Parola d’ordine: low cost Franco Tosco – Lessicom srl La parola d’ordine per tutti è low cost. Nella pratica quotidiana, quindi, sconti, offerte, tre per due e fantasie varie. Sul piano direttamente operativo, ecco sorgere strutture in territori ad alta concentrazione abitativa, prima o seconda cintura urbana, con offerta di prestazioni che riproducono il modello del servizio pubblico ma, a detta degli investitori, con maggiore efficienza dove, sempre a detta loro, l’economia di scala permette prezzi più competitivi tali da diventare appetibili e vincenti rispetto a quelli praticati negli studi privati tradizionali. Queste sono le regole del gioco nel mondo globalizzato. Non va forse in questa direzione il trend commerciale? Si sviluppano i discount e gli outlet, dove la gente si reca a riempire il carrello della spesa, con lo stesso modello di acquisto che applica[va] nei supermercati, ma a prezzo unitario inferiore. E’ vero, i prodotti sono probabilmente di minore qualità, ma bisogna pur vivere e quindi non si va troppo per il sottile. Talvolta anche a scapito della salute, ma è meglio non pensarci. Visto che il prezzo è l’elemento che lega tutte queste situazioni, lo si usa come parametro di riferimento per valutare le offerte di acquisto e come guida per le scelte professionali e per le strutture in cui investire. Ma è corretto affrontare in questo modo la questione del prezzo nel settore dei servizi alla persona, nel quadro dell’attenzione alla salute e, nello specifico, della salute orale? 1. i bisogni dei gruppi e le risposte I servizi si collocano nell’area della risposta ai bisogni, con alcuni che sono considerati più importanti e altri meno, in base alla situazione storica e geografica e al livello di ricchezza e di benessere raggiunto da una società. Al primo posto stanno i bisogni primari, a cui tutte le società hanno dato e devono dare una risposta, in qualunque situazione storica e geografica si trovino, pena la scomparsa, in tempi più o meno brevi, della società stessa. Sono considerati bisogni primari i bisogni di cibo [per vivere], di riproduzione [per sostituire coloro che muoiono], di educazione [per trasferire ai piccoli i codici del gruppo], di organizzazione [per stabilire le regole comuni], di difesa [per difendersi da aggressioni esterne] e quello esistenziale [per rispondere agli interrogativi sulla vita e sulla morte]. Per rispondere in modo organico ed efficace tutte le società, nei diversi momenti storici e geografici, hanno messo a punto dei sistemi, le cosiddette istituzioni, che sono quella economica [cibo], quella famigliare [riproduttiva], quella scolastica [educazione dei piccoli], quella politica, quella militare e quella religiosa. Naturalmente le società, essendo corpi vivi, si ridisegnano continuamente nel tempo e quindi anche le istituzioni devono andare al seguito, modificandosi nella forma. Ma la sostanza rimane la stessa: rispondere, in modo adeguato, al bisogno che le ha originate. Intervengono poi i bisogni secondari, quei bisogni ai quali non è indispensabile, di per sé, dare una risposta per la sopravvivenza della società, ma che lo sono diventati per la particolare configurazione che essa ha storicamente assunto in base all’evoluzione sociale e al livello di benessere raggiunto. (1) Il bisogno di salute si colloca in questa seconda area. La malattia del singolo non mette a rischio la sopravvivenza del gruppo che, in questo caso, nelle società meno sviluppate, viene lasciato a se stesso, poiché rappresenta addirittura un costo che il gruppo non si può accollare. Nel caso di malattie collettive, come le epidemie, che 1) Ad esempio, per spostarsi si può andare a piedi, a cavallo, in barca etc. ma il nostro tipo di società contemporanea, senza il sistema dei trasporti attuale, non potrebbe restare in piedi. Lo stesso vale per il sistema informativo e di comunicazioni: senza i supporti telefonici, telematici, informatici, audio-video, postali, etc. il nostro modello sociale verrebbe bloccato. metterebbero a rischio l’intera società, e mi riferisco sempre a quelle meno sviluppate, esse reagiscono diversamente in modo pressoché automatico: migrazioni in aree territoriali diverse, aumento del numero dei concepimenti, aggressioni a società limitrofe con stupri collettivi per assicurare la continuazione del gruppo, etc. Infine abbiamo i cosiddetti bisogni indotti o derivati. Rispondono a necessità di collocazione e di definizione dei soggetti all’interno dei gruppi in cui si trovano e determinano sostanzialmente i ruoli e lo status sociali. I bisogni del primo e del secondo gruppo possono essere materiali o immateriali. Oppure essere materiali, ma con una componente immateriale. Facciamo degli esempi. Tutti dobbiamo alimentarci e quindi, per ottenere il cibo, siamo disposti a rinunciare ad altri bisogni e a selezionare la stessa tipologia di cibo. Se ho i soldi bevo champagne, se ne ho meno bevo vino “da pasto”, se ancora meno bevo acqua. Se ho i soldi compro ostriche e caviale, se ne ho di meno compro pollo di allevamento allo spiedo, se ancora meno mangio pane e croste di formaggio. Tutti dobbiamo vestirci per difenderci dal clima. Se ho i soldi vesto con pelliccia, seta e cashmere. Se ne ho meno vesto con abiti del supermercato, se meno ancora compro al mercato o recupero quelli della nonna. Il bisogno materiale di cibo o il bisogno materiale di vestiti è ciò che spinge a fare di tutto per avere una risposta. Il modo di ottenere la risposta, cioè avere caviale e champagne o croste di formaggio, è la componente immateriale del bisogno. Mentre la componente materiale del bisogno, poiché devo comunque dare una risposta, è profondamente sensibile allo stimolo del prezzo [l’offerta 3x2 orienta l’acquisto, il discount agisce allo stesso modo], quella immateriale lo è molto meno, a volte per niente, a volte produce addirittura un effetto negativo [non si trova affatto il 3x2 per il caviale beluga, l’interesse zero sull’Aston Martin, il prestito agevolato sull’acquisto della villa della Signora Sarkozy]. 2. le offerte sulle prestazioni odontoiatriche Il bisogno di salute orale, e lo Studio Odontoiatrico è una struttura direttamente rivolta alla cura e al mantenimento della salute, è un bisogno immateriale. Pur essendo collocato nelle società occidentali contemporanee nell’ambito dei bisogni secondari, si riallaccia in modo inscindibile al bisogno esistenziale, che è un bisogno primario. Ma anche il bisogno esistenziale, quel bisogno che si muove nell’area che orienta tutta l’esistenza individuale e dei gruppi nelle scelte che vanno tra la nascita, la vita e la morte, è un bisogno immateriale: non si tocca, non si afferra, non si asporta, non si sottrae a qualcun altro. Il portatore di un bisogno immateriale, il paziente, non è quindi sensibile allo stimolo del prezzo. A volte non lo è per niente e, a volte, ne ha addirittura una sensazione negativa. (2) Naturalmente, in un momento socio economico come quello che stiamo attraversando, nessun professionista odontoiatrico può sottrarsi alla doverosa attenzione verso i suoi clienti, pena il rischio di veder assottigliare il pacchetto pazienti. Ma se vuole intervenire sul listino – 2) So bene che si sollevano obiezioni a questa affermazione. So anche che ci sono difficoltà, in questo periodo, a far sottoscrivere preventivi che in periodi diversi venivano tranquillamente accettati. Vedo che in molti studi in cui applichiamo il controllo mensile dei preventivi la percentuale maggiore dei non accettati riguarda trattamenti inferiori a mille euro. Notiamo altresì difficoltà, seppure con variazioni significative sul territorio nazionale, a sottoscrivere preventivi che interessano l’ambito degli indicatori della qualità della vita (da 1500,00 a 5-6.000,00 €uro). Ma la soluzione non può essere l’uso di un parametro scorretto, com’è l’azione sul prezzo dei trattamenti. Agire su di esso, nel settore dei bisogni immateriali, ottiene quasi solo il risultato di lasciare interdetto l’interlocutore, di trasmettergli l’idea che il bisogno di salute è un bisogno come un altro, di rafforzare tutta l’azione distorcente dei media visivi e scritti i quali, o per ignoranza o per malafede, continuano a fare odience strillando che i dentisti italiani sono cari ed è meglio andare all’est. Dimenticandosi di dire che i dentisti italiani sono i migliori. qualora lo ritenga utile, cosa che non pensiamo- deve farlo, per lo meno, in modo indiretto. Come? Si potrebbero tentare suggerimenti su due piani. Innanzittutto su quello sociale. Mi sembra una grande idea quella dell’ odontoiatria sociale, proposta dalla più rappresentativa –almeno sul piano numerico- delle organizzazioni di categoria. Penso che lo sia sul piano politico, aspetto che in questo caso non mi riguarda, ma che lo sia altrettanto su quello dell’immagine verso i pazienti. (3) Spetta ora ai singoli professionisti, nei loro Studi, il compito di mobilitarsi per farlo sapere ai pazienti. E’ necessario che i clienti percepiscano, dal loro dentista, che hanno davanti una persona che si sta dotando di tutti gli strumenti possibili per poterli curare anche in questo periodo di difficoltà. Non diminuendo i prezzi, questo no perché non potrebbe più curarli con la stessa abituale qualità, ma fornendo le agevolazioni possibili nell’ambito della sua professionalità e della responsabilità che ha di conservare i posti di lavoro dei suoi dipendenti. Ho talvolta l’impressione che la strada dell’odontoiatria sociale sia vissuta da qualche operatore come un cedimento alla campagna, anche rozza e grossolana, condotta dai media contro i dentisti difensori di antichi privilegi. A me sembra invece che, se usata bene e in modo adeguato, nel quotidiano contatto con i pazienti, possa essere un notevole e positivo strumento di promozione e di fidelizzazione. Posso fornire un esempio di applicazione di questa attenzione al sociale. In uno studio di Codogno, in provincia di Lodi, area particolarmente interessata dalla cassa integrazione, il Titolare ha elaborato questa proposta: a tutti i clienti, già pazienti dello studio, soggetti a cassa integrazione, viene applicata su tutte le prestazioni una riduzione percentuale del preventivo pari alla riduzione percentuale tra lo stipendio precedente e l’importo derivante dalla cassa integrazione. Il risultato è stato molto positivo: non si è verificata nessuna diminuzione della presenza dei pazienti nello studio, non si è stabilito un precedente del tutto diseducativo (professionalmente parlando) dello sconto o del low cost, si è trasmessa la percezione che il dentista è un clinico che ha a cuore innanzittutto la salute del paziente, e quindi fa di tutto per compartecipare i momenti di difficoltà perché tutti abbiano la possibilità di continuare a curarsi. (4) Poi sul piano della consulenza al paziente. Rimando all’articolo il dentista di famiglia comparso nel numero precedente, dove l’attenzione si sposta dal piano sociale generale alla specifica condizione di vita del cliente. Rafforzare la posizione di guida alla sua salute orale, fargli da riferimento per le priorità di intervento qualora necessarie in base alle disponibilità finanziarie, ribadirgli l’importanza della costante attenzione alla prevenzione sono corretti elementi di risposta al bisogno immateriale di salute. Noi pazienti vogliamo queste cose dal nostro dentista ed è per questi motivi che ognuno di noi l’ha scelto come “il mio” dentista. Il giorno in cui dovessi –anche lontanamente- percepire che cerca di attrarmi con giochetti di low cost su una questione così impegnativa com’è la mia salute, lo saluterei cortesemente. E andrei da un altro. 3) nessun’altra categoria professionale privata ha preso una simile posizione e si è dimostrata altrettanto attenta ai problemi socio-economici in cui si trovano immersi i rispettivi clienti. 4) questo esempio ha l’autorizzazione del Titolare dello studio.