L`off di Spoleto: a La Mama il marito smarrito di Molière

24 ore di Krapp in un foglio
21 luglio 2013
FRONT
Digest quotidiano a cura della redazione di Krapp’s Last Post – www.klpteatro.it
L'off di Spoleto: a La Mama il marito smarrito di Moliè
Molière
Michele Ortore
Oltre agli eventi del Festival dei 2Mondi, che si prepara alla chiusura magniloquente dell'ultimo
weekend (L.A. Dance Project, Bob Wilson, Irina Brook, oltre al concerto finale
della Filarmonica della Scala), chi passa a Spoleto in questi giorni può anche spigolare tra una
serie di eventi che costellano i dintorni del festival ufficiale.
Uno di questi è La MaMa Spoleto Open 2013, coordinato da La MaMa Umbria International, che
oltre ad essere un centro studi è anche residenza artistica: quest'anno ha ospitato la compagnia di
Irina Brook per la preparazione della "Trilogie des iles", di cui vi abbiamo raccontato "Tempête!".
Nei giorni del festival La MaMa propone, negli spazi del Cantiere Oberdan, una selezione di
proposte emergenti fra teatro, danza, musica e arti visive.
Abbiamo avuto l'opportunità di seguire la giovane compagnia Idiot Savant / Ludwig alle prese con
"Il marito smarrito", testo liberamente tratto dal "George Dandin" di Molière.
In scena ci sono Pier Paolo D'Alessandro, Matthieu Pastore, Martina Polla, Simone Tangolo,
Anahì Traversi, per la regia di Filippo Renda.
La compagnia è nata dall'incontro di alcuni allievi della scuola del Piccolo di Milano: la stoffa si
vede tutta, soprattutto nel rapido mestiere del trasformismo, nella vivacità dei lazzi, nel catalogo di
mimiche facciali rigide e tirate. Basti citare l'emblematico lavoro fatto da Martina Polla sul suo
personaggio, la suocera del protagonista Landini, sorta di burattino flaccido, sacco sgonfio
aggrappato al braccio del marito e capace di un effimero gonfiarsi soltanto per reclamare la dignità
morale della sua famiglia.
Al centro della commedia di Molière c'è proprio la convergenza piena di paradossi tra
un'aristocrazia in decadenza economica ed etica, rappresentata in scena da Angelica e dai suoi
genitori, e una borghesia in ascesa ma ancora in cerca di un'identità definita, come nel caso di Giorgio Dandini, che sposa Angelica per nobilitare il carisma del proprio
lignaggio e che ottiene in cambio una poliedrica sfilza di tradimenti.
Il motore drammaturgico del testo sono le tradizionali dinamiche servo-padrone, gli scambi e i malintesi.
Renda, già assistente di registi importanti come Ronconi, Martinelli e Bruni, assiste la verve molièriana con un uso degli spazi fantasioso e calibrato: al centro un
quadrato d'erba sintetica e una casetta di plastica per bambini, una sediolina e una staccionata (che serve anche a nascondere l'entrata degli attori nella casa), oltre a due
quinte laterali: un ammiccamento parodico ad una distribuzione scenografica tradizionalissima, di cui si mettono in ridicolo le ambizioni prospettiche.
La recitazione è giocata tutta sull'esagerazione, che andrebbe forse dosata meglio per essere ancor più efficace. L'unico personaggio a tutto sesto e capace di escursioni di
registro è l'Angelica della Traversi; i genitori, i servi e lo stesso Giorgio rimangono macchiette al servizio dell'ironia sociale. In Angelica l'arte retorica aristocratica, capziosa
e tracotante, si fa beffe dell'insipienza del marito, costretto a parlare di sé in terza persona, come se ripetendo il proprio nome potesse convincersi della propria identità,
mentre cerca inutilmente di smascherare i raggiri della moglie.
Siamo senz'altro di fronte ad una compagnia che ha gli strumenti per produrre ottimi lavori; colpisce in particolare la fiducia di questi ragazzi in una sorta di sana
artigianalità, che non nasconde ma nemmeno ostenta i ferri del mestiere teatrale, rinunciando a certi facili ammiccamenti formali con cui spesso le giovani compagnie
sentono il bisogno di rivendicare la propria dignità nei primi spettacoli.
Per costruire qualcosa di più solido di una casetta di plastica per bambini, certo, bisogna ancora lavorare.
Peter Stein sostiene che nel suo approccio ai classici l'impegno sta il più possibile nel «capire l'impatto che il testo ha avuto nel momento in cui è stato scritto, cercando di
trasferire questo in una condizione totalmente diversa che è la nostra».
Da questo punto di vista non bastano gli intermezzi a base di scenette pop (balletti o canti in playback), che collocano lo spettacolo in un'Italia su per giù fra i Sessanta e i
Settanta, e che ormai cominciano ad essere fin troppo inflazionati sui nostri palcoscenici; e anche il «fighetta» di vago sapore padano con cui Giorgio apostrofa il suo rivale
amoroso è troppo poco per attualizzare il personaggio.
Da mettere ancora a punto c'è pure qualche scelta registica: oltre ad un paio di uscite degli attori non abbastanza fluide nel corso della messa in scena, penso soprattutto al
finale, quando è costretto per la seconda volta a chiedere ufficialmente scusa ad Angelica; la chiusura andrebbe preparata meglio, per dare ulteriore forza alla specularità
rispetto alla scena precedente e ai risvolti di un equilibrio che, sebbene salvato in extremis, serve a Molière per dipingere con amarezza lo sfibramento delle convenzioni
sociali tradizionali.
La MaMa Spoleto Open 2013: http://www.lamamaumbria.org/?p=718
Url articolo: http://www.klpteatro.it/loff-di-spoleto-a-la-mama-il-marito-smarrito-di-moliere
Pubblicato su klpteatro.it il 14 luglio 2013
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Digest quotidiano a cura della redazione di Krapp’s Last Post – www.klpteatro.it
Al cimitero si cena tra storie di spietata umanità
umanità
Maria Rossa
Quattro attori, un regista e un cimitero sconsacrato. Tavoli rotondi, cuochi e madonnine appese
all’ingresso della cappella.
Ancora domani, martedì 16, e mercoledì 17 l’ex cimitero torinese di San Pietro in Vincoli ospita la
“Cena al cimitero con le storie di spietata umanità”, organizzata daACTI Teatri
Indipendenti e Gaia-Ecobanqueting, nell'ambito di (E)state in Vincoli!, rassegna estiva che
unisce performance teatrali, concerti e spettacoli circensi fino al 28 luglio.
San Pietro in Vincoli è il primo cimitero di Torino, costruito nel 1776 e già caduto in disuso nella
prima metà dell’Ottocento, da qualche anno recuperato come spazio per attività culturali.
Il format dello spettacolo è simile a quello delle 'cene con delitto': gli interventi degli attori si
alternano alle portate, ma stavolta senza colpevoli da scovare.
La spietata umanità è invece quella del drammaturgo rumeno, naturalizzato francese, Matei
Visniec, la cui dissacrante critica al comunismo convive con lo sguardo tagliente rivolto alla nostra
società.
Visniec, censurato in patria fino alla caduta di Ceausesco nel 1989, negli anni Ottanta ottenne asilo
politico in Francia, dove tutt’oggi risiede. Fondamentale nella sua poetica è l’idea di 'teatro
decomposto', delineata dall’autore nell’omonimo testo del 1996: le sue drammaturgie si fanno
allora microtesti in sequenza successiva che, come frammenti di uno specchio esploso, toccherà
al regista ricomporre, in un processo creativo con esiti sempre diversi. Lo spettacolo sfugge alle
unità aristoteliche di tempo, spazio e azione, perdendo una struttura univoca e un significato
organico in senso stretto.
Beppe Rosso, nell'ultima stagione in prima persona sulla scena torinese con “La Solitudine”
di Beppe Fenoglio, dirige ora le storie di Visniec sperimentando appunto la strategia del teatro
decomposto.
E lo fa scegliendo i testi “Attention aux vieilles dames rongées par la solitude” (del 2004) e “La parola progresso suonava terribilmente falsa sulla bocca di mia madre” (del
2007).
Una coppia di massimi esperti d’accattonaggio che dispensa consigli, una prostituta silenziosa, due soldati, due donne balcaniche che col sorriso raccontano dell’infelicità
dei loro mariti e una vergine incinta che aspetta l’apparizione della Madonna sono alcune tra le facce di un’umanità spietata che si tinge di colori violenti e paradossalmente
ironici.
I personaggi sono carichi di segni grotteschi ma assolutamente reali, consumati dai tempi ma ancora affamati di vita.
Con un linguaggio crudo ed essenziale i loro racconti accompagnano il pasto di commensali assorti, spesso divertiti, a volte attoniti. L’interessante incontro artistico tra
Visniec e Rosso sa ricostruire un quadro al limite dell’umano senza perdere in eleganza e leggerezza. I toni sono surreali, né si gode né si soffre.
Lorenzo Bartoli, Mario Pirrello, Francesca Porrini e Valentina Virando – provenienti dai circuiti di alcuni teatri stabili italiani – reggono le due ore di performance e
rimediano all’imprevedibilità del pubblico senza mai far scemare la tensione scenica o perdere il filo del discorso.
I camerieri, a loro volta, ben si inseriscono nella performance: tutto è studiato perché nulla appaia estraneo a ciò che capita sulla scena.
Il menu a km 0 proposto dal team culinario Gaia-Ecobanqueting ha lo schietto sapore della natura. Quattro portate – due antipasti, un primo e un dolce – corrispondenti a
tre differenti menu che si alternano nel corso delle nove repliche; ciascuno con un colore predominante: manco a dirlo, verde, bianco o rosso.
CENA AL CIMITERO con storie di spietata umanità
da Matei Visniec
regia: Beppe Rosso
con: Francesca Porrini, Lorenzo Bartoli, Mario Pirrello, Valentina Virando
ideazione scenica: Ricki Ferrero, Lucio Diana, Marco Ferrero
grazie a: Ornella Balestra, Monica Iannessi, Davide Bernardi, Debora Milone
cena realizzata da Gaia EcoBanqueting-Qubi
Visto a Torino, San Pietro in Vincoli, il 9 luglio 2013
ACTI Teatri Indipendenti: http://www.teatriindipendenti.org/
Url articolo: http://www.klpteatro.it/al-cimitero-si-cena-tra-storie-di-spietata-umanita
Pubblicato su klpteatro.it il 15 luglio 2013
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