Mondo arabo-islamico lezione del 18 dicembre 2009 Nel XVIII secolo il sistema delle società musulmane era esteso a livello mondiale. Ciascuna di esse era stata costruita sull’interazione delle istituzioni islamiche mediorientali con le istituzioni e le culture locali. In ciascun caso le interazioni avevano generato differenti tipi di società islamiche. Benchè uniche esse avevano forme simili, erano unite da rapporti politici e religiosi, accomunate dagli stessi valori culturali così da costituire un sistema di società islamiche mondiale. Nei secoli XVIII e XIX l’evoluzione di queste società fu distorta dall’intervento europeo: russi, olandesi e inglesi avevano posto la loro sovranità territoriale sulle regioni asiatiche settentrionali, nel Sudest asiatico e nel subcontinente indiano fin dal tardo secolo XVIII. Fra il secolo XIX e XX gli stati europei, spinti dal bisogno di materie prime e di mercati per le loro economie industriali avevano creato imperi territoriali in tutto il mondo. L’intervento europeo alterò profondamente le strutture delle società incontrate, in particolare le società islamiche che assunsero la loro forma moderna interagendo con le potenze europee. La civiltà europea non era semplicemente un’altra civiltà ma differiva da quella musulmana anche sotto il profilo qualitativo. Nel tardo Medioevo, nelle epoche del Rinascimento e della Riforma i popoli europei in possesso di una forma unica di pluralismo sociale ed istituzionale e di una mentalità che enfatizzava l’innovazione, l’agire individuale, l’aggressiva ricerca del dominio e la sperimentazione tecnica compirono i progressi che diedero loro la supremazia militare e commerciale in tutto il mondo. I secoli XIX e XX videro progressi ancora più sorprendenti nell’organizzazione dell’Europa e il prodursi di una eccezionale disparità nella distribuzione della ricchezza e del potere fra l’Europa e il resto del mondo. Le potenzialità economiche europee furono trasformate dalla rivoluzione industriale nel XVIII secolo in Inghilterra e nel XIX in Francia e in Germania. Con lo sviluppo di forme burocratiche di organizzazione economica, di nuove tecnologie per la produzione del vapore e dell’elettricità, con l’espansione della conoscenza scientifica, la dominazione europea andò estendendosi. La rivoluzione americana e quella francese produssero cambiamenti altrettanto profondi nella politica e nello stato: diedero vita al moderno stato nazionale costruito sulla relativa uguaglianza e partecipazione di tutti i cittadini, sulla stretta identificazione del popolo con lo stato e sulla fusione delle identità nazionali, politiche e culturali. Inoltre quelle rivoluzioni prepararono il terreno alla creazione di istituzioni parlamentari che consentirono un’ampia rappresentanza politica e di strutture statali che diffusero o moderarono l’esercizio del potere a favore dell’autonomia della società civile e della libertà politica dei singoli. Le forme di illuminismo europeo e americano completarono il processo di laicizzazione. Le istituzioni politiche ed economiche furono completamente distaccate dalle norme religiose, la mentalità scientifica e umanistica relegò la religione nella sfera ristretta del culto e delle attività comunitarie. La mentalità scientifica distrusse gli aspetti fantastici e mitici del mondo naturale e umano. La natura, la società e perfino la personalità umana furono spiegate razionalmente e ci si convinse che l’intervento umano era in grado di modificarle. In tutto il mondo musulmano la dominazione europea ha significato l’impostazione di queste caratteristiche istituzionali e culturali a popoli non europei. L’intervento europeo, che assunse frequentemente la forma del controllo politico, portò alla costruzione di stati territoriali burocratici accentrati. La penetrazione economica e capitalistica portò alla crescita del commercio, finalizzato spesso allo sfruttamento, stimolò la produzione di materie prime e provocò la decadenza delle industrie locali. Le potenze europee costrinsero o indussero gli altri paesi a creare scuole moderne e a inculcare i valori della civiltà europea, mescolati, per quanto possibile con le culture indigene. Questi cambiamenti delle società non europee comportarono la creazione di nuovi modelli di produzione e di scambio e l’introduzione di nuove tecnologie. A loro volta i nuovi stati e le nuove strutture economiche posero le basi per l’ascesa di nuove èlites. Dirigenti politici, militari, tecnocrati, mercanti, intellettuali, imprenditori agricoli e operai industriali divennero forze importanti delle società musulmane. L’influenza europea stimolò l’accettazione di nuovi sistemi di valori: l’apprezzamento dell’identità nazionale e della partecipazione politica, l’impegno nelle attività economiche, l’attivismo morale e una nuova concezione scientifica. La modernizzazione comportò cambiamenti economici e tecnologici accompagnati da quelli delle istituzioni politiche, dell’organizzazione sociale e dei valori culturali. Tutte queste modificazioni comportarono l’adozione o la rigenerazione delle caratteristiche fondamentali della civiltà europea, calate nella matrice delle società islamiche preesistenti. Europei ed americani hanno inteso la “modernizzazione” come un processo evolutivo universale, originata in Europa e in America essa porta ovunque alla formazione di tipi simili di società. La logica dell’industrialismo avrebbe portato alla modernità e allo sviluppo dalle caratteristiche occidentali. Le società si sarebbero differenziate solo per il grado di avanzamento raggiunto nella scala dell’evoluzione. Sul finire del XIX secolo europei, americani e molti dei loro dipendenti del Terzo Mondo credevano che la modernità europea fosse il culmine dello sviluppo umano; gli attributi europei divennero l’immagine delle aspirazioni alla modernità del terzo Mondo. L’idea di una modernità universale è ormai superata, sostituta da due nuove concezioni: la prima che vede nell’economia capitalistica mondiale la causa dei cambiamenti indotti nell’economia, nella tecnologia e nella struttura di classe delle società extraeuropee, la seconda riconosce che quale che siano gli elementi universali della dominazione politica europea o del sistema capitalistico mondiale, non esiste un unico modello o un'unica forma di società moderna di tipo europeo. Originata in Europa la modernità non si propaga direttamente per trasposizione, adozione e neppure imposizione. L’Europa produce effetti differenti nelle varie parti del mondo e mette in discussione le istituzioni, le culture esistenti e le costringe a definire la loro versione della modernità. Il ruolo svolto dalle élites, dalle istituzioni e dalle culture indigene nel determinare il percorso dello sviluppo deve essere sottolineato perché è all’origine di alcune importanti differenze fra le strutture delle società musulmane ed europee. Nei secoli XIX e XX l’organizzazione delle società europee poggiava prevalentemente su classi sociali determinate dalla struttura economica. In molti paesi le élites borghesi erano le principali forze del cambiamento economico, dell’organizzazione statale e della conquista mondiale e la classe operaia la principale forza produttiva. Nelle società musulmane, invece, le classi sociali definite secondo criteri economici erano relativamente meno importanti, in quanto erano le strutture tribali, comunitarie, associative e politicostatali a inglobare e regolare l’economia. Le élites statali e i notabili tribali e religiosi si servivano del potere politico per controllare la terra e gli scambi commerciali e per estrarre il surplus dal prodotto dei contadini e degli altri lavoratori. Anche sotto la dominazione coloniale questi gruppi continuarono a governare le reazioni economiche, politiche e culturali che le loro società manifestavano nei confronti dell’intervento europeo. La penetrazione economica europea non provocava necessariamente una reazione economica dava piuttosto luogo ad un’ampia risposta in cui si esprimevano gli intenti economici politici e culturali delle élites musulmane che plasmavano le società musulmane secondo i loro interessi politici e culturali. I gruppi intellettuali e politici musulmani ed arabi cresciuti alla scuola di pensiero occidentale diventano i protagonisti di idee e di atteggiamenti politici nei loro paesi di origine senza coinvolgere le masse popolari, sono loro che collaborando o schierandosi contro il potere coloniale, ad indipendenza avvenuta, diventano la classe politica dominante in tutto il mondo arabo. Il processo di trasformazione delle società islamiche in senso moderno passa per diverse fasi e rivela caratteristiche comuni a tutto il mondo musulmano. La prima fase, che coincide con il periodo compreso fra il tardo secolo XVIII e gli inizi del XX, è segnata dal crollo del sistema statale musulmano e dall’imposizione del dominio commerciale e territoriale europeo. In questa fase si cerca di porre su nuove basi, ideologiche e religiose, il problema dello sviluppo interno delle società. Da qui la seconda fase dello sviluppo: la formazione degli stati nazionali nel XX secolo, per mezzo dei quali le élites dei paesi musulmani cercarono di dare un’identità politica moderna alle loro società e di promuovere lo sviluppo economico e il cambiamento sociale. La fase della costruzione dello stato nazionale ebbe inizio dopo la prima guerra mondiale ed è tutt’ora in atto. Il consolidamento degli stati nazionali aprì a sua volta una terza fase per quasi tutti i paesi musulmani: la lotta per assumere la direzione dello sviluppo in atto e per definire il ruolo ultimo dell’Islàm. Il dominio coloniale sconvolge l’insieme delle istituzioni che costituivano il sistema premoderno delle società musulmane, il potere politico sottratto alle classi dominanti dei vecchi regimi passa nelle mani di una nuova classe composta di militari, burocrati, intellettuali educati alla maniera moderna, che ha come intento quello di modernizzare la società secondo i canoni dell’Occidente. Questi nuovi gruppi suscitarono due risposte alle pressioni europee. Una fu quella delle élites politiche dotate di una formazione tecnica di stampo occidentale e affascinata dai valori culturali e dalle conquiste dell’Occidente che favorirono le concezioni moderniste o laiche nazionaliste delle società islamiche e si adoperarono a ridefinire l’Islàm per conciliarlo con le forme europee di stato e di economia. La seconda risposta venne dai capi tribali, dai mercanti e dagli imprenditori agrari guidati dagli ulama (dotti nelle discipline legali e religiose musulmane)che si proposero di riorganizzare le comunità musulmane e di riformare i principi religiosi fondamentali. Tutte le élites musulmane avevano un orientamento politico o culturale e dell’intervento europeo tendevano a cogliere la dimensione socio-culturale anziché quella economica. La reazione musulmana differiva a seconda dei luoghi. Nelle regioni ottomane, in Turchia, Egitto, nella Mezzaluna fertile araba (Libano, Siria ) e in Tunisia la reazione indigena dominante, se non l’unica, fu quella delle élite politiche tradizionali. In queste regioni l’influenza europea era prevalentemente diplomatica, commerciale e culturale; la rivalità fra le potenze europee consentì all’impero ottomano di sopravvivere nel XIX secolo ma lo rese dipendente dalle pressioni diplomatiche inglesi e russe e più tardi dai consiglieri militari e dagli investitori tedeschi. L’impero ottomano era anche esposto alla pressione commerciale: i mercanti europei ne esportavano materie prime e, in concorrenza con mercanti e artigiani indigeni vi importavano manufatti prodotti nei propri paesi. Gli europei stimolarono la conversione dell’agricoltura a produzioni agricole destinate al mercato e in generale determinarono la decadenza dell’artigianato e delle industrie manifatturiere locali. Gli europei investivano anche nelle ferrovie, nelle miniere e nell’agricoltura; stati e banchieri europei prestavano ingenti somme all’impero ottomano, all’Egitto e alla Tunisia e in ciascuno di questi paesi finirono coll’imporre un’amministrazione fiscale straniera, che in Egitto ed in Tunisia divenne la base per la creazione dei protettorati europei. Intermediari cristiani ed ebrei vennero usati negli scambi fra Europa e i paesi musulmani a scapito della posizione dei mercanti musulmani. Nell’impero ottomano la concorrenza europea indebolì la borghesia musulmana e contribuì a concentrare il potere economico nelle mani delle élite statali. In generale i cambiamenti economici furono circoscritti alle sfere della produzione e della distribuzione del reddito e non valsero a indurre cambiamenti strutturali nell’economia né modificazioni di vasta portata nella struttura di classe. Ci volle un ciclo di generazioni perché le élites politiche e culturali arrivassero a riorganizzare le forze militari e riuscissero ad accentrare e razionalizzare l’amministrazione burocratica e promuovere delle attività economiche capaci di accrescere le entrate pubbliche. Si sentiva l’esigenza di creare nuove scuole per formare dei quadri professionali e amministrativi moderni. I riformatori ottomani, egiziani, tunisini capirono il nesso esistente fra uno stato forte e una società produttiva e integrata e introdussero dei programmi sociali, legislativi e scolastici che indebolirono i tradizionali ruoli delle élites religiose e posero le premesse per la formazione di moderni sistemi giudiziario e scolastico. Gli ulama e i mercanti svolsero un ruolo secondario poiché fu l’intellighenzia educata all’occidentale ad avere la meglio. In quasi tutti i paesi musulmani uomini politici educati in Europa cercarono di definire nuove ideologie politiche che favorissero lo sviluppo delle loro società. Nel corso delle generazioni le élites adottarono di volta in volta concezioni islamiche moderniste, laiche nazionaliste e talora socialiste. Il modernismo islamico era la dottrina delle élites politiche e culturali musulmane del XIX secolo secondo il quale la sconfitta dei musulmani ad opera delle potenze europee ne aveva rivelato la vulnerabilità; la restaurazione del loro potere politico richiedeva il ripudio delle forme medievali della civiltà islamica ma non il ripudio dell’Islàm in sé che andava invece ricostruito sulla base dei suoi principi, trascurati, di razionalità, attivismo etico e patriottismo. Al punto di vista modernista aderirono inizialmente i giovani Ottomani negli anni 60 e 70 dell’Ottocento che chiesero al regime ottomano di trasformarsi in uno stato costituzionale con una nuova etica sociale e una rinascita culturale fondata su una forma semplificata della lingua turca. Il modernismo islamico fu seguito dal nazionalismo laico che divenne la dottrina preferita dalle élites politiche siriana, irachena, egiziana che, benché avverse al dominio coloniale, crebbero nella falsa certezza di una indiscussa supremazia europea e assorbirono le convinzioni dei loro governanti e istruttori coloniali. In generale venne messa da parte la dimensione musulmana del retaggio politico e culturale per abbracciare l’idea della formazione di moderne società laiche e nazionali. Fare propria l’ideologia del nazionalismo significava differenziare le nuove élites da quelle tradizionali. In Libano e in Siria il nazionalismo divenne la posizione preferita dai cristiani in una società prevalentemente musulmana. In Tunisia gli intellettuali di formazione arabo-francese si servirono del nazionalismo contro le tradizionali élite di Tunisi. Se le élites politiche aderivano al modernismo islamico e al pensiero laico-nazionalista gli ulama, sostenuti dai mercanti dagli artigiani e dai gruppi tribali svilupparono un insieme di idee alternative opponendosi sia alle forze coloniali sia alle élites stataliste e predicando una versione purificata della fede e della pratica islamica come segno di identificazione della comunità universale dei musulmani (Fratelli Musulmani in Egitto, wahhabiti in Arabia Saudita,). Le diverse correnti del nazionalismo non riuscirono a mobilitare le masse popolari e ad indipendenza avvenuta i programmi dei partiti nazionalisti avevano rivelato tutti i loro limiti. Per ottenere il consenso non bastava più la parola d’ordine della lotta contro la dominazione coloniale, sorsero partiti nuovi che contestavano il partito al potere proponendo programmi di riforma sociale. La prima guerra mondiale spazza via le aspirazioni dei popoli arabi a costruirsi una patria unitaria, i territori arabi passano dal vecchio dominio ottomano alla dipendenza europea che poi si allargherà a quella statunitense. Sotto l’influenza del pensiero nazionalista, Egitto, Siria, Iraq avevano cercato di passare dall’indipendenza formale alla piena sovranità. Le monarchie del Marocco, della Giordania e dell’Arabia Saudita si servivano del nazionalismo per legittimare agli occhi della popolazione il potere concentrato nelle mani della dinastia. Essi si presentavano come i difensori dell’indipendenza contro i nemici esterni. La nascita dello Stato di Israele, nel 1948, mette in crisi la corrente “occidentale” dei sostenitori del nazionalismo accusata di non aver saputo impedire la perdita di una parte della nazione araba e di aver permesso l’espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi dalla loro patria. In Egitto, Siria ed Iraq la nuova élite al potere diventa quella militare mentre resistono le dinastie regnanti in Marocco, Giordania e Arabia. Gli stati arabi usciti dalla dominazione ottomana prima e coloniale poi, pur proclamandosi uniti nella fratellanza della umma islamica sono in realtà diversi fra loro a causa delle differenze economiche e sociali all’interno di ogni paese. L’alleanza fra Arabia Saudita egli Stati Uniti per bloccare l’ingerenza britannica si trasforma in una stretta cooperazione economica. La ricchezza che cominciò ad affluire nel regno saudita dopo la scoperta dei pozzi petroliferi e la collaborazione con gli Stati Uniti d’America, permisero alla famiglia regnante di avere l’egemonia nel mondo arabo proponendosi come Stato guida. Gli errori commessi dai regimi nazionalisti arabi del Cairo, di Damasco e di Baghdad spianarono la strada alla leadership saudita che dal 1967 riuscì ad esercitare un influenza pressoché decisiva su tutte le scelte del mondo arabo. Per raggiungere l’obiettivo egemonico, la dinastia saudita si è dimostrata pronta a sacrificare gli ideali della solidarietà araba. La dinastia non aveva dubbi su quale fosse il più grave pericolo che la minacciava: non l’imperialismo, e nemmeno il sionismo (i suoi buoni rapporti con gli Stati Uniti non sono stati turbati dalle vicende palestinesi) ma il comunismo ateo. Malgrado gli sforzi compiuti dai regimi arabi nel corso del XX secolo fra entusiasmo, lotta politica, errori, e periodiche disfatte nelle guerre con Israele, il divario tra società musulmane e società occidentali restava enorme. Il mondo musulmano ancora una volta si interroga sugli errori e fatalmente è proprio la linea riformista che viene criticata. La cultura europea tornerà ad essere criticata così come le classi dirigenti colpevoli di essersi allontanate dalla retta via dell’Islàm. La corrente dei Fratelli Musulmani esce allo scoperto con enorme successo in una società profondamente delusa, e frustrata. Si assiste ad un vistoso fenomeno di regressione psicologica di massa, una romantica e acritica idealizzazione delle radici sostenuta da gruppi di ulema conservatori. La rivoluzione iraniana del 1978 e l’instaurazione del primo “stato islamico” moderno, diventa il modello da imitare. Sorgono numerosi hezbollah ( Partito di Dio) e movimenti integralisti simili in tutto il mondo arabo con la protezione dell’Arabia Saudita che impiega i proventi del petrolio in fondazioni islamiche di ispirazione tradizionalista. Il nuovo verbo integralista rifiuta la cultura dell’Occidente ma usa la scienza e la tecnica occidentale islamizzandola. Nascono reti televisive e network che diffondono l’istruzione islamica attraverso la lettura del Corano che continua ad essere anche in epoca moderna, il simbolo di identificazione delle masse arabe. Se per i modernisti il ricorso diretto alle fonti coraniche era servito ad emanciparsi da secoli di sapere religioso sclerotizzato nei suoi dogmatismi e sordo alle nuove istanze storica, con il fondamentalismo moderno si delegittimano l’Islàm ufficiale e l’autorità politica corrotti dai tempi e dalla nefasta azione dell’Occidente euro-americano. La norma coranica presa alla lettera viene riproposta dai fondamentalisti in tutto il suo rigore come immutabile e astorica da ciò la reintroduzione in certi paesi musulmani di pene coraniche ormai in disuso da tempo come l’amputazione della mano del ladro o il regresso della condizione femminile. Testi consigliati Samir Kassir, L’infelicità araba, Einaudi, 2004 Giorgio Vercellin, Tra veli e turbanti-rituali sociali e vita privata nei mondi dell’Islam, Marsilio, 2000 Malek Chebel, Manifesto per un Islam moderno, Sonda, 2004 Fatema Mernissi , Islam e democrazia, Giunti 2002