle prime note ti sorprendi ad esclamare: “ma non possono essere loro!” È il cambio di rotta che dai Brmc non ti saresti mai aspettato. Gospel, blues, ballad e folk prendono il posto dei giovanili sussulti new wave e il risultato è stupefacente! Da un punto di vista musicale il nuovo album si rifà alla tradizione rurale americana, a partire da Bob Dylan e Johnny Cash. Questo per dire come Howl, esplicito omaggio alla beat generation, si presenti davvero come un nuovo inizio per il trio. Lo sconcerto cede tuttavia presto all’ammirazione per come i Brmc abbiano saputo reinventare se stessi. È un salto nel vuoto, per certi versi, perché non è detto che i fans della prima ora siano disposti a seguirli in questa svolta. Ma è innegabile che i Brmc stiano comunque dimostrando maturità e spessore davvero non comuni. David Gray Life In Slow Motion Atlantic/Warner di Scipione “Questa volta ho avuto il lusso di poter spendere tempo e soldi per realizzare qualcosa che solo cinque anni fa avrei potuto solo sognare”. Racconta così il suo settimo lavoro in studio David Gray. Il musicista irlandese presenta un ispiratissimo Life in Slow Motion nel quale abbandona gli arrangiamenti minimali e la registrazione nelle stanze della sua casa per approdare ad un vero studio e ad una orchestra di accompagnamento. Il tutto frutto di una vena creativa che non ha mai abbandonato Gray, sin dai tempi del suo esordio con A century ends (1993) e del fortunatissimo White Ladder (quasi sei milioni di copie vendute nel mondo nel 1998), e soprattutto del sodalizio con il produttore Marius De Vries, già sperimentato da U2, David Bowie, Madonna, Rufus Wainwright (solo per fare alcuni nomi). È venuto fuori un disco dal suono avvolgente, mai scontato, ricco, con un corretto bilanciamento tra la voce e gli arrangiamenti imponenti. Da segnalare i due pezzi di apertura Alibi e il folk del primo singolo The One I Love, Tell Me Something (Hospital Food), una grottesca metafora sul cibo, Lately, Slow Motion, Ain’t No Love e la chiusura in salendo con Now And Always e Disappearing World. Un disco pop da avere. Piers Faccini Leave No trace Ird di Pierpaolo Lala Padre italiano, madre inglese, cresciuto in Gran Bretagna e ora stabilmente a Parigi. Dopo il suo peregrinare geografico e artistico Piers Faccini è approdato questa estate a Genova, nel corso del Goa Boa, per l’unica data italiana. Il suo disco d’esordio Leave No Trace è, per me, una bella sorpresa, una dolce pillola per chi ama il genere delicato alla Nick Drake (per fare un nome – scontato – su tutti). Faccini, del quale poco si sa in Italia, ha alle spalle un buon passato nel mondo del jazz con i Charley Marlowe. Come spiega egli stesso fino a un certo punto della sua vita è stato un pittore che scriveva e cantava canzoni, poi è divenuto un autore ed esecutore di canzoni che dipingeva, adesso svaria indifferentemente nelle due arti. Nel suo dna si sentono Damien Rice, le sonorità West Coats, New Orleans e il jazz, ma anche Dylan, Joni Mitchell, Cohen e molti altri (sono tutti grandi complimenti). In Francia Leave No Trace è uscito per la Bleu, che qualche anno fa lanciò l’italiano ferroviere Gianmaria Testa. Dodici brani inediti e malinconici nei quali spiccano l’esecuzione vocale di Piers e la compostezza degli arrangiamenti (tra blues e chanson d’oltralpe, rock e jazz). Un ottimo esordio. The Boxer Rebellion Exits Mercury di Emanuele Carrafa Exits è l’esordio di questi Boxer Rebellion, gruppo inglesissimo fino al midollo, la cui musica è anche un buon concentrato di storia del rock made in UK (tanto Radiohead, Muse, hard rock stile Led Zeppelin). Ma sarebbe estremamente riduttivo liquidarli come l’ennesima next big thing d’oltremanica, visto che di cose da dire sul loro conto ce ne sono e di simpatiche. Prima di tutto la fonte da cui scaturiscono: la rete. La storia è semplice: Todd, chitarrista australiano trapiantato nel Regno Unito, mette un annuncio su una message board per cercare un autore e potenziale compagno di band. Dopo tre settimane l’unica risposta che riceve è quella di un americano, Nathan. E il gruppo è fatto, grazie all’apporto del batterista Piers e del bassista Adam. È il 2001. Nel 2003 esce il primo EP e va bene. E adesso questo Exits, esordio alla grande sulla lunga distanza, intenso collage di noisescapes; un lavoro cupo, emotivo, capace di stimolare i sensi con suoni che affondano in un mare di distorsioni e rimbalzano contro un muro di feedback (basti l’intro, Flight, che scivola in All you do is talk, primo singolo, a dimostrarlo). Non mancano ballate elettriche (We have this place surrounded) e strazianti (World without end, secondo singolo) per definire questo ottimo debutto. The Raveonettes Pretty in black Columbia/Sony music Ascoltare il disco dei Raveonettes è come mettere su una compilation bubblegum reinterpretata per l’occasione dai Jesus and mary Chain. Pretty in Black (citazione agli Stones) ha infatti in sé lo spirito del rock and roll melodico degli anni 50 e le atmosfere dilatate e psichedeliche di una certa new wave. Messi da parte i suoni più carichi protagonisti dei dischi precedenti il duo danese sceglie la scarna melodia e gli affascinanti intrecci vocali, piccoli accenni elettronici, ritmiche ipnotiche (ospite in un brano è Maureen Tucker dei Velvet Underground). Nell’omaggio all’America che fu anche una splendida cover di My Boyfriends Back, Twilight dei The Angel. È come se qualcuno avesse sciolto strane sostanze nella cherry cola degli Everly Brothers. Turin Brakes Jackinabox Emi 2005 di Emanuele Carrafa Musica da sottofondo quella dei “Freni di Torino” destinata a rimanere tale anche in questo JackInABox: nonostante abbiano tentato di dare un calcio in culo al NAM (New Acustic Movement, etichetta coniata per indicare un fantomatico movimento neoacustico sorto negli ultimi anni e capeggiato dagli scandinavi Kings of Convenience), nonostante abbiano cambiato produttore e si siano affidati alle mani sapienti (?) di Mark Spike Tent e della coppia Threahearn-Hagget, già con Linkin’ Park, Britney Spears e Black Eyed Peas (appunto, parliamone...), nonostante abbiano chiuso nel cassetto gli artisti che maggiormente hanno influenzato la loro produzione precedente, Jeff Buckley, Nick Drake e la psichedelia acustica. JackInABox è un tentativo di liberarsi dal passato, di scollarsi le etichette di dosso, di fare qualcosa di innovativo e tonificante. Ma annegare le melodie in una strumentazione nettamente più densa rispetto a quella a cui ci avevano abituato non è di certo la soluzione giusta. Poi è sempre la solita questione di gusti: per alcuni questa è musica da barbecue, per altri merita di essere scelta come sottofondo che possa accompagnare un romantico tramonto estivo. I Turin Brakes sembrano gongolare nel loro anonimato, scegliendo come singolo uno dei brani più ordinari del disco, Fishing for a dream, il classico brano “a la Turin Brakes” per intenderci. Che dire? Ideal music for yawning afternoons! KeepCool Richard Thompson Front Parlour Ballads Cooking Vinyl Difficile tenere il conto degli album pubblicati dal musicista inglese Richard Thompson. Nella sua quarantennale carriera ha spaziato tra vari generi e progetti tra loro diversi. Front Parlour Ballads è un lavoro “intimo”, registrato in casa, nel quale Thompson si cimenta praticamente in tutti gli strumenti. Tredici brani inediti che emozionano per esecuzione e linearità. Si parte con la rockeggiante Let it blow, che parla di un matrimonio fallito, e si prosegue (vado in ordine sparso) con le romantiche For whose sake? e Cressida, con il folk di Miss Patsy e The Boys of Mutton Street (entrambe con bellissimi suoni di chitarre), la nostalgica Old Thames Side, la breve How Does Your Garden Grow?, il blues “parlato” di My Soul, My Soul, l’ironia di Should I Betray? Intensa anche la chiusura con When We Were Boys At School. Per amanti delle chitarre acustiche. (P.L.) Ellen Allien Thrills Bpitch Control Torna la mia dj preferita (lo sapevate?). Adesso che si è trovata un talentuoso ragazzone italiano per compagno mi rodo e mi precio anche di più. Comincia bello rocky e pzychedeliko il suo nuovo Thrills e non mi dispiace affatto. Capita così che la già tesa Come confluisca in The Brain Is Lost, cantato sexy e perverse basslines. Your Body Is My Body: qualora qualcuno si chiedesse cosa combinerebbero Sylvian/ Eno/Cale intrigati da sua maestà, la bianca signora dell’house. Washin Machine Is Speaking è Berlino qui e ora, e i Sonic Youth non sono poi così rumorosi. Meno “easy” di Berlinette, insomma, e non poteva essere altrimenti. Ellen troneggia fino alla traccia conclusiva, la virulenta Magma che strizza l’occhio al futuro del dancefloor, nientemeno. Sergio Chiari Ellen Allien Your Body Is My Body Bpitch Control ...e Your Body Is My Body, già ammirata in Thrills, diventa singolo di successo, impreziosita dal remix di Troy Pierce (scuola Hawtin e Mills), che scarifica, e da quello del bravo Kiki, che energizza. Ma l’originale.. (S. C.) Fabric 23 Ivan Smagghe Fabric Records Il Fabric spalanca le porte alla metà houseggiante dei Black Strobe. Dimenticate Suck My Deck. Qui i referenti maggiori 12 The Herbaliser Take London Ninja Tune di Bob Sinisi Ritorna sulle scene il combo Ninja per eccellenza, quello degli Herbaliser, capitanato dagli inossidabili Jake Wherry (il bassista) e Ollie Teeba (il deejay). Per il nuovo album, intitolato provocatoriamente Take London, i due inglesi si avvalgono degli sforzi di Kaidi Taitham (conosciuto altresì come Agent K, membro fondatore della famiglia Bugz In The Attic), del sassofonista Chris Bowden nonché della loro fidatissima sezione fiati, composta da Andy Ross & Ralph Lamb. Il nuovo lavoro del supergruppo rappresenta una naturale evoluzione del precedente Something Wicked This Way Comes: la sensazione è che infine Ollie & Jack abbiano trovato il loro suono e siano riusciti ad esprimerlo come mai prima d’ora. Un suono figlio della passione comune dei due artisti d’oltremanica per il jazz, per le colonne sonore sixties-seventies e per le orchestrazioni cinematiche. Aggiunteci una buona dose di sano hip hop e la griffe Herbaliser è perfettamente definita. Gli mc’s coinvolti nel progetto sembrano apparire come dei narratori gangsta provenienti dagli anni 60, le basi confezionate per loro dalla Premiata Ditta segnano e accompagnano lo snocciolare delle rime. In evidenza ovviamente la bravissima statunitense Jean Grae / What What che si esibisce 4 volte nel disco: in Nah’mean Nah’m Sayin’, in Generals (con Trap Clappa, Cheech Marina, Daddy Mills, A.K. e MacGuyver), in If You Close Your Eyes (delicatissima ballad da night club d’altri tempi) e in Twice Around (Roy Ayers era in giro per Londra durante la registrazione del brano?). Il rap inglese è inevitabilmente rappresentato dal talento indiscusso di casa Ninja, Roots Manuva che lascia la sua impronta nella stupenda Lord Lord: suggestivo il contrasto tra il delicatissimo, sognante tappeto musicale e la pesantissima voce dell’uomo di origine giamaicana. Il secondo mc britannico coinvolto è Cappo, arriva da Nottingham e fa sua la track n. 6, Failure’s No Option. Take London è finito qui? Assolutamente no, perbacco! Gli Herbaliser sono specializzati nella confezione di spiagge strumentali da brivido e il nuovo album ne regala una lunga serie… Geddim!!, ad esempio, è una cavalcata blaxploitation electro che ci riporta ai fasti dell’ellepì Very Mercenary, anno di grazia 1999. E ancora, Song For Mary, downtempo notturno e narcotico che va ad infilarsi tra 2 tracce hip hop, quasi a voler rompere il ritmo, con Ollie che si diletta allo scratch su una voce femminile d’altri tempi che urla disperata per farsi spazio. Gadget Funk? Parla il titolo per lui. A proposito di titoli… Cosa vi aspettereste da un pezzo chiamato Sonofanothamutha? 8 minuti di delikatessen digitali, Jake Wherry che suona di tutto, fiati da super orchestra epica, vinili accartocciati dal socio Teeba, coretti black, percussioni esotiche, il trombone di Matt Colman, la Cinematic nella testa, Lamb & Ross in estasi? Perfetto, risposta esatta. LINK: http://www.ninjatune.net/home/ Bjork Music from Drawing Restraint 9 One Little Indian di Lorenzo Coppola Dopo aver commosso anche le pietre nell’interpretare la Selma di Lars Von Trier in Dancer in the dark, Bjork aveva giurato che col cinema aveva chiuso per sempre. Ci voleva un marito sciroccato più o meno quanto lei (Matthew Barney) a farle cambiare idea e dirigerla in una delle sue creature visionarie. Drawing Restraint 9, infatti, vede i due coniugi chiusi in una baleniera giapponese a svolgere riti occulti dalla stramba simbologia, o almeno così dice chi ha avuto la fortuna di vederlo: sia chiaro che noi, poveracci fuori dai circuiti aristofreak questo lungo e stravagante film muto probabilmente non lo vedremo mai. Ed è un peccato, perché le immagini di cui siamo orfani certo ci aiuterebbero a coglierne meglio la colonna sonora curata dalla stessa Bjork, a partire dall’ostica copertina. I maligni se ne sono lavati le mani parlando di opera minore, i feticisti poco obiettivi insistono che lei è un genio sempre e comunque, e chi non l’ha mai amata resta dell’opinione che la sua musica ti faccia due palle tante e basta. E va bene, forse questo non è un disco da ascoltare mentre lavi i piatti, ma di cosa stupirsi? Già a partire da Homogenic Bjork aveva gradualmente rinunciato al ruolo di popstar dell’Mtv generation, e un lavoro arduo e bellissimo come Medulla certo la diceva lunga sulle sue recenti intenzioni. Diciamolo, in quest’album una traccia-mattone c’è (Holographic Entrypoint), ma l’ha scritta Barney e, tradotta in giapponese, è qui interpretata da un cantante-attore del teatro nipponico. Vi farà impazzire se Suonare la voce di Demetrio Stratos è il vostro disco preferito, o se siete iamatologi. In caso contrario nessun medico vi prescriverà di ascoltare interamente i dieci minuti della sua durata: potete tranquillamente passare alla traccia successiva. Quanto al resto, ad aprire le danze è l’arpa della fida Zeena Parkins, mentre il microfono è nelle mani di Bonnie Prince Billie e di un coro un po’ indisciplinato di voci bianche: il risultato è l’incantevole Gratitude. Tre notturni pezzi strumentali cedono il posto all’inquietante Storm, episodio più intenso dell’album: ascoltandola non serve chiudere gli occhi per sentirsi nel mezzo di una tempesta. Lo sho, antico strumento a fiato giapponese costituito da diciassette canne, è infine protagonista assoluto di Antartic Return, pezzo che congeda il nostro orecchio gratificato. Forse non ha tutti i torti chi sostiene che non ci sia una, ma tante Bjork. E a chi preferisce quella più acchiappona, trendy e danzereccia, nessuno vieta di tenersela stretta. sono Kompakt, Get Physical e Output. Ottimi gli italiani: Gianluca Pandullo vs Und per Frau e il Fabrizio Mammarella di Tear Up. I Kills se li poteva risparmiare. Ottimo per un party in apnea. (S. C.) Green velvet Walk In Love Relief Records L’attesa è finita. Mr Curtis Alan Jones è tornato. Il demonio in persona, o poco meno. E torna marziano, come tutte le uscite sulla sua Relief. 12 stanze: un calvario dai mille piaceri. L’ House aggiornata al terzo millennio. Pesco nel mucchio: Temptation, un robotico “blues” bleeppato; Overcome The Flesh come già sul singolo a nome Cajmere; War On The Saints, tragico sguardo voyeur sui piaceri più ravey; Otherside, come i D.a.f. trapiantati a Chicago; la secca Bathroom, replicante La La Land, già su singolo; Cuz Of You, il Frankie Knucles di Waiting On My Angel virato Kraftwerk. È tornato. (S. C.) Mihai Popoviciu Tales From The Moon International Deejay Gigolo Lato a: numeri techy house, ipnotiche correnti “trancey” e svisate synthetiche un po’ retrò per il Mihai Popoviciu di casa Gigolo. Per gli addetti ai lavori, ma Cassettes è da avere. Sexy Spenders è zarra house 2005 e la potete gustare sull’ottavo volume della saga Le Poriana di Dj Hell. (S. C.) Scuola Furano s/t Riotmaker Sono italiani e sono sulla bocca di tutti. Due b-boys che si mettono a fare house fra cut-up disco, memorie old school, bassoni funk e splendide melodie. Semplice? Ma sono una bomba! E nonostante la semplice ricetta questo disco (come quello di un altro italiano quest’anno: Adriano Canzian) suona MODERNO! Sembrano togliere tutto il superfluo e suonare così pregnanti proprio per questo. Ascoltatevi una danza demente come Golden Gate o l’ ormai classica Chocolate Glazed (con quel cantato torbido). Un altro culto. Italiano per giunta. Remix a valanga, please! (S. C.) Postman Ultrachic Swinging (l’elogio della danza morbida) L’uomo alle prese con il suo primo mix album, a quanto mi risulta, ed è una cascata di soul, pre-house e jazzy vibes in un’atmosfera da Loft mancusiano. Mixaggio svelto e fresco, cool come mamma KeepCool lo fece, l’allegro postino ci ha deliziato più volte con le sue serate in postacci che neanche sto a dirvi e questo cd, rigorosamente autoprodotto, è testimonianza fedele di quanto vi si può ascoltare. Adesso sta affinando la sua tecnica e il suo gusto: capita così che il Mylo di Destroy Rock & Roll e il ritrovato Louie Austen via Patrick Pulsinger vadano a braccetto in una colorata sarabanda che ci porta dritti dritti al lounger Richard Cheese. Ultrachic! Potete richiedere il suadente dischetto a questo indirizzo: [email protected] (S. C.) Kraftwerk minimum maximum EMI Tre ragazzi si incontrano una sera. Ragazzo k: “Che bello è uscito un live dei Kraftwerk!” Ragazzo x: “Che schifo è uscito un live dei Kraftwerk!” Ragazzo y: “è così brutto?” Ragazzo x: “No. Ma mi ricorda i Velvet Underground di spalla agli U2, dopo la reunion. Gli applausi, la gente che rumoreggia. Il pubblico techno è idiota. Prima prendono per il culo i Kiss e poi..” Ragazzo k: “La tua motivazione è una pura e mera provocazione. A me piace pensare che è bello che siano tornati e mi piace come suonano i brani vecchi nel disco..” Ragazzo x: “Non ho detto che suona male.. Ho detto che mi infastidisce ascoltarlo.” Ragazzo y: “Per qualche applauso?” Ragazzo x: “No. Ma preferisco i dischi in studio. I Kraftwerk erano l’afflato della techno. La loro musica non era solo registrata su un supporto, era anche quel supporto…blah blah..non hanno neanche messo una registrazione dal loro tour italiano, come se non bastasse The Man Machine, la cover…il nostro contributo.. blah blah” Ragazzo y: “L’aff... che?” Ragazzo k: “Blah blah..Beh può darsi che loro volessero veramente essere niente altro che un gruppo folk con le macchine. Ti pare? La techno viene dopo.” Ragazzo x: “No. Con loro!” Ragazzo y: “Mi avete rotto le palle! Pino, passa sta canna, no?” Ragazzo k e Ragazzo x: “Sì, dai..” (S. C.) Goldfrapp Supernature Mute A qualcuno potrebbe non piacere il terzo album dei Goldfrapp. Dopo i primi episodi tra dream pop, trip hop ed elettro questo nuovo Supernature sembra, sempre seguendo la strada maestra 13 Colder Heat Output/Family Affair di Livio Polini A due anni da Again, album d’esordio di indubbia qualità, Colder (Marc Nguyen Tan all’anagrafe), produttore, dj e grafico di Parigi, con il suo nuovo lavoro Heat ci propone dieci nuove affascinanti perle musicali capaci di avvolgere con un sound elettronico raffinato ed elegante ed atmosfere tanto calde e sensuali quanto intrise di inquietudine notturna. I riferimenti sono chiari, Joy Division in primis, ma anche Suicide e Kraftwerk. In alcune tracce il suono prende ispirazione anche dal trip-hop di Bristol (Massive Attack). Di Marc nell’album oltre alla voce è presente basso, chitarra e laptop. È un artista abile e talentuoso, difficile riuscire oggi a creare un buon album electro-wave, emergere dal calderone, inondati come siamo dai cloni inutili che inquinano la scena, ma soprattutto non è facile reggere un confronto con i maestri del passato. I nostalgici e gli orfani di Ian Curtis troveranno in quest’album pulsanti visioni intrise di decadenza accompagnate da una voce soffusa ed incisiva. Quest’album fa venire addirittura alla mente suoni del kraut-rock alla Neu! (non si può non notarlo in On My Mind). E chi pensa che l’epoca wave sia terminata dovrà ricredersi. Urbs Toujour le meme film... G-Stone Recordings / Family Affair di Bob Sinisi Vienna: il Valzer, l’Opera, il Prater, la Sacher Torte e… la narcosi dub. Gli abitanti della capitale austriaca sembrano essere invidiati per l’atteggiamento piuttosto rilassato con il quale affrontano il logorìo della vita moderna: alcuni di loro, poi, hanno sostituito il famoso amaro al carciofo con altre squisite sostanze erbacee, assunte tramite aspirazione. Andamento lento insomma, ben rappresentato dai pensieri musicali delle star internazionali Peter Kruder & Richard Dorfmeister, a tutti gli effetti punte dell’iceberg del Sound Of Vienna. Profondo e (ovviamente…) fumoso composto, fatto essenzialmente di dub, elementi reggae, massicce dosi di echi e riverberi: un marchio di fabbrica che contraddistingue tutte le manifestazioni sonore di K&D e che ha letteralmente avvolto e incantato chiunque si sia avvicinato ad esso. Magari ascoltando il lisergico episodio della collana DJ Kicks (1996, !K7) firmato dal duo, o il monumentale doppio Sessions TM (1998, ancora !K7), compendio delle rivisitazioni più eccitanti dei nostri. Bomb The Bass, Roni Size, David Holmes, Depeche Mode, Lamb e numerosi altri passano tra le abili mani degli austriaci, che trascorrono maniacalmente giorni interi su singoli frammenti acustici, per giungere a riletture inimitabili e ad un risultato complessivo tranquillamente definibile epocale. Esibizioni, queste ultime, che hanno contribuito ad Aa. Vv. Rare Grooves Brasil # 1 By Nova Nova Records di Bob Sinisi Immaginate domattina di alzarvi e di scoprire che il vostro computer è incappato nella programmazione musicale di Radio Nova: scoprirete che le tre parole di Valeria Rossi sono state sostituite da quelle più numerose di Sem Contençao, cantata dalla dolce Bebel Gilberto. Nel pomeriggio tali Bugz In The Attic hanno preso il posto di Tommy Vee & Gabry Ponte e la sera il Signor Howie B., in preda a chissà quali sostanze erbacee dà spettacolo dal vivo. L’emittente parigina è responsabile inoltre di un magazine cartaceo e di un sito. Spazio a parte meritano le compilazioni licenziate negli ultimi anni dalla Nova Records che hanno funzionato da cassa di risonanza per diversi autori come Zero7, Doctor Rockit/Mister Herbert, Terranova, Kruder & Dorfmeister ed i Troublemakers e Peuple de l’Herbe. 2005: la radio francese espande i propri orizzonti, grazie alla collana Rare Grooves che dopo essersi dedicata al reggae si concentra ora sul suono brasiliano. Più samba che bossa in questo primo volume, segnato da una selezione calda e dal sapore seventies. Scorrono nella raccolta Gilberto Gil, Jorge Ben, João Bosco, Caetano Veloso, ma anche un’insospettabile Dionne Warwick che si esibisce su una ipermuscolosa batucada. Completano il menu alcuni standards soul e jazz rivisitati in chiave latina. Rare Grooves Brasil # 1 è nata grazie alle scelte di Rémy Kolpa Kopoul, (l’uomo di Rio dell’emittente) e di Emilien Aumard (uno dei responsabili musicali di Radio Nova). Allez Les Bleus! aumentare l’attesa nei confronti di un vero album dei viennesi, tuttora parcheggiato nelle loro menti: è l’attesa che alimenta sensibilmente il mito underground che aleggia intorno a Peter, Richard e agli affiliati alla loro label, la G Stone. I due preferiscono, però, concentrarsi su personali progetti paralleli, rispettivamente Peace Orchestra e Tosca, nonché sulla produzione dell’etichetta, fedele specchio della scena dub locale. Accanto alle realizzazioni di Walkner Moestl e Sugar B emergono quelle riconducibili alla micro label Dub Club. K&D anche talent-scout: la scoperta più recente di Peter è rappresentata da Urbs (alter ego di Paul Nawrata), attivo da circa 15 anni come compositore - produttore - dj. Il suo nuovo lavoro, Toujours Le Même Film, è sensibilmente ispirato alle colonne sonore dei film francesi della Golden Age che intercorre tra gli anni ‘60 e ‘70, sapientemente associate al pensiero elettronico. Come dire Francis Lai meets narcosi dub meets Ennio Morricone meets downtempo. Kruder ovviamente coproduce il disco, e si sente: a tratti sembra di percepire la “sua” Peace Orchestra proiettata indietro nel tempo, di quasi mezzo secolo. Ascoltare per credere la traccia n. 6, The Incident. Da segnalare inoltre la suggestiva rilettura strumentale della duraniana strappalacrime The Chaffeur. del pop, virare verso la disco con un appeal più commerciale. C’è lei, Alison, la sua algida sensualità, c’è il glam del singolo Oh, la, la, tappeti di sinth, la distanza sussurrata in uno scandire meccanico di tracce più sfrontatamente ammiccanti rispetto al passato. Sono lontani i tempi degli esordi quando Alison collaborava con Triky in quella magica Bristol dei metà anni 90 e si sente. Ma c’è un percorso coerente nei Goldfrapp che parte dal basso e dall’underground per assurgere ai grandi numeri e a più orecchie possibili, il tutto con un eleganza e uno stile invidiabili. Nevermore This Godless Endeavor Century Media/Self Heavy metal: concetto che, nella sua forma più pura, è sopravvissuto alla polvere del tempo e all’indifferenza di molti. Vive ancor oggi in gruppi come i Nevermore. Ma chi sono i Nevermore? Una delle poche band in circolazione che, dotata di una buona vena creativa, riesce a centrare l’ennesimo bersaglio con This Godless Endeavor, quintessenza dell’heavy metal moderno: solido, potente ed iper tecnico! La band nasce dallo scioglimento dei Sanctuary, power metallers di Seattle che, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, con due sole uscite incantarono migliaia di fans. Chiusa l’esperienza Sanctuary, i superstiti, con il singer Warrel Dane in testa, decisero di continuare come Nevermore. Sei lavori alle spalle, sette con questo nuovo che ribadisce una volta di più le mostruose doti tecnico-compositive del gruppo americano. Meno thrashy e più prog oriented delle precedenti, This Godless Endeavor è opera complessa e tutt’altro che immediata, eppure intrigante fin dal primo ascolto, capace di giungere a risultati assolutamente devastanti. Se mi consentite un paragone oserei dire che nel panorama metal odierno i Nevermore possono tranquillamente ricoprire quel ruolo di innovatori che appartenne ai Queensryche nel loro momento di massimo splendore. Un passo più in là di qualsiasi altra band! Non c’è un solo secondo in This Godless Endeavor che non valga la pena di essere affrontato a mente aperta. Un album forgiato nell’acciaio. Da acquistare a scatola chiusa! Camillo Fasulo Free Soul Open Voice: Premesso che questo è il nr zero della pagina di “Freesoul” dedicata solo ed esclusivamente all’r’&’b e all’hip-hop ritmiche facenti parte della soul music, mi occuperò mensilmente di tutto quello che accade in questo panorama così lontano da noi italiani, ma così vicino visto che finalmente dopo tanti anni di attesa, le major discografiche hanno capito che per vendere dovevano interessarsi all’import, vi parlerò in questa rubrica di un po’ di quello che accade al di là dell’oceano. Cominciamo dal duo Lloyd Banks & Young Buck dei G-Unit che si ritrovano in cella poiché in giro in tour mondiale, hanno preferito viaggiare in compagnia di varie pistole. Per finire il terzo elemento del gruppo e cioè 50 Cent per l’ennesima volta è stato sparato da un non identificato gruppo di persone in quel di Los Angeles all’uscita di un noto locale. Niente di grave a quanto pare. Dopo lo scioglimento della Def Jam dalla Roc-A-Fella, Jay Z ha deciso di produrre lui stesso il nuovo album in uscita di uno dei Diplomats e cioè Juel Santana rischiando parecchio visto che il primo album di Juel è stato un fiasco. Hit List Settembre: 1. Kanye West, Late Registration 2. 50 Cent, The Massacre 3. Young Jeezy, Let’s Get It: Thug Motivation 101 4. Tony Yayo, Thoughts Of A Predicate Felon 5. Mariah Carey, The Emancipation Of Mimi 6. Jim Jones, Harlem: Diary Of A Summer 7. The Black Eyed Peas, Monkey Business 8. Bow Wow, Wanted 9. Yolanda Adams, Day By Day 10. Rihanna, Music Of The Sun di Eugenio Levi R. Kelly TP.3 Reloaded Jive M i s t e r R o b e r t Kelly ritorna con il terzo episodio della saga Tipping P o i n t e grazie a Dio non si è del tutto convertito come faceva trasparire nei suoi due ultimi lavori. Temevamo un cambiamento spirituale del re dell’r’&’b o presunto ormai tale, visto quello che è accaduto tempo fa a causa delle sue performance sessuali sul web, che tutti e dico tutti mi ripeto temevamo che potesse sparire dall’ambiente, ed invece non è affatto così. Il lavoro si presenta molto spinto, tanto da inserire sulla copertina dell’album la famosa frase “parental advisory” dove i genitori sono avvisati che i testi sono “sporcaccioni”, e dove il Nostro racconta incontri che avvengono tra i fornelli, tra le lenzuola e vicino al suo camino. Per fortuna questa volta il tutto è un po’ condito da rif hip hop tagliate a mestiere da Mc come The Game, Snoop Dogg e trascinate dal reggae di Elephant Man. Un odissea mediatica fatta di mugolii e sospiri che porta alcuni di Noi ad ascoltarlo in sottofondo vicino alla Nostra Bella, sperando di ottenere che almeno Lei si lasci andare. Missy Elliott The Cookbook Atlantic Musica indipendente liberamente scaricabile da internet di Matteo Serra [email protected] Come al solito c’è sempre attesa ogni volta che Missy esce con un nuovo lavoro perchè molto atteso soprattutto dalla critica che non vede l’ora di poterne dire qualcuna sulla più estroversa e viziata delle pop star hip hop femminili. Beh questa volta lasciatemelo dire il lavoro di Missy è così perfetto che ha lasciato tutti allibiti. 4 grammy award quest’anno, fanno di Cookbook una miscela esplosiva di flow e uptempo che contraddistingue la Nostra da tutte le sue avversarie artistiche. La produzione di questo ultimo lavoro è affidata sì al suo caro amico e guru Timbaland, ma non mancano tracce su cui firma il grande Scott Storch e la stessa Missy che in 2 tracce ritorna addirittura alla classica ballad che ne ricorda gli esordi. Album decisamente da consegnare ai posteri. 50 Cent The Massacre Interscope/Universal Amerie Touch Columbia News Album Ottobre: DMX – Here We Go Again 11/10 Outkast – The Hard Way 11/10 Mary J Blige – Break Through 01/10 Will Downing – Soul Symphony 04/10 Lil Kim – The Naked Truth 02/10 Q Tip – Live At Renaissance 11/10 Nate Dogg – Nate Dogg 11/10 Obie Trice – Second Rounds On Me 11/10 Notorius Big – Duets 10/10 Lloyd Banks – The Big With Drawl 11/10 14 Secondo album per la piccola Amerie da Washington DC che dopo il successo avuto dal primo lavoro e grazie al singolo “why don’t fall in love” e spiccata alla scena per la sua poderosa voce, tanto da paragonarla a Mary J Blige, il che fa dell’artista un motivo in più per ascoltarla. Rich Harrison suo produttore e anche suo compagno di vita, anche in questo album ha voluto cambiare le carte in tavola, proponendo singoli come “touch” che lavora soprattutto sulle ritmiche e sul flow della voce di Amerie. Il remix affidato alla featuring di Eve è poderoso e rende il pezzo ancora più eccitante. Nel contesto un lavoro fatto per non rimarcare tanti nuovi lavori r’&’b troppo simili tra di loro. A quanto pare l’effetto booming non ha intaccato uno dei gangsta rapper più conosciuti in tutto il mondo. Terzo lavoro per Fifty che dopo gli ultimi alterchi con il suo amico-nemico The Game ormai ex G-Unit group ha voluto regalarci tra un film, una produzione e qualche concerto, un album tutto nuovo anche se datato in Italia visto che come al solito da Noi arriva tutto in ritardo, in cui Fifty si esprime con tutta la sua crew al completo regalandoci una new entry nalla voce di Olivia che tra l’altro si espone nel primo singolo di questo ultimo lavoro, intitolato “Candy Shop” in cui in una casa di “malaffare” il caro Fifty entra dalla porta centrale e viene accolto da una splendida Olivia che lo riceve imperlata da luccichii di trucco e dove il Nostro Fifty viene accolto a braccia aperte dopo aver parcheggiato una fuoriserie. A parte le solite sfacciate ed evidenti scene di sesso e potere il lavoro e da gustare nelle sue basi potenti e nei suoni west coast che fanno di 50 Cent il nuovo artista della scena Losangelese, ben protetto da 2 guru come Eminem e Dr Dre. Molto spesso le zone periferiche del nostro bel paese sono quelle che più di tutte riescono a promuovere iniziative davvero innovative. In un’ottica di condivisione e promozione, noi di RadioPAZ in collaborazione con CoolClub, stiamo portando avanti un progetto dedicato ad una nuova forma di promozione delle idee e della creatività. Sul nostro sito (http://www.radiopaz.it) è possibile ascoltare o scaricare liberamente brani musicali di gruppi emergenti pugliesi e non; con un semplice sistema di “commento” viene data la possibilità agli utenti-ascoltatori di recensire, commentare o criticare liberamente (e senza censure) ciò che si è ascoltato. Tutti i gruppi emergenti saranno poi introdotti a una licenza Creative Commons al fine di far conoscere da subito alle band che esistono possibilità diverse di produrre contenuti e soprattutto di condividerli. Sicuramente non si tratta di un’iniziativa rivoluzionaria o in grado di risolvere i tanti problemi legati alle major della musica o alle leggi italiane in materia, ma è un piccolo tentativo che dimostra quanto sia importante il tema della libera circolazione dei contenuti e quanto sia fondamentale sostenere un approccio indipendente alla creatività. Il requisito fondamentale per poter partecipare è uno solo: il lavoro non deve essere coperto da diritto d’autore né registrato presso la SIAE. Una volta ricevuto il vostro CD, demo, o mini album, la redazione di RadioPAZ provvederà a metterlo on-line liberamente scaricabile o ascoltabile sul sito della radio e sarà aperta la fase della “Condivisione dei pareri”: attraverso un sistema di commento automatico, come già detto, potrete recensire, criticare e commentare liberamente quanto scaricato o ascoltato. Per maggiori info www.radiopaz.it – 0832243174. KeepCool Kayser Kaiserhof Scarlet/Audioglobe di Camillo Fasulo Il 2005 sarà sicuramente ricordato come l’anno degli Spiritual Beggars. Dopo l’uscita di Demons, sesto splendido lavoro per la band svedese, arriva sugli scaffali Kaiserhof dei “debuttanti” Kaiser. Le virgolette sono d’obbligo poiché Spice (ex Spiritual Beggars), Daniel Svensson (Defaced), Bob Ruben (Mushroom River Band) e Frederik Finnander (Aeon) non sono proprio musicisti di primo pelo! Un esordio comunque a tutto tondo per loro sotto questo marchio, considerato soprattutto che lo stoner rock combinato con elementi modern-metal o metal-core, sembra ormai destinato a diventare un trend per l’immediato futuro. Modernissimo thrash metal, sulla falsariga di band come Soilwork, Darkene e Defaced, ma che non si sottrae a sfuriate speed-thrash in tipico Slayer-style. è nato un nuovo genere? Forse. Quello che è certo è che d’ora in avanti in molti vorranno battere questa strada. Nel frattempo godiamoci questa sorpresa! Opera prima della new sensation scandinava, Kaiserhof, in soli 36 minuti, mette in fila dieci tracce che alternano cupi momenti aggressivi e groovy, ad altri più ariosi e con maggiori concessioni alla melodia. La differenza, in positivo, la fa proprio la bella voce di Spice: calda, profonda e versatile come poche altre di questi tempi. Ma l’originalità dei Kaiser sta tutta nel saper filtrare le sonorità care allo stoner, e all’hard rock in genere per ri-adattarle creando un nuovo cocktail: originale e di sicura presa. Gea Bailamme Generale Il re non si diverte Buon periodo per il rock and roll made in italy, ne sono l’esempio gruppi come Disco Drive, Super Elastic Bubble plastic, che sulla scia di realtà più affermate come i One Dimensional Man maneggiano in maniera diversa la materia condendola con svariate influenze. I Gea sono un power trio che propone un rock granitico di scuola Fugazi e che sembra risentire, nel cantato principalmente, di influenze grunge. Nota coraggiosa è l’utilizzo dell’italiano, idioma che solitamente poco si presta alla materia. Le mani sapienti di Giulio Favero (ex One dimensional man) crea una bella amalgama e spinge sulle frequenze piacevolmente rumorose. Un disco che va ascoltato rigorosamente ad alto 15 Epica Consign to oblivion Trasmission di Nicola Pace Incoming Cerebral Overdrive Autoprodotto Promo/Demo di Nicola Pace A due anni di distanza dal loro esordio discografico, The phantom agony, disco che li ha portati ad avere un grosso successo in tutto il nord Europa, tornano gli olandesi Epica con il loro secondo disco, dal titolo Consign to oblivion. La band, come fatto precedentemente, propone quello che io personalmente definisco un synphonic-powergothic-metal, giusto per semplificare la nomenclatura, senza dimenticare piccole tracce di black e deathmetal. I primi cinque brani dell’opera ci mostrano l’anima più sinfonica della band, alle prese con momenti ben arrangiati di archi e tastiera. Importante la prestazione della voce del mezzo-soprano Simone, in duetto spesso e volentieri con il coro, dalla matrice operistica. La seconda parte dell’opera, dimostra la voglia di pestare più duro. Infatti notiamo momenti più heavy, conditi con il canto in growl e screaming, di uno dei due chitarristi, in duetto con Simon, senza mai dimenticare momenti più epici e riflessivi. Da segnalare il brano conclusivo ,dal titolo omonimo dell’album, una sorta di follia musicale lunga nove minuti, nel quale la band si cimenta in tutto il suo possibile repertorio sonoro. Insomma un disco che non mostra quasi niente di scolastico e che riesce ad essere di esempio per tutta la scena. Gli Incoming Cerebral Overdrive sono una band pistoiese, nata dalle ceneri della death-core band EON. Dopo vari cambi di line-up riescono ad assestarsi nel 2002 come quintetto, cambiando il loro moniker in I.C.O. Il demo, da loro autoprodotto, contiene tre tracce della durata totale di venti minuti scarsi. Il genere musicale proposto viene definito da loro stessi come un metal-core, nome che in realtà non indica uno stile preciso ma un insieme di influenze che si amalgamano in una proposta originale. In pratica le loro composizioni risentono delle influenze del loro recente passato death-core, basta pensare alla voce in growl ed ad alcuni fraseggi di chitarra; ma si intravedono anche coordinate new-metal, della scuola americana, mi riferisco ad alcuni noise di chitarra, passaggi di basso slappato ed all’alternanza di voci pulite ed altre sofferte e graffianti. I brani dopo l’ascolto risultano molto originali, soprattutto dove momenti più ricercati ed intimi si alternano con altri più violenti ma incisivi. Inoltre sono piuttosto lunghi e complessi nelle loro strutture, ma possiedono un feeling ed una creatività tale da non annoiare. In definitiva un’ottima prova anche se il lavoro da fare è ancora molto. Within Temptation The silent force di Nicola Pace Spiritual Beggars Demons Inside Out/Audioglobe di Camillo Fasulo Gli Spiritual Beggars rappresentano un caso anomalo nell’odierna scena metal. Pur essendo un sideproject formato da componenti di Arch Enemy, Grand Magus, Opeth e Firebird, si è portati a considerarli una vera e propria band. Demons, sesto episodio della saga musicale di Michael Amott e soci, ormai definitivamente fuori dalla scena stoner, è il passo definitivo che porta questi svedesi ad essere finalmente, e senza dubbio alcuno, un autentico meraviglioso gruppo di hard rock europeo, nel senso più nobile e pieno del termine. Forse uno degli ultimi rimasti sulla faccia della Terra. Ma ha ancora senso suonare questa musica oggi? Secondo me ha ancora senso ascoltarla! Il valore aggiunto degli Spiritual Beggars è dato dal fatto di saper attualizzare in modo potente un riffing molto anni ’80 ma con il groove e la profondità emotiva dei ’70. In tutto questo, elemento indispensabile sono le tastiere che duellano imperiose con la chitarra, spesso con uno stile arioso ed impetuoso che davvero li trasforma nei Deep Purple del nuovo millennio. La voce di J.B. Christoffersson poi, molto ispirata ed evocativa, non fa nulla per nascondere la somiglianza con quella di David Coverdale. L’asso nella manica è rappresentato dal chitarrista Michael Amott instancabile produttore di riff che abbina la classe con la pesantezza come pochi altri. Dopo l’acclamatissimo precedente lavoro Mother Haerth, tornano i Within Temptation, con la loro nuova fatica, The silent force. Il precedente disco mi era piaciuto molto, anche se già in quel lavoro i nostri avevano optato per una produzione più commerciale, eliminando alcune caratteristiche come le voci in growl maschili, che in realtà non essendo invasive rendevano particolare la proposta ed accorciando la durata dei brani, facendoli arrivare in media ai caratteristici quattro minuti, in questa maniera catturando di più l’attenzione del superficiale ascoltatore medio. La proposta inoltre si è fatta più ampollosa, grazie alla spropositata base delle tastiere e degli occasionali inserti elettronici, molte volte fuori luogo, in cui la bellissima voce della cantante è libera di districarsi. Questo tipo di produzione ha avuto l’effetto di rubare spazio alle chitarre, alla batteria ed al sempre ultimo in classifica basso. Non fraintendete le mie parole, i W.T. sono capaci di scrivere ottime canzoni e dare emozioni, ma con questo album sono caduti nel limbo del già sentito, diventando, per colpa della produzione, quasi un progetto solista della cantante. Il mio umile consiglio è di fare un rapido dietro front, per ritrovare ispirazioni e nuove formule e, perché no, ridimensionare il dominio della cantante. volume, una band da vedere sul palco. The Rasmus Hide from the sun Universal/Playground - Edel Si può prendere l’iconografia gotica, corredarla musicalmente di pseudo metal in salsa anni 80 e sfornare un singolo dopo l’altro? I Rasmus ce la fanno. Dopo l’incredibile successo di In the shadows tornano nei negozi con questo nuovo Hide from the sun. Sulla falsa riga del precedente anche questo nuovo disco è un perfetto equilibrio di forte/piano, melodia e distorsione, arrangiamenti d’archi e ritmiche serrate. Destinati anche quest’anno ha invadere radio e schermi, il folletto scandinavo e compagni non ci risparmieranno tormentoni per i nostalgici del Corvo. Millionaire Paradisiac Pias Il grandioso video in rotazione è la sintesi del rock and roll. Il gruppo in questione non è l’ultimo arrivato, il leader Tim Vanhamel ha suonato con i Deus e questo non può che essere un ottimo biglietto da visita. Questo Paradisiac è un disco strano che sembra bisticciare con il noise, chiedere in prestito un po’ di elettronica ai Primal Scream, ringraziare commosso i Deus. Potente e irriverente, il disco ha un effetto un po’ straniante, può piacere agli amanti dello stoner ma anche alle orecchie più indie orientate. Iron Maiden Death on the Road Emi Questo è il sesto album live nella lunghissima carriera degli Iron Maiden, registrato a Dortmund nel 2003 ha tutti i pregi e i difetti dei live. Ai puristi non piacciono perché sporchi nei suoni, disturbati da applausi, grida e cori, ad altri è proprio questo che piace. L’idea di essere lì e di sentire le vibrazioni della presa diretta, i brani nella loro più essenziale esecuzione. Quando a calcare il palco, poi, sono gli Iron Maiden, prolifici come ricci in questi ultimi anni e veri e propri animali da live, il risultato e pressoché impeccabile. Tra brani nuovi e cavalli di battaglia questo disco è un’altra testimonianza di una pietra miliare dell’heavy metal. KeepCool The Voodoo trombone quartet The voodoo trombone quartet Freshly queezed music rec I tempi sono cambiati. Il periodo d’oro del big beat e dell’electro lounge sembra essere passato, ma grazie ad una nuova etichetta di Bristol, la Freshly squeezed, c’è da sperare bene per gli amanti del genere. La Freshly squeezed si presenta subito con due ottimi lavori. Uno dei Lemon di Nick Hollywood e l’altro dei Voodoo Trombone Quartet. I Voodoo Trombone Quartet hanno tirato fuori un album letteralmente fantastico carico di energia, insolito, ruspante, eclettico. Un disco pieno di ballate e ritmi indomabili, pura dinamite sonica. Sembra che Overload nasca da un incontro brillante tra Beck e Morricone, mentre Le trombone è un tributo bollente a Serge Gainsbourg con leggeri sussulti erotici da stordimento completo. In Your pleasure is our pleasure ritroviamo la versione nervosa e metropolitana dei Montefiori cocktail. Per non parlare della mia preferita Monster island ricca di ritmi tribali e selvaggi a go go. Questo disco è la dimostrazione lampante che le cose più interessanti possono provenire da una scena lontana dalle luci della ribalta più trendy. Se siete alla ricerca di incantate visioni, questo lavoro può diventare un mezzo di trasporto privilegiato per probabili evasioni. Postman Ultrachic AAVV Hit the Rhodes, Jack Brown Sugar Partendo dal gioco di pronuncia con il famoso brano di Ray Charles, Hit the rhodes, Jack racconta tantissime sfaccettature del mitico piano Fender Rhodes prendendo in sequenza brani compresi tra il 1972 e il 1978. Questo strumento dal suono dolcemente elettrico e precisamente meccanico ha fatto invaghire di sé fior fior di musicisti che il solo citarli uno dopo l’altro rende l’idea del livello della raccolta; Roy Ayers, Lonnie Liston Smith, Cedar Walton, Donny Hathaway, Dizzy Gillespie, Kool & The Gang, etc. Dal punto di vista della selezione sono strati scelti da Michael Möhring brani del repertorio street funk (davvero tanto), rare grooves della migliore qualità e jazz duro senza tanti complimenti, anche se, volendo proprio trovare il pelo nell’uovo, manca qualche bel lentone che amplifichi e sottolinei il suono rhodes anche su quei terreni. Bel colpo quindi per la Brown Sugar, che si conferma una realtà consolidata nella ormai sempre più black Germania 16 Purtroppo suono poco nella mia Sicilia Intervista a Roy Paci di Lorenzo Donvito Che dire dell’entusiasmo e del fiume di parole con cui il trombettista siciliano ci ha sommerso?…Solo che è un dispiacere non poter farvele leggere tutte! Parlando della tua musica la parola giusta da usare è contaminazione: c’è dentro un po’ di tutto dal reggae al mambo, citando proprio uno dei tuoi ultimi pezzi. E quello che non manca mai è il riferimento alla tradizione siciliana. Quanto c’è di voluto? Ti chiedo questo perché non tutti riescono a creare una miscela musicale così perfettamente spontanea. Guarda, tutto quello che ho fatto nel corso della mia vita è sempre stato suonato con il marchio “made in Trinacria”. È una roba che ti sale a livello viscerale, non riuscirei a fare altrimenti. I miei tre progetti, nonostante abbiano direzioni musicali diverse, dalla Banda Ionica, agli Aretuska, ai Corleone, hanno sempre qualcosa di Mediterraneo, di siciliano. Un riallaccio a quella che è la tradizione della Sicilia tradotta in termini musicali o addirittura come pensiero di coloro che sono stati i grandi portavoce anzi “provocantori” della nostra terra: da Rosa Balestreri a Bufalino. Ultimamente ci sono molti gruppi, famosi e meno, che si rifanno ad un certo tipo di tradizione musicale. Si fa un gran parlare della pizzica, della tarantella. Come vedi questa rinascita della musica popolare? Alcuni la criticano per una mancanza di rispetto verso le sue origini. Io non parlerei del gruppetto sconosciuto che cerca di trovare un suo suono, anche originale, e magari si avvicina al discorso della pizzica e lo mette un po’ in chiave elettronica. A me non piacciono le grandi celebrità che hanno totalmente preso dal repertorio della musica popolare rendendolo proprio. Un esempio incredibile è Goran Bregovic, i cui pezzi da lui firmati sono tutti della sua terra e questo non è ben visto dalle sue parti. È come se io avessi scritto il mio nome sotto Sciuri Sciuri. Posso ritrascrivere la musica perchè magari ho cambiato totalmente l’intelaiatura armonica di un pezzo, ma bisogna stare attenti a questo tipo di operazione. Potrei farti un altro esempio, con il massimo rispetto, citando Ennio Morricone che è un grandissimo musicista e che ha preso tanto dalla musica del sud Italia. La drammaturgia, quella sorta di spleen, di melanconia di certe sue sonorità è molto vicino a quella delle marce del sud Italia che hanno scritto i compositori dall’800 in poi. Ti posso fare dei confronti incredibili fra le composizioni di C’era una volta in America e di tanti altri film musicati dal Maestro con la musica della settimana santa del sud Italia. Questo per dirti che i più grandi devono citare le fonti per dare l’esempio ai più giovani. Torniamo a parlare di Sicilia, è vero che è un amore non ricambiato e che spesso hai difficoltà per suonare nella tua terra? Io non suono mai in Sicilia se non grazie ai privati, non posso nasconderlo. Sarà capitato una volta all’anno che qualche personaggio un po’ strano all’interno di una situazione istituzionale faccia il mio nome. Così è successo, per esempio, che abbiamo suonato a Catania davanti a diecimila persone. E questo mi dispiace per me, ma soprattutto per tutti quei ragazzi che magari scrivono un pezzo dedicato alla memoria di Peppino Impastato, e ti assicuro che mi arrivano un sacco di demo belli, e che subiscono all’interno della nostra terra questo tipo di umiliazione. Io mi incazzo, scusate il francesismo, perché ci terrei a tornare a suonare di più in Sicilia. Cosa ti piace adesso del panorama musicale italiano? Io amo quei gruppi, non tanto che riescono a fare un disco meraviglioso, perché con i macchinari diventano tutti intonati, ma che irradiano energia dal palcoscenico. Mi piace vedere suonare gruppi come la Bandabardò, i Linea 77 e altri così. Vorrei fare un vero e proprio festival itinerante con band che hanno live così prepotenti. Sarebbe bello che la scena della musica indipendente italiana si mettesse a tavolino, studiando una bella strategia per portare avanti un discorso alternativo alla musica che ogni giorno ci profilano i network nazionali. Questa attitudine la noto in paesi come la Spagna dove addirittura i gruppi si mobilitano tutti insieme contro determinate situazioni. Molte band spagnole, per esempio, si sono attivate contro l’arrivo sul mercato della “Clear Channel” americana che faceva lievitare i prezzi dei concerti a mille. Con quello che guadagnavano dai concerti addirittura ci finanziavano la guerra in Iraq, hanno sovvenzionato la costruzione del muro tra Israele e Palestina. Delle robe allucinanti. Lì c’è stata una grandissima mobilitazione da parte di tutti i gruppi che in Italia ancora non c’è. che sforna uno dopo l’altro benevoli saccheggiatori di perle altrimenti irrecuperabili nel mare di etichette quali Prestige, Groove Merchant e Fantasy. Il disco naturalmente è dedicato alla memoria del compianto Ray Charles. Giancarlo Bruno AAVV Soul shaker Vol. 2 Record Kicks Questa volta nick (recordkicks), compilatore di questa seconda puntata del Soul Shaker, ha deciso proprio di farci venire un infarto in pista da ballo. Il disco è un’escalation da brivido di pezzi uno più groovy dell’altro serviti su stupendi piatti di vinile o su cd di plastica digitale per quanti vogliano restare più sul leggero. Chi conosce le altre compilations della Record Kicks non rimarrà stupito dai nomi, che sono più o meno noti (Big Boss Man, The Link Quartet, Speedometer, The Boogaloo Investigators, etc.), ma ciò non va assolutamente a scapito della freschezza e originalità della selezione che non scende mai di tono. Da evidenziare il bellissimo brano Foolkiller (cover di Mose Allison) dei Nick Rossi Set che ci riporta alle scatenate, sexy e ovattate atmosfere di Mark Murphy, fiati da big band e batteria che disegna i contorni degli stacchi come un cutter su una tela tesa. Ballatelo come volete insomma, in punta di piedi su un tappeto di velluto rosso, su una pedana di cemento o meglio ancora sudati fradici in un fumoso locale autunnale. Per quelli che… anche l’occhio vuole la sua parte, bella anche la copertina (curata ancora da Fabio Conti), colori caldi e affascinante la donnina molto seventies sulla facciata. Giancarlo Bruno AA.VV. Children Of Nuggets: Original Artyfacts From The Second Psychedelic Era 1976-1995 Rhino record 2005 La Rhino arriva al suo terzo appuntamento con i cofanetti di nugget ed è qualcosa di indescrivibile, resto commosso a guardare i gruppi presenti: Chesterfield Kings, Cramps, Crawdaddys Creeps, Fuzztones, Miracle Workers (qua scappa la lacrima), Fleshtones. Manca qualche nome importante come I Gruesomes, ma se volete farvi un bagno purificatore nel garage punk più selvaggio, nel paisley underground più raffinato, cercate di reperire assolutamente questo disco, per capire anche da dove vengono le influenze dei vari White stripe, Hives etc etc. (P. U.) KeepCool Luca Bassanese Oggi Che Il Qualunquismo è Un’Arte Mi Metto Da Parte E Vivo Le Cose A Modo Mio X-Land - (EP) In attesa dell’album, che dovrebbe uscire proprio a ottobre, il cantautore veneto Luca Bassanese presenta un Ep, dal nome arduo e impronunciabile, particolarmente interessante anche se ancora (così mi pare) non completamente maturo. I quattro brani suonano però veramente bene grazie a testi impegnati (nel sito ufficiale è in bella mostra il logo di Emergency) e ad arrangiamenti curatissimi. In Confini (presente anche nella versione latinoamericana Fronteras), che ha conquistato lo scorso anno il Premio Recanati come migliore musica, al fianco dei FrontieraSoundSystem (gruppo che accompagna dal vivo Bassanese) compaiono i fiati degli SKAJe. In 20 luglio 2001, che racconta le tristi giornate di Genova, la linea malinconica è sottolineata dalla presenza della Kocani Orkestar (quella dei film di Emir Kusturika e che in Italia ha collaborato con Vinicio Capossela). I brani sono ascoltabili sul sito ufficiale: www.lucabassanese.it/ (p.l.) Super Reverb …Solo Rock And Roll Autoprodotto Tremate signori, arrivano i Super Reverb. Tonio, Filippo, Jessy e Salvatore quattro Salentini D.O.C. innamorati del Rock and roll grezzo e classico, quello degli anni 50, di Chuck Berry ed Elvis per intenderci. Il primo disco autoprodotto della band, è un grande esempio di come si possano riprodurre le atmosfere degli anni 50 americani in chiave italiana. …Solo Rock and Roll (titolo che riporta ovviamente agli Stones) è una raccolta di sei brani, cinque inediti e una cover (I got a Woman) di frizzanti chitarre vintage, batteria e basso molto Rock a Billy. La voce profonda e calda di Jessy Maturo ricorda irrimediabilmente quella di “The King”. Il disco, registrato in presa diretta in un capannone industriale del basso Salento in sole tre ore, è un fenomenale risultato nel suono e nella tecnica, riverbero sulle chitarre, l’inconfondibile suono di una Gretch abbinata a un’ampli Fender. Stupisce davvero come siano perfettamente ricreate le atmosfere da studio in diretta che si ascoltano nei dischi originali dell’epoca, i testi in italiano poi rendono tutto più accattivante e diverso, ironico e spensierato. Disco consigliatissimo non solo agli amanti del genere, ma 17 Catwalk Thin Rebellion Maninalto – Venus di Pedroso Nel solco dei successi di numerose band che svariano dal rock steady al jazz esce l’esordio discografico dei navigati, seppur sotto mentite spoglie, Catwalk. Thin rebellion contiene 11 brani, sette dei quali strumentali, che si muovono con disinvoltura tra jazz e ska con sax in evidenza. Un gruppo macedonia che accoglie musicisti dei gruppi più autorevoli del genere. A Gianluca Mancini (già fondatore dei Vallanzaska), Valentino Finoli e Lorenzo Ottanà (Smarts, Franziska) si aggiungono nella formazione base Massimo Dall’Omo e Ivan Barassi. Il disco contiene inoltre la tromba di Marco Fior (Franziska, Bluebeaters, Reggae National Tickets), le percussioni di Sandro De Bellis (Dirotta su Cuba, Demo Morselli, Gloria Gaynor) e le voci di Georgeanne Kalweit (Delta V), Giorgia Sallustio (Dirotta su Cuba) e Paolo Bertucci (Franziska, Lord Paul). La band negli ultimi due anni aveva accompagnato Mr Tbone come Jamaican Liberation Orchestra (circa 90 date tra l’Italia e la Germania). Come da tradizione jazz alle composizione originali si affiancano alcuni standard come Webb City di Bud Powell (in una versione molto movimentata), So What di Miles Davis e The Chicken il brano di Don Ellis reso celebre da Jaco Pastorius. Paolo Zanardi Portami a fare un giro Olivia Records La neonata etichetta pugliese Olivia Records inizia la sua avventura con l’esordio solista di Paolo Zanardi, già attivo con i Borgo Pirano e autore di un brano della colonna sonora di Mio cognato di Alessandro Piva. Inizio subito dicendo che Portami a fare un giro è un cd che rientra nel mio bagaglio musicale (seppur limitato). Musica ben suonata, ironia e interpretazione sentita avvicinano il barese ad autori come Rino Gaetano, Paolo Conte (dei pezzi “stupidi”), Carlo Fava o Francesco Baccini. Avete capito cosa intendo? Basterebbe ascoltare i primi due pezzi per capire di cosa si sta parlando Gas e Portami a fare un giro avviano con classe il cd che scivola via con la carina e orecchiabile Il farmacista, con i ritmi travolgenti e in levare del Giocattolaio (bello anche il video), con le fisarmoniche di Matisse, con il jazz “d’ambiente” di Odette, con gli inserti elettronici e le distorsioni di Come una lampadina. Da segnalare infine la chiusura romantica (proprio come in molti dischi di Vinicio Capossela) con La panchina, sorretta da pianoforte, voce e viola, e la bella riproposizione di Caldo dei Diaframma di Federico Fiumani. Un esordio positivo e promettente che speriamo vada molto in giro. (P. L.) Marco Parente Neve Ridens Mescal, 2005 di Emanuele Carrafa Anticipato da Il posto delle fragole (che cita esplicitamente il titolo del capolavoro di Bergman) esce per Mescal il quarto lavoro in studio di Marco Parente, ed è ancora poesia. Contrapposizione è la chiave per accedere a quest’opera: attenzione certosina alle parole, ricerca costante di sensi nuovi e diversi nell’accostamento di parole decisamente lontane per natura – coppie apparentemente illogiche di vocaboli come “neve ridens”, “amore o governo”, “samba artica” stanno ad indicare le innumerevoli possibilità di significati che ci offre la lingua e le innumerevoli nostre possibilità di accostare concetti che “normalmente” scorrono su binari paralleli. Dentro questo contenitore c’è l’esortazione a svegliarsi (Wake up), a fare attenzione alle cose che sfuggono di mano; la voglia di stare fra la gente e di sentirsene parte, accettandosi (Colpo di specchio); la paura della transitorietà degli affetti (Io aeroporto - minimale e potente). E poi le parole ricorrenti come “specchio”, “sorriso”, “cibo”, che donano una sorta di omogeneità a livello tematico. Riflessioni sulla dimensione umana, sperimentalismo linguistico e musicale, forte dose di onirismo: questo è Neve ridens, primo capitolo di un doppio album, la cui seconda parte verrà pubblicata a febbraio e avrà lo stesso nome. Nidi D’arac St.Rocco’s Rave Tarantulae-V2 Quinto cd per i Nidi D’Arac che tornano con il loro impasto tra musica tradizionale, dub, rap, trance, elettronica, jungle. Il titolo St. Rocco’s Rave (che è anche una intensa e travolgente title track) richiama la festa più popolare della tradizione della musica salentina. Mentre la Notte della Taranta è luogo di incontro intorno ad un concerto, la notte di San Rocco (tra il 15 e il 16 agosto) è un misto di religione e paganesimo, di musica del sud Italia e cultura zingara, di curiosità e fiera di paese. I Nidi D’Arac si muovono da anni in quella che viene definita (e ormai troppo spesso sminuita) contaminazione. Alessandro Coppola è stato uno dei primi ad affiancare suoni contemporanei alle vecchie melodie e ai vecchi ritmi delle campagne. Una impresa ancor più difficile perché Coppola ha scelto di portarla avanti lontano dal Salento. Nel cd brani tradizionali come L’acqua de la funtana e Calispera convivono con originali come St Rocco’rave, Straniero del mondo, Ritmo. Molti sono ormai stanchi della musica tradizionale ma questa rilettura dei Nidi d’Arac è ben curata e, soprattutto, ben prodotta. (P. L.) anche a chi ha bisogno di ascolti leggeri. Cesare Liaci Emilio Garofalo Muri Vs Records Emilio Garofalo ha 21 anni e studia giurisprudenza. È nato a Bari ma vive a Bitonto. Recentemente ha pubblicato il suo esordio discografico nel quale suona chitarra, piano e armonica a bocca. Muri cade a pennello nel numero del nostro giornale dedicato alla nuova scena dei cantautori e al loro rapporto con il passato. I riferimenti di Garofalo sono chiari (De Andrè, De Gregori, Dylan, Simon e Garfunkel) nella costruzione dei testi, nell’andamento delle musiche e negli arrangiamenti che per ovvi motivi di produzione non sono ricchissimi e a volte (mi permetto) non molto centrati, la tracklist Muri proprio non mi convince ad esempio. Sono ben riuscite secondo me Insolita, con uno stile alla Alberto Fortis, Verso l’Andalusia, Franz il giullare (nella tradizione dei cantastorie), Emigrante (che segue un po’ l’epopea da folk combat). Un esordio che, qualche anno fa sarebbe stato solamente un demo, fa trasparire buone idee. Compagni di merengue Favor não Pescar Autoprodotto La produzione che per comodità inseriamo nel filone demenziale ha sempre un difetto, o sarebbe meglio dire uno svantaggio. Il cd perde tutta la teatralità che questo tipo di canzoni richiede. Così dal vivo i brani prendono quell’aria comica che spesso smarriscono nello stereo. Premesso ciò, Favor não pescar dei Compagni di Merengue sorprende per suoni e arrangiamenti. I testi sono carini, le storie sorprendenti e le musiche accattivanti. Da ascoltare e soprattutto da vedere. Paola Turci Tra i fuochi in mezzo al cielo On the road-Edel Tra le cantautrici della nuova scena italiana (anche se è sulla breccia da quasi venti anni) è forse quella che meno ha mantenuto le promesse degli esordi. Paola Turci torna con Tra i fuochi in mezzo al cielo nel quale riesce, per sua stessa ammissione, ad esprimere “dolcezze di cui non mi vergogno più, ho bussato alla porta dei miei divieti e ho messo in luce quello che ho sempre nascosto: la perdita, l’abbandono, le debolezze e persino la paura di parlare di un abuso, di una violenza”. Il cd, che contiene dieci brani, si chiude con Tu non dici mai niente, cover di Leo Ferrè. KeepCool Theatricantor Vorrei insegnarti amore Cdf/Venus di Gianpaolo Chiriacò Il secondo disco dei Theatricantor ruota tutto intorno alla voce di Salvo Guglielmino, versatile esempio di cantautore nostrano. La sua pronuncia e il suo stile talvolta ricordano un Sergio Cammariere meno spocchioso, talaltra un Renato Zero poco invadente. I suoi testi, però, non intrigano eccessivamente, costretti come sono nell’esperienza amorosa e intima del suo autore. Anche gli arrangiamenti pesano ogni tanto sull’efficacia complessiva dei brani, tant’è che i più riusciti scivolano grazie alla visceralità del ritmo di tango, o fanno ricorso a trame sonore prive di fronzoli. La fisarmonica di Maurizio Burzillà dimostra di essere la risorsa più utile. Agendo per sottrazione, riesce a dar risalto a un assolo o a un commento sonoro con l’utilizzo di poche note, infondendo un’impalpabilità poetica che è un vero toccasana quando il rischio è il languore. I momenti più gradevoli sono L’alibi più abile, un tango a tempo lento con intento narrativo e Come un angelo, una canzone all’italiana distesa e informale. Le Clan Banlieue Torno Domani Propria Le liriche sono taglienti in tutto il disco, a tratti anche amare (But more hot). I giochi di melodie e ritmi sono sempre frizzanti, a proprio agio nel solco della migliore tradizione del folk italiano, quella in grado di miscelare il suono della fisarmonica ai ritmi caraibici e ai riff delle chitarre elettriche. L’esperienza maturata in cinque anni di festival, manifestazioni e serate come spalla di formazioni più note – in particolare della Bandabardò – si percepiscono appieno. Ogni brano, infatti, ha una fisionomia spiccata e definita, peccato però che l’esecuzione e la qualità della registrazione non brillino. (G.C.) Ratoblanco Crea Scompiglio UPR/Edel Dopo anni passati a far la cover band dei Clash e registrazioni effettuate con line-up differenti, i Ratoblanco approdano alla Ultimo Piano Records, già etichetta di Folkabbestia e Riserva Moac. Il sound è più definito, grazie all’aiuto di Finaz della Bandabardò in veste di produttore, mentre le possibilità compositive si allargano. Crea scompiglio si allontana dalla sonorità punk (rispolverata solo nel brano omonimo e in qualche altro 18 passaggio del disco) per sperimentare le possibilità di uno studio di registrazione, come in Domani partirò, della canzone ironica (Ho un problema d’amore), e delle ballad, come nella impressionistica Luna Piena. (G.C.) Ada Montellanico/Enrico Pieranunzi Danza di una ninfa Egea di Gianpaolo Chiriacò Non molte settimane fa, una rivista di settore domandava a diversi artisti - tra cui Meg e Alessandro Reina dei Giardini di Mirò - cosa avrebbero fatto se si fossero trovati di fronte al manoscritto di un brano inedito a firma Lennon-McCartney. Le risposte sono state varie (tutte bacchettone), oscillanti tra “lo tengo solo per me” e “lo reinterpreto rispettandone l’anima”. Parole profonde, ma nei fatti ci vuole fortuna e coraggio per imbarcarsi in un’avventura rischiosa come quella (utopica) ideata dal fantasioso giornalista, o come lo è (per davvero) Danza di una ninfa. Il nuovo disco, infatti, è il frutto del gravoso onore di (ri)portare in musica quattro testi inediti di Luigi Tenco, affidati alla coppia Enrico Pieranunzi e Ada Montellanico dagli stessi famigliari del grande cantautore. Un alto riconoscimento dell’autorevolezza pianistica di Pieranunzi, fra i migliori jazzisti europei, e della dedizione con cui la cantante ha già affrontato il repertorio di Tenco. Ma è anche un’ardua missione: trovare la formula giusta per ricreare quella potente fusione tra melodia e parole e quell’emissione vocale così particolare, mai più esplorata da altri. Tra i testi, Mia cara amica rivela quella disillusione triste tipica del suo autore, mentre la vena più ironica Charamira Adrenalina Edel Scartabellando sito e libretto dei trapanesi Charamira, emerge con forza il tema della lotta combattuta prima di raggiungere le orecchie di un produttore e trovare spazio in una realtà periferica. Una lotta che può essere raccontata (vinta o ingloriosa) praticamente da tutte le formazioni pugliesi. Sul piano musicale, emergono elementi di groove moderni, dub, sfumature di pianoforte e violino, e testi in dialetto. Un disco multicolore, più intenso quando il ritmo si fa incalzante, come in un concerto di Khaled. I singoli Vieni in Sicily e Odio, trasmessi da diverse radio quest’estate, contengono i momenti vocali più coinvolgenti, laddove il timbro rauco di Chicco Allotta si increspa seguendo le parole più significative del testo. Ciauru d’Africa presenta una suite patchanka che riporta in un solo brano tutto l’immaginario sonoro riconducibile al continente africano; ma la canzone più bella è Mezzu Tempo: il sottile contrasto tra gli strumenti acustici e i suoni alla Telefon Tel Aviv, il ritmo sostenuto e la tristezza della voce rivelano che occorre ispirazione genuina e intelligenza musicale per miscelare mille ingredienti e ottenerne qualcosa di interessante. (G.C.) si evidenzia in O me, probabilmente il più bello dei quattro. Danza di una ninfa sotto la luna e Da quando sembrano invece episodi ancora incompiuti, in cui manca la chiarezza e la forza delle immagini dei classici firmati da Tenco. L’orchestrazione sottile e gli interventi dei fiati di Paul McCandless sono gli elementi musicali più belli, insieme a quello stile pianistico così sospeso che ha reso famoso il pianista romano, e che ha dato gran risalto alla versione di Mi sono innamorato di te. Ada Montellanico, poi, ha una grande attenzione per ogni sillaba, però stenta a prendere in pugno la canzone, cosicché alla fine dei conti ci si trova di fronte a un disco di jazz e non di musica italiana. Di gran classe nel suo genere; ma brani rimasti nascosti per così tanto tempo avrebbero bisogno di una dimensione diversa per riemergere. Ali Farka Touré & Toumani Diabate In the Heart of the Moon World Circuit Tradizione e innovazione a confronto in questo cd che per la prima volta vede insieme i due maestri della musica e della cultura del Mali. Ali Farka Touré, dell’etnia Songhai, è il re del blues del deserto (non a caso è definito il John Lee Hooker africano) ed è considerato il difensore della tradizione. Il suono della chitarra elettrica, nei suoi brani, viene accompagnato da strumenti fatti con gusci di zucche e pelli di animali. Il blues di Touré è un antenato di quello che si è poi sviluppato negli Stati Uniti. Non a caso l’artista è stato uno degli interpreti del film documentario di Martin Scorsese From Mali To Mississippi (uscito un paio di anni fa) che narra di questo viaggio dal delta del Mississippi alle rive del Niger in Mali alla ricerca delle vere origini della musica blues. Toumani Diabaté, un djeli mandengue, è invece il nuovo maestro della kora, un particolarissimo strumento a corde africano, e per primo ha cercato di rinnovare la musica del suo paese, ricca di melodie. In the Heart of the Moon è un disco quasi interamente strumentale, realizzato per la World Circuit, nato da session e improvvisazioni dei due artisti. Nel cd compaiono nomi del calibro di Ry Cooder, Kawai, Sekou Kanté e Cachaíto López (dei Buena Vista Social Club) e Joachim Olalekan Babalola. (P.L.) Ratapignata Sighi Sighi UPR/Edel I Ratapignata sono un’ottima formazione reggae. E questo è indiscutibile: sezione fiati robusta, incedere sincopato puntuale, voce carismatica, momenti dub in giusta quantità. Eppure manca la ricerca di una versione innovativa del pluriutilizzato ritmo in levare. Non è intolleranza verso il genere, tutt’altro, è che Sighi Sighi qualcosa di originale la possiede ma ancora allo stato embrionale. Ne è esempio Aboxina, brano in cui un ritmo calypso si incontra con una melodia popolare in tempo irregolare (suonata peraltro benissimo). Forse potrebbe essere un sentiero da percorrere per trovare un segno veramente caratteristico, al di là dei testi in dialetto sardo. (G.C.) Ambarabà & Ratafiamm A&R Propria Sono gli accompagnamenti di chitarra a dominare in questo disco, generando un rollio piacevole che accoglie più delicatamente di un silenzio le parole di Enrico Cibelli e Andrea De Nittis, autori attenti, né saccenti né banali. Le atmosfere sono quasi esclusivamente acustiche, e comunque sempre prosciugate e secche, ispirate dal minimalismo di David Sylvian e da una bella tensione poetica. Di grande fascino è il contrasto tra il suono del gruppo e l’arpeggio di piano in Pausa, brano in cui la voce di Cibelli, spingendosi verso note più acute, svela un’impertinenza insospettabile e tuttavia azzeccatissima. (G.C.) Marcello Zappatore L’improvvisazione sulle progressioni di accordi È uscito, con il patrocinio del sito www.musicistiweb. com, il video didattico in formato DVD dal titolo L’improvvisazione sulle progressioni di accordi a cura del chitarrista salentino Marcello Zappatore. Il cofanetto, pubblicato nell’ambito della collana “Jazz Guitar”, costa 8,90 euro. KeepCool È uso comune, tra i giovani pseudointellettuali, lagnarsi costantemente della propria realtà quotidiana, della propria città e delle genti che la abitano. Indipendentemente dalla effettiva situazione socio-culturale in cui vivono, sono soliti buttare occhi e pensieri verso fanta-paradisi dello stimolo neuronico/umorale, guardando poi con disprezzo ciò che li circonda. A tal proposito si sente spesso parlare di ‘province dell’impero culturale’, delle quali ovviamente i fantaparadisi tanto sognati sarebbero le capitali. Ora, se è vero che alla base di tutto ciò c’è sempre un senso di insoddisfazione interiore dettata più da una propria insicurezza psicologica che dall’ambiente esterno che ci circonda, è ancor più vero che sono proprio certi ambienti che ti impediscono, o, perlomeno, ti ostacolano in quel più che giusto processo di autosoddisfazione a cui tutti in qualche modo aspiriamo. Ma a questa condizione di inferiorità culturale di alcuni ambienti rispetto ad altri, ne segue una ancor peggiore, ossia quella in cui questa inferiorità non è in alcun modo avvertita dai soggetti che la vivono, se non da un piccolo grumo di poveri pazzi. E ad accrescere il problema c’è il fatto che spesso è l’idea di cultura a essere travisata. In certi ambienti si può osservare un vero e proprio annichilimento semantico di questo concetto: si accetta come ‘cultura’ solo un limitato ambito di pensieri ed azioni, se non addirittura qualcosa che di culturale ha ben poco. È proprio la mancanza di una consapevolezza più ampia dello sviluppo intellettuale ed artistico nel mondo che porta a queste degenerazioni dei vocaboli. Agli occhi di chi possiede e difende questo ristretto concetto di cultura, tutto ciò che riguarda il processo di sviluppo culturale nel resto del mondo è da etichettare come culture alternative o addirittura sottoculture. Ancora peggio è quando sono gli addetti all’amministrazione della cultura in quella società a sostenerne un’idea ristretta. Ok, questo avviene un po’ dappertutto, ma è anche vero che ci sono restrizioni e restrizioni. E non c’è limite al livello di riduzione semantica di un concetto, in particolare ad un concetto quale quello di ‘cultura’. La questione non è il dover possedere una completa visione di tutto ciò che la cultura può essere, proposito inevitabilmente fallimentare, ma il pretendere, almeno da chi con la cultura presume di aver qualcosa a che fare, di non porsi preventivamente dei paletti fissi di determinazione e limitazione. Ovviamente non c’è nulla di nuovo in quanto si è detto, ma era necessario ribadirlo per porsi nella giusta ottica Bari - La taverna del maltese: capitale della provincia dell’impero riguardo a qual è l’effettivo oggetto di quest’articolo. Giovedì 26 e venerdì 27 settembre si è inaugurato, con un mega doppio party d’apertura a cui hanno partecipato tutti i nomi più interessanti del djame alternativo nostrano, il 26° anno della taverna del maltese, il primo pub di Bari (a detta del vero si tratta della nuova sede del locale; per la vecchia, quella di via Netti, si attende la riapertura ad ottobre). Carlo Chicco, David Nelsen, Franco Eroi, Jamano & TOP, Mr. Magoo, Not4News, Rhomanife, Rootsulani, Stereo4, hanno accolto nei due appuntamenti centinaia e centinaia di presenti con sonorità trasversali che si spostavano dal reggae all’elettronica, dal northern-soul all’hip-hop, dal pop all’indie-rock. L’allestimento artistico, inoltre, a cura della neonata associazione Formiche Verdi 23 (figlia dell’esperienza collaborativa ArtistiXNichi avutasi in occasione della campagna per Nichi Vendola), ha segnato fin da subito l’intenzione del locale di porsi aldilà dell’idea di semplice luogo di ritrovo serale, per trasformarsi in un vero e proprio polo culturale, spazio aperto alle (poche?) forme di espressione artistiche ‘alternative’ della città e non solo. Anche l’entrata dei Rootsulani, storico collettivo di dj, nella gestione e l’affidamento della direzione artistica all’associazione Wabi Sabi Sound/Provincia dell’Impero (appena ripresasi dalla soddisfacente sfacchinata del Festival L’acqua in Testa) sono segni di un rinato interesse verso un più concreto sforzo di metter ordine tra le diverse realtà e operatori culturali e stabilire le basi per un effettivo ed unificato percorso di sviluppo di cui la nascita dell’A.T.S. Acqua in Testa (il progetto nato dall’accordo tra Taverna del Maltese, Bass Culture, Controradio, Mutua Studentesca e Wabi Sabi Sound) ne è stata la prima soddisfacente espressione. D’altra parte, proprio l’esperienza del Festival ha messo in evidenza la presenza di alcune sostanziali difficoltà alle quali sarà necessario dedicarsi in futuro (con la speranza di un sostegno più incisivo da parte delle amministrazioni locali) per evitare che le forze propulsive si smembrino sfiancate dalla estenuante lotta contro ostacoli che per lo più esulano dalla effettiva realizzazione dei progetti culturali in sé ma derivano da un modus operandi che è intrinseco alla società stessa. In questa atmosfera propositiva, la Taverna del Maltese si pone giustamente come il luogo ideale per coniugare le differenti direzioni e intenzioni dei vari soggetti interessati a questo progetto di sviluppo, proprio perché, da sempre, per le sue attività e le sue posizioni, la Taverna è stata considerata come tale. Ma oltre a offrire spazi e occasioni, la Taverna si è già mossa in questo senso investendo di propria tasca in interessanti progetti artistici, dentro e fuori la propria sede (basti pensare all’incredibile serie di concerti e spettacoli che ha offerto gratuitamente per l’intera stagione passata): come dire, ha dato il buon esempio... Rispetto alle effettive proposte artistiche che la Taverna sta preparando per questi ultimi mesi del 2005 possiamo subito avere alcune anticipazioni. Già lunedì 26 settembre si è svolto il primo concerto della nuova stagione. Si tratta del nuovo progetto di Ann Shenton, appena dimissionatasi dagli Add ‘n’ to (X), storico gruppo elettrorock degli anni ’90, e giunta in Italia per presentare la sua nuova creatura, i Large Number, con i quali ha già pubblicato un primo lavoro, Spray on sound. Ad accompagnarla in questo tour, inoltre, c’era Mick Bund, già nei Felt e chitarrista live dei Primal Scream, cosa che reso lo spettacolo un piccolo evento. 19 Giovedì 6 ottobre sarà invece di passaggio una vecchia conoscenza della scena indie pugliese, l’italo-francese François Cambuzat, fondatore di svariate formazioni, tra i quali gli Enfance Rouge (dei quali siamo in attesa dell’imminente nuovo album“Krsko-Valencia”, in uscita per Wallace Records), e ora in partenza per un tour internazionale con il suo nuovo progetto solista, Putan Club, che ama definire “una espansione della rabbia di Billie Holiday contro Miss Kittin, di Armand Van Helden contro Leonard Cohen, di François Cambuzat e Taùfik alFiransyy contro tutti gli yankees”. Per domenica 30 ottobre si attende poi l’arrivo di Chris Leo, le cui due creature principali, Van Pelt e Lapse (questi ultimi visti un po’ di anni fa in Taverna vecchia) hanno lasciato un segno decisivo nella musica rock indipendente; mentre lunedì 8 novembre vedremo al gran completo la newyorkese Akron/ Family, una delle ultime grandi scoperte in casa Young God, etichetta del mitico Michael Gira degli Swans. Anche quest’anno, tutti gli eventi in Taverna saranno gratuiti. (Gli altri eventi a pp. 36-37) KeepCool 20 IL SALTO NELL’INDIE Da questo mese parte una nuova rubrica di Coolclub.it. Abbiamo scelto di dedicare ancora più spazio alla musica indipendente italiana. E abbiamo scelto di farlo attraverso chi sceglie di promuovere la nuova musica. Ogni mese dedicheremo una pagina alle etichette, piccole o meno, che producono, veicolano e diffondono le nuove band italiane. Lontano dai clamori e le vetrine delle major c’è chi, con passione, ha scelto di investire su generi che non fanno i grandi numeri. Un lavoro, duro e a volte ingrato, che merita tutta la nostra attenzione e ammirazione. Cominciamo questo mese con la Fosbury di Treviso che in pochi anni è riuscita a crescere e a diventare una delle piccole realtà italiane più apprezzate e premiate dalla critica. Ispirata dal famoso e omonimo atleta la Fosbury Records cerca soluzioni rivoluzionarie per superare gli ostacoli, speriamo che questo spazio rappresenti un piccolo aiuto per spingere un po’ più in alto la nostra musica indipendente. Ci parli un po’ della Fosbury, dell’idea che sta dietro al progetto? La Fosbury è nata dall’esigenza di due gruppi trevigiani (es e vIRNA) di far girare la propria roba in modo efficace, facendola passare a webzines-radiogiornali come prodotto “vero” e non come demo-CD. Il marchio di un’etichetta stampato dietro al CD è il primo passo verso questo riconoscimento come produzione seria anziché come perdita di tempo. Le cose sono cresciute piuttosto velocemente, senza che ce ne accorgessimo. Sono arrivati Party Keller e Valentina Dorme, poi la distribuzione Audioglobe, i premi Fuori dal Mucchio, le bands non venete, Arezzo Wave, il Tora! Tora!… Da quanti anni esiste la vostra etichetta? É stato difficile metterla su? Quanti siete? Com’è strutturata? L’etichetta esiste dal 2001, ed è diretta da sette persone, 5 delle quali fanno parte delle suddette 4 bands. Queste sette persone si occupano delle funzioni fondamentali: Amministrazione, Ufficio Stampa, Booking, Rapporti con la distribuzione. Metterla su non è stato difficile… basta trovare un nome e un marchio. Gestirla, nel momento in cui cresce e trova distribuzione nazionale, implica ovviamente un impegno ben diverso. Avete un genere di riferimento? Quali sono i vostri gusti? I nostri gusti variano continuamente, non è facile definirli. Abbiamo il gusto della buona musica, questo direi di si. Indie-rock e indie-pop sono certamente termini avvicinabili alla proposta Fosbury, che, però, non è una di quelle etichette solo-inglese o solo-italiano, né una etichetta singologenere… abbiamo gruppi più e meno rumorosi, più e meno elettronici, scrittori di testi completamente diversi tra loro, sia in italiano che in inglese. Ci parli un po’ del catalogo, le vostre band. La nostra prima produzione sono i Valentina Dorme che con l’album Capelli Rame ha vinto il premio Fuori dal Mucchio 2002 come miglior esordio discografico. Mario ha una capacità di scrittura dei testi fuori dal comune, e a questa si accompagna uno stile musicale in bilico tra il noise, la carezza, il taglio e la dilatazione. Abbiamo poi pubblicato una compilation (Fosbury: Primo Salto). 18 belle canzoni, dai Northpole fino ai Tre Allegri Ragazzi Morti, dai Perturbazione ai One Dimensional Man. Quasi tutti pezzi inediti, molte sorprese. Poi ancora The mistercervello che ha vinto il premio Fuori dal Mucchio 2003. Un agglomerato di indie e pop bizzarro. Malinconia ed ironia, Paul + Paula, primo disco Fosbury in inglese. Ci dispiace molto che non sia stato valutato per quanto meritava. Un incrocio di rock’n roll e arte obliqua. Fossero stati americani, sai le copertine… Slumber – Never been a girl. Tutto quello che il college rock ha insegnato qui viene ripreso e tritato, fino a farne una ricetta per chitarre-basso-batteria assolutamente personale. Mosquitos – Electric center. Musica desertica, lontana, fatta di trame asciutte e di memorie velvettiane. Sono stati tirati in ballo i Giant Sand, i Thin White Rope… ma qui c’è anche una voglia di sperimentare i suoni che va ben oltre. En Roco – Prima di Volare Via. I nostri eroi acustici. Hanno le canzoni, hanno i violini, hanno le chitarre. Il prossimo disco è in uscita a fine anno per l’etichetta dei Meganoidi. E non è finita. Ci sono gli Edwood – Like a movement. Un’anima pop intrisa di electronica. Hanno canzoni che si avvolgono intorno alle loro stesse melodie, e una intensità sintetica degna dei migliori Notwist. c|o|d – Preparativi per la fine. L’attesa pubblicazione di un album tenuto troppo tempo in un cassetto, a causa della cecità delle major. Emozioni pure, non c’è altra descrizione. E infine il nuovo dei Valentina Dorme – Il coraggio dei piuma. Vale tutto quello che si è detto per il primo disco, aggiungendoci sopra la maturità accresciuta dalle esperienze Arezzo Wave e Tora! Tora! Scrittura sempre più levigata e cesellata e in uscita By popular demand – You are nervous. Una sorpresa rock’n roll. Sono giovani e belli e sul palco infiammano i cuori. Come si fa in Italia a sopravvivere con un indipendente? Non si fa. Ci si accontenta di considerarla una passione. Nessuno di noi lo fa per lavoro. Esiste un mercato, un circuito alternativo in Italia? Esistono distribuzioni indipendenti, che arrivano nei negozi, esistono i siti web e il vecchio ma sempre valido canale dei banchetti ai concerti. Vedremo se l’mp3 cambierà i livelli, come molti si attendono. Uno dei vostri gruppi, i Valentina dorme, sono tra le realtà italiane più interessanti, questo numero del nostro giornale è dedicato alla canzone d’autore, secondo è una delle strade percorribili dalla musica italiana? La canzone d’autore è una delle basi portanti della musica italiana, quindi è cosa buona e giusta che le nuove realtà la prendano e la modifichino, incrociandola, contaminandola, facendola nuova e sempre migliore. KeepCool 21 “Io prendo le distanze dal cantautorato inteso nel suo senso classico” Intervista con Marco Parente di Osvaldo Piliego Marco Parente nasce a Napoli nel 1969 e vive a Firenze fin dall’inizio degli anni ’90. Come batterista, dopo alcune militanze in gruppi locali, partecipa alla realizzazione in studio di Ko de Mondo e Linea Gotica dei CSI. Alla fine del 1996 dà vita ad un progetto solista che lo vede impegnato come autore, arrangiatore, cantante e chitarrista. Il suo disco d’esordio, Eppur non basta, esce nel marzo del ’97 per la collana Taccuini del Consorzio Produttori Indipendenti. Nel settembre 1998, il primo disco viene ristampato in una edizione speciale, con una nuova copertina e due brani in più: Oggi si ride e Gharbzadegi. Il secondo album viene pubblicato nel novembre 2000, si intitola Testa di cuore. Nell’inverno del 2001 inizia la collaborazione con Manuel Agnelli. Ospite del Premio Ciampi 2001 si esibisce in una vibrante performance assieme allo stesso Manuel Agnelli e Paolo Benvegnù. Nel febbraio del 2002 Patty Pravo interpreta e inserisce una sua canzone (Farfalla Pensante), tutto grazie e sotto la supervisione di Manuel Agnelli. Nel 2002 esce su etichetta Mescal (distribuzione Sony) il nuovo disco di Marco Parente prodotto da Manuel Agnelli, intitolato Trasparente e preceduto dal singolo La mia rivoluzione. Nel 2004 pubblica l’album/progetto live L’attuale jungla. Il 27 maggio 2005, l’avventura discografica di Marco Parente è ripresa con la pubblicazione da parte di Mescal di un nuovo singolo, Il posto delle fragole che anticipa l’uscita del primo di due album; non un album doppio dunque e neppure una sequenza rigorosa, ma due lavori assolutamente diversi per umore, suoni e atmosfere. Gli album, intitolati entrambi Neve Ridens, si distingueranno inoltre nella parte grafica del titolo: il primo avrà la parola Ridens cancellata, il secondo, ovviamente, la parola Neve. Perché questa scelta? L’idea di fare due dischi che uscissero a poca distanza uno dall’altro scaturisce da vari motivi. Quando sono entrato in studio avevo molto materiale, tutto molto valido secondo me, che aveva una vita propria. Non volevo sprecarlo, da qui l’idea di dividere il disco in due puntate, anche per permettere a chi ascolta di dedicargli la giusta attenzione. Qual è, se c’è, il filo conduttore dei due album? I lavori sono idealmente molto legati ma allo stesso tempo molto diversi. Sono contento perché per la prima volta ho avuto la possibilità di curarne ogni aspetto. Il primo lavoro, quello in uscita, è un lavoro di reazione, “politico” in un certo senso. Il secondo invece lo definirei poetico, più riflessivo. Questo avviene sia musicalmente che nei testi. La materia trattata è in sostanza la stessa in entrambi gli episodi ma con un colore, un sapore, una angolatura diversi. Il titolo stesso Neve ridens, l’associazione di due parole che apparentemente non ha un significato, secondo me rappresenta bene questo contrasto. Da un lato la neve, questa immagine rassicurante, dall’altro ridens solitamente associato alla iena che crea una suggestione inquietante. Neve ridens parte prima: come sempre hanno grande peso i testi e un codice musicale suggestivo, come vivi l’interazione tra parole e musica? Nascono separatamente ma è come se già sapessero di dover finire insieme. Ho una grande attenzione nei confronti della parola e una grande cura nella musica. Prendo però le distanze dal cantautorato inteso nel suo senso classico. Non so raccontare storie come fanno i cantautori, parlo di concetti, mi reputo un musicista perché mi piace stare dentro la musica e le parole. Tra i tuoi progetti molti sono vicini alla letteratura, il tuo tour con Ferlinghetti, il Rumore dei libri, ce ne parli? Il Rumore dei libri nasce dalla voce dei poeti. Inizialmente ho cominciato, anche tramite internet, ad ascoltare la voce dei poeti, il suono, il ritmo. L’ho catturata e la faccio “rivivere” sul palco in questo spettacolo facendola interagire con suoni e musica. Uno spettacolo che si concentra sul timbro, sul modo in cui le parole sono pronunciate. È una sorta di percorso sulla parola e la sua ombra, il suono in sé è poesia. Questo spettacolo poi dovrebbe anticipare ed accompagnare l’uscita della seconda parte di Neve ridens. Mentre il live legato al primo disco segue più lo schema rock and roll con cinque musicisti sul palco, per il live del secondo pensiamo a uno spettacolo diverso. Quale credi sia il futuro per la musica indipendente italiana? Quella che nasce spontanea senza progetti per arrivare in classifica? Io credo nella qualità delle cose, indipendentemente se siano commerciali o no. Riguardo alla musica indipendente italiana penso però si stia verificando quello che è successo anni fa in America. L’indipendente cresce, c’è un circuito. Poi ci sono casi in cui prodotti bellissimi rimangono nell’ombra altri in cui il riconoscimento arriva comunque. Nella tua musica emergono le più svariate influenze, cosa ascolti oggi? Cosa consigli ai lettori di coolclub.it? I miei ascolti spaziano molto, non sono affezionato a un genere, sono molto esterofilo in generale. Credo di essere stato influenzato da Elvis come dagli Intillimani. La musica mi piace tutta, e mi piace attingerne quando compongo. Attualmente sto ascoltando moltissimo un disco di rarità di Duke Ellington solo al piano... bellissimo… e poi sto ascoltando i Wilco…tutto. KeepCool 22 Elliot Smith L’ultimo poeta del Rock di Francesco Lefons The Roman Candle (Cavity Search, 1994) L’album, registrato a livello amatoriale su un quattro piste recording, canta di eroi portati all’eccesso, di giornate trascorse ad ubriacarsi, di suicidio, di abbandono. Elliott Smith (Kill Rock Star, 1995) Sin dalla copertina questo disco racchiude in sé tutta la sincerità di una condizione, quella di Elliott Smith, che viene fuori con straordinaria amarezza. Either/Or (Kill Rock Stars, 1997) Considerato dalla critica come l’album più bello di Elliott Smith, sicuramente Either/Or, racchiude in se l’esperienza delle precedenti produzioni, compresa un’accresciuta maturità artistica che lo allontana dalla cruda schiettezza. XO (Dreamkorks, 1998) Il passaggio ad una major, tanto temuto e agognato si è dimostrato in realtà molto positivo per Smith. Questo disco, infatti, lo consacra definitivamente, da tutti i punti di vista. Figure 8 (Dreamwork, 2000) Questo disco che arriva al culmine della popolarità di Smith, è all’altezza della fama del cantautore. Musicalmente più completo e curato dei precedenti, con una rinnovata propensione all’elettricità e all’effettistica. From A Basament On The Hill (Anti, 2004) Pubblicato postumo grazie al lavoro di Rob Schnapf e Joanna Bolme, la sua compagna. L’album era un progetto al quale Smith lavorava da più di due anni e, nonostante il suono del missaggio finale non sia mai stato cominciato, il disco è ben prodotto, anche se pare che il cantautore avrebbe voluto un suono più sporco e diretto Sono passati ormai due anni da quel 21 Ottobre 2003, quando Elliott Smith, uno degli ultimi poeti del rock, ha deciso di risolvere i suoi problemi andando dritto alla fonte con una coltellata al cuore. Di sicuro pensare ad un suicidio del genere fa venire i brividi e rimanda inevitabilmente a tutti quei personaggi che il rock ha conosciuto nel corso di cinquanta anni di storie e suoni; angeli venuti da chissà dove e comunque andati via troppo presto, quasi avessero fretta di sbrigare le loro faccende terrene; persone cariche di spiccata sensibilità e capaci di relazionarsi in maniera così intima e confidenziale con la loro musica, da riuscire a mettersi completamente a nudo di fronte a se stessi e al mondo: gente come Nick Drake, Syd Barret, Gram Parsons, Jeff Buckley (?), Elliott Smith, tutti artisti accomunati da un destino comune e da quella stessa fretta di “togliere il disturbo” che lascia l’amaro in bocca e che dipinge di mistero e introspezione la figura di questi artisti. Elliott Smith è sicuramente uno degli artisti più interessanti degli anni ’90, un cognome come milioni oltreoceano, che bene si addice ad una persona come lui, schiva e introversa, che nel corso della sua vita si è sempre scontrato con la sua instabilità emotiva, come fosse un esploratore alla continua ricerca di sé, eternamente diviso tra gioie e dolori. Una dicotomia, questa, che lo ha accompagnato sin da bambino, diviso tra la vita a Dallas, con la madre, e Portland, con il padre, con il quale Smith deciderà in seguito di vivere e dove muoverà i suoi primi passi cominciando a suonare con i compagni del liceo. La stessa dicotomia che vede Smith fondare, con il suo amico Neil Gust, gli Heatmiser (gruppo che si colloca temporaneamente nell’esplosione grunge e che quindi si riconduce per sonorità e soluzioni melodiche al sound sporco e aggressivo di Seattle), che in seguito abbandonerà inevitabilmente per dare spazio a quall’agrodolce musicalità, minimale e introspettiva, che caratterizzerà il suo prodotto cantautorale. Di sicuro l’esperienza degli Heatmiser, è stata un momento fondamentale per la carriera di Smith, nonché la prima che lo avvicina seriamente al discorso musicale. Con loro, infatti, oltre a fare numerosi concerti, incide due dischi nel giro di un anno, Dead Air (Frontier, 1993) e Cop And Speeder (Frontier, 1994). Nonostante il discreto successo Smith si sente frustrato e artisticamente stuprato dalle sonorità troppo aggressive della band. Decide quindi per la sua carriera da solista con l’uscita nello stesso anno di Roman Candle (Cavity Search Records, 1994), disco registrato a livello amatoriale su quattro piste recorder, in cui è presente la bella ed acerba Condor Avenue, canzone composta ai tempi del liceo. A seguito del discreto successo riscosso dal suo primo album presso il pubblico underground, nella primavera del 1995 viene contattato dall’etichetta Kill Rock Stars che gli propone di pubblicare per loro un nuovo album. La cosa piace a Elliott che pubblica il suo secondo Lp solista Elliott Smith (Kill Rock Stars, 1995). È con questi due dischi che prende forma in maniera netta e concreta il vero percorso artistico di Elliott Smith, un percorso che ritrae tutta la sua instabilità emotiva e l’estrema sensibilità di un uomo che non ha mai nascosto il suo male di vivere, ma lo ha sempre esternato con l’amara bellezza della sua musica, riuscendo a svuotarsi ed emozionarsi completamente ad ogni nota e ad ogni parola come fossero le ultime. Non è un caso, tra l’altro, che Smith usasse raddoppiare la linea vocale, ottenendo quell’effetto riverberato sulla voce che sempre più si allontana dalla sua naturale consistenza. Solo un espediente tecnico? Forse si o forse anche un gesto sintomatico, un modo per far fronte ad un’immensa timidezza, quasi a volersi proteggere da un’esposizione troppo violenta e diretta nei confronti di quella finestra, la musica, che lui apre al mondo. Dopo i primi due Lp, c’è ancora spazio per il terzo ed ultimo disco con gli Heatmiser, Mic City Sons (Caroline, 1996), prima di lanciarsi in quello che sarà il periodo più critico e allo stesso tempo fondamentale per lui, tra l’interessamento della Virgin al suo lavoro (mai andato in porto) e l’inizio della tormentata relazione con Joanna Bolme, che lo induce ad un esilio volontario a New York. È qui che dopo un anno di solitudine e uno stato di semidepressione permanente sempre più acuto (anche a causa dei continui paragoni cui è sottoposto dalla critica, Beck e Nick Drake soprattutto), viene concepito e in seguito pubblicato Either/Or (Kill Rock Stars, 1997), considerato dalla critica il suo disco più bello. Un anno dopo a seguito del suo contatto con Spielberg e la sua casa discografica esce XO (Dreamworks, 1998), il disco della sua consacrazione artistica. Ormai Elliott Smith è a tutti gli effetti un personaggio pubblico (anche grazie alla celebre serata di Los Angeles, in occasione della notte degli oscar, dove Elliott canta la stupenda Miss Misery, candidata alla conquista della statuetta e inserita nel film Will Hunting) e quest’attenzione mediatica lo destabilizza sempre di più e lo irrita. Nel 2000, al culmine della sua fama, esce un nuovo album, Figure 8 (Dreamworks, 2000): si tratta sicuramente del suo lavoro più maturo, oltre che essere l’ultimo Lp da studio. A differenza di quanto accaduto per XO, Smith decide di non apparire più di tanto; pochissime interviste, pochissimi concerti, la sua condizione psichica peggiora, psicofarmaci, alcool, droga diventano sempre più la sua via d’uscita preferenziale da una sovraesposizione nei confronti del mondo che da troppo tempo ormai lo logora. Forse il suo gesto estremo, mentre è alle prese con il lavoro che uscirà postumo, From A Basement On The Hill (Anti, 2004), che arriva dritto alla fonte dei suoi problemi, rivela la straordinaria genuinità e lealtà con la quale Elliott Smith si è sempre posto nei confronti della sua musica, vera, profondissima, evocativa, frutto di una continua somatizzazione del suo male di vivere, che non poteva più sopportare. È un gesto che merita rispetto e il doveroso silenzio, come fossimo di fronte alla lealtà e all’eleganza dei suoi dischi, depositari della sua malinconica bellezza. Coolibrì Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale la letteratura secondo coolcub Il calcio nel cinema italiano Cinque a Zero (1932), La contessa di Parma (1937), La famiglia Brambilla va in vacanza (1942), Ricchi e poveri (1949), L’inafferrabile 12 (1950), Undici uomini e un pallone (1951), La città si difende (1951), Ho fatto 13 (1951), Gli eroi della domenica (1952), La domenica della buona gente (1953), Se vincessi 100 milioni (1954), Gambe d’oro (1958), Il nemico di mia moglie (1959), Comizi d’amore (1964), Sette volte sette (1968), I due maghi del pallone (1970), Don Franco e Don Ciccio nell’anno della contestazione (1970), Il Presidente del Borgorosso Football Club (1970), In nome del popolo italiano (1971), L’arbitro (1974), Il Potere deve essere bianconero (1978) cortometraggio tv , Ragazzi da stadio (1980) cortometraggio tv, Il tifoso, l’arbitro e il calciatore (1982), Paulo Roberto Cotechino centravanti di sfondamento (1983), L’allenatore nel pallone (1984), Mezzo destro, mezzo sinistro: due calciatori senza pallone (1985), Ultimo minuto (1987), Quel ragazzo della curva B (1987), Appuntamento a Liverpool (1988), Italia-Germania 4 a 3 , Cicciolina e Moana ai mondiali (1990), Ultrà (1991), Al Centro dell’Area di rigore (1995), L’Ultimo Mundial (1999), Tifosi (1999) E poi:: Avanti c’è posto (1942), Roma città aperta (1945), Ladri di biciclette (1948), Bellissima (1951), Milano Miliardaria (1951), Don Camillo (1952) Un giorno in pretura (1953), Peccato che sia una canaglia (1954), Racconti Romani (1955), Il Ferroviere (1956), Moglie e buoi (1956), Il Marito (1957), Ladro lui, Ladra lei (1957), Belle ma povere (1957), L’uomo di paglia (1958), L’Audace colpo dei soliti ignoti (1960), Gli imbroglioni (1963), I Mostri (1963), I 4 tassisti (1963), Il disco volante (1964), Idoli controluce (1965), Operazione San Gennaro (1966), La classe operaia va in paradiso (1971), Roma (1972), C’eravamo tanto amati (1974), Sistemo l’America e torno (1974), Romanzo popolare (1974), Il secondo tragico Fantozzi (1975), Squadra Antiscippo (1976), Io sono un autarchico (1976), Un Borghese piccolo piccolo (1977), Ecce Bombo (1978), Tanto va la gatta al lardo (1978), La Terrazza (1980), Fico d’India (1980), Io so che tu sai che io so (1982), Scusate il ritardo (1982), Madonna che silenzio c’è stasera (1982), Il Tassinaro (1983), Bianca (1984), Mi faccia causa (1984), Giochi d’attore (1985), La messa è finita (1985), Il mistero di Bellavista (1986), Rimini Rimini (1987) Fratelli d’Italia (1989), Marrakech Express (1989), Benvenuti a casa Gori (1990), Mediterraneo (1991), Anni 90 parte seconda (1993), Fantozzi va in paradiso (1993), L’uomo che guarda (1993), Il Branco (1994), S.P.Q.R. (1994), Viva San Isidro (1994), Sud (1994), Lamerica (1994), Camerieri (1995), I Laureati (1995), Io no spik english (1995), Il Barbiere di Rio (1996), A spasso nel tempo (1996), Figurine (1997), Tre uomini e una gamba (1997), Banzai (1997), Così è la vita (1998), Paparazzi (1998), RadioFreccia (1998), Boom (1999), Il Cielo in una Stanza (1999), Lucignolo (1999), Giallo Parma (1999), La vespa e la regina (1999), Il Grande Botto (2000). Poi molti film dei Fratelli Vanzina: I Fichissimi (1981), Eccezzziunale... Veramente (1982), Vacanze di Natale (1983), Vacanze in America (1984), Simpatici e Antipatici (1997). AA. VV. Il portiere caduto alla difesa Intr. di Folco Portinari Manni editore “Hijos de puta”, occhi in alto a guardare i tifosi italiani che fischiavano l’inno argentino. In molti in Italia preferiscono non ricordare questo episodio, questo ennesimo scazzo con l’amatodiato figliolo Diego Maradona. Eppure, per quanto mi riguarda, credo che questo episodio sia rappresentativo proprio di un tipo di calcio sanguigno e passionale, fatto di sudore e brutte cose, gesti atletici memorabili e vite consumate male. Un’antologia sul binomio tra letteratura e sport è un’idea che mi piace, mi diverte, mi affascina, mi riporta ad anni romantici in cui le stelle del calcio erano veramente paragonabli ai gladiatori nell’arena. Troppo puliti oggi i nostri divi del rettangolo erboso, troppo belli, troppo patinati, vorrei dire anche troppo stupidi, ma non lo faccio, per non insultare i pochi, che, ancora, cercano di fare del calcio uno sport nobile. Scrive Folco Portinari, nella sua introduzione a questo Il portiere caduto alla difesa pubblicato da Manni editori, che se oggi si dovesse fare un romanzo sul calcio probabilmente dovrebbe essere ambientato nelle banche e nelle sale della borsa. Piuttosto lontano dalla puzza di sudore dello spogliatoio, non c’è che dire. E questa raccolta (che come tutte le raccolte rischia ovviamente di far dire: manca tizio, manca caio, ma come hanno messo sempronio e hanno tralasciato pinco?), offre uno spaccato interessante sulla letteratura (poetica e narrativa) su due sport nazional popolari come il calcio e il ciclismo. Alcuni testi molto noti, come le Cinque poesie per il gioco del calcio di Umberto Saba, alcune novità come Cuore di cuoio del tarantino Cosimo Argentina, alcune chicche come i testi di Gianni Brera o le invenzioni linguistiche di Salvatore Bruno. Ho iniziato questo pezzo citando Maradona, anche se in realtà all’interno del volume di el Diego non si parla, piuttosto è più facile leggere di Altafini, di Gipo Viani, di Riva e Rivera. Eroi d’altri tempi per uno sport che, citando sempre Portinari, è “una cosa che non c’è e, se c’è nella sua ultima metamorfosi evolutiva, è sempre considerata nella sua utopica astrazione”. Dario Goffredo Testi di Argentina - Arpino - Balestrini - Barberi Squarotti - Benni - Bernini - Bevilacqua - Brera - Bruno - Buffoni - Campanile Cucchi - Garlini - Gatto - Ghirelli - Giudici - Levi - Luzi - Montale - Nove - Olivero Pasolini - Portinari - Raboni - Saba - Sereni non sempre è tutto inventato almeno con la Juventus succede qualche volta può succedere mioddìo la paura del ridicolo la parola che risulta inadeguata! la realtà con la Juventus può anche essere quella che speravi è questo che vuoi dire? e può arrivare il momento che la ritrovi a volte, sai che faccio stasera? l’hai ritrovata? godo col gol di Praest, ragazza cinema lavoro? niente di tutto questo a letto col gol di Praest quel gol capolavoro che vidi fargli in Juventus-Inter del cinquantadue la partita dello scudetto, pronto? ma dov’eri c’è qualcuno da te non potevi rispondere? ma lasciatemi in pace sta sera non esisto sono solo col gol di Praest il gol dei gol c’è l’infinito Praest che avanza palla al piede verso la porta dell’Inter lui solo contro mezza squadra quattro cinque avversari distrutti annullati tutti ai suoi piedi cancellati cinquanta metri percorsi da solo il pallone dolcemente teneramente guidato dal suo magico piede l’inarrestabile Praest da metà campo fino alla porta dell’Inter mediani terzini portiere gli vanno incontro a turno e non lo ferma nessuno chi può fermarlo? è Praest della Juventus mia per favore ditemi che è poesia, lui non tocca il pallone lo carezza non li guarda neppure va avanti ignorandoli e loro crollano ai suoi piedi basta una finta col corpo non è che si fermi finge di fermarsi poi finge ancora questa volta controtempo forse ha deciso due cose insieme ora sembra che vada a sinistra invece va avanti come uno che ci ripensa per caso distratto senza convinzione e loro crollano non li sfiora neppure quelli dell’Inter gli vanno incontro uno dopo l’altro scivolano ai suoi piedi s’inchinano si prostrano per terra per adorarlo mentre lui passa un po’ assente svagato, cinquanta sessantamila quanti? in silenzio sulle tribune dietro l’implacabile pazzo Praest che porta a spasso teneramente il pallone e ignora tutti senza volerlo quasi non li vedesse non è gioco del calcio questa è una danza Praest la interpreta per se stesso sta componendo il suo preludio al gol è più d’una danza forse ha anche paura che non sia vero non è possibile che lui sappia con quel suo modo fra umile e indolente di ritrovarsi ogni volta solo dopo ogni avversario ne ha lasciati già quattro alle sue spalle ora si rialzano da terra possono soltanto guardarlo ormai non c’era che Ghezzi era rimasto il portiere dell’Inter anche lui fece per andargli incontro mentre Ghezzi si muoveva dalla porta Praest calciò, il piede che si stacca si abbatte sul pallone il colpo secco mentre Ghezzi gli correva incontro il pallone volò dai piede impennandosi nel sole per un attimo non ci fu che il sole teso basso all’altezza della porta Ghezzi restò come inchiodato per terra le braccia aperte un piede dietro appoggiato sulla punta immobile sull’erba neppure lui dové vedere il pallone alle sue spalle ricadeva dal sole stava già scivolando contro la rete gonfiandola e Ghezzi le braccia aperte il piede dietro appoggiato sulla punta guardava ancora Praest anche lui era caduto dopo il tiro stava per terra con la faccia sull’erba svuotato lo rialzò Boniperti gli altri della Juventus tutti intorno se lo passavano sorreggendolo fra le braccia è svenuto per la gioia piange di gioia ha segnato un gol incredibile il più grande gol della storia erano secoli che su un campo di calcio non si vedeva un gol come questo erano millenni centinaia migliaia di millenni milioni di millenni miliardi Salvatore Bruno, L’allenatore, Vallecchi Coolibrì Cosimo Argentina Viaggiatori a sangue caldo Avagliano Due coppie, un viaggio; un chirurgo e la sua giovane moglie incinta di appena sei settimane insieme a uno scrittore che sopravvive facendo supplenze come insegnante di diritto e a sua moglie Clara, una bella locandiera taciturna e sensuale. È agosto, l’auto su cui viaggiano è stata appena comprata e tra i due uomini c’è un’amicizia vecchia di oltre vent’anni. Con loro però s’imbarca in questa avventura estiva anche la Sorte. Il viaggio, che partendo dall’Italia si snoda attraverso la Spagna fino in Portogallo, si trasformerà ben presto in un incubo fatto di microfollie quotidiane e incidenti che arriveranno a minare l’amicizia tra i due uomini fino a una resa dei conti dall’epilogo sconcertante. Marco Bonfiglio Beatles for sale Fermento Grande appassionato del gruppo inglese, Marco Bonfiglio (autore per Fermento di versioni in prosa dell’Iliade e dell’Odissea) fa rivivere l’epopea dei Beatles in questo romanzo. Con un linguaggio serrato, brioso e brillante, riporta il lettore indietro di quarant’anni. Per scoprire che in realtà quattro decenni non sono mai trascorsi, che la musica dei Beatles è ancora parte integrante della nostra vita di tutti i giorni. Pino Cacucci Nahui Feltrinelli Nel 1961 il poeta Homero Aridijs incontra per strada una povera disgraziata che vende per due lire vecchie cartoline, vecchie immagini di sé giovane, nuda, bellissima. I suoi occhi verde smeraldo brillano ancora e il poeta la riconosce: è Carmen Mondragon, in arte Nahui Olin, la più bella donna di Città del Messico quando a Città del Messico c’erano le più belle donne del mondo. Negli anni venti e trenta. Negli anni della rivoluzione, di Emiliano Zapata e di Pancho Villa. Nel tempo in cui, in nome del popolo e di una libertà che sembrava lì a due passi, un pugno di artisti e di intellettuali scosse dalle fondamenta cultura e politica, creatività e morale di un intero paese. E proprio su questo sfondo che si muove la leggendaria storia di Nahui. Piero Colaprico, Pietro Valpreda Le stagioni del maresciallo Binda Tropea In un solo volume sono raccolti quattro episodi 24 Salvatore Niffoi La leggenda di Redenta Tiria Adelphi di Antonio Iovane La morte illumina queste storie. Salvatore Niffoi ci mostra la vita nella prospettiva della sua fine. Dei suoi protagonisti noi ci troviamo ad attendere la morte, perché nel paese di Abacrasta, prima o poi gli abitanti sanno che sentiranno la Voce. Cosa dice, la Voce? Dice: «Ajò! Preparati che il tuo tempo è scaduto». Così gli uomini si slacciano la cinta e s’impiccano. Le donne usano la fune. La leggenda di Redenta Tiria è il libro più cupo che esista. Poi, in paese, arriva la cieca Redenta Tiria. E Redenta Tiria convince gli abitanti a non farlo. A non farlo più, perché «il mestiere del vivere è cosa difficile da imparare ma non impossibile». E la vita si biforca, i condannati al suicidio scelgono la strada alternativa. Così La leggenda di Redenta Tiria è il libro più felice che esista. Cosa ci mette dentro, Niffoi? Una lingua contaminata, ricercatissima; una sintassi mai banale; un innovativo contrasto tra società agropastorale e la modernità di cellulari e E-mail. E insieme a questo riproduce la sua Sardegna come metafora attraverso un’arte da narratore puro che non indugia sulle digressioni ma va dritta, verso gli eventi. Per offrire la Storia, che diventa una media ponderata delle sue storie. Sorprendente. Massimiliano Parente La Macinatrice peQuod di Rossano Astremo La macinatrice è una storia dove seduzione, erotismo, pornografia, perversione si mescolano generando il voltastomaco dei perbenisti. C’è una società di macelleria, che controlla una casa editrice che controlla due tv locali, con annessa la gestione di un’attività sotterranea che ha al suo centro un rivoluzionario sito Internet che supera ogni confine sulla pornografia online. Ci sono personaggi dai nomi più che mai evocativi e una schiera di mestieri come sculacciatrici o sgusciatrici di lumache che verranno utilizzate in apposite scenografie sessuali. C’è la voce narrante, Andrea, che non si dà pace da quando ha sentito parlare di questa “macinatrice” misteriosa. Ci sono i legami tra i soci dell’azienda e il mondo politico, ricatti, incursioni in Vaticano, il tutto teso a ordire un complotto per rovesciare il sistema democratico. La macinatrice è un romanzo fatto di molti livelli e molti linguaggi. Una novità assoluta nella letteratura, una risposta linguistica sfrenata a ogni minimalismo. Un’opera di scrittura estrema ed ambiziosa, “un organismo estetico e onanistico che muta aspetto a ogni rilettura, uno dei libri più osceni mai scritti, e che tende, gaddianamente, a prendere “tutto dentro”, puntando al cuore dell’immaginario occidentale”. Roberto Alajmo Palermo è una cipolla Laterza di Rossano Astremo Un anno di attività e una decina di testi all’attivo. Si tratta di “Contromano”, collana di narrativa della casa editrice barese Laterza, che ha da poco pubblicato “Palermo è una cipolla” di Roberto Alajmo. L’idea è di creare delle piccole guide ad uso e consumo del pubblico di lettori e di farlo creativamente, con l’estro non ortodosso degli autori selezionati. E i risultati non si sono fatti attendere. Roberto Alajmo descrive con ironia i luoghi e i modi di vivere del capoluogo siciliano. Dall’aeroporto di Punta Raisi alla distanza incolmabile tra la città e il mare, lo scrittore passa in rassegna i volti della gente, i rituali legati al cibo, i giardini e le ville, svelandone l’identità segreta: “Gli abitanti della Città nutrono un’avversione scaramantica per ogni forma di compiutezza. Se inaugurano un teatro, lo fanno sempre in assenza di qualche requisito essenziale per il pieno funzionamento. Se si costruisce una diga saranno le canalizzazioni a restare incompiute. Al completamento si penserà poi, se e quando sarà possibile. Dietro questa sistematica inconcludenza è possibile rintracciare un profilo ancestrale di superstizione. Sembra quasi che gli abitanti della Città inconsciamente avvertano che nella piena compiutezza è inscritta un’infelicità latente”. Lettura rapida e divertente. Parlami d’amore Mariù a cura di Elvira Bonfanti Manni editore Le canzoni, come tappe, segnano momenti del nostro vivere personale e collettivo, la musica, o meglio la canzone, la popular music, quella che gode di una larga diffusione e che arriva per facilità di fruizione e semplicità di codici ai più, è un mezzo diretto. Esplorarne le origini, i primi autori, sentirla raccontata dalle parole di Enzo Jannacci e Dario Fo è un modo, un altro, per parlare della nostra canzone. Dai suoni che arrivavano da oltreoceano, al momento, quello designato come l’origine, in cui parole e musica coincidono in una persona inaugurando i prodromi del cantautore. Un percorso a più firme, articolato secondo interventi e quindi senza un ordine cronologico. L’arco di tempo rappresentato è la prima metà del 900, le figure di Cesare Andrea Bixio e Giovanni D’Anzi, tra i più importanti compositori di canzoni e colonne sonore sono ampiamente trattate nella parte centrale. Il panorama tracciato in questo libro a cura di Elvira Bonfanti fa luce su un periodo della nostra canzone di solito trascurata dagli studiosi che preferiscono dedicarsi ai più prolifici e famosi anni 60. Il libro non è solo una testimonianza del suono ma anche della società, dei grandi cambiamenti di quegli anni, un modo diverso per raccontare una parte della storia del nostro paese. creati da Piero Colaprico e Pietro Valpreda attorno alla figura di Pietro Binda, ex maresciallo dei carabinieri in pensione che si distingue per sobrietà e umanità. Lombardo di nascita, milanese d’adozione, Binda è un “investigatore solitario che conosce la città e sa parlare alla gente”. I titoli, pubblicati precedentemente da Tropea, sono: La primavera dei maimorti, L’estate del mundial, Quattro gocce d’acqua piovana e La nevicata dell’85. Quattro storie caratterizzate dall’amore per il dettaglio, per il linguaggio parlato, per Milano e per la sua gente. Gemma Gaetani Colazione al Fiorucci store (Milano) Lain Colazione da Tiffany è uno dei film preferiti di Gemma Gaetani. Che ha provato a riscrivere la storia, facendola partire dal punto esatto in cui finisce il film e ambientandola nei giorni nostri, in Italia. New York è diventata Milano. Tiffany il Fiorucci store. Poi Gemma ha pensato a un montaggio non diacronico. Ha mischiato le carte. Ci ha messo dentro se stessa, la poesia, l’amore, la musica, il dolore, l’erotismo, la paura e la gioia pura. Al ritmo di Fernando Pessoa, Andrea Pazienza, Milo De Angelis, Lou Reed, gli Eiffel 65 e i Depeche Mode. Ed è nato questo romanzo in versi con lieto fine. Antonio Moresco Scritti di viaggio, di combattimento e di sogno Fanucci Mosca nei giorni del massacro al teatro Dubrovka, le cavallette che hanno invaso il mondo, i maiali che infestano l’Italia, un convento di monache di clausura, un mostro incontrato a Lisbona, Madrid, l’Argentina dopo il disastro economico, le acque fredde della terra del fuoco... Ma anche altri viaggi attraverso lo spazio e il tempo, il nostro passato e il nostro futuro. E poi il dominio sulle menti e sui corpi, la guerra, il sogno della letteratura. Attingendo al reportage e al racconto fantastico, all’allegoria e all’invettiva, l’autore costruisce un mosaico tutto legato dal movimento del viaggio, del combattimento e del sogno, offrendo al lettore una prospettiva inedita sul nuovo millennio. Marc Augé La madre di Arturo Bollati Boringhieri Una sorta di romanzo giallo scritto da uno dei più penetranti etnologi francesi, maestro nel cogliere le stranezze che si nascondono tra le pieghe della realtà quotidiana. Jean, scapolo Coolibrì impenitente, viene a sapere che Nicolas, suo amico d’infanzia, docente universitario come lui, è scomparso. Su richiesta della sua donna, Isabelle, e di sua madre, si mette sulle sue tracce, convinto che il suo “complice di sempre” gli abbia intenzionalmente lasciato degli indizi. Ma è lontano dall’immaginare ciò che sta per scoprire... Marc Augé, professore all’EHESS di Parigi, si dedica ormai da molti anni a un’”antropologia dei mondi contemporanei”. Gisela Scerman Piero Ciampi Coniglio Editore Nel 1980 moriva il cantautore livornese Piero Ciampi. Semisconosciuto in vita, Ciampi ha ottenuto la notorietà dopo la morte, grazie alla riproposizione della sua opera da parte di autori quali Nada, Gino Paoli e Paolo Conte. I suoi cd sono stati ripubblicati e hanno grande successo tra i giovani, tra cui l’autrice, che con un sapiente lavoro di ricerca ha ripercorso tramite una serie di interviste il percorso artistico e umano del cantautore genovese. Introduzione di Fernanda Pivano. Morgan Spurlock Super Size Me (Dvd + libro) Feltrinelli - Real Cinema Cosa succede se un essere umano poco più che ventenne perfettamente sano decide di mangiare per trenta giorni, colazionepranzo-cena, solo e soltanto hamburger e patatine Mc Donald’s? Vincitore del Sundance Film Festival 2004 come migliore regia e nomination all’Oscar 2005 come miglior documentario. Nel DVD intervista ad Allan Bay e “José Bové: lo smontaggio di un Mc Donald’s”. Con il libro Il grande tritacarne, testi di Marco D’Eramo e Morgan Spurlock e interviste a José Bové e François Dufour. Eugenio Borgna Le figure dell’ansia Feltrinelli Una ricerca sul senso dell’ansia: partendo dai suoi scenari, passando attraverso la sua dimensione clinica e psicopatologica, e quella fenomenologica ed esistenziale, per arrivare alle sue risonanze estetiche e creative. Madron Paolo Il lato debole dei poteri forti. Da Cuccia ai furbetti del quartierino: miserie (molte) e virtù (poche) del capitalismo italiano Longanesi L’autore, giornalista ben addentro a storia, personaggi e misteri dell’economia e dell’ambiente che vi 25 Tiziano Scarpa Groppi d’amore nella scuraglia Einaudi – 2005 di Rossano Astremo Con il suo ultimo libro Groppi d’amore nella scuraglia Tiziano Scarpa fantastica in versi mimando un dialetto pseudo-abruzzese. Protagonista una comunità che insorge contro una discarica voluta dal sindaco. Su tutti campeggia il narratore, Scatorchio, pazzamente innamorato della non aggraziata Sirocchia. I “groppi d’amore” giungono quando l’io narrante immagina la sua donna in compagnia del suo nemico giurato Cicerchio. La “scuraglia”, ossia l’oscurità tempestosa che agita i pensieri di Scatorchio non si palesa solo nelle sue pene d’amore. Perché il testo di Scarpa è un piccolo poemetto civico sull’Italia contemporanea. C’è quindi la “scuraglia” politica e civile del paese, e la reazione degli abitanti che non si lascia attendere. L’immondizia non è solo filo conduttore contenutistico che dipana la matassa del plot, ma soprattutto concrezione linguistica, abbrutimento formale, espressionismo carnascialesco, il tutto proiettato nella costruzione di una storia grottesca, dove la contemplazione finale della “munnezza” da parte di Scatorchio metaforizza il punto di vista dell’autore sulla “sua” Italia. Maurizio Cotrona Ho sognato che qualcuno mi amava Palomar L’esordio è sempre difficile e rischioso per chi lo fa e strano da valutare per chi lo legge. Mi sono accostato con molta curiosità a Ho sognato che qualcuno mi amava (il cui titolo richiama una canzone degli Smiths), opera prima del tarantino Maurizio Cotrona, recentemente eletto all’unanimità “Libro del mese” dalla libreria L’albero delle lettere di Genova, e sono rimasto un po’ deluso. La nota introduttiva di Christian Raimo (“il libro riesce, nella dissolvenza di questo tempo di transizione e smarrimento, a illuminare la complessità della vita umana attraverso storie semplici di amore e abbandono, solitudine e tenerezza, che descrivono l’apparente deserto affettivo contemporaneo come l’anticamera di piccoli incendi dell’anima”) lascia presagire qualcosa che non c’è o comunque non ho notato. L’intreccio delle storie e dei personaggi (che vengono raccontanti e analizzati uno alla volta nei vari capitoli) mi sembra un po’ debole e anche la scrittura semplice e lineare (questo va riconosciuto in tempi di abbondanza, ridondanza ed eccessiva e gratuita sperimentazione) rischia in alcuni frangenti di essere “banale” (inteso nell’accezione meno offensiva). Il romanzo può piacere o meno ma va dato atto alla Palomar del tentativo di promuovere giovani scrittori pugliesi nella sua collana Cromosoma Y. (P. L.) Mariangela Mianiti Una notte da entraîneuse. Derivepprodi Alcune settimane fa ascoltando la radio (non ricordo dove, quando, come) mi sono imbattuto in una trasmissione di approfondimento nella quale si discuteva di questo libro. Una notte da entraîneuse. Lavori, consumi, affetti narrati da una reporter infiltrata di Mariangela Mianiti mi ha incuriosito per la sua “strana forma”. L’autrice, giornalista parmense che attualmente collabora con varie testate, fra cui “Diario” e “Amica”, raccoglie alcune delle sue inchieste. Un lavoro che negli ultimi anni è stato tipico di trasmissioni di protesta come Le iene o Striscia la notizia ma che trova ancora (e per fortuna) asilo in alcune testate. La Mianiti si è finta entraîneuse, donna in cerca di marito, acquirente di una casa (da cinque milioni di euro), ragazza alla ricerca di un aiuto dal chirurgo estetico, cameriera. Trentacinque episodi che raccontano l’Italia degli ultimi dieci anni con gli occhi dei precari, dei lavoratori flessibili, dei consumatori impossibili alla scoperta di un paese che è “intriso” di corruzione e servilismo. Come racconta la giornalista “Tutto è cominciato da un’inchiesta sul lavoro. Mi sono finta disoccupata e ho cercato tra gli annunci, tanti, che offrono di tutto”. Per lavoro si intende tutto, anche l’entraîneuse. Gianfrancesco Turano Ragù di capra Dario Flaccovio Editore di Daniele Lala Il protagonista, Stefano Airaghi, imprenditore della Milano da bere sull’orlo del fallimento ha un piano molto semplice per cambiare vita: truffare la compagnia di assicurazioni affondando il suo yacht, fingersi morto e scappare nell’est una volta incassato l’indennizzo; suo complice è il suo amico e socio calabrese Sammy Morabito, nipote di un boss della Locride, che gli procura ospitalità nel suo paese d’origine in attesa della dichiarazione di morte presunta. Tutto molto facile ma, nel sospetto di essere preso in giro dal socio, il milanese fonda una cosca personale, cercando di applicare la mentalità imprenditoriale alla ‘ndrangheta, e finisce col mettere il suo naso settentrionale negli affari di ‘zzi Saro, il boss locale. Sfogliando le pagine ci si immerge in una storia ironica e drammatica nello stesso tempo, in cui il confronto tra due mentalità diventa conflitto. È netta la contrapposizione tra Airaghi, imprenditore rampante e senza scrupoli, che vede le persone come semplici pedine per costruire la propria fortuna, e le regole e i metodi spietati della criminalità locale. Personaggi ben tratteggiati, caratterizzati dal saper sfoderare una buona dose di battute e termini nei due dialetti (calabrese e milanese) nei momenti giusti, che si scontrano in una Locride incontaminata ma anche spietata verso gli “stranieri”. ruota intorno, presenta in questo libro una galleria degli odierni protagonisti del mondo industriale e finanziario del nostro Paese. Ne disegna un ritratto a tutto tondo, dall’ascesa alla consacrazione. Ne traccia, soprattutto, un profilo umano e professionale, descrivendo di ciascuno le (alterne) vicende e anche le (dis)avventure Carver Raymond Tutti i racconti Mondadori - I Meridiani Il Meridiano curato da Gigliola Nocera, americanista di Catania, raccoglie tutta la narrativa di Raymond Carver, suddivisa in sette raccolte di racconti già pubblicate, accompagnate da una scelta di saggi che illustrano le motivazioni della sua scrittura. Una scrittura ingannevolmente semplice, in cui “tutto è importante, ogni parola, ogni segno di punteggiatura”. Carver è considerato il padre del minimalismo americano, e il maestro di un’intera generazione di scrittori, da Leavitt a McInerney, a Bret Easton Ellis. Houellebecq Michel La possibilità di un’isola Bompiani In un futuro inquietante, dominato da cloni che sembrano aver pagato l’immortalità con la perdita della capacità di ridere, piangere e provare emozioni autentiche, due misteriosi personaggi, Daniel24 e Daniel25, trovano i diari del loro “originale”, Daniel1, vissuto ai nostri giorni. La lettura commuoverà molto Daniel25 che conoscerà così la sofferenza, distruggendo il sogno dell’immortalità dei suoi creatori. Provocatorio, ironico, il romanzo di Michel Houellebecq è una riflessione sul senso della vita che viviamo e sulla possibilità di replicarla. Susan Gray Citizen Berlusconi Elleu Nessuna televisione italiana lo ha mai mandato in onda! Citizen Berlusconi è la versione originale, con i sottotitoli in italiano, del documentario trasmesso il 21 agosto 2003 dalla Pbs, la tv pubblica americana. Pbs, che significa Public broadcasting service, negli Stati Uniti è sinonimo di televisione di qualità, magari un po’ noiosa, ma approfondita ed equilibrata. Anche per questo è interessante vedere come parlano dell’Italia - nel bene e nel male. Un’inchiesta choc realizzata negli Stati Uniti racconta “Sua emittenza” come nessuno, in Italia, ha avuto il coraggio di fare. Un lavoro giornalistico Coolibrì minuzioso e accurato, basato su una puntuale verifica delle fonti e arricchito da interventi e testimonianze di studiosi e politici italiani.. “The prime minister and the press”, questo il titolo originale, è stato trasmesso in Svezia e nei Paesi Bassi, in Finlandia e in Australia, ma finora nessuna televisione italiana lo ha comprato. Jean-Bernard Pouy Spinoza incula Hegel Castelvecchi In una Parigi futura, città degna di un surreale Blade Runner in salsa post-filosofica, si scontrano due fazioni in lotta: Spinoziani e Hegeliani. Efferata e beffarda satira del mondo culturale francese, grido di speranza e vitalità gettato come un sasso contro le barricate dell’intellighenzia. Emilio Quadrelli Gabbie metropolitane DeriveApprodi Modelli disciplinari e strategie di resistenza Gabbie metropolitane è un libro sui modelli disciplinari, le forme del controllo e le pratiche militari che, a partire dal carcere, si sono adeguate alle trasformazioni sociali ed economiche dell’ultimo ventennio. Dalla fine della centralità del lavoro di fabbrica e del relativo modello punitivo basato sulla «grande reclusione», molte sono le novità introdotte nel sistema di sorveglianza. Dalla riforma penitenziaria del 1975 alle trasformazioni che l’universo carcerario ha subito nel corso degli anni Ottanta, questo libro rappresenta un excursus su trent?anni di reclusione, punizione e rivolta. Attraverso un lavoro etnografico di ricerca sul campo, essenzialmente basato su interviste e racconti orali, l’autore mostra la progressiva trasformazione 26 Alessandro Bertante Re Nudo NdA press Re nudo è il libro che ripercorre la storia della grande rivista underground italiana degli anni ‘70, la rivista dei sognatori, dei gruppi di aggregazione spontanea, dei primi movimenti omosessuali e femministi, della sinistra radicale che ancora non sparava. Re nudo ha fatto sapere a migliaia di giovani che il mondo stava cambiando e che loro potevano essere parte attiva di questo cambiamento. Una rivoluzione politica e culturale da attuare giorno per giorno, seguendo l’esempio della controcultura internazionale, delle esperienze sociali e comunitarie del Nord Europa, delle lotte degli afromericani e dei movimenti di liberazione del terzo mondo. Era questa l’utopia dei giovani milanesi nati dall’ambiente “beat-provos” di pochi anni prima ed accompagnati nella crescita dalla grande influenza dei miti dell’epoca: Kennedy, Che Guevara, Mao-Tse-Tung. Miti che si affiancano inconsapevolmente a comportamenti di massa rappresentativi di un urgente esigenza di cambiamento. L’esperienza stupefacente, la minigonna, la scoperta delle civiltà extraeuropee, l’anticonformismo delle rock star, sono fattori culturali che concorrono alla formazione di un nuovo antagonismo sociale e radicano nei giovani, l’idea di essere la generazione destinata a cambiare il mondo. Prima dell’uscita del numero 0, nel novembre del 1970, compaiono sui muri di Milano delle scritte anonime “Re nudo?”. Una forma innovativa di promozione che sarà ripresa negli anni ‘90 da un grosso partito politico prima della sua nascita ufficiale. L’espediente riuscì a creare un clima d’interesse intorno al giornale ed il numero 0 distribuito a mano al costo di duecento lire andò esaurito nell’intera tiratura di diecimila copie. Per aggirare le leggi del controllo sulla stampa, Re nudo, fondato da Andrea Valcarenghi uscì come supplemento al numero 19 di Lotta continua, con Marco Pannella nel ruolo di direttore editoriale e con i contributi di Dario Fo, Sante Notarnicola e Michele Straniero. Le istanze maturate nella prima fase degli anni settanta sono in gran parte andate deluse, del patrimonio di idee che dovevano cambiare il mondo solo poche hanno ancora un minimo di attualità. La controcultura però ha lasciato il segno e per tale motivo, leggere Re nudo oggi, nel pieno di un revisionismo storico di quegli oscuri anni ‘70 uccisi dalla pistola e dalla siringa, può fornire un ottimo strumento di comprensione di una realtà, quella della cultura underground il cui compito fondamentale fu la lotta senza quartiere contro la solitudine e l’emarginazione dell’uomo all’interno della società di massa. Il ritorno al “personale” tanto strombazzato dalla redazione di Re nudo, era la sentita esigenza di un nuovo “umanesimo”, che abbandonasse definitivamente la necessità di religioni, famiglia e fabbriche assassine, strumenti essenziali di una coercizione totale, ieri come oggi. Capire i primi anni ‘70 potrebbe essere di grande interesse per chi, continua a liquidare gli anni di piombo come appendice violenta della contestazione. I bisogni nascono dai sogni frustrati. I sogni degli anni ‘70 andavano dritti verso il cielo. La frustrazione che ne seguì fu estremamente violenta. AA.VV. Essere magri in Italia - Antologia di racconti bulimici Coniglio Editore di Lorenzo Coppola Laura Pausini deve perdere quattro chili entro l’uscita del suo nuovo disco e viene sgridata da una discografica che la sorprende a mangiare un krapfen tra un’intervista e l’altra. Con quest’immagine bizzarra Matteo B. Bianchi, che deve avere un debole per le popostars (già Raiz è stato protagonista di un suo racconto), apre questa raccolta di racconti “bulimici” che ci fa imbattere in strani personaggi. Ad esempio un uomo fin troppo pacato che si lascia azzannare e scarnificare da un’amante inquieta (l’angosciante Die Fresserin di Rosella Postorino) o una ragazza che contando i vasetti di yogurt mangiati avidamente cerca di capire quanto tempo è passato da quando si è barricata in casa, lontana da un mondo che non la comprende (Milena non esce di Giò Selva). Tra gli autori che scelgono di disgustare il lettore la più brava a centrare il bersaglio è la giovanissima Genea (il titolo del suo racconto, Del vomito e altre delizie, suona già come una dichiarazione d’intenti), altri ancora, sebbene il nome dell’antologia parli piuttosto chiaro, vanno un pò fuori tema. Tra questi Daniela Gambino lo fa in modo sorprendente e nel bellissimo Infinito amore affida la narrazione a un prosciutto appena stagionato che, ignaro del futuro che lo attende, sogna le nozze col melone per esorcizzare il terrore di finire tra funghi e carciofi su una pizza capricciosa. Il merito di questo libro è riuscire a far riflettere senza retorica e con un umorismo mai offensivo, su un tema che di leggero non ha proprio niente. del modello disciplinare. Un modello che oggi, lungi dall’essere meramente repressivo, si rivela produttivo e appetibile per i dispositivi di «governo della società» nonché estendibile a tutte le forme di vita e di lavoro. Ma scopo del libro è anche mettere in luce le nascenti resistenze al modello di società dominante e al ruolo politico che il carcere torna ad assumere. In questo senso la ricerca di Quadrelli è fedele, nel metodo, a quella del suo ispiratore Michel Foucault per il quale «non vi è potere senza resistenza». Marco Gaburro Calcio al calcio Nonluoghi Pallonate nel diario di un mister Un allenatore racconta il mondo del calcio e il suo progressivo snaturamento dal quale ripartire per ritrovare l’essenza di un gioco travolto dalle logiche del business e dello spettacolo. Risulta fondamentale, in quest’ottica, una trasformazione dell’approccio nei riguardi dei bambini, che in Italia oggi oscura con l’esasperazione agonistica - alimentata da genitori e società - il sano piacere di rincorrere una palla “magica” nel rettangolo verde o in un campetto di sabbia. L’autore non tralascia l’esame dei vari elementi che rendono un gruppo più forte in termini calcistici e non lesina critiche alle metodologie di allenamento che antepongono gli aspetti quantitativi a quelli qualitativi. Marco Philopat I viaggi di Mel Shake Milano, 1966: i primi capelloni invadono le strade. Tra loro Mel, un siciliano da poco tornato dalla Svezia, dove ha conosciuto il sesso libero e un pianeta nuovo. Insieme ad alcuni amici fonda la rivista “Mondo Beat” e inizia a praticare nella vita quotidiana la filosofia beatnik. I giovani accorrono in massa. Nasce Barbonia City, ed è subito scandalo! Mel, però, non può fermarsi. Uomo senza radici, dinamitardo della natura umana, fugge quasi subito dalla città e inizia un viaggio lungo cinquant’anni. Da leader della contestazione si trasforma in istrione, artista, erotomane paradossale, abile provocatore della comunicazione e campione di audience in molte trasmissioni televisive. Melchiorre Gerbino: l’affabulatore, lo storico e il cialtrone... Un avventuriero inconsueto. Un viaggiatore cosmico, certamente... Coolibrì Da studioso della canzone d’autore ad autore egli stesso di canzoni. Marco Peroni, nato a Ivrea nel 1972, è laureato in Storia Contemporanea con una tesi su Luigi Tenco, poi diventata una trasmissione radiofonica per Radio Tre. Nel 1999 pubblica il suo primo libro Il nostro concerto. La storia contemporanea tra musica leggera e canzone popolare, pubblicato da La Nuova Italia ma da pochi mesi riedito da Bruno Mondadori. Poco dopo nasce la collana Le voci del tempo, ideata e curata da Giovanni De Luna e da Peroni per la Ricordi. Si tratta di una serie di libri di storia dell’Italia repubblicana che però usa come strumento narrativo la voce e le canzoni dei cantautori. I primi tre libri sono Luigi Tenco, Gino Paoli e Fabrizio De Andrè. Nel 2005 scrive i testi per il disco d’esordio dell’amico Edoardo Cerea, Come se fosse normale, prodotto da Mario Congiu. Nel tuo libro Il nostro concerto. La storia contemporanea tra musica leggera e canzone popolare (Bruno Mondadori) hai ripercorso la storia italiana tramite i cantautori: in che modo le canzoni possono rappresentare un documento, quanto il testo e in quale misura la musica può rappresentare un periodo o un momento storico? In Italia in molti, senza nemmeno accorgersene, dividono ancora la cultura in “alta” e “bassa”: la letteratura, la poesia, la pittura da una parte e la musica leggera dall’altra… questo ci ha obbligato ad assistere a spettacoli abbastanza indecorosi come docenti letterari intenti ad analizzare le canzoni con gli strumenti della critica letteraria: per loro, De Andrè è un “poeta”, intendendo con questo che Le voci del tempo. Intervista con Marco Peroni 27 di Osvaldo Piliego era talmente bravo da non essere più considerabile un cantautore, bensì un artista degno di essere considerato parte della cultura “alta”. Invece non esistono arti maggiori e arti minori, ma artisti maggiori e artisti minori. Il risultato di questo schema è che di una canzone gli intellettuali, gli storici in questo caso hanno preso sempre in considerazione soltanto il testo, come se le parole fossero in qualche modo la parte nobile di un brano. In realtà, come tutti (gli altri) sanno, le parole di una canzone sono state scritte per essere ascoltate nella musica, non per essere lette: la loro bellezza ma anche il loro significato ci arriva solo se considerate nella melodia, nel loro rapporto con gli accordi (ad esempio, il ritornello di Tenco “vedrai, vedrai / vedrai che cambierà” ha una forza pazzesca se ascoltato, non ne ha alcuna se letto: sono la melodia e l’accordo in minore su cui essa chiude che fanno capire che non è vero, che probabilmente non cambierà un bel niente, e che danno drammaticità alla canzone…). Per tornare alla tua domanda, nel mio libro Il nostro concerto cerco di dimostrare nei dettagli come una canzone possa testimoniare il suo tempo storico, e lo faccio considerando sia le parole che la musica: è nel rapporto fra questi due strati espressivi che si nascondono le informazioni più preziose per lo storico, e qualunque ricerca che non ne tenga conto è destinata a naufragare. Quando gli urlatori dei primi anni Sessanta cantavano testi pudibondi su ritmi rock, senza saperlo ci stavano lasciando dei documenti in grado di raccontarci come l’Italia stesse diventando più facilmente un paese industriale (da contadino che era) piuttosto che laico (da cattolico che era): una modernità accettata più facilmente sul piano dei consumi (elettrodomestici, lambrette, 600, rock’n’roll) che non su quello della morale profonda (concetto di fedeltà, sessualità, verginità come valore e così via). Ci parli della collana “Le voci del tempo”? È insieme la più grande soddisfazione che ho avuto come saggista (ideare e curare una collana con lo storico Giovanni De Luna), e il mio più grande dolore (averla realizzata con la Ricordi): grazie ad anni di lavoro, siamo riusciti a realizzare una serie di volumi dedicati ognuno ad un cantautore, ma in quanto interprete del proprio tempo. Il libro su Luigi Tenco, ad esempio (da me scritto con Gioachino Lanotte) non è l’ennesima biografia, né un saggio musicologico e basta, ma è un libro sulla storia degli anni Sessanta ripercorsa attraverso le canzoni di questa voce straordinaria. È una maniera di fare memoria in cui credo molto: la quantità di sapere storico trasmessa oggi dagli storici è del tutto trascurabile, bisogna guardare in faccia alla realtà ed immaginare percorsi narrativamente più efficaci. La famiglia Tenco si è entusiasmata moltissimo per il nostro lavoro, ci ha invitati nella casa in cui abitò anche Luigi (una grande emozione per noi, così appassionati e discreti) e ci ha regalato alcune sue foto da inserire che sono sbalorditive, che lo ritraggono in atteggiamenti del tutto quotidiani, mai in posa: e i complimenti più grossi li tengo per me. Peccato che tutti questi libri usciti l’anno scorso stiano rendendo polvere nei magazzini della Ricordi, che non li distribuisce e non li promuove (si trovano soltanto nei punti vendita Ricordi e nelle librerie Feltrinelli). Esiste un rapporto tra popular music e letteratura. Come credi che le canzoni siano debitrici della letteratura e al contempo quanta letteratura nasce da suggestioni musicali? Il rapporto tra musica e letteratura c’è eccome, le emozioni una volta raccontate vivono di luce propria e attraversano barriere che sono soltanto nostre, mentali. Nelle scrittura del primo De Andrè ci senti la carta, le parole mandate in rima che si rincorrono per i secoli. Nelle canzoni dell’ultimo Springsteen ci vedi soprattutto il cinema, la narrazione per immagini. Alta fedeltà di Nick Hornby è il diario di una persona la cui sensibilità è stata plasmata, deragliata dal rock: tutto è molto più fluido e mescolato di quello che si può pensare un po’ superficialmente. Hai scritto un libro su Tenco, uno tra i cantautori che il tempo ha riscoperto e rivalutato: quale meccanismo (vedi anche la recente scomparsa di Sergio Endrigo e suoi ultimi difficili anni) secondo te caratterizza il cosiddetto cantautore maledetto, immagine, testi... La storia della musica è piena di storie e di autori misconosciuti di grande valore (Ciampi ad esempio). Tenco e Ciampi li adoro perché erano bravi, più che maledetti. Anche se la trasgressione, l’anticonformismo sono state delle caratteristiche fondamentali nella loro vicenda umana e artistica. Però la trasgressione senza bellezza è retorica come una canzone d’amore del Festival di Sanremo degli anni Cinquanta. Considero molto più “duro” un pezzo di Luigi Tenco di qualsiasi pezzo metal. Se ha senso usare la parola “maledetto”, dico che se la merita chi si è messo a nudo senza il riparo di un codice, di uno stile. Chi mette meno curve tra cuore e voce, emozione e carta, chi lavora alla sua tecnica per farsi trovare pronto quando l’onda arriva, e in quell’onda immortalata quella tecnica magari non la sentirai nemmeno. Tenco, Vasco per venire in qua con gli anni, mi emozionano per questo. Guardando alla nuova scena dei cantautori, quali credi siano i nuovi nomi su cui puntare? Mi piacciono molto il torinese Mario Congiu, il massese Stefano Barotti e il bresciano Riccardo Maffoni. Anche tu, almeno a metà, sei un cantautore, da studioso a scrittore di testi, qual è il passaggio, il tuo doppio approccio con la musica? Ho trentatre anni e sono un paroliere che se l’è presa un po’ comoda e un saggista abbastanza precoce. All’inizio vivevo un po’ male questa cosa, mi sentivo un po’ schizofrenico: buttare febbrilmente versi sulle melodie di Edoardo (Cerea), cercare insieme a lui con passione da ragazzini la soluzione migliore per quel ritornello, per quella strofa che ancora non vuole girare, percorrendo la Torino Piacenza (io sono di Ivrea, lui è piacentino) come degli ossessi… e poi mettermi gli occhiali e starmene seduto a scrivere qualcosa a proposito delle canzoni di altri. Non mi ci vedevo molto nei panni del saggista, avevo il terrore di scoprirmi a cannibalizzare le emozioni degli altri, a “spiegare” le immagini di altre persone, a mettermi in mezzo tra chi compone e chi ascolta con le mie riflessioni… Poi ho capito che in quello che scrivevo, anche nel saggio storiografico, la passione sotto c’era eccome, e si sentiva. E la mia maniera di scrivere libri e quella di scrivere canzoni si sono sempre più avvicinate (penso ai lavori su Tenco e Paoli, nella collana “Le voci del tempo”), e non ci vedo più alcuna contraddizione. Quando scrivo una pagina di analisi storica o un ritornello, sto sempre dalla stessa parte della barricata, ed è quella che mi piace di più: cerco a mio modo di lasciare un’emozione, ma anche di dare a chi legge o chi ascolta dei riferimenti, delle informazioni, dei piccoli segnali per orientarsi. Forse quando scrivo cerco soltanto di mettere un po’ d’ordine. Di mettere delle fondamenta su cui costruire il mio piccolo castello, sia esso interpretativo (il libro di storia) o emotivo (le canzoni con Cerea). Coolibrì Francesco Bevivino Editore Via Parravicini, 16 20125 Milano Redazione: Alessio Scordamaglia, responsabile della produzione; Maddalena Cazzaniga, ufficio stampa; Manfredi Perrone, direttore della collana I cattivi; Michele Vaccari, direttore della collana Wanted. Le collane: Pickwick narrativa Letteratura nuova, italiana e internazionale, fatta di voci capaci di raccontarci il presente con tecniche di immaginazione nuove e coinvolgenti. C:Cube Comunicazione, come scienza che coinvolge le altre e diventa dominante nella società dei consumi. Per approfondire gli studi in materia e permettere nuove visioni e interpretazioni: una collana e un periodico (nel comitato scientifico c’è anche Alberto Abruzzese) che raccolgono interventi di professionisti, accademici e studiosi del settore. TeatrOggi Una collana di teatro, l’unica forma d’arte corale, il luogo in cui si sintetizzano e rappresentano i drammi della società di oggi e da cui arrivano forti i segnali per interpretare e creare una società futura. 28 NON PARLATEMI DI NICCHIE Ogni volta che nasce una nuova casa editrice c’è qualcuno che obietta sulla follia estrema del proponente. A cosa servono nuovi libri in un sistema che è già saturo e che vede in vita circa 5000 attività imprenditoriali che fanno questo per vivere? In Italia si legge pochissimo (anche se si scrive tantissimo) e spesso i libri vengono solo stampati per poi essere distribuiti e promossi male. Colpa del sistema scolastico e universitario che certo non invoglia alla lettura, colpa dei costi esorbitanti della distribuzione, colpa della televisione che omologa verso il basso, forse colpa delle stesse case editrici che per la voglia di stampare (a volte a pagamento) pubblicano molti testi debolucci, colpa dei quotidiani e dei settimanali che si sono trasformati in librerie ambulanti proponendo cataloghi simili che poi affollano librerie tutte uguali (nella forma e nei contenuti). Insomma le case editrici, probabilmente, non se la passano meravigliosamente. Ecco perché abbiamo deciso di dare spazio ogni mese ad una casa editrice considerata “piccola” (etichetta sempre brutta da affibbiare e da accettare) o “giovane”. La prima tappa di questa “promozione gratuita” parte da Milano. La casa editrice Bevivino nasce nell’ottobre del 2002 quando Francesco Bevivino (nella foto), dopo una decennale esperienza nel settore editoriale decide di fondare l’omonima casa editrice. Coolclub.it si è avvicinata alla Bevivino grazie a due sue collane, secondo noi molto interessanti e innovative: I Cattivi e Wanted. La prima è una collana nata per raccogliere agili biografie di noti personaggi che hanno in comune la cattiveria. Da Quentin Tarantino a Cleopatra, da Maradona a Caravaggio, da Madonna a Dracula non vengono raccontati i soliti cattivi, ma quelli che sono stati in grado di sfruttare la loro “cattiveria” per restare nella storia. I diritti di questa collana sono già stati venduti in Grecia, Francia e Brasile. Wanted raccoglie invece biografie di banditi, briganti e criminali, dal meridione d’Italia al vecchio West, fino alla cronaca dei giorni nostri, dalla Banda della Uno bianca (primo titolo pubblicato) a Butch Cassidy. Tutti i libri sono corredati da sedici pagine di fumetto e da prefazioni di una nota e importante firma del panorama letterario (Marcello Fois, Niccolò Ammaniti e Paolo Nori solo per fare tre nomi). In quasi tre anni di attività e con una sessantina di titoli alle spalle la Bevivino ha raccolto molti apprezzamenti, una particolare attenzione che i giornali e le riviste specializzate hanno riservato al progetto e otto collane aperte che sfornano ottimi prodotti editoriali. La Bevivino ha inoltre rilevato e rilanciato il portale Pickwick.it (www.pickwick.it) una delle comunità web più numerose e sensibili al mondo del libro. Uno dei punti di forza è rappresentato dalle presentazioni dei volumi che si tengono a cadenza irregolare e imprevedibile nei vari locali di Milano con il supporto di giovani attori dell’Accademia di Arte drammatica Paolo Grassi. “Lontano dalla logica che una casa editrice, a seconda del fatturato debba essere considerata “piccola”, “media” o “grande”, distinzione assolutamente fuorviante”, sottolinea il fondatore Francesco Bevivino “abbiamo voluto dare alla casa editrice un’impronta non di nicchia. Per questo abbiamo deciso di realizzare diverse collane in grado di rispondere alle diverse esigenze che i lettori possono avere nell’arco della vita: svago, approfondimenti, attualità, studio, lavoro, informazione. Credo che per risolvere la situazione delle “piccole case editrici” bisognerebbe avere una riforma come quella fatta in Spagna da Zapatero che ha tolto l’IVA sui prodotti culturali per abbattere i costi al pubblico. Inoltre si dovrebbe abbattere anche il lobbysmo sulla distribuzione e infine penso che potrebbe essere evitata la supponenza di certi quotidiani nelle pagine culturali”. Questa è la Bevivino che a dicembre presenterà un interessante Dizionario degli anni 70 che toccherà vari temi tra i quali: politica, economia, cronaca, cultura, il contesto internazionale, radio e tv, lo sport e Moda, costume e società. A gennaio dopo la pubblicazione in Francia verrà riproposto in Italia Come tanti cavalli di Luiz Ruffato. Pierpaolo Lala GOD – Grandi opere e dizionari In questa collana trovano spazio quelle opere di approfondimento e di saggistica utili a comprendere il presente. Veri e propri strumenti per chi non si accontenta di letture superficiali. Fuori Collana Dai classici del passato a quelli del nostro tempo. Prestigiosi volumi, ricchi di immagini e illustrazioni, in una elegante veste editoriale. Distrazioni Più che di una collana si tratta di un vero e proprio “contenitore”. Uno spazio per sperimentare e raccogliere i prodotti di diverse esperienze. Wanted Biografie di banditi, briganti e criminali, dal meridione d’Italia al vecchio West, fino alla cronaca dei giorni nostri, dalla Uno bianca alla Banda della Magliana… I Cattivi Una collana per raccogliere agili biografie di noti personaggi che hanno in comune la cattiveria. Non i soliti cattivi, ma quelli che stati in grado di sfruttarla per restare nella storia. Be Cool Biografia Hayao Miyazaki è nato il 5 gennaio 1941 a Tokyo, nel quartiere di Akebono. Dopo un’infanzia e un’adolescenza economicamente tranquille, ma segnate dalla lunga malattia, una forma di tubercolosi, della madre (tema che sarà ripreso ne Il mio vicino Totoro molti anni dopo), nel 1963 si laurea in Economia e Scienze Politiche. Assecondando la sua passione per i cartoni comincia subito dopo a lavorare come disegnatore per la Toei. La prima serie TV a cui lavora, Okami Shounen Ken (Ken ragazzo lupo), è parzialmente diretta da Isao Takahata, con cui svilupperà un lunghissimo rapporto di collaborazione artistica. Miyazaki fu influenzato in maniera decisiva dal marxismo; il partito socialista per lungo tempo era stato il secondo partito in Giappone e il partito Comunista ha ancora seggi in parlamento. Durante la guerra erano stati vietati tutti i movimenti politici e sindacali e i comunisti furono quasi gli unici ad opporsi alla guerra. Finita la guerra fu permessa la nascita dei sindacati e molti di essi furono diretti da giovani comunisti o simpatizzanti comunisti e Miyazaki assieme a Takahata fu uno di essi. Nel 1968 esce Taiyo no Oji Horus no Daiboken (Le grandi avventure di Horus), il primo film - anch’esso diretto da Takahata - in cui il nostro ricopre un ruolo di rilievo. Negli stessi anni inizia la pubblicazione di un manga e prosegue la collaborazione a varie serie televisive. Nel 1971 approda allo studio A-pro dove continua a lavorare con Takahata con il quale firma alcuni episodi di Lupin III. Nel 1973, Miyazaki e Takahata lasciano la A-Pro per passare allo studio Zuiyo Pictures. Nel 1974 esce il celebre cartone Heidi che Miyazaki ancora non firma come regista. Ma nel 1978 esce il primo cartone animato firmato interamente da lui. È Conan, storia del ragazzino catapultato in un mondo squassato dalla guerra mondiale, nel quale, come già in Horus, sono palesi le idee politiche del regista. Un simbolo per i ragazzini nati negli anni ’70 e ’80. Ma non basta Miyazaki in quel periodo collabora anche ad Anna dai capelli rossi, dirige la serie sul detective Sherlock Holmes (una coproduzione Rai), e nuovi episodi e un lungometraggio sul ladro più famoso del mondo. Lupin III - Il castello di Cagliostro uscito in Italia molti anni dopo. Nel 1982 inizia a pubblicare un nuovo fumetto, Kaze no Tani no Naushika (Nausicaa della valle del vento), che, poco dopo la morte della madre, diventa un film, considerato il suo capolavoro assoluto. In Italia ebbe però una storia sfortunata per diritti non pagati dalla Rai. Un episodio che ha spinto il regista giapponese a non cedere più i diritti per la trasmissione delle proprie opere in Italia. Nel 1986 esce Tenkuu no Shiro Laputa (Laputa: il castello nel cielo), seguito nel 1988 Tonari no Totoro (Il mio vicino Totoro), nel 1989 (per la prima volta anche produttore) Majo no Takkyubin, nel 1992 Kurenai no Buta (Porco Rosso). Dopo On your mark (1995), realizzato come parte visiva di un video musicale del celebre gruppo pop giapponese Chage & Aska, annuncia il suo ritiro per far spazio ai giovani ma nel 1997 torna con Mononoke Hime (La Principessa Mononoke). Nel 2001 esce in Giappone il suo film più famoso: La città incantata, Noir, Commedia, Italiano, Sperimentale, Drammatico il cinema secondo coolcub Hayao Miyazaki Il castello errante di Howl Lucky Red di Loris Romano Leone d’oro alla carriera, così la mostra del cinema di Venezia ha premiato il maestro dell’animazione giapponese Hayao Miyazaki. Di Lui il mondo si era accorto già un paio di anni fa quando La città incantata aveva vinto prima l’Orso d’oro a Berlino e poi il premio Oscar come miglior film di animazione a Hollywood. Ma la carriera di Miyazaki parte da lontano, dagli anni ’70, ed ha accompagnato da allora intere generazioni a partire da chi oggi ha trenta anni con: Heidi, la bambina delle alpi, Lupin III, passando dal successo delle serie a quello dei lungometraggi con Nausicaa della valle del vento, Laputa: il castello nel cielo, Il mio vicino Totoro, La principessa Mononoke, il già citato La città incantata e quindi Il castello errante di Howl. Il film è tratto dal romanzo della scrittrice D.W. Janes, racconta la storia di Sophie, una ragazza trasformata in una vecchietta novantenne da “una potente stregoneria”, come dice lo stesso Howl, da una strega grassa e dispettosa, ed è proprio unendosi alla corte del mago Howl che spezzerà l’incantesimo con il più potente dei rimedi: l’amore. L’ambientazione è straordinaria e visivamente stupefacente: due paesi in guerra che sembrano ricordarci le tragedie del ‘900 in cui tutti sono chiamati a dare il loro contributo, in questo caso anche maghi e streghe. Ma il meglio arriva con Il castello errante di Howl che va in giro per il mondo su quattro zampe, un coacervo di scale, finestre, caminetti, balconi, porte che si aprono su mondi inverosimili Filmografia essenziale popolati da creature ed esseri viventi strani (una rapa spaventapasseri, un fuoco animato e parlante…) che accompagnano Sophie. Materiale sempre nuovo per l’immaginazione; Miyazaki mostra che sulla terra esistono tante cose che vanno oltre la nostra capacità di comprensione, egli crede nel panteismo e nell’animismo. Ogni essere vivente, ogni oggetto ha una sua divinità e una sua personalità. Tutto è abitato da un dio. Storicamente nessuna epoca ha eliminato così drasticamente ciò che è strano, ci allontaniamo dalla natura ( i film di Miyazaki sono dei veri e propri inni alla natura) e ci viene nascosta la sporcizia, siamo circondati da disinfettanti e le relazioni umane subiscono la stessa sorte. L’essere umano sta perdendo una capacità essenziale: quella di poter vivere accanto a chi non gli piace. Nel “castello errante” Howl dopo aver visto grandi aerei da guerra dice a Sophie: “bruceranno le città e gli uomini”. “Nemici o alleati?” chiede Sophie “che importanza ha? Siamo tutti colpiti da una grande maledizione” risponde Howl. Come uscire da questa maledizione? Bastano un paio di incantevoli sequenze di questo bellissimo film per capirlo. 1978 1988 1972/73 In coppia con Takahata firma alcuni episodi di Lupin III Hayao Miyazaki è il gigante che ha fatto saltare le pareti dentro le quali si era voluto incasellare il cinema giapponese d’animazione. Troppo frettolosamente, infatti, lo si è tradotto come il ‘Disney giapponese’, riducedo a parametri per noi consueti un’energia creativa, una visione assolutamente fuori dell’ordinario. La filosofia di Miyazaki unisce romanticismo e umanesimo a un piglio epico, una cifra di fantastico visionario che lascia sbalorditi. Il senso di meraviglia che i suoi film trasmettono risveglia il fanciullo addormentato che è in noi. Senza tuttavia dimenticare le sorprese industriali di Miyazaki, che ha saputo con i ‘complici’ giusti far saltare le categorie convenzionali dell’animazione, grazie al lavoro sistematico di una ‘factory’ che ha fatto crescere anche non pochi altri talenti. In Hayao Miyazaki si incarna la pop art cinematografica del nuovo millennio, una delle componenti ormai sempre più presenti nel lavoro di ricerca della Mostra di Venezia. Marco Muller - direttore della Mostra del Cinema di Venezia. 2001 La città incantata è la consacrazione con Orso d’oro e Oscar Conan è il primo cartone firmato interamente da Miyazaki 1984 1974 Il mio vicino Totoro. Poesia e delicatezza 1992 Nausicaa della valle del vento. È il suo capolavoro Esce Heidi ma ancora nessuna regia Orso d’oro e Premio Oscar. Chihiro è una bambina di 10 anni capricciosa e viziata, convinta che tutti debbano sottostare ai suoi voleri. La stessa cosa accade quando i suoi genitori, Akio e Yugo, le comunicano che sono costretti a cambiare casa. La bambina, infatti, non fa nulla per nascondere la sua rabbia. Con i soli ricordi degli amici e di un mazzo di fiori Chihiro segue i genitori in una strada senza uscita, chiusa da un palazzo rosso con un tunnel. Una volta entrata la famiglia viene trascinata in un mondo di antiche divinità governato dalla malvagia arpia Yubaba. Akia e Yugo vengono trasformati in maiali pronti per essere mangiati. Per sua fortuna Chihiro trova un alleato in Haku che le dà un consiglio: per evitare la fine dei genitori dovrà lavorare. Il resto è cronaca con il Leone d’oro alla carriera e l’uscita del Castello errante di Howl. Porco rosso. La storia dei “pirati del cielo” Be Cool Timur Bekmambetov I guardiani della notte Ambientato nella Mosca contemporanea, descrive la battaglia ultraterrena per mantenere la tregua millenaria tra le forze della Luce e le forze dell’Oscurità. Per secoli, i membri in incognito della Guardia Notturna hanno vigilato. Il destino dell’umanità poggia su un delicato equilibrio tra il bene e il male, ma questo destino è ora in pericolo. Primo capitolo di una trilogia fantastica che in Russia e in mezzo mondo ha incassato più del Signore degli Anelli. E che adesso arriva in Italia. Thomas Vinterberg Dear Wendy Dal regista di Festen e cofirmatario del Dogma 95, un film scritto dall’ amico e maestro danese Lars Von Trier. Dick, bambino disadattato, vive in una squallida cittadina situata in un’ America senza coordinate geografiche. Ha un piccolo revolver di cui ha costantemente cura. Un giorno incontra un altro ragazzo, che ha la sua stessa mania per le armi da fuoco. I due danno vita a una specie di banda giurando su uno statuto fondato sul fatto che il loro uso delle armi rimarrà confinato al gioco. Ma quanto durerà? Wim Wenders Don’t come knocking Howard Spence è un attore ormai sul viale del tramonto. Niente più grandi ruoli per lui che è stato un eroe dei film western. Howard si sta consumando con alcol, droga e sesso, ma quando viene a conoscenza del fatto che Doreen, una donna che ha tanto amato nel passato, ha avuto un figlio da lui e non gli ha mai detto nulla, si convince che la sua vita non è stata forse del tutto inutile. Ma il passato che ritorna riserverà altre sorprese. L’ America secondo Wenders passando per John Ford e l’ epopea del Far West. Michael Haneke Niente da nascondere Georges, intellettuale borghese che conduce un programma televisivo di letteratura, è un felice padre di famiglia. Le sicurezze della sua esistenza protetta si incrinano quando comincia a ricevere strani messaggi, impossibili da codificare. Georges non ha idea di chi possa mandarglieli, ma quando il contenuto delle cassette diventa più personale, appare evidente che il mittente è qualcuno che lo conosce molto bene. Nuovi spunti del regista austriaco che fa tremare la borghesia in un film da vedere. 30 Michele Placido Romanzo criminale di C. Michele Pierri Era impresa ardua riprodurre in una sola sceneggiatura il senso generale, senza snaturarlo, di un libro come Romanzo criminale del magistrato tarantino Giancarlo De Cataldo (Einaudi editore). E non era nemmeno facile gestire in un colpo solo buona parte del cinema italiano emergente. Eppure questo film, diretto da Michele Placido a suo modo ci riesce, raccontando la nascita, la veloce ascesa e la caduta di un gruppo radicatosi rapidamente nella Roma degli anni ’70, come quello della Banda della Magliana. Tre giovani amici della piccola malavita della capitale il Libanese, il Freddo e il Dandi (rispettivamente Favino, Rossi Stuart e Santamaria) con i ricavi di un sequestro ben riuscito decidono di entrare nel “giro che conta” e creano una fitta rete di alleanze con elementi minori della criminalità urbana. I tre, ambiziosi e senza scrupoli allungano in fretta i loro tentacoli sulla città, passando dalla droga al gioco d’azzardo e allo sfruttamento della prostituzione. L’unico ad intravedere il pericolo è il commissario Scialoja (Accorsi), che tenterà di sgominarli. Ma la situazione ormai è compromessa e la morte di uno di loro innescherà vendette e terrorizzerà la città, sfaldando per sempre gli equilibri e le vite di quelli che in fondo erano solo ragazzi di borgata. A rendere Tim Burton La fabbrica di cioccolato Warner Bros. di C. Michele Pierri Sembra proprio che la parola impossibile non esista nel vocabolario del più fiabesco dei registi contemporanei. Quando si assiste a un film di Tim Burton infatti ci si rende conto di essere in un mondo nel quale niente oramai può spiazzare. Quello che continua a spiazzare sin dagli esordi è invece il suo straordinario talento che neanche stavolta ha deluso le aspettative. Difficile replicare Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato film del 1971 diretto da Mel Stuart e a propria volta tratto dall’omonimo libro di successo di Roald Dahl, ma questo remake ha tutte le credenziali per essere considerato un lavoro eccellente. Ci si affeziona facilmente al piccolo Charlie Bucket, che vede realizzato il suo sogno: visitare assieme ad altri quattro bambini la fabbrica di dolciumi dello stravagante sig. Wonka (Johnnie Depp al posto di Gene Wilder), che gli riserverà tante emozioni e una sorpresa insperata. Le scenografie come al solito ripropongono scenari da favola che abbinati ad una fotografia che fa un uso estremo e sapiente del colore immergono in un sogno lungo un film. Come sempre poi le musiche sono eccezionali (ma con Danny Elfman si sa già). Insomma è davvero impossibile non seguire con affetto il piccolo Charlie capace di addolcire anche i cuori più duri. Come solo un film di Burton sa fare. tutto più interessante c’è poi una mano che dall’alto muove i fili di tutti gli avvenimenti più importanti di un periodo buio della storia italiana che va dal sequestro Moro alla caduta del Muro di Berlino, passando per la strage della stazione di Bologna, momenti storici riprodotti sapientemente con l’ausilio di inserti di repertorio. Questa è in breve la trama del film che risulta efficace e ben diretto ricordando a tratti il poliziesco anni ’70 e mescolando azione e sentimento in parti uguali. Due gli appunti che mi sento di fare. Nel primo caso, forse e soprattutto più per motivi di tempo che per scelta commerciale, il lavoro di Placido mostra approssimazione proprio nei tratti in cui sarebbe stato opportuno approfondire l’oscura relazione che legava lo Stato e la massoneria alla storia della Banda e dell’intero Paese. Infine i personaggi, peraltro interpretati con mestiere e senza sbavature, sono caratterizzati talmente bene da uscirne fuori forse più come eroi che come criminali, ma questo fa parte del gioco del racconto e dona al film un ritmo tutto speciale. Un film che emoziona, difficilmente annoia e termina in fretta come la storia di una Banda che è nata con l’innocenza di tre bambini ed è morta anni dopo con la loro immutata ingenuità. Patrice Chèreau Intimacy (Dvd) Mikado film di Osvaldo Piliego Ci sono almeno due buoni motivi per vedere Intimacy. Il primo è che il film del francese Patrice Chèreau è tratto dal racconto di una delle penne più interessanti degli ultimi anni: Hanif Kureishi (consiglio a tutti The Black album). Il secondo è che Intimacy è un film vero. La storia è lo specchio esasperato e per questo vivido e diretto di un vivere che in fondo appartiene a tutti noi. La vita divisa tra ciò che si è e quello che si vorrebbe e non si è mai stati. I bisogni spesso sopiti che emergono prepotenti e non si possono controllare. I segreti e la curiosità, la scoperta dell’amore che arriva insieme a un’inevitabile sconfitta. Il tradimento, la passione, il sesso, la mancanza di comunicazione sono tutti elementi che convivono nelle pagine e nella pellicola. La scelta tecnica di riprese approssimative e di una grana quasi amatoriale rafforza il messaggio, la vicinanza e l’intimità (la nostra anche) che viene violata. Quando uscì fece scalpore per una scena di sesso troppo esplicita, ma vinse l’Orso d’oro a Berlino e fu considerato come la risposta moderna ad Ultimo tango a Parigi. Oggi esce in dvd e a rivederlo non è una fellatio a fare scandalo ma un’altra e più profonda nudità svelata: quella dell’anima. Un film sui limiti, lo squallore, la drammatica semplicità delle nostre vite. Roberto Benigni La tigre e la neve Un poeta, per amore della donna di cui è follemente innamorato (Nicoletta Braschi), finisce in Iraq, proprio nel bel mezzo dei bombardamenti compiuti dagli americani per liberare lo stato mediorientale da Saddam Hussein. In compagnia di uno scrittore arabo (Jean Reno) e stravolto dalla guerra tenterà di riportare l’ umanità con l’ unico strumento che conosce: la poesia. Nuovo film di Benigni che ripropone il riuscito e commovente mix de La vita e’ bella. Nelle sale dal 14 ottobre. Tim Burton La sposa Cadavere Subito dopo La fabbrica di cioccolato Tim Burton torna al suo vecchio amore con questo film di animazione. La sposa cadavere, fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, è ambientata nell’Europa del XIX secolo. Il giovane Victor si mette in viaggio per raggiungere la sua fidanzata Victoria con cui è in procinto di sposarsi. Lungo il tragitto, Victor si imbatte in un ramoscello simile ad un dito così si mette a imitare il rito nuziale infilando l’anello sul pezzetto di legno e declamando la formula del matrimonio. Il ramoscello si rivela essere il dito di una ragazza assassinata che improvvisamente ritorna come zombie e pretende di essere legalmente sposata all’incredulo Victor che viene così trascinato nel mondo dei Morti Viventi, un universo certamente più vivace rispetto alla severità dell’ambiente vittoriano in cui è cresciuto, ma basta poco tempo a far capire a Victor che niente e nessuno potrà mai tenerlo lontano dal suo vero amore. Uscita prevista 28 ottobre. Sabina Guzzanti Viva Zapatero Se negli Stati Uniti la protesta cinematografica anti Bush è guidata dall’omone Michael Moore, in Italia il fronte contro la censura viene “affidato” a Sabina Guzzanti. Viva Zapatero è un documentario che parte dalla vicenda ‘Raiot’, l’ultimo spettacolo della Guzzanti sospeso dalla Rai dopo una sola puntata, per parlare di satira con alcuni dei principali esponenti europei fra cui il premio Nobel Dario Fo e in generale fare il punto sulla libertà di informazione in Italia. Tra gli interpreti Rory Bremner, Daniele Luttazzi, Michele Santoro, Enzo Biagi, Andrea Salerno, Lucia Annunziata, Claudio Petruccioli, Flavio Cattaneo, Luciano Canfora, . Ovviamente criticato da una parte e osannato dall’altra. Be Cool Guarda che musica Il rapporto fra musica e cinema è sempre stato qualcosa di scontato e di naturale, una corsia preferenziale usata dagli artisti in entrambi i sensi, a volte per esprimere in maniera più completa la propria tendenza a produrre cultura, a volte come semplice veicolo promozionale. Ed è proprio così infatti che è nato questo fenomeno prima negli Stati Uniti intorno al secondo dopoguerra (anche se se ne possono ritrovare ancora prima sporadici esempi analoghi) con musicisti del calibro di Frank Sinatra che col tempo hanno addirittura guadagnato una dignità attoriale che a molti è sfuggita. Come non ricordare poi il mitico Elvis, il padre del rock, che con film come Cento ragazze e un marinaio ha fatto sognare generazioni di donne. Successivamente intorno agli anni ’60 la tendenza si è spostata anche in Italia. È il caso dei vari Tony Renis, Rita Pavone, Peppino Di Capri, Gianni Morandi, Jimmy Fontana, Mina e Adriano Celentano, inizialmente protagonisti di cammei in cui si limitavano a cantare il loro ultimo successo, magari in una situazione ricostruita ad hoc come una serata in un locale o chiamati a rapporto dall’innamorato di turno che voleva dedicare una serenata alla sua bella (che romantici i nostri genitori!) e successivamente veri e propri protagonisti se non addirittura registi (è il caso del Molleggiato). Ed è proprio qui che volevo arrivare, a quella che sembra un po’ la volontà neanche tanto nascosta dei musicisti italiani di ultima generazione: quella di arrivare al pubblico attraverso lo strumento cinematografico (a volte anche letterario, vedi Guccini o Capossela), ma non come si faceva “un tempo”, ma con uno spirito nuovo, con l’idea di avere qualcosa da dire, da raccontare. È sicuramente il caso di Luciano Liguabue (Radiofreccia e Da zero a dieci) e Franco Battiato (Perduto amor e il più recente Musikanten, fischiato a Venezia) solo per citarne alcuni. Non contenta di fare più solo 31 Il rapporto tra il cinema e la musica di C. Michele Pierri dischi, questa nuova stirpe di musicisti-attori-registi cerca nuova linfa vitale (e forse nuovi guadagni) nel cinema. Ma dove vogliono arrivare realmente? Di sicuro non hanno intenzione di dedicarsi a tempo pieno a questo nuovo impegno e girano film più per loro stessi che per il pubblico. Almeno questo è quanto sostengono. In realtà dietro questa ondata di parvenu di derivazione musicale c’è senz’altro una posizione privilegiata che gli permette di non dover sostenere alcuna gavetta e di far contenti i produttori. Per quanto concerne poi il lato puramente artistico l’ intenzione sembra un po’ quella di voler raccontare il mondo con l’ occhio (e le orecchie) di chi fa musica e un po’ quella meno facile di guadagnare in un altro campo la stessa stima. Feroci critiche dimostrano che non sempre gli intenti sono andati di pari passo con la riuscita del progetto, ma questa sembra una tendenza abbastanza interessante che apre senza dubbio nuovi scenari per il cinema italiano, troppo spesso sordo a recepire nuovi stimoli e sempre sull’orlo del precipizio. In realtà però i cantanti di casa nostra non hanno inventato nulla, ma si sono limitati a seguire l’onda lunga di artisti poliedrici come Vincent Gallo (regista, attore e musicista nel suo Buffalo 66) che negli ultimi anni hanno dimostrato di poter fare delle idee il proprio punto di forza a prescindere dalle proprie “radici” artistiche. Se in Italia infatti e’ difficile immaginare un cantante che fa l’ attore e viceversa, negli Stati Uniti e’ pratica usuale tanto che stelle di primo piano come Johnny Depp, Tom Waits e Russell Crowe riescono senza problemi a giostrare i vari impegni. In Europa uno dei pochi esempi del genere e’ rappresentato dal regista slavo Emir Kusturica che da anni continua a portare in tour mondiali un accattivante mix tra swing, jazz e musica popolare, spesso colonna sonora dei film. E se la commistione fra queste due arti è spesso voluta, ci sono poi anche casi in cui è accidentale, se non addirittura inaspettata. E l’esempio più clamoroso è senz’ altro rappresentato dal cult-movie The Blues brothers dell’eccezionale John Landis. Il duo Belushi-Aykroyd, allora di scena al “Saturday night live”, popolarissima trasmissione USA, aveva inventato i strampalati fratelli Jake e Elwood e sull’onda di quel successo straordinario hanno inciso un disco fantastico, fatto concerti in mezzo mondo e rilanciato il blues a livello mondiale. Se vi sembra poco. Un discorso a parte meritano poi tutti i film ispirati a gruppi, cantanti e alle loro vite e tutti gli spartiti che sono stati scritti pensando e parlando di cinema. Penso a film come The Wall di Alan Parker, The Doors di Oliver Stone fino all’ ultimo Last days (pseudo-biogra- fia di Kurt Cobain e dei Nirvana) diretto da Gus Van Sant. In effetti se ci si riflette a fondo il cinema non può fare a meno della musica e in qualche modo la musica (almeno quella di oggi) il più delle volte moltiplica per mille la sua forza avvalendosi dello strumento visivo. Una corrispondenza biunivoca e vincente. Non potevano dunque mancare interessanti studi a riguardo e i più riusciti sono senza dubbio quelli dedicati alla sperimentazione di un cineasta come Robert Bresson, che per primo ha applicato al cinema una ricerca sonora e musicale ponendo questi due elementi al pari dell’ immagine. Film come Une femme douce (Così bella così dolce) o Pickpocket (Diario di un ladro) rappresentano ancora oggi passaggi essenziali per chi voglia capirne di più. Insomma il rapporto tra cinema e musica e’ talmente pieno di sfaccettature che sarebbe presunzione pura cercare di descriverlo in maniera esaustiva e in un fiato solo. Ma gli spunti e le chiavi di lettura non mancano e non resta che lasciarci in attesa della prossima puntata e che la musica sia con voi! CoolClub.it C 32 VANESSA BEECROFT: LA DONNA CHE CADDE SULLA TERRA «Lascio che la componente aleatoria di una performance crei momenti non previsti, non perché io ami il caos, ma perché non lo posso evitare.» (Vanessa Beecroft. Performances 1993-2003, catalogo della mostra, Skira, Milano, 2003, pag. 183.) Il caos: impossibile evitarlo. Dalle patologie del corpo nascoste negli anfratti del quotidiano o spettacolarizzate dalla moda, dal fascino oscuro delle uniformi militari, Vanessa Beecroft è passata allo studio dei cicli vitali: crescita, formazione e invecchiamento, attraverso la collazione di tableaux vivants con gruppi eterogenei di donne colte in età e atteggiamenti diversi. 21 entità “cadute sulla Terra” (Dea Madre, forza creatrice e trasformatrice, la stessa artista appare in stato di gravidanza avanzata), professioniste o donne comuni, dall’incarnato diafano o scure di pelle, dalle chiome fluenti alla Maddalena o quasi calve (effetto ottenuto facendo indossare cuffie che nascondono completamente i capelli). Nudità del femminile in natura e nudità dell’icona: la carne e gli accessori, le scarpe (disegnate dallo stilista austriaco Helmut Lang) con lacci alla caviglia e tacchi che affondano nella viva terra di campo. VB53: un gruppo di grandi fotografie e il video dell’omonima performance realizzati nel 2004 al Tepidarium del Giardino dell’Orticultura di Firenze (la più grande serra ottocentesca d’Italia, opera dell’architetto inglese Giacomo Roster) sotto l’egida della Fondazione Pitti Immagine Discovery. L’impianto scenografico è rigoroso e solenne. Le modelle, dapprima immortalate in posizione eretta e raccolte in un gruppo unico (sorta di cerchio magico che risulta allo stesso tempo fuori e dentro di sé), si isolano e si lasciano progressivamente cadere al suolo diventandone parte come in una cerimonia tribale, un atto di ricongiunzione con il mondo del sensibile, la fonte originaria. Infinitamente attratte. Indissolubilmente legate – sciolto ogni legame con l’altro da sé - come per un ancestrale incantesimo. Vengono in mente tanto i bellissimi versi di Baudelaire in Ciel brouillé: “Tu ressembles parfois à ces beaux horizons / Qu’allument les soleils des brumeuses saisons…“ quanto le osservazioni di Paul Virilio nel saggio La Macchina che vede (SugarCo, Milano, 1989, p.130): “L’immagine fàtica che si impone all’attenzione e trattiene lo sguardo non è più un’immagine potente ma un cliché che cerca, alla stessa stregua del fotogramma cinematografico, di inscriversi in uno svolgimento temporale in cui ormai l’ottica e la cinematica si confondono.“ Enigmatico il rapporto che si instaura con lo sguardo estraneo, con lo spettatore-voyeur, ospite anonimo spiazzato da un effetto di resistenza dell’insieme: arbitrarietà del feticcio che non rappresenta e non duplica nessuna cosa provocando disorientamento percettivo e rivendicando capricciosamente una propria autonomia. Negazione seducente che lambisce il concetto stesso di esistenza nel momento in cui si configura come soglia di una dimensione differente. “Non parlate, non interagite con gli altri, non bisbigliate, non ridete, non muovetevi teatralmente, siate semplici, siate naturali, siate distaccate, siate classiche, siate inapprocciabili (…)” (in Vanessa Beecroft. Performances 1993-2003, op. cit.). Se il discorso si sposta sul piano della ricerca identitaria, vale ancora quanto rilasciato a Laura Stefani nel corso di un’intervista apparsa sulla rivista Flair nell’ottobre 2003: “Il riferimento autobiografico è il modo più diretto e spontaneo che ho a disposizione per creare, uso me stessa come esempio per un discorso che, una volta trasferito sul piano artistico, riesce a diventare universale”. Chiarissimi i rimandi/omaggi ai dipinti di Botticelli e di Filippino Lippi. Il Quattrocento dell’arte italiana (periodo di riscoperta della rappresentazione del paesaggio, di una superficie fisica come preparazione della superficie metafisica) catapultato nel nuovo millennio. “La terra è un riferimento alla land art”, ha dichiarato Vanessa, nata a Genova nel 1969, da madre italiana e padre inglese. Studi di pittura all’Accademia Linguistica di Belle Arti di Genova e scenografia presso l’Accademia Belle Arti di Brera. Prima performance: il Libro del cibo (1985-1993), un video vhs basato sulla lista di ogni cibo ingerito dall’artista in otto anni a testimonianza di una lotta personale contro l’anoressia. Seguono le esposizioni nei più importanti musei del pianeta: il Guggenheim di New York (1998) e la Kunsthalle di Vienna (2000); le partecipazioni alla Biennale di Venezia (1997, 2001) e alle Biennali del Whitney Museum of American Art, di Sidney e di San Paolo (2002). Tra le mostre ed esposizioni, meritano menzione ‘Winter of Love’ (Long Island NY,1994), ‘Everything that’s Interesting is New: The Dakis Joannou Collection’ (Atene, 1996), ‘Traffic’ (Bordeaux, 1996), ‘Persona’ (Chicago, 1996), ‘Fatto in Italia/Made in Italy’ (Ginevra e Londra, 1997), ‘Truce: Echoes of Art in Age of Endless Conclusions’ (Santa Fe, 1997) e ‘Wounds, Between Democracy and Redemption in Contemporary Art’ (Stoccolma, 1998). Più discutibili le “americanate” di VB 42 (2000), messa in scena dopo un lungo iter di burocrazia militare utilizzando soldati ed ufficiali dei corpi speciali della Navy statunitense e VB GDW (2000), attuata a Portofino durante il matrimonio della Beecroft con Greg Durkin: qui il glamour entra nel territorio della boutique barocca, diventa pura pacchianeria mediatica modello Jeff Koons spargendo in giro un odore pungente di (auto)agiografia ai confini del divismo. Molto meglio VB 48, esibizione datata 2001 al Palazzo Ducale di Genova, con performers somiglianti a clandestine nigeriane viste nella città ligure; VB 51 (2002), al Castello di Vinsebeck in Germania che vedeva la partecipazione delle attrici tedesche Hanna Schygulla e Irm Hermann, infine lo splendido Sister Project (realizzato insieme allo svizzero Harald Szeemann, curatore indipendente di mostre scomparso di recente), imponente calendario di 12 stampe lunghe tre metri e mezzo ciascuna, che raffigurano i mutamenti stagionali e degli umori di una donna nell’arco di un anno. Il catalogo VB53 (84 pagine in brossura, formato 17x24, testi in lingua inglese di Lapo Cianchi, Maria Luisa Frisa, Francesco Bonami, Line Rosevinge) è edito da Charta. Nise No www.vanessabbecroft.com CoolClub .it Venti anni di Time Zones 33 “Probabilmente non esistono altri festival nel mondo che hanno avuto tutti questi nomi nel loro cartellone” si chiude così la lunga chiacchierata con Gianluigi Trevisi l’ideatore e direttore artistico della rassegna Time Zones Sulla via delle musiche possibili che quest’anno si “ripete” a Bari per il ventesimo anno consecutivo. Un viaggio partito nel 1986 che ha aiutato sicuramente una città a crescere e a trasformarsi da centro periferico a simbolo di avanguardia e sperimentazione, almeno nella musica. “Una rassegna che ha contribuito, pur agendo da lontano a disegnare una mappa delle trasformazioni della musica contemporanea. Il festival ha avuto il merito”, prosegue Trevisi, “prima di tanti altri, di riferirsi a quel (all’epoca) ristretto fronte di musicisti che, distanti dalle mode, ha agito fuori dalle gabbie dei generi e degli stili, manipolatori di suoni che a metà degli anni ’80 non avevano molte opportunità per esprimersi dal vivo e che nella maggior parte dei casi destinavano i propri suoni al cinema, al teatro, alla danza, alla pubblicità. Musicisti mossi da un’attitudine a vario titolo esplorativa, non il mito dell’invenzione a tutti i costi, ma percorsi originali”. Dalla musica per la scena alla musica etnica, dalla musica per il cinema all’elettronica, dal rock al teatro/canzone Time Zones in questi anni ha ospitato Ennio Morricone, Michael Nyman, John Zorn, Philiph Glass, Laurie Anderson, Lou Reed, Caetano Veloso, Howie-B, Nusrat, il coro di Gregoriano, Fela Kuti, Carmelo Bene, Robert Fripp, Gotan Project, Ani di Franco, Kings of convenience, solo per citarne alcuni presi qua e là nel sito ufficiale del festival (www.timezones.it). Certo dal 1991 qualcosa è cambiato nella città di Bari. Il rogo del teatro Petruzzelli e la conseguente chiusura di numerose sale, discoteche, auditorium e piccoli teatri (tutti accomunati dalle difficoltà economiche ad adeguarsi alle “leggi”) ha consegnato ai cittadini baresi una situazione paradossale. Una salda tradizione musicale, lirica, teatrale e l’assenza pressoché totale di spazi dove far esibire questi ospiti provenienti da tutto il mondo. In questi anni Time Zones ha contribuito, insieme ad altri operatori e a musicisti di indubbio livello, ad allargare l’orizzonte del gusto musicale di una regione (e potremmo allargare il territorio all’intera nazione) e ha attraversato tutte le contraddizioni di una delle più grandi città del sud. La rassegna di quest’anno parte venerdì 28 ottobre con il concerto di Alva Noto e Ryuichi Sakamoto (Palamartino, 25 euro). Sakamoto è fra i maggiori protagonisti della musica contemporanea, il compositore giapponese più conosciuto ed amato nel mondo un instancabile genio che ha contribuito allo sviluppo della ricerca compositiva dei nostri tempi. Con Alva Noto (al secolo Carsten Nicolai), artista plastico (ha esposto i suoi lavori nei musei più noti del pianeta), scrittore, sperimentatore e profeta del minimalismo in tutte le sue forme condivide un’attitudine verso forme espressive minimali e crea un progetto esecutivo rigoroso e sperimentale che si affaccia verso le nuove frontiere del suono. Recentemente è uscito Insen, un dialogo neurotonico fra melodia, ritmo e tessiture virtuali, fra echi ambient ed inviolati paesaggi elettronici. Una bellezza musicale discreta ed indimenticabile, che incanta per purezza. Lydia Lunch e la sua band saranno protagonisti del secondo appuntamento della rassegna (sabato 5 novembre – ingresso 15 euro). Lydia Lunch è stata, e forse sarà sempre, il simbolo di un’epoca in cui New York fu culla dominante della cultura, divisa tra gli esperimenti visivi di Richard Kern e la disillusione di Jim Jarmusch, tra le Waves (New o No che fossero) musicali e gli ultimi rigurgiti di poesia Beat. Un personaggio fondamentale per capire la profonda trasformazione del rock negli anni 80 e la riproposizione dei giorni nostri (Interpol ecc.ecc.). Nella stessa serata spazio ad uno degli esempi più interessanti dell’indietronica tedesca. Il duo Fleckfumie rappresenta una perfetta miscela di laptop music e pop digitale. La nuova generazione della musica brasiliana sarà invece protagonista domenica 6 novembre (ingresso 15 euro). Domenico Lancellotti, il figlio d’arte Moreno Veloso e Alexandre Kassim sono un trio che ha agitato le acque della musica brasiliana contemporanea. Dopo il brillante esordio con Music Typewriter, Sincerely hot, uscito alla fine del 2004, ha consacrato questo sodalizio nell’olimpo della musica brasiliana: una sorprendente fantasia musicale, un calderone non catalogabile di pop-bossa-easy listening, eredità tribaliste, jazz e manipolazioni elettroniche saldamente innestate su un variopinto hip hop paulista. Venerdì 11 novembre spazio a Arto Lindsay trio. “Newyorchese carioca” Arto Lindsay compositore, cantante, chitarrista e produttore è una delle menti più geniali della New York musicale degli ultimi 20 anni. In lui vi è una sintesi unica di generi diversi un incontro tra il samba, la bossa-nova ed il punk; un’elettronica soave ed un uso tagliente ed acido della chitarra elettrica. Il giorno dopo Mauro Pagani e il violoncellista palermitano Giovanni Sollima presenteranno in esclusiva per Time Zones (sabato 12 – ingresso 15 euro) “una folgorazione tra due mondi lontani per un’idea diversa della musica italiana”. Mercoledì 16 novembre si esibiranno le Cocorosie. Le sorelle Sierra e Bianca Casady sono uno dei fenomeni musicali del momento. L’incontro di due percorsi musicali diversi: una proveniente dalla musica classica con un’esperienza da cantante lirica e l’altra dal mondo dell’hip-hop. Il loro disco d’esordio La Maison de Mon Réve ha fatto gridare più o meno tutti al capolavoro. La loro seconda avventura discografica, Noah’s Ark (vedi nella sezione Keep Cool) da poco fuori è il diario di un viaggio lungo il mondo fatto di tour, stanze d’albergo ed incontri con altri artisti divenuti poi splendide collaborazioni. Gli ultimi due appuntamenti sono il 25 novembre al Target di Bari con i Konki Duet, un meraviglioso esempio di raffinatezza elettroacustica, e il 29 al Vallisa con Zeena Parkins e Ikue Mori. (P. L.) Sulla via delle musiche possibili di una grande città del Sud Davide Castrignanò CoolClub.it IL LIGA MASCHIO SENZA FISCHIO Prologo: Immaginate un cerchio con un area di 150.000 mq. Posizionate sul lato nord una striscia formata da due palchi di 15 metri collegati tra loro da due passerelle lunghe 95 metri e da un palco centrale (chiamato “main”) di 90 metri. All’opposto esatto del palco “main”, a varie centinaia di metri piazzateci un quarto palco (“vintage”) di altri 60 metri. Nello spazio compreso tra i quattro palchi infilateci: cinque torri alte 16 metri, 1000 corpi illuminanti, 300 diffusori radio e una decina di maxi-schermi che hanno impegnato 200 persone tra tecnici, scenografi, assistenti, produttori. A tutto ciò aggiungeteci: 300 persone per il servizio di ristorazione, circa 200 persone per il servizio medico (tra cui 16 medici e 28 infermieri, oltre a 150 volontari del pronto soccorso), decine di vigili del fuoco, quasi 500 addetti alla sicurezza. Et voilà, les jeux sont fait ! Fatto l’avvenimento “Campovolo 2005: Ligabue in concerto!”…almeno sulla carta! Et voilà i circa 170.000 paganti a cui però si devono aggiungere lo staff dell’organizzazione e, soprattutto, quanti sono entrati poco dopo mezz’ora dall’inizio con le porte già più che aperte! Avrei tanto voluto fare una recensione sul “giorno dei giorni” atteso da mesi come l’evento musicale dell’anno; ribadisco ‘avrei tanto voluto’ se solo fossi riuscito ad ascoltare almeno metà della performance live di Luciano Ligabue. Una macchina organizzativa imponente, studiata (così dicevan le profezie) con l’obiettivo di dar luogo ad uno straordinario evento dalle “dimensioni eccezionali, in termini di organizzazione e produzione musicale”… In realtà di eccezionale c’e’ stata solo la fantasmagorica carrellata di errori, sbagli, goffaggini organizzative, superficialità e quasi un quarto dei presenti (quelli in prossimità del palco vintage) che hanno potuto ascoltare quasi seriamente il concerto solo per una mezz’oretta. “E andiamo verso il giorno dei giorni” che è così diventato il giorno dei flop. Personalmente non ho fatto code chilometriche ai vari caselli, non ho dormito all’aperto in trepidante attesa (di entrare e poi di uscire), non ho passato la mattinata in piedi nella speranza di un posto in prima fila davanti ad almeno uno dei quattro palchi; sabato mattina ho lavorato e poi in gruppo siamo partiti alla volta di Reggio Emilia. Una breve sosta a Correggio (patria anche dello scrittore Tondelli oltre che di Ligabue) e poi, via stradine di campagna, filati in direzione Campovolo. Parcheggio studiato a tavolino, lontano dalle possibili zone caos e non troppo distante per evitare lesioni agli arti inferiori dovuto ad estenuante scarpinata post concerto. Conclusione: tra le 18 e le 19 son riuscito a varcare in cancelli ed entrare in una pseudo arena del rock delimitata da lamiere che le davano più una parvenza di area stoccaggio bestiame che altro …. Ma che ce frega che tanto “siamo dentro il giorno dei giorni, fatto per vivere il giorno dei giorni…tutto da fare e niente da perdere il giorno dei giorni, senza più limiti; il giorno dei giorni, attimi e secoli, lacrime e brividi”. Purtroppo mi son perso buona parte dei gruppi che si sono alternati nel pomeriggio; son riuscito ad ascoltare Edoardo Bennato sul finale ed una cinquina di canzoni di Elisa …. Diciamo che ho dato poco peso per il semplice fatto che ero impegnato a raggiungere almeno uno dei quattro palchi allestiti per l’evento….. anche se, col senno di poi, devo dire che ho seguito meglio Elisa che il live del Liga. Il più grande concerto a pagamento mai tenuto in Europa da un singolo artista passerà alla storia come la più grossa inculata firmata dalla BarleyArts & Friends & Partners (organizzatrice della serata…). Per fortuna che l’impianto audio era tale da coprire l’intero Campovolo! Al di la’ dell’emozione che possono piu’ o meno dare le canzoni di Ligabue e dell’impegno che il povero rocker di Correggio c’ha messo nel realizzare una serata sensazionale, il risultato è stato per molti versi deludente e vergognoso. I fatti: il concerto inizia qualche decina di minuti dopo le 21 (porte aperte prima delle 22!) e, eccezion fatta per gli spettatori di fronte al palco “main”, quasi nessuno s’e’ accorto dell’inizio: le casse non funzionavano e quando davano segnali di vita li fornivano in malo modo e sfasate rispetto alle immagini proiettate dai maxi schermi. Per molto tempo è parso di sentire lo stereo a tutto volume di uno degli abitanti dei palazzi all’ingresso di Reggio Emilia, mentre i video (mi riferisco soprattutto a quelli del palco vintage) sembravano scollegati rispetto ai suoni, quando questi riuscivano ad arrivare fino in fondo). Inutili le urla del pubblico: “voce”, “le casse”, “volume”…. Inutili gli striscioni con su scritto “Non si sente”…Inutili le bottiglie lanciate contro i quattro pirlotti della sicurezza che si erano posizionati di fronte al pubblico e che dopo pochi secondi si son dileguati. Risultato: Chi si trovava dietro le due torrette centrali di amplificazione, verso il palco vintage, ha sentito poco del concerto sul palco “Main”, praticamente nulla di quello che e’ successo negli altri due palchi ai lati ed ha potuto assistere ad una mezz’oretta di concerto, tra l’altro amplificato in maniera oscena, quando Ligabue ha cantato con i “Clandestino” su questo benedetto palco “vintage”. Infine, ma non per questo da meno, tra torri, torrette, diffusori e stand, molti non son riusciti a vedere neanche uno schermo! Uahoo! Praticamente il nulla! Dopo 20 minuti non pochi hanno decisamente iniziato a spazientirsi. (sicuramente non è il massimo aver speso 35 euro di biglietto, perso la nottata in treno, passato la mattinata sotto il sole per ascoltare suoni che giungono in lontananza e vedere immagini sfasate rispetto al suono) Si e’ passati da alcune crisi mistiche di gente che urlava “papa subito” ad un coro di “buffone” che non si è placato neppure quando Ligabue è arrivato sul palco a sud. Ma l’apoteosi e’ stata raggiunta quando lo scazzo per l’indifferenza dell’organizzazione ha dato vita ad una sollevazione di massa inneggiante Vasco Rossi e che in coro ha iniziato a cantare tutto il testo di “Albachiara”. Qualcuno più al centro ha detto che il Liga ha chiesto di far silenzio, ahimè, io ero tra quelli che cantavano Albachiara e giuro che non si e’ sentito proferir parola…. Eh! Se solo avessero funzionato le casse! Dopo l’esibizione sul palco vintage, con l’inizio dell’ultima performance sul palco main, visti i precedenti, molti han pensato bene di andarsene (si è letteralmente trattato di una fuga di massa!) perdendosi il conclusivo delirio esilarante. Ad un certo punto sembrava che le casse potessero riuscir a far sentire qualcosa ma il finale con “Leggero” è stato a dir poco pazzesco: si sentivano i suoni delle casse del palco incriminato, finalmente accese, dopo due secondi arrivavano i suoni emanati dal palco main dall’altro lato del Campo ed infine, tra il riverbero di suoni, si innestavano le immagini sui video (in palese ritardo o anticipo)…. Il pubblico ha cercato di cantare… e forse il coro del pubblico ha attutito un finale parossistico di un concerto da dimenticare. Per la serie: come spendere 35 euro (almeno) per trovarsi in auto in coda per ore per poter stare in mezzo alla folla e cantare “Albachiara” al concerto di Ligabue! Giuro che non ho mai riso tanto ad un concerto…il detto “mal comune mezzo gaudio” forse è proprio vero! Concludo con un solo commento, trovato su internet, che rende bene l’idea per chi non ha potuto assistere al concerto: “dopo una intera giornata al sole ci si è dovuti accontentare di guardare uno schermo e di cercare di indovinare che canzone stessero eseguendo, impresa diventata ancora più difficile visto che il suono arrivava in evidente ritardo rispetto alle immagini degli schermi”…dopo mesi di prove forse ciò è obiettivamente imperdonabile… Epilogo: …sembra che alcune delle centinaia di persone che son fuggite via poco dopo metà concerto, non trovando nessuno a cui chiedere spiegazioni (figuriamoci un rimborso!) si siano dirette in casa Ligabue per protesta…. Non han trovato nessuno, ma han pensato bene di prendersi il loro rimborso e gli han ripulito la casa; povero Liga: battuto dai suoi stessi record, reso muto e derubato in casa proprio mentre cercava di festeggiare una carriera di successi! Postumi (operatori): e per finire la storia… a quanto pare, tramite la Codacons, è partita a raffica la richiesta di rimborso dei biglietti del concerto. Facendo un breve calcolo: 35 euro X 170.000 persone = 5 milioni e 950.000 euro…. Alla notizia i ladri domestici del sabato del concerto han pensato bene di lasciargli la “mercanzia” e così...dopo un simile salasso, han ritenuto di non dover infierire di più ed han lasciato l’auto piena di refurtiva e, a quanto si dice, di nuove canzoni in procinto di esser ultimate.… Magari per un prossimo Campovolo! ;-) 34 CoolClub.it 35 Il singolo individuo può ripensare se stesso, e lo può fare in molti modi, anche attraverso il teatro Eugenio Barba torna a Gallipoli Nato a Brindisi e vissuto a lungo a Gallipoli ma famoso in tutto il mondo. Eugenio Barba è tornato nella città della sua giovinezza per una tournee che vede impegnato l’Odin teatret dal 30 settembre al 13 settembre. Vecchie produzioni e un nuovo spettacolo (Il sogno di Andersen) sono messi in scena tra le scuole e le piazze della città jonica. Dopo più di 30 anni dall’esperienza a Carpignano Salentino, dopo circa tre anni dal seminario presso i Cantieri Koreja e alla soglia dei 70 anni Eugenio Barba torna nella città di mare dalla quale era fuggito nel 1954. A diciotto anni (già orfano di padre) decise di scappare per “spirito di avventura” Dopo alcune soste giunse a Oslo in Norvegia dove iniziò a lavorare e trovò “la libertà”. Qui nel 1964 con alcuni attori espulsi dalle Accademie fondò l’Odin Teatret. Qualche anno dopo il gruppo si trasferì ad Holstebro, piccolo paese della Danimarca, dove il loro lavoro teatrale si concentrò sulla ricerca di una specifica tradizione attoriale, basata sul training, e slegata dalle costrizioni dei tempi produttivi. Gli attori dell’Odin, provenienti da tutto il mondo, all’inizio autodidatti, si trasformarono poi in maestri, portando avanti un progetto pedagogico rivolto alla trasmissione della loro esperienza attoriale e all’acquisizione di diverse culture e tradizioni performative. L’esperienza dell’Odin è sicuramente un fenomeno teatrale unico, punto di riferimento per molte generazioni, una casa-teatro che è isola per gli artisti di tutto il mondo. Per due settimane Barba è tornato alle “proprie personali radici, laddove ha avuto inizio la sua formazione per ri-conoscere tratti familiari nella gente e nei luoghi, e parlare di sé e della propria lunga storia artistica attraverso i più recenti lavori creati con i suoi compagni attori”. Questo ritorno è organizzato da Ministero per le attività culturali, Ente teatrale Italiano con il sostegno di Arcus e in collaborazione con Teatro Potlach e Comune di Gallipoli. Qualche giorno prima della prima abbiamo contattato Barba via mail e così ha risposto alle nostre domande. Due anni fa in una conferenza a Lecce affermò di avere un rapporto difficile con la sua terra, lasciata a 17 anni. “La mia casa del padre?”, disse, “È necessario per me molto silenzio per poterla ritrovare, non in un luogo geografico, non è qui a Gallipoli, dove sono cresciuto, non è il Salento, non è l’Italia. La casa del padre è nascosta in qualche parte dentro di me”. Che effetto le fa tornare per la prima volta oggi con i suoi spettacoli proprio a Gallipoli? Nulla di più micidiale che le illusioni inutili. Pensare, per esempio, che la Gallipoli di oggi abbia qualcosa in comune con la cittadina nella quale passai gli anni della mia infanzia dal 1943 al 1951. Per questo affermavo nella mia conferenza di Lecce che la casa del padre è nascosta in qualche parte di me, ignota a tutti perché appartiene alla sensibilità della mia memoria, comunicabile ad altri solo in via indiretta, attraverso degli spettacoli, per esempio. Gallipoli è per me soprattutto una cittadina vergine nei confronti del mio teatro. I suoi cittadini non lo hanno mai visto. Sono sempre emozionato osservando le reazioni di spettatori che assistono per la prima volta ad uno spettacolo dell’Odin. Immagino che sarà così anche a Gallipoli. Lo spirito di avventura e lo spirito di libertà la spinsero a lasciare nel 1954 il mondo “ristretto e soffocante del Sud”. Oggi, alla soglia dei 70 anni sente di avere ancora questo spirito di avventura? Verso quali confini? Vi è un grande divario tra la mia soggettività – il mio spirito di avventura – e come esso si manifesta nei risultati che vengono valutati da altri. Posso sentirmi divorato dallo spirito di avventura, ma i miei spettacoli, per gli altri, possono essere noiosi e presentare l’ovvietà. Credo che con l’età lo spirito di avventura cambi. Oggi viaggiare non presenta gli stessi cimenti e incognite del 1951, in un’Europa ancora marcata dalle macerie della seconda guerra mondiale. Lo spirito di avventura, per me oggi, consiste nell’escogitare e materializzare dei cammini non programmati né programmabili per quello che chiamo “l’eredità dell’Odin”. Ha a che vedere con la “leggenda” di un gruppo di persone che è rimasto insieme più di quaranta anni; e allo stesso tempo con la trasmissione della materialità obiettiva dell’artigianato dell’attore. Nel 1974 a Carpignano con l’Odin il primo ritorno nel Salento che avvia la stagione dei “baratti”. Furono davvero, come dice lo studioso Perrelli, “più stimoli d’impetuosi rifiuti di equilibrio che di sentimentali ritorni”? Penso che Franco Perrelli sia abbastanza nel giusto con la sua spiegazione. La presenza dell’Odin a Carpignano fu dettata da circostanze molto lontane da una mia nostalgia delle origini. Il motivo principale era la scelta di preparare un nuovo spettacolo in un ambiente differente dall’abituale. La scelta cadde sul Salento per varie ragioni. Perché era economico risiedervi, e anche perché a Lecce vi era Ferdinando Taviani, docente di storia di teatro con il quale avevamo iniziato una collaborazione che si è protratta fino al giorno d’oggi. Il fatto che lui avesse un ambiente di studenti, e tra questi il gruppo Oistros, mi sembrò un fattore decisivo. E poi anche l’appoggio generoso di Nino Calò, a Carpignano che garantì per la presenza di questo gruppo di scandinavi dai capelli lunghi e dai costumi particolari in una società ben diversa da quella di oggi. Nel “santuario” del teatro il Salento può trovare un’occasione di ripensare se stesso? Ho difficoltà a rispondere a questa domanda. Il Salento è essenzialmente un’entità geografica, si dovrebbe discutere a lungo per mettersi d’accordo su degli eventuali tratti culturali comuni di tutti i singoli abitanti di questa regione. Evidentemente il singolo individuo può ripensare se stesso, e lo può fare in molti modi, anche attraverso il teatro. Ma non può che parlare al singolare, a nome proprio. (Per l’Intervista ringraziamo Roberto Guido – direttore del mensile QuiSalento (www.quisalento.it) CoolClub.it Ottobre Iscrizioni al Controfestival di Bari Sono aperte le iscrizioni alla nuova edizione del Controfestival!! L’iscrizione è gratuita ed è riservata ai musicisti pugliesi!! Potete iscrivervi inviando una mail segnalando la vostra adesione a controfestival@ controweb.it specificando: nome della band, bio, genere musicale proposto, stage plan, contatti telefonici e mail di riferimento. Il Controfestival è organizzato dall’Associazione Culturale Controritmi in collaborazione con Controradio Popolare Network di Bari e con il patrocinio di Comune di Bari, Provincia di Bari e Regione Puglia. Ogni mercoledì Hi fidelity al Caffè Letterario di Lecce Ogni sabato I dj di Coolclub all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) sabato 8 – musica Dragoljub Djuricic & Balkan Avalanche all’Auditorium Vallisa di Bari sabato 8 – domenica 9 - danza Giacomo Giacomo ai Cantieri Koreja di Lecce Il corpo di ballo Crt di Milano apre la quarta edizione di Open Dance, la rassegna di teatrodanza promossa dai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Lo spettacolo Giacomo Giacomo, oltre alla coreografa salentina Barbara Toma vedrà sul palco anche Silvia Bastianelli, Stefania Schiavone e Valentina Sordo. Open Dance, il cantiere della nuova danza, si propone di avvicinare il grande pubblico al linguaggio della danza e far conoscere le nuove tendenze nell’ambito del panorama italiano ed europeo. lunedì 10 – giovedì 13 - teatro Sale a Gallipoli (Le) Il ritorno dell’Odin e di Eugenio Barba nella sua Gallipoli si chiude con quattro repliche dello spettacolo Sale, basato su una lettera da “Si sta facendo sempre più tardi” di Antonio Tabucchi con adattamento di Barba. Gli spettacoli si terranno presso la Sala San Lazzaro. Sipario ore 21.00. Ingresso 10 euro. Info e prenotazioni 3337254754 negli orari 10-13 e 15-21. lunedì 10 – martedì 11 - danza Piano Piano ai Cantieri Koreja di Lecce Secondo spettacolo per la rassegna Open Dance. Dopo i grandi successi avuti in Europa, i gemelli De Filippis, i due fratelli danzatori di origini salentine, ma ormai di adozione tedesca, tornano per presentare il loro quarto progetto. martedì 11 - cineforum Craj di Davide Marengo al Cinema Santa Lucia di Lecce mercoledì 12 – musica Postman Ultrachic al Caffè Letterario di Lecce giovedì 13 - cineforum Il quinto impero di Manoel de Oliveira all’Antonianum di Lecce giovedì 13 - musica World jazz project - afrique, jazz et malice al Teatro Kismet di Bari giovedì 13 - danza Moods/ Rush ai Cantieri Koreja di Lecce Doppio appuntamento tra jazz e techno ai Cantieri Koreja con la Compagnia Excursus di Roma che presenta, nell’ambito della rassegna Open Dance e per la prima volta a Lecce, due lavori: Moods e Rush. venerdì 14/ domenica 16 – teatro Arturo Cirillo in Le intellettuali al Teatro Piccinni di Bari venerdì 14 - musica Josh T. pearson (lift to experience-usa) al Target club di Bari/Valenzano venerdì 14 si inaugura lo Zenzero Club che apre le porte alla nuova stagione. Zenzero...forte, deciso e particolare. Questo il carattere ed il gusto della prossima stagione artistica dello Zenzeroclub - www.zenzeroclub.it - in via traversa Colletta 12 a Bari, determinata soprattutto dalla presenza di ospiti nazionali e internazionali, tale da richiamare da tutta l’area sud italiana un pubblico attento alle proposte di qualità operate nel cartellone in programma, nel prossimo inverno. Si inizia ad ottobre...Sister Bliss Faithless, Orbital, Morgan, Layo&Bushwacka, Richard Dorfmeister,Swayzak live set, Darren Emerson Underworld, The Tarantinos Kill Bill Partyla notte di Halloween, Supersystem, Ben Ayers Cornershop ed ancora gruppi italiani come Perturbazione, Marco Parente, Max Gazzè, Mauro Ermanno Giovanardi (La Crus) con il suo progetto Cuore a Nudo...a seguire in ogni serata dj set e vj set! Lo Zenzero si identifica sempre più come un superclub in grado di supportare con la propria struttura, in linea con gli altri club internazionali e grazie alla collaborazione di un gruppo di professionisti, una produzione di eventi particolari e richiesti in forma esclusiva per la Zenzero Production. venerdì 14 - danza Il mito dei beat ai Cantieri Koreja di Lecce La compagnia Nuova Euroballetto di Roma presenta lo spettacolo Il mito dei beat. “È stato davvero piantato l’ultimo chiodo della bara degli anni 60 così come intendeva Mark David Chapman quando ha sparato cinque colpi di pistola su John Lennon?”. sabato 15 - danza L’angelo Terreno ai Cantieri Koreja di Lecce La Compagnia romana Euroballetto propone un nuovo spettacolo ai Cantieri Koreja nell’ambito della rassegna Open Dance. Un lavoro tratto da “La buona novella” di Fabrizio De Andrè e scritto da Marco Realino. L’angelo Terreno è un omaggio al poeta della canzone italiana e a sentimenti eterni da lui tante volte cantati come amore e passione. sabato 15 - musica FabulaRasa alla Saletta della Cultura di Novoli (Le) La rassegna Tele e ragnatele della Saletta della Cultura di Novoli prosegue con i Fabularasa. Nel dna del gruppo pugliese si fondono la dedizione al jazz, la curiosità per le musiche etniche del mondo, gli studi in conservatorio e la passione per la canzone d’autore. I Fabularasa recentemente hanno vinto il Premio Recanati. La Saletta della Cultura Gregorio Vetrugno è in via Matilde 7 a Novoli. Inizio ore 21.30. Ingresso 10 euro. Info 347 0414709 – [email protected]. domenica 16 - lunedì 17 - danza Drunk ai Cantieri Koreja di Lecce La quarta edizione della rassegna Open Dance si chiude con un doppio spettacolo della compagnia modenese Tir danza: Drunk, di e con Elisa Canessa e Francesco Manenti, e 250 cm fuori dal gruppo di e con Martina La Ragione, Lullo Mosso, uno spettacolo che coniuga in maniera esemplare danza e musica. martedì 18 – cineforum I tempi che cambiano di Andrè Techinè al Cinema Santa Lucia di Lecce mercoledì 19 - musica Sheila Jordan with E.S.P. Trio al Uéffilo di Gioia del Colle (Ba) Sonic the tonic al Caffè Letterario di Lecce mercoledì 19/ domenica 23 – teatro Concha bonita di Alfredo Arias al Teatro Piccinni di Bari giovedì 20 - cineforum L’orizzonte degli eventi di Daniele Vicari all’Antonianum di Lecce giovedì 20 - musica The Boxer Rebellion a Lecce Rock e roll con elementi elettronici. È questo il sound dei britannici “The boxer rebellion” che arrivano per la prima volta in Italia. Quattro date per suonare il loro esordio discografico. Exits (vedi recensione a pagina 11) sarà presentato anche a Lecce in un concerto firmato Coolclub. Un cantante americano, un chitarrista australiano e due inglesi e la mano di Alan McGee, l’uomo che ha lanciato gli Oasis, ha scoperto i Libertines e padrino della gran parte della nuova scena rock inglese. L’appuntamento è al Candle (ma con possibilità di spostamento). Inizio ore 22.30. Ingresso 5 euro. Info 0832303707 – www. coolclub.it da venerdì 21 a giovedì 27 Film Maker – festival. Festival del cinema indipendente al Kursaal Santalucia di Bari venerdì 21 – musica The white stripes a Paladozza di Bologna Unica data italiana per il duo formato dai fratelli White. Jack e Meg presenteranno il nuovo lavoro Get behind me Satan sabato 22 - musica Cruentus e Raza De Odio all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Metal allo stato puro all’Istanbul Café di Squinzano con un doppio concerto da non perdere. Sul palco i Raza de odio e i Cruentus. I Raza, nati ufficialmente nell’aprile del 2002, fondono, in una nuova miscela musicale, la chitarra spagnola e il metal più estremo, con l’influenza di gruppi come Soulfly, Ill niño, Puya, Brujeria. I Cruentus sono una band messicana che propone un metal che può essere considerato tra il sinfonico e il melodico e include liriche che lanciano 36 CoolClub.it messaggi di libertà in tutte le sue espressioni. C’è la possibilità che il concerto venga spostato, si consiglia di contattare lo 0832303707 oppure il sito 3394313397. Inizio ore 22.30. Ingresso 5 euro. domenica 23 ottobre – musica Linea 77 al Teatro Kismet di Bari I Linea 77 approdano a Bari con il tour di presentazione del loro nuovo album Available for propaganda (vedi recensione). In apertura Cruentus e Raza de Odio. Nessun popolo oppresso all’Auditorium Vallisa di Bari martedì 25 – cineforum Le avventure acquatiche di Steve Zissou di Wes Anderson all’Antonianum di Lecce mercoledì 26 – musica Zanca al Caffè Letterario di Lecce giovedì 27 - cineforum Heimat 3 di Edgar Reitz all’Antonianum di Lecce venerdì 28 -musica Sud Sound System al Planet di Lequile (Le) Ultimo live della stagione per i Sud Sound System che chiudono il tour in Salento. Il Planet di Lequile ospita il concerto della storica band salentina che è riuscita a fondere il dialetto alle sonorità giamaicane portando in tutta Italia e anche all’estero i ritmi contaminati. I Sss presenteranno, oltre ai loro cavalli di battaglia, i brani contenuti nel loro nuovo album “Acqua pe sta terra”. Questo nuovo cd è un disco dance hall più maturo rispetto ai precedenti: il sound e l’aggressività sono più marcati ed arrivano dritti al cuore, grazie alla calda ed avvolgente voce di Nandu Popu e a quelle più incisive e taglienti di Don Rico e Terron Fabio. L’album è impreziosito dal contributo di illustri artisti del panorama reggae come Luciano, Chico, Anthony Johnson e General Levy. Inizio ore 22.30. Ingresso 10 euro. venerdì 28 – musica Mashrooms al Palmares di Brindisi Alva Noto e Ryuichi Sakamoto (Timezones) al Palamartino di Bari sabato 29 – domenica 30 - musica I Pescecani della Compagnia della Fortezza al Teatro Kismet di Bari sabato 29 - musica Note a margine al Palazzo della Cultura di Galatina (Le) Il brindisino Amerigo Verardi, il leader dei Diaframma Federico Fiumani, la cantautrice Cristina Donà e il musicista inglese Iain Matthews sono gli ospiti della seconda edizione di “Giovani e…” la manifestazione organizzata dall’assessorato alle politiche giovanili e dal Progetto giovani del Comune di Galatina in collaborazione con la cooperativa Coolclub. Il programma della serata prenderà il via alle 20.00 con l’intervento dei giornalisti musicali Giancarlo Susanna e Davide Sapienza e dei quattro musicisti che discuteranno del rapporto tra parole e musica e lo scambio tra la letterature e le canzoni nella tradizione italiana e internazionale. Alle 22.00 seguirà il concerto che vedrà impegnati gli artisti in set acustici. L’appuntamento è nell’atrio del Palazzo della Cultura di Galatina. Ingresso gratuito. Info 0832303707 – www.coolclub.it. sabato 29 – teatro Via ai Cantieri Koreja di Lecce Lo spettacolo Via della compagnia Koreja, scritto e interpretato da Fabrizio Saccomanno sulla tragedia di Marcinelle di cui proprio quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario inaugura il 29 ottobre 37 la stagione teatrale Strade Maestre, promossa in collaborazione con Provincia di Lecce, Regione Puglia, Ministero per i Beni e le Attività Culturali. domenica 30 – cinema Giovani e… al Palazzo della Cultura di Galatina (Le) Seconda serata per Giovani e…dedicata al cinema. I ragazzi del Progetto Giovani di Galatina presenteranno gli spot dedicati alla città e realizzati dopo un corso tenuto dall’attore e regista salentino Ippolito Chiarello. Inizio ore 20.30. Ingresso gratuito. Info 0832303707 – www.coolclub.it. domenica 30 ottobre - musica Chris Leo (van pelt-lapse) alla Taverna del Maltese di Bari lunedì 31 ottobre - musica Sanscemo alla Masseria Montearso di Erchie (Br) Sanscemo è un festival che si tiene da 8 anni ad Erchie e impegna alcuni erchiolani e non, a proporre sul palco uno spettacolo di qualsiasi tipologia artistica sempre nel segno della demenzialità. Quest’anno omaggio a er Bombolo. novembre venerdì 4 novembre - musica Need new body (Usa) al Target club a Bari/Valenzano Concerti Electrodance alla Kraftwerk, p s y c h e d e l i a radioattiva alla Red Krayola, fughe incalzanti alla Thinking Fellers Union, dada-punk, lo-fi al fulmicotone, esilaranti interludi per piano e voce o per solo banjo, brandelli di free-jazz e parodie della Arkestra di Sun Ra. Tutto questo sono i Need New Body, da Philadelphia: un gruppo mosso da sacro furore! “Come un raggio laser emanato da Dio per salvarci dalle giungle della noia” La redazione di CoolClub.it non è responsabile di eventuali variazioni o annullamenti. Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it Per segnalazioni: [email protected] 5 novembre - musica La camera migliore all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) La Camera Migliore si forma nella provincia fiorentina con un organico comprendente Georgia Costanzo (voce), Francesco Fanciullacci (chitarra) Marco Balducci (chitarra), Matteo Giannetto(basso), e Davide Miano (batteria). Recentemente è uscito il loro nuovo singolo Il fannullone. Lydia Lunch (Timezones)al Palamartino di Bari Lydia Lunch è stata, e forse sarà sempre, il simbolo di un’epoca in cui New York fu culla dominante della cultura, divisa tra gli esperimenti visivi di Richard Kern e la disillusione di Jim Jarmusch, tra le Waves (New o No che fossero) musicali e gli ultimi rigurgiti di poesia Beat. Un personaggio fondamentale per capire la profonda trasformazione del rock negli anni 80 e la riproposizione dei giorni nostri (interpol ecc.ecc.). domenica 6 novembre - musica Langhorne slim a Bari Domenico Lancellotti, Moreno Veloso e Alexandre Kassim (Timezones) al Palamartino di Bari lunedì 8 novembre - musica Akron/family (young god-usa) alla Taverna del maltese di Bari mercoledì 9 - musica Dado Moroni - Giuseppe Bassi - Billy Drummond al Uéffilo di Gioia del Colle (Ba) www.controweb.it Sold out lo storico programma di Controradio (Bari 97.300 - Bari Sud 97.200) condotto da Carlo Chicco compie 10 anni!!!! Dai primi passi mossi nel lontano ‘95, dopo anni di interviste e musica riprende il programma di punta dell’emittente barese che quest’anno giunge alla sua decima edizione! Sold Out in questi anni è cresciuto insieme ai suoi ascoltatori raggiungendo traguardi inizialmente mai ipotizzati!!!! ...preparatevi al party celebrativo!!!!! in onda per la stagione 05/06 dal lunedì al venerdì dalle 18.30 alle 19.30 in collaborazione con la rinomata rivista Blow Up e con dei partners d’eccezione...stay tuned.... CoolClub.it Frank Miller: tra fumetti e cinema di Roberto Cesano Il successo planetario del film Sin City (2005) ha dato notorietà al creatore del celebre fumetto, lo statunitense Frank Miller. Miller è una star dei comics, autore e disegnatore di dozzine di titoli che hanno rivoluzionato il medium fumettistico. La riuscita del lungometraggio, da lui codiretto assieme a Robert Rodriguez (El Mariachi, C’era una volta il Messico) lo ha lanciato nel panorama cinematografico. Tuttavia, il fumettista ha avuto sempre una carriera legata al cinema: Miller, negli anni ’80, firmò la sceneggiatura di Robocop II, la quale fu devastata dai produttori. Le pellicole Devil (2003) ed Elektra (2004), ispirate agli omonimi personaggi della Marvel Comics, sono basate su storie e character da lui creati. Batman Begins di Cristopher Nolan, campione di incassi la scorsa primavera, è in parte ispirato alla miniserie Batman: Year One (1986). Come lo furono gli inquietanti Batman (1989) e Batman: Return (1991) di Tim Burton, girati sulla scia della graphic-novel Dark Knight return di Miller. Ancor più importante è la basilare contaminazione col cinema che Miller ha usato sulle sue pagine: egli imposta le vignette attraverso un vero e proprio montaggio ed una prospettiva di stampo filmico. Le stesse trame sono un omaggio al genere cinematografico prediletto dall’artista, il noir. Il percorso che lo ha condotto da un medium all’altro appariva inevitabile: Sin City, fumetto nato agli inizi degli anni ’90, edito dalla Dark Horse (la stessa dell’Hell-Boy di Mike Mignola, anch’esso da poco portato al cinema), scaturisce dalle suggestioni cinematografiche di Miller, dalle sue ossessioni più profonde, in bianco e nero. Nella città del “peccato” (Sin) vanno in scena gli archetipi del noir: dalla corruzione e dall’esercizio coercitivo e brutale del potere da parte di ogni tipo d’autorità (forze dell’ordine, la chiesa, i politici) alle femmes fatales letali e bellissime, sino alle prostitute dal cuore d’oro ed una tempra d’acciaio (se lo avete visto, ricorderete il piglio feroce e sensuale della sado-maso Gail / Rosario Dawson). Ma, soprattutto, la città come entità viva e pulsante, protagonista attiva all’interno dell’economia della storia. Sin City è una fucina di vicende umane, le abbraccia in sé e le rigurgita in un violento conato di nichilismo e desiderio; essa contiene le eterne meccaniche di potere che muovono amore e morte ed il destino dell’uomo. Come nel miglior film noir che abbiate mai visto. Credo che nasca dalla natura filmica di tale opera la volontà del suo plasmatore di trasportarla con le proprie mani in un film. E poi, siamo franchi, per un fumettomane come il sottoscritto, il 90% dei comics-movie sono imprecisi e mal riusciti; persino un’operazione ambiziosa come Batman Begins evidenzia una qualità altalenante. Incredibilmente migliori sono i risultati di pellicole che poco hanno a che fare col fumetto da cui sono tratte, come il Costantine (2004) con Keanu Reeves, il quale ricorda appena vagamente la collana Hellblater. Sin City è l’esatto opposto; più che un film, è la dettagliata trasposizione, vignetta per vignetta, di tre saghe: Sin City, Quel bastardo giallo e Un’abbuffata di Morte. Gli stessi attori divengono identici ai personaggi disegnati dalla matita di Miller, quali il Marv di Mickey Rourke, la Nancy di Jessica Alba o il Dwight di Owen Wilson. Il film è divenuto la copia speculare dell’omonimo cartaceo, in una traduzione letterale, fedele anche nella fotografia in bianco e nero con rari sprazzi di colore. Paradossalmente Miller e Rodriguez hanno escluso il volume che, più di tutti, è un omaggio al cinema noir, Una donna per cui uccidere, nel quale un “occhio privato” (Dwight) è irretito da una dark lady, Ava, ispirata alla Barbara Stanwick (la ‘madre’ di questa tipologia di donne sullo schermo) de La fiamma del Peccato di Billy Wilder, che regge le fila di un piano sadico e senza scrupoli, totalmente basato sul suo sex-appeal. Al di là d’ogni considerazione personale, resta l’affermazione d’un autore poliedrico qual è Miller, e del coraggio di Rodriguez. Infatti non è risaputo che Rodriguez, pur di far lavorare come regista Miller, non iscritto alla potente associazione dei registi d’America, ha rinunciato al rapporto con la propria casa di produzione ed alla regia della pellicola John Carter su Marte (tratto, guarda caso, da un fumetto). Non c’è che dire, l’audacia dei due è stata premiata. In attesa di un secondo capitolo? 38