LA NATIVITÀ E L'ADORAZIONE DEI MAGI La parete centrale della Cappella Baglioni raffigura l'episodio della nascita di Gesù a Betlemme. Ecco come lo racconta l'evangelista Luca. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia alloro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere". Andarono dunque senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino, che giaceva nella mangiatoia. E, dopo averlo visto, riferirono ciò che del Bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupi- rono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, come era stato detto loro (2, 8-20). L'affresco presenta una duplice scansione narrativa: l'una cronologica, perché i vari episodi raffigurati accaddero in tempi successivi; l'altra di natura spaziale, per i diversi livelli prospettici degli stessi episodi. L'attenzione dello spettatore, anzitutto, s'incentra sul Bambino proteso verso la Madre. Non è adagiato in una mangiatoia, com'è detto nel vangelo, ma sopra un tenue velo steso su un prato fiorito. Maria lo contempla in atteggiamento adorante, Il manto che indossa è il medesimo della scena precedente, impreziosito però da una stella sulla spalla sinistra. Il volto della Vergine appare qui ancor più luminoso e giovane che nella precedente scena dell'annunciazione per significare che, nel passaggio attraverso il grembo della madre, il Figlio di Dio ha esaltato e reso più luminosa la sua umanità, come accade alla lucentezza di un cristallo attraversato da un raggio di luce. Dietro di lei un anziano Giuseppe (ma il vangelo non dice affatto che fosse tale) osserva pensieroso la scena, quasi in disparte. Egli sa di non essere genitore del Bambino; ma sa che dovrà fargli da padre. E lo farà dandogli la discendenza davidica, una casa, nutrimento e protezione. Nessuna parola di quest'umile falegname registrano gli evangelisti, e pochi sono gli avvenimenti in cui appare come protagonista: il viaggio da Nazaret a Betlemme per il censimento, la fuga in Egitto, la presentazione al tempio e il successivo ritrovamento. L'eccezionale grandezza di Giuseppe - che il vangelo qualifica come "uomo giusto" - sta in ciò che costituisce la vera santità di ogni cristiano: ascoltare Dio che parla e compiere la sua volontà. E Giuseppe la compì accettando di sposare Maria incinta, accogliendo gli inviti a fuggire in Egitto per salvare Gesù e poi a ritornare in Galilea, come pure in ogni altro momento della sua vita familiare e lavorativa. Uno dei due angeli inginocchiati dietro al Bambino sorregge due lembi del lino sul quale egli è adagiato. La croce dorata impressa sul velo ne prefigura la morte sul Calvario. A questo segno sacrificale si aggiungono altri due: i due vicini tronchi di legno sovrapposti a forma di croce e le due tegole sopra il tetto di paglia della grande capanna. In primo piano, alcuni pastori sostano in ginocchio di fronte al Bambino. Il più vicino prega compunto; quello col cesto di viveri guarda distrattamente altrove; il terzo, chiacchierando, addita la scena. "C'erano in quella regione - si legge nel vangelo secondo Luca: Alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e (. . .) furono presi da grande spavento. Ma l'angelo disse loro: 'Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia. (. . .) Andarono dunque senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano" (2, 8-18). In Palestina i pastori avevano cattiva reputazione. Analfabeti e poveri, conoscevano solo pecore e pascoli; spesso anche quelli degli altri. Erano per questo considerati anche ladri e facinorosi. Dio però li considerava ben diversamente se, per diffondere la notizia di quella nascita, mandò a loro l'invito piuttosto che ai maggiorenti del tempo. Coloro che nei tribunali del tempo erano esclusi anche come semplici testimoni, diventano ora testimoni di un evento che avrebbe cambiato la storia umana. Raccontando ciò che hanno visto e udito, diventano i primi evangelizzatori della Chiesa. In secondo piano, sulla sinistra, è raffigurato il corteo dei magi. Si legge nel vangelo secondo Matteo che in quei giorni" alcuni magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo" (2,1-2). Li vediamo tra le prime figure di un corteo orientato verso il Bambino. Il termine "magi", di origine persiana, indicava una casta di sapienti dediti all'interpretazione dei sogni, alla magia e all'astrologia. Da dove giungessero non si sa; alcuni pensano dall'Arabia, altri dal- la zona del mar Morto. La tradizione (ma non il vangelo) tramanda il loro ruolo (erano re), i loro nomi (Gasparre, il più anziano, con l'oro; Baldassarre, il moro, con l'incenso: Melchiorre, il più giovane, con la mirra), e il loro numero: tre. L'oro simboleggiava la regalità, l'incenso la divinità, la mirra (resina odorifera usata come profumo, rimedio per i malati e unguento per i morti) la natura umana di Gesù e la sua passione e morte. I magi sono dunque personaggi rivestiti di fantasie folcloristiche. Ma se l'enigma della loro patria è irrisolto, il loro pellegrinaggio guidato dalla stella (il vangelo non parla di cometa) resta il simbolo del nostro viaggio verso la Luce e la Verità: il Signore Gesù. Ancora su questo livello, a destra, vediamo una capanna, con due possenti colonne asimmetriche. Il tetto in parte sconnesso simboleggia l'antica Alleanza ormai decaduta. All'interno, i due classici animali del presepio: il bue e l'asino. La capanna e gli animali però, pur tanto cari alla tradizione iconografica cristiana e immancabilmente presenti in ogni presepio, sono del tutto assenti nei racconti evangelici. Di essi parlano alcuni libri dei primi secoli detti “apocrifi” (cioè nascosti) in quanto infarciti di episodi fantasiosi e perfino stravaganti. Sulla base di un testo del profeta Isaia: (“Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende'), nelle rappresentazioni della natività sono stati messi i due animali in contrapposizione agli uomini, del tutto assenti da quell'evento e distratti dai loro affari. Una interpretazione medievale, invece, considera il bue come un animale sacrificale (allusione alla morte di Gesù, richiamata nello stesso affresco dai due legni in croce davanti alla capanna, oltre che dalla croce sul velo sorretto dall'angelo dietro la figura del neonato) e l'asino come l'animale da soma (allusione al carico della croce, e soprattutto dei nostri peccati, portato da Gesù sul Calvario). Il pavone poi, sul tetto della stessa capanna, più che un elemento decorativo è un simbolo cristologico sia della trasfigurazione sia della risurrezione. Quando infatti dispiega a ventaglio il variopinto piumaggio, il pavone si trasforma. E poiché anticamente le sue carni erano ritenute incorruttibili, nella iconografia cristiana esso divenne anche simbolo della vita eterna (in questo senso è talvolta raffigurato sulle lampade votive accanto alla fiamma, simbolo anch'essa di vita). La tradizione del presepio, che in seguito a ciò che fece Francesco d'Assisi a Greccio nel 1223 si è diffuso in tutto il mondo cristiano, è certamente buona. Ma esso deve farci guardare il Natale di Gesù non come una festa sentimentale e folcloristica (la festa dei bambini, come spesso si sente dire), ma come un avvenimento decisivo della storia. Il figlio di Dio si è fatto uomo perché, unito a lui, anche tu, guardando l'affresco del Pinturicchio, possa accogliere il dono di diventare figlio di Dio. E per concludere la lettura teologica di questa rappresentazione ascolta ciò che scrive il dottore della Chiesa S. Agostino (354-430): "Suègliati tu che dormi. Per te Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre, se egli non fosse nato nel tempo. Non avrebbe liberato dal peccato la tua natura, se non avesse assunto una natura simile a quella del peccato. Una enorme miseria ti avrebbe posseduto, se non ti fosse stata elargita questa misericordia. Non avresti riavuto la vita, se egli non sifosse incontrato con la tua stessa morte. Saresti venuto meno, se non ti avesse soccorso. Saresti perito, se non fosse venuto".