ARCHITETTURA ROMANA All’inizio la cultura artistica romana non ebbe una fisionomia propria, ma si configurò come momento di intersezione tra la tradizione etrusca, incombente da nord, e quella ellenistica proveniente da sud. La tradizione vuole far risalire la fondazione di Roma al 750 a.C., tuttavia l’egemonia vera e propria del mondo romano iniziò nel IV secolo a.C. per terminare nel V secolo d.C. con l’avvento delle invasioni barbariche. Poiché il predominio politico si sviluppava su un vasto territorio (Spagna, Gran Bretagna, Grecia, Asia Minore, Medioriente e Africa Settentrionale), il problema principale fu quello di riuscire ad amministrare popoli molto eterogenei. L’urbanistica, l’edilizia, l’organizzazione del territorio e una amministrazione fortemente centralizzata furono gli strumenti utilizzati dal mondo romano al fine di omogeneizzare realtà così diverse tra loro. Uno dei primi provvedimenti attuati fu la ridistribuzione del territorio mediante la centuriazione. Quest’ultima consisteva nella suddivisione del terreno secondo un sistema modulare a scacchiera. Rispetto all’organizzazione ippodamea c’era la predominanza di due assi principali perpendicolari: il cardo e il decumano, rispettivamente con orientamento nord-sud ed est-ovest (figg.1-10). Territorio e città erano fortemente correlati, in quanto la città doveva sottostare alla struttura della centuriazione: gli assi viari principali coincidevano con il cardo e il decumano (figg.11-17). Inoltre gli agglomerati urbani cinti da mura non presentavano al loro interno una rigida zonizzazione come la città ippodamea. Spesso venivano realizzate mappe del territorio su lastre marmoree o bronzee, che venivano poi spedite a Roma e conservate nel Tabularium (figg.18-19). Sembra che il castrum – l’accampamento militare che poteva anche assumere una funzione amministrativa - avesse una struttura derivata dalla centuriazione. Oltre alle due strade principali tra loro ortogonali, ovvero la praetoria (cardo) e la principalis (decumano), vi era la via quintana, parallela alla principalis. (fig.20). I Romani conquistando vasti territori molto rapidamente, avevano necessità di costruire con velocità, in modo economico e con maestranze non specializzate; dunque non era possibile utilizzare pietre squadrate poste a secco per due motivi: era troppo costoso e non si disponeva di scalpellini qualificati come quelli greci. I Romani inventarono quindi l’opus caementicium (III sec. a.C.), ovvero un impasto costituito da malta di calce e caementa, che 1 solidificava a contatto con l’aria. Particolari additivi (pozzolana) venivano aggiunti per consentire la presa in ambienti umidi o per incrementare la resistenza meccanica. Il conglomerato era gettato in appositi casseri lignei che venivano poi smontati. Poiché le pareti così realizzate non presentavano un aspetto gradevole, si pensò di utilizzare dei casseri permanenti, ovvero cortine costituite da blocchi squadrati (opus quadratum). L’opus incertum si distingueva dall’ opus quadratum per il fatto che al posto di blocchi squadrati si impiegavano pietre di piccola pezzatura e di forma irregolare come rivestimento esterno. L’opus reticulatum consisteva invece nell’immergere nell’opus caementicium la punta di piccole pietre a forma di piramide, in modo da ottenere filari orientati a 45°. Per opus mixtum si intendeva una cortina di contenimento costituita dall’accostamento di materiali diversi. Inoltre c’era l’opus testaceum che utilizzava il laterizio come contenimento dell’opus caementicium. Infine l’opus vittatum era formato da piccoli blocchetti di pietra disposti in modo abbastanza regolare (figg.21-34). Mentre nell’ambito dell’architettura greca si faceva uso unicamente del sistema architravato (struttura trilitica: trabeazione su colonne), i Romani, spinti dalla necessità di coprire luci maggiori e avvalendosi dell’opus caementicium, introdussero il sistema archivoltato (arco su pilastro). La differenza fondamentale tra i due sistemi consisteva nel fatto che la seconda, contrariamente alla prima, era una struttura spingente, ovvero esercitava una spinta verso l’esterno che tendeva a ribaltare i piedritti. In funzione della geometria dell’intradosso si distinguono vari tipi di volta, principalmente suddivisi in volte semplici (a botte, a vela…) e in volte composte (a ombrello, a padiglione, a crociera…). La realizzazione di archi e volte avveniva mediante l’ausilio di un’impalcatura lignea (centina) che riproduceva l’intradosso della struttura da realizzare. Sopra potevano essere posate nervature di collegamento in mattoni che costituivano l’ossatura resistente al getto di opus caementicium. Dopo la presa la centina veniva smontata, Un altro metodo per la realizzazione di strutture voltate era dato dalla posa, al di sopra della centina, di un letto di mattoni bipedali. Spesso per abbellire l’intradosso si realizzavano dei cassettoni, costruendo sulle centine sagome lignee che imprimevano in negativo il cassettone nel manto di opus caementicium (figg.35-45). Il Foro, pur differenziandosi per molteplici aspetti, corrispondeva all’agorà del mondo greco. Generalmente posto all’incrocio del cardo e del decumano, era costituito da una piazza, di solito rettangolare, con la presenza continua di portici sui lati. Il Foro era contornato da una serie di edifici tale da renderlo il centro civile, religioso e commerciale della città. Un esempio 2 tipico di Foro è quello di Pompei, contornato dal capitolium (tempio religioso), il macellum (mercato e botteghe), il lararium (edificio per celebrare i Lari), l’eumachia (per la pubblica amministrazione), il comitium (per la pubblica assemblea), la basilica (edificio pubblico dove si svolgevano contrattazioni commerciali e dove si amministrava la giustizia) e altri edifici a carattere pubblico e religioso (figg.46-47). A Roma invece i Fori erano numerosi. Oltre a quello romano, vi erano i Fori imperiali, una vasta area costituita dall’unione dei fori fatti costruire dai vari imperatori (Augusto, Vespasiano, Nerva e Traiaino) per autocelebrarsi. Nel Foro di Traiano (II sec. d.C.), particolarmente complesso, era evidente la predilezione per la linea curva, tipica dell’età traianea. I mercati traianei, posti su un lato del Foro di Traiano, erano un complesso di edifici che si sviluppano su più piani e dislivelli attorno ad un portico a forma di esedra. Qui avvenivano transazioni commerciali e la compravendita di generi alimentari. Tra i vari edifici vi era una grande aula rettangolare in cui le botteghe, poste su due piani e collegate mediante un ballatoio, si affacciavano su un ampio e alto spazio centrale coperto da volte a crociera (da notare la notevole dimensione dei setti murari per contrastare le spinte esercitate dalle volte) (figg.48-58). Tra i tipi edilizi caratteristici del mondo romano vanno annoverati i Templi. Quest’ultimi generalmente si dividevano in due grandi categorie: - pseudoperipteri (senza peristilio, le colonne del pronao non proseguivano lungo le pareti del tempio ma erano ridotte a semicolonne addossate alle pareti) - peripteri sine postico (con peristilio incompleto sul lato corto opposto a quello del pronao di accesso). Caratteristica comune delle due tipologie era la presenza di una scalinata di accesso che aveva lo scopo di superare un dislivello conseguente alla presenza di un podio su cui in genere poggiava il tempio romano. Inoltre si poteva riscontrare una marcata assialità longitudinale che privilegiava la vista frontale dell’edificio, contrariamente a quanto avveniva nel mondo greco. Il tempio romano rispecchiava un evidente compromesso fra il tempio etrusco e quello greco. Meno diffusi erano i templi peripteri. Tra i templi peripteri a pianta circolare vanno tuttavia ricordati quello nel Foro Boario a Roma e quello di Vesta a Tivoli. Questa tipologia circolare colonnata, che a sua volta riprendeva quella a tholos greca, influenzerà profondamente l’arte rinascimentale e neoclassica (figg. 59-65). Costruiti nei pressi di Roma, i Santuari si caratterizzavano soprattutto per la scala monumentale, per una rigida composizione simmetrica, per la specularità dei bracci che circondavano il tempio e per il fatto di essere realizzati su più livelli raccordati mediante rampe e scalinate (figg.66-68). 3 Il Pantheon si pensava fosse stato realizzato nel II secolo a. C., ma in seguito agli scavi archeologici di fine ‘800 si è potuto accertare che fu costruito in fasi diverse. Sui resti di un precedente tempio fatto erigere da Agrippa al tempo di Augusto, il Pantheon fu edificato da Adriano nella forma attuale tra il 118 e il 28 d.C. (durante il periodo imperiale sotto Adriano), Il Pantheon divenne in seguito una chiesa cristiana (S.Maria ad Martires). Realizzato in una porzione di città densamente edificata e ricca di edifici importanti, tale tempio era preceduto da una piazza rettangolare allungata che originariamente doveva essere porticata su tre lati congiungendosi al pronao. L’impianto del Pantheon si compone del pronao ottastilo corinzio, dell’avancorpo e della cella circolare coperta dalla cupola emisferica con oculo zenitale che costituisce l’unica fonte di luce. Il diametro della cella è di 43,20 metri ed è uguale all’altezza. Nella cella, all’interno del muro perimetrale (circa 6 metri di spessore), si aprono sette nicchie, alternatamente di pianta semicircolare e rettangolare. Le pareti della cella presentano un ordine corinzio al piano terreno, con colonne e lesene, e un piano attico con lesene più ridotte in altezza. Sulla cornice dell’attico appoggia l’imposta della cupola, che presenta l’intradosso cassettonato. Perfettamente emisferica, la cupola va progressivamente alleggerendosi per l’impiego, nel calcestruzzo, di cementa sempre più leggeri fino all’apertura circolare di 8,80 metri di diametro. La cupola era stata realizzata con centine lignee aeree, probabilmente appoggiate sulla cornice dell’attico. Il profilo dell’estradosso della cupola è solo parzialmente visibile in quanto, nella fascia dell’imposta, esso è inglobato nella muratura verticale (Figg.69-80). La Basilica era un edificio pubblico che si affacciava sul foro ed era il luogo dove si amministrava la giustizia ed avvenivano le transazioni commerciali. In genere era contornata da un portico e gli ingressi erano disposti indifferentemente sia sui lati lunghi, sia su quelli corti. Non c’era un orientamento privilegiato per la basilica, così come accadeva invece per i templi religiosi. All’nterno lo spazio era suddiviso in tre o più navate attraverso colonnati, mentre su uno dei lati corti era generalmente posta una nicchia sopraelevata atta all’amministrazione della giustizia (tribunal). La copertura era capriate lignee (figg.81-85). Le Terme erano edifici pubblici sempre presenti nelle città romane, in quanto rappresentavano importanti luoghi di incontro. Sembra che tali impianti abbiano avuto origine nei dintorni di Napoli, per la presenza di acque termali naturali di cui erano sfruttati i naturali benefici. I più antichi stabilimenti termali noti sono quelli di Pompei (80 a.c.). 4 Le terme Stabiane erano un complesso occupante un intero lotto e si sviluppavano attorno ad una corte centrale porticata. Le zone dei bagni erano suddivise in più ambienti: vestibolo d’ingresso, caldarium, tepidarium e frigidarium. Le terme Centrali, sempre a Pompei, presentavano uno schema molto simile a quello delle Stabiane. L’acqua veniva riscaldata mediante il passaggio di aria calda al di sotto di pavimenti sospesi o all’interno di particolari intercapedini murarie. Inoltre negli stabilimenti termali pompeiani le sale maggiori avevano una copertura con volte illuminate dall’alto da oculi circolari (figg.86-89). In età imperiale gli edifici termali ebbero un grande sviluppo. Le terme di Agrippa (25 a.C.) e quelle di Nerone (62-64 a.C.) presentavano una simmetria assiale: natatio (piscina), tepidarium, frigidarium, caldarium e sui due lati palestre ed edifici perfettamente simmetrici (figg.90-91). Anche nelle terme di Tito (80 d.C.) si ripeteva lo stesso schema, mentre in quelle di Traiano (110 d.C.) si riscontrava la presenza di un grande recinto, che oltre ad essere costituito da vari ambienti, racchiudeva al suo interno un giardino e una piscina esterna (figg.92-93). Le Terme di Caracalla (216 d.C.) erano anch’esse racchiuse da un grandioso recinto quadrato. L’edificio centrale del bagno, a pianta rettangolare, presentava la tipica disposizione delle terme imperiali romane: al centro, lungo la linea assiale, gli ambienti fondamentali erano disposti secondo la canonica graduazione; frigidarium, tepidarium e caldarium. La copertura del frigidarium era costituita generalmente da volte a crociera apparentemente poggianti sulle colonne laterali, ma in realtà contraffortate da profondi setti murari retrostanti (sistema a baldacchino), articolati in nicchie (figg.94-96). La pianta delle Terme di Diocleziano (305 d.C.) ripeteva in forma più monumentale quella delle Terme di Caracalla. Tale impianto termale è in parte tuttora esistente: il frigidarium infatti fu trasformato in chiesa cristiana (S.Maria degli Angeli) ad opera di Michelangelo (figg.97-99). Nel mondo romano venne attribuita minore importanza ai Teatri rispetto al mondo greco, e si tendeva a restaurare quelli già esistenti piuttosto che a costruirne di nuovi. A differenza di quello greco, il teatro romano era costituito da un edificio vero e proprio, con una cavea gradinata appoggiata su setti murari radiali, con corridoi anulari di passaggio, una scena fissa e una facciata curvilinea. Non vi era un tetto fisso, ma un velario, opportunamente disteso, provvedeva a riparare gli spettatori dal maltempo e dal sole. Il teatro romano era costituito mediante la tecnica dell’opus caementicium e della struttura voltata. La facciata curvilinea era risolta utilizzando la sovrapposizione su più piani del motivo fondamentale dell’arco su pilastri inquadrato dall’ordine architettonico. La scena non era più costituita dall’ambiente naturale, ma da un vero e proprio apparato architettonico, che riproduceva una quinta urbana. 5 Lateralmente alla scena c’erano due parasceni, con scale che consentivano la salita alle parti alte per manovrare il velario. Il teatro di Pompei aveva originariamente un impianto classico ed ellenistico, che fu poi trasformato in età romana. L’orchestra e la cavea erano semicircolari, ma quest’ultima procedeva oltre l’orchestra e si univa al palcoscenico. I primi teatri romani erano strutture provvisorie in legno e soltanto dal I secolo a.C. si iniziò a costruirne di stabili in pietra. Il teatro di Orange fu uno dei primi teatri interamente in muratura realizzati al di fuori di Roma. Il teatro di Marcello (11a.C.) presentava una facciata costituita da una serie di arcate su pilastri incorniciate dall’ordine architettonico (dorico-tuscanico al primo piano, ionico al secondo). Non si sa se originariamente avesse anche un terzo piano (figg.100-104). L’Odeon, che in genere affiancava il teatro, era un edificio minore destinato alla musica, con la cavea raccorciata e inscritta in un quadrato, in modo da renderne possibile la copertura con un tetto stabile assicurato a robuste travature lignee. Grande importanza venne attribuita all’Anfiteatro, un edificio destinato ad ospitare pubblici spettacoli, con un impianto planimetrico all’incirca ellittico. L’anfiteatro era collocato generalmente alla periferia della città, circondata da ampie aree aperte, in vicinanza di grandi arterie stradali, in modo da consentire ordinatamente una grande affluenza di pubblico. Mentre quello di Pompei (79 a.C. circa) è uno dei più antichi conservati, l’anfiteatro per antonomasia è rappresentato dal Colosseo (80 d.C.). Il suo prospetto è ordinato su quattro livelli: i primi tre sono costituiti dalla sequenza del motivo fondamentale dell’arco su pilastri incorniciato dall’ordine architettonico, dal basso verso l’alto rispettivamente tuscanico, ionico e corinzio; il quarto livello, corrispondente ad un muro pieno scandito da lesene corinzie, reggeva a sua volta un’imponente cornice con mensole a modiglione, con fori che consentivano l’alloggiamento delle aste lignee destinate a sorreggere il velario. (figg.105-112) Creazione schiettamente romana fu l’Arco trionfale. Ricollegabile ai fornici e alle porte arcuate inserite nelle mura di fortificazione delle città etrusche e romane, a partire dal II secolo a.C., l’arco trionfale iniziò ad essere realizzato in pietra, come un monumento isolato con significato commemorativo e onorario. Gli archi di trionfo potevano presentare un solo fornice oppure tre, e generalmente erano dotati di un alto zoccolo e di un attico superiore, che accoglieva l’iscrizione commemorativa. I fornici erano costituiti da archi su pilastri ed erano sempre incorniciati dall’ordine architettonico, generalmente corinzio o composito. Le decorazioni erano presenti su ogni 6 prospetto e il fregio era riservato alla figurazione dell’evento storico a cui l’arco si riferiva. La tipologia dell’arco di trionfo influenzò notevolmente gli architetti del Rinascimento (figg. 113-119). Le Porte urbiche romane erano semplici, ma in esse la tecnica costruttiva era portata ad alta perfezione, ed era pure molto curato il sistema difensivo ottenuto con due robuste torri laterali (a sezione circolare, poligonale o quadrata) sporgenti dall’allineamento esterno delle mura e con la creazione di una seconda porta più arretrata sul filo interno delle mura; fra le due porte vi era un vano scoperto dominato dai corridoi di guardia correnti sopra le mura. Al fornice principale di accesso spesso erano affiancati due fornici minori che permettevano il passaggio pedonale. Nel periodo imperiale la porta assunse spesso un aspetto monumentale ed era sovente sormontata da due o tre ordini di finestre (Porta Palatina a Torino, Porta dei Borsari a Verona). (figg.120-124) Nell’ambito dell’architettura romana bisogna distinguere due tipi fondamentali di Abitazione: l’uno, di carattere inizialmente rurale, per una sola famiglia, si svolgeva su un solo piano, con ambienti disposti intorno ad uno spazio centrale libero e chiusi verso l’esterno (domus); l’altro, di carattere prettamente cittadino, destinato alla coabitazione di più famiglie, si sviluppava su più piani, con botteghe al piano terreno, aperto verso l’esterno e con all’interno un piccolo cortile (insula). Pompei ed Ercolano, a causa della subitanea distruzione che ne ha arrestato lo sviluppo edilizio, consentono una fedele ricostruzione della tipologia della domus. La domus era costituita da un’area chiusa quadrangolare entro la quale erano ricavati gli ambienti di abitazione secondo una disposizione assiale. La porta d’ingresso, lungo l’asse principale, affiancata da botteghe affacciate sulla strada, mediante un corridoio conduceva ad una corte centrale (atrium), parzialmente coperta da quattro falde di tetto convergenti e poggianti su travi (compluvium) che consentivano di raccogliere l’acqua piovana nella vasca sottostante, detta impluvium. Intorno all’atrio, che era l’elemento peculiare che distingueva la casa greca da quella romana, si disponevano i vari ambienti. Ai lati vi erano le stanze private e nel corpo antistante l’ingresso vi erano i vani in cui la famiglia si riuniva. Sul retro spesso si apriva un orto o un giardino che poteva anche presentare dei portici (peristilio). (Figg.125130) L’alta densità edilizia della città romana portò anche allo sviluppo verticale della casa, costituendo l’insula, con appartamenti distribuiti su più piani. Tale residenza, destinata ai ceti popolari, si staccava nettamente dalla domus, sostituendo all’atrio la cavità più ampia di un cortile, fonte di luce e di aria non solo per gli ambienti del pianterreno, ma anche per gli 7 appartamenti dei piani superiori. Più corpi scala consentivano l’accesso ai piani alti. Il prospetto si apriva generalmente con una fila di botteghe (tabernae) a pianterreno e con balconi e finestre ai piani soprastanti. Una grande concentrazione di insulae si trovava ad Ostia, che dal II sec.a.C. divenne il porto di Roma, assistendo ad un notevole incremento delle popolazione. (figg.131-133) Verso il principio dell’Impero l’abitazione signorile di campagna, la Villa, acquistò caratteri particolari: alla residenza vera e propria, inizialmente collegata all’attività agricola, vennero aggiunte costruzioni accessorie (bagni, terme, terrazze…) collegate fra loro da porticati, muraglioni con nicchie decorative, vasche e ninfei, in modo che l’elemento costruito e quello naturale si completassero l’un l’altro, dando luogo a complessi edilizi articolati e assai estesi. A Pompei la “Villa dei Misteri” nella prima metà del I secolo d.C. subì un processo di trasformazione: l’estrinsecazione dell’interno verso l’esterno. Quel che era il centro della casa patriarcale, l’atrium, assunse una funzione secondaria. I vari ambienti spostavano il loro ingresso dal centro alla periferia, ovvero non si affacciavano sull’atrio, ma sulle logge e terrazze esterne per meglio godere della natura circostante. (figg.134-136) Il complesso di Villa Adriana (118-138 d.C.) più che ripetere, sia pure in scala monumentale, gli schemi delle più importanti ville di quell’età, li moltiplicò raccogliendo in un grandioso insieme un gran numero di edifici, distribuiti su vari piani e diversi assi secondo l’andamento del terreno e raccordati l’uno all’altro da una vasta rete di gallerie. Il palazzo imperiale occupava tutto il lato nord, articolandosi da est ad ovest con quattro successivi peristili; in direzione nord-est vi era la “Piazza d’oro”, una vasta area rettangolare circondata da un portico di sessanta colonne con un grande ninfeo absidato sulla parete meridionale. Da questo si passava al cosiddetto Atrio dorico a pilastri scanalati, ad un’aula basilicale e attraverso un grande peristilio al cortile delle Biblioteche. In posizione appartata vi era il Teatro Marittimo, poi il Pecile (quadriportico rettangolare), le Piccole e Grandi Terme e il Canopo con il Serapeo e il tempio di Serapide. Spesso gli edifici e gli spazi della villa prendevano il nome di località lontane che Adriano aveva visitato nei suoi numerosi viaggi. Da notare in tutti questi edifici la grande articolazione planimetrica, la frequenza di andamenti curvilinei e la presenza di cupole a spicchi. (figg.137-151). Da Augusto in poi gli imperatori romani andarono ad abitare sul colle, detto appunto Palatino, che fu gradualmente invaso dalle loro residenze. In seguito all’incendio del 64 d.C., Nerone iniziò sul vicino colle Oppio la Domus Aurea. Si trattava da una residenza elaborata, 8 dove venivano a combinarsi i caratteri delle ville suburbane della capitale con quelli delle ville costiere del Lazio e della Campania. La pianta era quella convenzionale delle ville sul mare, con la facciata a portico che si apriva su una terrazza. Una importante novità era costituita dalla coenatio, una sala con pianta ottagonale, che era contornata da stanze radiali su cinque lati, mentre gli altri tre si aprivano direttamente o indirettamente sul portico frontale. Tutto il complesso era coperto da volte: la sala centrale da una volta ottagonale che si risolveva alla cervice in una cupola emisferica con oculo centrale, e le stanze radiali da volte a botte e a crociera. I muri nei quali erano ricavate le “nicchie” fungevano da contrafforti per i pilastri che dovevano reggere la volta; ogni ambiente doveva quindi essere inteso non come entità a se stante, ma facente parte di un’organizzazione d’insieme più complessa (caratteristica tipica dell’architettura termale). Anche la Domus Augustana presentava delle sale ottagonali voltate, i cui lati si articolavano in nicchie alternatamente curve e rettangolari: anche qui la complessità della geometria dava luogo ad un complesso unitario in grado di sostenere i carichi soprastanti. In questa residenza si manifestava sempre più accentuata la tendenza a sviluppare accanto al corpo a peristilio ampi porticati rettilinei o esedre concave, sia come modulazione delle facciate, sia come articolazioni che si distendevano adeguandosi al terreno o secondo particolari orientamenti e visioni panoramiche (figg.152-156). Il palazzo di Diocleziano a Spalato (300 d.C. circa) rappresentava una tappa finale nell’evoluzione dell’architettura residenziale imperiale romana. Con il mutare della situazione politica, la casa, soprattutto se isolata nel territorio, passò da una struttura ampia ed aperta ad un complesso dall’aspetto fortificato, che sembrava riprendere la struttura del castrum. Il palazzo di Diocleziano era difeso da mura, affacciandosi per un lato sul mare. Era attraversato da due strade colonnate che separavano i quartieri della guardia imperiale dall’abitazione dell’imperatore, collocata verso il mare. Il quartiere imperiale conteneva un mausoleo e un tempietto. Il peristilio che conduceva al palazzo vero e proprio era costituito da due colonnati che non davano luogo ad un portico, ma privi di una parete retrostante, erano due semplici file di colonne. Queste ultime non reggevano un architrave, ma degli archi sormontati a loro volta da una trabeazione continua. In corrispondenza dell’ingresso del palazzo il peristilio presentava anche un frontone detto siriaco (arco sormontato da un timpano triangolare). Il mausoleo di Diocleziano era esternamente di pianta ottagonale, mentre all’interno lo spazio era delimitato da colonne a due ordini sovrapposti e nicchie circolari. Nel territorio del tardo impero, minacciato dalle popolazioni barbare, vennero a crearsi i Castella. Per Castella si intendeva un’opera di fortificazione e difesa costruita da una cinta 9 muraria in laterizio, con un coronamento merlato dietro il quale correva un cammino di ronda scoperto. La cortina era interrotta da torri di difesa. Le porte di accesso erano a uno o due fornici ed affiancate da torri (figg.157-163). Nei primi decenni del III secolo le piante centrali lobate divennero molto comuni. Molti edifici con questo impianto appartenevano all’architettura funeraria ecclesiastica, altri erano vestiboli, padiglioni da giardino, ninfei… Lo schema tipico era quello di una rotonda cupolata, contornata da nicchie che potevano essere tutte circolari (Tempio di Minerva Medica) o alternatamente curve e rettangolari (Mausoleo di Romolo o Tempio della Tosse). Alcuni di questi edifici riproducevano, seppur in modo semplificato, il modello del Pantheon, ovvero un impianto rotondo preceduto da un pronao (Sepolcro dei Gordiani sulla via Prenestina). Il Tempio di Minerva Medica (Ninfeo degli Horti Liciniani) aveva una pianta inconsueta: un decagono i cui lati, salvo quello d’ingresso, si aprivano in nicchie semicircolari. La cupola si innalzava su un tamburo in cui si aprivano ampi finestroni ad arco che illuminavano lo spazio centrale del padiglione. La grossa innovazione apportata dal Tempio di Minerva Medica era il fatto che le absidi circolari erano visibili all’esterno, fuoriuscendo dal perimetro circolare. La struttura risultava così movimentata e non chiusa e statica come poteva essere il Pantheon. Questo tipo di edificio a pianta circolare sarà poi ripreso e sviluppato nei secoli successivi dall’architettura bizantina e paleocristiana (figg.164-167). L’ultima basilica imperiale, eretta a Roma da Massenzio e terminata da Costantino, trasse la sua forma dalle maestose aule centrali delle terme, abbandonando lo schema tradizionale. L’architettura di tale basilica ricalcava quella del frigidarium. L’impianto era costituito dalla sequenza di tre grandi volte a crociera affiancate da tre grandi volte a botte disposte seguendo l’asse longitudinale maggiore. Le volte a crociera apparentemente appoggiavano su colonne libere poste ai vertici, sorrette in realtà dai profondi setti murari laterali e contraffortate dalle volte a botte longitudinali. Essendo le volte totalmente sostenute dai setti murari, il muro perimetrale non partecipava all’economia statica dell’edificio e quindi poteva essere molto sottile e avere ampie aperture. (figg.170-171). Durante la prima metà del IV secolo si hanno esempi di vaste aule absidate, connesse con le residenze imperiali che la nuova situazione politica e militare aveva fatto sorgere anche nelle regioni di confine. Esse erano destinate a udienze e cerimonie e prendevano il nome di “aule palatine”. 10 L’aula costruita a Treviri era costituita da un’aula unica con un grande arco, detto trionfale, che precedeva l’abside, posta sul lato corto, dove si collocava l’imperatore o un alto funzionario che si rivolgeva alla folla. L’ambiente era molto luminoso per la presenza di due ordini sovrapposti di finestre, accentuate all’esterno dal motivo dell’arco su pilastri che richiamava l’architettura degli acquedotti. La copertura era piana, a cassettoni (figg.172-174). 11