Introduzione: molte voci, alcuni temi e una conversazione Tra la seconda metà del diciannovesimo secolo e il primo ventennio del ventesimo, in un arco temporale compreso all’incirca tra il 1848 e il 1921, la riflessione sulla società vive una stagione destinata a essere, con ottime probabilità, assolutamente irripetibile. Karl Marx, Émile Durkheim, Max Weber e Georg Simmel scrivono tutti le loro opere principali in questo periodo. Ai loro nomi è legata l’identità di quella disciplina scientifica che si è istituzionalizzata sotto il nome di sociologia, ma che nella concezione di questi autori ha un respiro ben più ampio ed entra in dialogo con forme filosofiche di riflessione sulla società che vale la pena di riportare in primo piano. Questo modo più ricco di pensare la società moderna è ciò a cui ci riferiamo con il termine “teoria” o “filosofia sociale”. Infatti, Marx, Durkheim, Weber e Simmel non solo non si sarebbero riconosciuti, tutti o tutti allo stesso modo, come “sociologi”, ma anche qualora avessero preso per buona questa definizione si sarebbero scontrati, come in parte di fatto avvenne, su concezioni diverse della sociologia, su cosa la contraddistingua e su come essa vada fatta. Immaginiamoli seduti a uno stesso tavolo: tutti dotati di forti personalità, si sarebbero trovati in profondo disaccordo sull’oggetto della riflessione sociologica e sul metodo a essa proprio. Qual è l’oggetto specifico della sociologia? «L’analisi dei modi di produzione che si sono avvicendati nel corso della storia», afferma perentoriamente Marx; «un più ampio insieme di fenomeni sociali sui generis», puntualizza aspro Durkheim; «le diverse forme di agire sociale», sostiene Weber cambiando il terreno della conversazione; «le forme di interazione sociale», suggerisce sottilmente Simmel. E che dire del metodo? «I fenomeni sociali vanno spiegati più o meno come i fenomeni naturali», sostengono Marx e Durkheim (non senza distinguo tra loro), «individuando leggi che rendano conto di singoli comportamenti individuali le cui ragioni e finalità rimangono spesso oscure ai soggetti»; «no», è la replica di Weber e Simmel, «essi vanno compresi, inter9 AFFRESCHI DELLA MODERNITÀ pretati nella loro irripetibilità e a partire dal senso che i soggetti attribuiscono intenzionalmente alle proprie azioni». Malgrado questi dissensi, abbiamo molte ragioni per immaginare Marx, Durkheim, Weber e Simmel a uno stesso tavolo. Anche se l’oggetto e il metodo della sociologia li divideva, essi seppero comunque dare vita a una conversazione, polifonica e politematica, di straordinaria ricchezza. Una conversazione non vincolata a un solo tema o a un solo problema preciso, il cui successo non è misurato in base all’approssimazione a un risultato finale che già conosciamo in partenza – per esempio, riuscire a far volare l’uomo con una qualche tecnica economicamente ragionevole, oppure trovare del petrolio a un costo sopportabile – ma comunque una conversazione “intorno a qualcosa”, con una sua coerenza tematica. Conversare vuol dire parlare su qualcosa, anche se non sempre sulla stessa cosa, e sappiamo intuitivamente distinguere chi interviene a tono, ossia sul tema o anche per cambiare il tema, da chi salta “di palo in frasca”. Marx, Durkheim, Weber e Simmel sono le voci principali che hanno animato una conversazione intorno alla modernità, una conversazione che si è articolata in una pluralità di sotto-temi intorno ai quali ciascuno di loro ha fatto registrare interventi della massima importanza. Tra questi temi, quelli su cui la conversazione è tornata con insistenza particolare sono stati il problema delle basi della solidarietà sociale in un mondo in trasformazione, il rapporto tra individuo e modernità, le cause e la direzione del mutamento sociale, il ruolo e il futuro della religione, le patologie della forma di vita moderna, e – come accennato – i compiti e i metodi di una scienza della società. Nel corso del tempo, alle loro voci – che erano già state in parte anticipate da quelle per esempio di Montesquieu, Diderot, Condorcet, Rousseau, Comte, Spencer – se ne sono aggiunte molte altre, che hanno contribuito non solo ad articolare ulteriormente le posizioni sui temi in questione, ma anche ad aggiungerne di sempre nuovi. Tuttavia, senza Marx, Durkheim, Weber e Simmel, e senza le loro prese di posizione sui temi citati, sarebbe mancato il nucleo essenziale di argomenti da cui ogni conversazione, anche presente e probabilmente futura, sembra obbligata a ripartire. Nel corso di questa conversazione, in cui si assiste anche a una peculiare forma di “progresso”, dato dall’arricchimento che viene dalla presenza di nuove voci e nuove prospettive più che dalla irreversibilità degli argomenti, si sono sedimentati non solo temi di discussione – i principali fra i quali costituiscono i capitoli di questo volume –, ma anche un vocabolario e un particolare tipo di sguardo con cui guardare ai problemi sul tavolo. Concetti come alienazione, reificazio10 INTRODUZIONE ne, lotta di classe, anomia, sacro, divisione del lavoro, avalutatività, tipo ideale, agire razionale rispetto allo scopo, religiosità, individuo blasé – per fare solo alcuni dei molti possibili esempi – sono diventati parte integrante e costitutiva del lessico che chiunque voglia e sappia oggi entrare nella conversazione deve saper usare appropriatamente, deve dimostrare di aver metabolizzato e fatti propri. In un certo senso, in questa come in altre forme di conversazione, vigono regole rigorose e “cerimoniali dell’interazione” molto puntuali: bisogna parlare “a modo”, conoscere i temi della conversazione e saper usare un vocabolario identificante, oltre che (auspicabilmente) saperlo arricchire e trasformare. In questo senso, quella di cui stiamo parlando è una conversazione che ha dato vita a una tradizione, mai statica, ma pur sempre una “tradizione” di pensiero, la cui storia, i cui temi di discussione, il cui vocabolario sono gli unici elementi identificanti. Proviamo a immaginare il pensiero filosofico, ma anche l’indagine psicologica sulla personalità, del diciannovesimo e ventesimo secolo senza le riflessioni sulla società moderna, a volte messa a fuoco attraverso le lenti di società “altre”, “primitive”. Ciò di cui rimarremmo orfani è una galleria straordinaria di immagini, oltre che di concetti: immagini di paesaggi sociali in mutamento, di città in cui le ciminiere degli opifici si sostituiscono ai borghi medioevali, di masse sporche e impoverite; immagini di nuove figure sociali, come il borghese, il capitalista, il proletario, il dandy raffinato; immagini di individui soli e dispersi nell’anonimato di metropoli spersonalizzanti, privati della forza morale che viene dalla vita associata. Ma anche immagini di uomini e donne “in marcia” per rivendicare i loro diritti, che danno vita a riti collettivi in cui rinsaldano i legami che li uniscono, o che individualmente si fanno carico del “destino del tempo” per sopravvivere alla “gabbia d’acciaio” che piano piano sembra stritolare tutti. E ancora, immagini di una società “totalmente amministrata”, di individui ridotti a “cellule di risposta funzionale”, a “una dimensione”; immagini di folli che navigano su vascelli ai margini della ragione, o di individui che resistono, con un mazzo di carte e un pacchetto di sigarette rubate in mano, alla spoliazione della loro identità meticolosamente e sistematicamente condotta non dai gerarchi nazisti, ma dagli infermieri di un ospedale psichiatrico. Sono solo alcune, queste, delle immagini che le pagine della tradizione di pensiero di cui stiamo parlando ci hanno messo a disposizione per nutrire la nostra “immaginazione sociologica”, per potenziare la forza interpretativa dei concetti con cui ci rappresentiamo (e costruiamo) la realtà. Alle volte miniature, alle volte ritratti, alle volte grandi affreschi su più tavole, le immagini che danno corpo alla conversazione sociologica sulla modernità 11 AFFRESCHI DELLA MODERNITÀ fanno pensare alla sociologia, come sostenuto da Robert Nisbet, come a una “forma d’arte”. Due cose è importante sottolineare a questo proposito. Non a caso abbiamo parlato di “grandi affreschi”. I grandi affreschi della modernità che cerchiamo di restituire al lettore non vanno confusi con le “grandi narrazioni” prese di mira dal postmodernismo filosofico. Non ne posseggono la vettorialità unidirezionale, non ambiscono a dirigere univocamente il nostro sguardo. Racchiudono immensità, suggeriscono profondità ma lasciano allo spettatore la facoltà di cogliere nessi, individuare pertinenze e corrispondenze, avventurarsi in prognosi. Secondo, gli affreschi della modernità dipinti dalla potenza iconografica delle voci che hanno preso parte alla nostra conversazione sono – quasi sempre – in chiaroscuro. Anche i più cupi tra loro, quelli dipinti da Marx, o più tardi dagli autori della Scuola di Francoforte o da Foucault, sono almeno da qualche parte illuminati da un debole raggio di sole. Quasi mai, al contrario, la luce si fa abbagliante, come a dipingere una modernità solare e irenica. Le tinte si alternano componendo dei chiaroscuri che gettano luci diverse sui problemi della modernità. Ma il fatto che i toni scuri, le tonalità grigie, siano spesso predominanti ci dice di una certa tendenza, nella nostra conversazione, a mettere l’accento sulle patologie della modernità, ci mostra un certo commitment normativo da parte della nostra tradizione (spesso irriflessivo e non tematizzato) disconosciuto dai fautori di una concezione neopositivista della sociologia. La conversazione di cui stiamo parlando – e la tradizione a cui ha dato vita e che continua a nutrire – non coincide infatti in toto con la sociologia così come si è venuta istituzionalizzando, soprattutto nel nostro paese. Si ricollega piuttosto alla tradizione della filosofia o teoria sociale (cfr. Calloni, Ferrara, Petrucciani, 2001), la quale intrattiene rapporti ben più stretti con lo sfondo e le radici filosofiche che erano alla base del pensiero di Marx, Durkheim, Weber e Simmel (e più in generale, ancora oggi, con la discussione filosofica), e non fa dipendere la sua rilevanza intellettuale dalla falsificabilità empirica della teoria stessa. Un diverso rapporto con l’empiria è, a nostro parere, alla base della differenza che intercorre tra la filosofia o teoria sociale e la teoria sociologica in senso stretto. Al tempo stesso, la filosofia o teoria sociale mantiene un rapporto stretto con l’“oggetto” di riflessione che chiamiamo “società”, e questo “corpo a corpo” con la società, le sue articolazioni e la sua specificità rispetto al “politico” o ad altre sfere sociali differenziano questa forma teorico-filosofica di riflessione dalla filosofia teoretica o anche da diverse branche della 12 INTRODUZIONE filosofia pratica. Inoltre, anche se molto spesso alcuni temi della conversazione che ricostruiremo nei prossimi capitoli sono oggetto anche della teoria sociologica o di una sociologia empiricamente orientata, queste ultime attribuiscono all’analisi delle patologie della modernità uno statuto puramente descrittivo, svuotandola di quel commitment normativo che invece, anche senza impegnarsi in una sistematica analisi teoretica della natura e delle caratteristiche della normatività, fa da sfondo alla tradizione della filosofia o teoria sociale. Nei capitoli di questo libro ricostruiremo sei temi cruciali al centro della conversazione filosofico o teorico-sociale. Non intendiamo sostenere che si sia trattato degli unici temi sui quali le voci dei teorici della società si siano fatte sentire. Intendiamo piuttosto affermare che senza questi sei temi la filosofia o teoria sociale non sarebbe stata la stessa, che essi rappresentano il cuore della conversazione che l’ha posta in essere. Altri temi e altre voci, importanti ma non altrettanto costitutive, potrebbero essere aggiunte. Il capitolo 1 affronta il problema della solidarietà sociale, uno dei temi più classici della riflessione sociologica e filosofico-sociale. Sullo sfondo del progressivo crollo della società dell’ancien régime, i principali teorici della società, da Comte a Durkheim, Weber e Marx, si interrogarono sui fondamenti della coesistenza sociale, divenuti improvvisamente precari nella nuova società industriale, differenziata e individualista. L’interrogativo su come sia possibile la solidarietà sociale rimarrà una costante anche nella teoria o filosofia sociale contemporanea. Il capitolo 1 propone di ricostruire la discussione in merito a questo problema lungo le linee di quattro diverse risposte fornite dai partecipanti alla conversazione, che vedono la centralità ora di interessi egoistici ma spontaneamente convergenti, ora di valori comuni, ora del nuovo ethos democratico postrivoluzionario, ora del diritto. Come anche nel caso dei capitoli successivi, se la precedenza e priorità è data alle risposte fornite dai classici, per ciascuna delle posizioni da essi rappresentate si è cercato di individuare continuità e discontinuità con le principali prospettive teoriche contemporanee. Il capitolo 2 mette a fuoco il nesso tra individuo e modernità. La filosofia sociale si è sempre interrogata intorno alle implicazioni che la forma di vita moderna possiede per chi vi abita e ha generato risposte assai diverse. La prima risposta ruota attorno all’idea di un “accrescimento di individuazione”. La possiamo riassumere nell’osservazione secondo cui nel contesto moderno l’individuo è incomparabilmente più autonomo, più unico o più se stesso di quanto gli esseri umani del passato, nella grande maggioranza, abbiano avuto modo di essere. La seconda risposta – ovvero la “tesi del Sé plurale” – si pre13 AFFRESCHI DELLA MODERNITÀ senta come una radicalizzazione della tesi dell’“accrescimento di individuazione” ma giunge a esiti notevolmente diversi. Anch’essa ha il suo inizio nel XVIII secolo. La troviamo presente per la prima volta, sia pure in forma implicita, in un’opera breve di Diderot – Il nipote di Rameau (1761-64) – in cui l’unità dell’attore si scinde in una “molteplicità simultanea di Sé diversi”, messi in scena a seconda delle circostanze dell’interazione. Infine, una terza ipotesi intorno al rapporto tra modernità e individuo è quella cosiddetta della “fine dell’individuo” – la vera antagonista della tesi dell’“accrescimento di individuazione”; si pone, in diretto contrasto con essa, come uno smascheramento della falsità dell’assunto per cui nelle condizioni della modernità l’individuo guadagnerebbe in autonomia, autodeterminazione, spessore e unicità, come denuncia di una promessa mancata. Il capitolo 3 pone a confronto le principali tesi a proposito del mutamento sociale. Un ordine sociale è qualcosa che dura nel tempo e si riproduce di generazione in generazione. Come dobbiamo rendere conto delle sue pur evidenti trasformazioni? Una prima posizione è quella di coloro secondo i quali il mutamento delle società va concepito sulla falsariga del mutare delle forme organiche: il mutamento avviene mediante crescita e differenziazione. Una posizione concorrente è quella secondo cui il mutamento sociale è in modi diversi un prodotto del conflitto. Una terza posizione emerge nell’ambito di quelle tradizioni che hanno privilegiato una prospettiva legata alla genesi microsociale dell’ordine, in processi di interazione faccia a faccia tra individui concreti o in quelle tradizioni che maggiormente hanno fatto riferimento a una prospettiva fenomenologica. Per coloro che si riconoscono in questa posizione il mutamento procede soprattutto dal sedimentarsi graduale e progressivo di singoli scarti individuali nell’esecuzione dei ruoli. Infine, verrà esaminata la posizione di coloro che vedono nel mutamento sociale la ricaduta, mediata dai gruppi sociali e dai loro interessi, di un mutamento che si origina nella sfera della cultura, vero battistrada dell’evoluzione sociale. Il capitolo 4 affronta invece il nodo del rapporto tra religione e modernità. La religione è sempre stato un fenomeno della massima importanza dal punto di vista sociologico e filosofico-sociale. La religione ricopriva, infatti, un ruolo di assoluta centralità nelle società premoderne, ma ben presto ci si avvide che essa non era del tutto eliminabile neanche nel contesto di quelle moderne. La stessa consapevolezza dell’importanza della religione, e del suo carattere forse “eterno”, come sosteneva Durkheim, si riaffaccia anche nel dibattito contemporaneo, almeno tra i teorici più avvertiti. Il capitolo 4 ripercorre così la posizione di teorici classici come Durkheim, per il quale la religione socio14 INTRODUZIONE logicamente intesa era la base e il vertice della società, la matrice delle sue istituzioni come anche l’espressione dei suoi valori; come Marx, per il quale la religione costituiva la risposta sbagliata al problema della sofferenza umana; come Weber, che nelle etiche religiose vedeva il motore della formazione della società moderna; come Simmel e William James, per i quali la religiosità era espressione di sentimenti individuali; ma viene analizzata anche la posizione di autori classici della contemporaneità, come Talcott Parsons e Robert Bellah, che si pongono lungo la scia durkheimiana, o come Taylor, che si pone in quella di Simmel e James. Per finire, si prende in considerazione il rapporto tra religione e sfera pubblica nelle società contemporanee, alla luce di un sintetico riesame critico del concetto di “secolarizzazione”. Il capitolo 5 è dedicato a quegli affreschi teorici che della modernità ritraggono soprattutto il lato oscuro, le patologie e le distorsioni. Da Weber agli autori della Scuola di Francoforte e Foucault, si potrebbe scrivere una storia della filosofia sociale a partire dall’analisi del rapporto tra modernità e ragione strumentale, spesso sovrapposte fino a fare della modernità niente altro che il dispiegarsi incontrastato della logica di dominio di quest’ultima. Alcune tra le pagine più belle della storia della tradizione a cui è dedicato questo volume sono anche tra le più disperate (e disperanti): la modernità della razionalità di Odisseo apre la strada, nella Dialettica dell’illuminismo, alle tecniche di soggiogazione del pensiero critico nella società totalmente amministrata, o alle tecniche disciplinari analizzate da Foucault. Bisogna rivolgersi al pensiero di Jürgen Habermas o, per altri versi, a quello di critici sociali come Mills e Goffman, per poter trovare – tra le pieghe di una modernità i cui principi di libertà, eguaglianza e fraternità vengono sistematicamente traditi o rimangono una pura copertura ideologica di logiche di dominio – “tracce di ragione esistente”, forme e spazi possibili di resistenza, individuale o collettiva, bagliori, non del tutto spenti, delle “promesse dell’89”. Il capitolo 6, infine, ci ripropone quei passaggi della conversazione filosofico-sociale in cui l’oggetto del contendere sono i compiti e il metodo di una scienza della società. I termini del contendere sono definiti dall’opzione naturalistica – nelle sue versioni pura (Comte e Pareto), sofisticata (Durkheim) e storicistica (Marx) – e dall’opzione ermeneutica, il cui campione indiscusso è Max Weber. Accanto a queste due opzioni principali, che colgono il compito della scienza sociale sotto la rubrica rispettivamente dello “spiegare i fatti sociali” e del “comprendere l’azione”, verranno esplorate opzioni ortogonali e non a queste omologabili, come la sociologia delle forme di Simmel e l’idea della sociologia come “forma d’arte” di Nisbet. 15 AFFRESCHI DELLA MODERNITÀ La filosofia o teoria sociale è sempre stata, in un certo senso, future-oriented, aperta non solo alla diagnosi ma alle volte anche alla prognosi sul futuro della modernità. Al tempo stesso, essa intrattiene un rapporto strettissimo con il suo passato, un rapporto che non è lo stesso di quello che hanno con la loro storia, per esempio, la fisica o la chimica. Per chi voglia aggiungere la propria voce alla discussione sui molti e importanti temi, presenti e futuri, che terranno occupata la filosofia o teoria sociale nei prossimi anni e decenni, ricostruire le conversazioni che ci hanno preceduto, fare la conoscenza dei loro protagonisti, farne i nostri maestri e compagni di strada, impossessarsi dei vocabolari sedimentatisi è una condizione imprescindibile. La futura identità della filosofia o teoria sociale non potrà prescindere in nessun modo da quel che è stata la comunità dei teorici sociali in passato. Si è trattato, alle volte, di una comunità litigiosa, ma senza la quale la nostra capacità di raffigurazione della realtà non sarebbe oggi, in nessun modo, la stessa. ALESSANDRO FERRARA MASSIMO ROSATI 16