orizzonti
su Marte
I rover sono i fuoristrada dello spazio. Si muovono sulla superficie
di Marte e dei quattro lanciati a partire dal 1997 dalla NASA solo
due sopravvivono, inviando alla Terra informazioni di grande interesse
scientifico. Alla guida di Opportunity e Curiosity, dal Jet Propulsion
Laboratory di Pasadena, in California, c’è un ingegnere italiano, Paolo
Bellutta, che ci rivela i ‘trucchi’ del mestiere.
di LUIGI BIGNAMI
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Foto NASA/JPL-CALTECH, COURTESY PAOLO BELLUTTA, NASA/MOLA SCIENCE TEAM/O. DE GOURSAC - ADRIAN LARK
Un pilota italiano
ALLA GUIDA
Sopra: Paolo Bellutta ritratto
accanto a Curiosity durante i
test di guida precedenti il
lancio del rover su Marte.
A sinistra: un’immagine
CGI sviluppata dalla NASA
dell’Olympus Mons, l’enorme
vulcano presente sul Pianeta
Rosso, nonché il più grande
rilievo montuoso dell’intero
sistema solare con i suoi oltre
22 km di altezza rispetto al
livello topografico di
riferimento e una struttura di
oltre 600 km di diametro.
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orizzonti
SCATTI DAL
PIANETA ROSSO
A sinistra: uno dei primi
panorami di Marte inviati
sulla Terra nel 1997 dal
rover Sojourner durante
la missione NASA
denominata ‘Mars
Pathfinder’. Più a sinistra:
calanchi ricoperti di
ghiaccio sulla superficie
del pianeta. Sotto: un selfie
scattato da Curiosity.
S
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ziane, ottenendo risultati di grande interesse
scientifico. Partiamo da Curiosity. Il rover sta stu­
diando le rocce che si trovano alla base del Monte
Sharp, il quale, a sua volta, si trova all’interno di
un gigantesco cratere chiamato Gale. Il luogo
venne scelto dalla NASA poiché, grazie ai rileva­
menti eseguiti dalle sonde che ruotano attorno al
Pianeta Rosso, erano stati ricavati indizi di una
possibile presenza d’acqua in un lontano passato.
“Grazie a Curiosity, ora abbiamo la certezza che
quel luogo è stato realmente ricco d’acqua; dun­
que, è certo che Marte un tempo abbia avuto un
clima caldo e umido, che potrebbe essere durato
per almeno 10 milioni di anni”, spiega Ashwin
Vasavada, project scientist del Mars Science Labo­
ratory al JPL della NASA, proseguendo: “Questo
conferma che l’atmosfera del pianeta doveva
essere all’epoca molto spessa, anche se ancora non
possiamo sapere quale fosse esattamente la sua
composizione”.
Metano marziano
Il Monte Sharp si innalza per circa 5 km e i suoi
fianchi sono caratterizzati da centinaia di strati
di roccia che, stando alle analisi, si sarebbero for­
mati grazie a depositi lacustri, fluviali ed eolici.
Testimonierebbero, quindi, una serie di fasi ripe­
tute di riempimento ed evaporazione del lago che
giace ai suoi piedi. Al momento Curiosity sta stu­
diando gli strati alla base della montagna, una
sezione di rocce alte circa 150 metri, chiamata For­
mazione Murray, dove vi sarebbero tracce di delta
fluviali molto simili a quelli presenti sulla Terra.
Le immagini e le analisi realizzate da Curiosity
stanno permettendo di ricostruire la storia dei
fiumi che portavano acqua nel grande cratere fino
a riempirlo, acqua che, poi, ciclicamente evapo­
rava completamente. Quando l’acqua scomparve
definitivamente, il vento erose quel che vi era tra
il bordo e le parti più interne del cratere
Curiosity ha
rilevato la
radiazione
cosmica e solare
durante il suo
viaggio di 9 mesi
dalla Terra a
Marte, fornendo
preziose
informazioni sul
tipo di ambiente
che dovranno
affrontare i futuri
esploratori umani
per raggiungere
il pianeta.
foto NASA/JPL-CALTECH/UNIVERSITY OF ARIZONA, NASA, NASA/JPL-CALTECH/MSSS
ono ormai quattro i rover scesi sul­­
la superficie di Marte, due dei
quali ancora in attività. Particolar­
mente sorprendente è quanto sta
facendo Opportunity, il rover atter­
rato sul Pianeta Rosso nel 2004
in­­sieme al suo gemello Spirit. Opportunity, costruito per so­­pravvivere nell’ambiente marziano per
90-100 giorni, a distanza di 11 anni continua
senza sosta a esplorare i deserti di Marte e finora
ha coperto una distanza superiore a 42 km. L’al­
tro rover in attività è Curiosity, molto più ‘giovane’,
in quanto sceso su Marte solo nel 2012, per cui
la sua ‘missione’ si può dire sia ancora agli inizi.
Alla guida di questi rover c’è anche un italiano,
Paolo Bellutta, originario di Rovereto (Trento), che
svolge il suo lavoro dal Jet Propulsion Laboratory
(JPL) della NASA, nei pressi di Pasadena, in Cali­
fornia, al quale è approdato con una doppia lau­
rea tutta tricolore: in Fisica conseguita alla Libera
Università degli Studi di Trento e in Computer
Science all’Uni­­versità di Milano. “Imparare a gui­
dare un rover è un processo molto lungo, ci si
impiegano diver­­si mesi, talvolta anche un anno
o più”, spiega Bellut­ta, aggiungendo: “La parte
più difficile non è tan­­to prendere dimestichezza
con i software utilizzati, quanto districarsi tra i
vari ostacoli che il rover incontra quotidianamente
lungo il suo percorso e che possono mettere a
repentaglio la missione”. Ogni giorno, infatti, le
difficoltà da superare sono diverse. Una volta può
esserci un campo di rocce appuntite, un’altra
delle distese di sabbia tali da far arenare il rover
(come è successo a Spirit, anche se quando arrivò
presso l’insidiosa distesa di sabbia era già malcon­
cio, con una ruota che non funzionava) o, ancora,
degli enormi massi da superare.
È proprio grazie all’abilità di manovra di Bellutta
e dei suoi colleghi che i rover hanno potuto ana­
lizzare una grande quantità di rocce e sabbie mar­
67
orizzonti
corrisponde a circa due anni terrestri), durante
il quale Curiosity si è mosso per circa 8 km all’in­
terno del Cratere Gale”. Durante questo periodo,
inoltre, si è potuto confrontare la presenza di me­­
tano con molti altri parametri atmosferici, come
pressione, umidità relativa, temperatura e opacità
dell’aria, parametri che potrebbero aiutare a dare
una risposta certa e definitiva alle domande
sull’origine del gas.
Veicoli intelligenti
stesso, formando la montagna che oggi è possibile
osservare. Negli strati di roccia sulle sue pendici,
quindi, è scritto un momento tra i più importanti
della storia di Marte, quello che avrebbe potuto
permettere alla vita di svilupparsi sul pianeta.
Grazie allo spettrometro laser di cui è equipag­
giato, Curiosity ha anche recentemente posto fine
alla controversia che riguardava la presenza di
metano su Marte. Analizzando l’atmosfera per 605
giorni marziani, il rover ha inequivocabilmente
rilevato un aumento della concentrazione del gas
durante quest’arco temporale. Il dibattito tra gli
scienziati in merito era iniziato più di un decen­
nio fa, quando la presenza di metano venne rile­
vata da telescopi terrestri; tuttavia, nel corso degli
anni, sonde in orbita marziana avevano segna­
lato dati discordanti: in alcuni periodi di tempo e
in particolari aree il metano sembrava esistere,
in altri era del tutto assente. Alcuni ricercatori
imputavano questa variabilità alla difficoltà da
parte delle sonde nel rilevare il gas in quanto si
presentava in concentrazioni che erano al limite
della tracciabilità da parte degli strumenti di cui
erano dotate. Oggi, invece, c’è la certezza che il
metano sia presente, ma che la sua concentra­
zione muti nel tempo. “Grazie a Curiosity sap­
piamo che la concentrazione di metano subisce
delle variazioni da un minimo di 0,7 ppbv (parti
per miliardo) a 7 ppbv”, ha spiegato Francisco
Javier Martín-Torres, un ricercatore dell’Andalu­
sian Institute of Earth Sciences (CSIC-UGR). Il fatto
che su Marte il metano aumenti e poi diminuisca
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GENERAZIONI A CONFRONTO
Tre generazioni di rover costruiti
dalla NASA: da sinistra, il prototipo
da cui sono stati sviluppati Spirit
e Opportunity (lanciati nel 2003) e
quelli per la realizzazione del piccolo
Sojourner (atterrato su Marte nel 1997)
e del ‘gigantesco’ Curiosity (2012).
Foto NASA/JPL-CALTECH/CORNELL/USGS, NASA/JPL-CALTECH, NASA/JPL-CALTECH/MSSS
MIRTILLI ALIENI
Un panorama di Marte dove risaltano le
tracce lasciate da Curiosity sul terreno.
Nella foto di sinistra: un’immagine inviata
da Opportunity dei ‘mirtilli marziani’,
piccole sfere scure composte da ematite
che sono presenti ovunque sul suolo del
pianeta. Alcuni scienziati sono convinti che
ad aver prodotto queste sferette di ossido
di ferro siano stati dei microbi, perché, in
epoche remote, lo stesso è accaduto sulla
Terra. Se ciò fosse appurato, sarebbe la
prima evidenza di una forma di vita
extraterrestre, pur se primordiale.
è alquanto importante, poiché potrebbe indicare
la presenza di una qualche forma di attività orga­
nica, ‘produttrice’ di metano, che è più pronuncia­
­ta in certi periodi dell’anno rispetto ad altri. Dato
che sulla Terra la quasi totalità del metano pre­
sente nell’atmosfera è di origine biologica, ciò fa
sperare che anche il metano marziano possa esserlo.
Tra l’altro, il fatto che su Marte il metano abbia
una distribuzione limitata nello spazio (è presente
soprattutto nell’emisfero Nord) e nel tempo (au­­
menta durante l’estate per scomparire quasi del
tutto negli altri mesi), rende assai improbabile tro­
vare una spiegazione chimica alternativa a quella
biologica. “È giusto porsi la domanda su quale sia
l’origine del metano - spiega ancora Martín-Torres
- ma è altresì fondamentale l’aver raggiunto la
certezza assoluta sulla sua presenza. I dati sono
stati rilevati lungo un intero anno marziano (che
I rover hanno trovato
vari tipi di rocce
vulcaniche, da
argilliti a pietre con
venature minerali:
ognuna racconta la
storia di un ambiente
diverso in un
momento diverso del
passato di Marte.
Per raccontare, invece, le scoperte di Opportunity
servono ormai tomi di grosso spessore. Insieme
a Spirit ha scoperto i ‘mirtilli marziani’, sferule
millimetriche composte da ematite, un minerale
che si forma quasi unicamente in presenza di
acqua. Ha poi analizzato terreni risultati ricchi di
sali, testimoni anch’essi di antichissimi bacini
lacustri. Nel 2013 individuò rocce ricche di mine­
rali argillosi in un luogo chiamato Whitewater
Lake, sul bordo del Cratere Endeavour; le analisi
dell’argilla hanno evidenziato come appartenesse
a un lago d’acqua dolce e, quindi, adatta alla vita.
Di fronte a tali scoperte, Michael Meyer, del Mars
Exploration Program della NASA, ha spiegato:
“Stiamo trovando molte evidenze che fanno rite­
nere Marte un pianeta un tempo caldo e umido.
È un forte stimolo per continuare nella ricerca di
prove di vita passata”. Opportunity è stato anche
il primo rover a fotografare una cometa dalla super­
ficie di Marte: è successo nell’ottobre del 2014,
quando la cometa Siding Spring si trovava a 25°
sopra l’orizzonte del pianeta.
Sono tutte scoperte, queste, ottenute grazie allo
zigzagare continuo dei rover sulla superficie del
pianeta, puntando verso obiettivi scelti dai geologi
della NASA attraverso l’analisi delle decine di
migliaia di fotografie inviate a Terra dagli stru­
menti. Ma a complicare la guida dei rover vi è
anche l’enorme distanza tra Marte e la Terra. “Lo
spazio tra i due pianeti, che va da un minimo di
55 milioni di km a un massimo di 400 milioni, è
così enorme da rendere impossibile una guida
interattiva o in tempo reale: il comando può impie­
gare anche diversi minuti per arrivare a
MONTAGNE SPAZIALI
Il Monte Sharp su Marte,
un rilievo dall’altezza
stimata in 5500 metri. La
montagna si trova al centro
del Cratere Gale, dove
atterrò Curiosity
nell’agosto del 2012.
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SCAVI E X TRATERRESTRI
Il rover Opportunity scava
all’interno del Cratere Eagle
per analizzare la composizione
degli strati più profondi del
suolo marziano.
destinazione”, spiega Bellutta, aggiungendo: “Per
questa ragione, ogni giorno forniamo ai rover
tutta una serie di comandi per eseguire le attività
stabilite dalla NASA, siano esse di movimento,
che di utilizzo del braccio robotico o degli stru­
menti scientifici di bordo; questa sequenza viene
quindi inviata ai rover in una singola trasmissione.
Essi la decodificano e oltretutto verificano che le
istruzioni siano corrette, sia a causa di possibili
problemi di ricezione del segnale, sia di errori
dovuti proprio all’invio di comandi sbagliati. Suc­
cessivamente, eseguono in completa autonomia
le direttive ricevute. Durante lo svolgimento delle
attività programmate, gli strumenti di bordo regi­
strano ogni singolo passaggio, insieme allo ‘stato
di salute’ del rover stesso; alla fine della giornata
lavorativa tutti questi dati vengono inviati alla
Terra, dove vengono vagliati e analizzati anche
per de­­cidere quali compiti far svolgere ai rover
nelle giornate successive”.
Oggi è certo che un tempo vi sia stata
acqua su Marte e che sul pianeta vi fosse
un clima caldo-umido.
foto NASA/JPL-CALTECH/CORNELL/ASU, NASA/JPL-CALTECH/LANL/CNES/IRAP/LPGNANTES/CNRS/IAS/MSSS,
NASA/JPL-CALTECH, NASA/JPL-CALTECH/UNIVERSITY OF ARIZONA
orizzonti
dogli comandi che gli permettono di correggere
autonomamente la rotta, evitando ostacoli come
rocce, precipizi o terreni scoscesi”.
Aspettando il 2018
Al momento non si sa fino a quando Opportunity
potrà continuare a ‘sopravvivere’ su Marte. È pro­
babile, però, che siano ragioni di ordine economico
a fargli togliere la spina, in quanto ogni anno è
sempre più difficile trovare un budget da desti­
nare al rover, in considerazione anche della sua
età, dato che potrebbe comunque bloccarsi da un
momento all’altro. Curiosity, invece, potrebbe
continuare la sua esplorazione del pianeta ancora
per altri 8-10 anni, aspettando l’arrivo del rover
ExoMars nel 2018, costruito dall’Agenzia Spaziale
Europea con il compito preciso di cercare la pre­
senza attuale di vita su Marte, ammesso che esi­
sta. Nel 2020, invece, la NASA farà atterrare sul
Pianeta Rosso un altro rover del tutto simile a
Curiosity, ma con strumenti ancora più sofisticati
e maggiormente adatto a quest’ambiente estre­
mamente inospitale: di notte, infatti, la tempera­
tura scende fino a -90 °C.
TEST DI SALVATAGGIO
Quando, nel 2009, Spirit
rimase arenato in una sorta
di deserto marziano, Paolo
Bellutta e i suoi colleghi, per
capire quali manovre fossero
più adatte a liberarlo, ricrearono
nei laboratori del JPL una
situazione analoga impiegando
un test-rover. Purtroppo i
tentativi non ebbero successo;
da marzo 2010 Spirit ha cessato
ogni comunicazione. In basso:
un’immagine della superficie di
Marte scattata dall’orbiter
Reconnaissance, ove risalta
una depressione circolare con
evidenti striature sulla roccia.
Pilota da record
Bellutta è uno dei pochi rover-driver a guidare sia
Opportunity che Curiosity. “Oggi sono alla guida
di Curiosity, domani guiderò Opportunity, come
ho fatto ieri …”, spiega il tecnico. “Durante tutta
la missione, ho guidato tre dei quattro veicoli
marziani, ovvero Spirit, Opportunity e Curiosity;
tra l’altro, sono il driver che detiene il record di di­­s­­tanza percorsa su Marte, circa 13 km. Purtroppo,
non ho mai potuto guidare Sojourner, il primo
rover su Marte”. Ma questi rover hanno una loro
autonomia decisionale? “Dipende dagli obiettivi
specifici della giornata”, risponde Bellutta. “Nel
caso si voglia raggiungere una determinata roccia
da analizzare, lasciamo ben poca autonomia ai
rover e inviamo comandi dettagliatissimi; invece,
se deve solo arrivare in una certa area e non in un
punto preciso, allora possiamo decidere di lasciare
le redini della missione al veicolo stesso, invian­
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INDIZI DI ATTIVITÀ VULCANICA
La roccia battezzata ‘Harrison’, fotografata e
studiata da Curiosity nel Cratere Gale. I cristalli
di forma allungata si reputa siano feldspati
(minerali presenti in grande quantità anche
nella crosta terrestre), mentre abbondanti
sono i pirosseni, minerali ferromagnesiaci.
Questa composizione fa ritenere ‘Harrison’
una roccia di origine vulcanica.
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