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CoolClub.it
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Dai suoi primi passi a oggi il nostro giornale è cresciuto insieme a noi. Dalle quattro pagine fotocopiate delle origini, siamo passati alla
registrazione in tribunale, al colore e oggi al traguardo delle 40 pagine. In questi anni la famiglia di Coolclub.it è cresciuta, tra parenti
acquisiti e amici oggi siamo tanti, vicini e lontani. Alla soglia dei suoi tre anni il giornale ha imparato a farsi conoscere, tramite una serie
di contatti arriva un po’ in tutta Italia e da questo mese, merito di nuove collaborazioni, avrà un respiro più ampio. A partire da questo
numero Coolclub.it, diventa, con la modestia del principiante, un giornale pugliese. Questo grazie a una piccola rete che ci permetterà
di essere distribuiti anche a Brindisi, Taranto, Bari e Foggia. Grazie quindi a Camillo Fasulo di Ciccio Riccio, ai ragazzi della Provincia
dell’Impero e a Carlo Chicco di Contro Radio a Bari e agli amici di Radio Erre di Foggia. Come vedrete anche nei contenuti il giornale ha
allargato i suoi orizzonti, confrontarsi con quaranta pagine offre la possibilità di ragionare su un giornale più corposo, (un “vero giornale” si
è detto in redazione), di ospitare più firme, più argomenti, più recensioni, più appuntamenti. Abbiamo pensato a un giornale nuovo, che
scegliesse, mese dopo mese, un argomento portante intorno a cui far gravitare interventi, interviste, approfondimenti. Questo mese si parla
di musica e parole, del rapporto che intercorre tra la letteratura e la canzone d’autore. Prendendo in prestito una frase di Allen Ginsberg
abbiamo scelto di intitolare il numero “La poesia nei Jukebox” e di dedicare la copertina ad Amerigo Verardi, pugliese, considerato da
critica e colleghi tra i musicisti italiani più influenti degli ultimi vent’anni, l’incarnazione per noi del moderno cantaurore, geloso custode
lontano dai riflettori e dalle classifiche, di poesia e musica. La parte centrale, per la quale abbiamo studiato una nuova grafica in bianco
e nero è dedicata alle recensioni e non solo. Più musica, letteratura e cinema con uno sguardo più esaustivo su tutte le novità, le nostre
segnalazioni, le interviste. Da questo mese inoltre abbiamo pensato a tre nuove pagine: Puglia, Italia, Mondo, il nostro sguardo su ciò che
succede, ci piace o ci fa arrabbiare, una rubrica aperta a tutti gli argomenti. Si consolida la nostra amicizia e collaborazione con il portale
Blackmailmag a cui dedichiamo una pagina, così come ci apriamo per la prima volta al mondo dei fumetti. Un contenitore che speriamo
cresca e piaccia sempre di più. Aperti come sempre e oggi ancora di più alle collaborazioni, ancora gratuiti per scelta e convinzione.
Osvaldo
CoolClub.it
Via De Jacobis 42 73100 Lecce
Telefono: 0832303707
e-mail: [email protected]
Sito: www.coolclub.it
Anno 2 Numero 19
ottobre 2005
Iscritto al registro della stampa del
tribunale di Lecce il 15.01.2004 al
n.844
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
Dario Goffredo, Pierpaolo Lala,
C. Michele Pierri, Cesare Liaci,
Antonietta Rosato
Collaboratori:
Giancarlo Susanna, Valentina
Cataldo, Sergio Chiari, Davide
Castrignanò, Patrizio Longo,
Antonio Iovane, Rossano Astremo,
Rita Miglietta, Daniele Lala, Fulvio
Totaro, Federico Vaglio, Lorenzo
Coppola, Nicola Pace, Giacomo
Rosato, Nino D’Attis, Luca Greco,
Luisa Cotardo, Emanuele Carrafa,
Francesco Lefons, Camillo Fasulo,
Federico Baglivi, Lorenzo Donvito,
Gianpaolo Chiriacò, Livio Polini, Bob
Sinisi, Eugenio Levi, Nise No, Gancarlo
Bruno, Davide Ruffini, Loris Romano,
Dario Quarta
Ringraziamo le redazioni di
Blackmailmag.com e di QuiSalento
In copertina Amerigo Verardi
www.mescal.it
Le foto di Marco Parente (di fianco e
a pag. 21) sono di:
Alice Pedroletti
Progetto grafico
dario
Stampa
Lupo Editore - Copertino
Chiuso in redazione alle 3 del 3
ottobre 2005 (sempre più tardi per
la miseria!)
Per inserzioni pubblicitarie:
Cesare Liaci
T 3404649571
[email protected]
}
LA POESIA NEI
JUKE-BOX
Note a
Margine
3
7 Mauro
Pagani
9 Keep Cool
29 Be Coo l
31
Guarda che
musica
32
Blackmailmag
16 Roy
Paci
23 Coo librì
21
Marco Parente
27
Marco Peroni
22 Elliott Smith
28 Bevivino
Editore
33
TimeZones
35
Eugenio Barba
36
Appuntamenti
38 Fumetti
}
Note a margine:
piccolo viaggio nella
canzone d’autore
Cercare un legame, o
meglio parlarne, ragionare
sullo scambio continuo ed
osmotico tra letteratura e
canzone. Questa è l’idea
su cui si muovono le prime
pagine del nostro nuovo
giornale e il trait d’union di
una serata in cui le parole
di Giancarlo Susanna, voce
storica di Rai Stereo Notte e
collaboratore di numerose
testate, e Davide Sapienza,
noto critico rock e romanziere,
e la musica di Iain Matthews,
Cristina Donà, Amerigo
Verardi e Federico Fiumani
racconteranno i cantautori.
Un percorso che cerca di
dipingere alcuni dei momenti
fondamentali della musica
d’autore attraverso poeti,
cantanti, dischi. Un viaggio
affascinante che cerca di
mettere a nudo le canzoni che
comincia su questo giornale e
che si concluderà a Galatina
il 29 ottobre. Un incontro che
abbiamo deciso di chiamare
Note a Margine, un gioco di
parole per spiegare che dietro
una canzone ci sono storie
che vale la pena raccontare,
che ogni canzone è
un’alchimia di testo e musica
che racconta una persona,
un’ istante o una vita intera.
Ed è su alcuni momenti, sulle
esperienze, le impressioni, le
storie che abbiamo tracciato
le linee di una piccola parte
della storia della canzone
d’autore. Lo abbiamo fatto
attraverso alcuni personaggi,
dalle origini fino ai nostri giorni
con un rush finale fatto di
album per noi importanti,
ognuno a suo modo.
Iain Matthews
Una delle voci più limpide del folk rock d’autore
Sapevate che nel 1967, anno decisivo per la storia
del rock, a Londra c’era una surf band? Niente di
più incongruo, no? Eppure i Pyramid ebbero un
discreto successo, con il singolo The Summer Of
Last Year. A cantare la parte vocale più alta nel
trio c’era un ragazzo di 19 anni, Ian M. MacDonald, nato nel Lincolnshire in una tipica famiglia
della working class britannica, discreto calciatore
e grande appassionato di musica pop (soprattutto americana). Quando il nuovo gruppo preso
sotto contratto dal loro stesso manager prende il
volo nelle classifiche di mezzo mondo – si tratta
dei Procol Harum e il loro primo 45 giri è A Whiter
Shade Of Pale - i Pyramid perdono il necessario
sostegno e sono costretti a sciogliersi. Un’altra
giovane band londinese, la cui formazione si
sta modellando su quella dei Jefferson Airplane
- una voce maschile e una femminile a dividere
le parti - cerca però un cantante e quasi per
caso arriva a MacDonald. Per il giovane cantante è una svolta decisiva. Ancora oggi l’acerbo
primo album dei Fairport Convention, destinati
in breve a diventare pionieri del folk rock, testimonia la vitalità e la creatività della scena musicale d’oltremanica. Con i Fairport MacDonald
resta per appena due dischi, ma fa in tempo a
dividere il ruolo di lead vocalist prima con Judy
Dyble, poi con Sandy Denny, a modificare il proprio cognome in Matthews (per non essere confuso con lo Ian MacDonald dei King Crimson) e
a stabilire un profondo legame di amicizia con
Sandy Denny e Richard Thompson, leggendario
chitarrista del gruppo. Matthews lascia i Fairport
perché non è interessato alla rielaborazione in
chiave elettrica dei brani dell’antica tradizione
inglese. Preferisce scrivere materiale originale o
attingere alla produzione dei cantautori americani (da Joni Mitchell a Eric Andersen, da Tim
Buckley a Leonard Cohen). Di qui la decisione di
mettersi in proprio o di guidare formazioni costruite intorno alla sua splendida voce. Nel 1970
Matthews porta al primo posto delle classifiche in
Gran Bretagna la sua bella rilettura di Woodstock
di Joni Mitchell e nell’arco di pochi anni realizza
alcuni dei suoi album migliori - “If You Saw Thro’
My Eyes” (1971), Tigers Will Survive (1972) e In
Search Of Amelia Earhart (1972) con i Plainsong aggiungendo il suo nome alla nutrita schiera dei
singer-songwriters britannici (Sandy Denny, John
Martyn, Nick Drake, Richard Thompson, Al Stew-
Della sua sterminata discografia vi consigliamo dei titoli
facilmente reperibili:
If You Saw Thro’ My Eyes
Forse il suo capolavoro. Registrato con
Richard Thompson, Sandy Denny, Keith
Tippett, tra gli altri e ristampato su cd nel 2003
dalla MK2 Records.
Plainsong
In Search Of Amelia Earhart e materiali sparsi
dei primi Plainsong in un prestigioso doppio cd della Water
(2005)
Valley Hi/Some Day You Eat The Bear
I primi due dischi americani in un solo cd del 2003 della
californiana Water (distribuzione italiana
Goodfellas).
Zumbach’s Coat
L’ultimo album in studio (Blue Rose/Self, 2004)
Sparkler
Con un bonus cd dal vivo in cui Matthews
ripropone tutto If You Saw Thro’ My Eyes (Blue Rose, I.R.D.,
2005)
art, Ralph McTell tra gli altri). Nel 1973 Matthews
è in California per incidere Valley Hi, seguito
subito dopo da Some Days You Eat The Bear...
(1974). Sarebbe troppo complicato seguire la
sua carriera nei dettagli. Ricorderemo appena il
successo commerciale di Stealin’ Home (1978);
l’avventura con David Surkamp dei Pavlov’s Dog
negli Hi-Fi al principio degli anni ‘80; Walking A
Changing Line (1988), completamente dedicato
al cantautore americano Jules Shear; la sua incessante attività come solista, leader dei Plainsong e titolare di un album con Elliott Murphy, La
terre commune (2000). Matthews ha cambiato
nel 1990 la grafìa del suo nome di battesimo e ha
pubblicato il suo ultimo album, Zumbach’s Coat,
nel 2004. Da qualche settimana è uscito Sparkler,
un’antologia che propone canzoni registrate nel
periodo compreso tra il 1989 e il 2004, trascorso
da Matthews in Texas prima del suo definitivo
rientro in Europa. Attualmente Iain, diventato di
nuovo padre da appena cinque mesi, vive in
una cittadina dell’Olanda meridionale.
Giancarlo Susanna
Federico Fiumani
Leader dei Diaframma, gruppo
simbolo della scena post-punk
italiana, Federico Fiumani è una
delle penne più ruvide e poetiche
della canzone italiana.
Cristina Donà
La voce che negli anni 90 ha
saputo accostare la scrittura
cantautorale al rock. Tra le più
interessanti esponenti della nuova
scena italiana al femminile.
Amerigo Verardi
Figura storica dell’underground
italiano degli ultimi quindici anni
Amerigo Verardi è considerato da
critici e colleghi uno dei più grandi
artisti italiani.
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uNA LUNGA STORIA D’AMORE
La musica ha sempre avuto un legame molto stretto con la parola. Le storie
più fantastiche, tramandate di padre in figlio per via orale, erano affidate
al suono e al ritmo delle parole. Così era più facile mandarle a memoria.
Soltanto quando la scrittura ha affiancato e poi sostituito completamente
l’oralità, la narrativa e la poesia hanno potuto vivere senza la musica.
Proviamo qui a capire come la narrativa e la poesia scritte si siano incrociate
con la popular music, quella “musica di larga diffusione che circola
attraverso media come il disco, la radio, la televisione” (Franco Fabbri, Il
suono in cui viviamo, Arcana). Se è vero quello che taluni sostengono e
cioè che negli Stati Uniti la poesia scritta, con le eccezioni della Beat poetry,
si è ormai allontanata dalla cantabilità e che la recitazione rituale che
Ginsberg e gli altri poeti beat cercavano nel loro lavoro è ormai scomparsa
dall’orizzonte della poesia americana, è altrettanto vero che chi scrive
canzoni ha spesso nel suo bagaglio di artigiano qualche raccolta di versi
del passato e che la Beat poetry non ha del tutto esaurito la sua forza
propulsiva. E la narrativa? Provate a confrontare una di quelle “strane”
canzoni che scrive Lou Reed con una pagina di Ultima fermata a Brooklyn
di Hubert Selby Jr. E le influenze sono reciproche.
Quasi tutti gli scrittori americani e inglesi nati nei primi anni del secolo scorso
hanno la popular music come un elemento fondante del loro paesaggio
culturale. Valgano per tutti gli esempi di Jack Kerouac, di James Baldwin,
di Don DeLillo, di Nick Hornby, di Lewis Shiner o di Hanif Kureishi. In Italia un
vero e profondo mutamento in questo senso lo hanno segnato Pier Vittorio
Tondelli, Enrico Palandri e Andrea De Carlo intorno al principio degli anni
‘80. Nei loro libri non c’erano soltanto dei riferimenti espliciti alla cultura
rock, ma anche un ritmo che rimandava alla musica che ascoltavano.
Enrico Brizzi, Giuseppe Culicchia, Andrea Demarchi, Marco Mancassola o
Andrea Mancinelli non fanno eccezione alla regola che vuole la popular
music come un nodo essenziale della narrativa degli ultimi vent’anni.
Spinti soprattutto dall’industria culturale, non sono pochi i musicisti che
hanno accettato di misurarsi con la scrittura. Uno dei casi più clamorosi è
quello di John Lennon, indicato fin dagli esordi dei Beatles come il leader
e l’intellettuale del gruppo. Altrettanto emblematico dell’interesse degli
editori americani e inglesi per gli eroi della cultura giovanile è il caso di Bob
Dylan (nella foto). Se fosse indispensabile individuare un solo artista tra quelli
che hanno modificato profondamente la scrittura delle canzoni pop e rock,
non si potrebbe fare a meno di indicare proprio lui. È con Dylan che, come
scrisse Allen Ginsberg, la poesia ha fatto il suo ingresso nei juke-box. Sulla
strada aperta da Lennon e Dylan troviamo dopo appena qualche anno
Jim Morrison e Patti Smith. La produzione letteraria di quest’ultima anticipa
addirittura l’esordio discografico di Horses, vero e proprio manifesto della
poesia rock. E ricordiamo ancora Jim Carroll, Pete Townshend (degli Who),
Steve Kilbey (dei Church), Lee Ranaldo e Thurston Moore dei Sonic Youth,
Michael Stipe e Grant Lee Phillips (nell’antologia The Haiku Year), Nick Cave
e il cantautore nord-irlandese Andy White.
Fra i molti musicisti italiani - soprattutto cantautori - che si sono cimentati
nella scrittura di prose, racconti e romanzi vorremmo segnalare quelli che
ci sono sembrati i più motivati, a partire da Enzo Jannacci (in coppia con
Beppe Viola ne L’incompiuter) per arrivare a Fabrizio De André (insieme ad
Alessandro Gennari ne Un destino ridicolo). E ancora Ivano Fossati, Claudio
Lolli, Sergio Endrigo - Quanto mi dai se mi sparo?, ripubblicato di recente
da Stampa Alternativa, è uno dei migliori romanzi scritti da un cantautore
italiano - Francesco Guccini, Luciano Ligabue e Roberto Vecchioni.
Anche alcuni protagonisti del nuovo rock italiano hanno tentato la via
della narrativa: Emidio Clementi (fondatore dei Massimo Volume), Manuel
Agnelli, Cristina Donà, Morgan e Stefano Sardo (dei Mambassa).
Non è possibile inoltre trascurare il tributo che molti musicisti pop hanno
di Giancarlo Susanna
reso e rendono alla poesia e alla narrativa. Donovan si è misurato con
William Shakespeare, Lewis Carroll, con il repertorio delle nursery rhymes
britanniche e con Dylan Thomas; John Cale ha messo in musica due liriche
di Dylan Thomas; il folksinger inglese Peter Bellamy ha dedicato uno dei
suoi dischi migliori a Rudyard Kipling; i Blue Aeroplanes hanno affrontato
con successo liriche di W. H. Auden e Sylvia Plath; il folksinger scozzese
Dick Gaughan è da sempre innamorato del poeta Robert Burns; Lou Reed
ha sempre citato tra i suoi ispiratori Delmore Schwartz (suo insegnante
all’università), ha intervistato Hubert Selby Jr. e ha reso un omaggio a Edgar
Allan Poe con l’album The Raven. Tra i “dischi tributo”, va citato il doppio cd
Closed On Account
Of Rabies - Poems
And Tales Of Edgar
Allan Poe, ideato e
prodotto nel 1997
da
Hal
Willner.
Tra quelli italiani
segnaliamo almeno
l’album
centrato
all’Antologia
di
Spoon
River
di
Edgar Lee Masters
di
Fabrizio
De
André (di recente
ripreso da Morgan).
Un caso del tutto
atipico è quello di
Leonard
Cohen,
che
essendo
un poeta e un
romanziere
prima
che un cantautore è riuscito a eccellere
in ogni cosa che ha
realizzato nella sua
lunga carriera. I suoi
due romanzi sono
stati
finalmente
ripubblicati in Italia
ed è da tempo
disponibile
sugli
scaffali delle nostre
librerie la raccolta
di versi L’energia
degli schiavi (con le
traduzioni di un altro
scrittore, Giancarlo
De Cataldo).
E se abbiamo in qualche modo privilegiato nella nostra sintetica analisi
l’Italia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti - Allen Ginsberg ha collaborato con
Bob Dylan e con i Clash; William Burroughs con Kurt Cobain - un richiamo
alla Francia e ad artisti come George Brassens, Léo Ferré, Jacques Brel
(che era belga, ma scriveva in francese) o Serge Gainsbourg non appaia
marginale. Una delle canzoni più belle della popular music, quella in cui
l’equilibrio fra musica e versi raggiunge un livello pressoché inimitabile, è
pur sempre Les feuilles mortes, firmata dal poeta Jacques Prévert e dal
compositore Joseph Kosma.
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La rivoluzione etica e linguistica di Genova e Milano
Riuscire a dare alla moderna canzone d’autore italiana una precisa
locazione storica e geografica non è cosa semplice. Come ogni
evento significativo di un grosso cambiamento è solo la fine di un lungo
processo di gestazione culturale e sociale la cui origine non può essere
circoscritta al solo territorio italiano.
Di sicuro c’è che il vento di novità alzatosi d’oltreoceano dal 1954
(anno di nascita del rock’n’roll) e le correnti artistiche francesi
hanno cominciato a soffiare forte e a farsi sentire anche là dove si
è geneticamente più restii a promuovere ed innescare dinamiche di
cambiamento.
In Italia, invece, l’anno cruciale è il 1958, con la storica esibizione al
Festival di Sanremo di Domenico Modugno, che rompe la tradizione
melodrammatica della canzone italiana ed è il primo a presentarsi
al Festival come autore ed interprete del brano. Ma se il fenomeno
Modugno è ancora un caso troppo isolato per poter parlare di
cambiamento, è solo pochi anni dopo, già a partire dal 1960 (anno in
cui viene coniato per la prima volta il termine cantautore), che viene
fuori, grazie all’iniziativa di Nanni Ricordi, quella che sarà conosciuta
come la “scuola di Genova”. Nanni Ricordi, classe 1934, era un
discografico che faceva parte di una piccola equipe di persone
staccate per formazione e per cultura dalla musica leggera (si
occupavano soprattutto di lirica e musica classica) e che si trovarono
nelle condizioni di rifondare, partendo completamente da zero, una
nuova casa discografica, la “Dischi Ricordi”.
Effettivamente dietro i successi che fanno parte della cosiddetta
“scuola di Genova” ci sono la tenacia e l’intraprendenza di Nanni
Ricordi, che diede la possibilità a gente come Gino Paoli, Luigi Tenco,
Sergio Endrigo (nella foto), Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Piero Ciampi,
Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci (questi ultimi appartenenti alla,
contemporanea a quella di Genova, “scuola di Milano”) di essere
pubblicati tutti per la prima volta nei primi anni ’60.
Volendo accennare a qualcuno di questi artisti, sicuramente non si può
non citare, anche per rendere un doveroso omaggio, Sergio Endrigo,
scomparso poche settimane fa. Endrigo, amava dire di non essere un
cantante, ma un uomo che canta e, proprio coerentemente a questa sua
impostazione, non ha mai ceduto a divismi o eccentriche manifestazioni di
se stesso, neanche nei momenti di maggior successo (negli anni 60 arrivò a
vendere 650.000 copie del 45 giri Io che amo solo te e vinse con Canzone
il Festival di Sanremo), ma ha sempre mantenuto quella sobrietà e quella
onestà intellettuale che lo ha visto progressivamente allontanarsi da un
certo tipo di scena per collaborare con gente come Pasolini e Rodari (i quali
intervenivano abitualmente nella stesura dei suoi testi). Nella seconda parte
della sua carriera ha lavorato con cantautori brasiliani del calibro di Vinicius
de Moraes, Toquinho e Chico Buarque de Hollanda.
Gli esordi di Endrigo, comunemente a tutti gli artisti della cordata genovese,
è impregnato di realismo, basato per lo più su quella “saudade” tutta
italiana che spinge non solo a cantare di amori difficili e tormentanti, in
netta antitesi però, con la formula manieristica sanremese di allora, ma ad
affrontare anche temi di natura politica e sociale, basati per lo più su una
forte insoddisfazione di fondo verso il quieto vivere borghese. Pezzi come La
Brava gente, dello stesso Endrigo, Ciao amore, ciao di Tenco, Per un piccolo
eroe di Mazzola-Bindi ne sono un esempio.
In realtà, però, parlare di una vera e propria “scuola di Genova” o “di
Milano” non è corretto, in quanto in senso stretto non sono mai esistite, ma
il termine sta ad indicare un gruppo di artisti, come quegli sopra citati, che
in parte si richiamavano agli chansoniers francesi, in parte al jazz e al rock
e che nulla avevano a che fare con i canoni delle precedenti produzioni
musicali del tempo. Raccontava Giorgio Gaber: “Nanni puntava su cavalli
ai quali non avrebbe creduto nessuno, non erano il genere di prodotto che
di Francesco Lefons
si pensava potesse vendere: come Paoli, Tenco, Bindi e io”.
Ricordi diede “asilo”, lasciando completamente carta bianca, ad artisti
che a modo loro furono la prima svolta “progressiva” della canzone
italiana, artisti che, ognuno con il suo stile e la sua concezione musicale,
hanno ricongiunto la quotidianità con la musica restituendo una
dimensione più popolare alla canzone d’autore. Ci si trova di fronte,
insomma, ad una vera e propria rivoluzione etica e linguistica, che ha
inevitabilmente creato nuovi spazi artistici, dove ogni autore è riuscito
a mettere in musica il proprio mondo, la propria quotidianità, la propria
visione delle cose. In un certo senso esiste un filo conduttore che a livello
funzionale accomuna Paoli, Tenco, Lauzi, Endrigo, Bindi, Ciampi, Gaber,
Jannacci, ma è proprio questa funzionalità, che si traduce in quella
rivoluzione linguistica ed etica, che ha restituito degli artisti completamente
diversi per stile, temi e formazione artistica e che comincia a costituire
l’humus fondamentale della crescente scena musicale italiana.
È quindi grazie ai genovesi e ai milanesi che la canzone d’autore comincia
a delineare i contorni della raffinatezza, dell’introspezione, dell’invenzione
d’autore: i primi ispirati dalla canzone francese, portano in scena tutta
la malinconia di amori disperati e un malessere di fondo dovuto ad un
distacco metafisico nei confronti della società borghese; mentre i secondi,
tra cui compare, oltre ai già citati Jannacci e Gaber anche Dario Fo,
basano il loro lavoro artistico sul calembour del cabaret, sul paradosso,
sull’ironia del reale condito dalla satira politica.
Comincia a fiorire, dunque, una precisa coscienza intellettuale, che ha
visto i suoi primi germogli qualche anno prima nel torinese, con l’esperienza
dei Cantacronache, e che ha gettato le basi sia del folk revival che della
grande stagione della canzone politica.
Cool-
Il Canto di protesta
“Le canzoni non possono cambiare il mondo, ma possono provare a
raccontarlo”.
Così, con una retorica apparentemente banale, Francesco De Gregori riassume un principio inconfutabile: la musica non fa rivoluzioni.
Eppure il verso cantato possiede
da sempre un potere innegabile:
quello di rischiarare un lato del
mondo altrimenti oscuro, di chiarire con una parola il punto di vista
dell’altro. E talvolta riesce anche a
infondere un sentimento di solidarietà; questa è la vera forza della
canzone di protesta.
“Avvoltoio vola via / Tra le foglie
in mezzo ai rami / Passan sol raggi di sole /…/ Non più i colpi del
fucil”(Italo Calvino). Tutto cominciò a Torino, verso la fine degli
anni Cinquanta. Sotto il nome di
Cantacronache si incontrarono
intellettuali celebrati e giovani innovatori, desiderosi di inserire nella
forma canzone tematiche vicine
al popolo e al sentire comune.
L’esperienza fu breve, ma la miccia era stata accesa. Dopo poco,
il centro di diffusione diventò Milano, il Nuovo Canzoniere Italiano e
la sua fondamentale testimonianza su vinile, I dischi del Sole. Da qui
il canto di protesta mosse il primo
passo importante: lo spettacolo
Bella Ciao, messo in scena al festival di Spoleto del 1964, di fronte
all’alta borghesia ingioiellata e sbigottita, definì il genere e lo portò
all’attenzione degli uomini di cultura italiani.
“Mio caro padrone domani ti sparo / farò di tua pelle sapon di somaro” (Paolo Pietrangeli). Intorno
al Nuovo Canzoniere gravitavano
i giovani cantastorie italiani. Mancavano però
i grandi modelli, e si iniziò
allora a guardare oltreoceano, verso
Bob
Dylan,
e poi anche
verso i suoi
maestri Woody Guthrie e
Pete Seeger.
Nacque
in
questo modo
un modello
di ballata e
di canzone il
cui fulcro era
la realtà operaia e la lotta
del proletariato. Numerosissimi
gli
esempi, dalla
celeberrima Contessa a La ballata
della Fiat di Alfredo Bandelli, dalla
toccante I treni per Reggio Calabria di Giovanna Marini alle canzoni più dure, come Nove maggio,
di Ivan Della Mea.
“Tre, noi volessimo sapé / se Andreotti s’è deciso da mandarce’n
paradiso / ché all’inferno ce stamo già” (Canzoniere del Lazio).
Fino a questo punto l’operazione
di riscoperta era rimasta di carattere squisitamente intellettuale,
ristretta all’interno del circuito del
PCI e dei sindacati. Come in tanti
altri contesti socioculturali, anche
nel mondo della canzone protestataria il sessantotto si pose come
divisorio tra il vecchio e il nuovo, tra
le esperienze isolate e l’esplosione
di un fenomeno. Dalle rivendicazioni studentesche e operaie sorse
infatti un interesse generalizzato,
diffuso ovunque, verso il repertorio di canti del popolo contadino
e montanaro. Benzina sul fuoco
fu gettata dagli inglesi: i due ca-
di Gianpaolo Chiriacò
polavori del folk-rock, Liege & Lief
(Fairport Convention,1969) e John
Barleycorn Must Die (Traffic, 1970),
dimostrarono ai musicisti italiani
quanto fosse importante appropriarsi del senso più profondo della
canzone popolare, di quell’emozione sempre viva per poi trasferirla
in nuove composizioni o modificarla con nuovi arrangiamenti. Fu la
svolta definitiva. In pochi mesi nacquero centinaia di gruppi di riproposta, in chiave inevitabilmente
politica, della canzone popolare,
dai più rispettosi Taberna Mylaensis e Nuova Compagnia di Canto
Popolare all’irriverenza degli e’Zezi, all’innovazione degli Stormy six.
Ma la parabola più significativa la
visse il Canzoniere del Lazio. Nato
nei primi anni Settanta, si dedicò
subito alla composizione di brani
originali, prima nel segno più tradizionale per poi discostarsi verso
una originale mistura di jazz-rock e
folk. La sua peculiarità: Piero Brega,
la voce più affascinante e intensa
del canto popolare italiano, interprete sincero e allo stesso tempo
artista, caso unico eppure simbolo.
Una figura simile, per personalità e
per un vissuto interiore travagliato,
a quella rappresentata da Sandy
Denny per il folk inglese.
“Capelli corti generale ci parlò all’Università /…/ ma non fumammo
con lui, non era venuto in pace”
(De André). Alimentata dall’esistenza del movimento giovanile,
alla morte di questo, anche la
canzone di protesta subì un forte
arresto. Sopravissero soltanto alcune formazioni; il Canzoniere del
Lazio non fu tra queste e si frantumò. Ma Piero Brega, prima di
uscire completamente di scena,
diede vita insieme a colossi quali
Mauro Pagani e Demetrio Stratos
al progetto Carnascialia, il primo
esempio concreto di world-music
in Italia e insieme canto del cigno
di un certo tipo di ricerca musicale. Quasi trent’anni dopo, nel 2005,
Piero Brega è tornato con un disco
bellissimo Come li viandanti, pubblicato dal Manifesto. Non sarà un
segno dei tempi, ma il suo ritorno
testimonia che, nonostante tutto,
ha ancora senso raccontare una
parte di mondo con una canzone.
Gianpaolo
Chiriacò
Area. Musica
e rivoluzione
Stampa
alternativa
Area. Musica
e rivoluzione
è il titolo
dell’agile
volumetto firmato da Gianpaolo
Chiriacò che racconta la storia del
gruppo guidato da Demetrio Stratos
collocandola in maniera puntuale e
documentata all’interno del difficile
periodo che l’Italia visse negli anni
‘70. Nella stagione in cui il personale
e il politico cercavano la propria
reciproca identità, gli Area seppero
offrire un’interpretazione peculiare
di quei giorni di passioni e di idee.
E lo fecero in musica, lavorando
come un collettivo di formidabile
impegno artistico, in una sapiente
alchimia degli spunti più significativi
e trasversali: dalle intuizioni geniali
di John Cage alla complessità
strutturale del “prog”, e dal jazz
fino alle musiche etniche. Il volume
è diviso in quattro capitoli due dei
quali includono testi, commenti,
recensioni, articoli, interviste. La
musica, i dischi, le passioni, le idee
è una accurata biografia che
ricostruisce le origini, la discografia e
la conclusione dell’esperienza degli
Area. La sezione I linguaggi è una
interessante analisi sui vari linguaggi
utilizzati dagli Area nella loro miscela
musicale che svaria dal carattere
mediterraneo di Cometa rossa e
Luglio, Agosto, Settembre (nero),
all’impronta jazzistica di Diforisma
urbano e Consapevolezza, dalle
composizioni “in forma estesa”
de L’Internazionale, al recitativo
frammentato di L’abbattimento
dello Zeppelin e La mela di Odessa,
dall’operazione concettuale di
Lobotomia, alla forma (quasi)
canzone di Gioia e rivoluzione e
Ici on dance. Il libro è corredato
dal cd del concerto al “Parco
Lambro”, il più grande festival della
controcultura italiana, dove alle
esecuzioni degli Area si alternano
suoni, proteste e dichiarazioni del
proletariato giovanile.
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MAI PESSIMISTA COME ORA
Non è necessario che abbia un
disco in uscita o che partecipi a
qualche evento particolare per
fare una chiacchierata con Mauro
Pagani. Certo non mancano gli
argomenti di discussione con un
artista che ha fatto parte di uno
dei periodi forse più coinvolgenti
della musica italiana. E per questo...
abbiamo deciso di parlare, diciamo
così, di politica.
Vieni da una generazione,
quella del ’68, in cui c’era più
aggregazione sia politica che
musicale, come ti raffronti a quello
che stiamo vivendo oggi?
Guarda, mai sono stato pessimista
come ora. Poi, per fortuna sono un
imbecille ottimista, sono sempre
stato un ottimista da ragazzo,
“per me le cose si risolveranno”, “il
bicchiere mezzo pieno” e tutta la
retorica dell’ottimismo. Certo è che
siamo in una situazione nella quale
la gente fa fatica ad aggregarsi
su ideali precisi perché in realtà lo
spettacolo che offre la politica non
riesce ad esprimere il contenuto
delle cose vere della vita. La gente
prende la politica sempre più come
un gioco che si fa sui giornali. In
realtà la politica dovrebbe essere
l’arte mentale più alta. Attraverso
la politica noi dovremmo rendere
realtà quello che vorremmo come
ideale dalla nostra vita. La parola
d’ordine nel ’68 era “il personale è
politico”, qualunque cosa che fai,
che mangi, che compri è politica,
quella era un‘esasperazione, ma
oggi siamo all’estremo opposto.
Siamo abituati a delegare ai partiti,
anche la sinistra è prigioniera di
questo meccanismo, il ruolo del
partito è stato il problema sul quale
sono naufragate tutte le rivoluzioni
marxiste degli ultimi 100 anni a
partire da quella sovietica. Allora
è evidente che, se da un lato,
perfino nel mondo dell’opposizione
c’è questo scollamento tra la
gente e la politica, dall’altro lato
vediamo poi come al potere oggi
ci sia non un partito ma una ditta.
I ragazzi sentono molto sulla loro
pelle questo: vedo che i movimenti
riescono ad aggregare molto
perché la loro bandiera da subito
è: “non siamo un partito”, “non
prendiamo decisioni”, “siamo
un contenitore dove crogiolare i
nostri sogni, i nostri cambi, i nostri
obiettivi” ma si fermano prima della
riaggregazione in partito per non
ricadere nello stesso problema.
Questa è una cosa fantastica però
ci rende tutti un po’ impotenti,
allora il dubbio è che stiamo
guardando questa Italia del secolo
scorso naufragare e non abbiamo
più la minima idea di come
metterci una pezza.
Mi sembra che le persone siano
molto più individualiste e portate a
“tirare l’acqua al proprio mulino”,
fenomeno in parte estraneo ad una
nazione come l’Italia reduce da
una dittatura, poi non così lontana,
e da una guerra che ha avuto nel
“Ci sono dei
confini che non
bisogna passare
che sono la
compromissione
della propria
creatività”
suo finire una “Resistenza” piuttosto
forte.
Ognuno pensa per sé perché
non riesce a trovare qualcuno
che riesca ad aggregarlo in una
pratica reale, quotidiana sul come
cambiare le cose. Una delle
soluzioni è quella che si diceva una
volta: “la unica e vera
rivoluzione è la tua”. Se
non riesci a cambiare le
cose dall’alto proviamoci
dal basso. È inutile
lamentarsi, cominciamo
a cambiar nel nostro
quotidiano.
E un musicista, un artista
come te in quale modo
affronta la situazione?
Ci sono dei confini che non
bisogna passare che sono
la compromissione della
propria creatività. Per il
resto non si può negare la
realtà e, visto che l’unico
modo che hai per entrare
in contatto con gli altri, è
usare la comunicazione,
dobbiamo ricordarci
che noi non dobbiamo
Intervista
a Mauro
Pagani
di Lorenzo
Donvito
assumere la forma del contenitore.
Se andiamo in una radio
commerciale dobbiamo proporre
quello che siamo. Il problema è
se assumi la forma della radio e
cambi la tua musica per passare da
quel canale lì, quello è il peccato
mortale.
Che ne pensi della rivisitazione di
Morgan del lavoro di De André Non
Al Denaro Non All’Amore Né Al
Cielo, si è spinto troppo in là?
Ma sai, Morgan è uno molto bravo.
Le cose che fa mi piacciano e il
lavoro in parte l’ha anche registrato
in studio dove lavoriamo noi. È un
artista bravo, rigoroso e coerente.
Io non avrei affrontato l’operazione
da questo punto di vista. Io avrei
fatto la mia Spoon River personale,
avrei preso i testi, li avrei rimusicati,
avrei riarrangiato due o tre pezzi,
altri li avrei riscritti. Però è strano,
è come se la generazione di
Morgan attraverso questo progetto
cercasse di ricostruire passo per
passo una paternità che di fatto
non ha avuto. Morgan è cresciuto
negli anni ’80 e tutte queste cose le
recupera leggendo o riascoltando
i vecchi dischi. Facendo questa
operazione è come se si costruisse
un passato musicale che non ha
avuto, da questo punto di vista è
un’operazione che mi piace, poi
sai… il calligrafismo a volte è un po’
pericoloso.
La carriera di Mauro Pagani
inizia negli anni ’60 con diverse
band rock e blues. Nel 1970
si unisce ai Quelli. Poco dopo
nasce la Premiata Forneria
Marconi, con cui lavora fino
al 1977 con quattro LP, quattro
tournees americane e concerti
in Italia, in tutta Europa e in
Giappone. Nel 1979 realizza
il suo primo album solista.
Nel 1981 conosce Gabriele
Salvatores
e
realizza
le
musiche del Sogno di una
notte d’ estate per il Teatro
dell’Elfo, dell’omonimo film
e delle successive pellicole
Puerto escondido, Nirvana.
Nello stesso anno inizia a
collaborare con Fabrizio de
Andre’, di cui sarà produttore
e arrangiatore per dieci anni.
Insieme scrivono Creuza de Ma,
Le Nuvole del 1990 e il doppio
live dell’anno successivo 1991
Concerti. Sempre nel 1991
conquista il Premio Tenco con
il suo secondo lavoro Passa la
Bellezza. Alla fine degli anni ’90
e negli anni successivi produce
il nuovo CD di Nada Dove
sei sei e partecipa in diversi
dischi di amici come in 4/4
degli Almamegretta, Zero dei
Bluvertigo, Nido di Cristina Donà
e Uno’-Due di Daniele Silvestri.
Nel 2003 pubblica Domani
mentre nel 2004 ripropone a
vent’anni dall’uscita Creuza de
Ma, una appassionata rilettura
del lavoro omonimo scritto con
Fabrizio de Andrè.
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La mia CanZone d’autore
di Pierpaolo Lala
Sintetizzare la storia della musica d’autore
italiana degli ultimi 30 o 35 anni è compito
arduo per non dire impossibile. Dalla nascita
della scena dei cantautori, soprattutto a Roma
intorno al Folk Studio, ai gruppi prog, dal riflusso
dei primi anni ’80 all’uso insistente del dialetto
e delle inflessioni regionali, dalla stagione
delle band al ritorno di suoni più “acustici”
dei primi anni del nuovo millennio: la figura
del cantautore si è trasforma e si è adeguata
ai tempi. Da cantore della protesta ed egli
stesso simbolo del cambiamento (si pensi al
famoso “linciaggio” subito da De Gregori a
Milano) alla visione molto più “intimista” delle
ultime generazioni. Qui ci permettiamo solo di
segnalare alcuni lp e cd usciti dal 1970 in poi
che hanno segnato la vita, perlomeno di chi vi
scrive.
1972
Antonello Venditti - Francesco De Gregori Theorius Campus
I due cantautori romani
esordiscono in coppia
con questo album che
contiene fra le altre la
celeberrima canzoni di
venditti Roma Capoccia.
1973
Edoardo Bennato
- Non farti
cadere le
braccia
È l’esordio
discografico dell’architetto
napoletano che entra subito nelle
grazie della critica e del pubblico
1973
Roberto Vecchioni - L’uomo che si
gioca il cielo a dadi
L’album contiene quello che
viene riconosciuto come il
capolavoro di Roberto Vecchioni
Luci a San Siro.
1973
Fabrizio de Andrè - Storia di un impiegato
Impossibile indicare un album per uno dei
maestri della canzone d’autore italiana. Storia
di un impiegato è un
concept album che
parte dal maggio
’68 per raccontare
la contestazione e
l’Italia dei primi anni
’70. è comunque
limitante per un
artista come De
Andrè che ha
saputo attraversare
con parole, suoni,
arrangiamenti, live, collaborazione la storia del
nostro paese.
1974
Paolo Conte - Paolo Conte
Inseriamo qui l’esordio discografico
dell’avvocato. A trentasette anni, ma con una
lunga gavetta di autore alle spalle, Conte si
presenta con una voce rauca (e a dir il vero
stonata) e testi poetici e ironici.
1977
Eugenio Finardi - Diesel
Dopo la Musica ribelle contenuta in Sugo
Eugenio Finardi torna con Diesel, uno dei migliori
esempi di rock italiano.
1976
Francesco Guccini - Via Paolo Fabbri 43
Piccola storia ignobile, Canzone di notte n 2,
il manifesto L’avvelenata, Via Paolo Fabbri 43,
Canzone quasi D’amore e Il Pensionato sono le
sei canzoni che compongono questo album di
Guccini scelto più per affetto e per il successo
di alcuni dei brani che per un reale merito nella
svariata produzione di Guccini.
1977
Lucio Dalla - Come è profondo il mare
Disperato erotico stomp è la canzone più
famosa di questo album, il primo firmato
interamente da Dalla che riesce comunque per
molti anni consecutivi a superare il milione di
copie vendute.
1978
Rino Gaetano - Nuntereggaepiù
Il cantautore calabrese è scomparso a 31 anni
ma ci ha lasciato canzoni cariche di ironia e di
impegno.
1979
Franco Battiato - L’era del
cinghiale bianco
Dopo numerosi album da
sperimentatore di suoni e
atmosfere (in maniera diversa
da Fetus a L’Egitto prima delle
sabbie) il cantautore siciliano
esce con il suo primo lavoro
di “musica leggera” prologo
della produzione
degli anni ’80.
1980
Lucio Battisti - Una giornata uggiosa
È l’ultimo album firmato da BattistiMogol. Un premio alla carriera per
una coppia che ha cambiato e
innovato la scena della musica
d’autore influenzando le successive
generazioni.
1980
Vasco Rossi - Colpa d’Alfredo
L’arrivo di Vasco Rossi nella musica italiana
è sconvolgente. Punk nella musica e nelle
abitudini, testi incazzati e apparizioni televisive
sempre al limite. Un bel pugno nello stomaco.
1980
Pino Daniele - Nero a metà
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 Il
chitarrista napoletano firma una serie di album
molto ispirati che si muovono tra il blues, la
musica d’autore italiana, la rabbia, l’ironia, il
dialetto, il linguaggio scurrile.
1982
Francesco De Gregori - Titanic
Da grande appassionato del Principe è stata
dura scegliere. Inserisco Titanic perché racconta
in maniera
poetica l’epopea
dell’emigrazione
(Titanic, I muscoli
del capitano,
L’abbigliamento
di un fuochista)
e ospita brani
bellissimi.
1985
Sergio Caputo
- No smoking
Nei primi album
Sergio Caputo
fonde sapientemente sonorità jazz e cocktail
con testi ironici e carichi di storie.
1992
Ivano Fossati - Lindbergh – Lettere da sopra la
pioggia
L’Ulivo ha scippato questo album della Canzone
popolare. Ma il disco è forse il più ispirato di
Fossati e contiene brani come La barca di legno
di rosa, Sigonella, La Madonna nera, Il disertore,
la traduzione di una poesia di Boris Vian, Poca
voglia di fare il soldato.
1994
Vinicio Capossela
- Camera a sud
Da molti
considerato
il miglior cd
dell’istrionico
cantautore, ultimo
della fase “jazz”,
contiene almeno
due canzoni
bellissime:
Camera a sud e Camminante.
1994
Gianmaria Testa - Montgolfières
Esce prima in Francia e dopo in Italia il
primo disco di questo ferroviere di Cuneo.
1995
Daniele Silvestri - Prima di essere un uomo
Le cose in comune, Domani mi sposo, La
Y10 bordeaux, Prima di essere un uomo,
Cose da dimenticare… quest’album è ricco
di belle canzoni. Non so se è il miglior lavoro
del cantautore romano ma sicuramente quello
che lo ha fatto apprezzare per la prima volta al
grande pubblico.
1997
Carmen Consoli - Confusa e felice
La cantantessa siciliana è la capofila della
nuova musica d’autore al femminile. Confusa e
felice è l’album della consacrazione.
2000
Samuele Bersani - L’oroscopo speciale
L’emiliano è uno degli autori più interessanti
della nuova scena italiana. Nel 2000 dopo la
partecipazione a Sanremo con Replay pubblica
questo album. Nel 2004 conquista anche il
Premio Tenco con Caramella Smog.
2003
Cristina Donà - Dove sei tu?
Dopo i primi due album (Tregua e Nido) la
bergamasca
Cristina Donà firma
per Mescal un
cd nel quale ha
un approccio più
solare.
2004
Paolo Benvegnù
- Piccoli fragilissimi
film
Impossibile,
secondo me, non
inserire il primo
lavoro solista
dell’ex leader degli
Scisma.
2004
Morgan - Canzoni
dell’appartamento
Il leader dei Bluvertigo esordisce da solista e
conquista subito il Premio Tenco.
Keep Cool
PAUL IS DEAD
“Si può tranquillamente
affermare che le leggende
urbane siano una forma di
artigianato pop. Si tratta
di racconti il cui intreccio
si sviluppa in luoghi quasi
banali: l’interno di un
collegio, un’autostrada,
un supermercato, un
appartamento. In questi
scenari di normalità interviene
un elemento di rottura e
la realtà improvvisamente
s’incrina. Le leggende urbane
ci fanno affacciare sull’orlo
di un ‘altro quotidiano’
in cui gli avvenimenti si
svolgono in modo bizzarro,
orrido o misterioso. Emerge
un universo parallelo dove
gli autostoppisti svaniscono
nel nulla, i cani diventano
topi, i dischi dei Beatles
lanciano messaggi esoterici,
i giapponesi addestrano
eserciti bonsai”. (99 leggende
urbane, a cura di Maria
Teresa Carbone, Mondadori,
1990). Un capitolo di
questo libro è naturalmente
dedicato alla storia della
(presunta) morte di Paul
McCartney, un lato oscuro
che curiosamente riemerge
a distanza di anni. Come
se fosse facile trovare un
sosia con lo stesso talento
e la stessa creatività, ma
procediamo con ordine.
Verso la fine del 1979 Russ
Gibbs, il conduttore di un
programma musicale dalla
stazione radio FM di Detroit
WKNR, riceve la telefonata
di un giovane ascoltatore
che gli comunica che Paul
McCartney è morto in seguito
a un grave incidente stradale
nel novembre del 1966 ed è
stato sostituito da un sosia.
Da cosa lo ha dedotto?
Dall’ascolto al contrario di
Revolution n. 9 sull’Album
Bianco dei Beatles. La notizia
viene ripresa con un certo
clamore dalla stampa e da
alcune indagini risulta che
in uno scontro avvenuto
nello stesso periodo è morto
un giovane dai capelli
scuri, sfigurato al punto di
impedirne il riconoscimento.
Nell’inverno del 1966 si era
tenuto inoltre un concorso
per individuare un sosia
di Paul McCartney, vinto
da uno scozzese, un certo
William Campbell. In cambio
dell’effimera gloria di questa
vittoria a Campbell era stato
offerto di prendere il posto
del defunto McCartney in
cambio di una cospicua
somma. Si era detto che il
concorso non aveva avuto
alcun esito e di Campbell
si erano perse le tracce.
Ma l’aspetto ancor più
inquietante è quello che
riguarda i segnali lanciati
dagli altri tre Beatles per
abituare piano piano
il pubblico alla tragica
comunicazione della
scomparsa di Paul. Si è detto
che la voce di John Lennon
pronunci “I buried Paul” (‘Ho
sepolto Paul”) verso la fine
di Strawberry Fields Forever
(pare in realtà che John
dicesse “cranberry sauce”).
In A Day In The Life John dice
“He blew his mind out in a
car” (“Si è giocato la testa
in una macchina”), ma il
riferimento è a Tara Browne,
ventunenne erede della
famiglia Guinness e amico dei
Beatles, morto in un incidente
d’auto nel 1966. Sulla quarta
di copertina del Sgt. Pepper
Paul è l’unico ritratto di spalle,
mentre nella foto all’interno
ha cucito sulla giacca un
badge con su scritto
“OPD” (“Officially
Pronounced
Dead”, “Dichiarato
ufficialmente morto”;
in realtà “Ontario
Police Department”).
Nel libretto del
doppio EP Magical
Mystery Tour c’è una
miriade di presunti
“indizi”: Paul seduto
dietro una targa con
su scritto”I was”, Paul
senza scarpe (come
i cadaveri composti
nella bara), Paul con
un garofano nero
all’occhiello (gli altri
ce l’hanno rosso”...
Sulla copertina di
Abbey Road Paul è
l’unico senza scarpe,
sulla targa di una
Volkswagen c’è scritto “28IF”,
ovvero “28 (anni) se”... non
fosse morto! Pura follia. Non
troppo lontana in fondo da
quella che ha armato la
mano dell’assassino di John
Lennon quella terribile sera
di dicembre di venticinque
anni fa. Ma se avete ancora
qualche dubbio... ascoltate
Chaos And Creation In
The Backyard. Puro Paul
McCartney al mille per cento.
Un genio non può avere
sosia.
G. S.
Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge, Italiana, Indie
la musica secondo coolcub
Paul McCartney
Chaos And Creation In The Backyard
EMI
di Giancarlo Susanna
Quando un artista come Paul McCartney - uno di quei pochi che hanno cambiato davvero molte cose - ritorna con un nuovo album, si apre il
dibattito su come sistemarlo dal punto di vista critico. Sono discorsi che
lasciano un po’ il tempo che trovano.
Ognuno ha un disco o una canzone
che ama di più, tra i tanti che Paul
ha scritto e registrato. E non è detto che siano quelli meglio giudicati
dagli esperti. C’erano “confusione e
creatività nel cortile” della casa dove
abitavano i McCartney. Quanti anni
fa? Tanti. Appena prima che i Beatles
mettessero il mondo sottosopra. La
foto di copertina è di Michael, il fratello di Paul, e risale al 1962. In bianco
e nero. Come quasi tutti le immagini
dei Beatles prima maniera. Qui scatta
il primo messaggio subliminale. è un
po’ difficile spiegare a chi non l’abbia vissuto cosa è stato il terremoto
provocato da questi quattro ragazzi.
è qualcosa che le persone della mia
generazione portano inciso a fuoco
nel cuore e nella mente.
Molto semplicemente e senza
tanti giri di parole: Chaos And
Creation In The
Backyard è il più
beatlesiano tra
gli album di Paul
McCartney. Ed
è anche - senza
timore di sbilanciarsi, chi se ne
importa! - il più
bello, ispirato e
coinvolgente tra
i tanti che questo
straordinario personaggio
ha pubblicato.
Lascio a chi conosce i Beatles
il piacere sottile
di
individuare
i segnali e i rimandi alla loro
storia musicale
che emergono
nell’album. Ne
segnalo
uno
soltanto: la chitarra acustica di
Jenny Wren, che
non può non
ricordare BlackBird, così come
il duduk che ne
riprende la melodia rimanda al
corno di For No
One su Revolver. I passaggi
dell’acustica
li
spiega lo stesso
Paul nel documentario
del
DVD che è inserito in un’edizione
speciale dell’al-
bum, ma non pensate che Chaos
And Creation sia un mero riandare al
passato. Qui ci sono canzoni di Paul
per il 2006. Con una malinconia sottile
e penetrante. Qualcosa che ha certamente a che vedere con i capelli
grigi, con le rughe che gli segnano il
volto, con un’invincibile nostalgia per
quel cortile, per gli anni turbinosi della
beatlemania, per John e George che
non ci sono più. Perfino una canzone
tipicamente McCartney come English Tea - un quadretto alla When I’m
Sixty-Four, per intenderci – è carica di
uno spleen che raramente si è sentito
nella sua musica. Non c’è una nota di
troppo, in questo disco. Non c’è una
parte vocale sbagliata. Paul ha suonato quasi tutto e un riconoscimento
speciale va a Nigel Godrich, che si
conferma come uno dei migliori produttori in circolazione. Aveva ragione
George Martin quando ha fatto il suo
nome a Paul... questo è quel che accade quando due “menti” si incontrano!
KeepCool
Frank Black
Honeycomb
Cooking Vinyl
Tutti, o quasi, ricorderemo
questo nome associato
a una delle più grandi
band dell’indie rock di tutti
i tempi: i Pixies. In attesa
dell’annunciata reunion della
band e del nuovo album,
Frank Black esce con un
nuovo disco solista. Registrato
a Nashville Honeycomb è
un disco sorprendente nella
sua classicità. Affiancato nel
tempio della tradizione da
mostri sacri del soul, questo
disco è scritto e arrangiato
come se dovesse prendere
posto tra Johnny Cash e
Neil Young. Un disco che
sembra una riflessione per
i sopraggiunti quaranta,
neanche una svisata ma
ballate figlie di un periodo
difficile che ti accarezzano le
orecchie, piene del talento di
un uomo che o sottovoce o
sguaiatamente ha ancora da
dire la sua.
Elbow
Leaders of the Free World
V2
Forse in quella data milanese
dei Blur ero tra i pochi accorsi
per gli Elbow. Una delle
aperture più belle che abbia
mai visto, un live, quello
degli Elbow è un live che
cresce nel suo svolgersi fino
a maturare ed esplodere
come un vulcano. Tanto
che alla fine ho salutato con
timido entusiasmo i Blur, una
delle band che ha segnato
la mia giovinezza. Gli Elbow
sono il giusto compromesso,
la prosecuzione intelligente
di un certo pop da cui ci
saremmo aspettati altro. Dove
gli Starsailor non arriveranno
mai, dove i Coldplay si
erano incamminati prima di
sembrare epigoni degli U2,
questa è la strada battuta da
questa band. La voce di Guy
Garvey è velluto che si posa
morbido e traina brani corali e
a tratti sinfonici, tra arpeggi di
chitarra e piano si dipanano
melodie intriganti e intrise di
coinvolgimento emotivo, una
carica drammatica che le
rende vive e vissute.
(O. P.)
Architecture in Helsinki
In case we die
Moshi moshi
di Federico Baglivi
Nonostante il nome, gli
Architecture in Helsinki non
sono finlandesi. Vengono
dall’australiana Melbourne,
e si ripresentano con In Case
we die, loro secondo lavoro.
L’album uscì nel 2004 per
l’americana Bar None rec.,
arriva finalmente in Europa
prodotto dalla Moshi moshi.
Dopo il sorprendente disco
d’esordio Finger Crossed,
ci ripropongono questo
eccentrico pop-elettronico
mututato dai Belle&Sebastian.
Reinterpretano l’elettronica
variando con rapidi accenni
dai Mum ai Lali Puna (Do the
10
Cocorosie
Noah’s ark
Touch and go
di Valentina Cataldo
Non mi perdono ancora di essermi
persa la loro ultima inaspettata
performance italiana di qualche
tempo fa sul palco di Enzimi e chi
c’era - fortunato - è pronto a giurare
di esserne rimasto estasiato. Eteree,
cariche di un erotismo naturale al
punto di esplodere, musicalmente
parlando di un’eleganza e una
grazia sorprendente. Cosa abbia
spinto le due sorelle Casady a
ritrovarsi dopo anni di separazione
e decidere di far musica insieme
non lo sappiamo, ma visti i risultati la
decisione è stata quella giusta. Con il
loro primo album (La maison de mon
reve), un anno fa, avevano colpito,
straziato, inorridito, entusiasmato
pubblico e critica indie. Giocattoli
d’infanzia alla mano, carillon e
pianti di neonato, squilli di telefono
e “oggetti e attrezzature normali”
avevano prodotto un piccolo
incanto lo-fi. La meraviglia suscitata
da quell’uscita stava iniziando ad
assopirsi quando ecco che le belle
fanciulle ritornano con Noah’s
ark. Flauto chitarra e voce l’una,
percussioni e voce l’altra hanno
dato vita a dodici tracce scritte
tra i backstages di tutto il mondo o
chiuse nella loro stanzetta francese.
Loro sono quelle di una anno fa, con
una produzione più curata e con
collaborazioni che ci lasciano allibiti.
Si pensi solo alla voce struggente di
Antony su Beatiful Boys. E brave le
sorelline live a Bari il 16 novembre.
The Coral
The Invisible Invasion
Deltasonic/Sony
di Camillo Fasulo
Una
scheggia
di
benefica
psichedelia sta viaggiando nella
galassia musicale contemporanea.
Se n’era avvistata la sagoma circa
tre anni fa quando attraversò
la nostra atmosfera emanando
fragranze di fiori e colori d’altri
tempi.
Ecco
arrivare
adesso
l’invasione invisibile del corallo dallo
spazio profondo. Quarto episodio
della saga musicale di James Skelly
e soci, séguito dei CD lunghi The
Coral (2002), Magic And Medicine
(2003) e del mini Nightfreak And
The Sons Of Becker (2004), The
Invisible Invasion ripropone, in dosi
modificate, gli idiomi tanto cari
alla band: folk e pop mescolato
con acidi rock, tastiere doorsiane e
chitarre elettriche. Tutto qui collide
sviluppando
una
stupefacente
esplosione psichedelica. Da questo
big bang nasce un piccolo gioiello
dalle sfumature cangianti e dalle
atmosfere mutevoli, un ibrido tra il
miglior pop, la psichedelia sixties e
qualche fantasma garage. Difficile
però archiviare The Coral negli
scaffali della nostalgia. Qui c’è della
personalità! Non ci troviamo di fronte
a del puro e semplice revival ma
ad un perfetto equilibrio tra spunti
retrò e contaminazioni moderne.
Un ottimo esempio di come le
passioni del passato possano essere
ri-vitalizzate eludendo il problema
dell’originalità a tutti i costi. Proprio
in questo sta la loro grandezza.
Nada Surf
The weight is a gift
City Slang 2005
di Valentina Cataldo
Sono tornati, dopo tre anni da
quel Let go considerato da gran
parte della critica uno degli album
più belli dell’annata 2002. Sono
tornati con un disco che - “ispirato
da
esperienze
difficili
vissute
nell’ultimo periodo”(come rivelato
in un’intervista) - si fa portavoce di
paure e dolori di un mondo intero.
Questa quarta prova dei Nada
Surf non sarà probabilmente quella
che consacrerà il gruppo come
miglior gruppo del momento ma
è pur sempre un lavoro ben fatto,
con momenti di pop impeccabile.
Un songwriting elegante e melodie
nostalgiche su cui regna sovrana la
splendida voce di Matthew Caws, il
tutto a creare undici perfette ballate
per chitarra. I toni e il timbro vocale
possono apparire un po’ monocorde
a qualcuno, ma credo sia proprio nei
loro toni così riconoscibili e in quella
impronta vocale così distinta la loro
peculiarità, ciò che fa del loro pop
un pop spontaneo, ingenuo, non
banale. Ascoltate Comes a time e
mi direte. Batteria, chitarra, e poi la
voce. Melanconici, semplici, come
piace a me.
Of Montreal
The Sunlandic Twins
Track & Field/Wide
di Livio Polini
La band indiepop di Athens arriva
al suo settimo album (complimenti
ragazzi!) e va incontro alla definitiva
consacrazione come irrinunciabile
icona del nuovo pop psichedelico
americano. A meno di un anno di
distanza da Satanic Panic In The
Attic esce The Sunlandic Twins. In
quest’ultimo lavoro gli Of Montreal
non si ispirano semplicemente
come avevano fatto in precedenza
a Beach Boys, Beatles e Kinks, ma il
loro sixties-pop viene contaminato
da un’ondata synth e i riferimenti
wave a cui si va incontro nell’ascolto
finiscono per sprecarsi (XTC e Talking
Heads solo per fare alcuni nomi). Ci
si rende conto che probabilmente
il progetto è quello di incrociare
l’indie dei Pavement con stravaganti
quanto strambe partiture dance.
Protagonisti della “seconda ondata”
di band affiliate al collettivo Elephant
6 (insieme ad Elf Power ed Essex
Green), gli Of Montreal di Kevin
Barnes hanno saputo modificarsi ed
evolversi musicalmente nel tempo,
dapprima con lievi sperimentazioni
in una serie di album a tema e infine
raggiungendo una eccezionale
forma di dance-pop in grado di
miscelare in armonioso equilibrio
linea melodica, funk e grooves.
Come definirli in una parola?
Irresistibili.
Whirlwind, In Case we
die part 1-4). I ben otto
polistrumentisti, che passano
dai synth agli ottoni, al banjo,
alla viola e quant’altro, in 12
tracce trattano allegramente
della morte. Cantano un
po’ tutti, voci maschili e
femminili, e non disdegnano
l’uso di qualsiasi oggetto
suonante quali battito delle
mani, sassi, organetti, fischietti
e giocattoli. Passando
dal krautrock alle ballate,
sanno essere dolcemente
teneri come nella migliore
tradizione Belle&Sebastian
(Need to shout) e dolcemente
aggressivi (French, I’m faking).
Termina in tenerezza con la
breve traccia strumentale
Rendezvous Potrero Hill e la
splendida twee-atmosphere
ricreata in What’s in store.
Estroso e creativo, potrebbe
essere uno dei migliori dischi
indie-pop del 2005.
Sexsmith & Kerr
Destination Unknown
Emergent/92e
Il dolcissimo cantautore
canadese, non nuovo alle
collaborazioni, esce con
bellissimo disco alla riscoperta
delle radici americane.
Insieme a Don Kerr, chitarra
acustica e chitarra tenore,
la morbida voce di Sexsmith,
che fa pensare al suo
amico Ed Harcourt (con cui
ha anche collaborato in
precedenza), e quella una
nota più su di Kerr creano
intrecci sognanti nello stile
di Simon and Garfankel o
più rurali alla Stills and Nash.
Tutto suonato dai due, il
disco ha momenti di folk più
classico, piccole uscite dal
suono hawaiano, ballate
che fanno pensare al Bowie
di Hunky Dory. Ideale per
festeggiare la fine dell’estate,
dopo le canzonette solari,
Destination Unknown è un
disco introduttivo al tepore
casalingo, un album che
ti prende per mano e non
importa dove alla fine ti
porterà.
Franz Ferdinand
You could have it so much
better ...with franz ferdinand.
Domino
Il primo disco è stato in
assoluto il disco indie del
2004, memorabili le loro
perfomance live, gli eredi
dei Devo e dei Talkin heads
tornano con un album
attesissimo anticipato da
un singolo esplosivo (Do
you want to) dall’appeal
simile alla mitica My Sharona
dei The Knack. La formula
magica dei Franz Ferdinand
è sempre la stessa e fa lo
stesso travolgente effetto.
Quell’adrenalinico composit
di pop, rock, disco e funky
danzereccio e ironico è la
carta giocata con classe ben
calibrata dalla band
di Glasgow. In questi mesi
di revival anni 80 i Franz
Ferdinand ne rappresentano il
lato più giocoso. I chitarroni
KeepCool
che saltellano tra rock and
roll, pulp e art-rock sono la
chiave di volta di un suono
sorretto da una ritmica spesso
e volentieri in levare in un
disco complesso, ambizioso
ma allo stesso tempo
estremamente ballabile. I
Franz Ferdinand confermano
come sia possibile strutturare
uno suono riconoscibile, uno
stile originale nel suo essere
retrò, in un album pop ma
intelligente. Escono con la
Domino, senza il battage
pubblicitario delle major, non
sono fighi, ma sono la cosa
migliore che, in ambito pop,
vende e riempie i giornali da
due anni a questa parte...
questo significa onore al
merito. Presto saranno in Italia
in concerto, una performance
da non perdere.
Supergrass
Road to rouen
Parlophone
Dopo aver festeggiato i loro
dieci anni con un’antologia
dei vecchi singoli qualche
tempo fa, i Supergrass
tornano con un nuovo
album. Lontani ormai dalle
scorribande power-pop degli
esordi si presentano con una
formazione arricchita da
un tastierista realizzando un
disco che, sarà suggestione
da copertina, sembra
propedeutico al viaggio.
L’ispirazione anni 70, da
sempre presente nella band,
emerge in questo album con
toni decisamente più morbidi.
Sopraggiunta maturità o
passaggio verso una nuova
sonorità, questo disco lascia
la spensieratezza (eccezione
fatta per il divertissement
di Coffe on the pot, e la
più ritmata Road to rouen)
per lasciare spazio a ballad
malinconiche e brani alla
Stones (Kick in the teeth).
Linea 77
Available for propaganda
Earache
Tra le band italiane a suonare
cross over, hard core,
nu metal o come volete
intenderla voi i Linea 77
sono sicuramente quelli che
più sono emersi arrivando
al grande pubblico. Sulla
scena da più di dieci anni,
travolgenti come pochi nei
loro live al fulmicotone, i Linea
77 arrivano al loro nuovo
lavoro in studio: Available for
propaganda. La coerenza
nei suoni resta ma con una
marcia in più: la produzione.
Registrato a Los Angeles sotto
la guida di Dave Dominquez
(già produttore di Staind e
Papa Roach) il disco pesta più
pesante che mai. Come nella
scorsa pubblicazione spazio
anche all’italiano in due brani:
Inno all’odio ed Evoluzione
(primo singolo estratto). Il
risultato è un disco suonato
e cantato più incazzato che
mai.
11
Black Rebel
Motorcycle Club
Howl
Echo/Self
di Camillo Fasulo
Smontati dalle motociclette i
nostri ribelli salgono a cavallo per
attraversare gli States. Il nuovo album
è un reale viaggio on the road verso
le radici del rock americano, ma a
luci basse e ad amplificatori spenti.
Howl è il suo titolo… uno sporco
album da strada per Black Rebel
Motorcycle Club! Dopo due valide
prove all’insegna di un r’n’r scuro,
grintoso e distorto, i Brmc hanno
preso le distanze da quel cliché e
imboccata con decisione la via del
recupero delle loro radici hanno
costruito Howl. Fin dalle prime note
ti sorprendi ad esclamare: “ma non
possono essere loro!” È il cambio di
rotta che dai Brmc non ti saresti mai
aspettato. Gospel, blues, ballad e
folk prendono il posto dei giovanili
sussulti new wave e il risultato è
stupefacente! Da un punto di vista
musicale il nuovo album si rifà alla
tradizione rurale americana, a
partire da Bob Dylan e Johnny Cash.
Questo per dire come Howl, esplicito
omaggio alla beat generation, si
presenti davvero come un nuovo
inizio per il trio. Lo sconcerto cede
tuttavia presto all’ammirazione
per come i Brmc abbiano saputo
reinventare se stessi. È un salto nel
vuoto, per certi versi, perché non è
detto che i fans della prima ora siano
disposti a seguirli in questa svolta.
Ma è innegabile che i Brmc stiano
comunque dimostrando maturità e
spessore davvero non comuni.
David Gray
Life In Slow Motion
Atlantic/Warner
di Scipione
“Questa volta ho avuto il lusso
di poter spendere tempo e soldi
per realizzare qualcosa che solo
cinque anni fa avrei potuto solo
sognare”. Racconta così il suo
settimo lavoro in studio David Gray.
Il musicista irlandese presenta un
ispiratissimo Life in Slow Motion nel
quale abbandona gli arrangiamenti
minimali e la registrazione nelle
stanze della sua casa per approdare
ad un vero studio e ad una
orchestra di accompagnamento.
Il tutto frutto di una vena creativa
che non ha mai abbandonato
Gray, sin dai tempi del suo esordio
con A century ends (1993) e del
fortunatissimo White Ladder (quasi
sei milioni di copie vendute nel
mondo nel 1998), e soprattutto del
sodalizio con il produttore Marius De
Vries, già sperimentato da U2, David
Bowie, Madonna, Rufus Wainwright
(solo per fare alcuni nomi). È venuto
fuori un disco dal suono avvolgente,
mai scontato, ricco, con un
corretto bilanciamento tra la voce
e gli arrangiamenti imponenti. Da
segnalare i due pezzi di apertura Alibi
e il folk del primo singolo The One
I Love, Tell Me Something (Hospital
Food), una grottesca metafora sul
cibo, Lately, Slow Motion, Ain’t No
Love e la chiusura in salendo con
Now And Always e Disappearing
World. Un disco pop da avere.
Piers Faccini
Leave No trace
Ird
di Pierpaolo Lala
Padre italiano, madre inglese,
cresciuto in Gran Bretagna e ora
stabilmente a Parigi. Dopo il suo
peregrinare geografico e artistico
Piers Faccini è approdato questa
estate a Genova, nel corso del
Goa Boa, per l’unica data italiana.
Il suo disco d’esordio Leave No
Trace è, per me, una bella sorpresa,
una dolce pillola per chi ama il
genere delicato alla Nick Drake
(per fare un nome – scontato – su
tutti). Faccini, del quale poco si
sa in Italia, ha alle spalle un buon
passato nel mondo del jazz con i
Charley Marlowe. Come spiega
egli stesso fino a un certo punto
della sua vita è stato un pittore che
scriveva e cantava canzoni, poi è
divenuto un autore ed esecutore
di canzoni che dipingeva, adesso
svaria indifferentemente nelle due
arti. Nel suo dna si sentono Damien
Rice, le sonorità West Coats, New
Orleans e il jazz, ma anche Dylan,
Joni Mitchell, Cohen e molti altri
(sono tutti grandi complimenti). In
Francia Leave No Trace è uscito per
la Bleu, che qualche anno fa lanciò
l’italiano ferroviere Gianmaria Testa.
Dodici brani inediti e malinconici nei
quali spiccano l’esecuzione vocale
di Piers e la compostezza degli
arrangiamenti (tra blues e chanson
d’oltralpe, rock e jazz).
Un ottimo esordio.
The Boxer Rebellion
Exits
Mercury
di Emanuele Carrafa
Exits è l’esordio di questi Boxer
Rebellion, gruppo inglesissimo fino
al midollo, la cui musica è anche
un buon concentrato di storia del
rock made in UK (tanto Radiohead,
Muse, hard rock stile Led Zeppelin).
Ma sarebbe estremamente riduttivo
liquidarli come l’ennesima next
big thing d’oltremanica, visto che
di cose da dire sul loro conto ce
ne sono e di simpatiche. Prima di
tutto la fonte da cui scaturiscono:
la rete. La storia è semplice: Todd,
chitarrista australiano trapiantato
nel Regno Unito, mette un annuncio
su una message board per cercare
un autore e potenziale compagno
di band. Dopo tre settimane l’unica
risposta che riceve è quella di un
americano, Nathan. E il gruppo
è fatto, grazie all’apporto del
batterista Piers e del bassista Adam.
È il 2001. Nel 2003 esce il primo EP
e va bene. E adesso questo Exits,
esordio alla grande sulla lunga
distanza, intenso collage di noisescapes; un lavoro cupo, emotivo,
capace di stimolare i sensi con
suoni che affondano in un mare
di distorsioni e rimbalzano contro
un muro di feedback (basti l’intro,
Flight, che scivola in All you do is
talk, primo singolo, a dimostrarlo).
Non mancano ballate elettriche
(We have this place surrounded)
e strazianti (World without end,
secondo singolo) per definire questo
ottimo debutto.
The Raveonettes
Pretty in black
Columbia/Sony music
Ascoltare il disco dei
Raveonettes è come
mettere su una compilation
bubblegum reinterpretata
per l’occasione dai Jesus and
mary Chain. Pretty in Black
(citazione agli Stones) ha
infatti in sé lo spirito del rock
and roll melodico degli anni
50 e le atmosfere dilatate e
psichedeliche di una certa
new wave. Messi da parte i
suoni più carichi protagonisti
dei dischi precedenti il duo
danese sceglie la scarna
melodia e gli affascinanti
intrecci vocali, piccoli
accenni elettronici, ritmiche
ipnotiche (ospite in un brano
è Maureen Tucker dei Velvet
Underground). Nell’omaggio
all’America che fu anche
una splendida cover di My
Boyfriends Back, Twilight
dei The Angel. È come se
qualcuno avesse sciolto strane
sostanze nella cherry cola
degli Everly Brothers.
Turin Brakes
Jackinabox
Emi 2005
di Emanuele Carrafa
Musica da sottofondo
quella dei “Freni di Torino”
destinata a rimanere tale
anche in questo JackInABox:
nonostante abbiano
tentato di dare un calcio in
culo al NAM (New Acustic
Movement, etichetta coniata
per indicare un fantomatico
movimento neoacustico sorto
negli ultimi anni e capeggiato
dagli scandinavi Kings of
Convenience), nonostante
abbiano cambiato produttore
e si siano affidati alle
mani sapienti (?) di Mark
Spike Tent e della coppia
Threahearn-Hagget, già con
Linkin’ Park, Britney Spears e
Black Eyed Peas (appunto,
parliamone...), nonostante
abbiano chiuso nel cassetto
gli artisti che maggiormente
hanno influenzato la loro
produzione precedente,
Jeff Buckley, Nick Drake
e la psichedelia acustica.
JackInABox è un tentativo
di liberarsi dal passato,
di scollarsi le etichette di
dosso, di fare qualcosa di
innovativo e tonificante. Ma
annegare le melodie in una
strumentazione nettamente
più densa rispetto a quella a
cui ci avevano abituato non è
di certo la soluzione giusta. Poi
è sempre la solita questione
di gusti: per alcuni questa è
musica da barbecue, per
altri merita di essere scelta
come sottofondo che possa
accompagnare un romantico
tramonto estivo. I Turin Brakes
sembrano gongolare nel loro
anonimato, scegliendo come
singolo uno dei brani più
ordinari del disco, Fishing for a
dream, il classico brano “a
la Turin Brakes” per intenderci.
Che dire? Ideal music for
yawning afternoons!
KeepCool
Richard Thompson
Front Parlour Ballads
Cooking Vinyl
Difficile tenere il conto degli
album pubblicati dal musicista
inglese Richard Thompson.
Nella sua quarantennale
carriera ha spaziato tra vari
generi e progetti tra loro
diversi. Front Parlour Ballads è
un lavoro “intimo”, registrato
in casa, nel quale Thompson
si cimenta praticamente in
tutti gli strumenti. Tredici brani
inediti che emozionano per
esecuzione e linearità. Si
parte con la rockeggiante
Let it blow, che parla di
un matrimonio fallito, e si
prosegue (vado in ordine
sparso) con le romantiche For
whose sake? e Cressida, con il
folk di Miss Patsy e The Boys of
Mutton Street (entrambe con
bellissimi suoni di chitarre), la
nostalgica Old Thames Side, la
breve How Does Your Garden
Grow?, il blues “parlato” di My
Soul, My Soul, l’ironia di Should
I Betray? Intensa anche la
chiusura con When We Were
Boys At School. Per amanti
delle chitarre acustiche.
(P.L.)
Ellen Allien
Thrills
Bpitch Control
Torna la mia dj preferita (lo
sapevate?). Adesso che
si è trovata un talentuoso
ragazzone italiano per
compagno mi rodo e
mi precio anche di più.
Comincia bello rocky e
pzychedeliko il suo nuovo
Thrills e non mi dispiace
affatto. Capita così che la
già tesa Come confluisca in
The Brain Is Lost, cantato sexy
e perverse basslines. Your
Body Is My Body: qualora
qualcuno si chiedesse cosa
combinerebbero Sylvian/
Eno/Cale intrigati da sua
maestà, la bianca signora
dell’house. Washin Machine Is
Speaking è Berlino qui e ora,
e i Sonic Youth non sono poi
così rumorosi. Meno “easy”
di Berlinette, insomma, e non
poteva essere altrimenti. Ellen
troneggia fino alla traccia
conclusiva, la virulenta
Magma che strizza l’occhio
al futuro del dancefloor,
nientemeno.
Sergio Chiari
Ellen Allien
Your Body Is My Body
Bpitch Control
...e Your Body Is My Body,
già ammirata in Thrills,
diventa singolo di successo,
impreziosita dal remix di Troy
Pierce (scuola Hawtin e Mills),
che scarifica, e da quello del
bravo Kiki, che energizza. Ma
l’originale..
(S. C.)
Fabric 23
Ivan Smagghe
Fabric Records
Il Fabric spalanca le porte alla
metà houseggiante dei Black
Strobe. Dimenticate Suck My
Deck. Qui i referenti maggiori
12
The Herbaliser
Take London
Ninja Tune
di Bob Sinisi
Ritorna sulle scene il combo Ninja per
eccellenza, quello degli Herbaliser,
capitanato dagli inossidabili Jake
Wherry (il bassista) e Ollie Teeba (il
deejay). Per il nuovo album, intitolato
provocatoriamente Take London, i due
inglesi si avvalgono degli sforzi di Kaidi
Taitham (conosciuto altresì come Agent
K, membro fondatore della famiglia
Bugz In The Attic), del sassofonista Chris
Bowden nonché della loro fidatissima
sezione fiati, composta da Andy Ross &
Ralph Lamb.
Il nuovo lavoro del supergruppo
rappresenta una naturale evoluzione
del precedente Something Wicked
This Way Comes: la sensazione è che
infine Ollie & Jack abbiano trovato il
loro suono e siano riusciti ad esprimerlo
come mai prima d’ora.
Un suono figlio della passione comune
dei due artisti d’oltremanica per il jazz,
per le colonne sonore sixties-seventies
e per le orchestrazioni cinematiche.
Aggiunteci una buona dose di
sano hip hop e la griffe Herbaliser è
perfettamente definita.
Gli mc’s coinvolti nel progetto sembrano
apparire come dei narratori gangsta
provenienti dagli anni 60, le basi
confezionate per loro dalla Premiata
Ditta segnano e accompagnano lo
snocciolare delle rime. In evidenza
ovviamente la bravissima statunitense
Jean Grae / What What che si esibisce
4 volte nel disco: in Nah’mean Nah’m
Sayin’, in Generals (con Trap Clappa,
Cheech Marina, Daddy Mills, A.K. e
MacGuyver), in If You Close Your Eyes
(delicatissima ballad da night club
d’altri tempi) e in Twice Around (Roy
Ayers era in giro per Londra durante la
registrazione del brano?).
Il rap inglese è inevitabilmente
rappresentato dal talento indiscusso
di casa Ninja, Roots Manuva che
lascia la sua impronta nella stupenda
Lord Lord: suggestivo il contrasto tra
il delicatissimo, sognante tappeto
musicale e la pesantissima voce
dell’uomo di origine giamaicana. Il
secondo mc britannico coinvolto è
Cappo, arriva da Nottingham e fa sua
la track n. 6, Failure’s No Option.
Take London è finito qui? Assolutamente
no, perbacco! Gli Herbaliser sono
specializzati nella confezione di
spiagge strumentali da brivido e il
nuovo album ne regala una lunga
serie…
Geddim!!, ad esempio, è una
cavalcata
blaxploitation
electro
che ci riporta ai fasti dell’ellepì Very
Mercenary, anno di grazia 1999. E
ancora, Song For Mary, downtempo
notturno e narcotico che va ad infilarsi
tra 2 tracce hip hop, quasi a voler
rompere il ritmo, con Ollie che si diletta
allo scratch su una voce femminile
d’altri tempi che urla disperata per
farsi spazio. Gadget Funk? Parla il titolo
per lui. A proposito di titoli… Cosa vi
aspettereste da un pezzo chiamato
Sonofanothamutha?
8 minuti di delikatessen digitali, Jake
Wherry che suona di tutto, fiati da super
orchestra epica, vinili accartocciati dal
socio Teeba, coretti black, percussioni
esotiche, il trombone di Matt Colman,
la Cinematic nella testa, Lamb & Ross
in estasi? Perfetto, risposta esatta.
LINK: http://www.ninjatune.net/home/
Bjork
Music from Drawing Restraint 9
One Little Indian
di Lorenzo Coppola
Dopo aver commosso anche le
pietre nell’interpretare la Selma
di Lars Von Trier in Dancer in the
dark, Bjork aveva giurato che col
cinema aveva chiuso per sempre.
Ci voleva un marito sciroccato più o
meno quanto lei (Matthew Barney)
a farle cambiare idea e dirigerla in
una delle sue creature visionarie.
Drawing Restraint 9, infatti, vede i
due coniugi chiusi in una baleniera
giapponese a svolgere riti occulti
dalla stramba simbologia, o almeno
così dice chi ha avuto la fortuna
di vederlo: sia chiaro che noi,
poveracci fuori dai circuiti aristofreak questo lungo e stravagante
film muto probabilmente non lo
vedremo mai. Ed è un peccato,
perché le immagini di cui siamo
orfani certo ci aiuterebbero a
coglierne meglio la colonna sonora
curata dalla stessa Bjork, a partire
dall’ostica copertina.
I maligni se ne sono lavati le mani
parlando di opera minore, i feticisti
poco obiettivi insistono che lei è
un genio sempre e comunque,
e chi non l’ha mai amata resta
dell’opinione che la sua musica ti
faccia due palle tante e basta.
E va bene, forse questo non è un
disco da ascoltare mentre lavi i
piatti, ma di cosa stupirsi? Già a
partire da Homogenic Bjork aveva
gradualmente rinunciato al ruolo
di popstar dell’Mtv generation, e
un lavoro arduo e bellissimo come
Medulla certo la diceva lunga sulle
sue recenti intenzioni. Diciamolo, in
quest’album una traccia-mattone
c’è (Holographic Entrypoint), ma
l’ha scritta Barney e, tradotta in
giapponese, è qui interpretata
da un cantante-attore del teatro
nipponico. Vi farà impazzire se
Suonare la voce di Demetrio Stratos
è il vostro disco preferito, o se siete
iamatologi. In caso contrario nessun
medico vi prescriverà di ascoltare
interamente i dieci minuti della sua
durata: potete tranquillamente
passare alla traccia successiva.
Quanto al resto, ad aprire le danze
è l’arpa della fida Zeena Parkins,
mentre il microfono è nelle mani di
Bonnie Prince Billie e di un coro un
po’ indisciplinato di voci bianche: il
risultato è l’incantevole Gratitude.
Tre notturni pezzi strumentali cedono
il posto all’inquietante Storm,
episodio più intenso dell’album:
ascoltandola non serve chiudere gli
occhi per sentirsi nel mezzo di una
tempesta. Lo sho, antico strumento
a fiato giapponese costituito
da diciassette canne, è infine
protagonista assoluto di Antartic
Return, pezzo che congeda il nostro
orecchio gratificato. Forse non
ha tutti i torti chi sostiene che non
ci sia una, ma tante Bjork. E a chi
preferisce quella più acchiappona,
trendy e danzereccia, nessuno vieta
di tenersela stretta.
sono Kompakt, Get Physical
e Output. Ottimi gli italiani:
Gianluca Pandullo vs
Und per Frau e il Fabrizio
Mammarella di Tear Up. I
Kills se li poteva risparmiare.
Ottimo per un party in apnea.
(S. C.)
Green velvet
Walk In Love
Relief Records
L’attesa è finita. Mr Curtis Alan
Jones è tornato. Il demonio
in persona, o poco meno. E
torna marziano, come tutte
le uscite sulla sua Relief. 12
stanze: un calvario dai mille
piaceri. L’ House aggiornata
al terzo millennio. Pesco nel
mucchio: Temptation, un
robotico “blues” bleeppato;
Overcome The Flesh come già
sul singolo a nome Cajmere;
War On The Saints, tragico
sguardo voyeur sui piaceri più
ravey;
Otherside, come i D.a.f.
trapiantati a Chicago; la
secca Bathroom, replicante
La La Land, già su singolo; Cuz
Of You, il Frankie Knucles di
Waiting On My
Angel virato Kraftwerk. È
tornato.
(S. C.)
Mihai Popoviciu
Tales From The Moon
International Deejay Gigolo
Lato a: numeri techy house,
ipnotiche correnti “trancey”
e svisate synthetiche un po’
retrò per il Mihai Popoviciu di
casa Gigolo. Per gli addetti
ai lavori, ma Cassettes è
da avere. Sexy Spenders è
zarra house 2005 e la potete
gustare sull’ottavo volume
della saga Le Poriana di Dj
Hell.
(S. C.)
Scuola Furano
s/t
Riotmaker
Sono italiani e sono sulla
bocca di tutti. Due b-boys
che si mettono a fare house
fra cut-up disco, memorie
old school, bassoni funk e
splendide melodie. Semplice?
Ma sono una bomba! E
nonostante la semplice ricetta
questo disco (come quello di
un altro italiano quest’anno:
Adriano Canzian) suona
MODERNO! Sembrano togliere
tutto il superfluo e suonare
così pregnanti proprio per
questo. Ascoltatevi una danza
demente come Golden Gate
o l’ ormai classica Chocolate
Glazed (con quel cantato
torbido). Un altro culto.
Italiano per giunta. Remix a
valanga, please!
(S. C.)
Postman Ultrachic
Swinging (l’elogio della
danza morbida)
L’uomo alle prese con il suo
primo mix album, a quanto
mi risulta, ed è una cascata
di soul, pre-house e jazzy
vibes in un’atmosfera da Loft
mancusiano. Mixaggio svelto
e fresco, cool come mamma
KeepCool
lo fece, l’allegro postino ci ha
deliziato più volte con
le sue serate in postacci
che neanche sto a dirvi e
questo cd, rigorosamente
autoprodotto, è testimonianza
fedele di quanto vi si può
ascoltare. Adesso sta
affinando la sua tecnica e il
suo gusto: capita così che il
Mylo di Destroy Rock & Roll
e il ritrovato Louie Austen via
Patrick Pulsinger vadano a
braccetto in una colorata
sarabanda che ci porta
dritti dritti al lounger Richard
Cheese. Ultrachic!
Potete richiedere il suadente
dischetto a questo indirizzo:
[email protected]
(S. C.)
Kraftwerk
minimum maximum
EMI
Tre ragazzi si incontrano una
sera.
Ragazzo k: “Che bello è uscito
un live dei Kraftwerk!”
Ragazzo x: “Che schifo è
uscito un live dei Kraftwerk!”
Ragazzo y: “è così brutto?”
Ragazzo x: “No. Ma mi
ricorda i Velvet Underground
di spalla agli U2, dopo la
reunion. Gli applausi, la gente
che rumoreggia. Il pubblico
techno è idiota. Prima
prendono per il
culo i Kiss e poi..”
Ragazzo k: “La tua
motivazione è una pura e
mera provocazione. A me
piace pensare che è bello
che siano tornati e mi piace
come suonano i brani vecchi
nel disco..”
Ragazzo x: “Non ho detto che
suona male.. Ho detto che mi
infastidisce ascoltarlo.”
Ragazzo y: “Per qualche
applauso?”
Ragazzo x: “No. Ma preferisco
i dischi in studio. I Kraftwerk
erano l’afflato della techno.
La loro musica non era solo
registrata su un supporto, era
anche quel supporto…blah
blah..non hanno neanche
messo una registrazione dal
loro tour italiano, come se non
bastasse The Man Machine,
la cover…il nostro contributo..
blah blah”
Ragazzo y: “L’aff... che?”
Ragazzo k: “Blah blah..Beh
può darsi che loro volessero
veramente essere niente altro
che un gruppo folk con le
macchine. Ti pare? La techno
viene dopo.”
Ragazzo x: “No. Con loro!”
Ragazzo y: “Mi avete rotto le
palle! Pino, passa sta canna,
no?”
Ragazzo k e Ragazzo x: “Sì,
dai..”
(S. C.)
Goldfrapp
Supernature
Mute
A qualcuno potrebbe non
piacere il terzo album dei
Goldfrapp. Dopo i primi
episodi tra dream pop, trip
hop ed elettro questo nuovo
Supernature sembra, sempre
seguendo la strada maestra
13
Colder
Heat
Output/Family Affair
di Livio Polini
A due anni da Again, album
d’esordio di indubbia qualità, Colder
(Marc Nguyen Tan all’anagrafe),
produttore, dj e grafico di Parigi,
con il suo nuovo lavoro Heat ci
propone dieci nuove affascinanti
perle musicali capaci di avvolgere
con un sound elettronico raffinato
ed elegante ed atmosfere tanto
calde e sensuali quanto intrise di
inquietudine notturna. I riferimenti
sono chiari, Joy Division in primis,
ma anche Suicide e Kraftwerk.
In alcune tracce il suono prende
ispirazione anche dal trip-hop di
Bristol (Massive Attack). Di Marc
nell’album oltre alla voce è
presente basso, chitarra e laptop. È
un artista abile e talentuoso, difficile
riuscire oggi a creare un buon
album electro-wave, emergere dal
calderone, inondati come siamo
dai cloni inutili che inquinano la
scena, ma soprattutto non è facile
reggere un confronto con i maestri
del passato. I nostalgici e gli orfani di
Ian Curtis troveranno in quest’album
pulsanti visioni intrise di decadenza
accompagnate da una voce
soffusa ed incisiva. Quest’album
fa venire addirittura alla mente
suoni del kraut-rock alla Neu! (non
si può non notarlo in On My Mind).
E chi pensa che l’epoca wave sia
terminata dovrà ricredersi.
Urbs
Toujour le meme film...
G-Stone Recordings / Family Affair
di Bob Sinisi
Vienna: il Valzer, l’Opera, il Prater,
la Sacher Torte e… la narcosi dub.
Gli abitanti della capitale austriaca
sembrano
essere
invidiati
per
l’atteggiamento piuttosto rilassato
con il quale affrontano il logorìo
della vita moderna: alcuni di loro,
poi, hanno sostituito il famoso
amaro al carciofo con altre squisite
sostanze erbacee, assunte tramite
aspirazione.
Andamento
lento
insomma,
ben
rappresentato
dai pensieri musicali delle star
internazionali Peter Kruder & Richard
Dorfmeister, a tutti gli effetti punte
dell’iceberg del Sound Of Vienna.
Profondo e (ovviamente…) fumoso
composto, fatto essenzialmente di
dub, elementi reggae, massicce
dosi di echi e riverberi: un marchio
di fabbrica che contraddistingue
tutte le manifestazioni sonore di K&D
e che ha letteralmente avvolto e
incantato chiunque si sia avvicinato
ad esso. Magari ascoltando il lisergico
episodio della collana DJ Kicks (1996,
!K7) firmato dal duo, o il monumentale
doppio Sessions TM (1998, ancora
!K7), compendio delle rivisitazioni più
eccitanti dei nostri. Bomb The Bass,
Roni Size, David Holmes, Depeche
Mode, Lamb e numerosi altri passano
tra le abili mani degli austriaci, che
trascorrono maniacalmente giorni
interi su singoli frammenti acustici, per
giungere a riletture inimitabili e ad un
risultato complessivo tranquillamente
definibile epocale. Esibizioni, queste
ultime, che hanno contribuito ad
Aa. Vv.
Rare Grooves Brasil #
1 By Nova
Nova Records
di Bob Sinisi
Immaginate domattina di alzarvi e
di scoprire che il vostro computer è
incappato
nella
programmazione
musicale di Radio Nova: scoprirete che
le tre parole di Valeria Rossi sono state
sostituite da quelle più numerose di Sem
Contençao, cantata dalla dolce Bebel
Gilberto. Nel pomeriggio tali Bugz In The
Attic hanno preso il posto di Tommy Vee
& Gabry Ponte e la sera il Signor Howie
B., in preda a chissà quali sostanze
erbacee dà spettacolo dal vivo.
L’emittente parigina è responsabile
inoltre di un magazine cartaceo e
di un sito. Spazio a parte meritano le
compilazioni licenziate negli ultimi
anni dalla Nova Records che hanno
funzionato da cassa di risonanza per
diversi autori come Zero7, Doctor
Rockit/Mister Herbert, Terranova, Kruder
& Dorfmeister ed i Troublemakers e
Peuple de l’Herbe.
2005: la radio francese espande i
propri orizzonti, grazie alla collana Rare
Grooves che dopo essersi dedicata
al reggae si concentra ora sul suono
brasiliano. Più samba che bossa in
questo primo volume, segnato da una
selezione calda e dal sapore seventies.
Scorrono nella raccolta Gilberto Gil,
Jorge Ben, João Bosco, Caetano
Veloso, ma anche un’insospettabile
Dionne Warwick che si esibisce su una
ipermuscolosa batucada. Completano
il menu alcuni standards soul e jazz
rivisitati in chiave latina. Rare Grooves
Brasil # 1 è nata grazie alle scelte di
Rémy Kolpa Kopoul, (l’uomo di Rio
dell’emittente) e di Emilien Aumard
(uno dei responsabili musicali di Radio
Nova). Allez Les Bleus!
aumentare l’attesa nei confronti di
un vero album dei viennesi, tuttora
parcheggiato nelle loro menti: è
l’attesa che alimenta sensibilmente il
mito underground che aleggia intorno
a Peter, Richard e agli affiliati alla loro
label, la G Stone. I due preferiscono,
però,
concentrarsi
su
personali
progetti
paralleli,
rispettivamente
Peace Orchestra e Tosca, nonché
sulla produzione dell’etichetta, fedele
specchio della scena dub locale.
Accanto alle realizzazioni di Walkner
Moestl e Sugar B emergono quelle
riconducibili alla micro label Dub Club.
K&D anche talent-scout: la scoperta
più recente di Peter è rappresentata
da Urbs (alter ego di Paul Nawrata),
attivo da circa 15 anni come
compositore - produttore - dj.
Il suo nuovo lavoro, Toujours Le Même
Film, è sensibilmente ispirato alle
colonne sonore dei film francesi della
Golden Age che intercorre tra gli anni
‘60 e ‘70, sapientemente associate
al pensiero elettronico. Come dire
Francis Lai meets narcosi dub meets
Ennio Morricone meets downtempo.
Kruder ovviamente coproduce il
disco, e si sente: a tratti sembra di
percepire la “sua” Peace Orchestra
proiettata indietro nel tempo, di
quasi mezzo secolo. Ascoltare per
credere la traccia n. 6, The Incident.
Da segnalare inoltre la suggestiva
rilettura strumentale della duraniana
strappalacrime The Chaffeur.
del pop, virare verso la disco
con un appeal più
commerciale. C’è lei, Alison,
la sua algida sensualità, c’è
il glam del singolo Oh, la, la,
tappeti di sinth, la distanza
sussurrata in uno scandire
meccanico di tracce più
sfrontatamente ammiccanti
rispetto al passato. Sono
lontani i tempi degli esordi
quando Alison collaborava
con Triky in quella magica
Bristol dei metà anni 90 e si
sente. Ma c’è un percorso
coerente nei Goldfrapp
che parte dal basso e
dall’underground per
assurgere ai grandi numeri e
a più orecchie possibili, il tutto
con un eleganza e uno stile
invidiabili.
Nevermore
This Godless Endeavor
Century Media/Self
Heavy metal: concetto che,
nella sua forma più pura, è
sopravvissuto alla polvere
del tempo e all’indifferenza
di molti. Vive ancor oggi in
gruppi come i Nevermore.
Ma chi sono i Nevermore?
Una delle poche band in
circolazione che, dotata di
una buona vena creativa,
riesce a centrare l’ennesimo
bersaglio con This Godless
Endeavor, quintessenza
dell’heavy metal moderno:
solido, potente ed iper
tecnico! La band nasce dallo
scioglimento dei Sanctuary,
power metallers di Seattle
che, a cavallo tra gli anni
’80 e ’90, con due sole uscite
incantarono migliaia di fans.
Chiusa l’esperienza Sanctuary,
i superstiti, con il singer Warrel
Dane in testa, decisero di
continuare come Nevermore.
Sei lavori alle spalle, sette con
questo nuovo che ribadisce
una volta di più le mostruose
doti tecnico-compositive del
gruppo americano. Meno
thrashy e più prog oriented
delle precedenti, This Godless
Endeavor è opera complessa
e tutt’altro che immediata,
eppure intrigante fin dal primo
ascolto, capace di giungere
a risultati assolutamente
devastanti. Se mi consentite
un paragone oserei dire
che nel panorama metal
odierno i Nevermore possono
tranquillamente ricoprire
quel ruolo di innovatori che
appartenne ai Queensryche
nel loro momento di massimo
splendore. Un passo più in
là di qualsiasi altra band!
Non c’è un solo secondo in
This Godless Endeavor che
non valga la pena di essere
affrontato a mente aperta. Un
album forgiato nell’acciaio.
Da acquistare a scatola
chiusa!
Camillo Fasulo
Free Soul
Open Voice:
Premesso che questo è
il nr zero della pagina di
“Freesoul” dedicata solo ed
esclusivamente all’r’&’b e
all’hip-hop ritmiche facenti
parte della soul music, mi
occuperò mensilmente di tutto
quello che accade in questo
panorama così lontano da
noi italiani, ma così vicino
visto che finalmente dopo
tanti anni di attesa, le major
discografiche hanno capito
che per vendere dovevano
interessarsi
all’import,
vi
parlerò in questa rubrica di un
po’ di quello che accade al di
là dell’oceano. Cominciamo
dal duo Lloyd Banks & Young
Buck dei G-Unit che si ritrovano
in cella poiché in giro in tour
mondiale, hanno preferito
viaggiare in compagnia di
varie pistole. Per finire il terzo
elemento del gruppo e cioè
50 Cent per l’ennesima volta
è stato sparato da un non
identificato gruppo di persone
in quel di Los Angeles all’uscita
di un noto locale. Niente di
grave a quanto pare. Dopo
lo scioglimento della Def Jam
dalla Roc-A-Fella, Jay Z ha
deciso di produrre lui stesso il
nuovo album in uscita di uno
dei Diplomats e cioè Juel
Santana rischiando parecchio
visto che il primo album di Juel
è stato un fiasco.
Hit List Settembre:
1.
Kanye
West,
Late
Registration
2. 50 Cent, The Massacre
3. Young Jeezy, Let’s Get It:
Thug Motivation 101
4. Tony Yayo, Thoughts Of A
Predicate Felon
5.
Mariah
Carey,
The
Emancipation Of Mimi
6. Jim Jones, Harlem: Diary Of
A Summer
7.
The Black Eyed Peas,
Monkey Business
8. Bow Wow, Wanted
9. Yolanda Adams, Day By
Day
10. Rihanna, Music Of The Sun
di Eugenio Levi
R. Kelly
TP.3 Reloaded
Jive
M i s t e r
R o b e r t
Kelly ritorna
con il terzo
episodio
della saga
Tipping
P o i n t e
grazie a Dio non si è del tutto
convertito come faceva trasparire
nei suoi due ultimi lavori. Temevamo
un cambiamento spirituale del re
dell’r’&’b o presunto ormai tale,
visto quello che è accaduto tempo
fa a causa delle sue performance
sessuali sul web, che tutti e dico tutti
mi ripeto temevamo che potesse
sparire dall’ambiente, ed invece non
è affatto così. Il lavoro si presenta
molto spinto, tanto da inserire sulla
copertina dell’album la famosa
frase “parental advisory” dove i
genitori sono avvisati che i testi sono
“sporcaccioni”, e dove il Nostro
racconta incontri che avvengono
tra i fornelli, tra le lenzuola e vicino
al suo camino. Per fortuna questa
volta il tutto è un po’ condito da rif
hip hop tagliate a mestiere da Mc
come The Game, Snoop Dogg e
trascinate dal reggae di Elephant
Man. Un odissea mediatica fatta
di mugolii e sospiri che porta alcuni
di Noi ad ascoltarlo in sottofondo
vicino alla Nostra Bella, sperando
di ottenere che almeno Lei si lasci
andare.
Missy Elliott
The Cookbook
Atlantic
Musica indipendente liberamente scaricabile da internet
di Matteo Serra
[email protected]
Come al solito c’è sempre attesa
ogni volta che Missy esce con un
nuovo lavoro perchè molto atteso
soprattutto dalla critica che non
vede l’ora di poterne dire qualcuna
sulla più estroversa e viziata delle
pop star hip hop femminili. Beh
questa volta lasciatemelo dire il
lavoro di Missy è così perfetto che ha
lasciato tutti allibiti. 4 grammy award
quest’anno, fanno di Cookbook
una miscela esplosiva di flow e uptempo che contraddistingue la
Nostra da tutte le sue avversarie
artistiche. La produzione di questo
ultimo lavoro è affidata sì al suo
caro amico e guru Timbaland, ma
non mancano tracce su cui firma il
grande Scott Storch e la stessa Missy
che in 2 tracce ritorna addirittura
alla classica ballad che ne ricorda
gli esordi. Album decisamente da
consegnare ai posteri.
50 Cent
The Massacre
Interscope/Universal
Amerie
Touch
Columbia
News Album Ottobre:
DMX – Here We Go Again
11/10
Outkast – The Hard Way 11/10
Mary J Blige – Break Through
01/10
Will Downing – Soul Symphony
04/10
Lil Kim – The Naked Truth
02/10
Q Tip – Live At Renaissance
11/10
Nate Dogg – Nate Dogg
11/10
Obie Trice – Second Rounds
On Me 11/10
Notorius Big – Duets 10/10
Lloyd Banks – The Big With
Drawl 11/10
14
Secondo album per la piccola
Amerie da Washington DC che
dopo il successo avuto dal primo
lavoro e grazie al singolo “why don’t
fall in love” e spiccata alla scena
per la sua poderosa voce, tanto
da paragonarla a Mary J Blige, il
che fa dell’artista un motivo in più
per ascoltarla. Rich Harrison suo
produttore e anche suo compagno
di vita, anche in questo album ha
voluto cambiare le carte in tavola,
proponendo singoli come “touch”
che lavora soprattutto sulle ritmiche
e sul flow della voce di Amerie. Il
remix affidato alla featuring di Eve
è poderoso e rende il pezzo ancora
più eccitante. Nel contesto un
lavoro fatto per non rimarcare tanti
nuovi lavori r’&’b troppo simili tra di
loro.
A quanto pare l’effetto booming
non ha intaccato uno dei gangsta
rapper più conosciuti in tutto il
mondo. Terzo lavoro per Fifty che
dopo gli ultimi alterchi con il suo
amico-nemico The Game ormai ex
G-Unit group ha voluto regalarci tra
un film, una produzione e qualche
concerto, un album tutto nuovo
anche se datato in Italia visto che
come al solito da Noi arriva tutto in
ritardo, in cui Fifty si esprime con tutta
la sua crew al completo regalandoci
una new entry nalla voce di Olivia
che tra l’altro si espone nel primo
singolo di questo ultimo lavoro,
intitolato “Candy Shop” in cui in
una casa di “malaffare” il caro Fifty
entra dalla porta centrale e viene
accolto da una splendida Olivia
che lo riceve imperlata da luccichii
di trucco e dove il Nostro Fifty viene
accolto a braccia aperte dopo
aver parcheggiato una fuoriserie. A
parte le solite sfacciate ed evidenti
scene di sesso e potere il lavoro e
da gustare nelle sue basi potenti e
nei suoni west coast che fanno di
50 Cent il nuovo artista della scena
Losangelese, ben protetto da 2 guru
come Eminem e Dr Dre.
Molto spesso le zone periferiche del nostro bel paese
sono quelle che più di tutte
riescono a promuovere iniziative davvero innovative.
In un’ottica di condivisione e
promozione, noi di RadioPAZ
in collaborazione con CoolClub, stiamo portando avanti
un progetto dedicato ad una
nuova forma di promozione
delle idee e della creatività.
Sul nostro sito (http://www.radiopaz.it) è possibile ascoltare
o scaricare liberamente brani
musicali di gruppi emergenti
pugliesi e non; con un semplice sistema di “commento”
viene data la possibilità agli
utenti-ascoltatori di recensire,
commentare o criticare liberamente (e senza censure) ciò
che si è ascoltato.
Tutti i gruppi emergenti saranno poi introdotti a una licenza
Creative Commons al fine di
far conoscere da subito alle
band che esistono possibilità
diverse di produrre contenuti
e soprattutto di condividerli.
Sicuramente non si tratta di
un’iniziativa rivoluzionaria o in
grado di risolvere i tanti problemi legati alle major della
musica o alle leggi italiane
in materia, ma è un piccolo
tentativo che dimostra quanto sia importante il tema della
libera circolazione dei contenuti e quanto sia fondamentale sostenere un approccio
indipendente alla creatività.
Il requisito fondamentale per
poter partecipare è uno solo:
il lavoro non deve essere coperto da diritto d’autore né
registrato presso la SIAE. Una
volta ricevuto il vostro CD,
demo, o mini album, la redazione di RadioPAZ provvederà
a metterlo on-line liberamente scaricabile o ascoltabile sul
sito della radio e sarà aperta
la fase della “Condivisione dei
pareri”: attraverso un sistema
di commento automatico,
come già detto, potrete recensire, criticare e commentare liberamente quanto scaricato o ascoltato.
Per maggiori info
www.radiopaz.it – 0832243174.
KeepCool
Kayser
Kaiserhof
Scarlet/Audioglobe
di Camillo Fasulo
Il 2005 sarà sicuramente
ricordato come l’anno
degli Spiritual Beggars.
Dopo l’uscita di Demons,
sesto splendido lavoro per
la band svedese, arriva
sugli scaffali Kaiserhof dei
“debuttanti” Kaiser. Le
virgolette sono d’obbligo
poiché Spice (ex Spiritual
Beggars), Daniel Svensson
(Defaced), Bob Ruben
(Mushroom River Band) e
Frederik Finnander (Aeon)
non sono proprio musicisti
di primo pelo! Un esordio
comunque a tutto tondo per
loro sotto questo marchio,
considerato soprattutto che
lo stoner rock combinato
con elementi modern-metal
o metal-core, sembra ormai
destinato a diventare un
trend per l’immediato futuro.
Modernissimo thrash metal,
sulla falsariga di band come
Soilwork, Darkene e Defaced,
ma che non si sottrae a
sfuriate speed-thrash in
tipico Slayer-style. è nato un
nuovo genere? Forse. Quello
che è certo è che d’ora
in avanti in molti vorranno
battere questa strada. Nel
frattempo godiamoci questa
sorpresa! Opera prima della
new sensation scandinava,
Kaiserhof, in soli 36 minuti,
mette in fila dieci tracce
che alternano cupi momenti
aggressivi e groovy, ad altri
più ariosi e con maggiori
concessioni alla melodia.
La differenza, in positivo, la
fa proprio la bella voce di
Spice: calda, profonda e
versatile come poche altre di
questi tempi. Ma l’originalità
dei Kaiser sta tutta nel saper
filtrare le sonorità care allo
stoner, e all’hard rock in
genere per ri-adattarle
creando un nuovo cocktail:
originale e di sicura presa.
Gea
Bailamme Generale
Il re non si diverte
Buon periodo per il rock and
roll made in italy, ne sono
l’esempio gruppi come
Disco Drive, Super Elastic
Bubble plastic, che sulla
scia di realtà più affermate
come i One Dimensional
Man maneggiano in
maniera diversa la materia
condendola con svariate
influenze. I Gea sono un
power trio che propone
un rock granitico di scuola
Fugazi e che sembra risentire,
nel cantato principalmente,
di influenze grunge. Nota
coraggiosa è l’utilizzo
dell’italiano, idioma che
solitamente poco si presta
alla materia. Le mani
sapienti di Giulio Favero
(ex One dimensional man)
crea una bella amalgama
e spinge sulle frequenze
piacevolmente rumorose.
Un disco che va ascoltato
rigorosamente ad alto
15
Epica
Consign to oblivion
Trasmission
di Nicola Pace
Incoming Cerebral
Overdrive
Autoprodotto
Promo/Demo
di Nicola Pace
A due anni di distanza dal loro esordio
discografico, The phantom agony,
disco che li ha portati ad avere
un grosso successo in tutto il nord
Europa, tornano gli olandesi Epica
con il loro secondo disco, dal titolo
Consign to oblivion. La band, come
fatto precedentemente, propone
quello che io personalmente
definisco
un
synphonic-powergothic-metal, giusto per semplificare
la nomenclatura, senza dimenticare
piccole tracce di black e deathmetal. I primi cinque brani dell’opera
ci mostrano l’anima più sinfonica
della band, alle prese con momenti
ben arrangiati di archi e tastiera.
Importante la prestazione della
voce del mezzo-soprano Simone,
in duetto spesso e volentieri con il
coro, dalla matrice operistica. La
seconda parte dell’opera, dimostra
la voglia di pestare più duro. Infatti
notiamo momenti più heavy, conditi
con il canto in growl e screaming,
di uno dei due chitarristi, in duetto
con Simon, senza mai dimenticare
momenti più epici e riflessivi. Da
segnalare il brano conclusivo ,dal
titolo omonimo dell’album, una
sorta di follia musicale lunga nove
minuti, nel quale la band si cimenta
in tutto il suo possibile repertorio
sonoro. Insomma un disco che non
mostra quasi niente di scolastico e
che riesce ad essere di esempio per
tutta la scena.
Gli Incoming Cerebral Overdrive
sono una band pistoiese, nata
dalle ceneri della death-core band
EON. Dopo vari cambi di line-up
riescono ad assestarsi nel 2002
come quintetto, cambiando il loro
moniker in I.C.O. Il demo, da loro
autoprodotto, contiene tre tracce
della durata totale di venti minuti
scarsi. Il genere musicale proposto
viene definito da loro stessi come un
metal-core, nome che in realtà non
indica uno stile preciso ma un insieme
di influenze che si amalgamano in
una proposta originale. In pratica
le loro composizioni risentono delle
influenze del loro recente passato
death-core, basta pensare alla
voce in growl ed ad alcuni fraseggi
di chitarra; ma si intravedono anche
coordinate new-metal, della scuola
americana, mi riferisco ad alcuni
noise di chitarra, passaggi di basso
slappato ed all’alternanza di voci
pulite ed altre sofferte e graffianti. I
brani dopo l’ascolto risultano molto
originali, soprattutto dove momenti
più ricercati ed intimi si alternano
con altri più violenti ma incisivi. Inoltre
sono piuttosto lunghi e complessi
nelle loro strutture, ma possiedono
un feeling ed una creatività tale da
non annoiare. In definitiva un’ottima
prova anche se il lavoro da fare è
ancora molto.
Within Temptation
The silent force
di Nicola Pace
Spiritual Beggars
Demons
Inside Out/Audioglobe
di Camillo Fasulo
Gli Spiritual Beggars rappresentano
un caso anomalo nell’odierna
scena metal. Pur essendo un sideproject formato da componenti di
Arch Enemy, Grand Magus, Opeth
e Firebird, si è portati a considerarli
una vera e propria band. Demons,
sesto episodio della saga musicale
di Michael Amott e soci, ormai
definitivamente fuori dalla scena
stoner, è il passo definitivo che porta
questi svedesi ad essere finalmente,
e senza dubbio alcuno, un autentico
meraviglioso gruppo di hard rock
europeo, nel senso più nobile e pieno
del termine. Forse uno degli ultimi
rimasti sulla faccia della Terra. Ma ha
ancora senso suonare questa musica
oggi? Secondo me ha ancora senso
ascoltarla! Il valore aggiunto degli
Spiritual Beggars è dato dal fatto di
saper attualizzare in modo potente
un riffing molto anni ’80 ma con
il groove e la profondità emotiva
dei ’70. In tutto questo, elemento
indispensabile sono le tastiere che
duellano imperiose con la chitarra,
spesso con uno stile arioso ed
impetuoso che davvero li trasforma
nei Deep Purple del nuovo millennio.
La voce di J.B. Christoffersson poi,
molto ispirata ed evocativa, non fa
nulla per nascondere la somiglianza
con quella di David Coverdale.
L’asso nella manica è rappresentato
dal
chitarrista
Michael
Amott
instancabile produttore di riff che
abbina la classe con la pesantezza
come pochi altri.
Dopo l’acclamatissimo precedente
lavoro Mother Haerth, tornano i
Within Temptation, con la loro nuova
fatica, The silent force. Il precedente
disco mi era piaciuto molto, anche
se già in quel lavoro i nostri avevano
optato per una produzione più
commerciale, eliminando alcune
caratteristiche come le voci in growl
maschili, che in realtà non essendo
invasive rendevano particolare la
proposta ed accorciando la durata
dei brani, facendoli arrivare in media
ai caratteristici quattro minuti, in
questa maniera catturando di
più l’attenzione del superficiale
ascoltatore medio. La proposta
inoltre si è fatta più ampollosa,
grazie alla spropositata base delle
tastiere e degli occasionali inserti
elettronici, molte volte fuori luogo, in
cui la bellissima voce della cantante
è libera di districarsi. Questo tipo
di produzione ha avuto l’effetto
di rubare spazio alle chitarre, alla
batteria ed al sempre ultimo in
classifica basso. Non fraintendete
le mie parole, i W.T. sono capaci
di scrivere ottime canzoni e dare
emozioni, ma con questo album
sono caduti nel limbo del già
sentito, diventando, per colpa della
produzione, quasi un progetto solista
della cantante. Il mio umile consiglio
è di fare un rapido dietro front, per
ritrovare ispirazioni e nuove formule
e, perché no, ridimensionare il
dominio della cantante.
volume, una band da vedere
sul palco.
The Rasmus
Hide from the sun
Universal/Playground - Edel
Si può prendere l’iconografia
gotica, corredarla
musicalmente di pseudo
metal in salsa anni 80 e
sfornare un singolo dopo
l’altro? I Rasmus ce la fanno.
Dopo l’incredibile successo
di In the shadows tornano
nei negozi con questo nuovo
Hide from the sun. Sulla
falsa riga del precedente
anche questo nuovo disco
è un perfetto equilibrio di
forte/piano, melodia e
distorsione, arrangiamenti
d’archi e ritmiche serrate.
Destinati anche quest’anno
ha invadere radio e schermi,
il folletto scandinavo
e compagni non ci
risparmieranno tormentoni
per i nostalgici del Corvo.
Millionaire
Paradisiac
Pias
Il grandioso video in rotazione
è la sintesi del rock and roll.
Il gruppo in questione non è
l’ultimo arrivato, il leader Tim
Vanhamel ha suonato con i
Deus e questo non può che
essere un ottimo biglietto da
visita. Questo Paradisiac è
un disco strano che sembra
bisticciare con il noise,
chiedere in prestito un po’ di
elettronica ai Primal Scream,
ringraziare commosso i
Deus. Potente e irriverente,
il disco ha un effetto un po’
straniante, può piacere
agli amanti dello stoner ma
anche alle orecchie più indie
orientate.
Iron Maiden
Death on the Road
Emi
Questo è il sesto album live
nella lunghissima carriera
degli Iron Maiden, registrato
a Dortmund nel 2003 ha tutti
i pregi e i difetti dei live. Ai
puristi non piacciono perché
sporchi nei suoni, disturbati
da applausi, grida e cori, ad
altri è proprio questo che
piace. L’idea di essere lì e
di sentire le vibrazioni della
presa diretta, i brani nella loro
più essenziale esecuzione.
Quando a calcare il palco,
poi, sono gli Iron Maiden,
prolifici come ricci in questi
ultimi anni e veri e propri
animali da live, il risultato
e pressoché impeccabile.
Tra brani nuovi e cavalli di
battaglia questo disco è
un’altra testimonianza di
una pietra miliare dell’heavy
metal.
KeepCool
The Voodoo trombone quartet
The voodoo trombone quartet
Freshly queezed music rec
I tempi sono cambiati. Il
periodo d’oro del big beat e
dell’electro lounge sembra
essere passato, ma grazie ad
una nuova etichetta di Bristol,
la Freshly squeezed, c’è da
sperare bene per gli amanti
del genere.
La Freshly squeezed si
presenta subito con due
ottimi lavori. Uno dei Lemon
di Nick Hollywood e l’altro dei
Voodoo Trombone Quartet.
I Voodoo Trombone Quartet
hanno tirato fuori un album
letteralmente fantastico
carico di energia, insolito,
ruspante, eclettico.
Un disco pieno di ballate e
ritmi indomabili, pura dinamite
sonica.
Sembra che Overload nasca
da un incontro brillante tra
Beck e Morricone, mentre
Le trombone è un tributo
bollente a Serge Gainsbourg
con leggeri sussulti erotici
da stordimento completo. In
Your pleasure is our pleasure
ritroviamo la versione nervosa
e metropolitana dei Montefiori
cocktail. Per non parlare della
mia preferita Monster island
ricca di ritmi tribali e selvaggi
a go go.
Questo disco è la
dimostrazione lampante
che le cose più interessanti
possono provenire da una
scena lontana dalle luci della
ribalta più trendy.
Se siete alla ricerca di
incantate visioni, questo
lavoro può diventare un
mezzo di trasporto privilegiato
per probabili evasioni.
Postman Ultrachic
AAVV
Hit the Rhodes, Jack
Brown Sugar
Partendo dal gioco di
pronuncia con il famoso
brano di Ray Charles, Hit
the rhodes, Jack racconta
tantissime sfaccettature del
mitico piano Fender Rhodes
prendendo in sequenza
brani compresi tra il 1972 e il
1978. Questo strumento dal
suono dolcemente elettrico
e precisamente meccanico
ha fatto invaghire di sé fior fior
di musicisti che il solo citarli
uno dopo l’altro rende l’idea
del livello della raccolta;
Roy Ayers, Lonnie Liston
Smith, Cedar Walton, Donny
Hathaway, Dizzy Gillespie,
Kool & The Gang, etc.
Dal punto di vista della
selezione sono strati scelti da
Michael Möhring brani del
repertorio street funk (davvero
tanto), rare grooves della
migliore qualità e jazz duro
senza tanti complimenti,
anche se, volendo proprio
trovare il pelo nell’uovo,
manca qualche bel lentone
che amplifichi e sottolinei il
suono rhodes anche su quei
terreni. Bel colpo quindi per la
Brown Sugar, che si conferma
una realtà consolidata nella
ormai sempre più black
Germania
16
Purtroppo suono poco nella mia Sicilia
Intervista a Roy Paci
di Lorenzo Donvito
Che dire dell’entusiasmo e del fiume
di parole con cui il trombettista
siciliano ci ha sommerso?…Solo che
è un dispiacere non poter farvele
leggere tutte!
Parlando della tua musica la parola
giusta da usare è contaminazione:
c’è dentro un po’ di tutto dal reggae
al mambo, citando proprio uno
dei tuoi ultimi pezzi. E quello che
non manca mai è il riferimento alla
tradizione siciliana. Quanto c’è di
voluto? Ti chiedo questo perché non
tutti riescono a creare una miscela
musicale
così
perfettamente
spontanea.
Guarda, tutto quello che ho fatto
nel corso della mia vita è sempre
stato suonato con il marchio “made
in Trinacria”. È una roba che ti sale
a livello viscerale, non riuscirei a
fare altrimenti. I miei tre progetti,
nonostante
abbiano
direzioni
musicali diverse, dalla Banda Ionica,
agli Aretuska, ai Corleone, hanno
sempre qualcosa di Mediterraneo,
di siciliano. Un riallaccio a quella
che è la tradizione della Sicilia
tradotta in termini musicali o
addirittura come pensiero di coloro
che sono stati i grandi portavoce
anzi “provocantori” della nostra
terra: da Rosa Balestreri a Bufalino.
Ultimamente ci sono molti gruppi,
famosi e meno, che si rifanno ad
un certo tipo di tradizione musicale.
Si fa un gran parlare della pizzica,
della tarantella. Come vedi questa
rinascita della musica popolare?
Alcuni la criticano per una
mancanza di rispetto verso le sue
origini.
Io non parlerei del gruppetto
sconosciuto che cerca di trovare
un suo suono, anche originale, e
magari si avvicina al discorso della
pizzica e lo mette un po’ in chiave
elettronica. A me non piacciono
le grandi celebrità che hanno
totalmente preso dal repertorio
della musica popolare rendendolo
proprio. Un esempio incredibile è
Goran Bregovic, i cui pezzi da lui
firmati sono tutti della sua terra e
questo non è ben visto dalle sue
parti. È come se io avessi scritto il
mio nome sotto Sciuri Sciuri. Posso
ritrascrivere la musica perchè
magari ho cambiato totalmente
l’intelaiatura armonica di un
pezzo, ma bisogna stare attenti
a questo tipo di operazione.
Potrei farti un altro esempio, con
il massimo rispetto, citando Ennio
Morricone che è un grandissimo
musicista e che ha preso tanto
dalla musica del sud Italia. La
drammaturgia, quella sorta di
spleen, di melanconia di certe
sue sonorità è molto vicino a
quella delle marce del sud Italia
che hanno scritto i compositori
dall’800 in poi. Ti posso fare
dei confronti incredibili fra le
composizioni di C’era una volta
in America e di tanti altri film
musicati dal Maestro con la
musica della settimana santa
del sud Italia. Questo per dirti
che i più grandi devono citare
le fonti per dare l’esempio ai più
giovani.
Torniamo a parlare di Sicilia,
è vero che è un amore non
ricambiato e che spesso hai
difficoltà per suonare nella tua
terra?
Io non suono mai in Sicilia se
non grazie ai privati, non posso
nasconderlo.
Sarà
capitato
una volta all’anno che qualche
personaggio un po’ strano all’interno
di una situazione istituzionale faccia
il mio nome. Così è successo, per
esempio, che abbiamo suonato
a Catania davanti a diecimila
persone. E questo mi dispiace per
me, ma soprattutto per tutti quei
ragazzi che magari scrivono un
pezzo dedicato alla memoria di
Peppino Impastato, e ti assicuro
che mi arrivano un sacco di demo
belli, e che subiscono all’interno
della nostra terra questo tipo di
umiliazione. Io mi incazzo, scusate
il francesismo, perché ci terrei a
tornare a suonare di più in Sicilia.
Cosa ti piace adesso del panorama
musicale italiano?
Io amo quei gruppi, non tanto che
riescono a fare un disco meraviglioso,
perché con i macchinari diventano
tutti intonati, ma che irradiano
energia dal palcoscenico. Mi piace
vedere suonare gruppi come la
Bandabardò, i Linea 77 e altri
così. Vorrei fare un vero e proprio
festival itinerante con band che
hanno live così prepotenti. Sarebbe
bello che la scena della musica
indipendente italiana si mettesse
a tavolino, studiando una bella
strategia per portare avanti un
discorso alternativo alla musica che
ogni giorno ci profilano i network
nazionali. Questa attitudine la noto
in paesi come la Spagna dove
addirittura i gruppi si mobilitano
tutti insieme contro determinate
situazioni. Molte band spagnole,
per esempio, si sono attivate contro
l’arrivo sul mercato della “Clear
Channel” americana che faceva
lievitare i prezzi dei concerti a mille.
Con quello che guadagnavano dai
concerti addirittura ci finanziavano
la
guerra
in
Iraq,
hanno
sovvenzionato la costruzione del
muro tra Israele e Palestina. Delle
robe allucinanti. Lì c’è stata una
grandissima mobilitazione da parte
di tutti i gruppi che in Italia ancora
non c’è.
che sforna uno dopo l’altro
benevoli saccheggiatori di
perle altrimenti irrecuperabili
nel mare di etichette quali
Prestige, Groove Merchant e
Fantasy.
Il disco naturalmente è
dedicato alla memoria del
compianto Ray Charles.
Giancarlo Bruno
AAVV
Soul shaker Vol. 2
Record Kicks
Questa volta nick
(recordkicks), compilatore
di questa seconda puntata
del Soul Shaker, ha deciso
proprio di farci venire un
infarto in pista da ballo. Il
disco è un’escalation da
brivido di pezzi uno più
groovy dell’altro serviti su
stupendi piatti di vinile o su
cd di plastica digitale per
quanti vogliano restare più sul
leggero. Chi conosce le altre
compilations della Record
Kicks non rimarrà stupito dai
nomi, che sono più o meno
noti (Big Boss Man, The Link
Quartet, Speedometer, The
Boogaloo Investigators, etc.),
ma ciò non va assolutamente
a scapito della freschezza e
originalità della selezione che
non scende mai di tono.
Da evidenziare il bellissimo
brano Foolkiller (cover di
Mose Allison) dei Nick Rossi Set
che ci riporta alle scatenate,
sexy e ovattate atmosfere
di Mark Murphy, fiati da big
band e batteria che disegna
i contorni degli stacchi come
un cutter su una tela tesa.
Ballatelo come volete
insomma, in punta di piedi su
un tappeto di velluto rosso,
su una pedana di cemento o
meglio ancora sudati fradici in
un fumoso locale autunnale.
Per quelli che… anche
l’occhio vuole la sua parte,
bella anche la copertina
(curata ancora da Fabio
Conti), colori caldi e
affascinante la donnina molto
seventies sulla facciata.
Giancarlo Bruno
AA.VV.
Children Of Nuggets: Original
Artyfacts From The Second
Psychedelic Era 1976-1995
Rhino record 2005
La Rhino arriva al suo terzo
appuntamento con i cofanetti
di nugget ed è qualcosa di
indescrivibile, resto commosso
a guardare i gruppi presenti:
Chesterfield Kings, Cramps,
Crawdaddys Creeps,
Fuzztones, Miracle Workers
(qua scappa la lacrima),
Fleshtones. Manca qualche
nome importante come I
Gruesomes, ma se volete farvi
un bagno purificatore nel
garage punk più selvaggio,
nel paisley underground più
raffinato, cercate di reperire
assolutamente questo disco,
per capire anche da dove
vengono le influenze dei vari
White stripe, Hives etc etc.
(P. U.)
KeepCool
Luca Bassanese
Oggi Che Il Qualunquismo è
Un’Arte Mi Metto Da Parte E
Vivo Le Cose A Modo Mio
X-Land - (EP)
In attesa dell’album, che
dovrebbe uscire proprio
a ottobre, il cantautore
veneto Luca Bassanese
presenta un Ep, dal nome
arduo e impronunciabile,
particolarmente interessante
anche se ancora (così mi
pare) non completamente
maturo. I quattro brani
suonano però veramente
bene grazie a testi impegnati
(nel sito ufficiale è in bella
mostra il logo di Emergency)
e ad arrangiamenti
curatissimi. In Confini
(presente anche nella
versione latinoamericana
Fronteras), che ha
conquistato lo scorso anno
il Premio Recanati come
migliore musica, al fianco
dei FrontieraSoundSystem
(gruppo che accompagna
dal vivo Bassanese)
compaiono i fiati degli SKAJe. In 20 luglio 2001, che
racconta le tristi giornate di
Genova, la linea malinconica
è sottolineata dalla presenza
della Kocani Orkestar (quella
dei film di Emir Kusturika e
che in Italia ha collaborato
con Vinicio Capossela). I
brani sono ascoltabili sul sito
ufficiale:
www.lucabassanese.it/ (p.l.)
Super Reverb
…Solo Rock And Roll
Autoprodotto
Tremate signori, arrivano i
Super Reverb. Tonio, Filippo,
Jessy e Salvatore quattro
Salentini D.O.C. innamorati
del Rock and roll grezzo e
classico, quello degli anni
50, di Chuck Berry ed Elvis
per intenderci. Il primo disco
autoprodotto della band,
è un grande esempio di
come si possano riprodurre
le atmosfere degli anni 50
americani in chiave italiana.
…Solo Rock and Roll (titolo
che riporta ovviamente agli
Stones) è una raccolta di
sei brani, cinque inediti e
una cover (I got a Woman)
di frizzanti chitarre vintage,
batteria e basso molto Rock
a Billy. La voce profonda
e calda di Jessy Maturo
ricorda irrimediabilmente
quella di “The King”. Il disco,
registrato in presa diretta in
un capannone industriale del
basso Salento in sole tre ore,
è un fenomenale risultato
nel suono e nella tecnica,
riverbero sulle chitarre,
l’inconfondibile suono di
una Gretch abbinata a
un’ampli Fender. Stupisce
davvero come siano
perfettamente ricreate le
atmosfere da studio in diretta
che si ascoltano nei dischi
originali dell’epoca, i testi in
italiano poi rendono tutto
più accattivante e diverso,
ironico e spensierato. Disco
consigliatissimo non solo agli
amanti del genere, ma
17
Catwalk
Thin Rebellion
Maninalto – Venus
di Pedroso
Nel solco dei successi di numerose
band che svariano dal rock steady
al jazz esce l’esordio discografico
dei navigati, seppur sotto mentite
spoglie, Catwalk. Thin rebellion
contiene 11 brani, sette dei quali
strumentali, che si muovono con
disinvoltura tra jazz e ska con sax in
evidenza. Un gruppo macedonia
che accoglie musicisti dei gruppi
più autorevoli del genere. A
Gianluca Mancini (già fondatore
dei Vallanzaska), Valentino Finoli e
Lorenzo Ottanà (Smarts, Franziska)
si aggiungono nella formazione
base Massimo Dall’Omo e Ivan
Barassi. Il disco contiene inoltre la
tromba di Marco Fior (Franziska,
Bluebeaters,
Reggae
National
Tickets), le percussioni di Sandro
De Bellis (Dirotta su Cuba, Demo
Morselli, Gloria Gaynor) e le voci
di Georgeanne Kalweit (Delta V),
Giorgia Sallustio (Dirotta su Cuba)
e Paolo Bertucci (Franziska, Lord
Paul). La band negli ultimi due
anni aveva accompagnato Mr
Tbone come Jamaican Liberation
Orchestra (circa 90 date tra l’Italia
e la Germania). Come da tradizione
jazz alle composizione originali si
affiancano alcuni standard come
Webb City di Bud Powell (in una
versione molto movimentata), So
What di Miles Davis e The Chicken
il brano di Don Ellis reso celebre da
Jaco Pastorius.
Paolo Zanardi
Portami a fare un giro
Olivia Records
La neonata etichetta pugliese Olivia
Records inizia la sua avventura con
l’esordio solista di Paolo Zanardi, già
attivo con i Borgo Pirano e autore
di un brano della colonna sonora
di Mio cognato di Alessandro
Piva. Inizio subito dicendo che
Portami a fare un giro è un cd che
rientra nel mio bagaglio musicale
(seppur limitato). Musica ben
suonata, ironia e interpretazione
sentita avvicinano il barese ad
autori come Rino Gaetano, Paolo
Conte (dei pezzi “stupidi”), Carlo
Fava o Francesco Baccini. Avete
capito cosa intendo? Basterebbe
ascoltare i primi due pezzi per
capire di cosa si sta parlando Gas e
Portami a fare un giro avviano con
classe il cd che scivola via con la
carina e orecchiabile Il farmacista,
con i ritmi travolgenti e in levare del
Giocattolaio (bello anche il video),
con le fisarmoniche di Matisse, con
il jazz “d’ambiente” di Odette, con
gli inserti elettronici e le distorsioni di
Come una lampadina. Da segnalare
infine la chiusura romantica (proprio
come in molti dischi di Vinicio
Capossela) con La panchina,
sorretta da pianoforte, voce e viola,
e la bella riproposizione di Caldo dei
Diaframma di Federico Fiumani. Un
esordio positivo e promettente che
speriamo vada molto in giro.
(P. L.)
Marco Parente
Neve Ridens
Mescal, 2005
di Emanuele Carrafa
Anticipato da Il posto delle fragole
(che cita esplicitamente il titolo del
capolavoro di Bergman) esce per
Mescal il quarto lavoro in studio di
Marco Parente, ed è ancora poesia.
Contrapposizione è la chiave
per accedere a quest’opera:
attenzione certosina alle parole,
ricerca costante di sensi nuovi e
diversi nell’accostamento di parole
decisamente lontane per natura
– coppie apparentemente illogiche
di vocaboli come “neve ridens”,
“amore o governo”, “samba artica”
stanno ad indicare le innumerevoli
possibilità di significati che ci offre
la lingua e le innumerevoli nostre
possibilità di accostare concetti che
“normalmente” scorrono su binari
paralleli. Dentro questo contenitore
c’è l’esortazione a svegliarsi (Wake
up), a fare attenzione alle cose che
sfuggono di mano; la voglia di stare
fra la gente e di sentirsene parte,
accettandosi (Colpo di specchio);
la paura della transitorietà degli
affetti (Io aeroporto - minimale e
potente). E poi le parole ricorrenti
come
“specchio”,
“sorriso”,
“cibo”, che donano una sorta di
omogeneità a livello tematico.
Riflessioni sulla dimensione umana,
sperimentalismo
linguistico
e
musicale, forte dose di onirismo:
questo è Neve ridens, primo capitolo
di un doppio album, la cui seconda
parte verrà pubblicata a febbraio e
avrà lo stesso nome.
Nidi D’arac
St.Rocco’s Rave
Tarantulae-V2
Quinto cd per i Nidi D’Arac che
tornano con il loro impasto tra
musica tradizionale, dub, rap,
trance, elettronica, jungle. Il titolo
St. Rocco’s Rave (che è anche una
intensa e travolgente title track)
richiama la festa più popolare della
tradizione della musica salentina.
Mentre la Notte della Taranta è
luogo di incontro intorno ad un
concerto, la notte di San Rocco
(tra il 15 e il 16 agosto) è un misto di
religione e paganesimo, di musica
del sud Italia e cultura zingara,
di curiosità e fiera di paese. I Nidi
D’Arac si muovono da anni in quella
che viene definita (e ormai troppo
spesso sminuita) contaminazione.
Alessandro Coppola è stato uno
dei primi ad affiancare suoni
contemporanei
alle
vecchie
melodie e ai vecchi ritmi delle
campagne. Una impresa ancor
più difficile perché Coppola ha
scelto di portarla avanti lontano
dal Salento. Nel cd brani tradizionali
come L’acqua de la funtana e
Calispera convivono con originali
come St Rocco’rave, Straniero del
mondo, Ritmo. Molti sono ormai
stanchi della musica tradizionale
ma questa rilettura dei Nidi d’Arac
è ben curata e, soprattutto, ben
prodotta.
(P. L.)
anche a chi ha bisogno di
ascolti leggeri.
Cesare Liaci
Emilio Garofalo
Muri
Vs Records
Emilio Garofalo ha 21 anni
e studia giurisprudenza. È
nato a Bari ma vive a Bitonto.
Recentemente ha pubblicato
il suo esordio discografico
nel quale suona chitarra,
piano e armonica a bocca.
Muri cade a pennello nel
numero del nostro giornale
dedicato alla nuova scena
dei cantautori e al loro
rapporto con il passato.
I riferimenti di Garofalo
sono chiari (De Andrè, De
Gregori, Dylan, Simon e
Garfunkel) nella costruzione
dei testi, nell’andamento
delle musiche e negli
arrangiamenti che per ovvi
motivi di produzione non
sono ricchissimi e a volte
(mi permetto) non molto
centrati, la tracklist Muri
proprio non mi convince ad
esempio. Sono ben riuscite
secondo me Insolita, con
uno stile alla Alberto Fortis,
Verso l’Andalusia, Franz il
giullare (nella tradizione dei
cantastorie), Emigrante (che
segue un po’ l’epopea da
folk combat). Un esordio che,
qualche anno fa sarebbe
stato solamente un demo, fa
trasparire buone idee.
Compagni di merengue
Favor não Pescar
Autoprodotto
La produzione che per
comodità inseriamo nel filone
demenziale ha sempre un
difetto, o sarebbe meglio
dire uno svantaggio. Il cd
perde tutta la teatralità
che questo tipo di canzoni
richiede. Così dal vivo i brani
prendono quell’aria comica
che spesso smarriscono nello
stereo. Premesso ciò, Favor
não pescar dei Compagni
di Merengue sorprende
per suoni e arrangiamenti.
I testi sono carini, le storie
sorprendenti e le musiche
accattivanti. Da ascoltare e
soprattutto da vedere.
Paola Turci
Tra i fuochi in mezzo al cielo
On the road-Edel
Tra le cantautrici della nuova
scena italiana (anche se
è sulla breccia da quasi
venti anni) è forse quella
che meno ha mantenuto
le promesse degli esordi.
Paola Turci torna con Tra i
fuochi in mezzo al cielo nel
quale riesce, per sua stessa
ammissione, ad esprimere
“dolcezze di cui non mi
vergogno più, ho bussato
alla porta dei miei divieti e ho
messo in luce quello che ho
sempre nascosto: la perdita,
l’abbandono, le debolezze e
persino la paura di parlare di
un abuso, di una violenza”. Il
cd, che contiene dieci brani,
si chiude con Tu non dici mai
niente, cover di Leo Ferrè.
KeepCool
Theatricantor
Vorrei insegnarti amore
Cdf/Venus
di Gianpaolo Chiriacò
Il secondo disco dei
Theatricantor ruota tutto
intorno alla voce di Salvo
Guglielmino, versatile
esempio di cantautore
nostrano. La sua pronuncia e
il suo stile talvolta ricordano
un Sergio Cammariere meno
spocchioso, talaltra un
Renato Zero poco invadente.
I suoi testi, però, non intrigano
eccessivamente, costretti
come sono nell’esperienza
amorosa e intima del
suo autore. Anche gli
arrangiamenti pesano
ogni tanto sull’efficacia
complessiva dei brani, tant’è
che i più riusciti scivolano
grazie alla visceralità del ritmo
di tango, o fanno ricorso a
trame sonore prive di fronzoli.
La fisarmonica di Maurizio
Burzillà dimostra di essere la
risorsa più utile. Agendo per
sottrazione, riesce a dar risalto
a un assolo o a un commento
sonoro con l’utilizzo di
poche note, infondendo
un’impalpabilità poetica
che è un vero toccasana
quando il rischio è il languore.
I momenti più gradevoli sono
L’alibi più abile, un tango
a tempo lento con intento
narrativo e Come un angelo,
una canzone all’italiana
distesa e informale.
Le Clan Banlieue
Torno Domani
Propria
Le liriche sono taglienti in tutto
il disco, a tratti anche amare
(But more hot). I giochi di
melodie e ritmi sono sempre
frizzanti, a proprio agio nel
solco della migliore tradizione
del folk italiano, quella in
grado di miscelare il suono
della fisarmonica ai ritmi
caraibici e ai riff delle chitarre
elettriche. L’esperienza
maturata in cinque anni
di festival, manifestazioni
e serate come spalla di
formazioni più note – in
particolare della Bandabardò
– si percepiscono appieno.
Ogni brano, infatti, ha
una fisionomia spiccata e
definita, peccato però che
l’esecuzione e la qualità della
registrazione non brillino.
(G.C.)
Ratoblanco
Crea Scompiglio
UPR/Edel
Dopo anni passati a far
la cover band dei Clash
e registrazioni effettuate
con line-up differenti, i
Ratoblanco approdano alla
Ultimo Piano Records, già
etichetta di Folkabbestia e
Riserva Moac. Il sound è più
definito, grazie all’aiuto di
Finaz della Bandabardò in
veste di produttore, mentre
le possibilità compositive si
allargano. Crea scompiglio si
allontana dalla sonorità punk
(rispolverata solo nel brano
omonimo e in qualche altro
18
passaggio del disco) per
sperimentare le possibilità di
uno studio di registrazione,
come in Domani partirò,
della canzone ironica (Ho
un problema d’amore), e
delle ballad, come nella
impressionistica Luna Piena.
(G.C.)
Ada Montellanico/Enrico
Pieranunzi
Danza di una ninfa
Egea
di Gianpaolo Chiriacò
Non molte settimane fa, una
rivista di settore domandava
a diversi artisti - tra cui Meg e
Alessandro Reina dei Giardini
di Mirò - cosa avrebbero fatto
se si fossero trovati di fronte al
manoscritto di un brano inedito
a firma Lennon-McCartney. Le
risposte sono state varie (tutte
bacchettone), oscillanti tra “lo
tengo solo per me” e “lo reinterpreto rispettandone l’anima”.
Parole profonde, ma nei fatti
ci vuole fortuna e coraggio per
imbarcarsi in un’avventura rischiosa
come quella (utopica) ideata dal
fantasioso giornalista, o come lo è
(per davvero) Danza di una ninfa.
Il nuovo disco, infatti, è il frutto del
gravoso onore di (ri)portare in musica quattro testi inediti di Luigi Tenco,
affidati alla coppia Enrico Pieranunzi e Ada Montellanico dagli stessi famigliari del grande cantautore.
Un alto riconoscimento dell’autorevolezza pianistica di Pieranunzi, fra
i migliori jazzisti europei, e della dedizione con cui la cantante ha già
affrontato il repertorio di Tenco. Ma
è anche un’ardua missione: trovare
la formula giusta per ricreare quella
potente fusione tra melodia e parole e quell’emissione vocale così
particolare, mai più esplorata da
altri. Tra i testi, Mia cara amica rivela
quella disillusione triste tipica del suo
autore, mentre la vena più ironica
Charamira
Adrenalina
Edel
Scartabellando sito e libretto dei
trapanesi Charamira, emerge con
forza il tema della lotta combattuta
prima di raggiungere le orecchie
di un produttore e trovare spazio
in una realtà periferica. Una lotta
che può essere raccontata (vinta
o ingloriosa) praticamente da tutte
le formazioni pugliesi. Sul piano
musicale, emergono elementi di
groove moderni, dub, sfumature di
pianoforte e violino, e testi in dialetto.
Un disco multicolore, più intenso
quando il ritmo si fa incalzante,
come in un concerto di Khaled. I
singoli Vieni in Sicily e Odio, trasmessi
da diverse radio quest’estate,
contengono i momenti vocali più
coinvolgenti, laddove il timbro
rauco di Chicco Allotta si increspa
seguendo le parole più significative
del testo. Ciauru d’Africa presenta
una suite patchanka che riporta in
un solo brano tutto l’immaginario
sonoro riconducibile al continente
africano; ma la canzone più bella
è Mezzu Tempo: il sottile contrasto
tra gli strumenti acustici e i suoni alla
Telefon Tel Aviv, il ritmo sostenuto
e la tristezza della voce rivelano
che occorre ispirazione genuina e
intelligenza musicale per miscelare
mille
ingredienti
e
ottenerne
qualcosa di interessante.
(G.C.)
si evidenzia in O me, probabilmente il più bello dei quattro. Danza di
una ninfa sotto la luna e Da quando
sembrano invece episodi ancora incompiuti, in cui manca la chiarezza
e la forza delle immagini dei classici
firmati da Tenco.
L’orchestrazione sottile e gli interventi dei fiati di Paul McCandless sono
gli elementi musicali più belli, insieme a quello stile pianistico così sospeso che ha reso famoso il pianista
romano, e che ha dato gran risalto
alla versione di Mi sono innamorato
di te. Ada Montellanico, poi, ha una
grande attenzione per ogni sillaba,
però stenta a prendere in pugno la
canzone, cosicché alla fine dei conti ci si trova di fronte a un disco di
jazz e non di musica italiana. Di gran
classe nel suo genere; ma brani rimasti nascosti per così tanto tempo
avrebbero bisogno di una dimensione diversa per riemergere.
Ali Farka Touré &
Toumani Diabate
In the Heart of the Moon
World Circuit
Tradizione
e
innovazione
a
confronto in questo cd che per
la prima volta vede insieme i due
maestri della musica e della cultura
del Mali. Ali Farka Touré, dell’etnia
Songhai, è il re del blues del deserto
(non a caso è definito il John Lee
Hooker africano) ed è considerato
il difensore della tradizione. Il suono
della chitarra elettrica, nei suoi
brani, viene accompagnato da
strumenti fatti con gusci di zucche
e pelli di animali. Il blues di Touré
è un antenato di quello che si è
poi sviluppato negli Stati Uniti. Non
a caso l’artista è stato uno degli
interpreti del film documentario
di Martin Scorsese From Mali To
Mississippi (uscito un paio di anni
fa) che narra di questo viaggio
dal delta del Mississippi alle rive del
Niger in Mali alla ricerca delle vere
origini della musica blues. Toumani
Diabaté, un djeli mandengue,
è invece il nuovo maestro della
kora, un particolarissimo strumento
a corde africano, e per primo ha
cercato di rinnovare la musica del
suo paese, ricca di melodie. In the
Heart of the Moon è un disco quasi
interamente strumentale, realizzato
per la World Circuit, nato da session
e improvvisazioni dei due artisti. Nel
cd compaiono nomi del calibro di
Ry Cooder, Kawai, Sekou Kanté e
Cachaíto López (dei Buena Vista
Social Club) e Joachim Olalekan
Babalola. (P.L.)
Ratapignata
Sighi Sighi
UPR/Edel
I Ratapignata sono un’ottima
formazione reggae. E questo
è indiscutibile: sezione
fiati robusta, incedere
sincopato puntuale, voce
carismatica, momenti dub
in giusta quantità. Eppure
manca la ricerca di una
versione innovativa del
pluriutilizzato ritmo in levare.
Non è intolleranza verso il
genere, tutt’altro, è che Sighi
Sighi qualcosa di originale
la possiede ma ancora
allo stato embrionale. Ne
è esempio Aboxina, brano
in cui un ritmo calypso si
incontra con una melodia
popolare in tempo irregolare
(suonata peraltro benissimo).
Forse potrebbe essere un
sentiero da percorrere per
trovare un segno veramente
caratteristico, al di là dei testi
in dialetto sardo.
(G.C.)
Ambarabà & Ratafiamm
A&R
Propria
Sono gli accompagnamenti
di chitarra a dominare in
questo disco, generando un
rollio piacevole che accoglie
più delicatamente di un
silenzio le parole di Enrico
Cibelli e Andrea De Nittis,
autori attenti, né saccenti
né banali. Le atmosfere
sono quasi esclusivamente
acustiche, e comunque
sempre prosciugate
e secche, ispirate dal
minimalismo di David Sylvian
e da una bella tensione
poetica. Di grande fascino
è il contrasto tra il suono
del gruppo e l’arpeggio
di piano in Pausa, brano
in cui la voce di Cibelli,
spingendosi verso note più
acute, svela un’impertinenza
insospettabile e tuttavia
azzeccatissima.
(G.C.)
Marcello Zappatore
L’improvvisazione sulle
progressioni di accordi
È uscito, con il patrocinio
del sito www.musicistiweb.
com, il video didattico
in formato DVD dal titolo
L’improvvisazione sulle
progressioni di accordi a
cura del chitarrista salentino
Marcello Zappatore. Il
cofanetto, pubblicato
nell’ambito della collana
“Jazz Guitar”, costa 8,90 euro.
KeepCool
È uso comune, tra i giovani
pseudointellettuali, lagnarsi costantemente della propria realtà
quotidiana, della propria città e
delle genti che la abitano. Indipendentemente dalla effettiva
situazione socio-culturale in cui
vivono, sono soliti buttare occhi
e pensieri verso fanta-paradisi
dello stimolo neuronico/umorale, guardando poi con disprezzo
ciò che li circonda. A tal proposito si sente spesso
parlare di ‘province
dell’impero culturale’, delle quali
ovviamente i fantaparadisi tanto sognati sarebbero le
capitali. Ora, se è
vero che alla base
di tutto ciò c’è
sempre un senso di
insoddisfazione interiore dettata più
da una propria insicurezza psicologica
che dall’ambiente
esterno che ci circonda, è ancor più
vero che sono proprio certi ambienti
che ti impediscono,
o, perlomeno, ti
ostacolano in quel
più che giusto processo di autosoddisfazione a cui tutti
in qualche modo
aspiriamo.
Ma a questa condizione di inferiorità
culturale di alcuni
ambienti rispetto ad altri, ne segue una ancor peggiore, ossia
quella in cui questa inferiorità
non è in alcun modo avvertita dai soggetti che la vivono,
se non da un piccolo grumo di
poveri pazzi. E ad accrescere il
problema c’è il fatto che spesso
è l’idea di cultura a essere travisata. In certi ambienti si può
osservare un vero e proprio annichilimento semantico di questo
concetto: si accetta come ‘cultura’ solo un limitato ambito di
pensieri ed azioni, se non addirittura qualcosa che di culturale
ha ben poco.
È proprio la mancanza di una
consapevolezza più ampia dello
sviluppo intellettuale ed artistico
nel mondo che porta a queste
degenerazioni dei vocaboli. Agli
occhi di chi possiede e difende questo ristretto concetto di
cultura, tutto ciò che riguarda
il processo di sviluppo culturale
nel resto del mondo è da etichettare come culture alternative o addirittura sottoculture.
Ancora peggio è quando sono
gli addetti all’amministrazione
della cultura in quella società a
sostenerne un’idea ristretta.
Ok, questo avviene un po’ dappertutto, ma è anche vero che
ci sono restrizioni e restrizioni. E
non c’è limite al livello di riduzione semantica di un concetto, in
particolare ad un concetto quale quello di ‘cultura’. La questione non è il dover possedere una
completa visione di tutto ciò
che la cultura può essere, proposito inevitabilmente fallimentare, ma il pretendere, almeno
da chi con la cultura presume
di aver qualcosa a che fare, di
non porsi preventivamente dei
paletti fissi di determinazione
e limitazione. Ovviamente non
c’è nulla di nuovo in quanto si
è detto, ma era necessario ribadirlo per porsi nella giusta ottica
Bari - La taverna del
maltese: capitale della
provincia dell’impero
riguardo a qual è l’effettivo oggetto di
quest’articolo.
Giovedì 26 e venerdì 27 settembre si
è inaugurato, con un mega doppio
party d’apertura a cui hanno partecipato tutti i nomi più interessanti del
djame alternativo nostrano, il 26° anno
della taverna del maltese, il primo pub
di Bari (a detta del vero si tratta della
nuova sede del locale; per la vecchia,
quella di via Netti, si attende la riapertura ad ottobre). Carlo Chicco, David
Nelsen, Franco Eroi, Jamano & TOP, Mr.
Magoo, Not4News, Rhomanife, Rootsulani, Stereo4, hanno accolto nei due
appuntamenti centinaia e centinaia di
presenti con sonorità trasversali che si
spostavano dal reggae all’elettronica,
dal northern-soul all’hip-hop, dal pop
all’indie-rock. L’allestimento artistico,
inoltre, a cura della neonata associazione Formiche Verdi 23 (figlia dell’esperienza collaborativa ArtistiXNichi
avutasi in occasione della campagna
per Nichi Vendola), ha segnato fin da
subito l’intenzione del locale di porsi
aldilà dell’idea di semplice luogo di ritrovo serale, per trasformarsi in un vero
e proprio polo culturale, spazio aperto
alle (poche?) forme di espressione artistiche ‘alternative’ della città e non
solo. Anche l’entrata dei Rootsulani,
storico collettivo di dj, nella gestione e
l’affidamento della direzione artistica
all’associazione Wabi Sabi Sound/Provincia dell’Impero (appena ripresasi
dalla soddisfacente sfacchinata del
Festival L’acqua in Testa) sono segni di
un rinato interesse verso un più concreto sforzo di metter ordine tra le diverse
realtà e operatori culturali e stabilire le
basi per un effettivo ed unificato percorso di sviluppo di cui la nascita dell’A.T.S. Acqua in Testa (il progetto nato
dall’accordo tra Taverna del Maltese,
Bass Culture, Controradio, Mutua Studentesca e Wabi Sabi Sound) ne è stata la prima soddisfacente espressione.
D’altra parte, proprio l’esperienza del
Festival ha messo in evidenza la presenza di alcune sostanziali difficoltà
alle quali sarà necessario dedicarsi in
futuro (con la speranza di un sostegno
più incisivo da parte delle amministrazioni locali) per evitare che le forze
propulsive si smembrino sfiancate dalla
estenuante lotta contro ostacoli che
per lo più esulano dalla effettiva realizzazione dei progetti culturali in sé ma
derivano da un modus operandi che è
intrinseco alla società stessa.
In questa atmosfera propositiva, la Taverna del Maltese si pone giustamente
come il luogo ideale per coniugare le
differenti direzioni e intenzioni dei vari
soggetti interessati a questo progetto
di sviluppo, proprio perché, da sempre, per le sue attività e le sue posizioni,
la Taverna è stata considerata come
tale. Ma oltre a offrire spazi e occasioni, la Taverna si è già mossa in questo
senso investendo di propria tasca in
interessanti progetti artistici, dentro e
fuori la propria sede (basti pensare all’incredibile serie di concerti e spettacoli che ha offerto gratuitamente per
l’intera stagione passata): come dire,
ha dato il buon esempio...
Rispetto alle effettive proposte artistiche che la Taverna sta preparando
per questi ultimi mesi del 2005 possiamo subito avere alcune anticipazioni.
Già lunedì 26 settembre si è svolto il primo concerto della nuova stagione. Si
tratta del nuovo progetto di Ann Shenton, appena dimissionatasi dagli Add
‘n’ to (X), storico gruppo elettrorock
degli anni ’90, e giunta in Italia per presentare la sua nuova creatura, i Large
Number, con i quali ha già pubblicato
un primo lavoro, Spray on sound. Ad
accompagnarla in questo tour, inoltre,
c’era Mick Bund, già nei Felt e chitarrista live dei Primal Scream, cosa che
reso lo spettacolo un piccolo evento.
19
Giovedì 6 ottobre sarà invece
di passaggio una vecchia conoscenza della scena indie pugliese, l’italo-francese François
Cambuzat, fondatore di svariate formazioni, tra i quali gli Enfance Rouge (dei quali siamo
in attesa dell’imminente nuovo
album“Krsko-Valencia”, in uscita
per Wallace Records), e ora in
partenza per un tour internazionale con il suo nuovo progetto
solista, Putan Club, che ama
definire “una espansione della
rabbia di Billie Holiday contro
Miss Kittin, di Armand Van Helden contro Leonard Cohen, di
François Cambuzat e Taùfik alFiransyy contro tutti gli yankees”.
Per domenica 30 ottobre si attende poi l’arrivo di Chris Leo,
le cui due creature principali,
Van Pelt e Lapse (questi ultimi
visti un po’ di anni fa in Taverna
vecchia) hanno lasciato un segno decisivo nella musica rock
indipendente; mentre lunedì
8 novembre vedremo al gran
completo la newyorkese Akron/
Family, una delle ultime grandi
scoperte in casa Young God,
etichetta del mitico Michael
Gira degli Swans. Anche quest’anno, tutti gli eventi in Taverna
saranno gratuiti.
(Gli altri eventi a pp. 36-37)
KeepCool
20
IL SALTO NELL’INDIE
Da questo mese parte una nuova
rubrica di Coolclub.it. Abbiamo
scelto di dedicare ancora più
spazio alla musica indipendente
italiana. E abbiamo scelto di
farlo attraverso chi sceglie di
promuovere la nuova musica.
Ogni mese dedicheremo una
pagina alle etichette, piccole
o meno, che producono,
veicolano e diffondono le
nuove band italiane. Lontano
dai clamori e le vetrine delle
major c’è chi, con passione, ha
scelto di investire su generi che
non fanno i grandi numeri. Un
lavoro, duro e a volte ingrato,
che merita tutta la nostra
attenzione
e
ammirazione.
Cominciamo
questo
mese
con la Fosbury di Treviso che in
pochi anni è riuscita a crescere
e a diventare una delle piccole
realtà italiane più apprezzate e
premiate dalla critica. Ispirata
dal famoso e omonimo atleta la
Fosbury Records cerca soluzioni
rivoluzionarie
per
superare
gli
ostacoli, speriamo che
questo spazio rappresenti un
piccolo aiuto per spingere un
po’ più in alto la nostra musica
indipendente.
Ci parli un po’ della Fosbury,
dell’idea che sta dietro al
progetto?
La Fosbury è nata dall’esigenza
di due gruppi trevigiani (es e
vIRNA) di far girare la propria roba
in modo efficace, facendola
passare
a
webzines-radiogiornali come prodotto “vero” e
non come demo-CD. Il marchio
di
un’etichetta
stampato
dietro al CD è il primo passo
verso questo riconoscimento
come produzione seria anziché
come perdita di tempo. Le
cose sono cresciute piuttosto
velocemente, senza che ce ne
accorgessimo. Sono arrivati Party
Keller e Valentina Dorme, poi la
distribuzione Audioglobe, i premi
Fuori dal Mucchio, le bands non
venete, Arezzo Wave, il Tora!
Tora!…
Da quanti anni esiste la vostra
etichetta?
É
stato
difficile
metterla su? Quanti siete?
Com’è strutturata?
L’etichetta esiste dal 2001, ed è
diretta da sette persone, 5 delle
quali fanno parte delle suddette
4 bands. Queste sette persone
si occupano delle funzioni
fondamentali: Amministrazione,
Ufficio
Stampa,
Booking,
Rapporti con la distribuzione.
Metterla su non è stato difficile…
basta trovare un nome e un
marchio. Gestirla, nel momento in cui
cresce e trova distribuzione nazionale,
implica ovviamente un impegno ben
diverso.
Avete un genere di riferimento? Quali
sono i vostri gusti?
I nostri gusti variano continuamente,
non è facile definirli. Abbiamo il
gusto della buona musica, questo
direi di si. Indie-rock e indie-pop sono
certamente termini avvicinabili alla
proposta Fosbury, che, però, non è
una di quelle etichette solo-inglese o
solo-italiano, né una etichetta singologenere… abbiamo gruppi più e meno
rumorosi, più e meno elettronici, scrittori
di testi completamente diversi tra loro,
sia in italiano che in inglese.
Ci parli un po’ del catalogo, le vostre
band.
La nostra prima produzione sono
i Valentina Dorme che con l’album
Capelli Rame ha vinto il premio Fuori
dal Mucchio 2002 come miglior
esordio discografico. Mario ha una
capacità di scrittura dei
testi fuori dal comune, e a
questa si accompagna uno
stile musicale in bilico tra il
noise, la carezza, il taglio e la
dilatazione.
Abbiamo
poi
pubblicato
una compilation (Fosbury:
Primo
Salto).
18
belle
canzoni, dai Northpole fino
ai Tre Allegri Ragazzi Morti,
dai Perturbazione ai One
Dimensional Man. Quasi tutti
pezzi inediti, molte sorprese.
Poi ancora The mistercervello
che ha vinto il premio Fuori
dal Mucchio 2003. Un agglomerato
di indie e pop bizzarro. Malinconia
ed ironia, Paul + Paula, primo disco
Fosbury in inglese. Ci dispiace molto
che non sia stato valutato per quanto
meritava. Un incrocio di rock’n roll e
arte obliqua. Fossero stati americani,
sai le copertine… Slumber – Never
been a girl. Tutto quello che il college
rock ha insegnato qui viene ripreso
e tritato, fino a farne una ricetta per
chitarre-basso-batteria assolutamente
personale.
Mosquitos
–
Electric
center. Musica desertica, lontana,
fatta di trame asciutte e di memorie
velvettiane. Sono stati tirati in ballo i
Giant Sand, i Thin White Rope… ma qui
c’è anche una voglia di sperimentare i
suoni che va ben oltre. En Roco – Prima
di Volare Via. I nostri eroi acustici.
Hanno le canzoni, hanno i violini,
hanno le chitarre. Il prossimo disco è
in uscita a fine anno per l’etichetta dei
Meganoidi. E non è finita. Ci sono gli
Edwood – Like a movement. Un’anima
pop intrisa di electronica. Hanno
canzoni che si avvolgono intorno alle
loro stesse melodie, e una intensità
sintetica degna dei migliori Notwist.
c|o|d – Preparativi per la fine. L’attesa
pubblicazione di un album tenuto
troppo tempo in un cassetto, a causa
della cecità delle major. Emozioni
pure, non c’è altra descrizione. E
infine il nuovo dei Valentina Dorme
– Il coraggio dei piuma. Vale tutto
quello che si è detto per il primo disco,
aggiungendoci sopra la maturità
accresciuta dalle esperienze Arezzo
Wave e Tora! Tora! Scrittura sempre
più levigata e cesellata e in uscita By
popular demand – You are nervous.
Una sorpresa rock’n roll. Sono giovani e
belli e sul palco infiammano i cuori.
Come si fa in Italia a sopravvivere
con un indipendente?
Non si fa. Ci si accontenta di
considerarla una passione. Nessuno di
noi lo fa per lavoro.
Esiste un mercato, un circuito
alternativo in Italia?
Esistono distribuzioni indipendenti, che
arrivano nei negozi, esistono i siti web
e il vecchio ma sempre valido canale
dei banchetti ai concerti. Vedremo se
l’mp3 cambierà i livelli, come molti si
attendono.
Uno dei vostri gruppi, i Valentina
dorme, sono tra le realtà italiane più
interessanti, questo numero del
nostro giornale è dedicato alla
canzone d’autore, secondo
è una delle strade percorribili
dalla musica italiana?
La canzone d’autore è una
delle basi portanti della musica
italiana, quindi è cosa buona
e giusta che le nuove realtà
la prendano e la modifichino,
incrociandola, contaminandola,
facendola nuova e sempre
migliore.
KeepCool
21
“Io prendo le distanze dal cantautorato inteso nel suo senso classico”
Intervista con Marco Parente
di Osvaldo Piliego
Marco Parente nasce a
Napoli nel 1969 e vive a
Firenze fin dall’inizio degli
anni ’90. Come batterista,
dopo alcune militanze in
gruppi locali, partecipa alla
realizzazione in studio di Ko
de Mondo e Linea Gotica
dei CSI. Alla fine del 1996 dà
vita ad un progetto solista
che lo vede impegnato
come autore, arrangiatore,
cantante e chitarrista. Il suo
disco d’esordio, Eppur non
basta, esce nel marzo del
’97 per la collana Taccuini
del Consorzio Produttori
Indipendenti. Nel settembre
1998, il primo disco viene
ristampato in una edizione
speciale, con una nuova
copertina e due brani in più:
Oggi si ride e Gharbzadegi.
Il secondo album viene
pubblicato nel novembre
2000, si intitola Testa di cuore.
Nell’inverno del 2001 inizia la
collaborazione con Manuel
Agnelli. Ospite del Premio
Ciampi 2001 si esibisce in
una vibrante performance
assieme allo stesso Manuel
Agnelli e Paolo Benvegnù.
Nel febbraio del 2002 Patty
Pravo interpreta e inserisce
una sua canzone (Farfalla
Pensante), tutto grazie
e sotto la supervisione di
Manuel Agnelli. Nel 2002
esce su etichetta Mescal
(distribuzione Sony) il nuovo
disco di Marco Parente
prodotto da Manuel Agnelli,
intitolato Trasparente e
preceduto dal singolo La mia
rivoluzione. Nel 2004 pubblica
l’album/progetto live L’attuale
jungla. Il 27 maggio 2005,
l’avventura discografica di
Marco Parente è ripresa con
la pubblicazione da parte di
Mescal di un nuovo singolo,
Il posto delle fragole che
anticipa l’uscita del primo di
due album; non un album
doppio dunque e neppure
una sequenza rigorosa, ma
due lavori assolutamente
diversi per umore, suoni e
atmosfere. Gli album, intitolati
entrambi Neve Ridens, si
distingueranno inoltre nella
parte grafica del titolo: il
primo avrà la parola Ridens
cancellata, il secondo,
ovviamente, la parola Neve.
Perché questa scelta?
L’idea di fare due dischi che
uscissero a poca distanza
uno dall’altro scaturisce da
vari motivi. Quando sono
entrato in studio avevo molto
materiale, tutto molto valido
secondo me, che aveva
una vita propria. Non volevo
sprecarlo, da qui l’idea di dividere
il disco in due puntate, anche
per permettere a chi ascolta di
dedicargli la giusta attenzione.
Qual è, se c’è, il filo conduttore dei
due album?
I lavori sono idealmente molto
legati ma allo stesso tempo molto
diversi. Sono contento perché
per la prima volta ho avuto la
possibilità di curarne ogni aspetto.
Il primo lavoro, quello in uscita, è
un lavoro di reazione, “politico” in
un certo senso. Il secondo invece
lo definirei poetico, più riflessivo.
Questo avviene sia musicalmente
che nei testi. La materia trattata
è in sostanza la stessa in entrambi
gli episodi ma con un colore,
un sapore, una angolatura
diversi. Il titolo stesso Neve ridens,
l’associazione di due parole che
apparentemente non ha un
significato, secondo me
rappresenta bene questo
contrasto. Da un lato la
neve, questa immagine
rassicurante, dall’altro
ridens solitamente
associato alla iena che
crea una suggestione
inquietante.
Neve ridens parte prima:
come sempre hanno
grande peso i testi e
un codice musicale
suggestivo, come vivi
l’interazione tra parole e
musica?
Nascono separatamente
ma è come se già
sapessero di dover
finire insieme. Ho una
grande attenzione nei
confronti della parola
e una grande cura
nella musica. Prendo
però le distanze dal
cantautorato inteso nel
suo senso classico. Non
so raccontare storie
come fanno i cantautori,
parlo di concetti, mi
reputo un musicista
perché mi piace stare
dentro la musica e le
parole.
Tra i tuoi progetti
molti sono vicini alla
letteratura, il tuo tour con
Ferlinghetti, il
Rumore dei libri,
ce ne parli?
Il Rumore dei
libri nasce dalla
voce dei poeti.
Inizialmente ho
cominciato,
anche tramite
internet, ad
ascoltare la
voce dei poeti,
il suono, il ritmo.
L’ho catturata
e la faccio
“rivivere” sul
palco in questo
spettacolo
facendola
interagire con
suoni e musica.
Uno spettacolo
che si concentra
sul timbro, sul
modo in cui le
parole sono
pronunciate.
È una sorta
di percorso
sulla parola e
la sua ombra,
il suono in sé è poesia.
Questo spettacolo poi
dovrebbe anticipare ed
accompagnare l’uscita
della seconda parte di Neve
ridens. Mentre il live legato
al primo disco segue più lo
schema rock and roll con
cinque musicisti sul palco, per
il live del secondo pensiamo
a uno spettacolo diverso.
Quale credi sia il futuro per
la musica indipendente
italiana? Quella che nasce
spontanea senza progetti per
arrivare in classifica?
Io credo nella qualità delle
cose, indipendentemente
se siano commerciali o
no. Riguardo alla musica
indipendente italiana penso
però si stia verificando quello
che è successo anni fa in
America. L’indipendente
cresce, c’è un circuito. Poi
ci sono casi in cui prodotti
bellissimi rimangono
nell’ombra altri in cui il
riconoscimento arriva
comunque.
Nella tua musica emergono
le più svariate influenze, cosa
ascolti oggi? Cosa consigli ai
lettori di coolclub.it?
I miei ascolti spaziano molto,
non sono affezionato a un
genere, sono molto esterofilo
in generale. Credo di essere
stato influenzato da Elvis
come dagli Intillimani. La
musica mi piace tutta, e mi
piace attingerne quando
compongo. Attualmente
sto ascoltando moltissimo
un disco di rarità di Duke
Ellington solo al piano...
bellissimo… e poi sto
ascoltando i Wilco…tutto.
KeepCool
22
Elliot Smith
L’ultimo poeta del Rock
di Francesco Lefons
The Roman Candle (Cavity
Search, 1994)
L’album, registrato a livello
amatoriale su un quattro
piste recording, canta di eroi
portati all’eccesso, di giornate
trascorse ad ubriacarsi, di
suicidio, di abbandono.
Elliott Smith (Kill Rock Star, 1995)
Sin dalla copertina questo disco
racchiude in sé tutta la sincerità
di una condizione, quella di
Elliott Smith, che viene fuori con
straordinaria amarezza.
Either/Or (Kill Rock Stars, 1997)
Considerato dalla critica come
l’album più bello di Elliott
Smith, sicuramente Either/Or,
racchiude in se l’esperienza
delle precedenti produzioni,
compresa un’accresciuta
maturità artistica che lo
allontana dalla cruda
schiettezza.
XO (Dreamkorks, 1998)
Il passaggio ad una major,
tanto temuto e agognato si
è dimostrato in realtà molto
positivo per Smith. Questo
disco, infatti, lo consacra
definitivamente, da tutti i punti
di vista.
Figure 8 (Dreamwork, 2000)
Questo disco che arriva al
culmine della popolarità di
Smith, è all’altezza della fama
del cantautore. Musicalmente
più completo e curato dei
precedenti, con una rinnovata
propensione all’elettricità e
all’effettistica.
From A Basament On The Hill
(Anti, 2004)
Pubblicato postumo grazie al
lavoro di Rob Schnapf e Joanna
Bolme, la sua compagna.
L’album era un progetto al
quale Smith lavorava da più di
due anni e, nonostante il suono
del missaggio finale non sia mai
stato cominciato, il disco è ben
prodotto, anche se pare che il
cantautore avrebbe voluto un
suono più sporco e diretto
Sono passati ormai due anni da
quel 21 Ottobre 2003, quando Elliott
Smith, uno degli ultimi poeti del rock,
ha deciso di risolvere i suoi problemi
andando dritto alla fonte con una
coltellata al cuore.
Di sicuro pensare ad un suicidio
del genere fa venire i brividi e
rimanda inevitabilmente a tutti
quei personaggi che il rock ha
conosciuto nel corso di cinquanta
anni di storie e suoni; angeli venuti
da chissà dove e comunque andati
via troppo presto, quasi avessero
fretta di sbrigare le loro faccende
terrene; persone cariche di spiccata
sensibilità e capaci di relazionarsi in
maniera così intima e confidenziale
con la loro musica, da riuscire a
mettersi completamente a nudo di
fronte a se stessi e al mondo: gente
come Nick Drake, Syd Barret, Gram
Parsons, Jeff Buckley (?), Elliott Smith,
tutti artisti accomunati da un destino
comune e da quella stessa fretta
di “togliere il disturbo” che lascia
l’amaro in bocca e che dipinge di
mistero e introspezione la figura di
questi artisti.
Elliott Smith è sicuramente uno degli
artisti più interessanti degli anni
’90, un cognome come milioni
oltreoceano, che bene si addice
ad una persona come lui, schiva
e introversa, che nel corso della
sua vita si è sempre scontrato con
la sua instabilità emotiva, come
fosse un esploratore alla continua
ricerca di sé, eternamente diviso
tra gioie e dolori. Una dicotomia,
questa, che lo ha accompagnato
sin da bambino, diviso tra la vita a
Dallas, con la madre, e Portland,
con il padre, con il quale Smith
deciderà in seguito di vivere e
dove muoverà i suoi primi passi
cominciando a suonare con i
compagni del liceo.
La stessa dicotomia che vede
Smith fondare, con il suo amico
Neil Gust, gli Heatmiser (gruppo
che si colloca temporaneamente
nell’esplosione grunge e che quindi
si riconduce per sonorità e soluzioni
melodiche al sound sporco e
aggressivo di Seattle), che in seguito
abbandonerà inevitabilmente per
dare spazio a quall’agrodolce
musicalità, minimale e introspettiva,
che caratterizzerà il suo prodotto
cantautorale.
Di sicuro l’esperienza degli Heatmiser,
è stata un momento fondamentale
per la carriera di Smith, nonché la
prima che lo avvicina seriamente al
discorso musicale. Con loro, infatti,
oltre a fare numerosi concerti,
incide due dischi nel giro di un anno,
Dead Air (Frontier, 1993) e Cop And
Speeder (Frontier, 1994).
Nonostante il discreto successo Smith
si sente frustrato e artisticamente
stuprato dalle sonorità troppo
aggressive della band. Decide
quindi per la sua carriera da solista
con l’uscita nello stesso anno di
Roman Candle (Cavity Search
Records, 1994), disco registrato
a livello amatoriale su quattro
piste recorder, in cui è presente la
bella ed acerba Condor Avenue,
canzone composta ai tempi del
liceo.
A seguito del discreto successo
riscosso dal suo primo album presso
il pubblico underground, nella
primavera del 1995 viene contattato
dall’etichetta Kill Rock Stars che
gli propone di pubblicare per loro
un nuovo album. La cosa piace a
Elliott che pubblica il suo secondo
Lp solista Elliott Smith (Kill Rock Stars,
1995).
È con questi due dischi che prende
forma in maniera netta e concreta
il vero percorso artistico di Elliott
Smith, un percorso che ritrae tutta la
sua instabilità emotiva e l’estrema
sensibilità di un uomo che non ha
mai nascosto il suo male di vivere,
ma lo ha sempre esternato con
l’amara bellezza della sua musica,
riuscendo a svuotarsi ed emozionarsi
completamente ad ogni nota e ad
ogni parola come fossero le ultime.
Non è un caso, tra l’altro, che
Smith usasse raddoppiare la linea
vocale, ottenendo quell’effetto
riverberato sulla voce che sempre
più si allontana dalla sua naturale
consistenza. Solo un espediente
tecnico? Forse si o forse anche un
gesto sintomatico, un modo per far
fronte ad un’immensa timidezza,
quasi a volersi proteggere da
un’esposizione
troppo
violenta
e diretta nei confronti di quella
finestra, la musica, che lui apre al
mondo.
Dopo i primi due
Lp, c’è ancora
spazio per il terzo
ed ultimo disco
con gli Heatmiser,
Mic City Sons
(Caroline, 1996),
prima di lanciarsi
in quello che
sarà il periodo
più critico e allo
stesso
tempo
fondamentale
per
lui,
tra
l’interessamento
della Virgin al suo
lavoro (mai andato in porto)
e l’inizio della tormentata
relazione con Joanna Bolme,
che lo induce ad un esilio
volontario a New York. È
qui che dopo un anno di
solitudine e uno stato di semidepressione
permanente
sempre più acuto (anche a
causa dei continui paragoni
cui è sottoposto dalla critica,
Beck e Nick Drake soprattutto),
viene concepito e in seguito
pubblicato Either/Or (Kill Rock
Stars, 1997), considerato dalla
critica il suo disco più bello.
Un anno dopo a seguito del
suo contatto con Spielberg e
la sua casa discografica esce
XO (Dreamworks, 1998), il
disco della sua consacrazione
artistica. Ormai Elliott Smith è a
tutti gli effetti un personaggio
pubblico
(anche
grazie
alla celebre serata di Los
Angeles, in occasione della
notte degli oscar, dove Elliott
canta la stupenda Miss Misery,
candidata alla conquista della
statuetta e inserita nel film Will
Hunting) e quest’attenzione
mediatica
lo
destabilizza
sempre di più e lo irrita.
Nel 2000, al culmine della
sua fama, esce un nuovo
album, Figure 8 (Dreamworks,
2000): si tratta sicuramente
del suo lavoro più maturo,
oltre che essere l’ultimo Lp da
studio. A differenza di quanto
accaduto per XO, Smith
decide di non apparire più di
tanto; pochissime interviste,
pochissimi concerti, la sua
condizione psichica peggiora,
psicofarmaci, alcool, droga
diventano sempre più la sua
via d’uscita preferenziale
da una sovraesposizione nei
confronti del mondo che
da troppo tempo ormai lo
logora.
Forse il suo gesto estremo,
mentre è alle prese con il
lavoro che uscirà postumo,
From A Basement On The Hill
(Anti, 2004), che arriva dritto
alla fonte dei suoi problemi,
rivela
la
straordinaria
genuinità e lealtà con la
quale Elliott Smith si è sempre
posto nei confronti della sua
musica, vera, profondissima,
evocativa, frutto di una
continua somatizzazione del
suo male di vivere, che non
poteva più sopportare. È un
gesto che merita rispetto e
il doveroso silenzio, come
fossimo di fronte alla lealtà
e
all’eleganza
dei
suoi
dischi, depositari della sua
malinconica bellezza.
Coolibrì
Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale
la letteratura secondo coolcub
Il calcio nel cinema italiano
Cinque a Zero (1932), La contessa di
Parma (1937), La famiglia Brambilla
va in vacanza (1942), Ricchi e
poveri (1949), L’inafferrabile 12
(1950), Undici uomini e un pallone
(1951), La città si difende (1951),
Ho fatto 13 (1951), Gli eroi della
domenica (1952), La domenica
della buona gente (1953), Se
vincessi 100 milioni (1954), Gambe
d’oro (1958), Il nemico di mia
moglie (1959), Comizi d’amore
(1964), Sette volte sette (1968),
I due maghi del pallone (1970),
Don Franco e Don Ciccio nell’anno
della contestazione (1970), Il
Presidente del Borgorosso Football
Club (1970), In nome del popolo
italiano (1971), L’arbitro (1974), Il
Potere deve essere bianconero
(1978) cortometraggio tv , Ragazzi
da stadio (1980) cortometraggio
tv, Il tifoso, l’arbitro e il calciatore
(1982), Paulo Roberto Cotechino
centravanti di sfondamento (1983),
L’allenatore nel pallone (1984),
Mezzo destro, mezzo sinistro:
due calciatori senza pallone
(1985), Ultimo minuto (1987), Quel
ragazzo della curva B (1987),
Appuntamento a Liverpool (1988),
Italia-Germania 4 a 3 , Cicciolina
e Moana ai mondiali (1990), Ultrà
(1991), Al Centro dell’Area di rigore
(1995), L’Ultimo Mundial (1999),
Tifosi (1999)
E poi::
Avanti c’è posto (1942), Roma città
aperta (1945), Ladri di biciclette
(1948), Bellissima (1951), Milano
Miliardaria (1951), Don Camillo
(1952) Un giorno in pretura (1953),
Peccato che sia una canaglia
(1954), Racconti Romani (1955),
Il Ferroviere (1956), Moglie e buoi
(1956), Il Marito (1957), Ladro lui,
Ladra lei (1957), Belle ma povere
(1957), L’uomo di paglia (1958),
L’Audace colpo dei soliti ignoti
(1960), Gli imbroglioni (1963), I
Mostri (1963), I 4 tassisti (1963),
Il disco volante (1964), Idoli
controluce (1965), Operazione San
Gennaro (1966), La classe operaia
va in paradiso (1971), Roma
(1972), C’eravamo tanto amati
(1974), Sistemo l’America e torno
(1974), Romanzo popolare (1974),
Il secondo tragico Fantozzi (1975),
Squadra Antiscippo (1976), Io sono
un autarchico (1976), Un Borghese
piccolo piccolo (1977), Ecce
Bombo (1978), Tanto va la gatta al
lardo (1978), La Terrazza (1980), Fico
d’India (1980), Io so che tu sai che
io so (1982), Scusate il ritardo (1982),
Madonna che silenzio c’è stasera
(1982), Il Tassinaro (1983), Bianca
(1984), Mi faccia causa (1984),
Giochi d’attore (1985), La messa è
finita (1985), Il mistero di Bellavista
(1986), Rimini Rimini (1987) Fratelli
d’Italia (1989), Marrakech Express
(1989), Benvenuti a casa Gori
(1990), Mediterraneo (1991), Anni
90 parte seconda (1993), Fantozzi
va in paradiso (1993), L’uomo che
guarda (1993), Il Branco (1994),
S.P.Q.R. (1994), Viva San Isidro
(1994), Sud (1994), Lamerica (1994),
Camerieri (1995), I Laureati (1995),
Io no spik english (1995), Il Barbiere
di Rio (1996), A spasso nel tempo
(1996), Figurine (1997), Tre uomini e
una gamba (1997), Banzai (1997),
Così è la vita (1998), Paparazzi
(1998), RadioFreccia (1998), Boom
(1999), Il Cielo in una Stanza (1999),
Lucignolo (1999), Giallo Parma
(1999), La vespa e la regina (1999),
Il Grande Botto (2000).
Poi molti film dei Fratelli Vanzina: I
Fichissimi (1981), Eccezzziunale...
Veramente (1982), Vacanze di
Natale (1983), Vacanze in America
(1984), Simpatici e Antipatici (1997).
AA. VV.
Il portiere caduto alla difesa
Intr. di Folco Portinari
Manni editore
“Hijos de puta”, occhi in alto a
guardare i tifosi italiani che fischiavano l’inno argentino. In
molti in Italia preferiscono non
ricordare questo episodio, questo ennesimo scazzo con l’amatodiato figliolo Diego Maradona.
Eppure, per quanto mi riguarda,
credo che questo episodio sia
rappresentativo proprio di un
tipo di calcio sanguigno e passionale, fatto di sudore e brutte
cose, gesti atletici memorabili e
vite consumate male. Un’antologia sul binomio tra letteratura e
sport è un’idea che mi piace, mi
diverte, mi affascina, mi riporta
ad anni romantici in cui le stelle
del calcio erano veramente paragonabli ai gladiatori nell’arena. Troppo puliti oggi i nostri divi
del rettangolo erboso, troppo
belli, troppo patinati, vorrei dire
anche troppo stupidi, ma non lo
faccio, per non insultare i pochi,
che, ancora, cercano di fare del
calcio uno sport nobile.
Scrive Folco Portinari,
nella sua introduzione a
questo Il portiere caduto alla difesa pubblicato
da Manni editori, che se
oggi si dovesse fare un
romanzo sul calcio probabilmente dovrebbe
essere ambientato nelle
banche e nelle sale della borsa. Piuttosto lontano dalla puzza di sudore
dello spogliatoio, non
c’è che dire.
E questa raccolta (che
come tutte le raccolte
rischia ovviamente di far
dire: manca tizio, manca caio,
ma come hanno messo sempronio e hanno tralasciato pinco?),
offre uno spaccato interessante
sulla letteratura (poetica e narrativa) su due sport nazional popolari come il calcio e il ciclismo.
Alcuni testi molto noti, come le
Cinque poesie per il gioco del
calcio di Umberto Saba, alcune novità come Cuore di cuoio
del tarantino Cosimo Argentina,
alcune chicche come i testi di
Gianni Brera o le invenzioni linguistiche di Salvatore Bruno.
Ho iniziato questo pezzo citando
Maradona, anche se in realtà all’interno del volume di el Diego
non si parla, piuttosto è più facile
leggere di Altafini, di Gipo Viani,
di Riva e Rivera. Eroi d’altri tempi
per uno sport che, citando sempre Portinari, è “una cosa che
non c’è e, se c’è nella sua ultima
metamorfosi evolutiva, è sempre
considerata nella sua utopica
astrazione”.
Dario Goffredo
Testi di Argentina - Arpino - Balestrini - Barberi
Squarotti - Benni - Bernini - Bevilacqua
- Brera - Bruno - Buffoni - Campanile Cucchi - Garlini - Gatto - Ghirelli - Giudici
- Levi - Luzi - Montale - Nove - Olivero Pasolini - Portinari - Raboni - Saba - Sereni
non sempre è tutto inventato almeno con la Juventus succede
qualche volta può succedere mioddìo la paura del ridicolo la parola
che risulta inadeguata! la realtà con
la Juventus può anche essere quella
che speravi è questo che vuoi dire?
e può arrivare il momento che la ritrovi a volte, sai che faccio stasera?
l’hai ritrovata? godo col gol di Praest,
ragazza cinema lavoro? niente di
tutto questo a letto col gol di Praest
quel gol capolavoro che vidi fargli
in Juventus-Inter del cinquantadue
la partita dello scudetto, pronto?
ma dov’eri c’è qualcuno da te non
potevi rispondere? ma lasciatemi in
pace sta sera non esisto sono solo
col gol di Praest il gol dei gol c’è
l’infinito Praest che avanza palla
al piede verso la porta dell’Inter lui
solo contro mezza squadra quattro
cinque avversari distrutti annullati
tutti ai suoi piedi cancellati cinquanta metri percorsi da solo il pallone
dolcemente teneramente guidato
dal suo magico piede l’inarrestabile
Praest da metà campo fino alla porta dell’Inter mediani terzini portiere
gli vanno incontro a turno e non lo
ferma nessuno chi può fermarlo? è
Praest della Juventus mia per favore
ditemi che è poesia, lui non tocca
il pallone lo carezza non li guarda
neppure va avanti ignorandoli e
loro crollano ai suoi piedi basta una
finta col corpo non è che si fermi
finge di fermarsi poi finge ancora
questa volta controtempo forse ha
deciso due cose insieme ora sembra che vada a sinistra invece va
avanti come uno che ci ripensa per
caso distratto senza convinzione e
loro crollano non li sfiora neppure
quelli dell’Inter gli vanno incontro
uno dopo l’altro scivolano ai suoi
piedi s’inchinano si prostrano per
terra per adorarlo mentre lui passa
un po’ assente svagato, cinquanta
sessantamila quanti? in silenzio sulle
tribune dietro l’implacabile pazzo
Praest che porta a spasso teneramente il pallone e ignora tutti senza
volerlo quasi non li vedesse non è
gioco del calcio questa è una danza Praest la interpreta per se stesso
sta componendo il suo preludio al
gol è più d’una danza forse ha anche paura che non sia vero non è
possibile che lui sappia con quel
suo modo fra umile e indolente di
ritrovarsi ogni volta solo dopo ogni
avversario ne ha lasciati già quattro
alle sue spalle ora si rialzano da terra possono soltanto guardarlo ormai
non c’era che Ghezzi era rimasto il
portiere dell’Inter anche lui fece per
andargli incontro mentre Ghezzi si
muoveva dalla porta Praest calciò,
il piede che si stacca si abbatte
sul pallone il colpo secco mentre
Ghezzi gli correva incontro il pallone volò dai piede impennandosi
nel sole per un attimo non ci fu che
il sole teso basso all’altezza della
porta Ghezzi restò come inchiodato
per terra le braccia aperte un piede
dietro appoggiato sulla punta immobile sull’erba neppure lui dové
vedere il pallone alle sue spalle
ricadeva dal sole stava già scivolando contro la rete gonfiandola e
Ghezzi le braccia aperte il piede
dietro appoggiato sulla punta guardava ancora Praest anche lui era
caduto dopo il tiro stava per terra
con la faccia sull’erba svuotato lo
rialzò Boniperti gli altri della Juventus tutti intorno se lo passavano sorreggendolo fra le braccia è svenuto
per la gioia piange di gioia ha segnato un gol incredibile il più grande
gol della storia erano secoli che su
un campo di calcio non si vedeva
un gol come questo erano millenni
centinaia migliaia di millenni milioni
di millenni miliardi
Salvatore Bruno, L’allenatore,
Vallecchi
Coolibrì
Cosimo Argentina
Viaggiatori a sangue caldo
Avagliano
Due coppie, un viaggio; un
chirurgo e la sua giovane
moglie incinta di appena
sei settimane insieme a uno
scrittore che sopravvive
facendo supplenze come
insegnante di diritto e a
sua moglie Clara, una bella
locandiera taciturna e
sensuale. È agosto, l’auto
su cui viaggiano è stata
appena comprata e tra i
due uomini c’è un’amicizia
vecchia di oltre vent’anni.
Con loro però s’imbarca
in questa avventura estiva
anche la Sorte. Il viaggio, che
partendo dall’Italia si snoda
attraverso la Spagna fino
in Portogallo, si trasformerà
ben presto in un incubo fatto
di microfollie quotidiane e
incidenti che arriveranno
a minare l’amicizia tra
i due uomini fino a una
resa dei conti dall’epilogo
sconcertante.
Marco Bonfiglio
Beatles for sale
Fermento
Grande appassionato del
gruppo inglese, Marco
Bonfiglio (autore per
Fermento di versioni in prosa
dell’Iliade e dell’Odissea) fa
rivivere l’epopea dei Beatles
in questo romanzo. Con un
linguaggio serrato, brioso
e brillante, riporta il lettore
indietro di quarant’anni.
Per scoprire che in realtà
quattro decenni non sono
mai trascorsi, che la musica
dei Beatles è ancora parte
integrante della nostra vita di
tutti i giorni.
Pino Cacucci
Nahui
Feltrinelli
Nel 1961 il poeta Homero
Aridijs incontra per strada
una povera disgraziata che
vende per due lire vecchie
cartoline, vecchie immagini
di sé giovane, nuda,
bellissima. I suoi occhi verde
smeraldo brillano ancora
e il poeta la riconosce: è
Carmen Mondragon, in arte
Nahui Olin, la più bella donna
di Città del Messico quando
a Città del Messico c’erano le
più belle donne del mondo.
Negli anni venti e trenta.
Negli anni della rivoluzione,
di Emiliano Zapata e di
Pancho Villa. Nel tempo in
cui, in nome del popolo e di
una libertà che sembrava
lì a due passi, un pugno di
artisti e di intellettuali scosse
dalle fondamenta cultura e
politica, creatività e morale di
un intero paese. E proprio su
questo sfondo che si muove
la leggendaria storia di Nahui.
Piero Colaprico, Pietro
Valpreda
Le stagioni del maresciallo
Binda
Tropea
In un solo volume sono
raccolti quattro episodi
24
Salvatore Niffoi
La leggenda di Redenta
Tiria
Adelphi
di Antonio Iovane
La morte illumina queste storie.
Salvatore Niffoi ci mostra la vita
nella prospettiva della sua fine. Dei
suoi protagonisti noi ci troviamo
ad attendere la morte, perché nel
paese di Abacrasta, prima o poi
gli abitanti sanno che sentiranno
la Voce. Cosa dice, la Voce?
Dice: «Ajò! Preparati che il tuo
tempo è scaduto». Così gli uomini si
slacciano la cinta e s’impiccano. Le
donne usano la fune. La leggenda
di Redenta Tiria è il libro più cupo
che esista.
Poi, in paese, arriva la cieca
Redenta Tiria. E Redenta Tiria
convince gli abitanti a non farlo. A
non farlo più, perché «il mestiere del
vivere è cosa difficile da imparare
ma non impossibile». E la vita si
biforca, i condannati al suicidio
scelgono la strada alternativa. Così
La leggenda di Redenta Tiria è il
libro più felice che esista.
Cosa ci mette dentro, Niffoi? Una
lingua contaminata, ricercatissima;
una sintassi mai banale; un
innovativo contrasto tra società
agropastorale e la modernità di
cellulari e E-mail. E insieme a questo
riproduce la sua Sardegna come
metafora attraverso un’arte da
narratore puro che non indugia
sulle digressioni ma va dritta, verso
gli eventi. Per offrire la Storia, che
diventa una media ponderata delle
sue storie. Sorprendente.
Massimiliano Parente
La Macinatrice
peQuod
di Rossano Astremo
La macinatrice è una
storia dove seduzione,
erotismo, pornografia,
perversione si mescolano generando il voltastomaco dei perbenisti. C’è una
società di macelleria, che controlla
una casa editrice che controlla due
tv locali, con annessa la gestione
di un’attività sotterranea che ha
al suo centro un rivoluzionario sito
Internet che supera ogni confine
sulla pornografia online. Ci sono
personaggi dai nomi più che mai
evocativi e una schiera di mestieri
come sculacciatrici o sgusciatrici
di lumache che verranno utilizzate in apposite scenografie sessuali.
C’è la voce narrante, Andrea, che
non si dà pace da quando ha sentito parlare di questa “macinatrice”
misteriosa. Ci sono i legami tra i soci
dell’azienda e il mondo politico, ricatti, incursioni in Vaticano, il tutto
teso a ordire un complotto per rovesciare il sistema democratico. La
macinatrice è un romanzo fatto di
molti livelli e molti linguaggi. Una novità assoluta nella letteratura, una
risposta linguistica sfrenata a ogni
minimalismo. Un’opera di scrittura
estrema ed ambiziosa, “un organismo estetico e onanistico che muta
aspetto a ogni rilettura, uno dei libri
più osceni mai scritti, e che tende,
gaddianamente, a prendere “tutto
dentro”, puntando al cuore dell’immaginario occidentale”.
Roberto Alajmo
Palermo è una cipolla
Laterza
di Rossano Astremo
Un anno di attività e una decina di testi
all’attivo. Si tratta di “Contromano”,
collana di narrativa della casa
editrice barese Laterza, che ha da
poco pubblicato “Palermo è una
cipolla” di Roberto Alajmo. L’idea
è di creare delle piccole guide
ad uso e consumo del pubblico di
lettori e di farlo creativamente, con
l’estro non ortodosso degli autori
selezionati. E i risultati non si sono
fatti attendere. Roberto Alajmo
descrive con ironia i luoghi e i modi
di vivere del capoluogo siciliano.
Dall’aeroporto di Punta Raisi alla
distanza incolmabile tra la città e il
mare, lo scrittore passa in rassegna
i volti della gente, i rituali legati al
cibo, i giardini e le ville, svelandone
l’identità segreta: “Gli abitanti
della Città nutrono un’avversione
scaramantica per ogni forma di
compiutezza. Se inaugurano un
teatro, lo fanno sempre in assenza
di qualche requisito essenziale
per il pieno funzionamento. Se si
costruisce una diga saranno le
canalizzazioni a restare incompiute.
Al completamento si penserà poi,
se e quando sarà possibile. Dietro
questa sistematica inconcludenza
è possibile rintracciare un profilo
ancestrale di superstizione. Sembra
quasi che gli abitanti della Città
inconsciamente avvertano che
nella piena compiutezza è inscritta
un’infelicità latente”. Lettura rapida
e divertente.
Parlami d’amore Mariù
a cura di Elvira Bonfanti
Manni editore
Le canzoni, come tappe, segnano
momenti del nostro vivere personale
e collettivo, la musica, o meglio la
canzone, la popular music, quella
che gode di una larga diffusione
e che arriva per facilità di fruizione
e semplicità di codici ai più, è un
mezzo diretto. Esplorarne le origini,
i primi autori, sentirla raccontata
dalle parole di Enzo Jannacci e
Dario Fo è un modo, un altro, per
parlare della nostra canzone.
Dai suoni che arrivavano da
oltreoceano, al momento, quello
designato come l’origine, in cui
parole e musica coincidono in una
persona inaugurando i prodromi del
cantautore. Un percorso a più firme,
articolato secondo interventi e quindi
senza un ordine cronologico. L’arco
di tempo rappresentato è la prima
metà del 900, le figure di Cesare
Andrea Bixio e Giovanni D’Anzi,
tra i più importanti compositori di
canzoni e colonne sonore sono
ampiamente trattate nella parte
centrale. Il panorama tracciato in
questo libro a cura di Elvira Bonfanti
fa luce su un periodo della nostra
canzone di solito trascurata dagli
studiosi che preferiscono dedicarsi
ai più prolifici e famosi anni 60. Il libro
non è solo una testimonianza del
suono ma anche della società, dei
grandi cambiamenti di quegli anni,
un modo diverso per raccontare
una parte della storia del nostro
paese.
creati da Piero Colaprico
e Pietro Valpreda attorno
alla figura di Pietro Binda, ex
maresciallo dei carabinieri
in pensione che si distingue
per sobrietà e umanità.
Lombardo di nascita,
milanese d’adozione, Binda
è un “investigatore solitario
che conosce la città e sa
parlare alla gente”. I titoli,
pubblicati precedentemente
da Tropea, sono: La
primavera dei maimorti,
L’estate del mundial, Quattro
gocce d’acqua piovana
e La nevicata dell’85.
Quattro storie caratterizzate
dall’amore per il dettaglio,
per il linguaggio parlato, per
Milano e per la sua gente.
Gemma Gaetani
Colazione al Fiorucci store
(Milano)
Lain
Colazione da Tiffany è uno
dei film preferiti di Gemma
Gaetani. Che ha provato a
riscrivere la storia, facendola
partire dal punto esatto in cui
finisce il film e ambientandola
nei giorni nostri, in Italia. New
York è diventata Milano.
Tiffany il Fiorucci store. Poi
Gemma ha pensato a un
montaggio non diacronico.
Ha mischiato le carte. Ci ha
messo dentro se stessa, la
poesia, l’amore, la musica, il
dolore, l’erotismo, la paura
e la gioia pura. Al ritmo di
Fernando Pessoa, Andrea
Pazienza, Milo De Angelis, Lou
Reed, gli Eiffel 65 e i Depeche
Mode. Ed è nato questo
romanzo in versi con lieto fine.
Antonio Moresco
Scritti di viaggio, di
combattimento e di sogno
Fanucci
Mosca nei giorni del
massacro al teatro Dubrovka,
le cavallette che hanno
invaso il mondo, i maiali che
infestano l’Italia, un convento
di monache di clausura, un
mostro incontrato a Lisbona,
Madrid, l’Argentina dopo
il disastro economico, le
acque fredde della terra
del fuoco... Ma anche altri
viaggi attraverso lo spazio
e il tempo, il nostro passato
e il nostro futuro. E poi il
dominio sulle menti e sui
corpi, la guerra, il sogno
della letteratura. Attingendo
al reportage e al racconto
fantastico, all’allegoria
e all’invettiva, l’autore
costruisce un mosaico tutto
legato dal movimento del
viaggio, del combattimento e
del sogno, offrendo al lettore
una prospettiva inedita sul
nuovo millennio.
Marc Augé
La madre di Arturo
Bollati Boringhieri
Una sorta di romanzo
giallo scritto da uno dei più
penetranti etnologi francesi,
maestro nel cogliere le
stranezze che si nascondono
tra le pieghe della realtà
quotidiana. Jean, scapolo
Coolibrì
impenitente, viene a
sapere che Nicolas, suo
amico d’infanzia, docente
universitario come lui, è
scomparso. Su richiesta
della sua donna, Isabelle, e
di sua madre, si mette sulle
sue tracce, convinto che il
suo “complice di sempre”
gli abbia intenzionalmente
lasciato degli indizi. Ma è
lontano dall’immaginare ciò
che sta per scoprire... Marc
Augé, professore all’EHESS
di Parigi, si dedica ormai da
molti anni a un’”antropologia
dei mondi contemporanei”.
Gisela Scerman
Piero Ciampi
Coniglio Editore
Nel 1980 moriva il cantautore
livornese Piero Ciampi.
Semisconosciuto in vita,
Ciampi ha ottenuto la
notorietà dopo la morte,
grazie alla riproposizione
della sua opera da parte di
autori quali Nada, Gino Paoli
e Paolo Conte. I suoi cd sono
stati ripubblicati e hanno
grande successo tra i giovani,
tra cui l’autrice, che con un
sapiente lavoro di ricerca ha
ripercorso tramite una serie di
interviste il percorso artistico
e umano del cantautore
genovese.
Introduzione di Fernanda
Pivano.
Morgan Spurlock
Super Size Me (Dvd + libro)
Feltrinelli - Real Cinema
Cosa succede se un essere
umano poco più che
ventenne perfettamente
sano decide di mangiare
per trenta giorni, colazionepranzo-cena, solo e soltanto
hamburger e patatine Mc
Donald’s? Vincitore del
Sundance Film Festival
2004 come migliore regia e
nomination all’Oscar 2005
come miglior documentario.
Nel DVD intervista ad
Allan Bay e “José Bové:
lo smontaggio di un Mc
Donald’s”. Con il libro Il
grande tritacarne, testi di
Marco D’Eramo e Morgan
Spurlock e interviste a José
Bové e François Dufour.
Eugenio Borgna
Le figure dell’ansia
Feltrinelli
Una ricerca sul senso
dell’ansia: partendo dai
suoi scenari, passando
attraverso la sua dimensione
clinica e psicopatologica, e
quella fenomenologica ed
esistenziale, per arrivare alle
sue risonanze estetiche e
creative.
Madron Paolo
Il lato debole dei poteri forti.
Da Cuccia ai furbetti del
quartierino: miserie (molte) e
virtù (poche) del capitalismo
italiano
Longanesi
L’autore, giornalista ben
addentro a storia, personaggi
e misteri dell’economia e
dell’ambiente che vi
25
Tiziano Scarpa
Groppi d’amore nella
scuraglia
Einaudi – 2005
di Rossano Astremo
Con il suo ultimo libro Groppi
d’amore nella scuraglia Tiziano
Scarpa fantastica in versi mimando
un
dialetto
pseudo-abruzzese.
Protagonista una comunità che
insorge contro una discarica
voluta dal sindaco. Su tutti
campeggia il narratore, Scatorchio,
pazzamente innamorato della non
aggraziata Sirocchia. I “groppi
d’amore” giungono quando l’io
narrante immagina la sua donna
in compagnia del suo nemico
giurato Cicerchio. La “scuraglia”,
ossia l’oscurità tempestosa che
agita i pensieri di Scatorchio
non si palesa solo nelle sue pene
d’amore. Perché il testo di Scarpa
è un piccolo poemetto civico
sull’Italia
contemporanea.
C’è
quindi la “scuraglia” politica e
civile del paese, e la reazione
degli abitanti che non si lascia
attendere. L’immondizia non è
solo filo conduttore contenutistico
che dipana la matassa del plot,
ma
soprattutto
concrezione
linguistica, abbrutimento formale,
espressionismo carnascialesco, il
tutto proiettato nella costruzione
di una storia grottesca, dove
la contemplazione finale della
“munnezza” da parte di Scatorchio
metaforizza il punto di vista
dell’autore sulla “sua” Italia.
Maurizio Cotrona
Ho sognato che
qualcuno mi amava
Palomar
L’esordio è sempre difficile e rischioso per chi lo fa e strano da valutare
per chi lo legge. Mi sono accostato
con molta curiosità a Ho sognato
che qualcuno mi amava (il cui titolo
richiama una canzone degli Smiths),
opera prima del tarantino Maurizio
Cotrona, recentemente eletto all’unanimità “Libro del mese” dalla libreria L’albero delle lettere di Genova, e sono rimasto un po’ deluso. La
nota introduttiva di Christian Raimo
(“il libro riesce, nella dissolvenza di
questo tempo di transizione e smarrimento, a illuminare la complessità
della vita umana attraverso storie
semplici di amore e abbandono, solitudine e tenerezza, che descrivono
l’apparente deserto affettivo contemporaneo come l’anticamera di
piccoli incendi dell’anima”) lascia
presagire qualcosa che non c’è o
comunque non ho notato. L’intreccio delle storie e dei personaggi
(che vengono raccontanti e analizzati uno alla volta nei vari capitoli)
mi sembra un po’ debole e anche la
scrittura semplice e lineare (questo
va riconosciuto in tempi di abbondanza, ridondanza ed eccessiva e
gratuita sperimentazione) rischia in
alcuni frangenti di essere “banale”
(inteso nell’accezione meno offensiva). Il romanzo può piacere o
meno ma va dato atto alla Palomar
del tentativo di promuovere giovani scrittori pugliesi nella sua collana
Cromosoma Y. (P. L.)
Mariangela Mianiti
Una notte da
entraîneuse.
Derivepprodi
Alcune settimane fa
ascoltando la radio
(non ricordo dove,
quando, come) mi
sono imbattuto in una trasmissione
di approfondimento nella quale si
discuteva di questo libro. Una notte
da entraîneuse. Lavori, consumi,
affetti narrati da una reporter
infiltrata di Mariangela Mianiti mi ha
incuriosito per la sua “strana forma”.
L’autrice, giornalista parmense che
attualmente collabora con varie
testate, fra cui “Diario” e “Amica”,
raccoglie alcune delle sue inchieste.
Un lavoro che negli ultimi anni è
stato tipico di trasmissioni di protesta
come Le iene o Striscia la notizia ma
che trova ancora (e per fortuna)
asilo in alcune testate. La Mianiti si
è finta entraîneuse, donna in cerca
di marito, acquirente di una casa
(da cinque milioni di euro), ragazza
alla ricerca di un aiuto dal chirurgo
estetico, cameriera. Trentacinque
episodi che raccontano l’Italia
degli ultimi dieci anni con gli occhi
dei precari, dei lavoratori flessibili,
dei consumatori impossibili alla
scoperta di un paese che è “intriso”
di corruzione e servilismo. Come
racconta la giornalista “Tutto è
cominciato da un’inchiesta sul
lavoro. Mi sono finta disoccupata
e ho cercato tra gli annunci, tanti,
che offrono di tutto”. Per lavoro si
intende tutto, anche
l’entraîneuse.
Gianfrancesco Turano
Ragù di capra
Dario Flaccovio Editore
di Daniele Lala
Il protagonista, Stefano Airaghi,
imprenditore della Milano da bere
sull’orlo del fallimento ha un piano
molto semplice per cambiare vita:
truffare la compagnia di assicurazioni
affondando il suo yacht, fingersi
morto e scappare nell’est una volta
incassato l’indennizzo; suo complice
è il suo amico e socio calabrese
Sammy Morabito, nipote di un
boss della Locride, che gli procura
ospitalità nel suo paese d’origine in
attesa della dichiarazione di morte
presunta. Tutto molto facile ma, nel
sospetto di essere preso in giro dal
socio, il milanese fonda una cosca
personale, cercando di applicare
la mentalità imprenditoriale alla
‘ndrangheta, e finisce col mettere
il suo naso settentrionale negli affari
di ‘zzi Saro, il boss locale. Sfogliando
le pagine ci si immerge in una storia
ironica e drammatica nello stesso
tempo, in cui il confronto tra due
mentalità diventa conflitto. È netta
la contrapposizione tra Airaghi,
imprenditore rampante e senza
scrupoli, che vede le persone
come semplici pedine per costruire
la propria fortuna, e le regole e i
metodi spietati della criminalità
locale. Personaggi ben tratteggiati,
caratterizzati dal saper sfoderare una
buona dose di battute e termini nei
due dialetti (calabrese e milanese)
nei momenti giusti, che si scontrano
in una Locride incontaminata ma
anche spietata verso gli “stranieri”.
ruota intorno, presenta in
questo libro una galleria
degli odierni protagonisti
del mondo industriale e
finanziario del nostro Paese.
Ne disegna un ritratto a
tutto tondo, dall’ascesa
alla consacrazione. Ne
traccia, soprattutto, un profilo
umano e professionale,
descrivendo di ciascuno le
(alterne) vicende e anche le
(dis)avventure
Carver Raymond
Tutti i racconti
Mondadori - I Meridiani
Il Meridiano curato da
Gigliola Nocera, americanista
di Catania, raccoglie tutta
la narrativa di Raymond
Carver, suddivisa in sette
raccolte di racconti già
pubblicate, accompagnate
da una scelta di saggi che
illustrano le motivazioni della
sua scrittura. Una scrittura
ingannevolmente semplice,
in cui “tutto è importante,
ogni parola, ogni segno
di punteggiatura”. Carver
è considerato il padre del
minimalismo americano,
e il maestro di un’intera
generazione di scrittori, da
Leavitt a McInerney, a Bret
Easton Ellis.
Houellebecq Michel
La possibilità di un’isola
Bompiani
In un futuro inquietante,
dominato da cloni che
sembrano aver pagato
l’immortalità con la perdita
della capacità di ridere,
piangere e provare emozioni
autentiche, due misteriosi
personaggi, Daniel24 e
Daniel25, trovano i diari del
loro “originale”, Daniel1,
vissuto ai nostri giorni. La
lettura commuoverà molto
Daniel25 che conoscerà così
la sofferenza, distruggendo
il sogno dell’immortalità dei
suoi creatori. Provocatorio,
ironico, il romanzo di Michel
Houellebecq è una riflessione
sul senso della vita che
viviamo e sulla possibilità di
replicarla.
Susan Gray
Citizen Berlusconi
Elleu
Nessuna televisione italiana
lo ha mai mandato in
onda! Citizen Berlusconi è
la versione originale, con
i sottotitoli in italiano, del
documentario trasmesso il 21
agosto 2003 dalla Pbs, la tv
pubblica americana.
Pbs, che significa Public
broadcasting service,
negli Stati Uniti è sinonimo
di televisione di qualità,
magari un po’ noiosa, ma
approfondita ed equilibrata.
Anche per questo è
interessante vedere come
parlano dell’Italia - nel bene
e nel male.
Un’inchiesta choc realizzata
negli Stati Uniti racconta “Sua
emittenza” come nessuno, in
Italia, ha avuto il coraggio di
fare. Un lavoro giornalistico
Coolibrì
minuzioso e accurato, basato
su una puntuale verifica delle
fonti e arricchito da interventi
e testimonianze di studiosi e
politici italiani..
“The prime minister and
the press”, questo il titolo
originale, è stato trasmesso
in Svezia e nei Paesi Bassi, in
Finlandia e in Australia, ma
finora nessuna televisione
italiana lo ha comprato.
Jean-Bernard Pouy
Spinoza incula Hegel
Castelvecchi
In una Parigi futura, città
degna di un surreale Blade
Runner in salsa post-filosofica,
si scontrano due fazioni in
lotta: Spinoziani e Hegeliani.
Efferata e beffarda satira del
mondo culturale francese,
grido di speranza e vitalità
gettato come un sasso contro
le barricate dell’intellighenzia.
Emilio Quadrelli
Gabbie metropolitane
DeriveApprodi
Modelli disciplinari e strategie
di resistenza
Gabbie metropolitane è un
libro sui modelli disciplinari,
le forme del controllo e
le pratiche militari che, a
partire dal carcere, si sono
adeguate alle trasformazioni
sociali ed economiche
dell’ultimo ventennio. Dalla
fine della centralità del lavoro
di fabbrica e del relativo
modello punitivo basato sulla
«grande reclusione», molte
sono le novità introdotte nel
sistema di sorveglianza. Dalla
riforma penitenziaria del
1975 alle trasformazioni che
l’universo carcerario ha subito
nel corso degli anni Ottanta,
questo libro rappresenta
un excursus su trent?anni
di reclusione, punizione e
rivolta. Attraverso un lavoro
etnografico di ricerca sul
campo, essenzialmente
basato su interviste e racconti
orali, l’autore mostra la
progressiva trasformazione
26
Alessandro Bertante
Re Nudo
NdA press
Re nudo è il libro che ripercorre la
storia della grande rivista underground italiana degli anni ‘70, la
rivista dei sognatori, dei gruppi di
aggregazione spontanea, dei primi
movimenti omosessuali e femministi,
della sinistra radicale che ancora non sparava. Re nudo ha fatto
sapere a migliaia di giovani che il
mondo stava cambiando e che
loro potevano essere parte attiva
di questo cambiamento. Una rivoluzione politica e culturale da attuare
giorno per giorno, seguendo l’esempio della controcultura internazionale, delle esperienze sociali e comunitarie del Nord Europa, delle lotte
degli afromericani e dei movimenti
di liberazione del terzo mondo. Era
questa l’utopia dei giovani milanesi
nati dall’ambiente “beat-provos” di
pochi anni prima ed accompagnati
nella crescita dalla grande influenza
dei miti dell’epoca: Kennedy, Che
Guevara, Mao-Tse-Tung. Miti che si
affiancano inconsapevolmente a
comportamenti di massa rappresentativi di un urgente esigenza di
cambiamento. L’esperienza stupefacente, la minigonna, la scoperta
delle civiltà extraeuropee, l’anticonformismo delle rock star, sono fattori
culturali che concorrono alla formazione di un nuovo antagonismo sociale e radicano nei giovani, l’idea
di essere la generazione destinata a
cambiare il mondo.
Prima dell’uscita del numero 0, nel
novembre del 1970, compaiono sui
muri di Milano delle scritte anonime
“Re nudo?”. Una forma innovativa
di promozione che sarà ripresa negli
anni ‘90 da un grosso partito politico prima della sua nascita ufficiale.
L’espediente riuscì a creare un clima d’interesse intorno al giornale
ed il numero 0 distribuito a mano al
costo di duecento lire andò esaurito nell’intera tiratura di diecimila
copie.
Per aggirare le
leggi del
controllo
sulla
stampa,
Re nudo,
fondato
da Andrea Valcarenghi uscì come supplemento
al numero 19 di Lotta continua, con
Marco Pannella nel ruolo di direttore editoriale e con i contributi di Dario Fo, Sante Notarnicola e Michele
Straniero.
Le istanze maturate nella prima fase
degli anni settanta sono in gran parte andate deluse, del patrimonio
di idee che dovevano cambiare il
mondo solo poche hanno ancora
un minimo di attualità. La controcultura però ha lasciato il segno e per
tale motivo, leggere Re nudo oggi,
nel pieno di un revisionismo storico
di quegli oscuri anni ‘70 uccisi dalla
pistola e dalla siringa, può fornire un
ottimo strumento di comprensione
di una realtà, quella della cultura
underground il cui compito fondamentale fu la lotta senza quartiere
contro la solitudine e l’emarginazione dell’uomo all’interno della società di massa. Il ritorno al “personale”
tanto strombazzato dalla redazione
di Re nudo, era la sentita esigenza di un nuovo “umanesimo”, che
abbandonasse definitivamente la
necessità di religioni, famiglia e fabbriche assassine, strumenti essenziali
di una coercizione totale, ieri come
oggi. Capire i primi anni ‘70 potrebbe essere di grande interesse per
chi, continua a liquidare gli anni di
piombo come appendice violenta
della contestazione. I bisogni nascono dai sogni frustrati. I sogni degli anni ‘70 andavano dritti verso il
cielo. La frustrazione che ne seguì fu
estremamente violenta.
AA.VV.
Essere magri in Italia - Antologia di
racconti bulimici
Coniglio Editore
di Lorenzo Coppola
Laura Pausini deve perdere quattro
chili entro l’uscita del suo nuovo disco
e viene sgridata da una discografica
che la sorprende a mangiare un
krapfen tra un’intervista e l’altra. Con
quest’immagine bizzarra Matteo B.
Bianchi, che deve avere un debole
per le popostars (già Raiz è stato
protagonista di un suo racconto), apre
questa raccolta di racconti “bulimici”
che ci fa imbattere in strani personaggi.
Ad esempio un uomo fin troppo pacato
che si lascia azzannare e scarnificare
da un’amante inquieta (l’angosciante
Die Fresserin di Rosella Postorino) o
una ragazza che contando i vasetti
di yogurt mangiati avidamente cerca
di capire quanto tempo è passato da
quando si è barricata in casa, lontana
da un mondo che non la comprende
(Milena non esce di Giò Selva). Tra
gli autori che scelgono di disgustare
il lettore la più brava a centrare il
bersaglio è la giovanissima Genea
(il titolo del suo racconto, Del vomito
e altre delizie, suona già come una
dichiarazione d’intenti), altri ancora,
sebbene il nome dell’antologia parli
piuttosto chiaro, vanno un pò fuori
tema. Tra questi Daniela Gambino lo fa
in modo sorprendente e nel bellissimo
Infinito amore affida la narrazione a
un prosciutto appena stagionato che,
ignaro del futuro che lo attende, sogna
le nozze col melone per esorcizzare
il terrore di finire tra funghi e carciofi
su una pizza capricciosa. Il merito di
questo libro è riuscire a far riflettere
senza retorica e con un umorismo mai
offensivo, su un tema che di leggero
non ha proprio niente.
del modello disciplinare.
Un modello che oggi, lungi
dall’essere meramente
repressivo, si rivela produttivo
e appetibile per i dispositivi
di «governo della società»
nonché estendibile a tutte
le forme di vita e di lavoro.
Ma scopo del libro è anche
mettere in luce le nascenti
resistenze al modello di
società dominante e al ruolo
politico che il carcere torna
ad assumere. In questo senso
la ricerca di Quadrelli è
fedele, nel metodo, a quella
del suo ispiratore Michel
Foucault per il quale «non vi è
potere senza resistenza».
Marco Gaburro
Calcio al calcio
Nonluoghi
Pallonate nel diario di un
mister
Un allenatore racconta il
mondo del calcio e il suo
progressivo snaturamento
dal quale ripartire per
ritrovare l’essenza di un gioco
travolto dalle logiche del
business e dello spettacolo.
Risulta fondamentale,
in quest’ottica, una
trasformazione dell’approccio
nei riguardi dei bambini,
che in Italia oggi oscura con
l’esasperazione agonistica
- alimentata da genitori e
società - il sano piacere
di rincorrere una palla
“magica” nel rettangolo
verde o in un campetto di
sabbia. L’autore non tralascia
l’esame dei vari elementi
che rendono un gruppo
più forte in termini calcistici
e non lesina critiche alle
metodologie di allenamento
che antepongono gli aspetti
quantitativi a quelli qualitativi.
Marco Philopat
I viaggi di Mel
Shake
Milano, 1966: i primi capelloni
invadono le strade. Tra
loro Mel, un siciliano da
poco tornato dalla Svezia,
dove ha conosciuto il sesso
libero e un pianeta nuovo.
Insieme ad alcuni amici
fonda la rivista “Mondo
Beat” e inizia a praticare
nella vita quotidiana la
filosofia beatnik. I giovani
accorrono in massa. Nasce
Barbonia City, ed è subito
scandalo! Mel, però, non può
fermarsi. Uomo senza radici,
dinamitardo della natura
umana, fugge quasi subito
dalla città e inizia un viaggio
lungo cinquant’anni. Da
leader della contestazione si
trasforma in istrione, artista,
erotomane paradossale,
abile provocatore della
comunicazione e campione
di audience in molte
trasmissioni televisive.
Melchiorre Gerbino:
l’affabulatore, lo storico e il
cialtrone... Un avventuriero
inconsueto. Un viaggiatore
cosmico, certamente...
Coolibrì
Da studioso della canzone
d’autore ad autore egli
stesso di canzoni. Marco
Peroni, nato a Ivrea nel
1972, è laureato in Storia
Contemporanea con una tesi
su Luigi Tenco, poi diventata
una trasmissione radiofonica
per Radio Tre. Nel 1999
pubblica il suo primo libro
Il nostro concerto. La storia
contemporanea tra musica
leggera e canzone popolare,
pubblicato da La Nuova Italia
ma da pochi mesi riedito da
Bruno Mondadori. Poco dopo
nasce la collana Le voci
del tempo, ideata e curata
da Giovanni De Luna e da
Peroni per la Ricordi. Si tratta
di una serie di libri di storia
dell’Italia repubblicana che
però usa come strumento
narrativo la voce e le canzoni
dei cantautori. I primi tre
libri sono Luigi Tenco, Gino
Paoli e Fabrizio De Andrè.
Nel 2005 scrive i testi per il
disco d’esordio dell’amico
Edoardo Cerea, Come se
fosse normale, prodotto da
Mario Congiu.
Nel tuo libro Il nostro
concerto. La storia
contemporanea tra musica
leggera e canzone popolare
(Bruno Mondadori) hai
ripercorso la storia italiana
tramite i cantautori: in che
modo le canzoni possono
rappresentare un documento,
quanto il testo e in quale
misura la musica può
rappresentare un periodo o
un momento storico?
In Italia in molti, senza
nemmeno accorgersene,
dividono ancora la cultura
in “alta” e “bassa”: la
letteratura, la poesia, la
pittura da una parte e la
musica leggera dall’altra…
questo ci ha obbligato
ad assistere a spettacoli
abbastanza indecorosi
come docenti letterari intenti
ad analizzare le canzoni
con gli strumenti della
critica letteraria: per loro,
De Andrè è un “poeta”,
intendendo con questo che
Le voci del
tempo.
Intervista con
Marco Peroni
27
di Osvaldo Piliego
era talmente bravo da non essere
più considerabile un cantautore,
bensì un artista degno di essere
considerato parte della cultura
“alta”. Invece non esistono arti
maggiori e arti minori, ma artisti
maggiori e artisti minori. Il risultato
di questo schema è che di una
canzone gli intellettuali, gli storici
in questo caso hanno preso
sempre in considerazione soltanto
il testo, come se le parole fossero
in qualche modo la parte nobile
di un brano. In realtà, come tutti
(gli altri) sanno, le parole di una
canzone sono state scritte per
essere ascoltate nella musica, non
per essere lette: la loro bellezza ma
anche il loro significato ci arriva solo
se considerate nella melodia, nel
loro rapporto con gli accordi
(ad esempio, il ritornello di
Tenco “vedrai, vedrai / vedrai
che cambierà” ha una forza
pazzesca se ascoltato, non
ne ha alcuna se letto: sono la
melodia e l’accordo in minore
su cui essa chiude che fanno
capire che non è vero, che
probabilmente non cambierà
un bel niente, e che danno
drammaticità alla canzone…).
Per tornare alla tua domanda,
nel mio libro Il nostro concerto
cerco di dimostrare nei
dettagli come una canzone
possa testimoniare il suo
tempo storico, e lo faccio
considerando sia le parole
che la musica: è nel rapporto
fra questi due strati espressivi
che si nascondono le
informazioni più preziose per lo
storico, e qualunque ricerca
che non ne tenga conto
è destinata a naufragare.
Quando gli urlatori dei primi
anni Sessanta cantavano
testi pudibondi su ritmi rock,
senza saperlo ci stavano
lasciando dei documenti in grado
di raccontarci come l’Italia stesse
diventando più facilmente un
paese industriale (da contadino
che era) piuttosto che laico (da
cattolico che era): una modernità
accettata più facilmente sul piano
dei consumi (elettrodomestici,
lambrette, 600, rock’n’roll) che non
su quello della morale profonda
(concetto di fedeltà, sessualità,
verginità come valore e così via).
Ci parli della collana “Le voci del
tempo”?
È insieme la più grande
soddisfazione che ho avuto come
saggista (ideare e curare una
collana con lo storico Giovanni
De Luna), e il mio più grande
dolore (averla realizzata con la
Ricordi): grazie ad anni di lavoro,
siamo riusciti a realizzare una
serie di volumi dedicati ognuno
ad un cantautore, ma in quanto
interprete del proprio tempo. Il libro
su Luigi Tenco, ad esempio (da
me scritto con Gioachino Lanotte)
non è l’ennesima biografia, né un
saggio musicologico e basta, ma
è un libro sulla storia degli anni
Sessanta ripercorsa attraverso
le canzoni di questa voce
straordinaria. È una maniera di fare
memoria in cui credo molto: la
quantità di sapere storico trasmessa
oggi dagli storici è del tutto
trascurabile, bisogna guardare in
faccia alla realtà ed immaginare
percorsi narrativamente più
efficaci.
La famiglia Tenco si è entusiasmata
moltissimo per il nostro lavoro, ci
ha invitati nella casa in cui abitò
anche Luigi (una grande emozione
per noi, così appassionati e discreti)
e ci ha regalato alcune sue foto
da inserire che sono sbalorditive,
che lo ritraggono in atteggiamenti
del tutto quotidiani, mai in posa: e
i complimenti più grossi li tengo per
me. Peccato che tutti questi libri
usciti l’anno scorso stiano rendendo
polvere nei magazzini della Ricordi,
che non li distribuisce e non li
promuove (si trovano soltanto nei
punti vendita Ricordi e nelle librerie
Feltrinelli).
Esiste un rapporto tra popular
music e letteratura. Come credi
che le canzoni siano debitrici della
letteratura e al contempo quanta
letteratura nasce da suggestioni
musicali?
Il rapporto tra musica e letteratura
c’è eccome, le emozioni una volta
raccontate vivono di luce propria
e attraversano barriere che sono
soltanto nostre, mentali. Nelle
scrittura del primo De Andrè ci senti
la carta, le parole mandate in rima
che si rincorrono per i secoli. Nelle
canzoni dell’ultimo Springsteen
ci vedi soprattutto il cinema, la
narrazione per immagini. Alta
fedeltà di Nick Hornby è il diario
di una persona la cui sensibilità è
stata plasmata, deragliata dal rock:
tutto è molto più fluido e mescolato
di quello che si può pensare un po’
superficialmente.
Hai scritto un libro su Tenco, uno
tra i cantautori che il tempo ha
riscoperto e rivalutato: quale
meccanismo (vedi anche la
recente scomparsa di Sergio
Endrigo e suoi ultimi difficili
anni) secondo te caratterizza il
cosiddetto cantautore maledetto,
immagine, testi... La storia della
musica è piena di storie e di autori
misconosciuti di grande valore
(Ciampi ad esempio).
Tenco e Ciampi li adoro perché
erano bravi, più che maledetti.
Anche se la trasgressione,
l’anticonformismo sono state delle
caratteristiche fondamentali nella
loro vicenda umana e artistica.
Però la trasgressione senza bellezza
è retorica come una canzone
d’amore del Festival di Sanremo
degli anni Cinquanta. Considero
molto più “duro” un pezzo di Luigi
Tenco di qualsiasi pezzo metal.
Se ha senso usare la parola
“maledetto”, dico che se la merita
chi si è messo a nudo senza il riparo
di un codice, di uno stile. Chi mette
meno curve tra cuore e voce,
emozione e carta, chi lavora alla
sua tecnica
per farsi trovare
pronto quando
l’onda arriva,
e in quell’onda
immortalata
quella tecnica
magari non
la sentirai
nemmeno.
Tenco, Vasco
per venire
in qua con gli anni, mi
emozionano per questo.
Guardando alla nuova scena
dei cantautori, quali credi
siano i nuovi nomi su cui
puntare?
Mi piacciono molto il torinese
Mario Congiu, il massese
Stefano Barotti e il bresciano
Riccardo Maffoni.
Anche tu, almeno a metà, sei
un cantautore, da studioso
a scrittore di testi, qual è
il passaggio, il tuo doppio
approccio con la musica?
Ho trentatre anni e sono
un paroliere che se l’è
presa un po’ comoda e
un saggista abbastanza
precoce. All’inizio vivevo un
po’ male questa cosa, mi
sentivo un po’ schizofrenico:
buttare febbrilmente versi
sulle melodie di Edoardo
(Cerea), cercare insieme a
lui con passione da ragazzini
la soluzione migliore per
quel ritornello, per quella
strofa che ancora non vuole
girare, percorrendo la Torino
Piacenza (io sono di Ivrea,
lui è piacentino) come degli
ossessi… e poi mettermi gli
occhiali e starmene seduto a
scrivere qualcosa a proposito
delle canzoni di altri. Non mi
ci vedevo molto nei panni
del saggista, avevo il terrore
di scoprirmi a cannibalizzare
le emozioni degli altri, a
“spiegare” le immagini di
altre persone, a mettermi
in mezzo tra chi compone
e chi ascolta con le mie
riflessioni… Poi ho capito che
in quello che scrivevo, anche
nel saggio storiografico,
la passione sotto c’era
eccome, e si sentiva. E la
mia maniera di scrivere libri
e quella di scrivere canzoni si
sono sempre più avvicinate
(penso ai lavori su Tenco e
Paoli, nella collana “Le voci
del tempo”), e non ci vedo
più alcuna contraddizione.
Quando scrivo una pagina di
analisi storica o un ritornello,
sto sempre dalla stessa
parte della barricata, ed
è quella che mi piace di
più: cerco a mio modo di
lasciare un’emozione, ma
anche di dare a chi legge
o chi ascolta dei riferimenti,
delle informazioni, dei
piccoli segnali per orientarsi.
Forse quando scrivo cerco
soltanto di mettere un po’
d’ordine. Di mettere delle
fondamenta su cui costruire il
mio piccolo castello, sia esso
interpretativo (il libro di storia)
o emotivo (le canzoni con
Cerea).
Coolibrì
Francesco Bevivino Editore
Via Parravicini, 16
20125 Milano
Redazione:
Alessio Scordamaglia,
responsabile della
produzione; Maddalena
Cazzaniga, ufficio stampa;
Manfredi Perrone, direttore
della collana I cattivi; Michele
Vaccari, direttore della
collana Wanted.
Le collane:
Pickwick narrativa
Letteratura nuova, italiana
e internazionale, fatta di
voci capaci di raccontarci
il presente con tecniche
di immaginazione nuove e
coinvolgenti.
C:Cube
Comunicazione, come
scienza che coinvolge le
altre e diventa dominante
nella società dei consumi.
Per approfondire gli studi in
materia e permettere nuove
visioni e interpretazioni: una
collana e un periodico (nel
comitato scientifico c’è
anche Alberto Abruzzese)
che raccolgono interventi di
professionisti, accademici e
studiosi del settore.
TeatrOggi
Una collana di teatro,
l’unica forma d’arte corale,
il luogo in cui si sintetizzano
e rappresentano i drammi
della società di oggi e da
cui arrivano forti i segnali per
interpretare e creare una
società futura.
28
NON PARLATEMI DI NICCHIE
Ogni volta che nasce una nuova
casa editrice c’è qualcuno che
obietta sulla follia estrema del proponente. A cosa servono nuovi libri
in un sistema che è già saturo e che
vede in vita circa 5000 attività imprenditoriali che fanno questo per
vivere? In Italia si legge pochissimo
(anche se si scrive tantissimo) e
spesso i libri vengono solo stampati
per poi essere distribuiti e promossi
male.
Colpa del sistema scolastico e universitario che certo non invoglia alla
lettura, colpa dei costi esorbitanti
della distribuzione, colpa della televisione che omologa verso il basso,
forse colpa delle stesse case editrici
che per la voglia di stampare (a volte a pagamento) pubblicano molti
testi debolucci, colpa dei quotidiani
e dei settimanali che si sono trasformati in librerie ambulanti proponendo cataloghi simili che poi affollano
librerie tutte uguali (nella forma e
nei contenuti).
Insomma le case editrici, probabilmente, non se la passano meravigliosamente. Ecco perché abbiamo deciso di dare spazio ogni mese
ad una casa editrice considerata
“piccola” (etichetta sempre brutta da affibbiare e da accettare) o
“giovane”. La prima tappa di questa “promozione gratuita” parte da
Milano.
La casa editrice Bevivino nasce nell’ottobre del 2002 quando Francesco Bevivino (nella foto), dopo una
decennale esperienza nel settore
editoriale decide di fondare l’omonima casa editrice. Coolclub.it si è
avvicinata alla Bevivino grazie a
due sue collane, secondo noi molto interessanti e innovative: I Cattivi
e Wanted. La prima è una collana
nata per raccogliere agili biografie
di noti personaggi che hanno in comune la cattiveria. Da Quentin Tarantino a Cleopatra, da Maradona
a Caravaggio, da Madonna a Dracula non vengono raccontati i soliti
cattivi, ma quelli che sono stati in
grado di sfruttare la loro “cattiveria”
per restare nella storia. I diritti di questa collana sono già stati venduti in
Grecia, Francia e Brasile. Wanted
raccoglie invece biografie di banditi, briganti e criminali, dal meridione
d’Italia al vecchio West, fino alla
cronaca dei giorni nostri, dalla Banda della Uno bianca (primo titolo
pubblicato) a Butch Cassidy. Tutti i
libri sono corredati da sedici pagine
di fumetto e da prefazioni di una
nota e importante firma del panorama letterario (Marcello Fois, Niccolò
Ammaniti e Paolo Nori solo per fare
tre nomi).
In quasi tre anni di attività e con
una sessantina di titoli alle spalle la
Bevivino ha raccolto molti apprezzamenti, una particolare attenzione
che i giornali e le riviste specializzate
hanno riservato al progetto e otto
collane aperte che sfornano ottimi
prodotti editoriali. La Bevivino ha
inoltre rilevato e rilanciato il portale Pickwick.it (www.pickwick.it) una
delle comunità web più numerose e
sensibili al mondo del libro.
Uno dei punti di forza è rappresentato dalle presentazioni dei volumi
che si tengono a cadenza irregolare e imprevedibile nei vari locali
di Milano con il supporto di giovani
attori dell’Accademia di Arte drammatica Paolo Grassi.
“Lontano dalla logica che una casa
editrice, a seconda del fatturato
debba essere considerata “piccola”, “media” o “grande”, distinzione
assolutamente fuorviante”, sottolinea il fondatore Francesco Bevivino
“abbiamo voluto dare alla casa editrice un’impronta non di nicchia. Per
questo abbiamo deciso di realizzare
diverse collane in grado di rispondere alle diverse esigenze che i lettori
possono avere nell’arco della vita:
svago, approfondimenti, attualità,
studio, lavoro, informazione. Credo
che per risolvere la situazione delle
“piccole case editrici” bisognerebbe avere una riforma come quella
fatta in Spagna da Zapatero che ha
tolto l’IVA sui prodotti culturali per
abbattere i costi al pubblico. Inoltre si dovrebbe abbattere anche il
lobbysmo sulla distribuzione e infine
penso che potrebbe essere evitata
la supponenza di certi quotidiani
nelle pagine culturali”.
Questa è la Bevivino che a dicembre presenterà un interessante Dizionario degli anni 70 che toccherà
vari temi tra i quali: politica, economia, cronaca, cultura, il contesto
internazionale, radio e tv, lo sport e
Moda, costume e società.
A gennaio dopo la pubblicazione
in Francia verrà riproposto in Italia
Come tanti cavalli di Luiz Ruffato.
Pierpaolo Lala
GOD – Grandi opere e
dizionari
In questa collana trovano
spazio quelle opere
di approfondimento
e di saggistica utili a
comprendere il presente.
Veri e propri strumenti per chi
non si accontenta di letture
superficiali.
Fuori Collana
Dai classici del passato a
quelli del nostro tempo.
Prestigiosi volumi, ricchi di
immagini e illustrazioni, in una
elegante veste editoriale.
Distrazioni
Più che di una collana si
tratta di un vero e proprio
“contenitore”. Uno spazio per
sperimentare e raccogliere i
prodotti di diverse esperienze.
Wanted
Biografie di banditi, briganti
e criminali, dal meridione
d’Italia al vecchio West, fino
alla cronaca dei giorni nostri,
dalla Uno bianca alla Banda
della Magliana…
I Cattivi
Una collana per raccogliere
agili biografie di noti
personaggi che hanno in
comune la cattiveria. Non
i soliti cattivi, ma quelli che
stati in grado di sfruttarla per
restare nella storia.
Be Cool
Biografia
Hayao Miyazaki è nato il 5 gennaio
1941 a Tokyo, nel quartiere di
Akebono. Dopo un’infanzia e
un’adolescenza economicamente
tranquille, ma segnate dalla lunga
malattia, una forma di tubercolosi,
della madre (tema che sarà
ripreso ne Il mio vicino Totoro molti
anni dopo), nel 1963 si laurea in
Economia e Scienze Politiche.
Assecondando la sua passione per
i cartoni comincia subito dopo a
lavorare come disegnatore per la
Toei. La prima serie TV a cui lavora,
Okami Shounen Ken (Ken ragazzo
lupo), è parzialmente diretta da
Isao Takahata, con cui svilupperà
un lunghissimo rapporto di
collaborazione artistica. Miyazaki
fu influenzato in maniera decisiva
dal marxismo; il partito socialista
per lungo tempo era stato il
secondo partito in Giappone e
il partito Comunista ha ancora
seggi in parlamento. Durante la
guerra erano stati vietati tutti i
movimenti politici e sindacali e
i comunisti furono quasi gli unici
ad opporsi alla guerra. Finita la
guerra fu permessa la nascita dei
sindacati e molti di essi furono
diretti da giovani comunisti o
simpatizzanti comunisti e Miyazaki
assieme a Takahata fu uno di
essi. Nel 1968 esce Taiyo no Oji
Horus no Daiboken (Le grandi
avventure di Horus), il primo film
- anch’esso diretto da Takahata
- in cui il nostro ricopre un ruolo
di rilievo. Negli stessi anni inizia
la pubblicazione di un manga e
prosegue la collaborazione a varie
serie televisive. Nel 1971 approda
allo studio A-pro dove continua
a lavorare con Takahata con il
quale firma alcuni episodi di Lupin
III. Nel 1973, Miyazaki e Takahata
lasciano la A-Pro per passare allo
studio Zuiyo Pictures. Nel 1974
esce il celebre cartone Heidi
che Miyazaki ancora non firma
come regista. Ma nel 1978 esce
il primo cartone animato firmato
interamente da lui. È Conan,
storia del ragazzino catapultato
in un mondo squassato dalla
guerra mondiale, nel quale, come
già in Horus, sono palesi le idee
politiche del regista. Un simbolo
per i ragazzini nati negli anni ’70 e
’80. Ma non basta Miyazaki in quel
periodo collabora anche ad Anna
dai capelli rossi, dirige la serie sul
detective Sherlock Holmes (una
coproduzione Rai), e nuovi episodi
e un lungometraggio sul ladro più
famoso del mondo. Lupin III - Il
castello di Cagliostro uscito in Italia
molti anni dopo.
Nel 1982 inizia a pubblicare un
nuovo fumetto, Kaze no Tani no
Naushika (Nausicaa della valle
del vento), che, poco dopo la
morte della madre, diventa un
film, considerato il suo capolavoro
assoluto. In Italia ebbe però una
storia sfortunata per diritti non
pagati dalla Rai. Un episodio che
ha spinto il regista giapponese
a non cedere più i diritti per la
trasmissione delle proprie opere
in Italia. Nel 1986 esce Tenkuu no
Shiro Laputa (Laputa: il castello
nel cielo), seguito nel 1988 Tonari
no Totoro (Il mio vicino Totoro), nel
1989 (per la prima volta anche
produttore) Majo no Takkyubin,
nel 1992 Kurenai no Buta (Porco
Rosso). Dopo On your mark (1995),
realizzato come parte visiva di
un video musicale del celebre
gruppo pop giapponese Chage
& Aska, annuncia il suo ritiro
per far spazio ai giovani ma nel
1997 torna con Mononoke Hime
(La Principessa Mononoke). Nel
2001 esce in Giappone il suo film
più famoso: La città incantata,
Noir, Commedia, Italiano, Sperimentale, Drammatico
il cinema secondo coolcub
Hayao Miyazaki
Il castello errante di Howl
Lucky Red
di Loris Romano
Leone d’oro alla carriera, così la
mostra del cinema di Venezia ha
premiato il maestro dell’animazione
giapponese Hayao Miyazaki. Di Lui
il mondo si era accorto già un paio
di anni fa quando La città incantata
aveva vinto prima l’Orso d’oro a Berlino e poi il premio Oscar come miglior
film di animazione a Hollywood. Ma la
carriera di Miyazaki parte da lontano,
dagli anni ’70, ed ha accompagnato
da allora intere generazioni a partire da chi oggi ha trenta anni con:
Heidi, la bambina delle alpi, Lupin III,
passando dal successo delle serie a
quello dei lungometraggi con Nausicaa della valle del vento, Laputa: il
castello nel cielo, Il mio vicino Totoro,
La principessa Mononoke, il già citato
La città incantata e quindi Il castello errante di Howl. Il film è tratto dal
romanzo della scrittrice D.W. Janes,
racconta la storia di Sophie, una ragazza trasformata in una vecchietta
novantenne da “una potente stregoneria”, come dice lo stesso Howl, da
una strega grassa e dispettosa, ed è
proprio unendosi alla corte del mago
Howl che spezzerà l’incantesimo con
il più potente dei rimedi: l’amore.
L’ambientazione è straordinaria e visivamente stupefacente: due paesi
in guerra che sembrano ricordarci le
tragedie del ‘900 in cui tutti sono chiamati a dare il loro contributo, in questo caso anche maghi e streghe. Ma
il meglio arriva con Il castello errante
di Howl che va in giro per il mondo su
quattro zampe, un coacervo di scale, finestre, caminetti, balconi, porte
che si aprono su mondi inverosimili
Filmografia essenziale
popolati da creature ed esseri viventi strani (una rapa spaventapasseri,
un fuoco animato e parlante…) che
accompagnano Sophie. Materiale
sempre nuovo per l’immaginazione;
Miyazaki mostra che sulla terra esistono tante cose che vanno oltre la
nostra capacità di comprensione,
egli crede nel panteismo e nell’animismo. Ogni essere vivente, ogni oggetto ha una sua divinità e una sua
personalità. Tutto è abitato da un dio.
Storicamente nessuna epoca ha eliminato così drasticamente ciò che è
strano, ci allontaniamo dalla natura (
i film di Miyazaki sono dei veri e propri
inni alla natura) e ci viene nascosta
la sporcizia, siamo circondati da disinfettanti e le relazioni umane subiscono la stessa sorte. L’essere umano sta
perdendo una capacità essenziale:
quella di poter vivere accanto a chi
non gli piace. Nel “castello errante”
Howl dopo aver visto grandi aerei da
guerra dice a Sophie: “bruceranno le
città e gli uomini”. “Nemici o alleati?”
chiede Sophie “che importanza ha?
Siamo tutti colpiti da una grande maledizione”
risponde
Howl. Come
uscire
da
questa maledizione?
Bastano un
paio di incantevoli
sequenze di
questo bellissimo film
per capirlo.
1978
1988
1972/73
In coppia con Takahata firma
alcuni episodi di Lupin III
Hayao Miyazaki è il gigante
che ha fatto saltare le
pareti dentro le quali si era
voluto incasellare il cinema
giapponese d’animazione.
Troppo frettolosamente, infatti,
lo si è tradotto come il ‘Disney
giapponese’, riducedo a
parametri per noi consueti
un’energia creativa, una visione
assolutamente fuori dell’ordinario.
La filosofia di Miyazaki unisce
romanticismo e umanesimo
a un piglio epico, una cifra di
fantastico visionario che lascia
sbalorditi. Il senso di meraviglia
che i suoi film trasmettono risveglia
il fanciullo addormentato che è
in noi. Senza tuttavia dimenticare
le sorprese industriali di Miyazaki,
che ha saputo con i ‘complici’
giusti far saltare le categorie
convenzionali dell’animazione,
grazie al lavoro sistematico di una
‘factory’ che ha fatto crescere
anche non pochi altri talenti. In
Hayao Miyazaki si incarna la pop
art cinematografica del nuovo
millennio, una delle componenti
ormai sempre più presenti nel
lavoro di ricerca della Mostra di
Venezia.
Marco Muller - direttore della
Mostra del Cinema di Venezia.
2001
La città incantata è la
consacrazione con Orso d’oro
e Oscar
Conan è il primo cartone
firmato interamente da
Miyazaki
1984
1974
Il mio vicino Totoro. Poesia e
delicatezza
1992
Nausicaa della valle del vento.
È il suo capolavoro
Esce Heidi ma ancora nessuna
regia
Orso d’oro e Premio Oscar.
Chihiro è una bambina di 10 anni
capricciosa e viziata, convinta
che tutti debbano sottostare ai
suoi voleri. La stessa cosa accade
quando i suoi genitori, Akio e
Yugo, le comunicano che sono
costretti a cambiare casa. La
bambina, infatti, non fa nulla
per nascondere la sua rabbia.
Con i soli ricordi degli amici e di
un mazzo di fiori Chihiro segue
i genitori in una strada senza
uscita, chiusa da un palazzo rosso
con un tunnel. Una volta entrata
la famiglia viene trascinata in
un mondo di antiche divinità
governato dalla malvagia arpia
Yubaba. Akia e Yugo vengono
trasformati in maiali pronti per
essere mangiati. Per sua fortuna
Chihiro trova un alleato in Haku
che le dà un consiglio: per evitare
la fine dei genitori dovrà lavorare.
Il resto è cronaca con il Leone
d’oro alla carriera e l’uscita del
Castello errante di Howl.
Porco rosso. La storia dei “pirati
del cielo”
Be Cool
Timur Bekmambetov
I guardiani della notte
Ambientato nella Mosca
contemporanea, descrive
la battaglia ultraterrena
per mantenere la tregua
millenaria tra le forze della
Luce e le forze dell’Oscurità.
Per secoli, i membri in
incognito della Guardia
Notturna hanno vigilato. Il
destino dell’umanità poggia
su un delicato equilibrio tra
il bene e il male, ma questo
destino è ora in pericolo.
Primo capitolo di una trilogia
fantastica che in Russia e in
mezzo mondo ha incassato
più del Signore degli Anelli. E
che adesso arriva in Italia.
Thomas Vinterberg
Dear Wendy
Dal regista di Festen e cofirmatario del Dogma 95,
un film scritto dall’ amico
e maestro danese Lars
Von Trier. Dick, bambino
disadattato, vive in una
squallida cittadina situata
in un’ America senza
coordinate geografiche.
Ha un piccolo revolver di
cui ha costantemente cura.
Un giorno incontra un altro
ragazzo, che ha la sua stessa
mania per le armi da fuoco. I
due danno vita a una specie
di banda giurando su uno
statuto fondato sul fatto che
il loro uso delle armi rimarrà
confinato al gioco. Ma
quanto durerà?
Wim Wenders
Don’t come knocking
Howard Spence è un attore
ormai sul viale del tramonto.
Niente più grandi ruoli per
lui che è stato un eroe dei
film western. Howard si sta
consumando con alcol,
droga e sesso, ma quando
viene a conoscenza del fatto
che Doreen, una donna che
ha tanto amato nel passato,
ha avuto un figlio da lui e
non gli ha mai detto nulla, si
convince che la sua vita non
è stata forse del tutto inutile.
Ma il passato che ritorna
riserverà altre sorprese. L’
America secondo Wenders
passando per John Ford e l’
epopea del Far West.
Michael Haneke
Niente da nascondere
Georges, intellettuale
borghese che conduce un
programma televisivo di
letteratura, è un felice padre
di famiglia. Le sicurezze della
sua esistenza protetta si
incrinano quando comincia
a ricevere strani messaggi,
impossibili da codificare.
Georges non ha idea di
chi possa mandarglieli,
ma quando il contenuto
delle cassette diventa più
personale, appare evidente
che il mittente è qualcuno
che lo conosce molto bene.
Nuovi spunti del regista
austriaco che fa tremare
la borghesia in un film da
vedere.
30
Michele Placido
Romanzo criminale
di C. Michele Pierri
Era impresa ardua riprodurre in
una sola sceneggiatura il senso
generale, senza snaturarlo, di un
libro come Romanzo criminale del
magistrato tarantino Giancarlo De
Cataldo (Einaudi editore). E non
era nemmeno facile gestire in un
colpo solo buona parte del cinema
italiano emergente. Eppure questo
film, diretto da Michele Placido a
suo modo ci riesce, raccontando la
nascita, la veloce ascesa e la caduta
di un gruppo radicatosi rapidamente
nella Roma degli anni ’70, come
quello della Banda della Magliana.
Tre giovani amici della piccola
malavita della capitale il Libanese,
il Freddo e il Dandi (rispettivamente
Favino, Rossi Stuart e Santamaria)
con i ricavi di un sequestro ben
riuscito decidono di entrare nel “giro
che conta” e creano una fitta rete
di alleanze con elementi minori della
criminalità urbana. I tre, ambiziosi e
senza scrupoli allungano in fretta i
loro tentacoli sulla città, passando
dalla droga al gioco d’azzardo e
allo sfruttamento della prostituzione.
L’unico ad intravedere il pericolo è il
commissario Scialoja (Accorsi), che
tenterà di sgominarli. Ma la situazione
ormai è compromessa e la morte
di uno di loro innescherà vendette
e terrorizzerà la città, sfaldando
per sempre gli equilibri e le vite di
quelli che in fondo
erano solo ragazzi di
borgata. A rendere
Tim Burton
La fabbrica di
cioccolato
Warner Bros.
di C. Michele Pierri
Sembra proprio che la parola
impossibile non esista nel vocabolario
del
più
fiabesco
dei
registi
contemporanei. Quando si assiste a
un film di Tim Burton infatti ci si rende
conto di essere in un mondo nel
quale niente oramai può spiazzare.
Quello che continua a spiazzare
sin dagli esordi è invece il suo
straordinario talento che neanche
stavolta ha deluso le aspettative.
Difficile replicare Willy Wonka e la
fabbrica di cioccolato film del 1971
diretto da Mel Stuart e a propria volta
tratto dall’omonimo libro di successo
di Roald Dahl, ma questo remake
ha tutte le credenziali per essere
considerato un lavoro eccellente.
Ci si affeziona facilmente al piccolo
Charlie Bucket, che vede realizzato
il suo sogno: visitare assieme ad
altri quattro bambini la fabbrica
di dolciumi dello stravagante sig.
Wonka (Johnnie Depp al posto di
Gene Wilder), che gli riserverà tante
emozioni e una sorpresa insperata.
Le scenografie come al solito
ripropongono scenari da favola che
abbinati ad una fotografia che fa un
uso estremo e sapiente del colore
immergono in un sogno lungo un
film. Come sempre poi le musiche
sono eccezionali (ma con Danny
Elfman si sa già). Insomma è davvero
impossibile non seguire con affetto il
piccolo Charlie capace di addolcire
anche i cuori più duri. Come solo un
film di Burton sa fare.
tutto più interessante c’è poi una
mano che dall’alto muove i fili di tutti
gli avvenimenti più importanti di un
periodo buio della storia italiana che
va dal sequestro Moro alla caduta del
Muro di Berlino, passando per la strage
della stazione di Bologna, momenti
storici riprodotti sapientemente con
l’ausilio di inserti di repertorio. Questa
è in breve la trama del film che risulta
efficace e ben diretto ricordando
a tratti il poliziesco anni ’70 e
mescolando azione e sentimento in
parti uguali. Due gli appunti che mi
sento di fare. Nel primo caso, forse
e soprattutto più per motivi di tempo
che per scelta commerciale, il lavoro
di Placido mostra approssimazione
proprio nei tratti in cui sarebbe stato
opportuno approfondire l’oscura
relazione che legava lo Stato e la
massoneria alla storia della Banda e
dell’intero Paese. Infine i personaggi,
peraltro interpretati con mestiere e
senza sbavature, sono caratterizzati
talmente bene da uscirne fuori forse
più come eroi che come criminali,
ma questo fa parte del gioco del
racconto e dona al film un ritmo
tutto speciale. Un film che emoziona,
difficilmente annoia e termina in
fretta come la storia di una Banda
che è nata con l’innocenza di tre
bambini ed è morta anni dopo con
la loro immutata ingenuità.
Patrice Chèreau
Intimacy (Dvd)
Mikado film
di Osvaldo Piliego
Ci sono almeno due buoni motivi
per vedere Intimacy. Il primo è che
il film del francese Patrice Chèreau
è tratto dal racconto di una delle
penne più interessanti degli ultimi
anni: Hanif Kureishi (consiglio a tutti
The Black album). Il secondo è che
Intimacy è un film vero. La storia è lo
specchio esasperato e per questo
vivido e diretto di un vivere che in
fondo appartiene a tutti noi. La vita
divisa tra ciò che si è e quello che
si vorrebbe e non si è mai stati. I
bisogni spesso sopiti che emergono
prepotenti e non si possono
controllare. I segreti e la curiosità,
la scoperta dell’amore che arriva
insieme a un’inevitabile sconfitta. Il
tradimento, la passione, il sesso, la
mancanza di comunicazione sono
tutti elementi che convivono nelle
pagine e nella pellicola. La scelta
tecnica di riprese approssimative
e di una grana quasi amatoriale
rafforza il messaggio, la vicinanza
e l’intimità (la nostra anche) che
viene violata.
Quando uscì fece scalpore per
una scena di sesso troppo esplicita,
ma vinse l’Orso d’oro a Berlino e
fu considerato come la risposta
moderna ad Ultimo tango a Parigi.
Oggi esce in dvd e a rivederlo
non è una fellatio a fare scandalo
ma un’altra e più profonda nudità
svelata: quella dell’anima. Un film
sui limiti, lo squallore, la drammatica
semplicità delle nostre vite.
Roberto Benigni
La tigre e la neve
Un poeta, per amore della
donna di cui è follemente
innamorato (Nicoletta
Braschi), finisce in Iraq,
proprio nel bel mezzo dei
bombardamenti compiuti
dagli americani per liberare
lo stato mediorientale
da Saddam Hussein. In
compagnia di uno scrittore
arabo (Jean Reno) e stravolto
dalla guerra tenterà di
riportare l’ umanità con
l’ unico strumento che
conosce: la poesia. Nuovo
film di Benigni che ripropone
il riuscito e commovente mix
de La vita e’ bella. Nelle sale
dal 14 ottobre.
Tim Burton
La sposa Cadavere
Subito dopo La fabbrica di
cioccolato Tim Burton torna
al suo vecchio amore con
questo film di animazione.
La sposa cadavere, fuori
concorso alla Mostra del
Cinema di Venezia, è
ambientata nell’Europa
del XIX secolo. Il giovane
Victor si mette in viaggio
per raggiungere la sua
fidanzata Victoria con cui è
in procinto di sposarsi. Lungo
il tragitto, Victor si imbatte in
un ramoscello simile ad un
dito così si mette a imitare il
rito nuziale infilando l’anello
sul pezzetto di legno e
declamando la formula del
matrimonio. Il ramoscello
si rivela essere il dito di una
ragazza assassinata che
improvvisamente ritorna
come zombie e pretende di
essere legalmente sposata
all’incredulo Victor che
viene così trascinato nel
mondo dei Morti Viventi,
un universo certamente più
vivace rispetto alla severità
dell’ambiente vittoriano in cui
è cresciuto, ma basta poco
tempo a far capire a Victor
che niente e nessuno potrà
mai tenerlo lontano dal suo
vero amore. Uscita prevista 28
ottobre.
Sabina Guzzanti
Viva Zapatero
Se negli Stati Uniti la protesta
cinematografica anti Bush
è guidata dall’omone
Michael Moore, in Italia il
fronte contro la censura
viene “affidato” a Sabina
Guzzanti. Viva Zapatero è
un documentario che parte
dalla vicenda ‘Raiot’, l’ultimo
spettacolo della Guzzanti
sospeso dalla Rai dopo una
sola puntata, per parlare di
satira con alcuni dei principali
esponenti europei fra cui il
premio Nobel Dario Fo e in
generale fare il punto sulla
libertà di informazione in Italia.
Tra gli interpreti Rory Bremner,
Daniele Luttazzi, Michele
Santoro, Enzo Biagi, Andrea
Salerno, Lucia Annunziata,
Claudio Petruccioli, Flavio
Cattaneo, Luciano Canfora, .
Ovviamente criticato da una
parte e osannato dall’altra.
Be Cool
Guarda che musica
Il rapporto fra musica e cinema è sempre stato qualcosa
di scontato e di naturale, una
corsia preferenziale usata dagli artisti in entrambi i sensi, a
volte per esprimere in maniera più completa la propria
tendenza a produrre cultura,
a volte come semplice veicolo promozionale. Ed è proprio
così infatti che è nato questo
fenomeno prima negli Stati
Uniti intorno al secondo dopoguerra (anche se se ne possono ritrovare ancora prima sporadici esempi analoghi) con
musicisti del calibro di Frank
Sinatra che col tempo hanno
addirittura guadagnato una
dignità attoriale che a molti è
sfuggita. Come non ricordare
poi il mitico Elvis, il padre del
rock, che con film come Cento ragazze e un marinaio ha
fatto sognare generazioni di
donne. Successivamente intorno agli anni ’60 la tendenza
si è spostata anche in Italia. È
il caso dei vari Tony Renis, Rita
Pavone, Peppino Di Capri,
Gianni Morandi, Jimmy Fontana, Mina e Adriano Celentano, inizialmente protagonisti
di cammei in cui si limitavano
a cantare il loro ultimo successo, magari in una situazione
ricostruita ad hoc come una
serata in un locale o chiamati
a rapporto dall’innamorato
di turno che voleva dedicare
una serenata alla sua bella
(che romantici i nostri genitori!) e successivamente veri
e propri protagonisti se non
addirittura registi (è il caso del
Molleggiato). Ed è proprio qui
che volevo arrivare, a quella
che sembra un po’ la volontà neanche tanto nascosta
dei musicisti italiani di ultima
generazione: quella di arrivare al pubblico attraverso lo
strumento
cinematografico
(a volte anche letterario, vedi
Guccini o Capossela), ma non
come si faceva “un tempo”,
ma con uno spirito nuovo,
con l’idea di avere qualcosa
da dire, da raccontare. È sicuramente il caso di Luciano
Liguabue (Radiofreccia e Da
zero a dieci) e Franco Battiato
(Perduto amor e il più recente
Musikanten, fischiato a Venezia) solo per citarne alcuni.
Non contenta di fare più solo
31
Il rapporto tra il cinema e la
musica
di C. Michele Pierri
dischi, questa nuova stirpe di musicisti-attori-registi cerca nuova linfa
vitale (e forse nuovi guadagni) nel
cinema. Ma dove vogliono arrivare
realmente? Di sicuro non hanno intenzione di dedicarsi a tempo pieno
a questo nuovo impegno e girano film più per loro stessi che per il
pubblico. Almeno questo è quanto
sostengono. In realtà dietro questa
ondata di parvenu di derivazione
musicale c’è senz’altro una posizione privilegiata che gli permette di
non dover
sostenere
alcuna
gavetta
e di far
contenti
i produttori. Per
quanto
concerne poi il
lato puramente
artistico
l’ intenzione sembra un po’ quella di voler
raccontare il mondo con l’ occhio
(e le orecchie) di chi
fa musica e
un po’ quella
meno facile
di guadagnare in un altro
campo
la
stessa stima.
Feroci critiche
dimostrano
che non sempre gli intenti
sono andati di pari passo con la riuscita del
progetto, ma questa sembra una
tendenza abbastanza interessante
che apre senza dubbio nuovi scenari per il cinema italiano, troppo
spesso sordo a recepire nuovi stimoli
e sempre sull’orlo del precipizio. In
realtà però i cantanti di casa nostra non hanno inventato nulla, ma
si sono limitati a seguire l’onda lunga di artisti poliedrici come Vincent
Gallo (regista, attore e musicista nel
suo Buffalo 66) che negli ultimi anni
hanno dimostrato di poter fare delle
idee il proprio punto di forza a prescindere dalle proprie “radici” artistiche. Se in Italia infatti e’ difficile
immaginare un cantante che fa l’
attore e viceversa, negli Stati Uniti e’
pratica usuale tanto che stelle
di primo piano come Johnny Depp, Tom Waits e Russell
Crowe riescono senza problemi a giostrare i vari impegni. In
Europa uno dei pochi esempi
del genere e’ rappresentato
dal regista slavo Emir Kusturica
che da anni continua a portare in tour mondiali un accattivante mix tra swing, jazz e musica popolare, spesso colonna
sonora dei film. E se la commistione fra queste due arti è
spesso voluta, ci sono poi anche casi in cui è accidentale,
se non addirittura inaspettata.
E l’esempio più clamoroso è
senz’ altro rappresentato dal
cult-movie The Blues brothers dell’eccezionale John Landis. Il duo
Belushi-Aykroyd, allora di scena al
“Saturday night live”, popolarissima
trasmissione USA, aveva inventato i
strampalati fratelli Jake e Elwood e
sull’onda di quel successo straordinario hanno inciso un disco fantastico, fatto concerti in mezzo mondo e
rilanciato il blues a livello mondiale.
Se vi sembra poco. Un discorso a
parte meritano poi tutti i film ispirati
a gruppi, cantanti e alle loro vite e
tutti gli spartiti che sono stati scritti
pensando e parlando di cinema.
Penso a film come The Wall di Alan
Parker, The Doors di Oliver Stone fino
all’ ultimo Last days (pseudo-biogra-
fia di Kurt Cobain e dei Nirvana) diretto da Gus Van Sant.
In effetti se ci si riflette a fondo il cinema non può fare a
meno della musica e in qualche modo la musica (almeno
quella di oggi) il più delle volte
moltiplica per mille la sua forza avvalendosi dello strumento visivo. Una corrispondenza
biunivoca e vincente. Non
potevano dunque mancare
interessanti studi a riguardo e
i più riusciti sono senza dubbio
quelli dedicati alla sperimentazione di un
cineasta come
Robert Bresson,
che per primo
ha
applicato
al cinema una
ricerca sonora
e musicale ponendo
questi
due elementi al
pari dell’ immagine. Film come
Une
femme
douce
(Così
bella così dolce) o Pickpocket (Diario di
un ladro) rappresentano ancora oggi passaggi essenziali
per chi voglia
capirne di più.
Insomma il rapporto tra cinema e musica e’
talmente pieno
di sfaccettature che sarebbe
presunzione
pura
cercare
di descriverlo in
maniera esaustiva e in un
fiato solo. Ma
gli spunti e le
chiavi di lettura
non mancano
e non resta che
lasciarci in attesa della prossima puntata e
che la musica sia con voi!
CoolClub.it C
32
VANESSA BEECROFT: LA DONNA CHE CADDE SULLA TERRA
«Lascio che la componente aleatoria di una performance crei momenti non
previsti, non perché io ami il caos, ma perché non lo posso evitare.»
(Vanessa Beecroft. Performances 1993-2003, catalogo della mostra, Skira, Milano,
2003, pag. 183.)
Il caos: impossibile evitarlo. Dalle patologie del corpo nascoste negli anfratti del quotidiano o
spettacolarizzate dalla moda, dal fascino oscuro delle uniformi militari, Vanessa Beecroft è
passata allo studio dei cicli vitali: crescita, formazione e invecchiamento, attraverso la collazione
di tableaux vivants con gruppi eterogenei di donne colte in età e atteggiamenti diversi.
21 entità “cadute sulla Terra” (Dea Madre, forza creatrice e trasformatrice, la stessa artista appare in stato di gravidanza avanzata),
professioniste o donne comuni, dall’incarnato diafano o scure di pelle, dalle chiome fluenti alla Maddalena o quasi calve (effetto ottenuto
facendo indossare cuffie che nascondono completamente i capelli). Nudità del femminile in natura e nudità dell’icona: la carne e gli
accessori, le scarpe (disegnate dallo stilista austriaco Helmut Lang) con lacci alla caviglia e tacchi che affondano nella viva terra di
campo.
VB53: un gruppo di grandi fotografie e il video dell’omonima performance realizzati nel 2004 al Tepidarium del Giardino dell’Orticultura
di Firenze (la più grande serra ottocentesca d’Italia, opera dell’architetto inglese Giacomo Roster) sotto l’egida della Fondazione Pitti
Immagine Discovery.
L’impianto scenografico è rigoroso e solenne. Le modelle, dapprima immortalate in posizione eretta e raccolte in un gruppo unico
(sorta di cerchio magico che risulta allo stesso tempo fuori e dentro di sé), si isolano e si lasciano progressivamente cadere al suolo
diventandone parte come in una cerimonia tribale, un atto di ricongiunzione con il mondo del sensibile, la fonte originaria. Infinitamente
attratte. Indissolubilmente legate – sciolto ogni legame con l’altro da sé - come per un ancestrale incantesimo.
Vengono in mente tanto i bellissimi versi di Baudelaire in Ciel brouillé: “Tu ressembles parfois à ces beaux horizons / Qu’allument les
soleils des brumeuses saisons…“ quanto le osservazioni di Paul Virilio nel saggio La Macchina che vede (SugarCo, Milano, 1989, p.130):
“L’immagine fàtica che si impone all’attenzione e trattiene lo sguardo non è più un’immagine potente ma
un cliché che cerca, alla stessa stregua del fotogramma cinematografico, di inscriversi in uno svolgimento
temporale in cui ormai l’ottica e la cinematica si confondono.“
Enigmatico il rapporto che si instaura con lo sguardo estraneo, con lo spettatore-voyeur, ospite anonimo
spiazzato da un effetto di resistenza dell’insieme: arbitrarietà del feticcio che non rappresenta e non duplica
nessuna cosa provocando disorientamento percettivo e rivendicando capricciosamente una propria
autonomia. Negazione seducente che lambisce il concetto stesso di esistenza nel momento in cui si configura
come soglia di una dimensione differente.
“Non parlate, non interagite con gli altri, non bisbigliate, non ridete, non muovetevi teatralmente, siate
semplici, siate naturali, siate distaccate, siate classiche, siate inapprocciabili (…)” (in Vanessa Beecroft.
Performances 1993-2003, op. cit.).
Se il discorso si sposta sul piano della ricerca identitaria, vale ancora quanto rilasciato a Laura Stefani nel
corso di un’intervista apparsa sulla rivista Flair nell’ottobre 2003: “Il riferimento autobiografico è il modo più
diretto e spontaneo che ho a disposizione per creare, uso me stessa come esempio per un discorso che, una
volta trasferito sul piano artistico, riesce a diventare universale”.
Chiarissimi i rimandi/omaggi ai dipinti di Botticelli e di Filippino Lippi. Il Quattrocento dell’arte italiana
(periodo di riscoperta della rappresentazione del paesaggio, di una superficie fisica come preparazione
della superficie metafisica) catapultato nel nuovo millennio.
“La terra è un riferimento alla land art”, ha dichiarato Vanessa, nata a Genova nel 1969, da madre italiana e padre inglese. Studi di
pittura all’Accademia Linguistica di Belle Arti di Genova e scenografia presso l’Accademia Belle Arti di Brera. Prima performance: il Libro
del cibo (1985-1993), un video vhs basato sulla lista di ogni cibo ingerito dall’artista in otto anni a testimonianza di una lotta personale
contro l’anoressia. Seguono le esposizioni nei più importanti musei del pianeta: il Guggenheim di New York (1998) e la Kunsthalle di Vienna
(2000); le partecipazioni alla Biennale di Venezia (1997, 2001) e alle Biennali del Whitney Museum of American Art, di Sidney e di San Paolo
(2002). Tra le mostre ed esposizioni, meritano menzione ‘Winter of Love’ (Long Island NY,1994), ‘Everything that’s Interesting is New: The
Dakis Joannou Collection’ (Atene, 1996), ‘Traffic’ (Bordeaux, 1996), ‘Persona’ (Chicago, 1996), ‘Fatto in Italia/Made in Italy’ (Ginevra e
Londra, 1997), ‘Truce: Echoes of Art in Age of Endless Conclusions’ (Santa Fe, 1997) e ‘Wounds, Between Democracy and Redemption in
Contemporary Art’ (Stoccolma, 1998).
Più discutibili le “americanate” di VB 42 (2000), messa in scena dopo un lungo iter di
burocrazia militare utilizzando soldati ed ufficiali dei corpi speciali della Navy statunitense e
VB GDW (2000), attuata a Portofino durante il matrimonio della Beecroft con Greg Durkin: qui
il glamour entra nel territorio della boutique barocca, diventa pura pacchianeria mediatica
modello Jeff Koons spargendo in giro un odore pungente di (auto)agiografia ai confini del
divismo.
Molto meglio VB 48, esibizione datata 2001 al Palazzo Ducale di Genova, con performers
somiglianti a clandestine nigeriane viste nella città ligure; VB 51 (2002), al Castello di Vinsebeck
in Germania che vedeva la partecipazione delle attrici tedesche Hanna Schygulla e Irm
Hermann, infine lo splendido Sister Project (realizzato insieme allo svizzero Harald Szeemann,
curatore indipendente di mostre scomparso di recente), imponente calendario di 12 stampe
lunghe tre metri e mezzo ciascuna, che raffigurano i mutamenti stagionali e degli umori di
una donna nell’arco di un anno.
Il catalogo VB53 (84 pagine in brossura, formato 17x24, testi in lingua inglese di Lapo Cianchi,
Maria Luisa Frisa, Francesco Bonami, Line Rosevinge) è edito da Charta.
Nise No
www.vanessabbecroft.com
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Venti anni di Time Zones
33
“Probabilmente non esistono altri festival nel mondo che hanno avuto tutti questi nomi nel loro cartellone” si
chiude così la lunga chiacchierata con Gianluigi Trevisi l’ideatore e direttore artistico della rassegna Time Zones
Sulla via delle musiche possibili che quest’anno si “ripete” a Bari per il ventesimo anno consecutivo.
Un viaggio partito nel 1986 che ha aiutato sicuramente una città a crescere e a trasformarsi da centro periferico a
simbolo di avanguardia e sperimentazione, almeno nella musica. “Una rassegna che ha contribuito, pur agendo
da lontano a disegnare una mappa delle trasformazioni della musica contemporanea. Il festival ha avuto il
merito”, prosegue Trevisi, “prima di tanti altri, di riferirsi a quel (all’epoca) ristretto fronte di musicisti che, distanti
dalle mode, ha agito fuori dalle gabbie dei generi e degli stili, manipolatori di suoni che a metà degli anni ’80 non
avevano molte opportunità per esprimersi dal vivo e che nella maggior parte dei casi destinavano i propri suoni al
cinema, al teatro, alla danza, alla pubblicità. Musicisti mossi da un’attitudine a vario titolo esplorativa, non il mito
dell’invenzione a tutti i costi, ma percorsi originali”. Dalla musica per la scena alla musica etnica, dalla musica per
il cinema all’elettronica, dal rock al teatro/canzone Time Zones in questi anni ha ospitato Ennio Morricone, Michael
Nyman, John Zorn, Philiph Glass, Laurie Anderson, Lou Reed, Caetano Veloso, Howie-B, Nusrat, il coro di Gregoriano, Fela Kuti, Carmelo Bene, Robert Fripp, Gotan Project, Ani di Franco, Kings of convenience, solo per citarne
alcuni presi qua e là nel sito ufficiale del festival (www.timezones.it).
Certo dal 1991 qualcosa è cambiato nella città di Bari. Il rogo del teatro Petruzzelli e la conseguente chiusura di
numerose sale, discoteche, auditorium e piccoli teatri (tutti accomunati dalle difficoltà economiche ad adeguarsi
alle “leggi”) ha consegnato ai cittadini baresi una situazione paradossale. Una salda tradizione musicale, lirica,
teatrale e l’assenza pressoché totale di spazi dove far esibire questi ospiti provenienti da tutto il mondo. In questi
anni Time Zones ha contribuito, insieme ad altri operatori e a musicisti di indubbio livello, ad allargare l’orizzonte
del gusto musicale di una regione (e potremmo allargare il territorio all’intera nazione) e ha attraversato tutte le
contraddizioni di una delle più grandi città del sud.
La rassegna di quest’anno parte venerdì 28 ottobre con il concerto di Alva Noto e Ryuichi Sakamoto (Palamartino,
25 euro). Sakamoto è fra i maggiori protagonisti della musica contemporanea, il compositore giapponese più
conosciuto ed amato nel mondo un instancabile genio che ha contribuito allo sviluppo della ricerca compositiva
dei nostri tempi. Con Alva Noto (al secolo Carsten Nicolai), artista plastico (ha esposto i suoi lavori nei musei più
noti del pianeta), scrittore, sperimentatore e profeta del minimalismo in tutte le sue forme condivide un’attitudine
verso forme espressive minimali e crea un progetto esecutivo rigoroso e sperimentale che si affaccia verso le
nuove frontiere del suono. Recentemente è uscito Insen, un dialogo neurotonico fra melodia, ritmo e tessiture
virtuali, fra echi ambient ed inviolati paesaggi elettronici. Una bellezza musicale discreta ed indimenticabile, che
incanta per purezza.
Lydia Lunch e la sua band saranno protagonisti del secondo appuntamento della rassegna (sabato 5 novembre
– ingresso 15 euro). Lydia Lunch è stata, e forse sarà sempre, il simbolo di un’epoca in cui New York fu culla dominante della cultura, divisa tra gli esperimenti visivi di Richard Kern e la disillusione di Jim Jarmusch, tra le Waves
(New o No che fossero) musicali e gli ultimi rigurgiti di poesia Beat. Un personaggio fondamentale per capire la
profonda trasformazione del rock negli anni 80 e la riproposizione dei giorni nostri (Interpol ecc.ecc.). Nella stessa
serata spazio ad uno degli esempi più interessanti dell’indietronica tedesca. Il duo Fleckfumie rappresenta una
perfetta miscela di laptop music e pop digitale.
La nuova generazione della musica brasiliana sarà invece protagonista domenica 6 novembre (ingresso 15 euro).
Domenico Lancellotti, il figlio d’arte Moreno Veloso e Alexandre Kassim sono un trio che ha agitato le acque della
musica brasiliana contemporanea. Dopo il brillante esordio con Music Typewriter, Sincerely hot, uscito alla fine del
2004, ha consacrato questo sodalizio nell’olimpo della musica brasiliana: una sorprendente fantasia musicale, un
calderone non catalogabile di pop-bossa-easy listening, eredità tribaliste, jazz e manipolazioni elettroniche saldamente innestate su un variopinto hip hop paulista.
Venerdì 11 novembre spazio a Arto Lindsay trio. “Newyorchese carioca” Arto Lindsay compositore, cantante, chitarrista e produttore è una delle menti più geniali della New York musicale degli ultimi 20 anni. In lui vi è una sintesi
unica di generi diversi un incontro tra il samba, la bossa-nova ed il punk; un’elettronica soave ed un uso tagliente
ed acido della chitarra elettrica.
Il giorno dopo Mauro Pagani e il violoncellista palermitano Giovanni Sollima presenteranno in esclusiva per Time
Zones (sabato 12 – ingresso 15 euro) “una folgorazione tra due mondi lontani per un’idea diversa della musica
italiana”.
Mercoledì 16 novembre si esibiranno le Cocorosie. Le sorelle Sierra e Bianca Casady sono uno dei fenomeni
musicali del momento. L’incontro di due percorsi musicali diversi: una proveniente dalla musica classica con
un’esperienza da cantante lirica e l’altra dal mondo dell’hip-hop. Il loro disco d’esordio La Maison de Mon Réve
ha fatto gridare più o meno tutti al capolavoro. La loro seconda avventura discografica, Noah’s Ark (vedi nella
sezione Keep Cool) da poco fuori è il diario di un viaggio lungo il mondo fatto di tour, stanze d’albergo ed incontri
con altri artisti divenuti poi splendide collaborazioni. Gli ultimi due appuntamenti sono il 25 novembre al Target di
Bari con i Konki Duet, un meraviglioso esempio di raffinatezza elettroacustica, e il 29 al Vallisa con Zeena Parkins e
Ikue Mori. (P. L.)
Sulla via delle
musiche possibili
di una grande città
del Sud
Davide
Castrignanò
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IL LIGA MASCHIO SENZA FISCHIO
Prologo: Immaginate un cerchio con un area di 150.000 mq. Posizionate sul lato
nord una striscia formata da due palchi di 15 metri collegati tra loro da due
passerelle lunghe 95 metri e da un palco centrale (chiamato “main”) di 90 metri.
All’opposto esatto del palco “main”, a varie centinaia di metri piazzateci un
quarto palco (“vintage”) di altri 60 metri. Nello spazio compreso tra i quattro
palchi infilateci: cinque torri alte 16 metri, 1000 corpi illuminanti, 300 diffusori radio
e una decina di maxi-schermi che hanno impegnato 200 persone tra tecnici,
scenografi, assistenti, produttori. A tutto ciò aggiungeteci: 300 persone per il
servizio di ristorazione, circa 200 persone per il servizio medico (tra cui 16 medici e
28 infermieri, oltre a 150 volontari del pronto soccorso), decine di vigili del fuoco,
quasi 500 addetti alla sicurezza. Et voilà, les jeux sont fait ! Fatto l’avvenimento
“Campovolo 2005: Ligabue in concerto!”…almeno sulla carta! Et voilà i circa
170.000 paganti a cui però si devono aggiungere lo staff dell’organizzazione e,
soprattutto, quanti sono entrati poco dopo mezz’ora dall’inizio con le porte già
più che aperte!
Avrei tanto voluto fare una recensione sul “giorno dei giorni” atteso da mesi come
l’evento musicale dell’anno; ribadisco ‘avrei tanto voluto’ se solo fossi riuscito ad
ascoltare almeno metà della performance live
di Luciano Ligabue.
Una macchina organizzativa imponente,
studiata (così dicevan le profezie) con
l’obiettivo di dar luogo ad uno straordinario
evento dalle “dimensioni eccezionali, in termini
di organizzazione e produzione musicale”…
In realtà di eccezionale c’e’ stata solo la
fantasmagorica carrellata di errori, sbagli,
goffaggini organizzative, superficialità e quasi un
quarto dei presenti (quelli in prossimità del palco
vintage) che hanno potuto ascoltare quasi
seriamente il concerto solo per una mezz’oretta.
“E andiamo verso il giorno dei giorni” che è così diventato il giorno dei flop.
Personalmente non ho fatto code chilometriche ai vari caselli, non ho dormito
all’aperto in trepidante attesa (di entrare e poi di uscire), non ho passato la
mattinata in piedi nella speranza di un posto in prima fila davanti ad almeno uno
dei quattro palchi; sabato mattina ho lavorato e poi in gruppo siamo partiti alla
volta di Reggio Emilia. Una breve sosta a Correggio (patria anche dello scrittore
Tondelli oltre che di Ligabue) e poi, via stradine di campagna, filati in direzione
Campovolo. Parcheggio studiato a tavolino, lontano dalle possibili zone caos
e non troppo distante per evitare lesioni agli arti inferiori dovuto ad estenuante
scarpinata post concerto.
Conclusione: tra le 18 e le 19 son riuscito a varcare in cancelli ed entrare in una
pseudo arena del rock delimitata da lamiere che le davano più una parvenza
di area stoccaggio bestiame che altro …. Ma che ce frega che tanto “siamo
dentro il giorno dei giorni, fatto per vivere il giorno dei giorni…tutto da fare e
niente da perdere il giorno dei giorni, senza più limiti; il giorno dei giorni, attimi e
secoli, lacrime e brividi”.
Purtroppo mi son perso buona parte dei gruppi che si sono alternati nel
pomeriggio; son riuscito ad ascoltare Edoardo Bennato sul finale ed una
cinquina di canzoni di Elisa …. Diciamo che ho dato poco peso per il semplice
fatto che ero impegnato a raggiungere almeno uno dei quattro palchi allestiti
per l’evento….. anche se, col senno di poi, devo dire che ho seguito meglio Elisa
che il live del Liga.
Il più grande concerto a pagamento mai tenuto in Europa da un singolo artista
passerà alla storia come la più grossa inculata firmata dalla BarleyArts & Friends
& Partners (organizzatrice della serata…).
Per fortuna che l’impianto audio era tale da coprire l’intero Campovolo!
Al di la’ dell’emozione che possono piu’ o meno dare le canzoni di Ligabue e
dell’impegno che il povero rocker di Correggio c’ha messo nel realizzare una
serata sensazionale, il risultato è stato per molti versi deludente e vergognoso.
I fatti: il concerto inizia qualche decina di minuti dopo le 21 (porte aperte
prima delle 22!) e, eccezion fatta per gli spettatori di fronte al palco “main”,
quasi nessuno s’e’ accorto dell’inizio: le casse non funzionavano e quando
davano segnali di vita li fornivano in malo modo e sfasate rispetto alle immagini
proiettate dai maxi schermi. Per molto tempo è parso di sentire lo stereo a tutto
volume di uno degli abitanti dei palazzi all’ingresso di Reggio Emilia, mentre i
video (mi riferisco soprattutto a quelli del palco vintage) sembravano scollegati
rispetto ai suoni, quando questi riuscivano ad arrivare fino in fondo). Inutili le urla
del pubblico: “voce”, “le casse”, “volume”…. Inutili gli striscioni con su scritto
“Non si sente”…Inutili le bottiglie lanciate contro i quattro pirlotti della sicurezza
che si erano posizionati di fronte al pubblico e che dopo pochi secondi si son
dileguati.
Risultato: Chi si trovava dietro le due torrette centrali di amplificazione, verso il
palco vintage, ha sentito poco del concerto sul palco “Main”, praticamente nulla
di quello che e’ successo negli altri due palchi ai lati ed ha potuto assistere ad
una mezz’oretta di concerto, tra l’altro amplificato in maniera oscena, quando
Ligabue ha cantato con i “Clandestino” su questo benedetto palco “vintage”.
Infine, ma non per questo da meno, tra torri, torrette, diffusori e stand, molti non
son riusciti a vedere neanche uno schermo! Uahoo! Praticamente il nulla!
Dopo 20 minuti non pochi hanno decisamente iniziato a spazientirsi. (sicuramente
non è il massimo aver speso 35 euro di biglietto, perso la nottata in treno, passato
la mattinata sotto il sole per ascoltare suoni che giungono in lontananza e vedere
immagini sfasate rispetto al suono) Si e’ passati da alcune crisi mistiche di gente
che urlava “papa subito” ad un coro di “buffone” che non si è placato neppure
quando Ligabue è arrivato sul palco a sud. Ma l’apoteosi e’ stata raggiunta
quando lo scazzo per l’indifferenza dell’organizzazione ha dato vita ad una
sollevazione di massa inneggiante Vasco Rossi e che in coro ha iniziato a cantare
tutto il testo di “Albachiara”. Qualcuno più al centro ha detto che il Liga ha
chiesto di far silenzio, ahimè, io ero tra quelli che cantavano Albachiara e giuro
che non si e’ sentito proferir parola…. Eh! Se solo avessero funzionato le casse!
Dopo l’esibizione sul palco vintage, con l’inizio dell’ultima performance sul palco
main, visti i precedenti, molti han pensato bene di andarsene (si è letteralmente
trattato di una fuga di massa!) perdendosi il conclusivo delirio esilarante. Ad un
certo punto sembrava che le casse potessero riuscir a far sentire qualcosa ma
il finale con “Leggero” è stato a dir poco pazzesco: si sentivano i suoni delle
casse del palco incriminato, finalmente accese, dopo due secondi arrivavano i
suoni emanati dal palco main dall’altro lato del Campo ed infine, tra il riverbero
di suoni, si innestavano le immagini sui video (in palese ritardo o anticipo)…. Il
pubblico ha cercato di cantare… e forse il coro del pubblico ha attutito un finale
parossistico di un concerto da dimenticare. Per
la serie: come spendere 35 euro (almeno) per
trovarsi in auto in coda per ore per poter stare
in mezzo alla folla e cantare “Albachiara” al
concerto di Ligabue! Giuro che non ho mai riso
tanto ad un concerto…il detto “mal comune
mezzo gaudio” forse è proprio vero!
Concludo con un solo commento, trovato su
internet, che rende bene l’idea per chi non ha
potuto assistere al concerto: “dopo una intera
giornata al sole ci si è dovuti accontentare
di guardare uno schermo e di cercare di
indovinare che canzone stessero eseguendo,
impresa diventata ancora più difficile visto che
il suono arrivava in evidente ritardo rispetto
alle immagini degli schermi”…dopo mesi di prove forse ciò è obiettivamente
imperdonabile…
Epilogo: …sembra che alcune delle centinaia di persone che son fuggite via
poco dopo metà concerto, non trovando nessuno a cui chiedere spiegazioni
(figuriamoci un rimborso!) si siano dirette in casa Ligabue per protesta…. Non
han trovato nessuno, ma han pensato bene di prendersi il loro rimborso e gli han
ripulito la casa; povero Liga: battuto dai suoi stessi record, reso muto e derubato
in casa proprio mentre cercava di festeggiare una carriera di successi!
Postumi (operatori): e per finire la storia… a quanto pare, tramite la Codacons,
è partita a raffica la richiesta di rimborso dei biglietti del concerto. Facendo
un breve calcolo: 35 euro X 170.000 persone = 5 milioni e 950.000 euro…. Alla
notizia i ladri domestici del sabato del concerto han pensato bene di lasciargli la
“mercanzia” e così...dopo un simile salasso, han ritenuto di non dover infierire di
più ed han lasciato l’auto piena di refurtiva e, a quanto si dice, di nuove canzoni
in procinto di esser ultimate.…
Magari per un prossimo Campovolo! ;-)
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Il singolo individuo può ripensare se stesso, e lo
può fare in molti modi, anche attraverso il teatro
Eugenio Barba torna a Gallipoli
Nato a Brindisi e vissuto a lungo a Gallipoli ma
famoso in tutto il mondo. Eugenio Barba è
tornato nella città della sua giovinezza per una
tournee che vede impegnato l’Odin teatret
dal 30 settembre al 13 settembre. Vecchie
produzioni e un nuovo spettacolo (Il sogno di
Andersen) sono messi in scena tra le scuole e
le piazze della città jonica. Dopo più di 30 anni
dall’esperienza a Carpignano Salentino, dopo
circa tre anni dal seminario presso i Cantieri
Koreja e alla soglia dei 70 anni Eugenio Barba
torna nella città di mare dalla quale era fuggito
nel 1954. A diciotto anni (già orfano di padre)
decise di scappare per “spirito di avventura”
Dopo alcune soste giunse a Oslo in Norvegia
dove iniziò a lavorare e trovò “la libertà”. Qui nel
1964 con alcuni attori espulsi dalle Accademie
fondò l’Odin Teatret. Qualche anno dopo il
gruppo si trasferì ad Holstebro, piccolo paese
della Danimarca, dove il loro lavoro teatrale
si concentrò sulla ricerca di una specifica
tradizione attoriale, basata sul training, e slegata
dalle costrizioni dei tempi produttivi. Gli attori
dell’Odin, provenienti da tutto il mondo, all’inizio
autodidatti, si trasformarono poi in maestri,
portando avanti un progetto pedagogico
rivolto alla trasmissione della loro esperienza
attoriale e all’acquisizione di diverse culture e
tradizioni performative. L’esperienza dell’Odin
è sicuramente un fenomeno teatrale unico,
punto di riferimento per molte generazioni, una
casa-teatro che è isola per gli artisti di tutto il
mondo. Per due settimane Barba è tornato alle
“proprie personali radici, laddove ha avuto inizio
la sua formazione per ri-conoscere tratti familiari
nella gente e nei luoghi, e parlare di sé e della
propria lunga storia artistica attraverso i più
recenti lavori creati con i suoi compagni attori”.
Questo ritorno è organizzato da Ministero per
le attività culturali, Ente teatrale Italiano con il
sostegno di Arcus e in collaborazione con Teatro
Potlach e Comune di Gallipoli. Qualche giorno
prima della prima abbiamo contattato Barba
via mail e così ha risposto alle nostre domande.
Due anni fa in una conferenza a Lecce affermò
di avere un rapporto difficile con la sua terra,
lasciata a 17 anni. “La mia casa del padre?”,
disse, “È necessario per me molto silenzio per
poterla ritrovare, non in un luogo geografico,
non è qui a Gallipoli, dove sono cresciuto, non
è il Salento, non è l’Italia. La casa del padre è
nascosta in qualche parte dentro di me”. Che
effetto le fa tornare per la prima volta oggi con i
suoi spettacoli proprio a Gallipoli?
Nulla di più micidiale che le illusioni inutili.
Pensare, per esempio, che la Gallipoli di oggi
abbia qualcosa in comune con la cittadina
nella quale passai gli anni della mia infanzia dal
1943 al 1951. Per questo affermavo nella mia
conferenza di Lecce che la casa del padre
è nascosta in qualche parte di me, ignota a
tutti perché appartiene alla sensibilità della
mia memoria, comunicabile ad altri solo in
via indiretta, attraverso degli spettacoli, per
esempio. Gallipoli è per me soprattutto una
cittadina vergine nei confronti del mio teatro.
I suoi cittadini non lo hanno mai visto. Sono
sempre emozionato osservando le reazioni di
spettatori che assistono per la prima volta ad
uno spettacolo dell’Odin. Immagino che sarà
così anche a Gallipoli.
Lo spirito di avventura e lo spirito di libertà la
spinsero a lasciare nel 1954 il mondo “ristretto
e soffocante del Sud”. Oggi, alla soglia dei 70
anni sente di avere ancora questo spirito di
avventura? Verso quali
confini?
Vi è un grande divario tra
la mia soggettività – il mio
spirito di avventura – e
come esso si manifesta
nei risultati che vengono
valutati da altri. Posso
sentirmi divorato dallo
spirito di avventura, ma
i miei spettacoli, per gli
altri, possono essere noiosi
e presentare l’ovvietà.
Credo che con l’età lo
spirito di avventura cambi.
Oggi viaggiare non
presenta gli stessi cimenti e incognite del 1951,
in un’Europa ancora marcata dalle macerie
della seconda guerra mondiale. Lo spirito di
avventura, per me oggi, consiste nell’escogitare
e materializzare dei cammini non programmati
né programmabili per quello che chiamo
“l’eredità dell’Odin”. Ha a che vedere con la
“leggenda” di un gruppo
di persone che è rimasto
insieme più di quaranta
anni; e allo stesso tempo
con la trasmissione
della materialità
obiettiva dell’artigianato
dell’attore.
Nel 1974 a Carpignano
con l’Odin il primo ritorno
nel Salento che avvia la
stagione dei “baratti”.
Furono davvero, come
dice lo studioso Perrelli,
“più stimoli d’impetuosi
rifiuti di equilibrio che di sentimentali ritorni”?
Penso che Franco Perrelli sia abbastanza nel
giusto con la sua spiegazione. La presenza
dell’Odin a Carpignano fu dettata da
circostanze molto lontane da una mia nostalgia
delle origini. Il motivo principale era la scelta
di preparare un nuovo spettacolo in un
ambiente differente dall’abituale. La scelta
cadde sul Salento per varie ragioni. Perché era
economico risiedervi, e anche perché a Lecce
vi era Ferdinando Taviani, docente di storia
di teatro con il quale avevamo iniziato una
collaborazione che si è protratta fino al giorno
d’oggi. Il fatto che lui avesse un ambiente di
studenti, e tra questi il gruppo Oistros, mi sembrò
un fattore decisivo. E poi anche l’appoggio
generoso di Nino Calò, a Carpignano che
garantì per la presenza di questo gruppo di
scandinavi dai capelli lunghi e dai costumi
particolari in una società ben diversa da quella
di oggi.
Nel “santuario” del teatro il Salento può trovare
un’occasione di ripensare se stesso?
Ho difficoltà a rispondere a questa domanda. Il
Salento è essenzialmente un’entità geografica,
si dovrebbe discutere a lungo per mettersi
d’accordo su degli eventuali tratti culturali
comuni di tutti i singoli abitanti di questa
regione. Evidentemente il singolo individuo può
ripensare se stesso, e lo può fare in molti modi,
anche attraverso il teatro. Ma non può che
parlare al singolare, a nome proprio.
(Per l’Intervista ringraziamo Roberto Guido
– direttore del mensile QuiSalento
(www.quisalento.it)
CoolClub.it
Ottobre
Iscrizioni al Controfestival di Bari
Sono aperte le iscrizioni alla nuova edizione del
Controfestival!! L’iscrizione è gratuita ed è riservata ai
musicisti pugliesi!! Potete iscrivervi inviando una mail
segnalando la vostra adesione a controfestival@
controweb.it specificando: nome della band, bio,
genere musicale proposto, stage plan, contatti
telefonici e mail di riferimento. Il Controfestival è
organizzato dall’Associazione Culturale Controritmi in
collaborazione con Controradio Popolare Network di
Bari e con il patrocinio di Comune di Bari, Provincia di
Bari e Regione Puglia.
Ogni mercoledì
Hi fidelity al Caffè Letterario di Lecce
Ogni sabato
I dj di Coolclub all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le)
sabato 8 – musica
Dragoljub Djuricic & Balkan Avalanche all’Auditorium
Vallisa di Bari
sabato 8 – domenica 9 - danza
Giacomo Giacomo ai Cantieri Koreja di Lecce
Il corpo di ballo Crt di Milano apre la quarta
edizione di Open Dance, la rassegna di teatrodanza promossa dai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce
con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali. Lo spettacolo Giacomo Giacomo, oltre
alla coreografa salentina Barbara Toma vedrà sul
palco anche Silvia Bastianelli, Stefania Schiavone e
Valentina Sordo. Open Dance, il cantiere della nuova
danza, si propone di avvicinare il grande pubblico
al linguaggio della danza e far conoscere le nuove
tendenze nell’ambito del panorama italiano ed
europeo.
lunedì 10 – giovedì 13 - teatro
Sale a Gallipoli (Le)
Il ritorno dell’Odin e di Eugenio Barba nella sua Gallipoli
si chiude con quattro repliche dello spettacolo Sale,
basato su una lettera da “Si sta facendo sempre
più tardi” di Antonio Tabucchi con adattamento di
Barba. Gli spettacoli si terranno presso la Sala San
Lazzaro. Sipario ore 21.00. Ingresso 10 euro. Info e
prenotazioni 3337254754 negli orari 10-13 e 15-21.
lunedì 10 – martedì 11 - danza
Piano Piano ai Cantieri Koreja di Lecce
Secondo spettacolo per la rassegna Open Dance.
Dopo i grandi successi avuti in Europa, i gemelli De
Filippis, i due fratelli danzatori di origini salentine, ma
ormai di adozione tedesca, tornano per presentare il
loro quarto progetto.
martedì 11 - cineforum
Craj di Davide Marengo al Cinema Santa Lucia di
Lecce
mercoledì 12 – musica
Postman Ultrachic al Caffè Letterario di Lecce
giovedì 13 - cineforum
Il quinto impero di Manoel de Oliveira all’Antonianum
di Lecce
giovedì 13 - musica
World jazz project - afrique, jazz et malice al Teatro
Kismet di Bari
giovedì 13 - danza
Moods/ Rush ai Cantieri Koreja di Lecce
Doppio appuntamento tra jazz e techno ai Cantieri
Koreja con la Compagnia Excursus di Roma che
presenta, nell’ambito della rassegna Open Dance
e per la prima volta a Lecce, due lavori: Moods e
Rush.
venerdì 14/ domenica 16 – teatro
Arturo Cirillo in Le intellettuali al Teatro Piccinni di Bari
venerdì 14 - musica
Josh T. pearson (lift to experience-usa) al Target club
di Bari/Valenzano
venerdì 14 si inaugura lo
Zenzero Club che apre le
porte alla nuova stagione.
Zenzero...forte,
deciso
e
particolare.
Questo
il carattere ed il gusto
della prossima stagione
artistica dello Zenzeroclub
- www.zenzeroclub.it - in via
traversa Colletta 12 a Bari,
determinata
soprattutto
dalla presenza di ospiti
nazionali e internazionali,
tale da richiamare da
tutta l’area sud italiana un
pubblico attento alle proposte di qualità operate
nel cartellone in programma, nel prossimo inverno. Si
inizia ad ottobre...Sister Bliss Faithless, Orbital, Morgan,
Layo&Bushwacka,
Richard
Dorfmeister,Swayzak
live set, Darren Emerson Underworld, The Tarantinos
Kill Bill Partyla notte di Halloween, Supersystem, Ben
Ayers Cornershop ed ancora gruppi italiani come
Perturbazione, Marco Parente, Max Gazzè, Mauro
Ermanno Giovanardi (La Crus) con il suo progetto
Cuore a Nudo...a seguire in ogni serata dj set e vj set!
Lo Zenzero si identifica sempre più come un superclub
in grado di supportare con la propria struttura, in
linea con gli altri club internazionali e grazie alla
collaborazione di un gruppo di professionisti, una
produzione di eventi particolari e richiesti in forma
esclusiva per la Zenzero Production.
venerdì 14 - danza
Il mito dei beat ai Cantieri Koreja di Lecce
La compagnia Nuova Euroballetto di Roma presenta
lo spettacolo Il mito dei beat. “È stato davvero
piantato l’ultimo chiodo della bara degli anni 60 così
come intendeva Mark David Chapman quando ha
sparato cinque colpi di pistola su John Lennon?”.
sabato 15 - danza
L’angelo Terreno ai Cantieri Koreja di Lecce
La Compagnia romana Euroballetto propone un
nuovo spettacolo ai Cantieri Koreja nell’ambito
della rassegna Open Dance. Un lavoro tratto da
“La buona novella” di Fabrizio De Andrè e scritto da
Marco Realino. L’angelo Terreno è un omaggio al
poeta della canzone italiana e a sentimenti eterni da
lui tante volte cantati come amore e passione.
sabato 15 - musica
FabulaRasa alla Saletta della Cultura di Novoli (Le)
La rassegna
Tele
e
ragnatele
della Saletta
della Cultura
di
Novoli
prosegue con
i Fabularasa.
Nel
dna
del gruppo
pugliese
si fondono la dedizione al jazz, la curiosità per le
musiche etniche del mondo, gli studi in conservatorio
e la passione per la canzone d’autore. I Fabularasa
recentemente hanno vinto il Premio Recanati. La
Saletta della Cultura Gregorio Vetrugno è in via
Matilde 7 a Novoli. Inizio ore 21.30. Ingresso 10 euro.
Info 347 0414709 – [email protected].
domenica 16 - lunedì 17 - danza
Drunk ai Cantieri Koreja di Lecce
La quarta edizione della rassegna Open Dance si
chiude con un doppio spettacolo della compagnia
modenese Tir danza: Drunk, di e con Elisa Canessa
e Francesco Manenti, e 250 cm fuori dal gruppo
di e con Martina La Ragione, Lullo Mosso, uno
spettacolo che coniuga in maniera esemplare
danza e musica.
martedì 18 – cineforum
I tempi che cambiano di Andrè Techinè al Cinema
Santa Lucia di Lecce
mercoledì 19 - musica
Sheila Jordan with E.S.P. Trio al Uéffilo di Gioia del
Colle (Ba)
Sonic the tonic al Caffè Letterario di Lecce
mercoledì 19/ domenica 23 – teatro
Concha bonita di Alfredo Arias al Teatro Piccinni di
Bari
giovedì 20 - cineforum
L’orizzonte
degli
eventi
di
Daniele
Vicari
all’Antonianum di Lecce
giovedì 20 - musica
The Boxer Rebellion a Lecce
Rock e roll con elementi elettronici. È questo il sound
dei britannici “The boxer rebellion” che arrivano per
la prima volta in Italia. Quattro date per suonare il
loro esordio discografico. Exits (vedi recensione a
pagina 11) sarà presentato anche a Lecce in un
concerto firmato Coolclub. Un cantante americano,
un chitarrista australiano e due inglesi e la mano
di Alan McGee, l’uomo che ha lanciato gli Oasis,
ha scoperto i Libertines e padrino della gran parte
della nuova scena rock inglese. L’appuntamento è
al Candle (ma con possibilità di spostamento). Inizio
ore 22.30. Ingresso 5 euro. Info 0832303707 – www.
coolclub.it
da venerdì 21 a giovedì 27
Film Maker – festival. Festival del cinema indipendente
al Kursaal Santalucia di Bari
venerdì 21 – musica
The white stripes a Paladozza di Bologna
Unica data italiana per il duo formato dai fratelli
White. Jack e Meg presenteranno il nuovo lavoro Get
behind me Satan
sabato 22 - musica
Cruentus e Raza De Odio all’Istanbul Cafè di
Squinzano (Le)
Metal
allo
stato
puro
all’Istanbul Café
di
Squinzano
con un doppio
concerto
da
non
perdere.
Sul palco i Raza
de odio e i
Cruentus. I Raza,
nati ufficialmente
nell’aprile del 2002, fondono, in una nuova miscela
musicale, la chitarra spagnola e il metal più estremo,
con l’influenza di gruppi come Soulfly, Ill niño, Puya,
Brujeria. I Cruentus sono una band messicana che
propone un metal che può essere considerato tra il
sinfonico e il melodico e include liriche che lanciano
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CoolClub.it
messaggi di libertà in tutte le sue espressioni. C’è la
possibilità che il concerto venga spostato, si consiglia
di contattare lo 0832303707 oppure il sito 3394313397.
Inizio ore 22.30. Ingresso 5 euro.
domenica 23 ottobre – musica
Linea 77 al Teatro Kismet di Bari
I Linea 77 approdano a Bari con il tour di presentazione
del loro nuovo album Available for propaganda (vedi
recensione). In apertura Cruentus e Raza de Odio.
Nessun popolo oppresso all’Auditorium Vallisa di Bari
martedì 25 – cineforum
Le avventure acquatiche di Steve Zissou di Wes
Anderson all’Antonianum di Lecce
mercoledì 26 – musica
Zanca al Caffè Letterario di Lecce
giovedì 27 - cineforum
Heimat 3 di Edgar Reitz all’Antonianum di Lecce
venerdì 28 -musica
Sud Sound System al Planet di Lequile (Le)
Ultimo live della stagione per i Sud Sound System
che chiudono il
tour in Salento. Il
Planet di Lequile
ospita il concerto
della
storica
band salentina
che è riuscita a
fondere il dialetto
alle
sonorità
giamaicane
portando
in
tutta Italia e anche all’estero i ritmi contaminati. I
Sss presenteranno, oltre ai loro cavalli di battaglia, i
brani contenuti nel loro nuovo album “Acqua pe sta
terra”. Questo nuovo cd è un disco dance hall più
maturo rispetto ai precedenti: il sound e l’aggressività
sono più marcati ed arrivano dritti al cuore, grazie
alla calda ed avvolgente voce di Nandu Popu e
a quelle più incisive e taglienti di Don Rico e Terron
Fabio. L’album è impreziosito dal contributo di illustri
artisti del panorama reggae come Luciano, Chico,
Anthony Johnson e General Levy. Inizio ore 22.30.
Ingresso 10 euro.
venerdì 28 – musica
Mashrooms al Palmares di Brindisi
Alva Noto e Ryuichi Sakamoto (Timezones) al
Palamartino di Bari
sabato 29 – domenica 30 - musica
I Pescecani della Compagnia della Fortezza al Teatro
Kismet di Bari
sabato 29 - musica
Note a margine al Palazzo della Cultura di Galatina
(Le)
Il brindisino Amerigo Verardi, il leader dei Diaframma
Federico Fiumani, la cantautrice Cristina Donà e il
musicista inglese Iain Matthews sono gli ospiti della
seconda edizione di “Giovani e…” la manifestazione
organizzata dall’assessorato alle politiche giovanili
e dal Progetto giovani del Comune di Galatina
in collaborazione con la cooperativa Coolclub. Il
programma della serata prenderà il via alle 20.00
con l’intervento dei giornalisti musicali Giancarlo
Susanna e Davide Sapienza e dei quattro musicisti
che discuteranno del rapporto tra parole e musica
e lo scambio tra la letterature e le canzoni nella
tradizione italiana e internazionale. Alle 22.00 seguirà
il concerto che vedrà impegnati gli artisti in set
acustici. L’appuntamento è nell’atrio del Palazzo
della Cultura di Galatina. Ingresso gratuito. Info
0832303707 – www.coolclub.it.
sabato 29 – teatro
Via ai Cantieri Koreja di Lecce
Lo spettacolo Via della compagnia Koreja, scritto e
interpretato da Fabrizio Saccomanno sulla tragedia
di Marcinelle di cui proprio quest’anno ricorre il
cinquantesimo anniversario inaugura il 29 ottobre
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la stagione teatrale Strade Maestre, promossa in
collaborazione con Provincia di Lecce, Regione
Puglia, Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
domenica 30 – cinema
Giovani e… al Palazzo della Cultura di Galatina (Le)
Seconda serata per Giovani e…dedicata al
cinema. I ragazzi del Progetto Giovani di Galatina
presenteranno gli spot dedicati alla città e realizzati
dopo un corso tenuto dall’attore e regista salentino
Ippolito Chiarello. Inizio ore 20.30. Ingresso gratuito.
Info 0832303707 – www.coolclub.it.
domenica 30 ottobre - musica
Chris Leo (van pelt-lapse) alla Taverna del Maltese
di Bari
lunedì 31 ottobre - musica
Sanscemo alla Masseria Montearso di Erchie (Br)
Sanscemo è un festival che si tiene da 8 anni ad
Erchie e impegna alcuni erchiolani e non, a proporre
sul palco uno spettacolo di qualsiasi tipologia artistica
sempre nel segno della demenzialità. Quest’anno
omaggio a er Bombolo.
novembre
venerdì 4 novembre - musica
Need new body (Usa) al Target club a Bari/Valenzano
Concerti
Electrodance alla Kraftwerk,
p s y c h e d e l i a
radioattiva
alla
Red Krayola, fughe
incalzanti
alla
Thinking Fellers Union,
dada-punk, lo-fi al
fulmicotone, esilaranti
interludi per piano
e voce o per solo
banjo, brandelli di free-jazz e parodie della Arkestra
di Sun Ra. Tutto questo sono i Need New Body, da
Philadelphia: un gruppo mosso da sacro furore!
“Come un raggio laser emanato da Dio per salvarci
dalle giungle della noia”
La redazione di
CoolClub.it non
è responsabile di
eventuali variazioni o
annullamenti.
Gli altri appuntamenti
su www.coolclub.it
Per segnalazioni:
[email protected]
5 novembre - musica
La camera migliore all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le)
La Camera Migliore si forma nella provincia fiorentina
con un organico comprendente Georgia Costanzo
(voce), Francesco Fanciullacci (chitarra) Marco
Balducci (chitarra), Matteo Giannetto(basso), e
Davide Miano (batteria). Recentemente è uscito il
loro nuovo singolo Il fannullone.
Lydia
Lunch
(Timezones)al
Palamartino di Bari
Lydia Lunch è stata, e forse sarà
sempre, il simbolo di un’epoca in
cui New York fu culla dominante
della cultura, divisa tra gli
esperimenti visivi di Richard Kern e
la disillusione di Jim Jarmusch, tra
le Waves (New o No che fossero)
musicali e gli ultimi rigurgiti di poesia
Beat. Un personaggio fondamentale per capire la
profonda trasformazione del rock negli anni 80 e la
riproposizione dei giorni nostri (interpol ecc.ecc.).
domenica 6 novembre - musica
Langhorne slim a Bari
Domenico Lancellotti, Moreno Veloso e Alexandre
Kassim (Timezones) al Palamartino di Bari
lunedì 8 novembre - musica
Akron/family (young god-usa) alla Taverna del
maltese di Bari
mercoledì 9 - musica
Dado Moroni - Giuseppe Bassi - Billy Drummond al
Uéffilo di Gioia del Colle (Ba) www.controweb.it
Sold out lo storico programma di Controradio (Bari
97.300 - Bari Sud 97.200) condotto da Carlo Chicco
compie 10 anni!!!! Dai primi passi mossi nel lontano
‘95, dopo anni di interviste e musica riprende il
programma di punta dell’emittente barese che
quest’anno giunge alla sua decima edizione! Sold Out
in questi anni è cresciuto insieme ai suoi ascoltatori
raggiungendo traguardi inizialmente mai ipotizzati!!!!
...preparatevi al party celebrativo!!!!! in onda per la
stagione 05/06 dal lunedì al venerdì dalle 18.30 alle
19.30 in collaborazione con la rinomata rivista Blow
Up e con dei partners d’eccezione...stay tuned....
CoolClub.it
Frank Miller: tra fumetti e cinema
di Roberto Cesano
Il successo planetario del film Sin City (2005) ha
dato notorietà al creatore del celebre fumetto,
lo statunitense Frank Miller. Miller è una star
dei comics, autore e disegnatore di dozzine
di titoli che hanno rivoluzionato il medium
fumettistico. La riuscita del lungometraggio,
da lui codiretto assieme a Robert Rodriguez
(El Mariachi, C’era una volta il Messico) lo
ha lanciato nel panorama cinematografico.
Tuttavia, il fumettista ha avuto sempre una
carriera legata al cinema: Miller, negli anni ’80,
firmò la sceneggiatura di Robocop II, la quale
fu devastata dai produttori. Le pellicole Devil
(2003) ed Elektra (2004), ispirate agli omonimi
personaggi della Marvel Comics, sono basate
su storie e character da lui creati. Batman
Begins di Cristopher Nolan, campione di incassi
la scorsa primavera, è in parte ispirato alla
miniserie Batman: Year One (1986). Come lo
furono gli inquietanti Batman (1989) e Batman:
Return (1991) di Tim Burton, girati sulla scia della
graphic-novel Dark Knight return di Miller. Ancor
più importante è la basilare contaminazione
col cinema che Miller ha usato sulle sue
pagine: egli imposta le vignette attraverso un
vero e proprio montaggio ed una prospettiva
di stampo filmico. Le stesse trame sono un
omaggio al genere cinematografico prediletto
dall’artista, il noir. Il percorso che lo ha condotto
da un medium all’altro appariva inevitabile:
Sin City, fumetto nato agli inizi degli anni ’90,
edito dalla Dark Horse (la stessa dell’Hell-Boy di
Mike Mignola, anch’esso da poco portato al
cinema), scaturisce
dalle suggestioni
cinematografiche
di Miller, dalle
sue ossessioni più
profonde, in bianco
e nero. Nella città
del “peccato” (Sin)
vanno in scena gli
archetipi del noir:
dalla corruzione
e dall’esercizio
coercitivo e brutale
del potere da
parte di ogni tipo
d’autorità (forze
dell’ordine, la
chiesa, i politici)
alle femmes fatales
letali e bellissime,
sino alle prostitute
dal cuore d’oro
ed una tempra
d’acciaio (se lo avete visto, ricorderete il
piglio feroce e sensuale della sado-maso Gail
/ Rosario Dawson). Ma, soprattutto, la città
come entità viva e pulsante, protagonista attiva
all’interno dell’economia della storia. Sin City
è una fucina di vicende umane, le abbraccia
in sé e le rigurgita in un violento conato di
nichilismo e desiderio; essa contiene le eterne
meccaniche di potere che muovono amore
e morte ed il destino dell’uomo. Come nel
miglior film noir che abbiate mai visto. Credo
che nasca dalla natura filmica di tale opera la
volontà del suo plasmatore di trasportarla con
le proprie mani in un film. E poi, siamo franchi,
per un fumettomane come il sottoscritto, il 90%
dei comics-movie
sono imprecisi e
mal riusciti; persino
un’operazione
ambiziosa come
Batman Begins evidenzia una qualità
altalenante. Incredibilmente migliori sono i
risultati di pellicole che poco hanno a che
fare col fumetto da cui sono tratte, come
il Costantine (2004) con Keanu Reeves, il
quale ricorda appena vagamente la collana
Hellblater. Sin City è l’esatto opposto; più
che un film, è la dettagliata trasposizione,
vignetta per vignetta, di tre saghe: Sin City,
Quel bastardo giallo e Un’abbuffata di Morte.
Gli stessi attori divengono identici ai
personaggi disegnati dalla matita di
Miller, quali il Marv di Mickey Rourke,
la Nancy di Jessica Alba o il Dwight di
Owen Wilson. Il film è divenuto la copia
speculare dell’omonimo cartaceo, in
una traduzione letterale, fedele anche
nella fotografia in bianco e nero con rari
sprazzi di colore. Paradossalmente Miller
e Rodriguez hanno escluso il volume che,
più di tutti, è un omaggio al cinema noir,
Una donna per cui uccidere, nel quale
un “occhio privato” (Dwight) è irretito da
una dark lady, Ava, ispirata alla Barbara
Stanwick (la ‘madre’ di questa tipologia
di donne sullo schermo) de La fiamma
del Peccato di Billy Wilder, che regge le
fila di un piano sadico e senza scrupoli,
totalmente basato sul suo sex-appeal. Al
di là d’ogni considerazione personale,
resta l’affermazione d’un autore
poliedrico qual è Miller, e del coraggio
di Rodriguez. Infatti non è risaputo che
Rodriguez, pur di far lavorare come regista
Miller, non iscritto alla potente associazione
dei registi d’America, ha rinunciato al rapporto
con la propria casa di produzione ed alla regia
della pellicola John Carter su Marte (tratto,
guarda caso, da un fumetto). Non c’è che dire,
l’audacia dei due è stata premiata.
In attesa di un secondo capitolo?
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