Media Key 286 ■ mediakey25anni World Marketing & Sales Forum Il marketing del caos Quali suggerimenti può offrire il marketing per uscire dalla crisi e fare innovazione? Sempre che la crisi non abbia colpito anche lui, visto che c’è chi lo dava per morto. Ma i guru del settore sono arrivati a Milano per annunciare lo stato di salute della disciplina nel corso dell’edizione 2009 del World Marketing & Sales Forum, organizzata da HSM. di Raul Alvarez Si è svolto a Milano il World Marketing & Sales Forum, un appuntamento fisso organizzato da HSM che si rinnova ormai da diversi anni. Ospite d’onore dell’edizione 2009 è stato Philip Kotler, il padre del marketing, scrittore infaticabile e conferenziere. Al World Marketing & Sales Forum ha annunciato il suo nuovo libro che ha come tema il marketing ai tempi del caos. Lo accompagnavano Fernando Trias de Bes, economista e professore di marketing, autore di favole manageriali di successo, che con Kotler ha firmato il libro Marketing laterale; Andris Zoltners, collega di Kotler, che insegna ■ Tom Kelley, partner di IDEO ed esperto di innovazione. marketing presso la Kellogg School of Management della Northwestern University e che a Milano si è esibito in una lezione accademica su come ottimizzare le performance della forza vendita, con una quantità di parole e di slide da mandare in tilt anche l’uditore più attento: riassumere la sua lezione è impossibile; Tom Kelley, partner di IDEO ed esperto di innovazione; e infine Anders Knutsen, ex Ceo di Bang & Olufsen, che ha raccontato come è riuscito a salvare l’azienda da un periodo di grossa crisi. Gli stimoli non sono mancati, anche se non sempre le attese sono state ripagate. Di seguito ripercorriamo alcuni dei principali interventi, a cominciare da quello di Tom Kelley. I dieci volti dell’innovazione secondo Tom Kelley Sale sul palco con lo slancio di un acrobata e un sorriso accattivante che sprizza allegria. La prima cosa che salta agli occhi è il suo look: una cravatta formato arcobaleno e un paio di baffi degni di Groucho Marx. La seconda è lo stile accattivante con il quale intrattiene per oltre un’ora un pubblico preoccupato della recessione, in cerca di ricette e di consigli spicci per far fronte alle angustie del momento. In Italia Tom Kelley non è molto conosciuto. Da noi è arrivato il suo libro più famoso, I dieci volti dell’innovazione, edito da Sperling & Kupfer, oggi esaurito sebbene sia uscito solo tre anni fa. Eppure la sua fama internazionale è indiscussa. Nominato primo degli Executive Fellow della Haas School of Business dell’University of California di Berkeley, è General manager di IDEO, rino■ 10 ■ mata azienda di design che ha creato il mouse Apple, l’instant camera iZone di Polaroid, il Palm V e centinaia di altri prodotti e servizi all’avanguardia. Insieme al fratello David, fondatore di IDEO, Tom è riuscito a gestire l’azienda facendola passare da un team di 20 designer a uno staff di 350. È stato responsabile di diverse aree tra cui business development, marketing, risorse umane e operazioni. Negli ultimi dieci anni IDEO ha vinto più premi di qualsiasi altra azienda di design. Insomma, è un personaggio cui non mancano i numeri. Come inizia a parlare, entra subito nel suo tema preferito: l’innovazione, come, quando e perché realizzarla. “Nei sondaggi annuali della Boston Consulting con i Ceo più importanti del mondo c’è un dato che ricorre: l’85% dei dirigenti afferma che l’innovazione è la principale qualità di un’azienda. Eppure la pratica invalida questo dato. Come si spiega?”. Kelley ha una sua idea in proposito: nella quotidianità i manager sono pressati dalle cose urgenti e mal pianificate. Quelle, per intendersi, che finiscono per divorare tutto il loro tempo e le loro energie, diventando priorità che non lasciano spazio al resto. L’innovazione, insomma, è considerata un’attività importante ma non urgente. Di conseguenza finisce per essere messa da parte, rinviata o, più spesso, dimenticata. Ma così facendo, prima o poi una concorrenza aggressiva e più lungimirante ci sottrae importanti quote di mercato. A quel punto parte la reazione, ma potrebbe essere troppo tardi, e le capacità di risposta non all’altezza della concorrenza. La storia recente è pie- World Marketing & Sales Forum Media Key 286 ■ l dieci volti dell’innovazione individuati da Tom Kelley. na di casi del genere. Kelley cita uno dei più eclatanti, quando nel 2005 il valore del brand Samsung superò quello della Sony. Dalle misurazioni Interbrand, ricorda, fino al 2001 Sony risultava essere il leader mondiale, con un valore del marchio stimato in 17 milioni di dollari. Tutti volevano prodotti Sony, l’azienda si è sentita sicura di sé ed è rimasta chiusa nel suo orgoglio, vittima dell’autocompiacimento. Nel frattempo Samsung aveva avviato un grosso processo d’innovazione, ha iniziato a creare dei Design Center, e all’improvviso, nel 2005, per la prima volta nella storia il valore del marchio Samsung ha superato quello della Sony. “Se avete successo”, avverte Tom, “c’è sempre chi cercherà di emularvi per sottrarvi quote di mercato. Dovete essere innovativi, non vittime dell’innovazione. Ma non basta fare un po’ di innovazione ogni tanto: occorre andare al doppio della velocità dei vostri concorrenti”. Avendo lavorato su 4.000 progetti, Tom Kelley ha individuato cosa funziona di un’innovazione e cosa no. Alla fine è giunto a prefigurare i dieci fattori che la favoriscono. Da questa scoperta è venuto fuori un libro che è diventato subito best seller. “Ho suddiviso i dieci volti dell’innovazione in tre macro-categorie”, spiega. “La prima è ‘il ruolo dell’apprendimento’ che ci dice come le organizzazioni apprendono. Alla base di questo ruolo ci sono tre funzioni essenziali che ho chiamato l’antropologo, lo sperimentatore e l’impollinatore trasversale. Poi c’è ‘il ruolo del■ L’impollinatore trasversale: come trasferire per analogia le idee da un settore all’altro, per esempio da quello automobilistico a quello medico. ■ 11 ■ l’organizzazione’, quello più ignorato. Le funzioni che sottostanno a questo ruolo sono l’ostacolista, il collaboratore e il regista. Infine c’è il ‘ruolo del costruttore’ che mette insieme gli ingredienti per creare qualcosa di buono. Questo ruolo dà vita ad altre quattro funzioni: l’architetto dell’esperienza, lo scenografo, il premuroso e il narratore”. “Questi tre ruoli e le loro funzioni non sono mai statici”, avverte Tom. “A volte dovrete passare da un ruolo all’altro. Nei team orientati all’innovazione occorrono persone capaci di ricoprire diversi di questi ruoli. Ognuno comporta uno specifico stile di pensiero e di comunicazione. Spesso i problemi nascono quando le persone non riescono a passare da un ruolo all’altro”. Ma c’è un altro ruolo, al di fuori di quelli elencati, che può diventare una minaccia: l’avvocato del diavolo, quello che fa le pulci alle decisioni del team, che scova le cose che non vanno. Non c’è nulla in una riunione che faccia più tremare della persona che, quando la decisione sembra raggiunta, si alza e dice: “Vorrei fare l’avvocato del diavolo”. Eppure ■ Media Key 286 ■ World Marketing & Sales Forum anche lei svolge una funzione importante, basta saperla gestire. Dopotutto, senza l’avvocato del diavolo c’è il rischio che una buona idea fallisca per eccesso di ottimismo. Dopo questa avvertenza, Tom Kelley passa a descrivere nei dettagli i ‘dieci volti’ da lui riconosciuti come funzioni chiave di ogni innovazione. 1. L’antropologo. “È il ruolo che preferisco”, confessa Kelley, “quello che molti danno per scontato. Invece è il più importante nel processo di innovazione. L’antropologo va sul campo, osserva come i clienti usano i prodotti, fotografa, individua i problemi e trova le innovazioni da apportare. La sua metodologia è la seguente: prima comprende, poi osserva e interpreta (attraverso una sintesi), in seguito visualizza, immagina il prototipo, lo valuta, lo raffina, infine lo implementa. L’antropologo non fa molto affidamento sulle dichiarazioni emerse nei focus group, preferisce osservare il cliente nel suo habitat quotidiano, vederlo all’opera mentre utilizza il prodotto. È solo osservando che possiamo scoprire quali innovazioni apportare. Raramente possiamo ■ Lo spazzolino Oral B per bambini e l’innovazione del manico progettato dalla IDEO per facilitare la pulizia orale. ottenere una risposta dal cliente perché spesso nemmeno lui sa ciò di cui ha bisogno. Un consiglio: se volete seguire l’approccio antropologico dimenticatevi di ciò che già conoscete benissimo. Imparate a guardare le cose vecchie con occhi nuovi. Lo sguardo dell’antropologo sa cogliere una potenzialità latente in un prodotto. Anni fa lavoravamo per la direzione marketing della Oral B. Ci avevano chiesto di escogitare un’innovazione che rendesse il loro prodotto competitivo. Ma lo spazzolino ormai è una commodity ed è difficile competere con le commodity, si può far giusto leva sul prezzo. E quando il concorrente è cinese allora anche questo diventa impossibile. Ci mettemmo al lavoro. Osservando i bambini mentre si lavavano i denti ci siamo accorti che, avendo le mani piccole, non prendono lo spazzolino con la punta delle dita come gli adulti: lo afferrano con tutte le mani e, per non farlo scivolare, hanno bisogno di un ma- ■ L’esempio di Expò: anche da un prototipo brutto si può cavare fuori qualcosa di buono. Bisogna solo valutare bene l’idea. L’importante è costruire qualcosa che si possa migliorare e sviluppare. ■ 12 ■ nico grassottello con spazi poggiadita per non sfuggire alla presa. Ridisegnammo il manico e questa innovazione fu un vero successo. Ora è un design diffuso, ma siamo stati noi i primi a inventarlo”. 2. Lo sperimentatore. È quello che trova soluzioni per prova ed errore. Si tratta di una funzione importantissima per l’innovazione. Naturalmente comporta dei rischi, ma nessuna attività di ricerca può eluderli. Thomas Edison, l’inventore della lampadina, nella sua vita ha registrato un numero altissimo di brevetti. Prima di arrivare a una scoperta ne ha fatti di passi falsi. Ma aveva un atteggiamento positivo – inevitabile negli sperimentatori – e quando un esperimento non riusciva, continuava a dire a sé stesso: “Non ho fallito, ho solo scoperto un altro modo per non inventare la lampadina”. “Ma attenzione, c’è una bella differenza fra fallimento ed errore”, puntualizza Kelley. “Il fallimento è qualcosa che non funziona ma che almeno ti ha insegnato qualcosa, mentre l’errore non insegna mai nulla. L’errore è un fallimento ripetuto”. “Tempo fa”, ricorda Kelley, “abbiamo lavorato per lo start-up di Expò, un prodotto per la chirurgia del setto nasale. Nella prima settimana abbiamo fatto un po’ di antropologia. Un ingegnere del team è andato sul campo a osservare i chirurghi all’opera. Dopo qualche giorno si è presentato con uno dei più brutti prototipi che abbia mai visto: un tubetto del prodotto Expò con un manico retto da una molletta da bucato. Lo World Marketing & Sales Forum ■ I dieci volti dell’innovazione è il libro Media Key 286 ■ Intervista a Tom Kelley più famoso scritto da Tom Kelley. MK: Cosa fa Tom Kelley per restare innovativo? Tom Kelley: Mi sforzo di acquisire sempre nuovi insegnamenti dall’esperienza. Non dormo sugli allori perché tutto cambia alla velocità della luce e se non si sta all’erta si rischia di fare la fine dei dinosauri. La sfida di oggi è quella di trovare maestri fra i più giovani, capaci di fornirci nuove idee e competenze soprattutto sul mondo del digitale. abbiamo preso tutti in giro, ma lui non si è scoraggiato. Lo ha mostrato ad alcuni chirurghi, chiedendo cosa ne pensassero, e quelli hanno risposto: ‘Niente male!’. Ci abbiamo lavorato un po’ su, finché non ne è uscito fuori un strumento apprezzabile, anche nel design. La lezione che abbiamo appreso è che anche da un prototipo brutto si può cavare fuori qualcosa di buono, bisogna solo valutare bene l’idea. L’importante è costruire qualcosa che si possa migliorare e sviluppare, si può arrivare a idee di successo anche con prototipi poco costosi e di facile realizzazione”. 3. L’impollinatore trasversale. “È una figura di spicco per l’azienda, l’innovatore per eccellenza”, spiega Kelley. “Il suo talento consiste nel saper trasferire un universo di conoscenze da un contesto all’altro, fertilizzare le idee, trovare connessioni fra settori diversi. Ragionando per analogia, l’impollinatore trasversale individua soluzioni originali ai problemi che è chiamato a gestire. Così, per esempio, a un gruppo di medici di un pronto soccorso che desideravano aumentare la propria efficienza operativa ho proposto di osservare il team della manutenzione di Formula Uno all’opera. Fra i due settori ci sono più cose in comune di quanto si possa immaginare. Dunque, c’è molto da apprendere. Questo modo di operare libera la mente dalle abitudini procedurali e favorisce la creatività”. 4. L’ostacolista. È quello che s’impegna a trovare il modo di superare o aggirare i vincoli e le sfide presenti in qualunque situazione nuova. 5. Il collaboratore. È quello che cerca sempre di portare nuove idee, nuove discipline, pensieri freschi per ampliare il punto di vista del team. 6. Il regista. “In genere è il ruolo che i miei clienti amano di più”, assicura Kelley. “Il suo compito principale è quello di attrarre i migliori talenti e trasformarli in ‘stelle’. Rimane dietro le quinte, ma fa apparire gli altri”. 7. L’architetto dell’esperienza. “Le persone non acquistano solo beni materiali”, ricorda Kelley, “comprano soprattutto un’esperienza. La gente non va da Starbucks per bere un caffè, ci va per stare in un’atmosfera di relax e benessere. Perciò gli innovatori non devono pensare solo a cambiare i prodotti, devono anche immaginare contesti generatori di nuove esperienze. Quando giro per lavoro, non scelgo un hotel per l’eleganza o la vicinanza al posto di lavoro, lo scelgo in base alla qualità del materasso. Privilegio quelli che hanno materassi Heavenly Bed, i più comodi in assoluto. Quei materassi sono per me una garanzia di relax. È quell’esperienza che io acquisto quando cerco un hotel”. 8. Lo scenografo. “L’ambiente fisico del posto di lavoro è in genere è un aspetto trascurato dalle aziende”, nota Kelley. “Eppure si tratta di una variabile importante, direi addirittura strategica, perché le persone trascorrono molte ore della loro giornata in ufficio. Quando si arreda uno spazio lavorativo lo si tratta perlopiù come una commodity, alla stregua dell’elettricità o dell’acqua. Ma lo spazio è qualcosa di più importante, è ‘il corpo stesso dell’organizzazione’ e crea valore alla stregua di altre funzioni strategiche. La do■ 13 ■ MK: A che livello di innovazione lavora IDEO? Tom Kelley: Fino al 1976 ci occupavamo solo di prodotti elettronici. Poi abbiamo cominciato a offrire servizi bancari, trasporti ecc. Ora lavoriamo anche sulla cultura aziendale, perché la cultura è parte integrante del processo innovativo. MK: In tempi di crisi come questi, quali ‘volti’ dell’innovazione le aziende devono tenere più sotto controllo? Tom Kelley: Naturalmente ci sarebbe bisogno di tutti e dieci. Comunque, se proprio dovessi sceglierne uno, in questo specifico contesto è quello che si riferisce alle ‘regole di apprendimento’, perché i consumatori cambiano parere da un giorno all’altro. In un ambiente turbolento come questo occorre apprendere velocemente. MK: Chi è in azienda il principale responsabile dell’apprendimento organizzativo? Tom Kelley: Tutti sono responsabili dell’apprendimento, nessuno escluso. Toyota insegna. Io sono contrario a chi vorrebbe istituire un reparto preposto all’apprendimento, perché un reparto dedicato potrebbe deresponsabilizzare gli altri dal farsene carico. La maggior parte dei miei clienti hanno un funzionario responsabile dell’innovazione che lavora trasversalmente. MK: Come si può promuovere l’innovazione in un’azienda stabile? Tom Kelley: Occorre prefigurare una minaccia dall’esterno, creare un senso di urgenza al cambiamento. Questa almeno è la mia tattica. MK: Come gestire la situazione quando in azienda ci sono troppi avvocati del diavolo? Tom Kelley: Alcuni ti fanno sentire scemo. Spesso hanno anche critiche competenti da rivolgerti ed è difficile contrastarli. La mia tecnica in questi casi è la seguente: accolgo l’obiezione senza opporre resistenza e chiedo all’‘avvocato’ cosa dovrei fare per migliorare la mia idea. Valorizzando la sua competenza, senza mai contrastarlo, talvolta posso persino ottenere un’idea migliore della mia. Se conquistate la sua fiducia, potrebbe diventare il vostro migliore alleato. Media Key 286 ■ World Marketing & Sales Forum ■ Fernando Trias de Bes, economista e professore associato del dipartimento di marketing della Business School Esade di Barcellona. manda che l’innovatore allora dovrebbe porsi è: come posso cambiare lo spazio per influire positivamente sull’atteggiamento e sulle performance dei miei dipendenti? Naturalmente non c’è bisogno di soluzioni costose, talvolta bastano piccole modifiche per influenzare positivamente la performance”. 9. Il premuroso. Quanto a questa figura, nell’ambito della conferenza Kelley non ha detto che ruolo svolga. Forse lo ha perso strada facendo, oppure lo ha volutamente omesso dalla rassegna per invitarci a saperne di più leggendo il suo libro. 10. Il narratore. Bisogna saper valorizzare i cambiamenti del- l’organizzazione con i fatti, con l’arredamento e anche con le parole. Una funzione particolarmente efficace a questo scopo sono le storie, che veicolano i valori culturali dell’azienda. Spesso si pensa che i dati siano di per sé esplicativi: non è così. Affinché restino impressi, vanno strutturati in storie. L’elemento più profondo del proprio marchio dovrebbe essere veicolato da un racconto accattivante, che può farne aumentare il valore di mercato. Una buona storia possiede alcune caratteristiche: è semplice, ha un finale imprevisto, è concreta, credibile, emozionante. E quando c’è dell’emozione dentro non ci si stanca mai di riascoltarla, assicura Kelley. L’ultimo volto dell’innovazione ha dunque a che fare con l’affabulazione, una funzione non meno importante delle altre, considerato che attira l’attenzione e stimola la fantasia. E l’innovazione poggia sulla fantasia di chi dovrà attuarla. Le idee di Fernando Trias de Bes per il marketing Economista, uno dei partner fondatori della società di consulenza Salvetti & Llombart, Trias de Bes ha lavorato per colossi quali Danone, PepsiCo e Sony. Insegna marketing nella prestigiosa Business School Esade di Barcellona. Ha firmato con Philip Kotler il libro Marketing laterale, ma la notorietà l’ha raggiunta con due ■ Il venditore di tempo, una favola che ha realizzato un sogno: vendere due milioni di copie in tutto il mondo. ■ Il libro nero dell’imprenditore, un monito a non buttarsi nell’impresa con troppa faciloneria. ■ 14 ■ favole manageriali: Il venditore di tempo e La buona fortuna, quest’ultima scritta a due mani con Alex Rovira Celma, entrambe edite in Italia da Sperling & Kupfer. Tradotte in 35 lingue, hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo. Il suo ultimo libro è uscito in Italia presso Etas, si intitola Il libro nero dell’imprenditore ed è un manifesto dissuasivo per quanti si imbarcano con troppa faciloneria in un’attività imprenditoriale. Un libro quanto mai prezioso in tempi come questi. Dello spagnolo, Trias de Bes ha tutto: gli occhi scuri e i capelli corvini, l’esuberanza mediterranea, la determinazione un po’ sfrontata del torero che sa dove andare a colpire. Esordisce cogliendo il pubblico di sorpresa con un paio di domande e l’invito perentorio a rispondere per alzata di mano: “Quante delle vostre aziende hanno un ufficio nuovi prodotti? Per quali delle vostre aziende il marketing è l’area dell’innovazione? Quante del- World Marketing & Sales Forum Media Key 286 ■ Il negozio di Zara in via Torino a Milano. L’innovazione della catena, secondo Fernando Trias de Bes, è incentrata sul modello di business. le vostre innovazioni dipendono dalla tecnologia?”. Da una rapida conta nelle mani alzate arriva alla conclusione che l’innovazione è perlopiù relegata all’area Ricerca e Sviluppo e ha a che fare prevalentemente con la tecnologia. “Ridurre il marketing all’ampliamento della gamma dei prodotti è una visione miope”, constata. “Eppure, se ben usato, il marketing può diventare una forte leva di innovazione”. A questo punto Trias de Bes comincia a smontare alcune false credenze sul marketing e sui nuovi prodotti che inducono a scelte aziendali sbagliate o perlomeno riduttive. Innanzitutto la convinzione che una cultura creativa sarà necessariamente por- tatrice di innovazione. “È falso”, afferma senza mezzi termini. “Creatività e innovazione non sono sinonimi. Noi latini siamo molto creativi ma poco innovativi perché non sempre riusciamo a convertire la creatività in valore per il cliente. L’innovazione è anzitutto creatività applicata. Le culture anglosassoni sono meno creative di noi, ma più pragmatiche e alla fine più abili a fare innovazione. Nei reparti marketing servirebbe una gestione attiva dell’innovazione. Per passare con successo dalla creatività all’innovazione occorre conoscere a fondo i valori aziendali, definire un piano strategico. Un’altra convinzione erronea è la seguente: se abbiamo una tecnologia forte anche il no- Tav. 1: I sei propulsori dell’innovazione Focus sul modello di business } Value proposition Offerta di prodotti e servizi Catena di distribuzione Processo tecnologico Target clienti Tecnologia applicata { ■ 15 ■ Focus sulla tecnologia stro marketing sarà forte. La dipendenza dell’innovazione dalla tecnologia è pericolosa, perché quando si dipende troppo dalla tecnologia si rischia di tornare agli anni ’70, all’ottica del prodotto anziché in quella del mercato”. Infine, l’ultima convinzione erronea è quella che afferma che il marketing dei nuovi prodotti richiede una rivoluzione. “Non è vero”, assicura Fernando. “A fianco alle innovazioni radicali esistono anche quelle incrementali, le quali non necessariamente richiedono una rivoluzione. Questa credenza è solo un alibi per i manager più conservatori”. I sei propulsori dell’innovazione Per sciogliere ogni equivoco su un tema così complesso, Trias de Bes comincia a sfoderare modelli e tabelle non prive di fascino, sebbene non del tutto originali. La prima della serie ha un nome esuberante, “i sei propulsori dell’innovazione”. Ed eccoci davanti a una matrice che fornisce una chiave di lettura per capire dove si focalizza prevalentemente l’innovazione. Dei sei fattori di cui si compone la tabella, tre sono focalizzati sulla tecnologia e gli altri sul modello di business. I primi influenzano ciò che produciamo, gli altri cosa vendiamo. Per dare concretezza al modello, passa poi agli esempi. “La catena Zara non ha fatto un’innovazione di tecnologia”, spiega, “l’innovazione è centrata sul modello di business, anche se i clienti non sono nuovi e non c’è una nuova value proposition. La novità è nella catena distributiva. Zara compra pochi capi di un determinato modello e li espone. Questo numero ridotto li rende più appetibili perché vanno ■ Media Key 286 ■ World Marketing & Sales Forum Tav. 2: Il caso Nespresso Focus sul modello di business } Value proposition Offerta di prodotti e servizi Catena di distribuzione Processo tecnologico Target clienti Tecnologia applicata subito a ruba e la gente indecisa negli acquisti finisce per comprare subito il capo adocchiato per evitare di non trovarlo più in commercio. Con questa strategia ha accelerato le decisioni d’acquisto e soprattutto ha risolto uno dei grossi problemi della distribuzione: calcolare quanto acquistare di un certo modello e come gestire le giacenze. L’innovazione in questo caso è arrivata partendo dal ragionamento sul cliente e sulla catena distributiva”. E ancora: Eismann commercializza prodotti surgelati vendendoli porta a porta. L’innovazione qui è nella catena distributiva. In genere i key account chiamano il venerdì i clienti per telefono chiedendogli se hanno bisogno di qualcosa e poi consegnano a domicilio, saltando la distribuzione nei negozi. Nel caso Nespresso, invece, l’innovazione investe più variabili: la value proposition (bere a casa il caffè del bar) che, a sua volta, incide anche sull’innovazione del prodotto, della catena distributiva e della tecnologia di processo per la produzione. E dai prodotti si passa a internet. “Durante la bolla di internet”, ricorda il professore, “le aziende con una chiara value proposition erano poche, si puntava perlopiù sull’innovazione tecnologica. I siti web di agenzie viaggi, libri, banche ecc. con una valida value proposition sono i soli ■ Nespresso è un esempio di innovazione che incrocia più variabili, sia tecnologiche sia di modello di business. { Focus sulla tecnologia che hanno resistito. La mia convinzione è che non si può innovare puntando sulla tecnologia senza considerare anche il modello di business. Second Life è molto popolare, ma come trasformarla in un business? Oggi ci sono molti social network, ma qual è il loro modello di business? Dov’è la value proposition da cui verranno gli utili per l’azienda?”. Il messaggio è chiaro: l’innovazione da sola non paga. La matrice dell’innovazione A questo punto Trias de Bes illustra una matrice che, combinando tecnologia e modello di business, si rivela utile per intercettare le diverse tipologie d’innovazione. Dall’incrocio emergono tre tipi di innovazioni: radicali, semi-radicali e incrementali. “Un cambiamento forte nella tecnologia”, spiega, “può dar vita a un’innovazione radicale (come il passaggio dalla pellicola alla foto digitale). Le innovazioni radicali sono rischiose e spesso richiedono grossi investimenti, ma se funzionano generano enormi risultati economici”. Tuttavia le aziende non possono vivere solo di innovazioni radicali. I cambiamenti di questo tipo riscrivono le regole del settore e, in periodi di recessione, possono rivelarsi un boomerang. Apple, per esempio, è stata ‘radicale’ ma ha pagato un prez■ 16 ■ zo altissimo per le sue scelte. Le innovazioni radicali creano nuovi mercati ma poi, per mantenerli, occorrono le innovazioni incrementali. Si calcola che le strategie incrementali assorbano l’80% delle risorse destinate all’innovazione. “Tuttavia”, avverte il professore, “le innovazioni incrementali possono rivelarsi anche una trappola. Alcune aziende, infatti, dedicano il 100% delle proprie risorse a questo genere di innovazione e ciò le porta a ritardare le innovazioni radicali, trovandosi spiazzate quando queste arrivano dalla concorrenza”. Insomma, quella degli innovatori è una scelta non facile e, in ogni caso, piena di insidie. Fare del marketing il propulsore dell’innovazione “Come si dovrebbe generare e gestire l’innovazione in un reparto marketing?”, si chiede Trias de Bes. “In passato si pensava che per innovare bastasse un’idea brillante. Ma non sempre le idee brillanti aumentano il fatturato. Il marketing delle grandi idee da solo non funziona. C’è qualcosa di più importante da considerare: la forma dell’idea, il modo cioè in cui l’idea diventa valore agli occhi del cliente. Quando abbiamo una grande idea dobbiamo sempre chiederci: perché il prodotto dovrebbe essere acquistato? Se non avete una risposta difficilmente l’idea genererà valore per il cliente. Ci sono tre ‘perché’ che spiegano le motivazioni di acquisto: 1) perché otteniamo lo stesso prodotto a minor costo; 2) perché otteniamo qualcosa di meglio; 3) perché lo facciamo in modo differente”. Ma c’è un altro aspetto da considerare: come si genera l’innova- World Marketing & Sales Forum Media Key 286 ■ Tav. 3: La matrice dell’innovazione Modello di business Nuovo SEMI-RADICALE (TGV, Internet, supporto) RADICALE (Actimel, foto digitale, Nespresso) INCREMENTALE (Nintendo DS, ricette) SEMI-RADICALE (Zara, Eismann) Tecnologia Nuova Simile all’attuale Simile all’attuale zione. “Un Thomas Edison, chiuso nel suo laboratorio a inseguire da solo la soluzione, oggi è impensabile. La creazione di nuovi prodotti richiede ormai una collaborazione stretta con i clienti. Il fallimento della General Motors dipende anche dalla sua scarsa attenzione alla domanda, al suo essersi chiusa nell’autocompiacimento del proprio successo. E questo nonostante la storia recente insegni come il successo di ieri possa diventare il fallimento di domani”. L’innovazione all’alba del XXI secolo reclama un ‘nuovo Rinascimento’: mettere insieme il lavoro di persone esperte in discipline diverse affinché condividano le proprie idee, come ai tempi dei Medici di Firenze. “I confini fra i diversi settori stanno venendo meno”, spiega Trias de Bes, “perciò cominciate a guardare oltre il confine del vostro settore. E lasciatevi contaminare da settori diversi. Per esempio, se operate nell’industria dell’abbigliamento, non frequentate solo le fiere dell’alta moda. Della moda già sapete tutto, bisogna semmai essere presenti in fiere di altri settori dove potrete trovare novità esportabili anche nel vostro ambito di attività”. In Colorado c’è un’azienda che gestisce una pista da sci dove il direttore una volta alla settimana fa lavorare i suoi dipendenti in reparti diversi e a fine giornata chiede: come funzionano le cose in questo reparto? Cosa c’è di sbagliato? Come le cam- bieresti? Se si vuole sviluppare una mentalità innovativa, occorre incrociare le esperienze che vengono da settori diversi. Il concetto di ‘impollinatore trasversale’, di cui parla Tom Kelley, trova in Fernando Trias de Bes un fervido sostenitore. co conto è: come motivare le persone all’innovazione? La ricetta di Fernando Trias de Bes è quanto mai ovvia: riconoscimento (ricompensa economica), passione, visione. Meno ovvio è ciò che aggiunge in seguito. “Quando l’innovazione è radicale”, spiega, “gli obiettivi di innovazione devono essere meno definiti, qualita- Intervista a Fernando Trias de Bes MK: Due dei suoi libri di maggiore successo sono Le domande sull’innovazione favole. Perché è di così forte impatto la narrazione in Per fare innovazione oggi occorre la partecipazione di tutti, reti interne all’azienda ed esterne. L’innovazione è un processo down-top (dal basso all’alto) e le idee devono venire da qualsiasi parte dell’azienda, ma ci deve essere anche un processo che le assorba e le metabolizzi. Tutto ciò è possibile solo se l’azienda ha un processo di innovazione definito, noto, attivato. Le domande da porci sono allora le seguenti: 1) Al momento c’è un processo di innovazione in azienda? 2) È noto? 3) C’è un responsabile del processo? 4) Il team coinvolto è interessato al processo? Ma dobbiamo anche sapere: quale e quanta innovazione vogliamo? Di che tipo (radicale o incrementale)? Intendiamo innovare per sopravvivere o per vincere? Fino a che punto gli obiettivi d’innovazione rientrano nelle strategie dell’azienda? Quali saranno le risorse, i responsabili e i tempi? Insomma, a parere di Trias de Bes senza un processo ben strutturato sarà difficile gestire qualunque processo d’innovazione. Un altro problema di non po- azienda? ■ 17 ■ Fernando Trias de Bes: Sul successo delle favole mi sono dato tre spiegazioni: 1) i libri di management troppo spesso sono noiosi; 2) i manager hanno poco tempo per leggere; 3) le favole, anziché parlare di qualcosa che riguarda un settore specifico (escludendo così dalla lettura quelli che a quel settore non appartengono), hanno un messaggio universale da trasmettere. E soprattutto lasciano libero spazio all’immaginazione. MK: Quali sono gli strumenti classici che l’innovazione del marketing rende oggi obsoleti? Fernando Trias de Bes: È difficile rispondere, perché uno strumento obsoleto in un settore può non esserlo in un altro. Gli strumenti di marketing a disposizione sono aumentati, e questo rende più difficile valutare quale sia il più appropriato. Ma se dovessi sceglierne uno, direi che la parte del marketing più soggetta a obsolescenza è la pubblicità così come la si intendeva in passato. Infatti molte agenzie pubblicitarie stanno soffrendo e devono reinventare il proprio settore. Il concetto di comunicazione è ancora quello delle ‘4 P’ e del marketing mix. Ma anche questo concetto è cambiato radicalmente. Media Key 286 ■ World Marketing & Sales Forum tivi e flessibili, e ciò che va ricompensato è il successo della soluzione apportata. Per quella incrementale gli obiettivi saranno più specifici, qualitativi e realistici, e ciò che va ricompensato è soprattutto la stabilità. Ma la cosa più importante è ‘catturare il valore’. Sta al marketing farlo. Le aziende giovani sono più attratte dalla creatività, quelle mature prediligono il valore. La chiave del successo sta nella capacità di trovare un equilibro fra catturare la creatività e catturare il valore. Una volta intercettata l’idea che può essere trasformata in valore, dobbiamo definire il modello di business per quell’idea. Quando si fanno innovazioni radicali, la consapevolezza del settore in cui si opera è importante perché spesso quelle ‘radicali’ scavalcano il proprio settore”, conclude Fernando Trias de Bes. Migliorare le performance di marketing secondo Philip Kotler Quando sale sul palco, il silenzio si taglia col coltello. È il mito a entrare in scena. A 78 anni inoltrati e con un carisma intramontabile, Philip Kotler parla per un’ora e mezza di fila, lanciando idee, formulando ipotesi ed esibendo un’instancabile voglia di interloquire con il pubblico che dimostra il suo desiderio irrefrenabile di capire il mondo che ci circonda. Il giorno dopo il palco sarà tutto suo: sei ore di conferenza durante le quali il maestro si lancerà in una dissertazione da capogiro, riempiendo lo schermo di slide e ripercorrendo in sintesi le tappe evolutive del marketing degli ultimi quarant’anni: un fiume di parole che lascia la platea stremata mentre lui, il mitico Kotler, sembra ancora in ottima forma. Chi ha scritto la storia del marketing, con oltre trenta libri e un’infinità di articoli, difficilmente riesce a dire qualcosa che non sia già stato letto da qualche parte. Ripetersi è inevitabile e la lucidità annaspa sulle domande della platea, soprattutto quelle che riguardano i nuovi media e i social network. È allora che il guru scende dalla cattedra in cerca di risposte fra il pubblico. Il maestro diventa allievo, e ci si accorge che il mito forse ha fatto il suo tempo. Tuttavia sono ancora in molti a credere che, nonostante tutto, Kotler è sempre Kotler. “I piani di marketing vanno riscritti velocemente”, avverte il professore, “perché in tempi di turbolenza nulla è più stabile. Le aziende sono colpite da vari problemi: la globalizzazione, la concorrenza di Cina e India, le privatizzazioni, internet, la deregolamentazione ecc. E la recessione economica genera discontinuità. In tempi di turbolenza il Ceo deve essere sempre reperibile perché tutto può cambiare in una notte. Si pensi al caso di Unilever: il suo Ceo era andato a giocare a golf senza lasciare un recapito, e in quei sei giorni di assenza e irreperibilità è successo di tutto. Il capitalismo è su una strada difficile, siamo entrati nell’era della ‘distruzione creativa’ dove tutto cambia velocemente, soprattutto il business. Interi settori sono rivoluzionati. Già i dischi si comprano sempre meno nei negozi, domani toccherà ai libri. E il cambiamento deve trovarci vigili perché in un garage, da qualche parte, in qualunque momento, due o tre persone potrebbero essersi già attrezzate per progettare la nostra distruzione. ■ 18 ■ È già successo alla HP, tanto per fare un nome. Anche l’acquisto dei titoli bancari su internet sta danneggiando gli intermediari tradizionali. La crescente diffusione delle nuove tecnologie ha rivoluzionato molti settori e creato nuovi modelli di business. La foto digitale ha soppiantato la pellicola, la vendita tradizionale è minacciata da quella online, la formazione tradizionale è sostituita dalla formazione a distanza”. La crisi è anche una opportunità Dopo questo scenario scoraggiante, arriva anche uno spiraglio di luce. “Quando il vento soffia alcuni alzano muri, altri costruiscono mulini a vento”, annuncia Kotler citando un antico proverbio cinese. “La crisi attuale è generatrice di minacce ma anche di opportunità. Dalla recessione alcuni settori sono stati favoriti, per esempio Ryan Air: ora tutti usano di più i suoi voli. Vanno forte anche i sottomarchi di Colgate che offrono prodotti di qualità a prezzi più bassi. Si mangia meno fuori, ma cucinare a casa richiede tempo. Conseguenza: la gente si butta di più sui surgelati. E ancora: con la crisi che incalza lo stress aumenta e i sonniferi vanno a ruba”. In una situazione come questa, la prima mossa delle imprese è quella di fare tagli. Male inevitabile o scelta sensata? “È importante che il reparto marketing sappia bene cosa tagliare e cosa no. E se ci sono fondi in più, come utilizzarli”, precisa Kotler. “Bisogna tagliare i budget per le ricerche di mercato? Non credo, altrimenti come faremmo a capire come stanno cambiando i clienti o World Marketing & Sales Forum Media Key 286 ■ Intervista a Philip Kotler MK: Il marketing è una disciplina che si sta rapidamente evolvendo. Quali sono le nuove competenze che saranno richieste all’uomo marketing del futuro? Philip Kotler: Una competenza emergente è sicuramente quella che riguarda la comunicazione digitale e i social network. Questa la metterei al primo posto. Inoltre dovrà saper leggere i dati delle neuroscienze applicate alle ricerche di mercato. Occorre anche una competenza antropologica, specie per chi fa ricerche; una competenza etnografica per studiare i comportamenti dei consumatori sul campo; maggiore creatività, ne ho parlato nel mio libro Marketing laterale; e non ultimo, ■ Philip Kotler, guru del marketing, ha dovrà masticare un po’ anche di finanza, saper presentato il suo nuovo libro Chaotics, scritto con John A. Caslione. come si evolve la concorrenza? Occorre semmai saper riconoscere e tagliare i prodotti che non avranno futuro, capire quali servizi mantenere e quali eliminare. Naturalmente non tagliate proprio il servizio che vi ha reso celebri! In questa fase anche i marchi di lusso hanno conosciuto una flessione, anche a causa delle imitazioni che vengono dall’Asia. Io però sono dell’idea che i prezzi di questo genere di prodotti non vadano ritoccati, perché chi se li può permettere è disposto a continuare a pagarli. Mi hanno detto che la Ferrari sta riducendo i prezzi delle sue vetture: mi chiedo se questa politica possa aumentare le sue vendite, io non credo”. Parlando di turbolenza, Kotler annuncia il suo nuovo libro, Chaotics: The Business of Managing and Marketing in the Age of Turbulence (da noi in uscita nel 2010). “Nel mio ultimo libro affermo che le aziende hanno bisogno di almeno tre sistemi per gestire la turbolenza. Innanzitutto il business intelligence, un meccanismo di allerta che intercetta le minacce del mercato (una nuova tecnologia o una contromossa dei concorrenti che potrebbe danneggiarci). Poi la pianificazione degli scenari. Non potete fare sempre gli stessi piani, mettetevi al tavolo e chiedetevi: qual è la cosa che parlare e capire il linguaggio degli uomini d’affari. potrebbe impattare più negativamente o positivamente sul nostro business? Prefiguratevi gli scenari futuri e poi decidete cosa fare in quella situazione. Infine avere sistemi in grado di rendere più agile la risposta a quello che succede”. Quale sarà il ruolo del Direttore marketing (Chief marketing officer)? “Oggi il CMO è allo stesso livello del Direttore finanziario o del Direttore IT”, assicura il professore. “Il marketing ha il potere di parlare con l’alta direzione. In alcune aziende partecipa anche allo sviluppo delle strategie del board. Cosa ci aspettiamo dal CMO? I clienti oggi sono più attivi che in passato, il CMO deve portare questa cultura basata sul cliente, monitorare l’evoluzione del business. Oggi non si dice più ‘ho fatto una vendita’ ma ‘sono proprietario di un cliente’, e questo la dice lun■ 19 ■ ga su come è cambiato l’approccio al mercato”. Il tema passa ora all’eterno conflitto fra marketing e vendite. “In principio c’erano solo le vendite”, spiega Kotler, “il marketing faceva parte del reparto vendite. Poi si è distaccato e ha assunto la responsabilità della costruzione del brand. Marketing e vendite hanno culture diverse con attività interdipendenti. Sono molte le ragioni per le quali non lavorano bene insieme, prima fra tutte la discussione sul prezzo. Il marketing serve a creare contatti, a capire chi sono i clienti potenziali, a fare comunicazione, attività di cui le vendite non possono occuparsi. Dobbiamo fare in modo che il loro rapporto sia meglio definito, con ruoli distinti per non duplicare le attività e allineati per lavorare nella stessa direzione. In che modo? Tenendo regolarmente meeting, rendendo più facile la comunicazione fra loro, migliorando la qualità dei feedback della forza vendita. Il marketing deve aprire la strada alle vendite. Ma quelli del marketing dovrebbero allontanarsi dalle loro scrivanie e svolgere alcune attività insieme con le vendite. Bisogna essere sul campo per capire il mercato, vedere in diretta la fenomenologia dell’acquisto”. È su quest’ultimo tema che l’intervento di Kotler si conclude. ■