Introduzione al materialismo del XIX secolo

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Introduzione al materialismo del XIX secolo
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Introduzione al materialismo del XIX secolo
Nel corso del XIX secolo si sviluppano due diverse forme di materialismo, nate da distinte matrici, l’una hegeliana, l’altra positivista. Entrambe pensano a trasformazioni radicali della società, ma le prospettive in cui si collocano sono contrapposte:
il materialismo posthegeliano sfocia nel marxismo e nella teoria rivoluzionaria
della società e dello Stato;
il materialismo positivista pensa a una trasformazione sociale guidata dalla borghesia, padrona dei mezzi di produzione e della cultura adeguata a un futuro libero
dalle nebbie del passato e illuminato dall’idea di progresso.
Il materialismo posthegeliano
I temi del materialismo posthegeliano sono innanzitutto politici: si deve garantire la costruzione di una società in cui le ragioni profonde dell’ineguaglianza, della guerra,
dell’oppressione dell’uomo sull’uomo siano del tutto eliminate. I materialisti della scuola hegeliana non pensano a riformare la società, ma a rivoluzionarla nel più profondo
dei modi. Ritengono che si debbano ripensare il sistema sociale, frutto di una lunga evoluzione storica, e la concezione stessa dello Stato e della politica (non una nuova forma,
più giusta, di Stato, ma una società in cui non vi sia più necessità di forme di potere
quali quelle incarnate dagli Stati moderni). Sostengono, inoltre, che si debba rivoluzionare del tutto la cultura dei popoli, eliminando l’impostura delle religioni e dando in altro modo soddisfazione al bisogno umano di crearsi degli dei. In sintesi, pensano alla
più radicale delle rivoluzioni: sociale, politica e culturale. Marx, a proposito della prospettiva rivoluzionaria, valuta che le condizioni che renderanno possibile, anzi inevitabile, questa rivoluzione siano gia in atto. Compito della filosofia è quello di portarle alla
luce della coscienza filosofica, in modo che la filosofia possa non più semplicemente
interpretare il mondo, ma trasformarlo.
A proposito del ruolo della filosofia Hegel ha utilizzato l’immagine della nottola di
Minerva, che esce sul far del crepuscolo: il filosofo non ha gli strumenti per guidare la
trasformazione della realtà, e il suo compito di conoscenza può essere svolto solo quando il movimento del reale si è già dispiegato. I materialisti capovolgono questa idea e
pensano in termini rivoluzionari al loro lavoro di intellettuali. Si tratta davvero di trasformare il mondo in modo che l’uomo possa essere riconciliato con se stesso così come
non è mai accaduto nella storia. Perché questo avvenga non è sufficiente affidarsi al
corso del mondo, limitandosi a essere la sua coscienza, ma si deve penetrare nel cuore
delle leggi che regolano la vita dell’uomo (soprattutto la vita sociale) e utilizzare questa
conoscenza per guidare la trasformazione. Compito primo della filosofia è la scoperta
delle leggi dell’evoluzione storica della società. Mentre Hegel ha ritenuto di poter dimostrare che la storia risponde al necessario dispiegarsi dello Spirito e realizza nel tempo
l’Idea, il materialismo rovescia questa posizione ricercando nella storia le leggi materiali della sua evoluzione.
I materialisti, eredi in questo dei romantici, si sono battuti per la salvezza
dell’umanità, guidati da grande entusiasmo e da profondo pathos. Il loro grido di speranza riecheggia nelle lotte di generazioni di lavoratori che si richiamano al socialismo.
Dalla metà dell’Ottocento alla seconda metà del Novecento la concezione del mondo
materialista e la lotta socialista per un diverso ordine politico, economico e sociale, divengono parte di un unico quadro d’interpretazione della realtà per grandi masse in ogni
parte del mondo.
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Il materialismo positivista
È nato in ambito positivista il celebre aforisma: «Il pensiero è rispetto al cervello quel
che la bile è rispetto al fegato». È la forma più classica di materialismo: il pensiero non
ha una natura autonoma e deve essere ricondotto alla materia.
Tuttavia rispetto alle forme di pensiero materialista che si erano diffuse in Europa al
tempo dell’illuminismo, sul fondamento del meccanicismo seicentesco, il pensiero positivista della seconda metà dell’Ottocento presenta una radicale novità: si è perduta la fiducia in una facile definizione e comprensione del fondamentale concetto di materia.
Nel Settecento il materialismo aveva un fondamento metafisico, perché riposava su una
concezione meccanica delle forze e su una chiara definizione di materia, derivata dai dibattiti sul cartesianesimo del secolo precedente. Poi la scienza ottocentesca accoglie il
principio – elaborato nei due secoli precedenti – che il confine della conoscenza umana
debba essere posto nell’esperienza e che, per conseguenza, lo scienziato debba limitarsi
a interpretare i dati, piuttosto che rendere ragione di essi attraverso la elaborazione di
nozioni metafisiche.
Il materialismo di stampo positivista è quindi in prima istanza il prodotto non di una
cultura filosofica, ma scientifica: si colloca nell’età storica del trionfo della borghesia,
del mito del progresso e della scienza, e soprattutto della fiducia nella possibilità che la
scienza possa spiegare razionalmente le leggi della realtà a cui appartengono tanto il
mondo fisico quanto il pensiero.
Questa forma di materialismo rifiuta le astrazioni tipiche del pensiero metafisico, che
considera frutto di uno stadio ormai superato dell’evoluzione dell’umanità. La nozione
di spirito è rifiutata perché vaga, imprecisa, non riconducibile a oggettivi dati osservabili: è vista come un’ipotesi fantasiosa, di cui la coscienza scientifica dell’umanità deve
liberarsi una volta trovata la via corretta per l’analisi della realtà.
Se la forma posthegeliana di materialismo culmina con la concezione rivoluzionaria
di Marx e di Engels, anche la versione positivista porta con sé l’idea di una necessaria
rivoluzione, ma in maniera diversa. In questo caso è la borghesia il soggetto rivoluzionario, cosciente della propria forza e del proprio compito storico. Se la conoscenza
scientifica rimanesse confinata nel campo della scienza teorica, non potrebbe divenire il
fondamento di una rivoluzione profonda. Essa però si prolunga in tecnologie, in conoscenze applicate al concreto progetto di trasformazione della natura attraverso gli strumenti della rivoluzione industriale. È questa la sua forza rivoluzionaria.
Nel corso dell’Ottocento la trionfante borghesia ha compiuto le sue rivoluzioni politiche
violente, ma ben più profonda e radicale è la rivoluzione che essa si propone di attuare
attraverso la quotidiana opera di costruzione industriale, di scolarizzazione di massa, di
diffusione del sapere attraverso i media, di collegamento degli uomini attraverso le ferrovie che percorrono i continenti, attraverso le reti telegrafiche e poi telefoniche, la costruzione, insomma, di una società completamente differente dal passato, in grado di dare piena soddisfazione concreta ai bisogni dell’uomo.
Questa visione è sotto molti aspetti materialista, perché è fondata sull’idea del progresso come obiettivo essenzialmente materiale, che mette fuori gioco le aspirazioni religiose e allontana Dio dalla scena del mondo: «Dio è morto», concluderà in pieno positivismo Nietzsche, prendendo tuttavia posizione contro la visione positivista dell’uomo.
Non si tratta affatto di una visione disperata, solo perché relega la trascendenza e la
speranza in una vita futura nel limbo delle illusioni. Molto sottilmente, questa forma di
materialismo sostituisce valori materiali, che concretamente possono essere tradotti
in realtà nel presente, ai valori religiosi che ci parlano di una realtà oltre la vita.
Esemplare sotto questo profilo è la nascita di una nuova disciplina scientifica, la sociologia, che ha come proprio oggetto di studio la società considerata come una totalità
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in sé compiuta, dotata di proprie leggi autonome. L’obiettivo è quello di comprendere le
forze che regolano la società nella sua struttura e nella sua evoluzione, allo scopo di poterla guidare verso orizzonti prestabiliti. Il futuro non è immaginato tanto come il prodotto di un’evoluzione che l’uomo subisce, quanto piuttosto come il risultato di consapevoli sforzi dell’umanità verso il progresso opportunamente programmato.
In questa età, e per la prima volta nella storia, l’ateismo di massa diviene una realtà
crescente. Non si pensi tuttavia alla dissoluzione dei valori dello spirito: la materialista
società industriale ne propone di nuovi, genera a sua volta dei miti, primo fra tutti
l’illimitata e incondizionata fiducia nel progresso. La conoscenza scientifica,
l’espansione della cultura, soprattutto l’arte nelle sue varie manifestazioni (letteratura,
musica, arti figurative, e così via) svolgono il compito di dare spazio alla vita spirituale
a livello di massa.
Seguiremo ora il percorso di dissoluzione dell’hegelismo, tralasciando la forma positivistica del materialismo per la quale rimandiamo al percorso “Il positivismo ottocentesco in filosofia”.
L’opposizione tra idealismo e materialismo
Questa opposizione si è presentata diverse volte nella storia della filosofia, ma in forme
sempre nuove. Ciascun pensiero va compreso quindi nella sua specificità. Ad esempio,
in nessun modo è possibile accostare superficialmente il rapporto tra Platone e la scuola
materialista antica, prima con Democrito, poi con Epicuro, al rapporto tra Hegel e il materialismo ottocentesco, di Marx o dei positivisti.
Contro l’idealismo, il materialismo fa valere l’esperienza del piacere e del dolore
come elementi fondamentali della coscienza. Mentre i valori hanno il carattere di
un’idea, cioè di una realtà la cui natura è per l’idealismo indipendente dalla vita finita e
materiale della persona, il piacere e il dolore hanno il carattere di un’esperienza vissuta,
come tale strettamente legata alla dimensione individuale della persona e alla finitezza
della sua coscienza.
Non si faccia torto a Hegel pensando che nella sua interpretazione della vita e
dell’universo non trovi spazio una profonda meditazione sul dolore. Al contrario, Hegel
ha sottolineato con la dialettica il momento del negativo, ha cioè posto nell’elemento
della contraddizione e del dolore il cuore del movimento del reale. Ma ne ha fatto appunto un momento, cioè una tappa della vita dello Spirito, che nella sua razionalità
giunge alla conciliazione di ogni contraddizione. Lo Spirito tuttavia è universale, è realtà sovraindividuale: se vogliamo darne una rappresentazione concreta (che non ne coglie però l’aspetto cosmico), possiamo concepirlo come umanità molto meglio che come persona individuale. Il materialismo obietta contro questa interpretazione del mondo che il momento del piacere e del dolore appartiene in modo radicale all’uomo
individuale, che solo le persone gioiscono e soffrono e non l’umanità o l’Idea.
Mentre l’idealismo ha posto l’accento sull’universalità, il materialismo ha sottolineato l’individualità, sebbene in Marx, il cui pensiero deriva da quello di Hegel, permanga una certa tendenza a pensare in termini generali, sovraindividuali.
L’opposizione tra universale e particolare ha anche un fondamento sul diverso modo di
intendere la conoscenza umana e più in generale il rapporto tra il pensiero e il mondo
materiale delle cose e delle sensazioni.
L’idealismo tedesco sottolinea il primato del pensiero (inteso come momento unitario tra soggetto e oggetto) come realtà universale e assoluta dalla quale discendono la
coscienza soggettiva e la realtà della natura. Tutte le forme di idealismo nella storia della filosofia hanno sempre dovuto fare i conti con la difficoltà di pensare la materia, che
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è eterogenea rispetto al pensiero e non si lascia perfettamente comprendere in sé, se non
come immagine, come rappresentazione, cioè in definitiva attraverso un processo di astrazione. L’irriducibilità della materia al pensiero è stata risolta da Fichte nell’ambito
del dibattito postkantiano sulla cosa in se, della quale viene negata l’esistenza indipendente. La materia è rappresentazione. La filosofia idealista successiva ha corretto
questa riduzione della materia al pensiero, studiando l’oggettività della natura sulla base
del suo principio vitale, compreso all’interno del disegno complessivo dell’Assoluto.
Il soggetto pensante è la persona, così come l’esperienza della coscienza ci suggerisce immediatamente, ma il pensiero non è affatto ridotto a una funzione del soggetto, a
una sua attività. L’idealismo suggerisce, infatti, l’idea che il soggetto pensante sia
l’espressione di un soggetto universale, di uno Spirito. In questo modo l’individualità è
pensata come momento dell’Assoluto e, come tale, svalutata nella sua indipendente realtà: quell’indipendente realtà, che ciascuno di noi vive nell’esperienza della coscienza
di sé e della propria libertà, si rivela un’illusione, a sua volta un momento del cammino
della coscienza verso il sapere.
In particolare in Hegel il rapporto tra l’individuo e lo Spirito è pensato in molte parti
della sua opera come dramma, come tragedia, perché l’individuo necessariamente passa.
Ma la tragedia si risolve in ultimo nella conciliazione dello Spirito con sé.
Contro questa concezione il materialismo ottocentesco reagisce, perché considera
la metafisica ancora un riflesso dell’idealismo. Il pensiero non può oltrepassare i propri limiti, che sono quelli della sensibilità, e ogni metafisica li oltrepassa perché utilizza
concetti astratti che non possono essere desunti dall’esperienza. Marx ed Engels, ad esempio, prendono le distanze in modo preciso dalla forma di materialismo che definiscono volgare, quella dell’illuminismo francese e dei suoi epigoni. Ma un analogo rifiuto della metafisica è nei pensatori positivisti. La coscienza è ancora concepita come il
riflesso della materia, ma la nozione di materia è limitata a ciò che ci insegna
l’esperienza. Questo genere di studi non viene più delegato alla metafisica, ma alla
scienza, che nel corso del secolo si afferma con scoperte decisive e – abbandonata ogni
ambizione metafisica – si dimostra capace di operare sul mondo realizzando l’antico sogno dell’uomo di dominare la natura attraverso le tecnologie e l’industria.
Non c’è dunque alcuna forma di pensiero al di là del fatto che c’è un uomo che sta
pensando. Il pensiero individuale non incarna alcuna forma di pensiero universale. La
persona è ricondotta alla sua radicale individualità. In un celebre passo de La sacra famiglia, Marx dice che, per l’idealismo, nella mela il “frutto” si dà un’esistenza di mela,
nella pera un’esistenza di pera. Il materialismo dà invece alla nozione di frutto solo il
carattere di una astrazione. Nel Poscritto alla seconda edizione del Capitale scrive:
«Per Hegel il processo del pensiero, che egli trasforma addirittura in soggetto indipendente col nome di Idea, è il demiurgo del reale, che costituisce a sua volta solo il fenomeno esterno dell’idea o processo del pensiero. Per me, viceversa, l’elemento ideale
non è altro che l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini».
C’è ancora una differenza. L’idealismo studia la coscienza, e in essa trova il piacere
e il dolore come suoi elementi costitutivi essenziali. La Fenomenologia dello Spirito è
molto attenta a questo momento individuale della coscienza. Ma nella sua purezza sovraindividuale, nella razionalità del suo dispiegarsi, lo Spirito cosciente abbandona il
momento del piacere e del dolore come caratteristiche contingenti, legate solo
all’individuo che passa e non alla vita universale che fluisce nel Tutto.
Il materialismo, al contrario, sottolinea che il pensiero non può mai prescindere dal
piacere e dal dolore, se non con un atto di astrazione del momento puro della conoscenza dal mondo di emozioni che sempre lo accompagna. In questo senso, nel materialismo
è presente una difesa del soggetto reale contro il mondo di valori dell’idealismo: nel dolore dell’uomo c’è qualcosa che non può essere riscattato dal progresso generale.
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Critica filosofica
L’aroma del materialismo
Nel testo che segue, Theodor Adorno (1903-1969) studia un elemento costante nel materialismo: la protesta contro l’inganno implicito in ogni forma di idealismo, che impone
alcune verità al di sopra della esperienza e della vita, indipendenti dalla dimensione spazio-temporale dell’uomo, e ne fa la fonte di valori spirituali superiori.
«Il primo significato del termine “materia” è quello naturalistico dell’elemento, della
materia prima; ma si può pensare anche a qualcosa di diverso, per esempio
all’oggettività delle cose che insegna l’idealismo, contro la pura accidentalità del soggetto. E certamente proprio in questo punto c’è una connessione molto stretta fra idealismo e il materialismo di Marx. Hegel ha continuamente sottolineato appunto questa
oggettività contrapposta alla casualità del puro soggetto, vale a dire l’oggettività sociale, e questo momento oggettivo in Marx ha assunto una posizione assolutamente centrale. Ma in lui è nello stesso tempo unito a una critica del concetto di Spirito hegeliano o
idealistico, e l’oggettività che in Hegel aveva una struttura ideale viene rovesciata
nell’oggettività materiale. La nostra tradizione umanistica ci insegna così che Marx si
spiega con la dialettica dell’idealismo, come rovesciamento dialettico in un determinato
punto; ma in questo modo non possiamo avvertire quello che chiamerei l’aroma materialistico, e cioè quella tonalità che è propria e specifica del concetto di materialismo.
Eppure ciò che unisce fra loro le diverse scuole materialistiche in un senso più profondo forse è proprio questo aroma. [...]
Se [...] ho scelto l’espressione “aroma”, non è stato solo per la difficoltà di trovare la
parola esatta. Essa ricorda delle qualità sensoriali, fisiologiche, da cui non si può prescindere se si vuol cercare di cogliere il momento specifico che è presente in tutti i concetti di materialismo, anche se si pensa a tutto il complesso delle concezioni che si
chiamano materialistiche nel senso più ampio del termine, e che comprende diverse posizioni collegate fra loro nei modi più vari e talvolta in aspra polemica l’una con
l’altra. Ricorderò solo quello che Marx ha scritto contro il materialismo volgare oppure contro il cosiddetto materialismo antropologico di Feuerbach, che rappresenta in un
certo senso l’anello di congiunzione tra l’idealismo oggettivo di Hegel e il materialismo
marxiano. Se volete capire che cos’è che congiunge tra loro tutte queste correnti materialistiche (e vi prego di scusarmi se mi avvicino alla cosa in un modo alquanto lento e
laborioso), ebbene, si tratta di un certo tratto polemico, che si distingue radicalmente
dal tratto affermativo che è in ultima analisi comune a tutte le filosofie idealistiche. È
presente nel materialismo, in contrasto col concetto dell’empirismo o con quello del realismo, una profonda diffidenza contro l’evocazione dei valori, contro i concetti
dell’elevato e dell’eterno e del nobile e dell’immutabile (comunque questi concetti siano
stati poi determinati in particolare nelle diverse filosofie), in nome dei quali uno viene
preso per il collo, viene infinocchiato da una filosofia che in realtà è al servizio di determinati interessi.
Nel materialismo ci sono sempre state due varietà: quella sociale, la diffidenza che è
giustificata dall’idea di un mondo sociale che è un mondo ingiusto, e la diffidenza
scientifica, che combatte le idee, che concepisce come pure invenzioni, come pure
proiezioni soggettive. Alle fantasie vane e inconsistenti degli uomini (ricorderò il concetto di materia), questa forma di materialismo vuole contrapporre qualcosa di solido,
di tangibile. I1 tratto polemico del materialismo è diretto sia contro la rappresentazione
degli dei che anche contro l’idea. Questo motivo è chiaramente presente in Epicuro, ma
anche nelle diverse versioni moderne del materialismo [...]. Ha un accento materialisti-
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co la coscienza scientifica, ciò che deve essere scientificamente ineccepibile, che non
deve essere un semplice castello in aria. Questo lato del materialismo che si potrebbe
indicare come il suo lato positivistico si allea con la protesta contro l’imbroglio di cui
viene accusato il concetto di spirito, che come principio che domina la natura deve rinnegare il proprio legame con quest’ultima. I due significati del materialismo, che comprende dunque un lato metafisico-sociale (se così possiamo dire) e uno positivisticoscientifico, sono contenuti nel suo concetto sin dall’inizio. [...]
Il materialismo ha per principio una tendenza a smascherare. Se è vero quello che
abbiamo detto nelle nostre discussioni sul concetto di spirito, e cioè che lo spirito deve
essere inteso come il principio che domina la natura, si potrebbe dire che il materialismo presenta allo spirito il conto, in quanto lo convince del suo legame con la natura, e
in ultima analisi cerca l’origine dello spirito e anche delle sue più alte sublimazioni nel
bisogno vitale. [...]
Il materialismo è l’atteggiamento che a ogni proclamazione dello spirito oppone il
suo legame con la natura, e che alla fine presenta il bisogno vitale come il momento decisivo. [...] Nonostante tutta la rudezza e la problematicità che gli si possono rimproverare dal punto di vista gnoseologico, il diritto filosofico del materialismo si basa sul fatto che nei confronti dell’assai problematica astrazione che è propria della filosofia raffinata, differenziata, critica, esso le ricorda come sia le sue categorie che i suoi dati
siano stati preliminarmente accomodati e manipolati in una certa maniera. [...]
Nell’impressione viene soppresso tutto ciò che si determina secondo le qualità del piacere e del disagio, o diciamo più esattamente del piacere e del dolore; queste qualità
non possono essere disgiunte dal rapporto col corpo, e quindi hanno in se stesse un certo carattere di materialità. [...] Tutte le esperienze, anche le più spirituali, portano in sé
questo carattere di corporeità, questo rapporto diretto col corpo, nel senso del principio del piacere e del disagio; ma secondo la teoria della conoscenza sono invece dei
dati puramente spirituali [...]. Ma in questo modo si trasforma nuovamente la materia
in una formazione puramente conoscitiva, puramente gnoseologica, in un’astrazione, in
modo che tutta la teoria della conoscenza [...] non può affatto arrivare a cogliere i momenti del piacere e del disagio. Ciò accade semplicemente perché lo sguardo della teoria della conoscenza è rivolto a priori in una direzione tale da astrarre appunto da questi momenti. Anche quest’astrazione ha certamente un senso: quando conosciamo, i
momenti del piacere e del disagio hanno sempre un effetto di disturbo. Il processo di
oggettivazione della conoscenza, a cui necessariamente sottostiamo, esige che prescindiamo da questi momenti; ma non per questo essi cessano di esistere, come fatti fondamentali di quella che si chiama esperienza soggettiva. [...]
Il materialismo ha una profonda relazione con la dimensione che di solito la filosofia
sorprendentemente trascura del piacere e del disagio, anche e soprattutto del disagio. È
di Georg Simmel il detto bello e profondamente ironico, che è sorprendente quanto poco nella storia della filosofia si vedano i dolori dell’umanità. [...] L’aroma del materialismo di cui vi ho parlato dev’essere cercato proprio nel punto in cui viene a espressione questo momento del piacere sensibile da un lato e della morte dall’altro, quale si ritrova anche nell’esperienza di ogni singolo soggetto umano. [...]
Vorrei dire ancora una volta e più esplicitamente che nel materialismo il rapporto
col corpo è essenzialmente il rapporto con la morte, e precisamente con la morte intesa
come la realtà bassa, repellente e prigioniera della natura a cui tutti siamo stati assoggettati fino a oggi. [...] Così per il materialismo sono fondamentali esperienze come
quella del cadavere, della putrefazione, della somiglianza con l’animale. Penso a
un’esperienza della mia infanzia, quando vidi passare un carro pieno di cani morti destinati a essere scotennati; in questi casi uno si chiede, di colpo: Che cos’è questo? Che
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cosa sappiamo veramente? Anche noi siamo così? Questo tipo di esperienza – che non
appare in nessuna analisi esistenziale della morte – è proprio quello che il materialismo ci vuole ricordare. Se il materialismo è un correttivo, lo è perché ha a che fare con
queste cose. [...]
So che tra voi ci sono alcuni studenti di medicina; l’anatomia vi insegna qualcosa
proprio di questo materialismo e vi costringe a fare queste esperienze, del tutto indipendentemente dalla Weltanschauung (visione del mondo) che potete eventualmente
professare. Si ha direttamente di fronte questa nostra nullità. Penso che la differenza
tra l’affermazione generale e astratta di Heidegger: “Se moriamo, rimane un cadavere”
e l’esperienza che lo studente di medicina fa nella sala anatomica, quando deve sezionare un cadavere, costituisca veramente il contenuto della filosofia. Il materialismo sarebbe la filosofia che accoglie in sé la coscienza non decurtata, non sublimata della
morte; la filosofia, si potrebbe dire, che vieta di dare espressione alla speranza, e che
forse proprio in questo divieto vede l’ultimo rifugio della speranza.»
[T.W. Adorno, Terminologia filosofica]
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Materialismo e ateismo
È proprio della filosofia l’invito alla meditazione sui grandi temi della vita, quali il rapporto uomo-Dio. Il materialismo ottocentesco ha negato l’esistenza di Dio. In un breve
saggio del 1977 Giuseppe Galasso ha ripercorso la nozione di ateismo nei suoi collegamenti con le diverse dottrine filosofiche, concludendo con il materialismo ottonovecentesco. Proponiamo la conclusione del suo saggio come traccia per una riflessione su materialismo e ateismo.
«Un filosofo francese, Philippe Turney, ha posto recentemente una serie
d’interrogativi da questo punto di vista assai importanti. Traendo spunto dalle fotografie del pianeta Marte inviate sulla Terra dal veicolo spaziale americano Viking, egli dichiarava di capire che
“una linea di dottrina civile e progressista si attenderebbe dalla nostra generazione
delle rivelazioni scientifiche rivoluzionarie, per dare una svolta e una prova alla teoria
della supremazia della scienza, per impostare una nuova filosofia che, riagganciandosi
alle storiche scoperte di Copernico e Galilei, considerasse definitivamente l’universo
come unità, lasciando al piccolo uomo della Terra soltanto il privilegio di accertare i
suoi limiti naturali.
Ora, però, questo sforzo scientifico è un’arma a doppio taglio, perché lo speculatore
deve porsi pure il rischio che tale ricerca si concluda negativamente, e che tale risultato negativo debba pure avere un preciso significato.
Siamo andati sulla Luna, e non abbiamo trovato niente; tanto è vero che, superata
l’emozione sportiva dell’avvenimento, oggi quasi il fatto non si ricorda più.
Ma, si dice, miliardi di stelle hanno miliardi di pianeti, e piano piano, nei secoli,
l’uomo sarà portato a conoscere sempre qualche cosa di più circa la natura di alcuni di
essi. Possibile che non si troverà mai niente? Possibile che siamo soli? Ecco, questa
terribile parola, la solitudine dello scienziato senza fede, è veramente il nocciolo del
problema. Ebbene, se fossimo veramente soli? Ebbene, se i miliardi di stelle e di pianeti
non fossero altro che la prova dell’onnipotenza di Dio che ha ornato il cielo a esaltazione dell’uomo? Ebbene, se l’uomo fosse il centro dell’universo, se cioè questa teoria
tanto vituperata dai progressisti fosse sbagliata da un punto di vista fisico, ma terribilmente vera dal punto di vista dell’esistenza?
Insomma, se la scoperta rivoluzionaria del nostro secolo fosse quella di riconoscere
che Tolomeo aveva ragione? Che la Bibbia dice la verità? Che è bensì vero che la Terra gira intorno al Sole e che non è che un misero pianeta di uno degli infiniti sistemi so-
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lari, ma che in definitiva non c’è niente al di fuori di esso che viva, che possa comunicare, che possa rappresentare più di un ornamento per il figlio di Dio? ... L’uomo scoprirà dimensioni nuove, misurerà spazi sempre più vasti, saprà di quali elementi sono
formati corpi celesti oggi sconosciuti, ma a quale scopo? Che cosa dirà l’uomo se non
saprà rispondere a questa domanda, e se la ricerca scientifica non lo farà avanzare di
un palmo su questa strada, anzi, a ogni meraviglioso nuovo volo, dovrà riconoscere che
la sua solitudine è sempre più provata?
Forse, ripeto, sarà questa la grande, definitiva rivoluzione dei nostri tempi e di quelli dei nostri figli. La scienza costringerà l’uomo a ripiegarsi su se stesso, a riscoprire il
mistero di Dio”.
Interrogativi importanti, senza dubbio, e tali da proporne anche altri, e ancor più
importanti. In realtà non occorreva però, per porseli, uscire fuori dalla Terra, né attendere le conquiste della scienza spaziale. Bastava, per farlo, trattenersi in interiore
homine. Le Scritture cristiane fanno ricordare il quaesivi, et non inveni; fanno ricordare che inquietum est cor nostrum. Nel pensiero laico il mondo senza limiti e senza Dio
ha portato, fra l’altro, a teorizzare l’assurdo, lo scacco, l’angoscia dell’esistere. Ma le
risposte a quegli inevitabili, perenni interrogativi sono anch’esse antiche. Sono quelle
imperiture dello spirito illuministico: hypotheses non fingo; sapere aude. Sono nella
umanissima affermazione che verum et factum convertuntur; che noi conosciamo, noi
siamo solo ciò che facciamo. Nessun deserto spaziale, nessuna singolarità del caso Terra possono indurre a correre un rischio di abdicazione della ragione, di ignoranza, di
oscurantismo intellettuale, politico e sociale, assai più grave della solitudine cosmica.»
[G. Galasso]
1
T.W. Adorno, Terminologia filosofica, II, trad. it. di A. Solmi, Einaudi, Torino 1975, pp. 366-378.
2
G. Galasso, voce “Ateo”, in Enciclopedia, vol. 2, Einaudi, Torino 1977, pp. 29-30.
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