Utopie e pratiche nella produzione 4. La produzione immateriale L’economia della conoscenza In qualsiasi oggetto, anche nei prodotti più ordinari, si possono rintracciare oggi modi di produzione diversi. In un comunissimo paio di occhiali, per esempio, sono presenti contemporaneamente un regime materiale e un regime immateriale della produzione. “Se una montatura per occhiali costa 70 euro al consumatore finale, avendo un contenuto materiale pari soltanto a 7 euro (il valore pagato franco fabbrica al produttore manifatturiero che l’ha fatta), è evidente che – per gli oggetti d’abbigliamento, ma non solo – l’economia della trasformazione materiale non è più il business di riferimento. 7 euro su 70 sono pochi, pochissimi: i processi immateriali catturano, infatti, 63 euro di valore, quasi dieci volte il valore dell’oggetto materiale. Questi 63 euro sono stati prodotti non dalla fabbrica (materiale) da cui è uscita la montatura, ma dalla fabbrica (immateriale) dei desideri, dei segni, dei servizi, dei messaggi e delle possibili esperienze che vengono appoggiate a una montatura.” (Enzo Rullani, La fabbrica dell’immateriale, Carocci, Roma, 2004, pp. 13-4). Le espressioni “lavoro immateriale” o “produzione immateriale” non indicano la scomparsa della materia, ma il fatto che il valore di una merce non è determinato dalle trasformazioni della materia (e dalle relative quantità di lavoro necessarie), ma dal contenuto immateriale. La materia rimane, ma è l’involucro, o il veicolo, dell’immateriale. Per “immateriale” bisogna intendere un insieme di “capacità eterogenee” (cfr. André Gorz, L’immateriale, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, pp. 245) come intuizione, immaginazione, conoscenze tecno-scientifiche, adattamento all’imprevisto, capacità di innovazione, senso estetico, abilità comunicative e 1 cooperative. Il lavoro immateriale è costituito, per usare un termine unico e riassuntivo, dalla “conoscenza”, e si parla perciò di economia della conoscenza, capitalismo cognitivo ecc. È però necessario distinguere tra conoscenza e informazione, termini ritenuti, a torto, sinonimi. L’informazione è un insieme di dati codificato in modo da poter essere trattato dai computer; la conoscenza è invece l’insieme di capacità che permettono di servirsi dell’informazione per i propri scopi. Pertanto, la produzione immateriale e l’economia della conoscenza non dipendono soltanto da evoluzioni tecnologiche che mettono a disposizione nuove macchine, ma dalla compresenza di almeno tre fattori: 1) una contestazione sociale verso i metodi di lavoro del fordismo-taylorismo; 2) una espansione del welfare; 3) la costituzione di una “intellettualità diffusa” grazie all’elevazione del livello generale di istruzione e formazione (cfr. Carlo Vercellone, Il ruolo della conoscenza nella dinamica di lungo periodo del capitalismo, in AA.VV, Capitalismo cognitivo, manifestolibri, Roma 2006, pp. 29-30). Il valore e il salario Se il valore, come si è visto nell’esempio della montatura per occhiali, viene creato in maggior parte dal lavoro immateriale, ciò implica che la produzione di valore è ora difficilmente misurabile dal tempo di lavoro. Nella produzione fordista-taylorista si chiedeva al lavoratore unicamente di impiegare, durante la giornata in fabbrica, la sua energia conteggiando fisico-biologica, il tempo di che lavoro poteva e il essere salario quantificata con equivalente. Nella precisione “fabbrica dell’immateriale” si mette al lavoro la conoscenza, cioè un insieme di Queste capacità. capacità appartengono al soggetto come sue qualità, oppure sono state apprese sviluppate luogo fuori di e dal lavoro 2 (istruzione, interessi personali, esperienze precedenti, formazione ecc.). Come può, allora, un salario commisurato sul tempo di lavoro pagare una prestazione che si basa soprattutto sulle conoscenze? “I significati immateriali, che danno valore (economico) agli oggetti e ai servizi e che non sono riportati nei prezzi, rimangono, dunque, una produzione invisibile, che non entra nelle statistiche ufficiali ma che, tuttavia, è presente nella vita reale delle persone e delle imprese[…] C’è anche il valore del lavoro che non si traduce in compensi monetari” (Rullani, op. cit., p.16). Alcuni autori, come A. Gorz, temono che l’impossibilità di misurare la prestazione in tempo di lavoro spinga le imprese a contrattare per obiettivi. Fissato in anticipo un obiettivo, la realizzazione ricade totalmente sui salariati: è il ritorno al servicium, alla prestazione dovuta al signore feudale (Gorz, op. cit., p.13). Un nuovo concetto di proprietà Anche il regime della proprietà viene modificato dalla produzione immateriale. La conoscenza è, infatti, un bene difficile da produrre, ma estremamente facile da riprodurre una volta che sia stata codificata (cfr. Rullani, op. cit., p. 16). Si pensi, per fare un esempio, a un programma informatico. La prima copia è molto costosa, perché richiede tempo, lavoro, informazioni, conoscenze, abilità ecc.; tutte le copie successive, invece, hanno il costo molto modesto del supporto materiale che le contiene. La proprietà, di conseguenza, coincide con le limitazioni all’uso imposte ad altri attraverso brevetti, licenze, patenti ecc. Un problema fondamentale, connesso alla possibilità di brevettare conoscenze, riguarda la sfera del vivente. La questione, oggi terreno di acuti conflitti, può essere sinteticamente formulata così: una volta isolata e codificata l’informazione genetica di un essere vivente (dai vegetali al genoma umano), tale informazione, prodotta dall’evoluzione della specie, può essere brevettata, cioè fatta oggetto di appropriazione privata? La natura della produzione immateriale, che può essere riprodotta a costo-zero e diffusa attraverso le reti informatiche, genera dunque un campo conflittuale in cui sono oggetto di scontro la definizione di ciò che costituisce un bene comune e le modalità per accedervi. 3