Botanima
La pianta del caffè è talmente conosciuta che basta ricordare che la sua
patria d’origine si trova nelle foreste montagnose subtropicali dell’altopiano abissino, nella provincia di Kaffa, ma la sua cultura si è diffusa in
tutti i climi subtropicali e anche tropicali del globo. Questo piccolo arbusto ha bisogno d’ombra, di calore, di umidità e di un terreno profondo,
ricco di humus. Il vento gli è dannoso. Nascendo da una radice robusta e
profonda, si ramifica ampiamente in forma di piramide, porta nella penombra le sue foglie sempre verdi, contrapposte due a due, ellittico-acute,
e raccoglie sotto l’ascella delle foglie dei fiori bianchi dal profumo di
gelsomino che sbocciano per quasi tutto l’anno. È uno sviluppo armonioso, di nodo in nodo, una successione ritmica. I frutti sono zuccherini,
prima verdi, poi gialli e alla fine rossi e violetti, della grandezza di una
ciliegia; essi racchiudono un paio di chicchi (un solo chicco nel caso
del caffè perlato). L’impulso florale è fortemente collegato alla ritmica
foliare, fino alla formazione del frutto.
Tutta la pianta è penetrata dai processi formativi di un alcaloide, eccetto la radice e il legno, in cui non se
ne rinvengono che poche tracce. Questo alcaloide è la caffeina. Inoltre, il chicco molto duro viene riempito
di albume corneo, in qualche modo lignificato, e questo contiene molte riserve di cellulosa, zucchero, un
corpo grasso che fonde alla temperatura del sangue umano, un acido tannico che rinverdisce alla luce (i
chicchi di caffè seccati sono verdi) e infine un po’ di olio essenziale. La lignificazione del chicco mostra che
gli impulsi terrestri della radice e del tronco salgono fino al seme. Ma vi è in questo chicco un bell’equilibrio tra l’albumina, il grasso e un idrato di carbonio. La caffeina, chimicamente molto simile all’urea (una
triossipurina), è una trimetil diossipurina.
Attraverso la torrefazione la sostanza del chicco di caffè viene esposta ancor piú fortemente ai processi
luminosi e calorici che hanno contribuito alla sua maturazione. L’albumina, il grasso e l’idrato di carbonio
vengono scomposti e parzialmente distrutti, cosí che il carbonio viene esaltato e sviluppa allora delle proprietà
aromatiche, solforiche, che si uniscono in maniera instabile alla sostanza residua. Da tutto ciò risultano delle
azioni particolari a carico delle funzioni digestive e renali dell’uomo (l’idrato di carbonio si rapporta in particolare all’attività dell’Io, l’albumina al corpo astrale e i grassi al corpo eterico).
Rudolf Steiner ha spesso parlato degli effetti del caffè; citiamo qui un passaggio molto particolare di una
conferenza del 22 ottobre 1906 (O.O. N° 96): «Ciò che è la digestione in certi ambiti inferiori, lo è l’attività
pensante in quelli piú elevati. Ciò che voi provocate nella vostra attività pensante quando esercitate il pensiero
logico, il caffè lo provoca nella sfera digestiva. Ciò che si ottiene dallo stomaco grazie al caffè, lo si ottiene
dalla funzione pensante facendo degli esercizi pratici di ragionamento. Quando si beve un caffè, si favorisce,
sotto certi aspetti, la correttezza delle deduzioni, poiché l’assunzione di caffè comporta l’aumento di un’attività digestiva che corrisponde all’esattezza delle deduzioni logiche».
Ed ecco ancora una citazione (da Scienza dello Spirito e medicina, O.O. N° 312): «Bere del caffè conferisce una certa regolazione dei processi ritmici, allorquando l’uomo non è abbastanza forte per regolarli da sé...
Noi beviamo del caffè, in realtà, perché si stabilisca una ritmizzazione continua tra i nostri organi interni e ciò
che avviene in loro prossimità in seguito all’assunzione di alimenti».
L’azione del caffè è dunque innanzitutto quella di ritmizzare e riordinare l’attività digestiva, con l’intensificazione della peristalsi; inoltre di stimolare la circolazione e la respirazione e altresì l’attività renale.
Ma questa azione passa presto, attraverso il sistema ritmico, alla sfera neurosensoriale; lí il metabolismo
(cerebrale e nervoso) acquisisce un “ordine logico”. Di conseguenza, l’emicrania può calmarsi, poiché essa
proviene da un eccesso dei processi metabolici nella testa; l’attività pensante logica, di cui il cervello è lo
strumento, può essere migliorata; d’altra parte, è comprensibile che questa azione faccia passare il sonno. Ma
in alte diluizioni il caffè è un sonnifero!
Come per tutte le altre rubiacee, anche la pianta del caffè per l’acido urico stabilisce un rapporto tra la dinamica e il ritmo vitale. Quanto poi agli effetti terapeutici sull’uomo, che vanno da quelli metabolici a quelli
cerebrali passando per gli intermedi del ritmo, si può rilevare il principio fiore-frutto che si combina, in un
certo senso, con il principio foliare, che riceve in sostanza le forze dalla radice e dal legno.
Wilhelm Pelikan
W. Pelikan, L’homme et les plantes médicinales, Triades, Parigi 1962.
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L’Archetipo – Giugno 2013