Lezione “Immunologia e Immunopatologia” n°3 del 19/3/2013 Prof. Ferlazzo (studente: Andrea De Meco) LINFOCITI T E IMMUNITÀ ACQUISITA CONTENUTO DELLA LEZIONE 1 Riepilogo della lezione precedente 2 Classificazione dei linfociti T 2.1 Sottoclassi dei linfociti T helper 2.1.1 TH1 e TH2 2.1.2 TH17 2.1.3 Linfociti T regolatori 2.1.4 Linfociti T naive 3 Antigene 3.1 3.2 3.3 Definizione di antigene Immunogenicità degli antigeni Epitopi 4 Recettori di membrana linfocitari 4.1 Struttura e funzionamento del BCR 4.2 Struttura e funzionamento del TCR 4.3 Differenze tra BCR e TCR nel riconoscimento dell’antigene 4.3.1 Interazione con l’antigene 4.3.2 Solubilità 4.3.3 Coinvolgimento di molecole MHC. 4.3.4 Natura chimica degli antigeni 4.3.5 Proprietà dell’epitopo 5 Organi linfoidi 5.1 Linfa 5.2 Localizzazione degli organi linfoidi 5.3 Struttura degli organi linfoidi 5.3.1 Linfonodo 5.3.2 Organizzazione del tessuto linfoide della milza Recognition Receptor) con il PAMP (Pattern Associated Molecular Pattern) e poi siamo andati a vedere chi è responsabile dell’attivazione dell’immunità innata (che rammento significa l’insieme delle funzioni immunitarie mediate da linfociti T e linfociti B). Abbiamo iniziato ad anticipare che il riconoscimento degli antigeni da parte dai linfociti T e B induceva l’attivazione dell’immunità innata. Avevamo anche visto che questa attivazione di linfociti T e linfociti B in sintesi si configurava come la secrezione di anticorpi (immunoglobuline) da parte di linfociti B (che è la loro funzione principale) mentre per i linfociti T c’eravamo fermati perché la situazione è un po’ più complessa, perché ci sono vari tipi di linfociti T: helper, citotossici e regolatori. 2 CLASSIFICAZIONE DEI LINFOCITI T Verso la fine della scorsa lezione abbiamo visto che i linfociti T citotossici hanno i CD8 e sono in grado di eliminare eventuali cellule pericolose, es le cellule tumorali. Ci sono altri linfociti indispensabili per la risposta immunitaria, sia per i citotossici, sia per la secrezione di immunoglobuline e sia per l’attivazione dei fagociti, e sono i linfociti T helper, caratterizzati dalla molecola CD4. 2.1 SOTTOCLASSI DEI LINFOCITI T HELPER 6 Selezione ed espansione clonale 6.1 6.2 6.3 Proliferazione e generazione dei linfociti Selezione clonale Espansione clonale 7 Cellule dendritiche dell’antigene (cenni) 1 e presentazione RIEPILOGO DELLA LEZIONE PRECEDENTE Ci siamo lasciati l’altra volta parlando di attivazione della risposta immunitaria, attivazione della immunità innata, tramite l’interazione del PRR (Pattern 2.1.1 T H 1 E T H 2 A questo punto c’è una ulteriore divisione dei linfociti T helper: TH1 e TH2, che sono sottopopolazioni di linfociti T helper, che hanno funzioni diverse, nel senso che danno aiuto. Un esempio è il rilascio di citochine; a seconda del tipo di citochine si può attivare un certo tipo di risposta piuttosto che un'altra. I TH1 sono prevalentemente impegnati nell’attivazione di monociti, macrofagi, e aiutano, così facendo, anche i linfociti citotossici, producendo IL-2 (interleuchina 2) che è il fattore di crescita dei linfociti, mentre la sottopopolazione TH2 secerne delle altre citochine, le IL-4, IL-5 e IL-6. T Cells Cytotoxic Helper CD8 TH1 produces IL-2 CD4 TH2 produces IL-4, IL-5 and IL-6 Contrariamente ai TH1, i TH2 sono prevalentemente coinvolti nell’attivazione e nel differenziamento dei … [si è spento il proiettore xD, credo volesse dire “linfociti B”]. Quindi i TH1 che assistono i macrofagi e le cellule dendritiche, e i TH2 che assistono i linfociti B, ovvero le cellule che producono gli anticorpi. Il secondo tipo di citochine che il TH2 produce influenza l’attivazione dei linfociti B, per cui ci potranno essere vari tipi di immunoglobuline secrete (ricordate, ci sono 5 classi di immunoglobuline). Dunque c’è un differenziamento dei linfociti B che appunto viene aiutato proprio da questa sottopopolazione di T Helper, i TH2. Vi parlo di queste sottopopolazioni perché, in effetti, molte delle patologie, più precisamente delle immunopatologie, che oggi conosciamo, si possono asserire specificamente a un certo tipo di risposta di tipo 1, di tipo 2 o di altri tipi di helper, che ora vedremo. Il fatto che ci siano delle malattie correlate a T helper di tipo 1 e 2 è importante in quanto è un target terapeutico perché c’è una “bilancia” tra tutte queste popolazioni, nel senso che stanno in equilibrio. Questo implica che riuscire a muovere con degli interventi di immunomodulazione più verso una parte o verso l’altra significa interferire con i decorsi delle malattie. Per esempio, tutte le allergie sono mediate da una risposta tipica di TH2, mentre ci sono delle malattie autoimmuni, ad esempio il morbo di Crohn [1], una patologia in grande espansione, che è mediata da risposte di tipo TH1 dove la secrezione di interferone γ (gamma) gioca un ruolo molto importante. 2.1.2 T H 17 Secondo una classificazione più moderna, esistono delle altre sottopopolazioni di T helper oltre il TH1 e TH17 Regulatory T cells produces IL-17 Foxp3+ cells involved in autoimmunity processes involved in autoimmunity and cancer TH2. Un nuovo subset che discutiamo (e che non spesso troviamo ancora sui libri) è il TH17. Mentre il TH1 e il TH2, sono sequenziali in quanto responsabili di risposte di tipo primo, risposte di tipo secondo, il TH17 è stato chiamato così perché è un subset di linfociti che produce esclusivamente IL-17. Vi parlo di questo subset perché si è visto che questo subset, e quindi il differenziamento di cellule T helper in cellule di tipo TH17, è molto coinvolto in processi autoimmunitari. Quindi oggi troverete che si sta espandendo questo settore; molte patologie autoimmuni hanno delle basi immunopatologiche che proprio dipendono da questo subset di linfociti che secerne IL-17. Per noi, per il momento, è sufficiente sapere che esistono. 2.1.3 LINFOCITI T REGOLATORI Aggiungiamo a questo, un ulteriore subset di linfociti T helper, che sono i cosiddetti linfociti T regolatori (regulatory T cells). Queste le incontreremo, e anche queste sono molto importanti dal punto fisiologico e clinico perché rappresentano, anche queste, un bersaglio importante di nuove terapie biologiche e farmacologiche nel trattamento delle patologie autoimmuni e altro. Si chiamano “regolatorie” perché regolano la risposta immunitaria, ma dire questo è insufficiente. In realtà sono delle cellule che controllano la risposta immunitaria, oltre a (eventualmente) sopprimerla. Quindi fondamentalmente controllano il lavoro degli altri linfociti, e ne spengono le funzioni. Nei vecchi testi si può ancora trovare la definizione di “T soppressori”, con cui venivano indicati dei tipi di linfociti T citotossici che avevano il marcatore CD8. Questo perché negli anni ’80 si pensava esistesse questa sottopopolazione. In realtà la classificazione era erronea perché è una popolazione che non “esiste”. Oggi sappiamo che le cellule T soppressorie sono queste [le regulatory T cells], hanno i CD4, e sono in grado di sopprimere e controllare l’attività dei linfociti; fondamentalmente servono a mantenere una tolleranza immunitaria nel rispetto dell’equilibrio dell’organismo, e servono a spegnere una risposta immunitaria eccessiva. Producono, inoltre, delle citochine con azione immunosoppressoria esempio IL10. Principalmente sono caratterizzate - e quindi facilmente riconoscibili - da un fattore di trascrizione nucleare, detto Foxp3, che è tipico esclusivamente dei linfociti T regolatori. Tali cellule vengono quindi dette Foxp3+ (Foxp3 positive) e hanno funzione regolatorie, o se volete, soppressorie. La loro importanza è ovviamente quella di mantenere il rispetto verso il “self”, verso il nostro organismo durante le risposte immunitarie. In vari esperimenti, se in un animale sopprimiamo il gene che regola il differenziamento delle cellule T regolatorie (oppure sottraiamo tali cellule), l’animale va incontro spontaneamente a delle patologie autoimmuni gravissime. Quindi è evidente che queste cellule T regolatorie sono coinvolte nel controllo dell’autoimmunità. Le cellule T regolatorie giocano un ruolo importante anche nella risposta immunitaria ai tumori. Questa volta però nel senso negativo, nel senso che, ahimè, aiutano le neoplasie a crescere, o meglio, ostacolano la risposta immunitaria contro le neoplasie, consentendone la crescita. Fondamentalmente le neoplasie vengono riconosciute dal sistema immunitario come qualcosa che ci appartiene, che cresce al nostro interno e che assomiglia troppo a un nostro tessuto, spesso a un tessuto sano, e come tali vengono rispettate. Pertanto le neoplasie sono spesso “infiltrate” da queste cellule T regolatorie che tendono a sopprimere la risposta immunitaria. Quindi questo è uno dei meccanismi con cui il cancro (le neoplasie) sfugge al controllo del nostro sistema immunitario. In pratica lo stesso meccanismo che ci protegge dall’autoimmunità ci espone a un potenziale attacco di una neoplasia, perché vengono soppresse le risposte immunitarie. In oncologia, oggi, si usano delle terapie che tendono ad eliminare le cellule T regolatorie, ovviamente con rischio di autoimmunità, però, in un paziente in un quarto stadio neoplastico, è un rischio che si può iniziare a considerare per potenziare la risposta immunitaria contro la neoplasia. 2.1.4 LINFOCITI T NAIVE Un linfocita T che non ha mai visto un antigene, si dice che “non è polarizzato”, cioè non è né TH1, né TH2, né TH17 e né T regolatore. Si definiscono naive, che significa “vergini”, nel senso che non hanno mai incontrato un antigene. Una volta che lo incontrano, a seconda dell’ambiente in cui si vanno a differenziare, loro riconoscono l’antigene e, a seconda delle esigenze, possono differenziare e quindi polarizzare in uno dei subset di linfociti. Quindi tornando al nostro discorso che è prevalentemente il meccanismo fisiologico, ricordiamoci queste classi di linfociti con il CD4: TH1, TH2 e i nuovi TH17 e cellule T regolatorie. Con questo abbiamo concluso le sottopopolazioni di linfociti T, ovviamente ne riparleremo. 3 3.1 ANTIGENE DEFINIZIONE DI ANTIGENE Focalizziamo ora la nostra attenzione sull’attivazione della risposta immunitaria acquisita, che, come sappiamo, avviene a carico degli antigeni. Il riconoscimento degli antigeni è il momento in cui l’immunità acquisita si attiva, con tutto quello che ne consegue (quindi tutto quello che abbiamo visto: le immunoglobuline, le varie fasi effettrici della risposta immunitaria, quindi tossicità, produzione di citochine, e soppressione varie a seconda della citochina che viene rilasciata). Ora vediamo cosa sono questi antigeni. Abbiamo visto che non è qualcosa che fa partire la risposta innata, perché in quel caso ci vuole una interazione precisa con il PRR, e non sono questi. Come definizione di antigene, a me piace questa: “Un antigene è una sostanza che, introdotta in un organismo, è in grado di reagire specificamente con anticorpi e/o recettori per l’antigene che sono presenti sulla membrana dei linfociti T e linfociti B”. Da un punto di vista biochimico, gli antigeni sono delle molecole e come tali devono avere una loro identità chimica. In linea di massima si tratta quasi sempre di proteine (nella stragrande maggioranza dei casi). Però è stato documentato che anche altre sostanze possono legare anticorpi o i recettori di membrana per l’antigene per cui sono specifici, e sono i polisaccaridi. Inoltre ci sono anche lipidi (più spesso glicolipidi) e anche gli acidi nucleici, questi ultimi più raramente, ma comunque è stato documentato che tali acidi nucleici possono essere legati e quindi come tali dobbiamo considerarli potenziali antigeni. 3.2 IMMUNOGENICITÀ DEGLI ANTIGENI Perché abbiamo dato una definizione così ermetica? In realtà essa è esaustiva! Perché non necessariamente un antigene evoca la risposta immunitaria; se lo fa è immunogenico. Quindi, un antigene, che induce, una risposta immunologica nell’organismo, è un “immunogeno”, o un “antigene immunogenico”. Di conseguenza ci sono anche gli antigeni semplici, ovvero sostanze o microorganismi più o meno innocui, che si possono legare ai recettori dei linfociti o agli anticorpi ma non inducono nessuna reazione immunitaria. Da cosa dipende se un antigene evoca una risposta immunologica oppure “rimane lì” nel senso che viene riconosciuto ma non accade nulla? I fattori che influenzano la capacità di indurre la risposta immunitaria o meno sono ricercabili tra questi: Caratteristiche chimico-fisiche: peso molecolare, la possibilità di essere solubile o meno (quindi la diffusione che ha all’interno dell’organismo), la possibilità che questo antigene possa essere fagocitato dalle cellule dell’immunità innata e quindi scatenare una attivazione dell’immunità innata. Quantità: anche la quantità è un fattore influente. La risposta potrebbe non essere evocata se la quantità è troppo piccola o paradossalmente se è troppo grande, infatti in questo caso potrebbe indurre un’allergia, o una tolleranza. Via di ingresso o somministrazione: abbiamo imparato che la cute e le mucose sono vie di ingresso dei patogeni e a seconda di dove viene somministrato un determinato antigene noi possiamo avere un tipo di risposta o un'altra. Estraneità: è l’elemento più importante di tutti, che decide se quell’antigene è in grado di evocare una risposta immunitaria o meno, ed è la possibilità che questo antigene sia estraneo al nostro organismo, ovvero non faccia parte di nessun costituente del nostro organismo, e quindi il cosiddetto “non self” (tutto ciò che è “self” è tutto ciò che ci appartiene e fa parte del nostro organismo; ciò che è “non self” è qualcosa che viene dall’esterno). Per evocare una risposta immunitaria è necessario che il nostro organismo lo riconosca come qualcosa non self, e ci sono dei meccanismi che permettono questo riconoscimento, e che poi andremo a vedere. Il nostro sistema immunitario, dalla nascita (anzi dall’epoca fetale), evolve imparando a riconoscere ciò che ci appartiene e a rispettarlo, e viceversa evocare una risposta immunitaria verso qualcosa che arriva dall’esterno e che ci sta invadendo. Questa è la tolleranza immunitaria, di cui dovrò parlare in dettaglio. In questa lezione ci fermiamo a questo concetto di antigene, antigene immunogenico, e a queste caratteristiche che ne determinano la possibilità che questo evochi la risposta immunitaria o meno. 3.3 EPITOPI (L’immunoglobulina abbiamo visto com’è fatta nella lezione precedente, quindi la Y rovesciata che aveva le 2 braccia, con una porzione variabile che è quella che può riconoscere l’antigene, avendone la specificità). Altro concetto importante: che sia grande o piccola, l’antigene è una molecola. L’antigene può essere riconosciuto o dalle immunoglobuline o dai recettori per l’antigene che sono espressi sulla membrana dei linfociti T o B. In entrambi i casi, essi non riconoscono l’intera molecola, ma riconosceranno solamente una porzione, tale porzione viene definita epìtopo o determinante antigenico. Quindi l’epitopo è la parte di quella molecola che viene riconosciuta dai siti specifici delle immunoglobuline o dei recettori. Se pensiamo ad esempio ad una proteina, noi sappiamo che può avere migliaia di amminoacidi, ha una sua struttura terziaria quaternaria ecc., ma, di questa proteina, soltanto poche sequenze amminoacidiche verranno riconosciute dalle immunoglobuline o dai recettori. Quindi soltanto alcune corte catene peptidiche rappresentano il determinante antigenico; tali porzioni fanno parte di quella struttura, ma solo quella parte viene riconosciuta, ovvero una piccola porzione lunga mediamente da 10 a 20 amminoacidi. Va aggiunto che una stessa molecola può avere più epitopi, quindi più determinanti antigenici, ciascuno riconosciuto da differenti immunoglobuline o da differenti linfociti. 4 RECETTORI DI MEMBRANA LINFOCITARI Allora chi riconosce gli antigeni? Abbiamo detto gli anticorpi o i recettori di membrana linfocitari. Che cosa sono gli anticorpi, e come sono fatti, l’abbiamo detto la scorsa volta: proteine secrete da linfociti B quando questi riconoscono l’antigene; hanno la forma di una Y rovesciata, quindi con 2 braccia, e hanno una porzione variabile che è quella che può riconoscere l’antigene, avendone la specificità. Come fanno ad essere secreti? Il linfocita B deve prima riconoscere l’antigene. Il riconoscimento avviene grazie a questi recettori di membrana. Vediamo quali sono questi recettori. I recettori di linfociti B e linfociti T sono diversi; quello del linfocita B si chiamerà B cell receptor (BCR), quello del linfocita T si chiamerà T cell receptor (TCR). 4.1 STRUTTURA E FUNZIONAMENTO DEL BCR Quando questa immunoglobulina, legata alla membrana tramite il dominio transmembranario, incontra il suo antigene, lega l’epitopo con la sua porzione variabile, o meglio, con una, l’altra o entrambe le porzioni variabili (tanto sono uguali, speculari). A questo punto parte un segnale che va al nucleo e questo linfocita si attiva: ecco l’attivazione dell’immunità acquisita. Questa attivazione del linfocita B determina la secrezione delle immunoglobuline, stavolta libere, non legate alla membrana, e vengono rilasciate nel mezzo che circonda il linfocita. La cosa interessante è che queste immunoglobuline che verranno rilasciate (allo scopo di precipitare o neutralizzare virus o batteri ad esempio) hanno la stessa specificità di queste immunoglobuline di membrana. Quindi (ripeto) una volta che un linfocita B, con la sua immunoglobulina di membrana, lega un antigene, produce immunoglobuline libere con la stessa specificità dell’antigene che è stato riconosciuto dall’immunoglobulina di membrana, e che quindi l’ha attivato. Questo perché il legame comporta un segnale all’interno della cellula che induce la trascrizione di queste immunoglobuline. 4.2 Il BCR ha la stessa struttura delle immunoglobuline, e, di fatto, è una immunoglobulina, la cosiddetta immunoglobulina di membrana, ed è simile (salvo piccole differenze strutturali) alle immunoglobuline rilasciate dal linfocita B. Vi ricordo che, sulla membrana dei linfociti B, non c’è un recettore, ma migliaia di recettori, tutti con la stessa specificità. STRUTTURA E FUNZIONAMENTO DEL TCR Per il TCR avviene qualcosa di simile. Intanto bisogna dire che i geni che codificano per i recettori vanno incontro a continuo riarrangiamento, e questo comporta la differenziazione dei linfociti in specie diverse, o meglio, con specificità diverse, capaci di riconoscere infinite variabili di molecole con il loro TCR. Vi dicevo che noi abbiamo la possibilità di riconoscere (teoricamente) circa mille miliardi di molecole. In realtà ne riconosciamo circa un milione di molecole; gli altri vengono eliminati. Quindi quando viene fuori un linfocita maturo con un recettore che ha una certa specificità con qualche antigene, nel corso della sua vita biologica questi linfociti (da quando nascono a quando muoiono, perché tutte le cellule una certa emivita) potrebbero con questo recettore incontrare o non incontrare mai l’antigene per il quale sono specifici. Infatti ci sono quelli che nascono con una certa specificità, “stanno lì”, ma non riconosceranno nulla. Altri avranno una specificità che gli consentirà di riconoscere ad esempio determinanti antigenici (epitopi) che sono espressi su dei virus, cellule neoplastiche o famiglie di batteri, e quindi tali antigeni potranno essere riconosciuti da questo linfocita. 4.3 Quando questo linfocita T lega il suo antigene (vedremo come, è un po’ più complesso), parte un segnale, che, questa volta, per come è strutturato il recettore, non invia direttamente un segnale ma ha bisogno di una molecola adattatrice, che è il CD3. Il CD3 è una proteina che si associa al TCR quando questo viene a contatto con il suo antigene, ed è responsabile dell’invio del segnale. ITAM sta per Immunoreceptor Tyrosine-based Activation Motif [2], sono delle chinasi che fosforilano e quindi trasmettono il segnale. Quindi la differenza per quanto riguarda (senza entrare troppo nei dettagli) tra il BCR e il TCR è che il BCR ha una coda citoplasmatica che gli consente di inviare un segnale al nucleo, mentre il TCR ha bisogno del CD3. Tra l’altro il CD3 è un marcatore dei linfociti T, perché è espresso sulle membrane di tutti i tipi di linfociti T, e la sua funzione è quella di trasmettere il segnale dopo il legame dell’antigene al recettore TCR. DIFFERENZE TRA BCR E TCR NEL RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE E questi sono i due recettori, espressi sui linfociti, in grado di dare il via alle varie funzioni effettrici dei due subset cellulari. Abbiamo visto che ci sono delle differenze conformazionali per quanto riguarda i due recettori, abbiamo visto che ci sono delle differenze nella trasduzione del segnale, ora vi faccio vedere che ci sono ancora ulteriori differenze nel riconoscimento dell’antigene, differenze che ci cominciano a far entrare nei meccanismi della risposta immunitaria, e come questa viene a svolgersi quando c’è la necessità di fronteggiare un pericolo che arriva dall’esterno. Vediamo quali sono queste differenze nel riconoscimento dell’antigene da parte dei due tipi di linfociti (fate attenzione perché questi sono concetti sui quali poi ritorniamo ma si dovrebbe già ad iniziare ad avere un’idea, in modo che in futuro vi viene più semplice). 4.3.1 INTERAZIONE CON L’ANTIGENE L’interazione con l’antigene è diversa: nel linfocita B è un processo binario, nel linfocita T è un processo ternario. Nel linfocita B è semplice: l’immunoglobulina (ovviamente è quella di superficie, perché stiamo parlando di recettori per l’antigene) riconosce l’antigene. Nel linfocita T il processo è ternario: c’è il TCR, c’è l’antigene (o se volete, determinante antigenico, con cui il recettore reagisce specificamente e con alta specificità) e c’è anche il MHC [3], che sta per “Major Histocompatibility Complex”, ovvero complesso maggiore di istocompatibilità, ed è rappresentato da una serie di molecole che sono presenti in tutti i vertebrati e che nell’uomo prende il nome di HLA (Human Leukocyte Antigen [4]) che è espresso su tutte le cellule dell’organismo umano (non esiste una cellula del nostro organismo che non abbia delle molecole di HLA). L’HLA ha varie classi e pian piano le andremo a vedere e conosceremo le varie funzioni e tutto quello che ci riguarda. L’HLA è differente per ogni individuo, e rappresenta quindi una sorta di codice identificativo, tant’è che quando facciamo i trapianti è preferibile che donatore abbia un HLA simile, ma comunque è talmente specifico per ognuno di noi questo complesso sistema di molecole che gli unici che hanno un HLA assolutamente identico sono i gemelli monovulari. Neppure i gemelli biovulari ce li hanno identici, al massimo ne possono avere qualcuno condiviso, ovviamente, quindi qualcuno in comune, e questo è il motivo per cui si preferiscono i parenti come donatori nei trapianti. Dell’HLA ne riparleremo, ma per il momento è necessario sapere che la funzione fisiologica dell’HLA, che potete immaginare come una sorta di tasca sulla membrana cellulare di tutte le cellule dell’organismo, è quella di accogliere l’antigene e di presentarlo (è esattamente questo il termine che si usa in immunologia) ai linfociti T. Non ai linfociti B! Per i B non c’è bisogno, riconoscono gli antigeni direttamente (processo binario). Il linfocita T non può riconoscere l’antigene direttamente tranne che questo antigene non sia in questa tasca che è appunto il nostro HLA. Quindi processo ternario: TCR – ANTIGENE – HLA. 4.3.2 SOLUBILITÀ Ne consegue che il legame di antigeni solubili, quindi liberi nei liquidi extracellulari, può avvenire solo da un linfocita B ma mai da un linfocita T, perché (per essere riconosciuto dal linfocita T) deve essere dentro l’HLA, e quindi l’antigene non deve essere libero ma attaccato a una cellula, più precisamente all’interno dell’HLA presente sulla superficie cellulare dell’organismo. 4.3.3 COINVOLGIMENTO DI MOLECOLE MHC. Non è necessario nei linfociti B, mentre i linfociti T necessitano della presentazione dell’antigene (l’accoglimento dell’antigene nell’HLA che lo presenta, lo mostra, ai linfociti T), altrimenti non possono riconoscerlo. E questo è di fondamentale importanza, perché se il linfocita T helper non riconosce l’antigene, non c’è “help”, e quindi questo è un passaggio fondamentale per tutta l’immunità acquisita, altrimenti la risposta non parte. 4.3.4 NATURA CHIMICA DEGLI ANTIGENI Le proteine sono sempre preponderanti, però anche lipidi e polisaccaridi possono essere riconosciuti dai linfociti B (per la verità anche gli acidi nucleici di cui parlavo prima, al momento, sono stati riscontrati solo come leganti immunoglobuline, e non linfociti). Gli antigeni riconosciuti dai linfociti T sono quasi esclusivamente proteine e a volte lipidi presentati da molecole MHC-simili, (non sono HLA ma semplicemente MHC-simili; per il momento restate con questa definizione). 4.3.5 PROPRIETÀ DELL’EPITOPO In un antigene di natura proteica, l’epitopo può essere costituito da una serie di amminoacidi; tra questi possiamo distinguere tra amminoacidi sequenziali, e amminoacidi non sequenziali; entrambi possono essere riconosciuti dai linfociti B, purché siano accessibili (esposti sulla superficie della proteina). Il concetto si spiega meglio se pensiamo ad una molecola proteica che ha una certa struttura quaternaria, e questa può presentare degli epitopi sulla sua superficie. Tali epitopi potrebbero essere costituiti da amminoacidi che nella sequenza peptidica si trovano a distanza, ma spazialmente, in ragione del folding, e quindi della conformazione della catena, si possono trovare vicini tra di loro. In altre parole se prendiamo una proteina, con determinati epitopi, e immaginiamo di denaturarla fino ad ottenere una catena lineare, avremo che di quegli amminoacidi che formano gli epitopi, alcuni saranno localizzati in sequenza sulla catena, altri saranno sparsi, ma che nella configurazione originale si trovavano spazialmente vicini. Bene, i linfociti B riescono a riconoscere entrambi i tipi di amminoacidi. Al contrario, il linfocita T ha bisogno di peptidi lineari prodotti dalla processazione dell’antigene [5]. Ma cosa è la processazione dell’antigene? Mentre il linfocita B riconosce direttamente la proteina con il suo recettore (interazione binaria), il recettore del linfocita T, invece, deve riconoscere degli epitopi all’interno dell’MHC; inoltre non può riconoscere l’intera molecola, deve riconoscere solo quella sequenza amminoacidica, e quindi la molecola deve essere “spezzettata”, ovvero ci deve essere una “rottura” della proteina in tante parti (questo meccanismo lo vedremo nella prossima lezione). Cerchiamo di capire meglio: i linfociti B riconoscono sia gli aa. sequenziali e sia non sequenziali. Immaginiamo una proteina come quella mostrata nell’immagine seguente, con un suo ripiegamento che ne determina la sua struttura terziaria. In questa proteina consideriamo gli epitopi T e gli epitopi B. Gli epitopi T sono interni e quindi non potrebbero mai essere riconosciuti da un linfocita B, mentre un linfocita T che viceversa incontrando questa proteina può vedere col suo TCR questo tipo di sequenza e riconoscerla direttamente, e quindi avere la sua attivazione. “Se noi svolgiamo questa proteina avremo che dovuta al ripiegamento, alcuni di questi sono in sequenza, altri no! Quindi gli epitopi B che erano riavvicinati dal folding (ripiegamento) e quindi potevano essere riconosciuti come tali, una volta denaturata la proteina non saranno più disposte vicine tra di loro, ma sparse all’interno della catena. Se questa proteina dobbiamo classificarla quindi la spezziamo in tante parti per poterla mettere dentro l’HLA, è chiaro che questi non potranno fare parte del riconoscimento dei linfociti T ma abbiamo bisogno di una sequenza peptidica che sia vicina, perché questo peptide tagliato che si andrà ad incastrare all’interno dell’HLA deve essere formato da sequenze amminoacidiche lineari, cioè una accanto all’altra. Quindi linfociti B: amminoacidi che possono essere localizzati in luoghi diversi sulla catena ma avvicinati dal ripiegamento della molecola, epitopi T devono essere necessariamente in sequenza, e questo è importante per la presentazione.” *A mio parere il concetto trascritto per come l’ha detto il prof è poco chiaro, cerco di spiegare a parole mie: - Il riconoscimento del BCR è un processo binario, vale a dire che l’antigene viene riconosciuto dal linfocita B così com’è. Se parliamo di un antigene proteico, l’epitopo sarà un insieme di amminoacidi, disposti spazialmente vicini e localizzati sulla parte esterna della proteina (altrimenti sarebbero inaccessibili). Tali epitopi, nella catena peptidica possono essere disposti in entrambi i modi, in maniera sequenziale o non sequenziale. Ovviamente nel secondo caso, tali amminoacidi si vengono a trovare spazialmente vicini in seguito al folding della proteina. - Il riconoscimento da parte del TCR è un processo ternario, quindi, oltre all’antigene partecipa anche l’MHC, (nel caso dell’uomo l’HLA). L’antigene, però, viene prima processato [5], e quello che viene esposto nella tasca dell’HLA è una porzione della proteina, quindi dei peptidi più piccoli che contengono l’epitopo. Da questo ne deriva che gli epitopi riconosciuti dai linfociti T sono porzioni di peptidi interni (i prodotti della processazione dell’antigene) formati da amminoacidi disposti in modo sequenziale. Faccio presente che si tratta di una interpretazione personale.] 5 ORGANI LINFOIDI Continuiamo a parlare di questi antigeni e vediamo cosa causano all’interno del nostro organismo. Questa immagine ve l’ho già fatta vedere e vi dicevo che i linfociti T che circolano nel nostro organismo incontrano l’antigene negli organi linfoidi periferici secondari. Avevamo fatto l’esempio che quando noi abbiamo l’entrata di un patogeno in una regione periferica, questi antigeni dovranno essere trasportati negli organi linfoidi secondari per essere riconosciuti dai linfociti, sia T che B. Vi ricordo che gli organi linfoidi secondari sono prevalentemente i linfonodi, e ogni parte del nostro organismo drena la linfa a dei linfonodi, che sono concatenati tra loro. 5.1 LINFA Che cos’è la linfa? Altro non è che il liquido extracellulare, cioè tutto il liquido tra una cellula e l’altra; tutto questo liquido nei nostri tessuti tra una cellula e l’altra è un liquido che viene drenato con la linfa. La funzione del drenaggio è sia quella di rimuovere i cataboliti che vengono rilasciati dai tessuti, sia di favorire le funzioni immunologiche, perché se qualcosa entra nel nostro organismo viene drenata tramite la linfa afferente, ossia quella che arriva all’organo linfoide secondario, mentre quella efferente è quella che esce dal linfonodo e che va a reimmettersi nella circolazione sanguigna. Inoltre vi ricordo che tutti gli organi linfoidi secondari hanno la linfa efferente tranne la milza (ora vedremo). Tutti gli organi linfoidi immettono la linfa in dotti collettori di calibro via via maggiore, fino a ricondursi al dotto toracico. Il dotto toracico, poi, sbocca nella vena cava superiore, dunque la linfa si ricongiunge al circolo venoso e quindi rientra in circolo. Tutto ciò che questo liquido contiene all’uscita del linfonodo viene quindi reimmesso nella circolazione. 5.2 LOCALIZZAZIONE DEGLI ORGANI LINFOIDI Oltre ai linfonodi, ci sono altri organi linfoidi, esempio l’anello del Waldeyer, le adenoidi e la milza, che è un importante organo linfoide, ed è l’unico che non è colonizzato da vasi linfatici, infatti ci sono solo arteriole e vene, non c’è linfa. Ma d’altronde la milza non è esclusivamente un organo linfoide, ma solo una sua piccola parte; infatti sappiamo che per il resto ha funzioni eritrocateretiche, ovvero di distruzione dei globuli rossi invecchiati. Ci sono molti altri aggregati linfoidi, ad esempio nell’intestino, nella cute e varie altre zone, e sono piccoli follicoli distribuiti e organizzati nel nostro organismo. Tutti hanno la stessa funzione: raccogliere gli antigeni e presentare questi antigeni, o comunque farli incontrare ad esempio con i linfociti T e B che non hanno mai incontrato un antigene. Questo avviene perché i linfociti che non hanno mai visto antigeni ricircolano continuamente negli organi linfoidi secondari in cerca della specificità del loro recettore. 5.3 STRUTTURA DEGLI ORGANI LINFOIDI Vediamo come sono fatti gli organi linfoidi. Essi hanno particolari di struttura in comune, ad esempio la segregazione in aree. 5.3.1 LINFONODO L’immagine mostra un linfonodo. Ha una capsula fibrosa, è vascolarizzato regolarmente con una arteria ed una vena, ed inoltre possiede una circolazione linfatica, ovviamente. I linfatici afferenti arrivano da questi dotti, penetrano all’interno della capsula del linfonodo, la linfa percorre il linfonodo e si raccoglie in questo seno da cui ripartirà poi il linfatico efferente. Esistono delle aree segregate e sono le cosiddette aree B dette anche follicoli (che nell’immagine sono schematizzate come cerchietti gialli). All’interno di queste aree B ci sono linfociti B. Questi, se stanno riconoscendo l’antigene vanno incontro a proliferazione; in questo caso tali aree si ingrossano e vengono definiti centri germinativi (si vedono anche in microscopia e sono molto ben definiti). Tutto al di sotto (in azzurro) c’è l’area paracorticale, o area T. Anche questi possono andare incontro ad una ipertrofia quando c’è una proliferazione cellulare. Il linfocita B che si è attivato produce immunoglobuline e si va trasferendo all’interno del seno, dove si trasforma in plasmacellula. Le plasmacellule sono arricchite in questa parte del seno della zona midollare e rilasciano immunoglobuline. Queste immunoglobuline, tramite la linfa efferente, vengono portate fuori dall’organo linfoide e rimesse nella circolazione sanguigna. Anche i linfociti T proliferano, e questi, ad esempio, se si tratta di linfociti T citotossici, dovranno ritornare nel sito di infezione per eliminare il patogeno, e lo faranno nella stessa maniera: prenderanno la via efferente, verranno messe in circolo e poi andranno nella regione dove è presente il patogeno. In effetti nel linfonodo è arrivato l’antigene, ma l’infezione è periferica. Domanda di una studentessa che in sintesi voleva dire: “quando ci sono i linfonodi ingrossati, cosa si ingrossa? I follicoli o cosa?”. È una domanda interessante ma prematura. Innanzitutto i linfonodi ingrossati li abbiamo in molte patologie, esempi sono la mononucleosi, ma può capitare anche con un mal di denti. Ovviamente in quest’ultimo caso, i linfonodi ingrossati non saranno certo quelli poplitei, o inguinali o ascellari, ma saranno ad esempio quelli sottomandibolari, cervicali. Questo per dirvi che la regione in cui possono ci possono essere linfonodi ingrossati può variare. L’ingrossamento del linfonodo è dovuto alla proliferazione dei linfociti T e/o linfociti B; questo perché a volte ad esempio ci sono degli antigeni che sono immunogeni, quindi evocano la risposta immunitaria, che avviene all’interno di quel linfonodo. In pratica il rigonfiamento è determinato dal fatto che il linfonodo è colmo di cellule che stanno proliferando. La presenza del linfonodo ingrossato sta a significare che sta avvenendo una risposta immunitaria. A volte, quando ci sono delle infiammazioni croniche, alcuni linfonodi continuano a rimanere ingrossati. Se la condizione persiste, all’interno dell’organo linfoide può iniziare una produzione di fibre collagene intorno a questa capsula fibrosa, e ciò determina la formazione di un linfonodo indurito, non più dolente e non più morbido, ma duro. Questi sono linfonodi che rimangono generalmente dopo che c’è stata una infiammazione cronica, per tanto tempo, quindi in alcune zone spesso capita ad esempio di riuscire a palparle, quelle ascellari, inguinali, sottomandibolari. Quelli che più frequentemente rimangono palpabili sono quelli inguinali e sono legati ad infiammazioni croniche. Anche ad esempio un ascesso dentario può determinare la presenza di qualche linfonodo sclerotico. In generale, però, i linfonodi ingrossati regrediscono, e regrediscono quando cessa la risposta immunitaria. La mononucleosi, ad esempio, è una malattia provocata dal virus di Epstein-Barr [6] che infetta i linfociti B e ne determina l’iperproliferazione, ed in casi particolari può anche determinare un processo neoplastico (dipende dal tipo di latenza del virus). Tale iperproliferazione determina l’ingrossamento di tutti i centri germinativi. 5.3.2 ORGANIZZAZIONE DEL TESSUTO LINFOIDE DELLA MILZA Vediamo un altro po’ di organi linfoidi, ad esempio la milza. Più o meno sono strutturati in modo simile. In particolare, nella milza non ci sono vasi linfatici. hanno il recettore specifico per questo antigene che è giunto, in un modo o nell’altro, nell’organo linfoide. Cosa succede? Avviene quella che viene definita espansione clonale, ed è proprio la proliferazione di un singolo linfocita che ha riconosciuto l’antigene. Quindi in seguito all’incontro con l’antigene quel linfocita dovrà espandersi clonalmente; “clonalmente” perché è appunto una cellula che deve dividersi in altre cellule. I linfociti sono in questa zona, detta “zona pulp”; c’è l’arteriola centrale (questa è la sezione - riferito all’immagine - siamo in un follicolo linfatico eh!). E poi c’è un centro germinativo come negli altri organi linfoidi. Ricordatevi anche che qui i follicoli rappresentano una piccola parte all’interno della polpa rossa. Ognuno di questi follicoli è un tessuto linfoide a se stante, irrorato da una arteriola che porta i linfociti naive all’interno dell’organo linfoide. Anche qui c’è una segregazione ben precisa tra i linfociti B e i follicoli, i centri germinativi che sono proprio le zone dove c’è la crescita dei linfociti B e la differenziazione. 6 SELEZIONE ED ESPANSIONE CLONALE E poi arriviamo alla domanda che il vostro collega ha anticipato: cosa avviene all’interno di questi organi linfoidi quando i linfociti incontrano questo antigene? Cosa succede all’interno del linfonodo? Vengono riconosciuti gli antigeni, quindi viene attivata la risposta immunitaria acquisita, perché ci sono dei linfociti che La selezione e l’espansione clonale sono due concetti importantissimi nell’ambito della risposta immunitaria del nostro organismo. I primi 2 riquadri (immagine precedente) sono legati alla selezione clonale e avvengono negli organi linfoidi primari, gli ultimi 2 riquadri sono l’espansione clonale e avvengono negli organi linfoidi secondari. 6.1 PROLIFERAZIONE E GENERAZIONE DEI LINFOCITI autoimmunitario è terribile! Anche perché è molto potente! Gli antichi lo chiamavano horror autotoxicus. Ed è questo uno dei modi con cui ci difendiamo dall’attacco autoimmunitario. 6.3 Abbiamo visto che i linfociti provengono da un precursore, e questo, da buon precursore emopoietico, ha la possibilità di differenziare in una progenie. È dunque una cellula in grado di differenziarsi in tante cellule diverse. Man mano che differenzia produrrà dei linfociti T o B ognuno con il suo “bravo” recettore specifico; ognuno di questi linfociti avrà una sua specificità perché questi recettori saranno diversi l’uno dall’altro. Tale diversità deriva dal polimorfismo di questi geni che codificano per i recettori. Quindi man mano che si differenziano, ognuno avrà il suo recettore specifico. 6.2 SELEZIONE CLONALE I linfociti maturano negli organi linfoidi primari. La maturazione dei linfociti B avviene nel midollo, mentre per i linfociti T avviene nel timo (si chiamano T proprio per questo, perché differenziano nel timo). A livello di questi organi linfoidi primari i linfociti B e T non sono ancora completamente maturi dal punto di vista funzionale, infatti sono in uno stadio di timociti e precellule B. Hanno già il loro recettore, ma hanno delle caratteristiche funzionali particolari. Una di queste caratteristiche funzionali importantissima è legata al comportamento in seguito al riconoscimento di un antigene. Abbiamo detto che quando sono completamente maturi (si trovano negli organi linfoidi secondari) la risposta al riconoscimento dell’antigene è l’attivazione. Al contrario, in questa fase, e cioè quando non sono ancora maturi (siamo negli organi linfoidi primari), se riconoscono un antigene, invece che attivarsi, vanno incontro a delezione: muoiono. È chiaro che, timo e midollo, sono strutturati in una maniera tale per cui i linfociti non ancora maturi vengono a contatto con tutto ciò che è del nostro organismo, quindi, tutto quello con cui vengono a contatto è “self”. A questo punto risulta logico il motivo di questo meccanismo: se un linfocita riconosce qualcosa in questa fase, non può che trattarsi di qualcosa “self” e dunque tale linfocita non deve assolutamente essere liberato nell’organismo, altrimenti indurrebbe un attacco autoimmunitario, ecco perché viene eliminato. Il meccanismo ESPANSIONE CLONALE Ne residua un pool di linfociti in grado di riconoscere tutto, tranne quello che ci appartiene. Questo “qualcosa che non ci appartiene” in grado di essere riconosciuto potrebbe essere ad esempio un pericoloso antigene, ma anche qualcosa di innocuo, o addirittura qualcosa che non esiste! Questi linfociti cominceranno la loro storia biologica, che è quella di ricircolare continuamente nel nostro organismo tra linfa e tessuti (organi linfoidi ad esempio) in cerca del loro antigene. Nel momento in cui uno di questi linfociti incontra l’antigene (e l’incontro avviene negli organi linfoidi secondari, come abbiamo imparato oggi) si va incontro all’espansione clonale, cioè alla moltiplicazione seriale di questo singolo linfocita, quindi non avremo più un solo linfocita in grado di conoscere quell’antigene, ma ne avremo tanti. E la moltiplicazione andrà avanti finché ci saranno almeno tanti linfociti quanti ne saranno necessari per eliminare l’antigene. Quando l’antigene viene eliminato, la risposta si contrarrà, finirà; il nostro linfonodo ingrossato si sgonfierà solamente quando questo antigene non darà ulteriore stimolo agli altri linfociti, altrimenti questi continueranno a proliferare; proliferando vedono altri antigeni e continueranno a suddividersi, creando cellule effettrici. Man mano che proliferano, una parte diventa cellule effettrici, e comunque, continuando ad essere stimolate, continuano a moltiplicarsi. Se è in atto una infezione importante, possono diventare veramente numerosi. Nella milza può verificarsi che fino a metà dei linfociti siano, se non monoclonali, oligoclonali, cioè derivati da una o pochi linfociti, tutti specifici per il virus che ci sta invadendo in quel momento. Poi finito il virus, tutto si contrae e ritorna alla situazione di normalità. 7 CELLULE DENDRITICHE E PRESENTAZIONE DELL’ANTIGENE (CENNI) Questi concetti sono importantissimi: delezione ed espansione clonale dei linfociti (“clonale” perché è una singola cellula che prolifera indefinitamente fino a quando c’è la necessità). Se questi sono linfociti B produrranno immunoglobuline specifiche per l’antigene, se invece sono linfociti T una volta che legano l’antigene svolgeranno la loro funzione effettrice, e quindi eliminare la cellula infettata che presenta l’antigene, produrre le citochine che servono da helper, ecc. Come arrivano gli antigeni agli organi linfoidi secondari? Abbiamo detto con la linfa, ed è vero! Molti antigeni solubili ci possono arrivare perché trascinati dalla linfa. Però molti di questi antigeni liberi non potrebbero evocare una risposta immunitaria nei linfociti T, perché questi hanno bisogno che gli antigeni gli siano presentati. Nella presentazione dell’antigene, un ruolo fondamentale è svolto dalle cellule dendritiche. Come ricorderete, l’attivazione della risposta innata avviene quando c’è un segnale di pericolo, per interazione PRR – PAMP, e l’attivazione delle cellule dendritiche comporta la fagocitosi dell’antigene (ricordiamoci che è un fagocita). Le cellule dendritiche attivate, a differenza dei macrofagi o dei granulociti, sono in grado di lasciare il tessuto di infezione, e migrano negli organi linfoidi secondari. E sono le uniche cellule a poter fare questo lavoro. Quindi sono una sorta di shuttle dalla periferia agli organi linfoidi secondari. In questo caso quindi dopo la cattura dell’antigene, queste cellule lasciano il sito di infezione, migrano attraverso i linfatici e si localizzano negli organi linfoidi secondari. Questo carico di antigene viene poi presentato sull’HLA di queste cellule ai linfociti T. Se un linfocita T riconosce sulla cellula dendritica il suo antigene, ecco che parte l’espansione clonale, e quindi si moltiplicheranno per quanto necessario. Infatti, se c’è ancora antigene in periferia, arriveranno (negli organi linfoidi secondari) altre cellule dendritiche a presentare l’antigene, e ancora i linfociti continuano a proliferare. Questi linfociti poi lasceranno l’organo linfoide secondario, rientreranno nel circolo, arriveranno in periferia sul sito di infezione ed elimineranno a questo punto il patogeno. Quando non arriva più patogeno agli organi linfoidi, la risposta si contrae. [1]. Malattia di Crohn. [Online] http://it.wikipedia.org/wiki/Malattia_di_Crohn. [2]. ITAM. [Online] http://en.wikipedia.org/wiki/Immunoreceptor_tyrosinebased_activation_motif. [3]. MHC. [Online] http://en.wikipedia.org/wiki/Major_histocompatibility_compl ex. [4]. HLA. [Online] http://en.wikipedia.org/wiki/Human_leukocyte_antigen. [5]. Processazione dell'antigene. [Online] http://en.wikipedia.org/wiki/Antigen_processing. [6]. Virus di Epstein-Barr. [Online] http://it.wikipedia.org/wiki/Human_herpesvirus_4.