STORIA ANTIQUARIA DELLA FILOSOFIA DEL SOSPETTO

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Giampaolo Nardella
STORIA ANTIQUARIA
DELLA FILOSOFIA
DEL SOSPETTO
Riflessioni non agiografiche
su Marx, Nietzsche e Freud
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Prefazione
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Capitolo primo
Karl Marx: la struttura dietro la coscienza
1. Materialismo sì, materialismo no
2. Spirito di contraddizione
3. Indugio dietro l’ideologia
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Capitolo secondo
Friedrich Nietzsche: il nulla dietro l’essere
1. Genealogia del nulla
2. Dioniso dietro il cristianesimo
3. Tra nichilismo e debolismo
37
37
45
53
Capitolo terzo
Sigmund Freud: la pulsione dietro la ragione
1. Il disagio della scienza
2. La religione onirica
3. Psicoanalisi come profezia
63
63
71
80
Conclusione sospettabile
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Prefazione
Filosofia del sospetto è, forse, espressione sgradevole e ruvida,
magari soltanto suggestiva e catturante, gravida probabilmente di
immagini evocanti profondità veritative irretite o mascherate da
narcotizzanti mistificazioni o da soporiferi inganni.
Questa locuzione, in realtà, non è che la specificazione contemporaneistica e formalizzata di una raffinata e sapida competenza
filosofica del mondo attuale, perlomeno dei lunghi e intensi decenni che muovono grosso modo dalla stagione che, unicamente
per motivi di comoda brevità, presentiamo quale posthegeliana,
non immemori delle formidabili implicazioni teorico-prassiche
connesse con un aggettivo così epocalmente impegnativo.
La filosofia del sospetto, cioè, è una disciplina, anzi, una
scienza filosofica degna di assidersi al convito sapienziale delle
consorelle filosofie – teoretica, morale, della storia, della scienza,
del linguaggio, della religione, della musica, dell’arte, del diritto,
della mente, della logica, della fisica, della matematica, della biologia, della chimica, dell’educazione, dell’interpretazione, della
politica, della medicina, della comunicazione, ecc. – al posto che
le spetta per sua intrinseca valentia e oggettiva superiorità, ossia
a capotavola.
Invece, per un misterioso affronto che grida giustizia dai quattro venti, essa non gode ancora il credito istituzionale di una cattedra, di un’accademia, di un Nobel, di un riconoscimento e di
una gratitudine che le restituiscano l’onore e la forza che si addicono alla levatura e alla produttività della scienza.
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Hegel certamente esprimerebbe il suo ragionato dissenso per
una situazione storica che non conferisce il dovuto tributo di stima se non di esclusività proprio a quel sapere che più di ogni altro
è nella condizione speculativa di inverare e promuovere lo Zeitgeist: il sistema della filosofia del sospetto manifesta compiutamente lo spirito della presente età, a costruir la quale il pensatore
tedesco riterrà pur giustamente d’aver fornito il suo originale e
imprescindibile contributo.
Ma la problematica filosofia del sospetto, se gode di una derivazione hegeliana – potrebbe configurarsi come Fenomenologia del Sospetto – include in sé, quale suo inalienabile requisito,
l’onere di porgere alla riflessione l’ingombrante urgenza della
metafisica.
Siamo in un batter d’occhio pervenuti al punctum dolens della
questione; e, d’altronde, se ne darebbe un altro più cogente e più
essenziale?
La metafisica, ci fu suggerito a suo tempo, “è il destino della
problematicità”1 e la filosofia del sospetto ne rappresenta soltanto
una possibile modalità, quella a noi storicamente più prossima.
Però la filosofia del sospetto nella sua profonda e persuasa
ispirazione è mossa da un’intenzionalità programmaticamente
antimetafisica, da un animus che spiana la strada a una metodologia e a un’epistemologia affatto demitizzanti la tradizione
classica, cristiana, borghese.
Questa volontà di potenza antioggettivistica si finge la dissoluzione economico-politica o la nullificazione spirituale o la risoluzione psico-dinamica di un fondato orizzonte di senso presupponendo a sua volta un qualche assioma la cui natura, si voglia
riconoscere o no, invita al pensare metafisico, introducendo con
movenze logico-dialettiche o con stilemi romantico-decadenti
o con teoresi positivistico-biologistiche i neoassoluti della mo1
G. Sasso, Passato e presente nella storia della filosofia, Laterza, Bari, 1967,
p. 14.
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dernità che ha giudicato per sempre il mondo. Marx, Nietzsche,
Freud sono gli emblemi più notori e più celebrati di questa sistematica del sospetto, di questa scienza del disvelamento che,
unica nella sua originalità ermeneutica e purtroppo tardiva nella
sua finale affermazione, conclusivamente e con inarrivata probità
antiideologica sottrae l’uomo a ogni visione che ne celi, fraudolentemente o meno, la sua essenza.
Le tre distinte metafisiche – storico-materialistica, nichilistica,
psicoanalitica – offrono questo quadro esaustivo della filosofia
del sospetto che, intuiamo a costo zero, gradirebbe di esimersi,
forse per una nevrosi indotta da anticartesianesimo non rimosso,
dal sospetto di sé.
Qualche parola sul titolo. La storia antiquaria qui proposta
come oggetto delle nostre meditazioni non allude né rievoca una
delle celebri intuizioni di Nietzsche aventi a tema il rapporto tra
storia e vita. Com’è noto questa relazione può esperirsi secondo
le modalità della storia monumentale, della storia antiquaria e
della storia critica. Nel presente contesto l’accezione nietzscheana della storia antiquaria, quale riferimento alla costitutività dei
valori del passato come fondamento dell’attualità e dell’avvenire,
passa il testimone al significato corrente e non meno pregnante
di storia di ciò che è antico in quanto appartenente a una dimensione affatto perenta. Filosofia del sospetto è, forse, espressione
più libera e paradossale, capitolo inedito e urticante di una narrazione del pensiero occidentale non schiacciata su di un’interpretazione angustamente contemporaneistica. Essa accenna a una
definizione riscontrata da Giuseppe Colombo a proposito proprio
di Marx, Nietzsche e Freud, formanti, nello spirito di una comunanza antiideologica e demistificante, la beata trinità dei “maestri
del sospetto”2.
2
G. Colombo, Perché la teologia, La Scuola, Brescia, 1980, pp. 7-8.
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Capitolo primo
Karl Marx: la struttura dietro la coscienza
Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita
che determina la coscienza.
Marx-Engels, L’ideologia tedesca
1. Materialismo sì, materialismo no
Quanti sono i materialismi? E quali sono? E, soprattutto, esiste il materialismo?
Tali sensatissime domande l’umanità pensante non ha posto
se non a muovere dal 1674, allorché l’acutissimo Robert Boyle
si dette a coniare quel termine che, a datare dal secolo successivo
e con crescendo rossiniano dalla stagione romantica sin dentro
l’epoca nostra, ha conosciuto forse più di tanti altri del medesimo
vocabolario fortuna e diffusione universali. Boyle, delle cui competenze la storia della scienza è testimone autorevolissimo, lega
il concetto di materialismo a un modello di sapere che egli definisce, con espressione che più moderna non si può, Mechanical
Philosophy. È intuitivo, riteniamo, il nesso nozionale tra materialismo e meccanismo, nonché l’assunzione, anch’essa saldamente
e orgogliosamente moderna, che la ricerca del vero si connetta
principalmente o, secondo alcuni, esclusivamente alla rilevanza
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della causalità materiale quale fondamento delle spiegazioni dei
fenomeni naturali.
Da quel dì fatidico per le coscienze comuni e per molte coscienze scientifiche il materialismo più o meno aggettivato s’è
intronizzato come paradigma epistemologico unitotale, quasi mai
solleticato o sollecitato dal sospetto di un’ipotetica pluralità causativa e della problematicità dell’idea di materia.
Di certo il buon Boyle non ha la responsabilità storica degli usi
e degli abusi della parola da lui generata e dai posteri orientata secondo l’imprevedibile gioco di desemantizzazioni, di slittamenti
e di fraintendimenti nei quali s’impegola l’umano linguaggio. Da
allora prende avvio la storia moderna del materialismo, alla luce
della quale gli interrogativi appena avanzati acquistano ulteriore
e più compatta consistenza.
Catalogare o classificare i materialismi e concettualizzarne le
analogie o le differenze è impresa tutto sommato agevole: Nicola
Abbagnano nel suo trasparente e teoretico Dizionario1 ne presenta una quadruplice tipologia accanto a quelli antonomastici per
la filosofia contemporanea, il Diamat (Dialektischer Materialismus) e quello storico.
Com’è arcinoto Marx, checché ne pensi il fido amico e puntuale collaboratore Friedrich Engels, s’iscrive senz’altro a quest’ultimo come a quello che molto più del precedente fornisce alla
scienza della società gli indispensabili strumenti teorico-metodologici per l’oggettiva comprensione della storia; non è forse
Marx il redivivo Galilei, il Galilei delle scienze morali secondo il
celebre annunzio profetico di Galvano Della Volpe?
Se arriva Galilei giunge la scienza e con essa la liquidazione –
termine caro a Marx e ai marxisti – dei sospetti che velano senza
disincanto la realtà.
1 N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, UTET, Torino, 1980, voce Materialismo,
pp. 564-65.
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Ma la domanda concernente la natura del materialismo non è
oziosa, proprio come non lo è quella riguardante l’essenza della
scienza o qualsiasi ipotesi razionale che cerchi l’oggettività. La
risposta più scontata e sensata, almeno per numerosi pensanti, è
che il materialismo esiste e ovviamente la scienza parimenti: si
tratterebbe, infatti, di ribadire senza spreco di impegnative argomentazioni l’universale e incontrovertibile realtà di due evidenze
integrate e univoche.
Questa singularis opinio tiene incrollabilmente il campo della
riflessione ordinaria e specialistica con la forza e l’autorità di un
articolo di fede per ben che vada appunto da quel 1674, epocale
e significativissimo terminus a quo della definitiva rivelazione
della scienza materialistica nei suoi connotati esclusivi di unico
discorso possibile sulla Verità.
La singularis e anche communis opinio di una ferrea relazione
coniugale tra materialismo e scienza o, per taluni sarebbe meglio,
di una loro identificazione, che si paleserebbero in modo lineare
e inconcusso, non è un mero e incontrollato sentito dire, ma ha i
suoi profeti e i suoi mentori tra i quali non vorremmo annoverare
il prudente Boyle. L’albo d’oro dei materialisti è opera bibliograficamente ardua e almanaccare in quest’ambito vuol dire dare
fondo all’universo della filologia oltre che a quello della filosofia.
C’è una vulgata che contempla l’appartenenza alla nutritissima falange dei materialisti asseverata non soltanto dall’acclamazione popolare e dalla legittimazione offerta dall’establishment
massmediatico, ma anche dalle rituali consacrazioni dell’accademia non di rado consentanee agli stereotipati decreti della prima
e con le solenni sentenze della seconda. Ciò neppure basta perché a rinfocolare l’ispirazione materialistico-scientifica concorre
oggigiorno un rimpolpato afflato neomaterialistico, corroborato
da insistiti tentativi di ricostruzione del sistema categoriale del
materialismo storico o da rifondazioni dello stesso con l’ausilio
di apporti teorici e metodici di altra provenienza disciplinare.
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