Una nuova Bretton Woods di Gianni Mattioli e Massimo Scalia Il gigantesco crollo finanziario globale, innescato dai subprime americani ma anche dall’ampia diffusione di “derivati”, ha intaccato ormai l’economia reale. E’ consapevolezza di tutti i maggiori leader mondiali, a cominciare dal neo eletto Obama, che è una crisi senza precedenti. Migliaia di miliardi di dollari sono stati bruciati nella disfatta delle Borse dell’ultimo anno, che non è stata arginata neanche dal colossale impegno bipartisan del Congresso americano con lo stanziamento di 850 miliardi di dollari. Al di là del tamponare le colossali falle dell’impudico sistema finanziario con iniezioni da cavallo di denaro pubblico, non sembra davvero che ci siano idee chiare sul riassetto dell’economia. Per il momento, l’unica, assai magra, soddisfazione è il rovinoso crollo della teoria iperliberista. Iperliberismo, sì. Perché lo sfascio globale è figlio diretto di quella liberalizzazione dei capitali, predicata da Milton Friedmann e attuata nei primissimi anni ottanta da Reagan e dalla Tatcher, che avrebbe fatto inorridire Smith e Ricardo. Per i fondatori della teoria del libero mercato era infatti del tutto inaccettabile che il capitale, frutto di un secolare, addirittura storico, processo di accumulazione realizzatosi in un determinato paese, potesse esso stesso divenire volatile merce che varcasse le frontiere del paese che lo aveva prodotto. La liberalizzazione dei capitali avrebbe dovuto comportare un’era di stabilità del mercato, secondo i guru della “scuola di Chicago”, Friedmann in testa. E’ stato invece un trentennio di crisi che si sono succedute una più squilibrante dell’altra, fino alla catastrofe attuale. Tutto ciò dovrebbe indurre a una profonda modifica, non solo delle regole, in realtà inesistenti, del mercato finanziario, ma soprattutto dell’economia stessa, a partire dall’abbandono della rozza idolatria della “crescita del PIL”. Non esistono infatti crescite illimitate nell’esperienza scientifica, e non si vede perché il PIL debba fare eccezione. Con buona pace della preoccupata invocazione: Rilanciare la crescita, che, da destra e da sinistra, sale dal capezzale dell’economia in recessione. Allora “decrescita felice”? Non è a colpi di utopie che si può affrontare la svolta fondamentale che abbiamo di fronte. La sostenibilità, proposta da decenni dagli ambientalisti, può finalmente diventare la bussola di una nuova economia. Sono ormai quindici anni che il libro bianco di Delors ha proposto le politiche economicosociali del “ben vivere”: innovazione e produzioni “dematerializzate”, manutenzione e ristrutturazioni invece di nuovo cemento e asfalto, mobilità per tutti invece che automobili per tutti e via elencando. Oggi, mentre gli eventi estremi dei cambiamenti climatici in atto testimoniano drammaticamente il link energia/clima, proprio l’energia può fornire il quadro di una nuova politica economica globale, caposaldo e origine di ogni politica di sostenibilità. E’ del resto il legame energia/economia è stato protagonista degli ultimi 40 anni. La denuncia degli accordi di Bretton Woods - quando, il 15 agosto del 1971, Nixon dichiarò l’inconvertibilità del dollaro in oro - fu un atto unilaterale, che trasformava in dominio l’egemonia americana, ma solo attraverso la guerra dei sei giorni (1973) l’impennata del prezzo del barile penalizzò le economie concorrenti scaricando su di esse il deficit americano. Da allora la sanguinosa geopolitica del petrolio ha scandito con altre due guerre il controllo dei flussi e dei prezzi del greggio. Oggi i tre venti per cento europei, contrastati dal governo Berlusconi a capo dei paesi arretrati della UE (un nuovo patto di Varsavia?), rappresentano invece la svolta per un’economia globale. Innovazione, progetti e colossali investimenti indirizzati dalla mano pubblica su tutte le attività di risparmio energetico e di produzione di energie rinnovabili sono la risposta alla crisi e la possibilità di correggere le enormi storture del mercato, due terzi del risparmio mondiale che affluiscono nel Paese al tempo stesso più forte e più indebitato del mondo. Una nuova Bretton Woods è possibile. All’insegna del sole e dell’alt ai cambiamenti climatici, che coinvolga i grandi paesi emergenti e che dia, finalmente, energia, acqua e cibo ai poveri del mondo.