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World Marketing & Sales Forum
Il marketing del caos
Quali suggerimenti può offrire il marketing per uscire dalla crisi e fare innovazione? Sempre che la crisi non abbia colpito anche lui, visto che c’è chi lo dava per morto. Ma i guru del settore sono arrivati a
Milano per annunciare lo stato di salute della disciplina nel corso dell’edizione 2009 del World Marketing & Sales Forum, organizzata da HSM.
di Raul Alvarez
Si è svolto a Milano il World
Marketing & Sales Forum, un appuntamento fisso organizzato da
HSM che si rinnova ormai da diversi anni. Ospite d’onore dell’edizione
2009 è stato Philip Kotler, il padre
del marketing, scrittore infaticabile e
conferenziere. Al World Marketing
& Sales Forum ha annunciato il suo
nuovo libro che ha come tema il marketing ai tempi del caos. Lo accompagnavano Fernando Trias de Bes,
economista e professore di marketing,
autore di favole manageriali di successo, che con Kotler ha firmato il libro Marketing laterale; Andris Zoltners, collega di Kotler, che insegna
■ Tom Kelley, partner di IDEO ed esperto
di innovazione.
marketing presso la Kellogg School
of Management della Northwestern
University e che a Milano si è esibito in una lezione accademica su come ottimizzare le performance della
forza vendita, con una quantità di parole e di slide da mandare in tilt anche l’uditore più attento: riassumere
la sua lezione è impossibile; Tom Kelley, partner di IDEO ed esperto di innovazione; e infine Anders Knutsen,
ex Ceo di Bang & Olufsen, che ha
raccontato come è riuscito a salvare
l’azienda da un periodo di grossa crisi. Gli stimoli non sono mancati, anche se non sempre le attese sono state ripagate. Di seguito ripercorriamo
alcuni dei principali interventi, a cominciare da quello di Tom Kelley.
I dieci volti dell’innovazione
secondo Tom Kelley
Sale sul palco con lo slancio
di un acrobata e un sorriso accattivante che sprizza allegria. La prima
cosa che salta agli occhi è il suo look:
una cravatta formato arcobaleno e un
paio di baffi degni di Groucho Marx.
La seconda è lo stile accattivante con
il quale intrattiene per oltre un’ora
un pubblico preoccupato della recessione, in cerca di ricette e di consigli
spicci per far fronte alle angustie del
momento.
In Italia Tom Kelley non è
molto conosciuto. Da noi è arrivato
il suo libro più famoso, I dieci volti
dell’innovazione, edito da Sperling &
Kupfer, oggi esaurito sebbene sia uscito solo tre anni fa. Eppure la sua fama internazionale è indiscussa. Nominato primo degli Executive Fellow
della Haas School of Business dell’University of California di Berkeley,
è General manager di IDEO, rino■
10 ■
mata azienda di design che ha creato
il mouse Apple, l’instant camera iZone di Polaroid, il Palm V e centinaia
di altri prodotti e servizi all’avanguardia. Insieme al fratello David,
fondatore di IDEO, Tom è riuscito a
gestire l’azienda facendola passare da
un team di 20 designer a uno staff di
350. È stato responsabile di diverse
aree tra cui business development,
marketing, risorse umane e operazioni. Negli ultimi dieci anni IDEO ha
vinto più premi di qualsiasi altra azienda di design. Insomma, è un personaggio cui non mancano i numeri.
Come inizia a parlare, entra subito
nel suo tema preferito: l’innovazione,
come, quando e perché realizzarla.
“Nei sondaggi annuali della
Boston Consulting con i Ceo più
importanti del mondo c’è un dato
che ricorre: l’85% dei dirigenti afferma che l’innovazione è la principale qualità di un’azienda. Eppure
la pratica invalida questo dato. Come si spiega?”.
Kelley ha una sua idea in proposito: nella quotidianità i manager
sono pressati dalle cose urgenti e mal
pianificate. Quelle, per intendersi, che
finiscono per divorare tutto il loro
tempo e le loro energie, diventando
priorità che non lasciano spazio al resto. L’innovazione, insomma, è considerata un’attività importante ma
non urgente. Di conseguenza finisce
per essere messa da parte, rinviata o,
più spesso, dimenticata. Ma così facendo, prima o poi una concorrenza
aggressiva e più lungimirante ci sottrae importanti quote di mercato. A
quel punto parte la reazione, ma potrebbe essere troppo tardi, e le capacità di risposta non all’altezza della
concorrenza. La storia recente è pie-
World Marketing & Sales Forum
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■ l dieci volti dell’innovazione
individuati da Tom Kelley.
na di casi del genere. Kelley cita uno
dei più eclatanti, quando nel 2005 il
valore del brand Samsung superò
quello della Sony.
Dalle misurazioni Interbrand,
ricorda, fino al 2001 Sony risultava
essere il leader mondiale, con un valore del marchio stimato in 17 milioni di dollari. Tutti volevano prodotti Sony, l’azienda si è sentita sicura di sé ed è rimasta chiusa nel suo orgoglio, vittima dell’autocompiacimento. Nel frattempo Samsung aveva avviato un grosso processo d’innovazione, ha iniziato a creare dei Design Center, e all’improvviso, nel
2005, per la prima volta nella storia
il valore del marchio Samsung ha superato quello della Sony. “Se avete
successo”, avverte Tom, “c’è sempre
chi cercherà di emularvi per sottrarvi quote di mercato. Dovete essere innovativi, non vittime dell’innovazione. Ma non basta fare un po’ di innovazione ogni tanto: occorre andare al doppio della velocità dei vostri
concorrenti”.
Avendo lavorato su 4.000 progetti, Tom Kelley ha individuato cosa funziona di un’innovazione e cosa
no. Alla fine è giunto a prefigurare i
dieci fattori che la favoriscono. Da
questa scoperta è venuto fuori un libro che è diventato subito best seller.
“Ho suddiviso i dieci volti dell’innovazione in tre macro-categorie”,
spiega. “La prima è ‘il ruolo dell’apprendimento’ che ci dice come le organizzazioni apprendono. Alla base
di questo ruolo ci sono tre funzioni
essenziali che ho chiamato l’antropologo, lo sperimentatore e l’impollinatore trasversale. Poi c’è ‘il ruolo del■ L’impollinatore trasversale: come
trasferire per analogia le idee da un
settore all’altro, per esempio da
quello automobilistico a quello
medico.
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11 ■
l’organizzazione’, quello più ignorato. Le funzioni che sottostanno a questo ruolo sono l’ostacolista, il collaboratore e il regista. Infine c’è il ‘ruolo del costruttore’ che mette insieme
gli ingredienti per creare qualcosa di
buono. Questo ruolo dà vita ad altre
quattro funzioni: l’architetto dell’esperienza, lo scenografo, il premuroso e il narratore”.
“Questi tre ruoli e le loro funzioni non sono mai statici”, avverte
Tom. “A volte dovrete passare da un
ruolo all’altro. Nei team orientati all’innovazione occorrono persone capaci di ricoprire diversi di questi ruoli. Ognuno comporta uno specifico
stile di pensiero e di comunicazione.
Spesso i problemi nascono quando le
persone non riescono a passare da un
ruolo all’altro”.
Ma c’è un altro ruolo, al di
fuori di quelli elencati, che può diventare una minaccia: l’avvocato del
diavolo, quello che fa le pulci alle decisioni del team, che scova le cose che
non vanno. Non c’è nulla in una riunione che faccia più tremare della persona che, quando la decisione sembra raggiunta, si alza e dice: “Vorrei
fare l’avvocato del diavolo”. Eppure
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World Marketing & Sales Forum
anche lei svolge una funzione importante, basta saperla gestire. Dopotutto, senza l’avvocato del diavolo c’è il
rischio che una buona idea fallisca per
eccesso di ottimismo.
Dopo questa avvertenza, Tom
Kelley passa a descrivere nei dettagli
i ‘dieci volti’ da lui riconosciuti come
funzioni chiave di ogni innovazione.
1. L’antropologo. “È il ruolo che preferisco”, confessa Kelley,
“quello che molti danno per scontato. Invece è il più importante nel processo di innovazione. L’antropologo
va sul campo, osserva come i clienti
usano i prodotti, fotografa, individua
i problemi e trova le innovazioni da
apportare. La sua metodologia è la seguente: prima comprende, poi osserva e interpreta (attraverso una sintesi), in seguito visualizza, immagina il
prototipo, lo valuta, lo raffina, infine
lo implementa. L’antropologo non fa
molto affidamento sulle dichiarazioni emerse nei focus group, preferisce
osservare il cliente nel suo habitat quotidiano, vederlo all’opera mentre utilizza il prodotto. È solo osservando
che possiamo scoprire quali innovazioni apportare. Raramente possiamo
■ Lo spazzolino Oral B per bambini e
l’innovazione del manico progettato
dalla IDEO per facilitare la pulizia
orale.
ottenere una risposta dal cliente perché spesso nemmeno lui sa ciò di cui
ha bisogno. Un consiglio: se volete
seguire l’approccio antropologico dimenticatevi di ciò che già conoscete
benissimo. Imparate a guardare le cose vecchie con occhi nuovi. Lo sguardo dell’antropologo sa cogliere una
potenzialità latente in un prodotto.
Anni fa lavoravamo per la direzione
marketing della Oral B. Ci avevano
chiesto di escogitare un’innovazione
che rendesse il loro prodotto competitivo. Ma lo spazzolino ormai è una
commodity ed è difficile competere
con le commodity, si può far giusto
leva sul prezzo. E quando il concorrente è cinese allora anche questo diventa impossibile. Ci mettemmo al
lavoro. Osservando i bambini mentre si lavavano i denti ci siamo accorti che, avendo le mani piccole, non
prendono lo spazzolino con la punta
delle dita come gli adulti: lo afferrano con tutte le mani e, per non farlo
scivolare, hanno bisogno di un ma-
■ L’esempio di Expò: anche da un prototipo brutto si può cavare fuori qualcosa
di buono. Bisogna solo valutare bene l’idea. L’importante è costruire
qualcosa che si possa migliorare e sviluppare.
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nico grassottello con spazi poggiadita per non sfuggire alla presa. Ridisegnammo il manico e questa innovazione fu un vero successo. Ora è un
design diffuso, ma siamo stati noi i
primi a inventarlo”.
2. Lo sperimentatore. È quello che trova soluzioni per prova ed errore. Si tratta di una funzione importantissima per l’innovazione. Naturalmente comporta dei rischi, ma
nessuna attività di ricerca può eluderli. Thomas Edison, l’inventore della lampadina, nella sua vita ha registrato un numero altissimo di brevetti. Prima di arrivare a una scoperta ne ha fatti di passi falsi. Ma aveva
un atteggiamento positivo – inevitabile negli sperimentatori – e quando
un esperimento non riusciva, continuava a dire a sé stesso: “Non ho fallito, ho solo scoperto un altro modo
per non inventare la lampadina”.
“Ma attenzione, c’è una bella
differenza fra fallimento ed errore”,
puntualizza Kelley. “Il fallimento è
qualcosa che non funziona ma che almeno ti ha insegnato qualcosa, mentre l’errore non insegna mai nulla.
L’errore è un fallimento ripetuto”.
“Tempo fa”, ricorda Kelley,
“abbiamo lavorato per lo start-up di
Expò, un prodotto per la chirurgia
del setto nasale. Nella prima settimana abbiamo fatto un po’ di antropologia. Un ingegnere del team è andato sul campo a osservare i chirurghi
all’opera. Dopo qualche giorno si è
presentato con uno dei più brutti prototipi che abbia mai visto: un tubetto del prodotto Expò con un manico
retto da una molletta da bucato. Lo
World Marketing & Sales Forum
■ I dieci volti dell’innovazione è il libro
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Intervista a Tom Kelley
più famoso scritto da Tom Kelley.
MK: Cosa fa Tom Kelley per restare innovativo?
Tom Kelley: Mi sforzo di acquisire sempre nuovi
insegnamenti dall’esperienza. Non dormo sugli allori
perché tutto cambia alla velocità della luce e se non
si sta all’erta si rischia di fare la fine dei dinosauri. La
sfida di oggi è quella di trovare maestri fra i più
giovani, capaci di fornirci nuove idee e competenze
soprattutto sul mondo del digitale.
abbiamo preso tutti in giro, ma lui
non si è scoraggiato. Lo ha mostrato
ad alcuni chirurghi, chiedendo cosa
ne pensassero, e quelli hanno risposto: ‘Niente male!’. Ci abbiamo lavorato un po’ su, finché non ne è uscito fuori un strumento apprezzabile,
anche nel design. La lezione che abbiamo appreso è che anche da un prototipo brutto si può cavare fuori qualcosa di buono, bisogna solo valutare
bene l’idea. L’importante è costruire
qualcosa che si possa migliorare e sviluppare, si può arrivare a idee di successo anche con prototipi poco costosi e di facile realizzazione”.
3. L’impollinatore trasversale. “È una figura di spicco per
l’azienda, l’innovatore per eccellenza”, spiega Kelley. “Il suo talento consiste nel saper trasferire un universo
di conoscenze da un contesto all’altro, fertilizzare le idee, trovare connessioni fra settori diversi. Ragionando
per analogia, l’impollinatore trasversale individua soluzioni originali ai
problemi che è chiamato a gestire.
Così, per esempio, a un gruppo di
medici di un pronto soccorso che desideravano aumentare la propria efficienza operativa ho proposto di osservare il team della manutenzione di
Formula Uno all’opera. Fra i due settori ci sono più cose in comune di
quanto si possa immaginare. Dunque, c’è molto da apprendere. Questo modo di operare libera la mente
dalle abitudini procedurali e favorisce la creatività”.
4. L’ostacolista. È quello che
s’impegna a trovare il modo di superare o aggirare i vincoli e le sfide presenti in qualunque situazione nuova.
5. Il collaboratore. È quello
che cerca sempre di portare nuove
idee, nuove discipline, pensieri freschi per ampliare il punto di vista del
team.
6. Il regista. “In genere è il
ruolo che i miei clienti amano di più”,
assicura Kelley. “Il suo compito principale è quello di attrarre i migliori
talenti e trasformarli in ‘stelle’. Rimane dietro le quinte, ma fa apparire gli altri”.
7. L’architetto dell’esperienza. “Le persone non acquistano
solo beni materiali”, ricorda Kelley,
“comprano soprattutto un’esperienza. La gente non va da Starbucks per
bere un caffè, ci va per stare in un’atmosfera di relax e benessere. Perciò
gli innovatori non devono pensare solo a cambiare i prodotti, devono anche immaginare contesti generatori
di nuove esperienze. Quando giro per
lavoro, non scelgo un hotel per l’eleganza o la vicinanza al posto di lavoro, lo scelgo in base alla qualità del
materasso. Privilegio quelli che hanno materassi Heavenly Bed, i più comodi in assoluto. Quei materassi sono per me una garanzia di relax. È
quell’esperienza che io acquisto quando cerco un hotel”.
8. Lo scenografo. “L’ambiente fisico del posto di lavoro è in
genere è un aspetto trascurato dalle
aziende”, nota Kelley. “Eppure si tratta di una variabile importante, direi
addirittura strategica, perché le persone trascorrono molte ore della loro giornata in ufficio. Quando si arreda uno spazio lavorativo lo si tratta perlopiù come una commodity, alla stregua dell’elettricità o dell’acqua.
Ma lo spazio è qualcosa di più importante, è ‘il corpo stesso dell’organizzazione’ e crea valore alla stregua
di altre funzioni strategiche. La do■
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MK: A che livello di innovazione lavora IDEO?
Tom Kelley: Fino al 1976 ci occupavamo solo di
prodotti elettronici. Poi abbiamo cominciato a offrire
servizi bancari, trasporti ecc. Ora lavoriamo anche
sulla cultura aziendale, perché la cultura è parte
integrante del processo innovativo.
MK: In tempi di crisi come questi, quali ‘volti’
dell’innovazione le aziende devono tenere più sotto
controllo?
Tom Kelley: Naturalmente ci sarebbe bisogno di tutti
e dieci. Comunque, se proprio dovessi sceglierne
uno, in questo specifico contesto è quello che si
riferisce alle ‘regole di apprendimento’, perché i
consumatori cambiano parere da un giorno all’altro.
In un ambiente turbolento come questo occorre
apprendere velocemente.
MK: Chi è in azienda il principale responsabile
dell’apprendimento organizzativo?
Tom Kelley: Tutti sono responsabili
dell’apprendimento, nessuno escluso. Toyota
insegna. Io sono contrario a chi vorrebbe istituire un
reparto preposto all’apprendimento, perché un
reparto dedicato potrebbe deresponsabilizzare gli
altri dal farsene carico. La maggior parte dei miei
clienti hanno un funzionario responsabile
dell’innovazione che lavora trasversalmente.
MK: Come si può promuovere l’innovazione in
un’azienda stabile?
Tom Kelley: Occorre prefigurare una minaccia
dall’esterno, creare un senso di urgenza al
cambiamento. Questa almeno è la mia tattica.
MK: Come gestire la situazione quando in azienda ci
sono troppi avvocati del diavolo?
Tom Kelley: Alcuni ti fanno sentire scemo. Spesso
hanno anche critiche competenti da rivolgerti ed è
difficile contrastarli. La mia tecnica in questi casi è la
seguente: accolgo l’obiezione senza opporre
resistenza e chiedo all’‘avvocato’ cosa dovrei fare per
migliorare la mia idea. Valorizzando la sua
competenza, senza mai contrastarlo, talvolta posso
persino ottenere un’idea migliore della mia. Se
conquistate la sua fiducia, potrebbe diventare il
vostro migliore alleato.
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World Marketing & Sales Forum
■ Fernando Trias de Bes, economista
e professore associato del
dipartimento di marketing della
Business School Esade di
Barcellona.
manda che l’innovatore allora dovrebbe porsi è: come posso cambiare
lo spazio per influire positivamente
sull’atteggiamento e sulle performance
dei miei dipendenti? Naturalmente
non c’è bisogno di soluzioni costose,
talvolta bastano piccole modifiche per
influenzare positivamente la performance”.
9. Il premuroso. Quanto a
questa figura, nell’ambito della conferenza Kelley non ha detto che ruolo svolga. Forse lo ha perso strada facendo, oppure lo ha volutamente
omesso dalla rassegna per invitarci a
saperne di più leggendo il suo libro.
10. Il narratore. Bisogna saper valorizzare i cambiamenti del-
l’organizzazione con i fatti, con l’arredamento e anche con le parole. Una
funzione particolarmente efficace a
questo scopo sono le storie, che veicolano i valori culturali dell’azienda.
Spesso si pensa che i dati siano di per
sé esplicativi: non è così. Affinché restino impressi, vanno strutturati in
storie. L’elemento più profondo del
proprio marchio dovrebbe essere veicolato da un racconto accattivante,
che può farne aumentare il valore di
mercato. Una buona storia possiede
alcune caratteristiche: è semplice, ha
un finale imprevisto, è concreta, credibile, emozionante. E quando c’è
dell’emozione dentro non ci si stanca mai di riascoltarla, assicura Kelley.
L’ultimo volto dell’innovazione ha
dunque a che fare con l’affabulazione, una funzione non meno importante delle altre, considerato che attira l’attenzione e stimola la fantasia.
E l’innovazione poggia sulla fantasia
di chi dovrà attuarla.
Le idee di Fernando Trias de
Bes per il marketing
Economista, uno dei partner
fondatori della società di consulenza
Salvetti & Llombart, Trias de Bes ha
lavorato per colossi quali Danone,
PepsiCo e Sony. Insegna marketing
nella prestigiosa Business School Esade di Barcellona. Ha firmato con Philip Kotler il libro Marketing laterale,
ma la notorietà l’ha raggiunta con due
■ Il venditore di tempo, una favola
che ha realizzato un sogno:
vendere due milioni di copie in tutto
il mondo.
■ Il libro nero dell’imprenditore, un
monito a non buttarsi nell’impresa
con troppa faciloneria.
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favole manageriali: Il venditore di tempo e La buona fortuna, quest’ultima
scritta a due mani con Alex Rovira
Celma, entrambe edite in Italia da
Sperling & Kupfer. Tradotte in 35 lingue, hanno venduto milioni di copie
in tutto il mondo. Il suo ultimo libro
è uscito in Italia presso Etas, si intitola Il libro nero dell’imprenditore ed
è un manifesto dissuasivo per quanti
si imbarcano con troppa faciloneria
in un’attività imprenditoriale. Un libro quanto mai prezioso in tempi come questi.
Dello spagnolo, Trias de Bes
ha tutto: gli occhi scuri e i capelli corvini, l’esuberanza mediterranea, la determinazione un po’ sfrontata del torero che sa dove andare a colpire. Esordisce cogliendo il pubblico di sorpresa
con un paio di domande e l’invito perentorio a rispondere per alzata di mano: “Quante delle vostre aziende hanno un ufficio nuovi prodotti? Per quali delle vostre aziende il marketing è
l’area dell’innovazione? Quante del-
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■ Il negozio di Zara in via Torino a
Milano. L’innovazione della catena,
secondo Fernando Trias de Bes, è
incentrata sul modello di business.
le vostre innovazioni dipendono dalla tecnologia?”. Da una rapida conta
nelle mani alzate arriva alla conclusione che l’innovazione è perlopiù relegata all’area Ricerca e Sviluppo e ha
a che fare prevalentemente con la tecnologia. “Ridurre il marketing all’ampliamento della gamma dei prodotti è una visione miope”, constata.
“Eppure, se ben usato, il marketing
può diventare una forte leva di innovazione”.
A questo punto Trias de Bes
comincia a smontare alcune false credenze sul marketing e sui nuovi prodotti che inducono a scelte aziendali
sbagliate o perlomeno riduttive. Innanzitutto la convinzione che una cultura creativa sarà necessariamente por-
tatrice di innovazione. “È falso”, afferma senza mezzi termini. “Creatività e innovazione non sono sinonimi. Noi latini siamo molto creativi
ma poco innovativi perché non sempre riusciamo a convertire la creatività in valore per il cliente. L’innovazione è anzitutto creatività applicata.
Le culture anglosassoni sono meno
creative di noi, ma più pragmatiche
e alla fine più abili a fare innovazione. Nei reparti marketing servirebbe
una gestione attiva dell’innovazione.
Per passare con successo dalla creatività all’innovazione occorre conoscere a fondo i valori aziendali, definire
un piano strategico. Un’altra convinzione erronea è la seguente: se abbiamo una tecnologia forte anche il no-
Tav. 1: I sei propulsori dell’innovazione
Focus
sul modello
di business
}
Value
proposition
Offerta di
prodotti e
servizi
Catena di
distribuzione
Processo
tecnologico
Target
clienti
Tecnologia
applicata
{
■
15 ■
Focus
sulla
tecnologia
stro marketing sarà forte. La dipendenza dell’innovazione dalla tecnologia è pericolosa, perché quando si dipende troppo dalla tecnologia si rischia di tornare agli anni ’70, all’ottica del prodotto anziché in quella del
mercato”. Infine, l’ultima convinzione erronea è quella che afferma che il
marketing dei nuovi prodotti richiede una rivoluzione. “Non è vero”, assicura Fernando. “A fianco alle innovazioni radicali esistono anche quelle incrementali, le quali non necessariamente richiedono una rivoluzione.
Questa credenza è solo un alibi per i
manager più conservatori”.
I sei propulsori
dell’innovazione
Per sciogliere ogni equivoco
su un tema così complesso, Trias de
Bes comincia a sfoderare modelli e tabelle non prive di fascino, sebbene
non del tutto originali. La prima della serie ha un nome esuberante, “i sei
propulsori dell’innovazione”. Ed eccoci davanti a una matrice che fornisce una chiave di lettura per capire
dove si focalizza prevalentemente l’innovazione. Dei sei fattori di cui si
compone la tabella, tre sono focalizzati sulla tecnologia e gli altri sul modello di business. I primi influenzano ciò che produciamo, gli altri cosa
vendiamo. Per dare concretezza al modello, passa poi agli esempi.
“La catena Zara non ha fatto
un’innovazione di tecnologia”, spiega, “l’innovazione è centrata sul modello di business, anche se i clienti
non sono nuovi e non c’è una nuova
value proposition. La novità è nella
catena distributiva. Zara compra pochi capi di un determinato modello
e li espone. Questo numero ridotto
li rende più appetibili perché vanno
■
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World Marketing & Sales Forum
Tav. 2: Il caso Nespresso
Focus
sul modello
di business
}
Value
proposition
Offerta di
prodotti e
servizi
Catena di
distribuzione
Processo
tecnologico
Target
clienti
Tecnologia
applicata
subito a ruba e la gente indecisa negli acquisti finisce per comprare subito il capo adocchiato per evitare di
non trovarlo più in commercio. Con
questa strategia ha accelerato le decisioni d’acquisto e soprattutto ha risolto uno dei grossi problemi della distribuzione: calcolare quanto acquistare di un certo modello e come gestire le giacenze. L’innovazione in questo caso è arrivata partendo dal ragionamento sul cliente e sulla catena
distributiva”.
E ancora: Eismann commercializza prodotti surgelati vendendoli porta a porta. L’innovazione qui è
nella catena distributiva. In genere i
key account chiamano il venerdì i
clienti per telefono chiedendogli se
hanno bisogno di qualcosa e poi consegnano a domicilio, saltando la distribuzione nei negozi. Nel caso Nespresso, invece, l’innovazione investe
più variabili: la value proposition (bere a casa il caffè del bar) che, a sua
volta, incide anche sull’innovazione
del prodotto, della catena distributiva e della tecnologia di processo per
la produzione.
E dai prodotti si passa a internet. “Durante la bolla di internet”,
ricorda il professore, “le aziende con
una chiara value proposition erano
poche, si puntava perlopiù sull’innovazione tecnologica. I siti web di agenzie viaggi, libri, banche ecc. con una
valida value proposition sono i soli
■ Nespresso è un esempio di
innovazione che incrocia più
variabili, sia tecnologiche sia di
modello di business.
{
Focus sulla
tecnologia
che hanno resistito. La mia convinzione è che non si può innovare puntando sulla tecnologia senza considerare anche il modello di business. Second Life è molto popolare, ma come trasformarla in un business? Oggi ci sono molti social network, ma
qual è il loro modello di business? Dov’è la value proposition da cui verranno gli utili per l’azienda?”. Il messaggio è chiaro: l’innovazione da sola non paga.
La matrice dell’innovazione
A questo punto Trias de Bes
illustra una matrice che, combinando tecnologia e modello di business,
si rivela utile per intercettare le diverse tipologie d’innovazione. Dall’incrocio emergono tre tipi di innovazioni: radicali, semi-radicali e incrementali.
“Un cambiamento forte nella tecnologia”, spiega, “può dar vita
a un’innovazione radicale (come il
passaggio dalla pellicola alla foto digitale). Le innovazioni radicali sono
rischiose e spesso richiedono grossi
investimenti, ma se funzionano generano enormi risultati economici”.
Tuttavia le aziende non possono vivere solo di innovazioni radicali. I
cambiamenti di questo tipo riscrivono le regole del settore e, in periodi
di recessione, possono rivelarsi un
boomerang. Apple, per esempio, è
stata ‘radicale’ ma ha pagato un prez■
16 ■
zo altissimo per le sue scelte. Le innovazioni radicali creano nuovi mercati ma poi, per mantenerli, occorrono le innovazioni incrementali. Si calcola che le strategie incrementali assorbano l’80% delle risorse destinate
all’innovazione. “Tuttavia”, avverte il
professore, “le innovazioni incrementali possono rivelarsi anche una
trappola. Alcune aziende, infatti, dedicano il 100% delle proprie risorse
a questo genere di innovazione e ciò
le porta a ritardare le innovazioni radicali, trovandosi spiazzate quando
queste arrivano dalla concorrenza”.
Insomma, quella degli innovatori è
una scelta non facile e, in ogni caso,
piena di insidie.
Fare del marketing il
propulsore dell’innovazione
“Come si dovrebbe generare
e gestire l’innovazione in un reparto
marketing?”, si chiede Trias de Bes.
“In passato si pensava che per innovare bastasse un’idea brillante. Ma
non sempre le idee brillanti aumentano il fatturato. Il marketing delle
grandi idee da solo non funziona. C’è
qualcosa di più importante da considerare: la forma dell’idea, il modo cioè
in cui l’idea diventa valore agli occhi
del cliente. Quando abbiamo una
grande idea dobbiamo sempre chiederci: perché il prodotto dovrebbe essere acquistato? Se non avete una risposta difficilmente l’idea genererà
valore per il cliente. Ci sono tre ‘perché’ che spiegano le motivazioni di
acquisto: 1) perché otteniamo lo stesso prodotto a minor costo; 2) perché
otteniamo qualcosa di meglio; 3) perché lo facciamo in modo differente”.
Ma c’è un altro aspetto da
considerare: come si genera l’innova-
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Tav. 3: La matrice dell’innovazione
Modello di business
Nuovo
SEMI-RADICALE
(TGV, Internet, supporto)
RADICALE
(Actimel, foto digitale, Nespresso)
INCREMENTALE
(Nintendo DS, ricette)
SEMI-RADICALE
(Zara, Eismann)
Tecnologia
Nuova
Simile all’attuale
Simile
all’attuale
zione. “Un Thomas Edison, chiuso
nel suo laboratorio a inseguire da solo la soluzione, oggi è impensabile.
La creazione di nuovi prodotti richiede
ormai una collaborazione stretta con
i clienti. Il fallimento della General
Motors dipende anche dalla sua scarsa attenzione alla domanda, al suo essersi chiusa nell’autocompiacimento
del proprio successo. E questo nonostante la storia recente insegni come
il successo di ieri possa diventare il
fallimento di domani”.
L’innovazione all’alba del XXI
secolo reclama un ‘nuovo Rinascimento’: mettere insieme il lavoro di
persone esperte in discipline diverse
affinché condividano le proprie idee,
come ai tempi dei Medici di Firenze.
“I confini fra i diversi settori stanno
venendo meno”, spiega Trias de Bes,
“perciò cominciate a guardare oltre il
confine del vostro settore. E lasciatevi contaminare da settori diversi. Per
esempio, se operate nell’industria dell’abbigliamento, non frequentate solo le fiere dell’alta moda. Della moda già sapete tutto, bisogna semmai
essere presenti in fiere di altri settori
dove potrete trovare novità esportabili anche nel vostro ambito di attività”. In Colorado c’è un’azienda che
gestisce una pista da sci dove il direttore una volta alla settimana fa lavorare i suoi dipendenti in reparti diversi e a fine giornata chiede: come
funzionano le cose in questo reparto?
Cosa c’è di sbagliato? Come le cam-
bieresti? Se si vuole sviluppare una
mentalità innovativa, occorre incrociare le esperienze che vengono da settori diversi. Il concetto di ‘impollinatore trasversale’, di cui parla Tom
Kelley, trova in Fernando Trias de Bes
un fervido sostenitore.
co conto è: come motivare le persone all’innovazione? La ricetta di Fernando Trias de Bes è quanto mai ovvia: riconoscimento (ricompensa economica), passione, visione. Meno ovvio è ciò che aggiunge in seguito.
“Quando l’innovazione è radicale”,
spiega, “gli obiettivi di innovazione
devono essere meno definiti, qualita-
Intervista a
Fernando Trias de Bes
MK: Due dei suoi libri di maggiore successo sono
Le domande sull’innovazione
favole. Perché è di così forte impatto la narrazione in
Per fare innovazione oggi occorre la partecipazione di tutti, reti
interne all’azienda ed esterne. L’innovazione è un processo down-top
(dal basso all’alto) e le idee devono
venire da qualsiasi parte dell’azienda,
ma ci deve essere anche un processo
che le assorba e le metabolizzi. Tutto
ciò è possibile solo se l’azienda ha un
processo di innovazione definito, noto, attivato. Le domande da porci sono allora le seguenti: 1) Al momento c’è un processo di innovazione in
azienda? 2) È noto? 3) C’è un responsabile del processo? 4) Il team
coinvolto è interessato al processo?
Ma dobbiamo anche sapere:
quale e quanta innovazione vogliamo? Di che tipo (radicale o incrementale)? Intendiamo innovare per
sopravvivere o per vincere? Fino a che
punto gli obiettivi d’innovazione rientrano nelle strategie dell’azienda? Quali saranno le risorse, i responsabili e i
tempi? Insomma, a parere di Trias de
Bes senza un processo ben strutturato sarà difficile gestire qualunque processo d’innovazione.
Un altro problema di non po-
azienda?
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Fernando Trias de Bes: Sul successo delle favole
mi sono dato tre spiegazioni: 1) i libri di management
troppo spesso sono noiosi; 2) i manager hanno poco
tempo per leggere; 3) le favole, anziché parlare di
qualcosa che riguarda un settore specifico
(escludendo così dalla lettura quelli che a quel settore
non appartengono), hanno un messaggio universale
da trasmettere. E soprattutto lasciano libero spazio
all’immaginazione.
MK: Quali sono gli strumenti classici che
l’innovazione del marketing rende oggi obsoleti?
Fernando Trias de Bes: È difficile rispondere,
perché uno strumento obsoleto in un settore può
non esserlo in un altro. Gli strumenti di marketing a
disposizione sono aumentati, e questo rende più
difficile valutare quale sia il più appropriato. Ma se
dovessi sceglierne uno, direi che la parte del
marketing più soggetta a obsolescenza è la
pubblicità così come la si intendeva in passato. Infatti
molte agenzie pubblicitarie stanno soffrendo e
devono reinventare il proprio settore. Il concetto di
comunicazione è ancora quello delle ‘4 P’ e del
marketing mix. Ma anche questo concetto è
cambiato radicalmente.
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tivi e flessibili, e ciò che va ricompensato è il successo della soluzione
apportata. Per quella incrementale gli
obiettivi saranno più specifici, qualitativi e realistici, e ciò che va ricompensato è soprattutto la stabilità. Ma
la cosa più importante è ‘catturare il
valore’. Sta al marketing farlo. Le
aziende giovani sono più attratte dalla creatività, quelle mature prediligono il valore. La chiave del successo sta
nella capacità di trovare un equilibro
fra catturare la creatività e catturare
il valore. Una volta intercettata l’idea
che può essere trasformata in valore,
dobbiamo definire il modello di business per quell’idea. Quando si fanno innovazioni radicali, la consapevolezza del settore in cui si opera è
importante perché spesso quelle ‘radicali’ scavalcano il proprio settore”,
conclude Fernando Trias de Bes.
Migliorare le performance
di marketing secondo Philip
Kotler
Quando sale sul palco, il silenzio si taglia col coltello. È il mito
a entrare in scena. A 78 anni inoltrati e con un carisma intramontabile,
Philip Kotler parla per un’ora e mezza di fila, lanciando idee, formulando ipotesi ed esibendo un’instancabile voglia di interloquire con il pubblico che dimostra il suo desiderio irrefrenabile di capire il mondo che ci
circonda. Il giorno dopo il palco sarà tutto suo: sei ore di conferenza durante le quali il maestro si lancerà in
una dissertazione da capogiro, riempiendo lo schermo di slide e ripercorrendo in sintesi le tappe evolutive
del marketing degli ultimi quarant’anni: un fiume di parole che lascia la platea stremata mentre lui, il
mitico Kotler, sembra ancora in ottima forma. Chi ha scritto la storia del
marketing, con oltre trenta libri e
un’infinità di articoli, difficilmente
riesce a dire qualcosa che non sia già
stato letto da qualche parte. Ripetersi è inevitabile e la lucidità annaspa
sulle domande della platea, soprattutto quelle che riguardano i nuovi
media e i social network. È allora che
il guru scende dalla cattedra in cerca
di risposte fra il pubblico. Il maestro
diventa allievo, e ci si accorge che il
mito forse ha fatto il suo tempo. Tuttavia sono ancora in molti a credere
che, nonostante tutto, Kotler è sempre Kotler.
“I piani di marketing vanno
riscritti velocemente”, avverte il professore, “perché in tempi di turbolenza nulla è più stabile. Le aziende
sono colpite da vari problemi: la globalizzazione, la concorrenza di Cina
e India, le privatizzazioni, internet, la
deregolamentazione ecc. E la recessione economica genera discontinuità. In tempi di turbolenza il Ceo deve essere sempre reperibile perché tutto può cambiare in una notte. Si pensi al caso di Unilever: il suo Ceo era
andato a giocare a golf senza lasciare
un recapito, e in quei sei giorni di assenza e irreperibilità è successo di tutto. Il capitalismo è su una strada difficile, siamo entrati nell’era della ‘distruzione creativa’ dove tutto cambia
velocemente, soprattutto il business.
Interi settori sono rivoluzionati. Già
i dischi si comprano sempre meno nei
negozi, domani toccherà ai libri. E il
cambiamento deve trovarci vigili perché in un garage, da qualche parte, in
qualunque momento, due o tre persone potrebbero essersi già attrezzate
per progettare la nostra distruzione.
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È già successo alla HP, tanto per fare
un nome. Anche l’acquisto dei titoli
bancari su internet sta danneggiando
gli intermediari tradizionali. La crescente diffusione delle nuove tecnologie ha rivoluzionato molti settori e
creato nuovi modelli di business. La
foto digitale ha soppiantato la pellicola, la vendita tradizionale è minacciata da quella online, la formazione
tradizionale è sostituita dalla formazione a distanza”.
La crisi è anche una
opportunità
Dopo questo scenario scoraggiante, arriva anche uno spiraglio di
luce. “Quando il vento soffia alcuni
alzano muri, altri costruiscono mulini a vento”, annuncia Kotler citando
un antico proverbio cinese. “La crisi
attuale è generatrice di minacce ma
anche di opportunità. Dalla recessione alcuni settori sono stati favoriti,
per esempio Ryan Air: ora tutti usano di più i suoi voli. Vanno forte anche i sottomarchi di Colgate che offrono prodotti di qualità a prezzi più
bassi. Si mangia meno fuori, ma cucinare a casa richiede tempo. Conseguenza: la gente si butta di più sui
surgelati. E ancora: con la crisi che
incalza lo stress aumenta e i sonniferi vanno a ruba”.
In una situazione come questa, la prima mossa delle imprese è
quella di fare tagli. Male inevitabile
o scelta sensata? “È importante che
il reparto marketing sappia bene cosa tagliare e cosa no. E se ci sono fondi in più, come utilizzarli”, precisa
Kotler. “Bisogna tagliare i budget per
le ricerche di mercato? Non credo,
altrimenti come faremmo a capire
come stanno cambiando i clienti o
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Intervista a Philip Kotler
MK: Il marketing è una disciplina che si sta
rapidamente evolvendo. Quali sono le nuove
competenze che saranno richieste all’uomo
marketing del futuro?
Philip Kotler: Una competenza emergente è
sicuramente quella che riguarda la comunicazione
digitale e i social network. Questa la metterei al primo
posto. Inoltre dovrà saper leggere i dati delle
neuroscienze applicate alle ricerche di mercato.
Occorre anche una competenza antropologica,
specie per chi fa ricerche; una competenza
etnografica per studiare i comportamenti dei
consumatori sul campo; maggiore creatività, ne ho
parlato nel mio libro Marketing laterale; e non ultimo,
■ Philip Kotler, guru del marketing, ha
dovrà masticare un po’ anche di finanza, saper
presentato il suo nuovo libro
Chaotics, scritto con John A.
Caslione.
come si evolve la concorrenza? Occorre semmai saper riconoscere e tagliare i prodotti che non avranno futuro, capire quali servizi mantenere
e quali eliminare. Naturalmente non
tagliate proprio il servizio che vi ha
reso celebri! In questa fase anche i
marchi di lusso hanno conosciuto
una flessione, anche a causa delle
imitazioni che vengono dall’Asia. Io
però sono dell’idea che i prezzi di
questo genere di prodotti non vadano ritoccati, perché chi se li può
permettere è disposto a continuare
a pagarli. Mi hanno detto che la Ferrari sta riducendo i prezzi delle sue
vetture: mi chiedo se questa politica possa aumentare le sue vendite,
io non credo”.
Parlando di turbolenza, Kotler annuncia il suo nuovo libro, Chaotics: The Business of Managing and
Marketing in the Age of Turbulence (da
noi in uscita nel 2010). “Nel mio ultimo libro affermo che le aziende hanno bisogno di almeno tre sistemi per
gestire la turbolenza. Innanzitutto il
business intelligence, un meccanismo
di allerta che intercetta le minacce del
mercato (una nuova tecnologia o una
contromossa dei concorrenti che potrebbe danneggiarci). Poi la pianificazione degli scenari. Non potete fare sempre gli stessi piani, mettetevi al
tavolo e chiedetevi: qual è la cosa che
parlare e capire il linguaggio degli uomini d’affari.
potrebbe impattare più negativamente
o positivamente sul nostro business?
Prefiguratevi gli scenari futuri e poi
decidete cosa fare in quella situazione. Infine avere sistemi in grado di
rendere più agile la risposta a quello
che succede”.
Quale sarà il ruolo del Direttore marketing (Chief marketing officer)? “Oggi il CMO è allo stesso livello del Direttore finanziario o del
Direttore IT”, assicura il professore.
“Il marketing ha il potere di parlare
con l’alta direzione. In alcune aziende partecipa anche allo sviluppo delle strategie del board. Cosa ci aspettiamo dal CMO? I clienti oggi sono
più attivi che in passato, il CMO deve portare questa cultura basata sul
cliente, monitorare l’evoluzione del
business. Oggi non si dice più ‘ho fatto una vendita’ ma ‘sono proprietario di un cliente’, e questo la dice lun■
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ga su come è cambiato l’approccio al
mercato”.
Il tema passa ora all’eterno
conflitto fra marketing e vendite. “In
principio c’erano solo le vendite”, spiega Kotler, “il marketing faceva parte
del reparto vendite. Poi si è distaccato e ha assunto la responsabilità della costruzione del brand. Marketing
e vendite hanno culture diverse con
attività interdipendenti. Sono molte
le ragioni per le quali non lavorano
bene insieme, prima fra tutte la discussione sul prezzo. Il marketing serve a creare contatti, a capire chi sono
i clienti potenziali, a fare comunicazione, attività di cui le vendite non
possono occuparsi. Dobbiamo fare in
modo che il loro rapporto sia meglio
definito, con ruoli distinti per non
duplicare le attività e allineati per lavorare nella stessa direzione. In che
modo? Tenendo regolarmente meeting, rendendo più facile la comunicazione fra loro, migliorando la qualità dei feedback della forza vendita.
Il marketing deve aprire la strada alle vendite. Ma quelli del marketing
dovrebbero allontanarsi dalle loro scrivanie e svolgere alcune attività insieme con le vendite. Bisogna essere sul
campo per capire il mercato, vedere
in diretta la fenomenologia dell’acquisto”. È su quest’ultimo tema che
l’intervento di Kotler si conclude. ■