TERMOLOGIA
1. La temperatura ed il calore
Il principio di equipartizione dell’energia formulato da Maxwell afferma che, individuato il numero di modi
diversi, indipendenti fra loro, in cui ciascuna delle molecole di una sostanza può accumulare energia, questa,
mediamente, si ripartisce in maniera uguale fra di essi, in modo tale che ciascuno ne abbia un quantitativo
1
pari a kBT , dove T è la temperatura in Kelvin della sostanza. Nel caso in cui si consideri un gas perfetto,
2
ovvero così rarefatto e così caldo da far si che le molecole non percepiscano, a distanza, la reciproca
presenza, non è possibile accumulare energia attraverso le
interazioni, comprimendo o rarefacendo le
molecole come si farebbe ad esempio tenendo allungata o costretta una molla. Un gas perfetto può contenere
energia solo grazie allo stato di agitazione delle sue molecole, cioè la sua energia interna è tutta cinetica.
Tuttavia, ci sono diversi modi indipendenti in cui anche la sola energia cinetica può essere accumulata. Nel
caso di un gas perfetto con
molecola monoatomica, che ha solo la possibilità di traslare, essendoci tre
direzioni indipendenti x, y e z lungo le quali può muoversi, ci sono tre modi differenti di incamerare l’energia.
1
kBT e, quindi, l’energia cinetica
Per il principio di equipartizione dell’energia a ciascuno di essi compete
2
3
media EC di una molecola, che in questo caso coincide con tutta l’energia, sarà kBT .
2
Se il gas ha invece una molecola biatomica, si aggiungono altre due possibilità di movimento indipendenti
oltre dalla traslazione: le rotazioni attorno a due assi ortogonali all’asse di simmetria. L’energia potrà essere
5
incamerata anche in essi e quindi ogni molecola avrà EC = kBT .
2
Se le possibilità di ruotare in modo indipendente sono tre, cioè se si ha a che fare con una molecola
6
poliatomica, il valore medio dell’energia sale a kBT .
2
Per i gas perfetti, nel caso generale, il numero di modi indipendenti di accumulare energia coincide con il
numero di coordinate necessarie ed individuare ciascuna molecola: 3 coordinate spaziali x, y e z per il centro
di massa, e tre coordinate angolari per la posizione in cui la molecola si trova ruotata rispetto ad esso.
Poiché tale numero di coordinate rispecchia i possibili movimenti indipendenti, esso viene anche detto il
numero di gradi di libertà della molecola.
Il principio conserva validità – seppur limitatamente ad opportuni intervalli di temperatura – anche nel caso
di corpi la cui energia interna non sia solo cinetica, ma contenga, più in generale, anche dei contributi
potenziali attribuibili alle forze di coesione. In questo caso, il numero di modi indipendenti di accumulare
energia comprende anche quelli potenziali.
Analizziamo cosa accade per una sostanza che si trovi, per così dire, all’estremo opposto di un gas perfetto,
un solido, dove le interazioni fra una molecola e l’altra sono così importanti da far si che le molecole stesse
risultino vincolate ad occupare delle posizioni prefissate nello spazio.
1
Una molecola, oppure un atomo, è un insieme di
particelle complessivamente neutro, vale a dire che la
Attrazione
sua carica è complessivamente zero in quanto
costituito da un ugual numero di cariche negative, gli
elettroni, e di cariche positive, i protoni.
Le
interazioni
elettriche
intramolecolari,
che
Nube elettronica 1
si
Repulsione
Nube elettronica 2
manifestano, cioè, all’interno della molecola stessa, fra
i suoi protoni ed i suoi elettroni in tutte le
combinazioni possibili, sono
responsabili di tutto il
complesso delle proprietà chimiche della sostanza.
Se tuttavia accostiamo un atomo ad un altro, sebbene
si
tratti
di
sistemi
complessivamente
neutri,
Nube elettronica
permangono delle interazioni residue che hanno
l’effetto
di
tenerli
legati
insieme
in
complesse
strutture. In primo luogo, infatti, bisogna considerare
Figura 1.1
che non si tratta di sistemi statici ma in movimento e
quindi, istante per istante, il centro di simmetria
delle cariche positive non coinciderà con il centro di
simmetria di quelle negative. In virtù di questo, la distanza media fra le varie particelle positive e negative
di un atomo rispetto a quelle di un altro che si trovi nelle sue vicinanze difficilmente avrà il valore che
occorre per far si che la repulsione l’attrazione fra le componenti si bilancino e vi sarà sempre qualche azione
residua che permette a ciascun atomo (o molecola) di sentire l’altro.
In secondo luogo sappiamo che solo in schemi elementari la carica elettronica può essere pensata localizzata
in un punto, ma più propriamente la si deve immaginare distribuita come una nube attorno al nucleo. Nelle
sostanze il cui elemento base è una molecola e non un atomo, tale nube andrà addensandosi nelle vicinanze di
alcuni atomi piuttosto che di altri per effetto di una proprietà nota come elettronegatività. Tali molecole,
come l’acqua, possiedono quindi già in partenza una asimmetria di distribuzione nella nube elettronica. La
maggiore o minore vicinanza della nube elettronica rispetto ai nuclei delle molecole contigue ha, quindi, un
effetto simile a quello di un collante che tiene unite le molecole, come si vede in figura 1.1.
Si può mostrare che la forza di richiamo
risultante dall’azione combinata dell’azione di
Forza di coesione
intermolecolare
tutte le forze elettriche che tengono incollata la
Repulsiva
materia risulta di tipo elastico.
Distanza di massima
attrazione
Se infatti consideriamo il semplice casi di due
atomi contigui, la forza di attrazione del nucleo
del primo atomo sulla nube elettronica del
Attrattiva
Distanza fra
le molecole
secondo bilancia la repulsione fra i due nuclei in
modo tale che gli elettroni costituiscano una
specie di colla che tiene insieme la sostanza.
Si pensi ora di allontanare uno dei due nuclei
dalla posizione di equilibrio: ciò che accade è che
Figura 1.2 Forze di coesione intermolecolare
esso sarà richiamato verso la posizione stabile di
prima, e, per effetto dell’inerzia, la supererà
2
proprio come un pendolo supera il punto di equilibrio per allontanarsi di nuovo da esso e poi riavvicinavirsi.
La forza elastica di richiamo, effetto combinato delle varie componenti elettriche, produrrà così oscillazioni
armoniche attorno al sito di equilibrio. Qualora poi i due atomi si trovassero a grandissime distanze, dato
che la forza elettrica decresce quando la distanza cresce, anche le forze di coesione intermolecolare tenderanno
ad azzerarsi, proprio come accade nel caso di un gas perfetto. L’andamento qualitativo dell’intensità di tali
interazioni è mostrato in figura 1.2: alle grandi distanze essa è attrattiva (ovvero si trova nella regione del
grafico dove la forza è negativa) e cresce verso un valore massimo (ovvero un minimo negativo).
Successivamente decresce fino ad una
distanza dove si annulla, per poi diventare repulsiva quando le
molecole sono vicinissime.
La configurazione che ne risulta, nel caso di un grande numero di molecole, è la struttura interna di un
solido e
prende il nome di reticolo cristallino. Il reticolo cristallino
può essere immaginato come un
materasso a molle in tre dimensioni, arbitrariamente esteso, e le molle schematizzano il ruolo delle forze di
coesione, e le molecole sono localizzate nei punti di incontro fra una molla e l’altra.
Figura 1.3: Il reticolo cristallino di un solido
Una rappresentazione semplificata di tale struttura è mostrata in figura 1.3: il suo effetto è quello di
richiamare le molecole al loro posto ogni volta che esse si animano.
Chiaramente, per un solido, ciò che abbiamo indicato come energia interna non può essere dovuta al solo
contributo cinetico ma in generale il lavoro delle forze di coesione accumulerà o consumerà energia potenziale
all’interno di esso. Più in dettaglio, una struttura cristallina, le cui molecole non possono ruotare, essendo
ancorate ai siti del reticolo, risulta avere
6 modi indipendenti di incamerare energia: tre modi cinetici
corrispondenti alle tre direzioni di traslazione e tre modi potenziali corrispondenti alle oscillazioni delle molle
lungo x, y e z. La sua energia microscopica media è, difatti, in un intervallo di temperature non troppo vicino
6
allo zero assoluto né eccessivamente alto, pari a E = kBT .
2
In generale, quindi, dalla teoria cinetica dei gas abbiamo ricavato che la temperatura - una grandezza
macroscopica definita operativamente attraverso il fenomeno della dilatazione (di un termometro a mercurio
o a gas) - è collegata allo stato di agitazione a livello microscopio, e, più precisamente, all’ energia cinetica
media EC
di una molecola.
3
Il principio di equipartizione dell’energia, poi, stabilisce
che tutti gli eventuali modi indipendenti,
traslazionali, rotazionali o di natura potenziale, in cui le molecole possono incamerare energia, se ne
1
kBT per ciascuno. Se ne conclude che:
ripartiscono equamente l’ammontare complessivo, nella misura di
2
LA
GRANDEZZA CHE MISURIAMO MACROSCOPICAMENTE, E CHIAMIAMO TEMPERATURA DI UNA SOSTANZA,
È
TANTO PIÙ ALTA QUANTO MAGGIORE È L’ENERGIA CINETICA MEDIA DI TRASLAZIONE DELLE PARTICELLE CHE LA
COSTITUISCONO.
Sarà chiaro, a questo punto, che riferirsi alla sola componente di traslazione, che è sempre presente, non è
limitativo: il medesimo valore di energia media per molecola compete anche agli altri modi indipendenti di
accumularla.
Sfruttiamo adesso tali risultati per interpretare che cosa accade dal punto di vista microscopico quando
poniamo in contatto due sostanze a temperature differenti.
L’evidenza sperimentale mostra che vale il cosiddetto principio dell’equilibrio termico1:
IL CONTATTO FRA DUE CORPI A DIFFERENTE TEMPERATURA TENDE A CONDURRE I CORPI STESSI VERSO UNA
TEMPERATURA DI EQUILIBRIO COMPRESA FRA LE DUE INIZIALI.
L’interpretazione di T
come effetto macroscopico
del valore medio energia cinetica di traslazione
microscopica, permette ora di vedere, nel raggiungimento dell’equilibrio termico, uno scambio di energia
cinetica di traslazione fra le molecole delle due sostanze.
Questa spiegazione microscopica del principio dell’equilibrio termico, conduce ad ammettere che il concetto
stesso di temperatura deve, di necessità, essere legato alla presenza di un enorme numero di particelle. Solo
in tale caso è lecito usare grandezze definite in maniera statistica, come la velocità quadratica media, e non
avrebbe alcun senso parlare di temperatura per un insieme costituito da tre o quattro unità.
Infatti, le interazioni per il raggiungimento dell’equilibrio possono avvenire
contatto, nel caso di sostanze solide, sia
sia attraverso la regione di
tramite scambi energetici di altra natura quando si tratta di
sostanze liquide o gassose. Ora, se la sostanza è composta da un numero limitato di molecole, potrà anche
accadere che l’energia si trasferisca da quelle con minore agitazione a quelle già veloci, e che in tal modo
venga raggiunto uno stato finale molto differente dall’ equilibrio termico.
Solo se il numero di molecole è grande sarà molto più probabile che avvengano interazioni volte a mediare il
valore dell’energia cinetica di traslazione, piuttosto che a renderla disomogenea. In effetti cosa accade se
poniamo a contatto due sostanze a temperature differenti?
Immaginiamo, dapprima, di mescolare, le
sostanze più semplici, ad esempio due gas perfetti: uno alla temperatura TA ed uno alla temperatura TB> TA.
Se si tratta di molecole che non percepiscono la presenza le une delle altre, e supponendo che anche dopo il
mescolamento le condizioni di bassa pressione ed alta temperatura siano rispettate, possiamo continuare ad
ipotizzare che i gas si scambino energia solo attraverso urti elastici
fra le molecole durante il mescolamento.
L’energia cinetica acquisita da una molecola durante un urto è pari a quella ceduta da un’altra e così la
comunicazione fra i due gas condurrà le reciproche velocità ad un valore intermedio, e la velocità quadratica
media che ne risulta sarà quella che si ricava da una misura della temperatura di equilibrio.
1
Legato anche, in una formulazione più ampia e differente da questa, al principio zero della termodinamica
4
Quando invece sono due solidi con diversa agitazione termica a venire affiancati, ciò che accadrà è che lo
stato di moto si trasmetterà, gradualmente, da quello in cui gli atomi compiono le oscillazioni più grandi
all’interno del reticolo verso l’altro. Alla fine del processo l’energia cinetica media di traslazione nei due
solidi sarà tale per cui la temperatura finale avrà raggiunto l’equilibrio2.
In meccanica si è visto come il processo di trasferimento di energia possa essere valutato calcolando quanto
vale la componente lungo la direzione della forza dello spostamento del punto di applicazione della forza
stessa. Ad una tale grandezza era stato dato il nome di lavoro, W, e per esso vale il teorema dell’energia
cinetica, per cui il lavoro complessivamente svolto su di un punto materiale è pari alla variazione della sua
energia cinetica:
1
1
2
mv 2finale − mvinziale
2
2
Possiamo qui riprendere la definizione di lavoro e dire che con tale grandezza si intende la quantità di energia
WTOT =
che viene trasferita per via meccanica, ovvero per effetto dello spostamento del punto di applicazione di una
forza.
In quanto energia in trasferimento appare chiaro che non si potrà mai affermare che un corpo possiede del
lavoro: non è nelle natura di questa grandezza l’essere la proprietà di un corpo, ma piuttosto il lavoro
costituisce la descrizione di un processo.
Ora, anche nel caso dei due solidi a diversa temperatura si ha un trasferimento di energia cinetica, dato che,
ad esempio, il solido più freddo avrà alla fine del processo variato la sua energia cinetica media
incrementandola per portarsi alla temperatura di equilibrio. Tuttavia, su scala macroscopica
tale
trasferimento energetico non può essere ricondotto allo spostamento del punto di applicazione di una forza,
perché tutte le interazioni hanno avuto luogo alla scala delle molecole. In qualche modo, il fatto che stiamo
osservando un fenomeno microscopico, nasconde
parte degli aspetti fisici. Per completare la descrizione del
fenomeno di trasferimento energetico si introduce, allora, la grandezza termodinamica nota come calore, Q,
intendendo con essa la quantità ∆E di energia che viene scambiata unicamente per effetto della differenza di
temperatura fra i corpi .
Analogamente al lavoro, anche il calore è energia in trasferimento e, pertanto, non rappresenta mai una
proprietà dei corpi, come i primi fisici che studiarono termologia vennero indotti a pensare, ma la descrizione
di un processo. Quindi:
LAVORO: ENERGIA
TRASFERITA PER VIA MECCANICA, OVVERO PER EFFETTO DELLO SPOSTAMENTO DEL
PUNTO DI APPLICAZIONE DI UNA FORZA LUNGO LA DIREZIONE DELLA FORZA
CALORE: ENERGIA
TRASFERITA
PER
VIA
TERMICA,
OVVERO
PER
EFFETTO
DELLE
DIFFERENZE
DI
TEMPERATURA
In tale modo la temperatura potrebbe anche essere definita anche come la tendenza dei corpi a cedere la loro
energia cinetica di traslazione.
Ora, essendo il calore una forma di energia la sua unità di misura dovrà essere
il Joule, come per il lavoro
meccanico. Tuttavia, risulta comodo utilizzare una differente unità, la caloria, di definizione più strettamente
2
Val la pena notare che alla fine del processo il valore medio delle due energie cinetiche di traslazione potrà essere
diverso, data la complessità della relazione fra tale grandezza, a seconda della sostanza, e la temperatura, nel caso in
questione in cui non si ha a che fare con un gas perfetto. Nonostante ciò la temperatura sarà la stessa nei due casi.
5
termica. Si dice caloria la quantità di energia da fornire ad 1g di acqua distillata per portare la sua
temperatura da 14.5 a 15.5 gradi centigradi. Dato che il riscaldamento di una sostanza può essere ottenuto,
oltre che accostando ad essa un corpo a temperatura maggiore, anche per via meccanica: strofinandolo se
solido, agitando delle pale al suo interno se liquido, con un meccanismo concepito da Joule nel XVIII secolo, è
possibile misurare il cosiddetto equivalente meccanico della caloria e si trova: 1 cal = 4.186 J.
2. Equilibrio termico
In generale sostanze con differente composizione chimica aumentano la loro temperatura di quantità
differenti a parità di calore ricevuto. Questo perché parte del calore ricevuto viene sempre assorbito come
energia potenziale: ad esempio nel caso di un solido si allungano le distanze fra le molecole nel reticolo. Va
inoltre tento conto del fatto che,
maggiore è la quantità di sostanza da riscaldare, maggiore è l’energia che
deve essere fornita ad essa per innalzare la sua temperatura. Per tali ragioni, risulta utile definire la
grandezza seguente, detta capacità termica. Sia Q la quantità di calore scambiata da un corpo di massa m
durante un certo processo. Sarà allora Q > 0 se il calore è ricevuto, e Q < 0 se è ceduto. Se indichiamo con
∆T = Tfin − Tin , si definisce capacità termica di tale corpo la grandezza:
Q
C =
∆T
misurabile in J/K, e calore specifico la capacità termica dell’unità di massa, misurabile in J/(Kg K):
Q
c=
m ∆T
ovvero Q = c m ∆T .
Questa grandezza dipende, in generale, oltre che dalla sostanza, dal suo stato di aggregazione. In effetti
l’innalzamento di temperatura di un oggetto è legato a quanta parte del calore viene risucchiato in energia
potenziale interna attraverso il lavoro delle forze di coesione. Un fattore fondamentali è rappresentato dalle
condizioni in cui la trasformazione in esame avviene. In particolare, se si tratta di un gas, l’intervallo di
variabilità dei calori specifici è molto ampio in relazione a quale delle grandezze termodinamiche P V e T
sono mantenute costanti.
Se poniamo a contatto due sostanze: ad esempio miscelando due liquidi a temperatura differente, in assenza
di dissipazioni esterne, quando si sarà raggiunta la temperatura di equilibrio TE avremo che l’energia uscita
dal corpo caldo sotto forma di calore, Q1 = c1m1(TE − T1 ) (negativa) dovrà eguagliare quella entrante nel
corpo freddo
Q2 = c2m2 (TE − T2 ) (positiva). E’ questa una applicazione macroscopica del teorema di
conservazione dell’energia dimostrato in dinamica e che continua a valere sulla scala delle singole molecole.
La somma di queste due quantità dovrà, pertanto, essere zero: scrivendo l’uguaglianza si può allora ricavare
la temperatura di equilibrio:
c1m1 (TE − T1 ) + c2m2 (TE − T2 ) = 0
A proposito di questa grandezza, val la pena soffermarsi a riflettere sull’elevato valore del calore specifico che
caratterizza una sostanza così comune me così atipica come l’acqua. Come si ricava dalla definizione, esso
coincide numericamente con l’equivalente meccanico della caloria moltiplicato per 1000:
6
cH2O = 4186
J
cal
= 1000
Kg×K
Kg×K
Pensiamo a cosa accade se mettiamo dell'acqua a riscaldare in una pentola,
dopo un paio di minuti,
immergendovi un dito la sentiremo tiepida. Al contrario, il metallo della pentola scotterà. Sicuramente il
fatto che il metallo conduca in media il calore meglio dell'acqua ha la sua parte di responsabilità. Ma il
motivo principale è che la molecola dell'acqua presenta caratteristiche tali da far sì che essa abbia il valore di
calore specifico più elevato di quasi tutti i composti organici e di tante altre sostanze non organiche. Cinque
volte il calore specifico dell'allumino della pentola, nel caso in esempio. Dieci volte quello del ferro. Vale a
dire che, per alzare di un grado la temperatura di un grammo di acqua, occorre fornire dieci volte più calore
che per alzare di un grado la temperatura di un grammo di ferro.
E' una proprietà che si può ben sperimentare facendosi una passeggiata a mezzogiorno sulla sabbia rovente:
l'unica salvezza è correre più veloce che si può verso il refrigerio dell'acqua. Eppure la spiaggia rovente ed il
mare sono stati riscaldati dallo stesso sole per lo stesso tempo.
Sebbene questo valore anormalmente alto del calore specifico sia una caratteristica molto rara, quasi unica
fra le sostanze organiche, esso risulta fondamentale per il proliferare della vita che noi conosciamo, in quanto
consente alla temperatura di un ambiente circondato dalle acque di stabilizzarsi. E' in questo modo che gli
oceani, assorbendo calore senza riscaldarsi eccessivamente, impediscono che la temperatura del nostro pianeta
salga troppo. Dall'altro lato, invece, agiscono come serbatoio di calore, cedendone in quantità senza
raffreddarsi eccessivamente. In questo modo impediscono che la temperatura scenda troppo. Un oceano di
anidride solforosa, ad esempio, oppure
un oceano di olio o di benzene non servirebbero altrettanto
efficacemente allo scopo.
Esercizio 2.1
Una sfaticata
studentessa di liceo – la chiameremo N. M.-, invece di fare i compiti di fisica
decide di
affogare i suoi dispiaceri cucinandosi una torta per poi divorarla in un sol boccone. La cosa è doppiamente
grave, perché oltre a prendere quattro il giorno dopo, ingrasserà pure. Ma la vita è così amara che lei non ci
pensa due volte: la mette in forno dentro una teglia di metallo di massa m=450 g e seleziona il termostato
sulla temperatura di 200 oC.
Dato che però non sa nemmeno cucinare, la torta che tira fuori è buona solo per la spazzatura. Sconsolata la
ragazza la butta nel secchio e getta amareggiata la teglia nel lavandino, che già contiene 2 Kg di acqua a
temperatura ambiente: circa 291 K.
-
Ma non lavi la teglia? – le urlano a casa.
-
Eh no, non posso, sai ho da studiare fisica io. E’ una materia importante
Passa un po’ di tempo ed alla fine teglia ed acqua si portano ad una temperatura di equilibrio TE=25o C.
J
, calcolare
Sapendo che il calore specifico dell’acqua è cH2O = 4186
Kg ⋅ K
1) quanto calore ha acquistato l’acqua;
2) quanto calore ha ceduto la teglia;
3) qual è il calore specifico del metallo della teglia.
7
Soluzione
Trasformiamo dati in unità del sistema internazionale:
T A = 291 K; mA = 2 Kg
TT = 200+273 = 473 K; mT = 450 g = 0.45 Kg
TE = 273 + 25 = 298 K
Il calore QA acquistato dall’acqua è:
QA = mA ⋅ cH 2O ⋅ (TE − TA ) = 2Kg ⋅ 4186
J
⋅ (298 − 291)K
Kg×K
QA = 5.86 × 104 J (= 5.86 × 104 / 4.186 cal = 1.40×104 cal)
Per applicare la stessa formula nel caso della teglia dovremmo conoscere il calore specifico del metallo della
teglia, che è invece una delle richieste del testo. Tuttavia in assenza di altre dissipazioni il calore che entra
nell’acqua non può che essere quello che esce dalla teglia cambiato di segno a significare che si tratta ora di
calore uscente, e cioè:
QA + QT = 0 ⇒ QT = −QA = −5.86 × 106 J
Che si può scrivere in funzione del calore specifico c del metallo:
QT = cmT (TE − TT ) = c × 0.45 × (298 − 473) = −78.75 c
Confrontando col valore trovato in precedenza si ha subito il calore specifico del metallo:
c=
−5.86 × 104
J
= 7.44 × 102
−78.75
Kg×K
Esercizio 2.2
Una rigida mattina d’inverno la temperatura dentro il vostro appartamento è 12 oC, fuori raggiunge quasi
lo zero, e la voglia di andare a scuola è decisamente sottozero. Anche perché è vero che c’è un’ora di buco ma
è meglio essere pessimisti, almeno ci si azzecca: di sicuro manderanno qualcuno che vuol fare lezione. Intanto
il profumo del caffè si espande nella cucina. Con gli occhi ancora impastati di sonno allungate la mano verso
la caffettiera, con attenzione perché la temperatura è circa di 90 oC. La tazza sul tavolino è alla temperatura
dell’ambiente e dentro vi versate 5 cl di caffè e poi 10 cl di latte preso dal frigorifero alla temperatura di 4
o
C. Mescolate il tutto ed alla fine ottenete un bel cappuccino alla temperatura di 15 oC .
Sapete dire qual è la capacità termica della vostra tazza?
Assumete che il calore specifico del latte e quello del caffè, che sono in grandissima parte fatti di acqua,
siano circa uguali a quello dell’acqua, e che anche la loro densità si possa approssimare con la densità
dell’acqua: ρlatte = ρcaffè = ρH 2O = 103 Kg/m3.
Soluzione
Intanto trasformiamo tutto in unità del S.I. anche perché coi centilitri non ci si capiva un tubo nemmeno alle
elementari quando almeno avevate voglia di stare a sentire la maestra, figuriamoci ora. Ricaviamo i volumi:
Vlatte = 10 cl = 0.1 l = 0.1 dm 3 = 10−4 m 3
Vcaffè = 5 cl = 0.05 l = 0.05 dm 3 = 5 × 10−5 m 3
e quindi calcoliamo la massa del latte e quella del caffè:
mlatte = ρlattaVlatte = 103 × 10−4 = 0.1 Kg
mcaffè = ρcaffèVcaffè = 103 × 5 × 10−5 = 0.05 Kg
8
L’equazione risolvente il problema è quella che ci dice che in assenza di dispersioni il calore non è scomparso,
ma uscendo dal caffè è entrato nel latte e nella tazza:
Qcaffè + Qlatte + Qtazza = 0
Calcoliamo:
Qcaffè = ccaffèm caffè (Tequilibrio − 90) = 103 × 0.05 × (15 − 90) = −3.75 Kcal [negativo: uscente]
Qlatte = clattemlatte (Tequilibrio − 4) = 103 × 0.05 × (15 − 4) = 0.55 Kcal
[positivo: entrante]
A-ha! Perché le temperature sono rimaste in gradi centigradi e non sono state portate in Kelvin? Bhe, in
tutti i problemi in cui si ha a che fare solo con differenze di temperatura, come in questo caso, la
trasformazione in Kelvin è fatica sprecata: le differenze non cambiano. Ma attenzione a farlo nei casi in cui si
deve calcolare una energia interna, sarebbe esiziale! ( ecchevvordì? )
A-ha! Ma perché stavolta per il calore specifico dell’acqua si è usato il valore in calorie (103 cal/K) e quindi
tutti i calori sono in calorie? E’ perché non fa differenza, è solo una questione di gusto: in questo momento
preferivo le calorie ai Joule, domani chissà.
Qtazza = C tazza (Tequilirio − 12) = C tazza (15 − 12) = 3C tazza
dove Ctazza è la capacità termica della tazza che devo calcolare. Notare che per un oggetto generico conviene
usare C anziché il calore specifico c, preferibile invece in quei casi in cui è noto il tipo di materiale.
Eguagliando a zero la somma dei tre calori si ha:
−3.75 + 0.55 + 3C tazza = 0
3.75 − 0.55
C tazza =
= 1.07 Kcal/K = 1070 cal/K
3
Esercizio 2.3
Tranquillamente seduti sui gradini del cortile ve ne state a godervi quel poco di sole invernale senza fare
niente. Che pace che serenità almeno per cinque minuti. Ma ecco che dal terzo piano vi chiama il professore
di fisica.
-
Portami su il registro! – urla.
Fine della pacchia. Adesso ci sono 3 piani da salire, per un totale di 15 metri di dislivello da superare: che
fatica la scuola! Quasi quasi cerco un posto da sciampista.
Avete in mano un pacco di biscotti e sopra c’è scritto che 100 g forniscono 469 Kcal. Diciamo che la vostra
massa è 50 Kg. Quanti grammi di biscotti dovete ingurgitare per compiere il lavoro necessario a salire fino al
terzo piano? Considerate che partite da fermi ed arrivate fermi e che la resa muscolare è il 15%.
Soluzione
[Intanto una riflessione iniziale. Il problema sottintende che a portarvi su siano i muscoli delle vostre gambe, il che è vero,
ma.... Ma dal punto di vista della dinamica, per mettervi in movimento e quindi variare la vostra quantità di moto, se
consideriamo il vostro corpo come un sistema, quello che è efficace sono le forze che dall’esterno agiscono su di voi, vale a
dire la forza di gravità (che compie lavoro resistente), e la forza di attrito con il pavimento nonché la reazione verticale
dei gradini mentre li salite (che compiono il lavoro motore necessario a spostarvi in orizzontale e verticale). Si tratta di
forze il cui andamento è estremamente vario lungo il tragitto e difficilmente quantificabile. Tuttavia è pur vero che
l’azione di tali forze esterne è guidata dalla forza che i vostri muscoli esercitano sul pavimento ed in questo senso ci
riferiremo alla forza muscolare come forza esterna su di voi, ma attenzione alla sottigliezza. Proprio come il motore
muove una macchina guidando e modificando l’attrito (statico) dell’asfalto. Abbiamo imparato un cosa nuova: la forze
9
interne non hanno la capacità di variare la quantità di moto del centro di massa di un sistema ma possono modificare
l’azione di quelle esterne e quindi per il tramite di esse mettere in movimento il centro di massa.]
Per risolvere il problema applichiamo il teorema dell’energia cinetica per calcolare il lavoro fatto dalla forza
muscolare su di voi per portarvi in alto. Dopodiché supponiamo che tale lavoro sia stato prelevato dalle
calorie sviluppate dai biscotti tenendo conto che i muscoli hanno la resa del 15 % cioè l’85% delle calorie dei
biscotti andrà in qualche modo perduto.
Sul sistema, cioè noi stessi, agiscono dall’esterno la forza dei nostri muscoli (nel senso precisato sopra) e la
forza di gravità. Il lavoro complessivamente svolto sarà pari alla variazione di energia cinetica:
1
1
2
2
WTOT = Wmuscoli +Wgravità = mvfinale
− mvinziale
2
2
Il testo dice che si parte fermi e si arriva fermi quindi l’energia cinetica è zero sia all’inizio che alla fine. Di
conseguenza il lavoro complessivamente svolto è zero e cioè il lavoro dei muscoli è uguale ed opposto a
quello fatto dalla gravità:
Wmuscoli +Wgravità = 0 ⇒ Wmuscoli = −Wgravità
Il lavoro della gravità lo si calcola facilmente essendo la gravità una forza conservativa sappiamo che esso è
pari alla variazione di energia potenziale cambiata di segno cioè Wgravità = −∆U = −(U fin −U in ) . Ricordando
l’espressione dell’energia potenziale gravitazionale rispetto al livello del terreno U = mgh abbiamo:
Wmuscoli = −Wgravità = −[−(U fin −U in )] = mgh − 0 =
= 50 Kg × 9.8(m/s2 ) × 15 m = 7350 J = 1756 cal
Se vogliamo che tali calorie siano sviluppate dai biscotti dovremo mangiarne un quantitativo tale che 1756
cal ne sia il 15 %, perché tanto ne occorre che rimanga per i muscoli. Quindi dovremo mangiare biscotti per:
1756
Qdamangiare =
× 100 = 1.17 × 105 cal
15
Ora 100 g di biscotti forniscono 469 Kcal quindi un grammo fornisce:
469 Kcal
4.69 × 105 cal
=
= 4.69 × 103 cal
100
102
Per arrivare alle 1.17 × 10 cal che ci occorrono per salire al terzo piano dovremo mangiare:
5
1.17 × 105
= 25 g
4.69 × 103
di biscotti.
mB =
10
3. Le transizioni di fase delle sostanze pure
Per quanto interessa lo studio della termologia che ci accingiamo ad affrontare,
semplice
riteniamo
valida
la
schematizzazione secondo cui gran parte delle sostanze possono assumere tre differenti stati di
aggregazione (o fasi): la fase solida, nella quale esse hanno una forma ed un volume proprio, la fase liquida,
nella quale hanno un volume proprio, e la fase aeriforme, nella quale le sostanze, se disposte in un contenitore
ove sia stato fatto il vuoto, tendono ad occupare integralmente lo spazio disponibile assumendo la forma ed il
volume del contenitore. Si tenga presente, tuttavia, che questo quadro ha dei limiti perché vi sono sostanze
che esistono ad esempio solo come solide, oppure solo come solide e liquide, perché nel tentativo di farle
cambiare di fase le loro molecole si decompongono e la sostanza semplicemente cessa di esistere.
La transizione da una fase ad un'altra è, nel caso generale, un processo complesso, tuttavia è possibile una
descrizione schematica se ci si restringe, come qui faremo, alle sole sostanze pure. Con
tale termine si
intendono quegli elementi - o quei composti - costituiti tutti da atomi di un solo tipo. Ad esempio O2 oppure
H2 ma anche CH4, H2O, Pb etc.
Invece, quanto diremo, non va bene, ad esempio, per l’aria, che è una miscela di gas, per il legno, per un
bicchierino whisky od un cono gelato e così via: in tutti quei casi cioè, in cui il costituente elementare non è
unico, ma si tratta piuttosto di miscele, soluzioni o leghe. Dalla teoria cinetica dei gas sappiamo che la
temperatura di una sostanza è l’espressione macroscopica dello stato di agitazione delle molecole stesse: la
nostra mano che toccando un oggetto attribuisce ad esso lo stato di caldo o di freddo sta confrontando
l’energia cinetica media della sostanza con quella delle molecole della pelle. Nel caso di una sostanza in fase
aeriforme, a temperatura sufficientemente alta ed in condizioni di rarefazione tali da poter essere considerata
un gas perfetto, le molecole non percepiscono le una la presenza delle altre. Non che le forze di coesione
scompaiano: nulla potrebbe ottenere un simile effetto, ma, piuttosto, accade che esse, in quelle condizioni,
risultano così deboli che il loro effetto è trascurabile rispetto agli altri fattori in gioco. Pensiamo, ad esempio,
quanto inefficace possa essere il tentativo di deviare un proiettile di ferro con una piccola calamita: la forza di
attrazione non disturberebbe nemmeno minimamente la traiettoria.
Quando, tuttavia, tali condizioni vengono meno, vale a dire se
si raffredda la sostanza oppure
la si
comprime, le interazioni elettriche fra le molecole cominciano a far sentire il loro effetto, con l’andamento
qualitativo mostrato precedentemente in figura 1.2.
Per fare in modo che le molecole non siano più indipendenti le une dalle altre ho quindi la seguente
alternativa:
1.
Posso rallentare le molecole, ovvero abbassare la temperatura della sostanza, in modo che la loro
energia cinetica non sia più enormemente maggiore di quella potenziale legata alle interazioni
elettriche delle forze di coesione. Nell’esempio di sopra è come se il proiettile uscisse lentissimo dalla
bocca del fucile: la presenza della calamita diverrebbe allora significativa.
2.
Posso avvicinare le molecole, vale a dire aumentare la densità ρ (materialmente questo significa
1 2
), in modo che, nel grafico delle forze di
aumentare la pressione che, lo ricordiamo, vale P = ρ vm
3
coesione, ci si sposti nella regione vicina al massimo di interazione, dove le forze intermolecolari sono
più efficaci.
11
Da quanto detto, appare che le forze di interazione intermolecolare sono quelle che aggregano la sostanza,
mentre lo stato di agitazione delle molecole tende a disgregarla, e quindi, nella fase aeriforme dominerà
quest’ultimo, mentre in quella solida domineranno le coesioni intermolecolari.
Abbiamo visto, infatti, come le molecole di una sostanza pura, quando si trova allo stato solido, perdono
quasi completamente la loro libertà di movimento e si distribuiscono lungo un insieme di posizioni prefissate,
attorno alle quali hanno la possibilità di oscillare ma da cui non possono allontanarsi.
Una tale configurazione prende il nome di reticolo cristallino e può essere immaginato come un materasso a
molle in tre dimensioni, dove le molle giocano il ruolo delle forze di coesione e le molecole sono localizzate nei
punti di incontro fra una molecola e l’altra.
La fase liquida si trova, in qualche modo, a metà strada fra le due: in essa l’edificio cristallino è stato
disgregato, anche se alcune molecole formano ancora delle catene e dei raggruppamenti, un po’ come fra le
macerie di un palazzo rimane qualche brandello di muro.
P
Quindi per far passare una sostanza da una fase ad un'altra
LIQUIDO
posso agire o per via meccanica (comprimendola o
SOLIDO
GAS
rarefacendola, cioè agendo su P) oppure per via termica
(riscaldandola o raffreddandola cioè agendo su T).
Tutto
questo
è
rappresentabile
in
diagramma,
caratteristico di ogni sostanza, detto diagramma di stato,
ove siano riportate le due grandezze fisiche P e T
VAPORE
T
T critica
Fig. 3.1 : Le fasi di una sostanza pura
responsabili dello stato di aggregazione:
Quello raffigurato è un esempio dell’andamento che
qualitativamente ha il diagramma di stato per una sostanza
pura che subisca una transizione di fase in una cella dove
sia preventivamente stato fatto il vuoto e valgono, con
qualche misura di approssimazione, anche se le transizioni avvengono alla presenza dell’aria. Ogni punto
individua una coppia P,T che definisce la fase della sostanza. Le linee di separazione individuano delle
condizioni di temperatura e di pressione alle quali, nel vuoto, la sostanza può coesistere nelle due fasi.
La fase aeriforme è stata ulteriormente suddivisa in
due stadi, quello di vapore e quello di gas, che si
separano ad un valore critico della temperatura. Le forze di coesione, infatti, sono caratteristiche di ogni
sostanza: sono mediamente
maggiori, ad esempio, nel ferro che non nell’acqua, e dipendono solo dalle
proprietà chimiche della molecola in esame. Ciò significa che, mentre posso aumentare quanto desidero lo
stato di agitazione delle molecole, la tendenza che esse hanno ad aggregarsi
sarà sempre la medesima.
Esisterà quindi, per ogni sostanza, una temperatura critica al di sopra della quale le molecole hanno uno
stato di agitazione tale che gli effetti di coesione, anche ad una pressione tale per cui essi assumono il loro
valore massimo, non riescono più ad aggregare le molecole in una fase solida oppure liquida.
Si è soliti chiamare gas una sostanza che si trova al di sopra della sua temperatura critica TC , e che quindi
non può essere liquefatta o solidificata per compressione, e vapore una sostanza che invece si trova a T < TC
e può invece essere liquefatta per compressione. Ad esempio l’acqua, allo stato aeriforme, è un vapore in
condizioni ambiente ma diventa un gas se la temperatura supera i 647 K.
12
4. Il processo di fusione e quello di solidificazione
La transizione dalla fase solida a quella liquida prende il P
nome di fusione, mentre con solidificazione si intende il
processo inverso. Come si è detto, una tale transizione può
essere indotta sia per via termica che per via meccanica,
LIQUIDO
SOLIDO
A
B
oppure tramite entrambe contemporaneamente. Volendo
fondere una sostanza pura per via esclusivamente termica
si registra quanto segue. Fissato un valore di pressione –
ad esempio quella atmosferica – si fornisce del calore per
innalzare la temperatura della sostanza pura in esame
T
mantenendo costante la pressione.
Dapprima la temperatura della sostanza, che si trova nello
Fig. 4.1: Fusione per riscaldamento
stato A in figura, comincerà a crescere, finché, raggiunto il
valore che è indicato come temperatura di fusione, essa cessa di salire ed inizia il processo di transizione da
solido a liquido. Durante la fusione la temperatura si mantiene costante ed il calore che continuiamo a fornire
viene utilizzato per disgregare la struttura dell’edificio cristallino. Quel che accade è che le molecole,
inizialmente confinate nelle loro posizioni entro il reticolo stesso, hanno raggiunto un regime di oscillazione
così violento che le forze di coesione non riescono più a trattenerle nelle loro posizioni. Il reticolo si va
progressivamente smontando pezzo a pezzo e questo processo assorbe l’energia che forniamo dall’esterno e che
prima veniva utilizzata per incrementare la temperatura. Poichè
DURANTE LA FUSIONE LA TEMPERATURA SI MANTIENE COSTANTE
e quindi resta costante l’energia cinetica delle molecole finchè tutto il processo non è terminato, ai primi
sperimentatori il calore fornito sembrava scomparire nascondendosi. Per tale motivo si introdusse la
grandezza fisica nota come calore latente (cioè, letteralmente, “nascosto”) di fusione, intendendo con ciò la
quantità di calore necessaria a fondere un’ unità di massa di una sostanza mantenendo costante la pressione.
Pertanto, per fondere 1 Kg di ghiaccio alla pressione atmosferica è necessario prima portarlo alla temperatura
di 273 K e poi fornirgli ulteriori 3.34 × 105 J. Anche nel caso del calore latente di fusione l’acqua presenta un
valore anormalmente alto rispetto a quello di altre sostanze, che favorisce la persistenza di ghiacciai perenni,
specie nelle regioni polari.
Per raffronto si consideri che per fondere 1 Kg di piombo alla temperatura di 601 K bastano 2.5 × 104 J ed
occorrono invece 1.05 × 106 J per fondere 1 Kg di argento una volta raggiunta la temperatura di 1234 K.
L’energia fornita nel processo ovviamente non scompare: il fatto che non la si ritrovi in un incremento
dell’energia cinetica delle molecole (cioè di temperatura) si spiega tenendo conto del fatto che, mentre le
molecole si allontanano dai loro siti nel reticolo, le forze di coesione, attrattive, compiono un lavoro resistente
che si oppone alla disgregazione della struttura. In altri termini impediscono che il calore fornito faccia
crescere la velocità media delle molecole trasformando il calore ricevuto in energia potenziale, infatti:
13
DURANTE IL PROCESSO DI FUSIONE LA DISTANZA MEDIA FRA LE MOLECOLE AUMENTA, E LE FORZE DI COESIONE
–
CHE SONO CONSERVATIVE
-
COMPIONO UN LAVORO RESISTENTE.
NE CONSEGUE UN INCREMENTO DI ENERGIA POTENZIALE
INTERNA
Ricordando il teorema dell’energia cinetica:
1
1
2
2
mvfinale
− mvinziale
=0
2
2
−U finale , ed U è energia potenziale delle forze di coesione, che come si è detto, sono il
WTOT = Calore Fornito +Wcoesione =
dove Wcoesione = U iniziale
risultato delle varie componenti elettriche presenti e quindi conservative perché la forza elettrica è
conservativa, come del resto lo sono tutte le quattro forze fondamentali della natura a livello microscopico.
Nel processo inverso di solidificazione, la linea in figura andrà percorsa da B verso A ed il calore sottratto
affinché lo stato di agitazione molecolare si riduca e le forze di coesione possano compiere il lavoro motore
necessario a ricostruire il reticolo cristallino. Per solidificare una unità di massa di una sostanza sarà
necessario sottrargli esattamente quanto calore è necessario fornirle per fonderla, cioè il calore latente di
solidificazione coincide con quello di fusione, e l’incremento di energia cinetica che sarebbe dovuto al lavoro
– motore - delle interazioni intermolecolari è bilanciato dalla fuoriuscita di calore, cosicché T rimane
costante.
Il tratto di curva che separa la fase solida dalla fase liquida rappresenta quindi l’andamento della
temperatura di fusione/solidificazione al variare delle pressione, oppure, se si preferisce, l’andamento della
pressione alla quale la sostanza può coesistere sia nello stato solido che in quello liquido. Come si può
osservare la sua pendenza è positiva e cioè al crescere della pressione cresce la temperatura alla quale avviene
il processo di fusione/solidificazione. Questo risulta intuitivo se
si raffigura la pressione che dall’esterno si esercita sulle
superfici di un liquido come un’azione aggiuntiva che tende ad
aggregare le molecole assommandosi all’azione delle forze di
coesione. Aumentando l’azione aggiuntiva della pressione,
A
P
LIQUIDO
SOLIDO
si
alza il livello di agitazione che può essere sopportato senza
B
disgregare il reticolo cristallino, e con esso la temperatura di
fusione. Se volessimo solidificare una sostanza agendo per via
puramente meccanica, come in figura 4.2, sarebbe sufficiente
T
comprimerla ad una temperatura costante: immaginiamo, ad
esempio, di schiacciare con un pistone qualche goccia di
mercurio. In tal modo si sta contribuendo dall’esterno all’azione
Fig. 4.2 : Solidificazione per compressione
delle forze di coesione, con il risultato di poter confinare le
molecole nei siti del reticolo cristallino in linea teorica anche a temperature arbitrariamente alte.
Come si vede osservando la figura 4.1 il processo di fusione avviene solamente per quegli intervalli di
temperatura e di pressione che permettono l’esistenza delle fase liquida.
Per ogni sostanza pura esiste un valore di pressione, detta di punto triplo, al di sotto della quale, nel vuoto,
non si può avere la fase liquida comunque si vari la temperatura: si tratta del valore assunto nel punto di
incontro dei tre rami di transizione in figura.
temperatura
Analogamente, al di sotto del
valore assunto dalla
nel punto triplo non è possibile l’esistenza della fase liquida comunque si faccia variare la
pressione. In tali condizioni non ha senso parlare di fusione: la sostanza passa direttamente dalla fase solida a
quella di vapore e viceversa attraverso il processo detto di sublimazione. Nel caso dell’anidride carbonica, il
14
cui punto triplo è P = 5.16 × 105 Pa, T=217 K, il fenomeno della sublimazione a pressioni e temperature
ambientali del cosiddetto “ghiaccio secco” è particolarmente vistoso. La sublimazione a pressioni atmosferiche
si osserva anche nella canfora della naftalina, la quale evapora scomparendo progressivamente dai guardaroba
dove viene riposta per proteggere gli abiti.
Un discorso a parte merita il comportamento anomalo che
l’acqua
segue
durante
la
transizione
di
fase
A (Sotto al filo)
P
fusione/solidificazione, di cui vediamo uno schema in figura
SOLIDO
4.2.
LIQUIDO
Se prendiamo un cubetto di ghiaccio e lo lasciamo cadere in
un bicchier d'acqua, nessuno di noi rimane stupito dal fatto
B
che esso galleggi, eppure si tratta di una caratteristica quasi
unica. A parte poche sostanze, come lo stagno e la ghisa,
infatti, la grande maggioranza degli elementi diminuiscono di
volume
quando
congelano
in
condizioni
di
(Sopra
al filo)
pressione
atmosferica, diventano cioè più densi. L'acqua stessa si
comporta così se costretta a valori di pressione maggiori di
duemila atmosfere. Ma alla pressione atmosferica no, l'acqua
T
Fig. 4.2: Il diagramma di fase dell’acqua
aumenta di volume solidificandosi e, per conseguenza, il
ghiaccio è meno denso dell'acqua e quindi galleggia. Dal punto di vista del diagramma di transizione questo
significa che la linea di separazione della fase solida dalla fase liquida ha una pendenza negativa, come si
evidenzia nella figura a destra. Infatti se con la fusione il volume tende a diminuire un aumento della
pressione esterna agevola il passaggio da solido a liquido e di conseguenza la temperatura di fusione si
abbassa al crescere della pressione. Un tale fenomeno è messo bene in evidenza dall’esperienza cosiddetta del
rigelo, dove si ha un blocco di ghiaccio, a temperatura inferiore a quella di fusione alla pressione atmosferica,
sottoposto all’azione di un filo teso come in figura. Sotto al filo la pressione è maggiore che negli altri punti, e
se è sufficiente
si assiste
alla fusione del ghiaccio. Quel che accade è che il filo
attraversa il ghiaccio
lasciandolo intatto in quanto al di sopra del filo la pressione torna ad essere quella atmosferica ed il ghiaccio
gela nuovamente.
Questa singolare proprietà la si può osservare, ad esempio, sotto alla lama dei pattini da giaccio, e permette
di scivolare grazie all’abbassamento della temperatura di
fusione
dovuto all’alta pressione che genera il nostro peso distribuito su una
così piccola superficie. Se l’acqua non avesse una tale caratteristica
non si osserverebbe lo scivolamento dei ghiacciai gli uni sugli altri,
dovuto all’elevata pressione che la loro massa origina alla base, né, in
definitiva, noi stessi scivoleremmo così facilmente sulla neve.
Ma, soprattutto, l’abbassarsi della temperatura di fusione dell’acqua
al crescere della pressione
è indispensabile affinché la vita possa
evolversi. Se l'acqua fosse come tutte le altre sostanze, il ghiaccio
sarebbe più denso dell'acqua liquida e formandosi nei mari, nei laghi e
Fig. 4.3 : Il rigelo
negli oceani, affonderebbe. Ora, la pressione sui fondali, dove il
ghiaccio si andrebbe raccogliendo, cresce con la profondità h, secondo la legge di Stevino:
P = P0 + ρgh ,
divenendo enormemente elevata. Ciò contribuirebbe ulteriormente a mantenere allo stato solido quest'acqua
15
con le proprietà al contrario, ed ogni anno si formerebbe nuovo ghiaccio in superficie per poi affondare
ancora. Il risultato, come si può immaginare, sarebbe un progressivo, inesorabile congelamento di tutta la
massa d'acqua esistente sulla Terra. Accresciuto, per di più, dall’incremento dell’albedo del nostro pianeta,
ovvero della frazione di luce solare che sarebbe riflessa senza riscaldarci, a causa della spessa coltre bianca
che lo ricoprirebbe.
Al contrario, lo strato di ghiaccio superficiale galleggiante, quando si forma, isola i laghi e gli oceani
sottostanti, prevenendone il congelamento, e la grande pressione degli abissi mantiene liquida anche la
freddissima acqua sui fondali. In tale modo essa è disponibile come indispensabile solvente per le creature che
vi abitano, e la vita vi prolifera. E tutto questo grazie ad una peculiarità che si manifesta solo in questa
sostanza e solo in condizioni di pressione analoghe a quelle che si trovano sul nostro pianeta.
5. La distribuzione di Maxwell delle velocità
In un modello di gas perfetto sono trascurabili le interazioni a distanza dovute alle forze di coesione ma in
generale le molecole potranno urtarsi. Durante tale processo avverrà che molecole che avranno rallentato
avranno perso energia cinetica. Se questa energia si ritrova tutta nello stato di moto delle molecole che
avranno accelerato diremo che gli urti che hanno avuto luogo sono elastici. In un tale gas non potremo
supporre che tutte le velocità siano uguali perché anche se si verificasse una situazione così ordinata, gli urti
produrrebbero immediatamente delle variazioni di velocità in molte molecole, fino al raggiungimento di una
situazione di completo disordine.Partendo dal valore di velocità vm uguale per tutte, dopo poco alcune
saranno più veloci ed altre più lente a causa dei primi urti. Se si tiene presente che per ogni molecola che in
Vm
Vm
Situazione
iniziale
di
massimo ordine: tutte le
molecole hanno la stessa
velocità Vm
Dopo qualche tempo gli urti
producono
molecole
con
velocità vicina a Vm
Vm
Situazione finale in equilibrio
statistico: massimo disordine
Fig .5.1: Il raggiungimento del massimo disordine
un urto perde velocità ve ne sarà in corrispondenza una che l’aumenta, in un istogramma che rappresenti il
numero di molecole in relazione all’intensità della loro velocità (indipendentemente dalla direzione)
si
assisterà ad un graduale sparpagliamento del numero di molecole verso velocità immediatamente vicine a
quella di partenza. Anche se attendiamo molto tempo, la velocità vm con la quale le molecole sono partite
sarà sempre il valore che si potrà trovare con maggiore probabilità. Essendo infatti le velocità molecole
distribuite sin dall’inizio intorno a vm, si può mostrare che gli urti più probabili avranno mediamente l’effetto
di far scavalcare tale valore a destra dalla molecola che cresce di velocità ed a sinistra da quella che decresce,
in modo che la distribuzione sia stabile. Si tratta di una forma di equilibrio, anche se non nel senso statico di
questo termine: una singola molecola non mantiene nel tempo la stessa velocità, ma un gran numero di
16
molecole ha velocità distribuite
attorno al valore massimamente
probabile.
E
solitamente
così,
del
TB>TA
come
accade,
comportamento
TA
il
singolo
TC>TB>TA
individuo – in questo caso la
molecola – non è prevedibile,
mentre lo è il comportamento
medio di un grande numero di
unità.
Il
risultato
è
la
distribuzione di valori in figura
5.2. A questo va aggiunto che,
spostandosi
nel
verso
VmA
VmB
VmC
Fig 5.2: La distribuzione di Maxwell al crescere di T
valori
velocità molto grandi, sarà sempre possibile trovare molecole che sono caratterizzate da essi, ma il loro
numero deve di necessità decrescere al crescere di v. Infatti per popolare con un numero di molecole non
decrescente tutti gli intervalli di valori possibili di velocità dovrei avere a disposizione un numero infinito di
molecole. Se poi aumentiamo la temperatura del gas,
come rappresentato in figura 5.2, la distribuzione
viaggia spostandosi verso destra per effetto dell’incremento dell’energia cinetica media delle molecole.
Dobbiamo pensare a questa distribuzione come ad un istogramma in cui l’area sottesa rappresenta il numero
totale di molecole, mentre l’area compresa in una “fetta” verticale fra due valori vicini di velocità: v1 e v1 +
∆v rappresenta il numero di molecole che hanno velocità v tale che v1 < v < v1 + ∆v. Allora, dato che
aumentando la temperatura il numero complessivo di molecole non cambia, la curva di distribuzione al
crescere di T ha l’andamento illustrato: il valore di picco si sposta verso destra ma l’area sottesa resta
equivalente.
6. L’evaporazione e la condensazione
Si dice evaporazione la transizione dalla fase liquida a quella aeriforme e condensazione la transizione inversa.
Ma prima di descriverne il meccanismo prendiamo in considerazione alcuni fatti.
1.
Laviamo il pavimento di casa e lasciamolo bagnato. Lentamente questo si asciuga sotto i nostri occhi:
l’acqua evapora senza bisogno di alcun intervento dall’ esterno, e senza che sia stata raggiunta una
particolare temperatura.
2.
Poniamo in un
bicchiere lo stesso quantitativo di acqua. Questa volta l’evaporazione è davvero
molto lenta. Tuttavia, attendendo un tempo sufficientemente lungo, anche il bicchier d’acqua si
asciugherà completamente
3.
Riscaldiamo ora la nostra acqua e poniamola di nuovo nel bicchiere: l’evaporazione avviene ora così
velocemente da essere percepibile. Nel contempo
però l’acqua liquida rimanente si va
progressivamente raffreddando.
17
Ci sembra di poter concludere che:
IL FENOMENO DELL’EVAPORAZIONE E’ UN PROCESSO SPONTANEO
che non richiede aiuto per sostentarsi. A differenza della fusione, che necessita apporto continuo di calore se
si vuole che proceda, qui appare che, durante l’evaporazione, le molecole che fuoriescono risucchiano calore
alla fase liquida che resta, e che pian piano si raffredda. In qualche modo l’acqua auto alimenta il processo
con le sue stesse risorse energetiche.
Inoltre non è necessario raggiungere alcuna temperatura caratteristica affinché l’evaporazione abbia luogo,
tuttavia, maggiore è la temperatura a cui l’acqua si trova, più velocemente avviene il fenomeno. Questo
secondo aspetto rimarca una differenza cruciale con il processo di fusione, in quanto il passaggio da solido a
liquido richiede che lo stato di agitazione delle molecole sia di intensità confrontabile con la solidità del
legame intermolecolare. Quantitativamente ciò significa che l’energia cinetica delle molecole diviene
confrontabile con l’energia potenziale dei legami del reticolo3. Tale valore è una costante, caratteristica di
ogni sostanza: riscaldando il solido si aumenta la velocità microscopica media v di oscillazione delle molecole
1
attorno alle posizioni del reticolo: prima o poi l’energia cinetica traslazionale mv 2 raggiunge tale valore ed
2
il legame si rompe, proprio come se volessimo spezzare una molla.
Il fatto che,viceversa, non vi sia una temperatura caratteristica di evaporazione, significa che non c’è un
equivalente dell’energia caratteristica di legame da raggiungere. Da ultimo notiamo che, come si deduce dal
Fig. 6.1: fase liquida (a sinistra) e fase solida (a destra)
raffronto fra il tempo di evaporazione dell’acqua nel bicchiere e quella sul pavimento, anche la maggiore
superficie di esposizione ha l’effetto di velocizzare il processo4.Per capire quali meccanismi entrino in azione,
bisogna ricordare che lo stato liquido ci si presenta come un solido parzialmente sbriciolato, nel quale
3
L’energia potenziale è il lavoro compiuto dalle forze conservative quando un sistema viene smembrato da un agente
esterno ed i suoi componenti portati in un posizione scelta come riferimento. Essa può essere positiva o negativa a
seconda che le forze conservative compiano, durante lo smembramento, un lavoro motore oppure resistente.
4
Questo vale se ci troviamo in uno spazio aperto: più avanti verrà chiarito meglio il concetto
18
rimangono intatti alcuni pezzetto del reticolo cristallino ma l’ordine su grande scala è scomparso. Le distanze
fra le molecole sono in media maggiori che in un solido, le strutture reticolari rimaste in piedi sono deboli e
orientate in modo vario l’una rispetto all’altra. Quello che rimane è solo un ordine su di una scala più piccola
di prima: rispetto allo stato di agitazione le forze intermolecolari sono sufficienti ad impedire
l’allontanamento delle molecole ma insufficienti a fissare le molecole in alcune posizioni predeterminate. I
brandelli di reticolo che restano in piedi vanno tuttavia figurati come tali solo in senso statistico. Si tratta di
uno stato di equilibrio in quanto, mediamente, vi sono dei pezzetti di reticolo indipendenti, però le molecole
che appartengono all’uno oppure all’altro non sono sempre le stesse ma si interscambiano i ruoli. Cosicché si
può considerare l’insieme delle molecole non vincolate a questo o a quella porzione di sostanza, bensì libere di
muoversi. Esse saranno animate di velocità la cui distribuzione tenderà a stabilizzarsi sotto l’effetto delle
reciproche interazioni, e quindi prima o poi ad allinearsi secondo la curva maxwelliana di massimo disordine.
Ora, in accordo con le previsioni di tale curva, potrà sempre accadere che la velocità di una qualunque
molecola, per effetto degli urti con le altre, giunga ad acquisire un valore arbitrariamente alto. E’ sufficiente
che un certo numero di urti consecutivi cospirino, per così dire, ad aumentarla uno dopo l’altro. Nel grafico
che illustra la distribuzione statistica di Maxwell, stiamo guardando quelle molecole le cui velocità sono
localizzate nella regione molto a destra e che va progressivamente appiattendosi sull’asse delle ascisse: la
cosiddetta coda della distribuzione. Tale coda sarà in linea teorica sempre popolata da qualche molecola e, da
come si è visto, maggiore è la temperatura, maggiore sarà il suo spessore.
Una molecola nel mezzo del liquido, si potrà considerare libera,
nel senso che appartiene solo in senso
statistico ad uno o ad un altro pezzetto di reticolo. Essa subisce una forza di attrazione in tutte le direzioni,
in ugual misura da parte delle molecole circostanti, con il risultato che l’effetto sarà mediamente nullo. Ben
diversa è però la situazione di una molecola in superficie, per la quale non vi sono molecole oltre la regione di
separazione a compensare l’effetto attrattivo delle altre. Il risultato è che per essa si avrà una attrazione
media diretta verso il liquido, che le impedisce di fuoriuscire dal liquido stesso. Un tale fenomeno, detto
tensione superficiale, conferisce stabilità alla superficie del liquido stesso. Esso ha una energia caratteristica,
tipica di ogni sostanza5, ed è responsabile ad esempio della tendenza alla forma sferica che hanno le gocce
d’acqua e rende possibile, per alcuni
insetti, passeggiare sulla superficie delle
pozzanghere.
Le molecole che si venissero a trovare a
passare in prossimità della superficie
verrebbero respinte per effetto di tale
barriera repulsiva.
Tuttavia, se qualcuna di esse ha energia
cinetica sufficiente affinché il lavoro di
rallentamento che le forze di tensione
superficiale
compiono
arrestare la sua
non
riesce
ad
corsa verso l’esterno,
essa può sfuggire dal liquido: la molecola
Fig. 6.2: La tensione superficiale
evapora. Ma di tali molecole veloci siamo
5
Il lavoro di resistenza che fanno le forze di coesione quando si aumenta di 1 cm2 la superficie di un liquido è ciò che si
chiama energia specifica superficiale
19
sicuri che ve ne sono sempre ed a qualunque
temperatura perché lo garantisce la teoria
della distribuzione di Maxwell: un liquido ha
sempre al suo interno la possibilità che
qualche molecola possa evaporare.
Contemporaneamente
all’evaporazione,
la
fase liquida rimasta si raffredda perché da
essa sono fuggite proprio le molecole più
veloci, con il risultato che l’energia cinetica
media di traslazione si è abbassata, e con
essa la temperatura.
Questo però non impedisce che il fenomeno
di evaporazione prosegua spontaneamente,
Fig. 6.3: La condizione di vapore saturo
perché per quanto si abbassi la temperatura
gli effetti degli urti casuali avranno sempre una probabilità di produrre molecole con velocità sufficiente alla
fuga.
Ma
l’evaporazione ha anche
l’effetto di raffreddare il vapore che fuoriesce dal liquido. Durante il
superamento della barriera dovuta alla tensione superficiale, e poi in seguito all’aumento della distanza media
fra le molecole che il passaggio alla fase di vapore comporta, le forze di coesione compiono un lavoro
resistente, con l’effetto di rallentare le molecole. Quindi
sia il liquido rimasto che il vapore prodotto si
trovano ad una temperatura inferiore a quella iniziale del liquido.
SE
SI VUOLE ESTRARRE DA UNA CERTA QUANTITÀ DI LIQUIDO UNA EQUIVALENTE QUANTITÀ DI VAPORE NELLE
MEDESIME CONDIZIONI DI TEMPERATURA E DI PRESSIONE, È NECESSARIO FORNIRE CONTINUAMENTE DEL
CALORE DALL’ESTERNO DURANTE IL PROCESSO PER CONTRASTARE IL RAFFREDDAMENTO.
Se pertanto poniamo del liquido in un recipiente chiuso6 e manteniamo la sua temperatura costante,
assisteremo al progressivo, spontaneo evaporare della sostanza in modo che la zona dove non c’è liquido si
vada progressivamente riempiendo di vapore. A tale effetto corrisponderà un innalzarsi della pressione del
vapore7 nella zona superiore di figura 6.3 dovuto al crescere della densità ρ . Infatti, come sappiamo, la
pressione è l’effetto macroscopico del continuo tambureggiare delle molecole sulle pareti, ed aumenta con la
1 2
.
densità: P = ρ vm
3
Contemporaneamente, ma in misura minore, qualche molecola potrà compiere il percorso inverso,
condensando assieme ad altre nello spazio superiore per poi ricadere, oppure attraversando nuovamente la
superficie di separazione in verso contrario, e ritornando così alla fase liquida.
6
Supporremo vuota la regione racchiusa sopra al pelo dell’acqua, anche se l’eventuale presenza di aria non influenza la
quantità di acqua evaporata, e quindi non influenza la tensione di vapore, ma risulta efficace solo nel rallentare il
processo.
7
Si sta parlando della pressione parziale del vapore, che va sommata alle pressioni parziali di altri aeriformi
eventualmente presenti (aria), per ottenere la pressione complessiva. La legge di Dalton prescrive
che
Ptot = ∑ Pparziali : l’eventuale presenza di aria non interviene nelle nostre conclusioni perché i gas sono indipendenti e
la pressione che ciascuno esercita è la stessa che eserciterebbe se fosse il solo presente.
20
A tale percorso “di rientro” corrisponde un lavoro motore delle forze di coesione, ed ora, viceversa, saranno
favorite le molecole più lente. Rispetto alla temperatura di partenza del vapore, la condensazione, causando
la perdita delle molecole lente, produce un vapore leggermente più caldo ed un liquido più caldo anch’esso
perché
le forze di coesione hanno compiuto lavoro accelerando le molecole. In altri termini l’energia
potenziale delle molecole diventa cinetica. Se vogliamo che il processo di condensazione avvenga a
temperatura costante occorrerà sottrarre calore.
Per ogni temperatura alla quale si sceglie8 di
condurre l’esperimento, il numero di molecole
che transitano alla fase di vapore sarà sempre lo
stesso mentre quelle che rientrano aumenta col
tempo poiché aumenta le densità della fase
P
SOLIDO
LIQUIDO
GAS
1 atm
aeriforme. Si arriverà ad un certo punto ad un
valore limite di densità del vapore, e quindi di
pressione, per il quale il numero delle molecole 0.06atm
VAPORE
che nell’unità di tempo transitano alla fase di
vapore è uguale a quelle che compiono il
T
percorso inverso. Si tratta di una situazione di
equilibrio in senso statistico9: la situazione si
0oC
stabilizza ma le molecole sono in un continuo
interscambio di ruoli. Alla densità di equilibrio
Fig.6.4:
0.01oC 100oC
374oC
Andamento con la temperatura della tensione di
che si realizza nella fase di vapore corrisponde vapore dell’acqua
una pressione
il cui valore viene
detto
pressione di vapore saturo10 . Essa dipende evidentemente dalla temperatura ed assume valori molto diversi
per le diverse sostanze. Il suo andamento in funzione della temperatura è rappresentato dalla curva che
separa la fase liquida da quella di vapore nel diagramma di fase.
LA
CURVA DELLA PRESSIONE DI VAPORE SATURO IN FUNZIONE DELLA TEMPERATURA FORNISCE LA MASSIMA
PRESSIONE PER OGNI TEMPERATURA ALLA QUALE POSSIAMO SOTTOPORRE IL VAPORE SENZA CHE CONDENSI.
Insomma le sostanze evaporano tranquillamente da sole ma se si vuole che non raffreddino occorre rifornirle
dell’energia utilizzata nel processo. Nello stesso modo, se si vuole che condensino senza riscaldarsi occorre
sottrarre loro del calore, numericamente uguale a quello di evaporazione. Cosicché, con terminologia analoga
al caso della fusione, ma significato differente, si definisce
CALORE LATENTE DI EVAPORAZIONE: LA QUANTITÀ DI CALORE CHE OCCORRE FORNIRE ALL’UNITA’ DI MASSA DI
UNA SOSTANZA LIQUIDA PER OTTENERNE DEL VAPORE SATURO NELLE STESSE CONDIZIONI DI TEMPERATURA E
DI PRESSIONE.
8
Purché inferiore a quella critica, per la quale la sostanza diventa un gas.
Un altro esempio di equilibrio statistico è quello delle reazioni chimiche
10
O anche tensione di vapore
9
21
E così sarà detto calore latente di condensazione la quantità corrispondente che occorre sottrarre durante il
processo inverso.
In virtù di questo effetto la natura provveduto a fornire noi e molte altre specie di esseri viventi di un
meccanismo refrigerante di incredibile efficacia: la traspirazione sudorifera. Sudando, l'acqua si deposita sulla
nostra pelle e comincia ed evaporare. La fuga di molecole veloci comporta un graduale abbassamento di
temperatura del liquido che è ancora sulla nostra pelle, ed il fatto che ci si trovi in un ambiente ampio fa sì
che le molecole si allontanino indefinitamente, rendendo improbabile il rientro del vapore nella fase liquida.
Questo sudore non evaporato rimane a contatto con il corpo, il quale è ora un poco più caldo della gocciolina
che si è raffreddata. Il contatto comporta uno scambio di calore, conducendo il sudore ed il corpo ad una
stessa temperatura intermedia, con il risultato di raffreddarci.
Ma quanto è buona l'acqua come refrigerante per evaporazione? Un refrigerante è tanto migliore quanto più
calore richiede per espellere molecole sempre con lo stesso ritmo. Questo accade se si mantiene costante la
temperatura durante l'evaporazione, prelevando il calore necessario dall'oggetto che si vuole raffreddare. Se
vogliamo riportare una goccia d'acqua, raffreddatasi in seguito alla evaporazione di una parte di essa, alla
stessa temperatura che aveva in precedenza, dobbiamo rifornirla di energia in proporzione al suo calore
latente di evaporazione: circa 538 calorie per ogni grammo.
Si tratta del più alto valore fra tutte le sostanze a noi note: l'acqua è il più efficace refrigerante che si
conosca. Se gli organismi viventi sudassero ammoniaca, oppure acido acetico, il loro meccanismo di
raffreddamento sarebbe molto meno efficace. Ancora una volta sorprendono davvero le proprietà davvero
inusuali di una sostanza a noi così familiare, ed ancor più sorprende quanto tali proprietà siano importanti
per il proliferare della vita come noi la conosciamo.
7. Il fenomeno dell’ebollizione
La superficie di separazione di un liquido dall’ambiente, se piana11,
non contribuisce a velocizzare
l’evaporazione del liquido quando questo si trovi in un ambiente chiuso, perché essa rappresenta sia la via di
fuga per le molecole che evaporano, sia la via di ingresso per quelle che condensano, e quindi il suo apporto al
processo nei due sensi è equivalente. Quando ci si trova in un ambiente aperto, tuttavia, il rientro del vapore
diventa improbabile perché le molecole si disperdono ed allora la maggiore area di esposizione verso l’esterno
favorisce solo l’evaporazione: è la situazione in cui si trovano i panni stesi oppure il pavimento bagnato. In
questo caso la superficie di interfaccia costituisce solo una via di fuga: non essendoci molecole che rientrano,
tutta l’acqua in un piccolo recipiente evaporerà se si attende un tempo sufficiente. Può accadere, tuttavia,
che la superficie di interfaccia con l’ ambiente sia in qualche modo incrementata all’interno. Vediamo in che
modo.
Come si può facilmente verificare osservando un bicchiere di acqua lasciata a riposare tutta la notte, è
normale la formazione spontanea di bolle all’interno di un liquido. Il motivo per cui ciò accade è duplice. In
primo luogo le impurità, sempre presenti nel liquido stesso, costituiscono dei veri centri di aggregazione che
favoriscono una disposizione sferica delle molecole al loro intorno. Ma anche se non ci fossero delle impurità,
basterebbero delle considerazioni statistiche sull’enorme numero di molecole in genere presente, per
11
Nel caso di superfici concave o convesse varia l’energia superficiale di tensione.
22
giustificare il fatto che prima o poi deve accadere che il movimento di agitazione termica delle molecole
produca il fortunato caso in cui alcune di esse, per un istante, convergano verso un unico punto. Le forze di
coesione, poi, fanno il resto del lavoro, dando così origine ad una struttura simile ad una sacca chiusa. La
stabilità di queste strutture è spesso favorita anche dalle irregolarità della superficie interna del contenitore,
che sulla scala molecolare non si presenta liscio,
ma caratterizzato da minuscole cavità. Esse
PATM
facilitano la formazione di una regione chiusa:
ecco perché la maggior parte delle bolle nel
nostro bicchiere nottambulo, infatti, le troviamo
aderenti alla faccia interna ed al fondo.
Tutto il processo è simile al seguire in televisione
PSAT
le riprese, fatte dall’alto, di una manifestazione di
PATM + ρgh
grande importanza. Fra le tantissime persone,
sicuramente se ne scorgerà prima o poi un
gruppetto che si è disposto in circolo: può darsi
che vi sia un motivo (come l’impurità nel liquido)
ma può anche darsi che sia un caso. L’unica
differenza è che il numero di molecole, anche in
Fig. 6.5: Ingrandimento della formazione di una bolla in
un liquido
una sola goccia di acqua, è enormemente maggiore del numero di persone presente a qualunque corteo.
Ma cosa c’è dentro alle bolle? È necessario sgomberare la mente da due preconcetti. L’idea stessa di bolla
conduce irresistibilmente alla tentazione di pensare che al suo interno vi sia aria, ma non è così. Sebbene in
un liquido possano trovarsi, disciolte, delle molecole di aria – si pensi alla respirazione branchiale - queste
sono decisamente poche per giustificare un fenomeno come quello della formazione di bolle.
12
Ancor meno
realistica è l’ipotesi che esse siano vuote: la pressione del liquido circostante le schiaccerebbe
immediatamente. E allora? Allora. le bolle sono riempite dalle molecole di vapore del liquido stesso.
Ognuna di tali bolle, sebbene inglobata nella sostanza, costituisce una regione separata dal resto. Dentro di
essa le molecole che giungono in prossimità della superficie di separazione, e sono sufficientemente veloci,
possono avere una via di fuga dallo stato liquido e svolazzare libere in queste sacche sotto forma di vapore.
La superficie della bolla costituisce una zona cava dove si ricrea, su scala molto più piccola, lo stesso
fenomeno che abbiamo studiato analizzando il concetto di vapore saturo. Vale a dire che il processo di
evaporazione attraverso la superficie della bolla proseguirà fintanto che la pressione dentro ad essa non
raggiungerà le condizioni di saturazione:
OGNI BOLLA È PIENA DI VAPORE CHE TENDE A SATURARSI
Riassumendo, nei liquidi si formano delle bolle spontaneamente, e, più a lungo sopravvivono, più la pressione
al loro interno si approssima a quella di vapore saturo alla corrispondente temperatura. E all’esterno?
Quanto vale la pressione fuori della bolla? Per capire concentriamoci su di una pentola piena d’acqua: sulla
sua superficie graverà senz’altro la pressione atmosferica. Sul fondo vi sarà quel piccolo contributo aggiuntivo
dovuta al peso del liquido: P = P0 + ρgh a norma della legge di Stevino, ma il cui apporto è senz’altro
12
Nella fase iniziale del riscaldamento, inoltre, accade che le poche molecole di aria si raccolgono in bollicine sul
fondo, in prossimità delle irregolarità del metallo, e poi galleggiando risalgono venendo espulse dal liquido stesso.
23
trascurabile nel caso di una pentola sul fuoco. Finché la pressione interna risulta inferiore a quella esterna la
bolla è destinata a soccombere, costretta a contrarsi in breve tempo per effetto del peso sovrastante. Così le
bolle che troviamo la mattina sul fondo del nostro bicchiere o sono piene di aria oppure si tratta delle più
coriacee, quelle tenacemente
abbarbicate al vetro e sopravvissute in mezzo ad una vera strage di bolle
compiuta dalla pressione.
Ma se aumentiamo la temperatura del liquido la tensione di vapor saturo cresce con essa: stiamo risalendo la
curva che separa la fase liquida dal vapore nella figura 6.3.
Il riscaldamento, ad un certo punto, condurrà la tensione di vapore
ad un valore uguale a quello della
pressione dell’ambiente esterno e da quel momento in poi la bolla sopravvive, sorretta, per così dire, dalle
sue sole forze. E qual è la temperatura alla quale la tensione di vapore dell’acqua vale 1.01 × 10
5
Pa?13
Indovinato: 100oC.
In condizioni di pressione atmosferica le bolle di acqua contengono vapore saturo ad una atmosfera solo
quando
si porta la sua temperatura a 100 gradi Celsius e da quel momento nessuno può più arrestare
l’incontenibile processo a catena. Le bolle si formano, aumentano di dimensioni e risalgono, si formano e
risalgono in continuazione: è come se tutto il liquido fosse un’ estensione della superficie di separazione con
l’aria, e l’evaporazione interessa adesso
ogni
molecola presente. Già, ma perché le bolle risalgono? Ma
questo è davvero facile: dentro di esse, come si conviene ad ogni vapore, la distanza fra le molecole è
mediamente maggiore che non nel liquido e quindi la densità più bassa. La spinta di Archimede fa il resto.
L’EBOLLIZIONE
AVVIENE QUANDO LA TEMPERATURA HA RAGGIUNTO QUEL VALORE PER CUI LA TENSIONE DI
VAPOR SATURO EGUAGLIA LA PRESSIONE DELL’AMBIENTE.
IN
QUESTE CONDIZIONI L’EVAPORAZIONE INTERESSA TUTTE LE MOLECOLE DEL LIQUIDO E NON SOLO LA SUA
SUPERFICIE
Il fenomeno dell’ebollizione, per le sue proprietà, è un po’ l’analogo della fusione: dal momento in cui esso ha
inizio la temperatura si mantiene costante. Il calore rifornito viene
bilanciato dalla spesa energetica del
lavoro resistente delle forze di coesione: queste, infatti, contrastano l’allontanamento medio fra le molecole
nella transizione liquido-vapore. Ognuna di esse, in qualunque posizione si trovi entro il recipiente,
è
potenzialmente interessata al passaggio di fase, e se riceve un apporto energetico questo non accresce la sua
energia cinetica di traslazione (e quindi non accresce la temperatura del
liquido) ma si accumula
nell’incremento di energia potenziale interna che la maggiore distanza media fra le molecole comporta.
Da quanto detto risulta evidente che se varia la pressione dell’ambiente varia anche la temperatura di
ebollizione: un liquido può bollire ad un numero infinito di temperature differenti, purché sia soggetto ad una
pressione esterna pari alla sua tensione di vapore a quella temperatura. Vediamone degli esempi.
1.
La pentola a pressione. Se tutto ciò di cui si dispone è un fornello da cucina ed una pentola piena di
acqua, non vi è speranza di poter cuocere i cibi a temperature superiori a 100oC. Non appena la
tensione di vapore eguaglia la pressione atmosferica, il processo di ebollizione blocca la temperatura a
cento gradi finché tutta l’acqua non sarà vaporizzata. Ma nella pentola a pressione14 il vapore viene
costretto ad accumularsi, mescolato all’aria, nello spazio sopra al pelo dell’acqua. A norma della
legge di Dalton, la pressione del vapore si somma a quella dell’aria e la temperatura da raggiungere
13
14
E’ il valore della pressione atmosferica
Inventata dal francese Denis Papin nel 1690
24
per l’ebollizione sale oltre ai 100oC. Accade allora che l’acqua all’ interno della pentola può essere
riscaldata al di sopra della sua temperatura di ebollizione alla pressione atmosferica. Le pentole a
pressione di uso comune consentono una cottura in acqua liquida dei cibi fino a 130oC, con notevole
riduzione del tempo di cottura.
2.
L’alta montagna. La quota riduce la pressione atmosferica per effetto della diminuzione della colonna
d’aria sovrastante. Ne consegue una riduzione della temperatura di ebollizione dell’acqua: sopra ai
3000 metri la tensione di vapore saturo eguaglia la pressione esterna anche prima dei 95oC. In tali
condizioni risulta difficile ottenere una cottura ideale, ad esempio
per la
pasta, che si scuoce
o
facilmente perché necessita 100 C.
3.
Il caffè espresso. Espresso, come alcuni sostengono, verrebbe da extra-pressio, ovvero assoggettato ad
una pressione ulteriore rispetto a quella dell’aria. Si tratta della pressione del vapore che si forma
nello strato più alto della caldaia dell’acqua della caffettiera. Essa ha l’effetto di prevenire
l’ebollizione e di spingere l’acqua ad alta temperatura su nel condotto attraverso la miscela di
caffè.
8. Nuvole, nuvole, nuvole…
Condensaz
zione
Cominciamo col dire le nuvole non sono
composte di vapore, ma di acqua allo
stato liquido, proprio come quella che
esce dal rubinetto. Già, perché se
fossero di vapore non le vedremmo
proprio,
dato
che
il
vapore
è
trasparente. In effetti ogni volta che si
crede di vedere il vapore, come ad
esempio sopra ad una pentola che bolle,
in verità osserviamo il fumo biancastro
della condensa dell’acqua. Per vedere il
vapore bisognerebbe mettersi col naso
vicino
ad
una
caffettiera
mentre
gorgoglia: quello strato trasparente fra
il fumo bianco e la caffettiera, ecco
quello è il vapore acqueo.
Fig. 8.1: Formazione delle nuvole cumuliformi
Il vapore che si stacca dagli oceani, dai
laghi, dai fiumi, dal vostro pavimento appena lavato è più leggero dell’aria: la molecola di H2O ha numero di
massa 18, mentre l’aria è costituita per il 78% da azoto molecolare N2, con numero di massa 28, e per il 21%
da ossigeno molecolare O2 con numero di massa 32. Pertanto il vapore acqueo, se si trova alla stessa
temperatura dell’ambiente, non va a fondo ma tende a galleggiare nell’aria. Tuttavia la tendenza al
25
mescolamento, che nasce dallo stato di agitazione termica, e dagli spostamenti di aria su scala macroscopica,
previene un tale effetto15.
Se dunque il vapore acqueo non è molto caldo16, e quindi non risale a causa della sua bassa densità, la legge
di Dalton ci assicura che in una
miscela di aria e vapore i due
aeriformi rimangono indipendenti: la
pressione complessiva è la somma delle pressioni parziali. Possiamo quindi figurarci due atmosfere
sovrapposte: una di aria ed una di vapore; ognuna caratterizzata da una progressiva rarefazione con la
quota, a causa del minor peso che grava da sopra a mano a mano che si sale. A questa caduta di densità – e
quindi di pressione – consegue, in accordo con l’equazione di stato dei gas, un graduale abbassamento di
temperatura: circa 10oC ogni mille metri.
Vi sono, nell’atmosfera,
alcuni fenomeni che danno luogo a risalite di grandi masse di aria e vapore
mescolate, fenomeni detti correnti ascensionali. Esse possono originarsi:
a) dal riscaldamento dell’aria prossima al suolo – o del mare - per effetto di rilascio di calore da parte
di quest’ultimo: la sacca di aria e vapore calda e rarefatta è quindi tirata su
dalla spinta di
Archimede
b) dallo scontrarsi di due venti che procedono in direzioni opposte e trovano una via di fuga verso l’alto
c) dalla deviazione verso l’alto del vento che soffia contro il fianco di una montagna
d) in modo analogo, dalla deviazione verso l’alto di una massa di aria calda che si scontra con una
massa densa e compatta di aria fredda
Il vapore trascinato dalla sacca ascensionale, dentro alla quale galleggia per la sua leggerezza, risale verso
regioni dove l’ambiente aeriforme intorno è sempre più freddo e sempre più rarefatto. A mano a mano che
aumenta il dislivello superato e la temperatura scende17, la tensione di vapore decresce, come descritto dalla
linea di demarcazione fase liquida – fase vapore in figura 6.4.
Così, mentre ossigeno ed azoto, che sono gas, si raffreddano soltanto, il vapore si avvicina sempre di più alle
condizioni di saturazione. Prima o poi accadrà che l’elevata densità con cui esso è partito da terra non sarà
più compatibile con i bassi valori di temperatura a quella quota: le molecole vanno progressivamente
rallentando e, di conseguenza, le forze di coesione molecolare si fanno efficaci nel far condensare il vapore in
minuscole gocce18. In altri termini, la tensione di vapore saturo è scesa sotto al valore della pressione con cui
la corrente ascensionale si è staccata da terra: in quella regione, ora, si trovano concentrate più molecole di
vapore di quante ve ne possano stare. E’ indispensabile pertanto che esse trovino una via di fuga verso la fase
liquida: si forma in questo modo una nuvola.
E’ importante sottolineare che l’aria circostante, in questo processo, svolge l’unico ruolo di raffreddarsi con la
quota in maniera parallela al vapore. Fino al XIX secolo si credeva, invece, che l’aria avesse una qualche
misteriosa proprietà di tollerare una massima concentrazione di vapore e che oltre questa soglia essa si
contraesse come una spugna, spingendo fuori l’acqua.19 Ma una tale, ipotetica, intolleranza reciproca, sarebbe
in palese disaccordo con la legge di Dalton.
In realtà la formazione delle nuvole avverrebbe esattamente nello stesso modo anche se rimuovessimo tutta
l’aria ed avessimo un’atmosfera fatta di solo vapore.
15
In maniera analoga anche l’azoto, che è più leggero dell’ossigeno, tenderebbe a risalire, ma nella realtà i due gas
risultano mescolati almeno fino a grandi altezze.
16
Come lo è invece quello che fuoriesce da una pentola riscaldata
17
Approssimativamente nello stesso modo per l’aria e per il vapore
18
Il cui diametro è compreso fra uno e dieci milionesimi di metro
19
Questa idea erronea è ancora misteriosamente presentata a giustificazione della formazione delle nuvole in
numerosi testi scolastici e non solo.
26
Ma se è vero che la molecola di vapore pesa meno della media delle molecole presenti nell’aria, ciò non vale
più per le minuscole gocce di acqua formatesi, le quali hanno ora un diametro di qualche micron. Perché,
dunque, dopo la condensazione, la nuvola non precipita a terra ma rimane su in alto come se galleggiasse?
Dopotutto una nuvola di medie dimensioni (circa un chilometro cubo) ad una quota di 3000 m contiene circa
un grammo di acqua ogni metro cubo ed ha, quindi, la considerevole massa di un milione di chilogrammi.
Ma un così grande quantitativo di acqua si riscalda quando condensa, e può portarsi in equilibrio con la
temperatura dell’ambiente con cui è a contatto, solo rilasciando il suo calore latente di condensazione,
approssimativamente per la nuvola di 1 Km3 si ha :
QCOND = 538 × 103 (cal/Kg) × 10 Kg = 538 × 109 cal
6
un tale, enorme, quantitativo di energia riscalda l’aria intorno alla nuvola, con l’effetto di abbassarne la
densità. Così la nuvola, in qualche modo galleggia come una mongolfiera: il complesso delle gocce di vapore,
insieme con l’aria rarefatta da esse riscaldata, pesa meno del corrispondente quantitativo di aria spostato.
Alla medesima quota di 3000 m, infatti, se si considera un equivalente volume di un chilometro cubo di aria,
e si assume una densità pari al valore medio assunto quella temperatura, si trova una massa di circa un
miliardo di chilogrammi: mille volte maggiore di quella della sola nuvola.
La percentuale di vapore presente in aria è spesso quantificata in rapporto al proprio grado di saturazione, e
precisamente si dice umidità relativa il rapporto fra la pressione effettiva del vapore e la tensione di vapore
saturo a quella quota (o temperatura):
UMIDITÀ RELATIVA
=
P
ρ
=
PSAT
ρSAT
1 2
ρ vm permette di riferirsi alla densità o alla pressione indifferentemente.
3
Va inoltre aggiunto che le nuvole sono un sistema in continua evoluzione: ciò che a noi da lontano appare un
dove la relazione P =
oggetto consolidato è invece un una struttura in cui le molecole di vapore transitano continuamente dalla
fase aeriforme a quella liquida e viceversa, scivolando ora verso il basso ora verso l’alto con la lentezza
dovuta all’attrito che il contatto con l’aria sviluppa: le particelle più piccole coprono mediamente distanze di
un centimetro ogni ora. Tuttavia la sacca di aria calda che le racchiude contribuisce a dare consistenza e
stabilità alla nuvola, facendola apparire come un oggetto dai contorni ben definiti.
27