POLITICA ECONOMICA Facoltà di Scienze Economiche e Giuridiche Corso di Economia aziendale Prof. MICHELE SABATINO TEORIE, SCUOLE ED EVIDENZE EMPIRICHE (parte sesta) Fallimenti del mercato, efficienza ed equità Fallimenti del mercato (imperfezioni, esternalità, rendimenti di scala crescenti, incertezza, esistenza di beni pubblici puri indivisibili) Impossibilità di raggiungere situazioni di efficienza e di first best pongono il problema di un trade-off tra equità ed efficienza. Tutto ciò andrebbe affidato all’intervento pubblico. Lo Stato svolge quindi interventi di stabilizzazione, di redistribuzione, di allocazione e di regolamentazione. Esistono altresì c.d. beni di merito (sanità, educazione, arte, ambiente, manifestazioni culturali) che non possono essere tutelati attraverso la visione utilitaristica. Lo Stato è quindi intervenuto attraverso interventi di stabilizzazione ma anche attraverso l’intervento diretto e altresì con il welfare state (sanità, istruzione, previdenza, assicurazione, servizi, ect..) 1 Fallimenti del mercato, efficienza ed equità Lo Stato interviene per le finalità redistributive per lottare la povertà, stabilizzare i redditi e ridurre le disuguaglianze. Si è diffuso in Europa un modello universale di welfare state con la produzione pubblica di servizi a differenza di altri Stati che preferiscono erogare denaro ai cittadini per acquistare i servizi dai privati (USA). Nel corso del tempo si è avuta un’espansione dello Stato ma anche del terzo settore. Mano visibile dello Stato, mano invisibile del mercato, reti di reciprocità e solidarietà dal terzo settore. 2 Fallimenti del mercato, efficienza ed equità Le teorie sull’espansione dell’intervento dello Stato: A) Legge di Wagner secondo cui i beni pubblici sono considerati beni superiori e quindi caratterizzati da una forte elasticità della domanda rispetto al reddito. Con esse aumentano le spese burocratiche. B) Modello di Baumol che chiarisce la differenza di produttività del settore pubblico rispetto a quello privato e quindi che inefficienze del pubblico comportano un’espansione della base occupazionale pubblica; C) Teoria del displacement effect in cui espansioni a salti della spesa pubblica trovano un limite nella tollerabilità della pressione fiscale che tuttavia tende ad assuefarsi per raggiungere livelli più alti; D) Teoria del ciclo politico secondo cui in occasione delle competizioni elettorali la politica tende ad espandere la spesa pubblica. 3 La scuola di public choice La scuola di “public choice” secondo cui l’espansione della spesa pubblica è dovuta alle scelte di decision makers “benevoli” incapaci di mediare tra conflitti tra gruppi di interesse e pressione finendo per accontentare tutti con la prevalenza degli interessi particolari all’interesse generale. Inoltre la formazione di eccessivi disavanzi sarebbe dovuta all’illusione fiscale tali per cui gli elettori sovrastimano i benefici attuali della spesa corrente e sottostimano i costi delle future imposte. Tutto ciò ha aperto il dibattito sul fallimento dello Stato. 4 La supply-side economics La supply-side economics è una teoria nata nei primi anni ’80 dalle idee di Robert Mundell e Arthur Laffer, di moda nei primi anni 0ttanta negli Stati Uniti durante la presidenza di Ronald Reagan. Essa enfatizza il ruolo dell‘offerta (supply-side) nello stimolare la crescita economica, in contrapposizione alle teorie keynesiane che si focalizzavano sulla domanda aggregata di beni e servizi. Il sostegno all'offerta deve avvenire, secondo Martin Feldstein e altri sostenitori della teoria, attraverso l'effetto-incentivo di una minore tassazione. La minore tassazione, stimolando il risparmio e gli investimenti, e influendo sulle scelte individuali riguardanti, ad esempio, il lavoro, stimolerebbe una maggiore crescita, capace – secondo i sostenitori più radicali della teoria – di far crescere le entrate fiscali nonostante la diminuzione delle aliquote. Inoltre la supply-side causerebbe effetti positivi sul tasso di inflazione grazie allo stimolo dell'offerta. Alcuni tra gli esponenti più radicali della teoria sono entrati a far parte in diversi periodi dell'amministrazione Reagan. La supply-side economics La curva di Laffer ben rappresenta il pensiero dei sostenitori della supply-side, affermando che esiste un livello di tassazione oltre il quale prevalgono i disincentivi a produrre e lavorare di più. Una diminuzione delle imposte invece incentiverebbe gli individui a lavorare e produrre di più. L'effetto di una maggiore offerta di lavoro e per questa via una minore pressione fiscale avrebbe provocato un aumento delle entrate fiscali. La supply-side economics La curva di Laffer è una curva a campana che mette in relazione l'aliquota di imposta (asse delle ascisse) con le entrate fiscali (asse delle ordinate). Laffer ipotizzò che esiste un livello del prelievo fiscale oltre il quale l'attività economica non è più conveniente e il gettito si azzera, quanto meno se il prelievo raggiunge il 100% del reddito, e quindi che le due grandezze siano legate da una curva continua a forma di campana che ha un massimo, ovvero un'aliquota che massimizza il gettito fiscale. Il teorema però non garantisce che il punto di massimo sia unico, né consente da solo di ipotizzare una forma particolare. Per tale ragione alcuni economisti ne mettono in dubbio la validità, pur essendo tale curva utilizzata per giustificare tagli della tassazione per i redditi più alti. Nella teoria keynesiana, il debito pubblico è pari alla differenza fra tasse e spesa pubblica; il gettito fiscale è dato dall'aliquota moltiplicata per il PIL o reddito nazionale, ed è direttamente collegata alla produzione della ricchezza. Secondo Laffer esisteva un'aliquota, corrispondente all'ascissa del punto più alto della curva a campana, oltre la quale un aumento delle imposte avrebbe disincentivato l'attività economica e quindi ridotto il gettito, in misura crescente, fino al punto in cui il prelievo fiscale, se raggiungesse il 100%, causerebbe l'azzeramento del gettito. È noto l'andamento qualitativo della curva, mentre esiste un dibattito fra economisti riguardo al valore dell'aliquota che ottimizza le entrate pubbliche. La riduzione del gettito è a sua volta interpretabile come cessazione delle attività economiche a causa di una pressione fiscale eccessiva, o come aumento dell'evasione ed elusione fiscale. La supply-side economics Oltrepassata l’aliquota ottimale il gettito fiscale tende a diminuire per tre fenomeni: evazione, elusione, sottrazione. L’evasione consiste nel dichiarare un imponibile minore rispetto a quello reale con lo scopo di pagare meno imposte. L’elusione consiste nel “truccare” la natura dell’operazione con lo scopo di beneficiare di minori imposte. A differenza dell’evasione l’elusione non si presenta come illegale; essa infatti formalmente rispetta le leggi vigenti, ma le aggira nel loro aspetto sostanziale frustrando il motivo per il quale sono state approvate. Ad esempio, se le imposte sulla vendita di un immobile sono del 35% e quelle sulla vendita di azioni del 20%, il possessore dell'immobile può conferirlo in una società per azioni al solo scopo di vendere poi le azioni della società proprietaria dell'immobile con fortissimo risparmio fiscale. Qui l'elusione sta nell'utilizzazione dello strumento società per azioni non per svolgere un'attività d'impresa, ma solo per trasferire la proprietà sostanziale dell'immobile, infatti in questo caso l'acquirente delle azioni in realtà ha acquistato l'immobile, ma in questo modo il venditore ha beneficiato di un'aliquota impositiva fortemente ridotta. La sottrazione consiste nel sottrarre l’imponibile dalla tassazione eliminandolo o spostandolo. L’offerta è composta dalla produzione delle imprese, il reddito derivante dall’allocazione di tale produzione è soggetto a imposta. Per sottrarre l’imponibile è necessario non produrre più questo reddito, o produrlo altrove. In entrambe i casi l’effetto è un calo della produzione globale e cioè della crescita del paese in questione. La supply-side economics Critiche L'idea che una minore pressione fiscale faccia aumentare l'offerta di lavoro è stata criticata sostenendo che se è vero che si rende più desiderabile il lavoro rispetto al tempo libero (effetto sostituzione), è anche vero che una minore imposizione fiscale fa aumentare il reddito disponibile a parità di lavoro (effetto reddito). È quindi possibile che, a parità di reddito, la quantità offerta di lavoro diminuisca. I critici hanno affermato che non vi sono mai state evidenze empiriche che avvalorassero la tesi secondo la quale una diminuzione delle imposte, stimolando l'offerta, potesse far crescere l'attività economica al punto tale da compensare il minor introito fiscale. Inoltre hanno criticato l'idea che gli stimoli all'offerta potessero agire positivamente sulla domanda. Per quanto riguarda la Reaganomics, gli economisti critici verso la supplyside economics hanno fatto notare che la diminuzione dell'inflazione durante i primi anni di presidenza Reagan sono attribuibili alla politica monetaria e non alla politica fiscale, mentre la riduzione delle imposte non ha prodotto alcuno stimolo capace, come teorizzavano i sostenitori più radicali della supply side economics, di far crescere l'attività economica e le entrate fiscali. L’arretramento del settore pubblico - - - La tendenza ad una riduzione della presenza dello Stato nell’economia si è verificata a partire dagli anni ’80 negli Stati Uniti e via via in Gran Bretagna, Germania e Italia. I motivi del mutamento sono dovuti a: Problemi di finanziamento del debito e forte pressione fiscale; andamenti demografici e sostenibilità del sistema pensionistico; Mutamento della scala di valori: più mercato e meno Stato e la crisi dello Stato assistenziale con il divario tra prestazioni tra il settore pubblico e quello privato; La persistenza di situazioni di povertà pur in presenza di un welfare consolidato; La globalizzazione e i mutamenti demografici che hanno messo in crisi la sostenibilità del sistema di welfare con la modifica dal sistema universale (per tutti) a quello residuale (solo ai più poveri). Gli ultimi eventi tuttavia hanno rimesso in discussione l’arretramento dello Stato alla luce della crisi del 2008/09 e della forte deregulation. Le teorie sui cicli economici Fino ai primi decenni del XX secolo, il principale indicatore del ciclo era il livello dei prezzi, che subiva forti oscillazioni. Successivamente è iniziata una fase, che ancora dura, in cui il livello dei prezzi mostra un andamento continuamente crescente; l'attenzione si è quindi spostata sui livelli della produzione e dell'occupazione. Oggi si usa la variazione del PIL come principale indicatore. Nei cicli economici vengono individuate le seguenti fasi: - fase di prosperità, o boom, nella quale il PIL cresce rapidamente; - fase di recessione, individuata da una diminuzione del PIL in almeno due trimestri consecutivi; - fase di depressione, in cui la produzione ristagna e la disoccupazione si mantiene a livelli elevati; - fase di ripresa, in cui il PIL inizia nuovamente a crescere. Le teorie sui cicli economici Quanto alla durata delle fasi, si sono individuati tre modelli principali: (1) ciclo breve di Kitchin, basato sulle variazioni delle scorte e avente durata breve, da 3 a 5 anni; (2) ciclo medio di Juglar, basato sulle variazioni del credito e delle riserve bancarie, di 7-11 anni; (3) ciclo lungo di Kondratiev, di durata nettamente maggiore; secondo Simon Kuznets, si sono avuti i seguenti cicli di Kondratiev: Rivoluzione industriale, dal 1787 al 1842, con un boom nel 1787, una recessione nell'epoca delle guerre napoleoniche, una depressione durata dal 1814 al 1827, poi una lenta ripresa; ciclo "borghese", dal 1843 al 1897, con un boom nel 1842 favorito dalla diffusione delle ferrovie, una recessione fino al 1857, una depressione fino al 1870 ed una successiva fase di ripresa; ciclo "neo-mercantilista", dal 1898 al 1950 (circa), iniziato con la diffusione dell'energia elettrica e dell'automobile, con una fase di recessione a partire dal 1911 ed una di depressione dal 1925 al 1935. Più incerta l'individuazione di cicli successivi, per la scomparsa delle ampie fluttuazioni dei prezzi che avevano caratterizzato i cicli precedenti e per la diffusione di politiche anticicliche di tipo keynesiano. Le teorie sui cicli economici Trend: tendenza di fondo del sistema economico – lungo periodo Ciclo: fluttuazioni di breve-medio periodo Le teorie sui cicli economici Gli economisti classici non avevano elaborato una teoria del ciclo economico, anche perché, essendo d'accordo con la legge di Say, detta legge degli sbocchi, ritenevano che il mercato fosse in grado di garantire l'equilibrio tra domanda e offerta poiché era l'offerta a determinare la domanda dei beni. Solo Malthus aveva sottolineato che poteva verificarsi un non completo assorbimento del prodotto sul mercato con la conseguenza della creazione di giacenza dei beni invenduti (Malthus aveva osservato che a causa del risparmio la domanda può essere inferiore alla produzione). Vere e proprie teorie del ciclo si hanno solo dopo il lavoro di Junglar, che aveva individuato un ciclo della durata media di 9 anni caratterizzato dall'espansione del credito e dalla riduzione delle riserve bancarie nelle fasi di ripresa e di prosperità, dall'andamento opposto nelle fasi di recessione e depressione. In una prima fase, le teorie del ciclo miravano soprattutto ad individuare strumenti monetari in grado di contenere le ampie oscillazioni dei prezzi o almeno di mitigare i loro effetti. Successivamente, l'obiettivo è diventato quello di prolungare il più possibile le fasi di espansione e ridurre quelle di contrazione, sostenendo la produzione e l'occupazione. Teoria Schumpeteriana Schumpeter propose di integrare la teoria dell'equilibrio economico generale di Walras con una teoria dinamica dei cicli e dello sviluppo. In una situazione di equilibrio, i prezzi di tutti i prodotti sono uguali ai prezzi dei servizi del lavoro e della terra in essi contenuti e tutti i redditi si risolvono i salari e rendite. Non esistono risparmi né interesse, non vi sono imprenditori né capitalisti, la moneta è solo un velo e non vi sono crisi. Vi è semplicemente la continua ripetizione di scelte ormai consolidate dall'esperienza. Ben altra la situazione nello sviluppo economico. Interviene qui la figura dell'imprenditore, che attua diverse combinazioni delle forze produttive per produrre un nuovo bene, per introdurre un nuovo metodo di produzione, per sfruttare l'apertura di un nuovo mercato o la conquista di una nuova fonte di approvvigionamento di materie prime e di semilavorati, per attuare una riorganizzazione di una qualsiasi industria. Tale dinamica è enfatizzata da fenomeni di imitazione. L'imprenditore, per attuare l'innovazione, deve rimuovere ostacoli, consentendo così ad altri di seguire il suo esempio. Si ha quindi la comparsa di imprenditori «a gruppi», ad ondate successive; ciò spiega perché i sintomi delle fasi espansive dei cicli sono l'aumento degli investimenti di capitale, il consumo di ferro, la comparsa di nuovo potere creditizio e l'aumento dei prezzi. Anche i nuovi prodotti giungono «in massa», facendo concorrenza a quelli vecchi e mettendo in difficoltà le vecchie imprese; la nuova massa di prodotti, insieme al rimborso dei prestiti contratti dagli imprenditori, determina una caduta dei prezzi e pone fine all'espansione provocando una depressione, eventualmente una vera e propria crisi. Teoria Schumpeteriana Schumpeter distingueva nettamente tra le normali depressioni e crisi anormali. Le depressioni sono normali in quanto servono a sgombrare il campo da imprese ormai obsolete, sono brevi, si traducono in un ritorno all'equilibrio e non sono così nere come sembra (le variazioni dei redditi e dei prezzi sono contenute in pochi punti percentuali). Le crisi sono invece caratterizzate da panico, fallimenti, incrinature nel sistema creditizio che non sono necessariamente presenti in una depressione, ma possono aggravarla. Schumpeter proponeva quindi una politica selettiva del credito, che lasciasse a se stesse le imprese obsolete e sostenesse invece quelle minacciate solo dalle esasperazioni delle crisi. Schumpeter riteneva inoltre che fosse in atto un cambiamento epocale dal capitalismo concorrenziale al capitalismo "trustificato", ad un capitalismo caratterizzato da imprese di notevoli dimensioni. Riteneva che le innovazioni potessero essere attuate da esse senza necessità di creare nuove imprese e, grazie all'autofinanziamento ed all'accesso diretto ai mercati monetari, con minor ricorso al credito bancario; riteneva quindi che si sarebbero avuti in futuro (scriveva nel 1911) cicli economici di minore ampiezza insieme ad un continuo calo dei prezzi. L’approccio ciclico nel processo di generazione del profitto di Michal Kalecki e la variante di Goodwin Kalecki nel 1935 presenta la prima formulazione di un modello ciclico di generazione del profitto e di allocazione degli investimenti, oggi riconosciuto come anticipatore di concetti più tardi sviluppati nel corpus macroeconomico keynesiano. Secondo Kalecki, nelle decisioni di investimento un ruolo fondamentale è riservato al profitto: i capitalisti fanno profitti tramite lo svolgimento della loro attività economica e li reinvestono: quanto maggiori sono i profitti realizzati, tanto più alto sarà il valore degli investimenti futuri. A partire dalle considerazioni di Kalecki l’economista Goodwin imputa le fluttuazioni nel tempo alla distribuzione delle quote di capitale e lavoro ed in particolare alla crescita del salario e alla riduzione dei profitti. Tale riduzione dei profitti provoca una riduzione dei risparmi e degli investimenti e quindi di conseguenza recessione e disoccupazione. A sua volta ciò provocherà una riduzione del potere contrattuale dei sindacati e quindi una dinamica salariare contenuta con aumento dei profitti, risparmi e investimenti. Le teorie monetariste Secondo le teorie monetariste il ciclo economico è causato essenzialmente da errori nella conduzione della politica monetaria. Variazioni dello stock di moneta sono correlate con le variazioni di reddito nominale e prezzo con effetti di lungo periodo sui prezzi ma transitori sul reddito nel breve periodo. Nel lungo gli effetti dell’espansione monetaria si riflettono sul tasso di inflazione. Nel breve periodo invece l’inflazione contrae le scorte reali liquide con effetti reali. Infine i monetaristi assumono l’ipotesi che i policymaker hanno carenze informative e quindi anche le azioni/reazioni di politica economica soffrono di ritardi. Le spiegazioni della NMC Diverso è l’approccio della NMC che con Lucas identifica la stessa macroeconomia coma studio del ciclo. Le oscillazioni cicliche, dovute a perturbazioni stocastiche, sono fenomeni d’equilibrio, essendo causati dalla risposta volontaria degli agenti economici al mutamento dei prezzi. La spiegazione del ciclo consiste nella reazione ottimale ed efficiente degli agenti ai movimenti osservati dei prezzi assicurando sempre la posizione di equilibrio. Fluttuazioni reali si verificano solo in presenza di shock improvvisi accompagnati da errori di previsione degli agenti. Tra i diversi shock quello principali sono quelli monetari che attraverso errori di previsione determinano effetti reali. Tuttavia le evidenze empiriche non hanno confermato tali ipotesi interpretative. Teorie del ciclo reale Come abbiamo avuto modo di vedere, e introducendo ulteriori ipotesi specifiche a riguardo del comportamento degli agenti e della struttura dei ritardi temporali, veniva proposta una teoria secondo la quale i cicli economici sono essenzialmente generati da shock inattesi di natura monetaria. Questo approccio è stato denominato equilibrium business cycle theory, poiché si suppone che l’economia, pur soggetta a fluttuazioni, sia costantemente in equilibrio. Anche questa impostazione è stata sottoposta a critica, sviluppando una teoria del ciclo che si concentra su fattori di natura reale piuttosto che monetaria. I teorici del ciclo reale (la real business cycle school) hanno sostenuto che i principali shock cui l’economia è soggetta sono di natura reale e, più in particolare, di natura tecnologica. Tali shock, cioè variazioni di natura casuale del tasso di progresso tecnico, producono cambiamenti dei prezzi relativi, ai quali gli agenti razionali rispondono modificando produzione, occupazione e consumi. Se l’economia è sottoposta a ripetuti shock tecnologici di natura temporanea e casuale, essa sarà soggetta a fluttuazioni delle principali variabili macroeconomiche (in particolare, del prodotto interno lordo) di segno positivo o negativo, secondo il tipo di shock subito. Teorie del ciclo reale Sebbene le teorie del ciclo reale si differenzino dalle interpretazioni monetarie del ciclo, permangono tuttavia significativi elementi in comune fra queste due impostazioni teoriche. In particolare s’ipotizza, in entrambi i casi, che il sistema economico sia sempre in equilibrio grazie alla perfetta flessibilità dei prezzi e che gli agenti formulino aspettative razionali. Anche in questo contesto, quindi, allontanamenti dell’economia dall’equilibrio possono verificarsi solo a causa di shock esterni inattesi che colgono di sorpresa gli agenti. I modelli di ciclo reale, a loro volta, sono stati criticati poiché possono spiegare i cicli solo assumendo il verificarsi di shock tecnologici di segno negativo (fenomeni di regresso tecnologico) che in realtà sono assai poco frequenti. Tuttavia, al di là delle specifiche interpretazioni dei fenomeni che originano le fluttuazioni del sistema economico, la moderna analisi del ciclo ha subito una generale evoluzione per quanto riguarda la relazione tra fluttuazioni cicliche e crescita. Tradizionalmente le fluttuazioni cicliche erano considerate temporanei allontanamenti del sistema economico dal suo sentiero di crescita di lungo periodo, ritenuto crescente in modo regolare e stabile. Dagli anni 1980 tende ad affermarsi l’idea che non sia possibile operare una netta distinzione fra ciclo e trend. I dati osservati non rifletterebbero il verificarsi di oscillazioni periodiche intorno a un trend stabile, ma piuttosto variazioni del trend stesso. Pertanto, le analisi del ciclo della crescita non possono essere scisse l’una dall’altra, ma debbono piuttosto integrarsi in un’analisi generale della dinamica economica. Teorie del ciclo reale Una discussione a parte riguarda i meccanismi di trasmissione e/o propagazione che causano gli effetti reali dello shock tecnologico. Gli effetti futuri possono essere persistenti attraverso meccanismi che agiscono attraverso lo stock di capitale (aumento della produzione a causa dello shock tecnologico) o la ricostruzione delle scorte (aumento della domanda è affrontata attraverso aumento di produzione ma anche delle scorte). Attraverso questi effetti ed altri meccanismi (incorporazione del progresso tecnico nello stock di capitale) uno shock temporaneo casuale può manifestare effetti reali permanenti. Tuttavia la persistenza nel tempo degli shock temporanei si basano non solo su meccanismi di trasmissione ma anche su effetti di sostituzione intertemporale del tempo libero (gli agenti distribuisco volontariamente l’offerta di lavoro nel tempo a seguito delle variazioni del salario reale) o del consumo (oscillazioni del risparmio in risposta a variazioni del tasso di interesse o del tempo libero). Tuttavia questi effetti di sostituzione si sono dimostrati empiricamente poco evidenti. Crescita e sviluppo Il modello Harrod-Domar Il ruolo centrale degli investimenti nelle politiche di crescita viene proposto dagli economisti Harrod e Domar. Un indiano medio duplica il proprio reddito in 50 anni, un coreano in 10. In altre parole un indiano starà 2 volte “meglio” di suo nonno, un coreano 32 volte. Se il tasso di crescita annuo è del 2% un’economia vede il suo reddito raddoppiare ogni 35 anni. Se cresce dell’1% il proprio reddito raddoppierà in 70 anni. La crescita del reddito in maniera sostenuta (3-4% negli USA o 6/8% in Cina) è un fenomeno recente ed eccezionale rispetto ai secoli passati. Il modello H-D Equazione prodotto/reddito nazionale – Y(t) = C(t) + S(t) (1) Reddito nazionale – Y(t) = C(t) + I(t) (2) Prodotto nazionale Combinando l’equazione (1) e (2) otteniamo – S(t) = I(t) (3) cioè Risparmio = Investimento Dove t = 1,2,3,4,n. è una sequenza di periodi Gli investimenti incrementano lo stock di capitale esistente e rimpiazzano la parte che viene consumata ogni anno K(t+1) = K(t) + I(t) – D(t), (4) Dove K(t+1) è lo stock di capitale nel periodo t+1, I(t) è l’investimento del periodo t, e D(t) è la parte di capitale consumato (ammortizzato) nel periodo t Se supponiamo che D(t)=δK(t), dove δ e’ una costante tra zero ed uno otteniamo l’equazione di accumulazione del capitale K(t+1) = K(t) + I(t) – δK(t) K(t+1) = (1- δ) K(t) + I(t) (5) Il modello H-D Definiamo s(t) la propensione media a risparmiare, ovvero la frazione di reddito risparmiata. Matematicamente s(t) = S(t)/Y(t) (6) Assumiamo che s(t) sia costante nel tempo, ovvero che s(t)=s, dove s è una costante tra zero e uno. Dalla (6) otteniamo S(t) = sY(t) (7) Cosicché possiamo riscrivere la condizione di equilibrio (3) come segue sY(t) = I(t) (8) Da che cosa è determinato il livello di produzione totale? La produzione è determinata dalla tecnologia produttiva in base alla quale vengono combinati i fattori produttivi. Definiamo f(t) il rapporto capitale-prodotto. Matematicamente f(t) = K(t)/Y(t) (9) Questo rapporto ci dice il numero di unità di capitale necessarie per ottenere una unità di prodotto. Il valore di f(t) dipende ovviamente dal tipo di tecnologia produttiva è ed infatti l’inverso della produttività del capitale. Assumiamo f(t)= f, costante compresa tra 0 e 1. L’equazione (9) sottintende la seguente funzione di produzione di Y(t): Y(t) = K(t)/ f (10) Il modello H-D • ….Ovvero K(t) = f Y(t) (11) Data l’equazione (11) é altresì vero che K(t+1) = f Y(t+1) (12) Date le equazioni (5), (11) e (12) l’equazione di accumulazione del capitale (5) K(t+1) = (1-δ) K(t) + I(t) implica f Y(t+1) = (1- δ) f Y(t) + I(t) (13) Sostituendo poi la condizione di equilibrio sul mercato dei capitali, S(t)=I(t), e data l’equazione del risparmio aggregato (6) otteniamo: f Y(t+1) = (1- δ) f Y(t) + sY(t) (14) Questa equazione ci da l’evoluzione del livello di produzione, e dunque del reddito, nel tempo. Il modello H-D Dividendo per f otteniamo infatti Y(t+1) = (1 - δ) Y(t) + Y(t) s/ f (15) Definiamo ora G il tasso di crescita dell’economia, dove G = [Y(t+1) -Y(t)]/Y(t) = Y(t+1) /Y(t) - 1 (16) In base alla definizione, il tasso di crescita dell’economia nel modello HD è dato dalla seguente espressione G = s/f – δ (17) Le variabili che influenzano il tasso di crescita sono le seguenti: — propensione al risparmio, s; — la produttività del capitale, 1/f; — il tasso di deprezzamento del capitale, δ. Il tasso di crescita cresce all’aumentare di s o di 1/f, e diminuisce all’aumentare di δ. Il modello H-D L’indicazione principale del modello di H-D è che il tasso di crescita di lungo periodo dipende da due variabili fondamentali: la propensione al risparmio e la produttività del capitale, misurata dal prodotto per unità di capitale che, in base all’equazione (10) è definito come 1/ f. Economie centralizzate quali l’India e, soprattutto l’Unione Sovietica, fecero proprie queste indicazioni. Possiamo davvero ritenere che s e f siano parametri esogeni? Cosa succede nel caso del modello di H-D nel caso di progresso tecnologico? Che dire del tasso di crescita della popolazione? Tasso giustificato di sviluppo Avendo definito il tasso di crescita dell’economia nel modello H-D dalla seguente espressione: G = s/f – δ G = misura il tasso di accrescimento della domanda globale che assicura l’eguaglianza fra risparmi e investimenti. Quando tutti i risparmi vengono investiti. Harrod lo denomina Tasso giustificato di sviluppo. Tasso effettivo di sviluppo Abbiamo considerato sempre l’ipotesi che il risparmio pianificato sia uguale a quello realizzato. In condizioni di equilibrio il tasso effettivo di sviluppo deve essere uguale al tasso di sviluppo giustificato. G = Gw In questo caso risparmiatori e investitori vedono realizzati i propri progetti. Se il G>Gw significa che gli imprenditori hanno pianificato investimenti maggiori rispetto ai risparmi disponibili con un tasso di crescita superiore a quello giustificato. Vi è un eccesso di investimenti rispetto ai risparmi. Se questa condizioni è soddisfatta con altre risorse o scorte non ci saranno effetti inflazionistici a causa della scarsità di beni di consumo. Se G<Gw significa che il tasso di accrescimento dell’economia è inferiore a quello possibile. In questo caso i risparmi superano gli investimenti. Tasso effettivo di sviluppo Al termine di una serie di considerazioni matematiche si avrà che il tasso di crescita garantito o giustificato in grado di assicurare la piena occupazione è uguale a: g* = s/f – δ - n (21) Al crescere della tasso di crescita della popolazione, diminuisce il tasso di crescita del reddito pro capite; g* = g-n Tasso naturale di sviluppo L’accumulazione di capitale deve essere accompagnata da un aumento della forza lavoro e dal progresso tecnologico. L’accrescimento della forza lavoro e il progresso pongono un limite al tasso di accrescimento del reddito. Il Tasso di accrescimento massimo consentito dall’aumento della popolazione e dal progresso tecnico è il tasso di accrescimento naturale Gn. Il Tasso effettivo G non può mai superare il tasso di accrescimento naturale Gn.