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APPUNTI DI ACUSTICA E SUONO
Intensità dei suoni
L'intensità minima al di sotto della quale l'orecchio umano non percepisce alcun suono è
detta soglia di udibilità o «soglia della sensazione sonora».
L'esperienza dimostra che la soglia di udibilità non è la stessa per tutte le frequenze, cioè che
l'orecchio presenta sensibilità diverse a seconda della frequenza delle onde acustiche (vedi figura).
Assumendo come riferimento la frequenza di 1000Hz, la soglia di udibilità corrisponde alla
potenza acustica di 10-12 W/m2.
A partire da questa potenza acustica di .soglia, il campo delle potenze acustiche entro il quale
l'orecchio percepisce intensità sonore crescenti è limitato da un massimo: una potenza con la quale
la intensità sonora eccessiva da inizio a uno stato di sofferenza (soglia della sensazione dolorosa),
che corrisponde a 10 W/ m2, sempre per la frequenza di 1000Hz.
Tra la soglia di udibilità e quella di sensazione dolorosa il campo delle potenze acustiche è
enormemente esteso, e corrisponde a 1013 volte quella di soglia (infatti, il rapporto fra le potenze
acustiche massima e minima è: 10 : 10-12 = 1013). Però, anche se l'intensità di sensazione sonora
(soggettiva) non si presta a precise valutazioni quantitative, si ritiene che il suo modo di aumentare
segua una legge diversa da quella con cui aumenta la potenza acustica P di eccitazione (oggettiva).
Se infatti P diviene 10, 100, 1000 volte maggiore di una certa potenza acustica P0 di riferimento, si
ritiene che l'intensità di sensazione rispettiva non cresca nello stesso modo, ma che sia più
verosimile attribuirle un aumento I1 in corrispondenza di 10 P0 e 2 I1, 3 I1 in corrispondenza di 100
P0 e l000P0 . Si ammette dunque, dopo avere fissato un conveniente valore da attribuire a I1 che
potenze acustiche 10 P0 102 P0 103 P0 ... producano intensità di sensazioni misurate da I1 2I1 3 I1
... cioè proporzionali ai logaritmi delle potenze acustiche di eccitazione: in questo modo si
introducono criteri quantitativi di valutazione di intensità soggettive. (Legge di Weber-Fechner)
Ricordando che alla frequenza di 1000Hz la potenza di soglia di udibilità e quella di soglia del
dolore sono rispettivamente 10-12 W/m2 e 10 W/m2.
Per costruire una scala per le intensità sonore si assume come valore di riferimento zero proprio il
limite inferiore di udibilità a 1000Hz.
-1
-10 db
0 db ZERO 0 10-12 W/m2
1 10-11 W/m2
10 db
2 10-10 W/m2
20 db
3 10-9 W/m2
30 db
4 10-8 W/m2
40 db
… …
12 101 W/m2
120 db
decibel
1 (=100) uguale alla soglia minima di udibilità
10 (=101) volte più grande di 10-12 W/m2
100 (=102) volte più grande di 10-12 W/m2
1.000 (=103) volte più grande di 10-12 W/m2
10.000 (=104) volte più grande di 10-12 W/m2
1012 volte più grande di 10-12 W/m2
bel
Timbro dei suoni.
Per comprendere il timbro dei suoni, bisogna premettere, in base alla osservazione degli
oscillogrammi corrispondenti alle vibrazioni di varie sorgenti, che, oltre a suoni semplici o puri,
rappresentati graficamente da semplici sinusoidi e quindi prodotti da una unica frequenza (come
quelli dei diapason), vi sono spesso suoni composti (fig. 7-27), come quelli emessi da corde vibranti
o da canne sonore, rappresentati da curve più complesse, a carattere periodico, per effetto della
presenza nelle vibrazioni di una frequenza / fondamentale e di frequenze multiple di / (suoni
armomci o parziali). Con l'analisi armonica di un dato suono, si risale ai suoni parziali e si rileva
che l'immensa varietà di suoni di timbro diverso dipende dal numero e dall'intensità dei suoni
armonici che accompagnano il suono fondamentale. La fase di ciascun suono parziale, mentre
modifica la forma degli oscillogrammi, non influisce sul suono composto.
Il timbro di un suono di data frequenza fondamentale deriva dal numero dei suoni arminici che si
compongono col fondamentale e dalle loro singole intensità.
Scala musicale intervalli, accordi.
Le sensazioni uditive si potrebbero distinguere in suoni propriamente detti e rumori: distinzione mal
definibile, specialmente se stabilita in relazione a sensazioni gradevoli e sgradevoli. Ogni suono trae
origine da vibrazioni ordinate e dotate di determinato periodo, mentre un rumore deriva da un
miscuglio di vibrazioni più o meno disordinate e prive di un vero e proprio periodo: ma anche su
queste basi non si giunge a una distinzione netta.
La musica si vale di suoni di varia altezza e di timbro adatto prodotti simultaneamente o
successivamente da appositi strumenti « musicali » con intensità, altezza, ordine, durata e ritmo
prestabiliti.
La musica non fa uso di tutti i suoni che l'orecchio può percepire (fra circa 20 Hz e circa 20 kHz):
salvo gli armonici, che concorrono a dare il timbro caratteristico di ciascuno, ne sceglie un certo
numero, con frequenze crescenti fra circa 30 Hz e 4500 Hz, secondo una scala precisa, dalla quale
vengono esclusi i suoni troppo bassi e specialmente quelli troppo alti. I criteri di scelta delle
frequenze dei suoni musicali, più che sulle frequenze assolute, si fondano sugli effetti estetici di
suoni che hanno frequenze in determinati rapporti, generati sia simultaneamente che
successivamente.
Il rapporto fra le frequenze di due suoni, il primo più alto del secondo(cioè f>f'), viene chiamato
intervallo, ed è espresso perciò da un numero che non è mai minore di 1.
Gli intervalli espressi da numeri interi (2, 3, 4, ...) si riferiscono agli armonici di un
suono dato.
L'intervallo uguale a 1 si dice unisono; l'intervallo uguale a 2 viene chiamato di ottava, per una
ragione che si comprenderà più innanzi: tra due suoni che hanno questo intervallo (la frequenza del
primo è doppia di quella del secondo, cioè mentre la sorgente del primo compie due vibrazioni,
quella dell'altro ne compie una sola), si coglie una particolare affinità, ricevendo impressioni simili,
anche se l'altezza è diversa.
Due suoni con frequenze proporzionali a 3 e 2 (come per es. 1500 Hz e 1000 Hz) hanno intervallo
3/2, detto di quinta. Due suoni con frequenze proporzionali a 5 e 4 (per es. 1500 Hz e 1200 Hz)
hanno intervallo 5/4, detto di terza maggiore, e così via.
Due o più suoni, prodotti simultaneamente, danno origine a un suono composto, detto accordo.
Tra gli accordi prodotti abbinando due suoni qualunque, soltanto alcuni risultano più o meno
gradevoli per la loro armoniosità (accordi consonanti), mentre molti altri sono sgradevoli (accordi
dissonanti).
Per una legge di armonia, intravista da Pitagora, esiste una relazione fra accordi consonanti e
rispettivi intervalli: sono consonanti gli accordi fra due suoni il cui intervallo è espresso da una
frazione con termini piccoli (ciascuno non superiore a 5). Da ciò deriva un primo criterio per la
scelta dei suoni più adatti a formare una scala musicale, cioè per fissare le note musicali.
La scala naturale.
Per formare una scala musicale sufficientemente ricca di note, fra quelle con intervalli di ottava
(cioè con frequenze f e 2f, 2f e 4f, 4f e 8f, ecc.) si inseriscono varie note intermedie, scegliendo
quelle che, rispetto alla nota più bassa di ciascuna ottava, hanno intervalli più consonanti o almeno
poco dissonanti, disponendo tali intervalli nell'ordine dei valori crescenti, a partire dalla nota di
base di ciascuna ottava, si ottengono sette intervalli, che corrispondono a sette note inserite in
ciascuna ottava: a ciascuna di queste sette note è stato dato un nome speciale rispettivamente do, re,
mi, fa, sol, la, si. Dopo il si, settima nota inserita, segue l’ottava nota, con intervallo 2, cioè quella
nota, chiamata appunto ottava, che è il do1:. ha inizio con essa la seconda gamma, formata da altre
sette note che si susseguono con gli stessi intervalli. Si ha così la scala naturale.
In ogni ottava della scala naturale la successione dei toni e dei semitoni è la stessa, ma è priva di
regolarità in quanto si susseguono note a intervalli disuguali (precisamente: due toni, un semitono,
tre toni, un semitono). Da ciò derivano inconvenienti che si potrebbero ridurre inserendo negli
intervalli di un tono altre due note intermedie, l'una un po' più alta della precedente, chiamata diesis
di essa, l'altra un po' più bassa della successiva, chiamata bemolle di essa. Così si ottiene la
successione: do, do diesis, re bemolle, re, re diesis, mi bemolle, mi, fa, fa diesis, sol bemolle, sol,
ecc.; in tutto 17 note per ogni ottava, numero eccessivo, che complica la costruzione di alcuni
strumenti.
La scala temperata.
In questa scala, detta anche scala cromatica o scala di Bach, si conservano le sette note della scala
naturale e se ne inserisce una sola tra quelle che presentano l'intervallo di un tono (cioè tra do e re,
tra re e mi, tra fa e sol, ecc.); perciò si aggiungono altre cinque note per ogni ottava, che risulta così
di 12 note, facendo in modo che si passi dall'una all'altra per semitoni tutti uguali. Ciascuna delle
nuove cinque note aggiunte si considera contemporaneamente diesis della nota precedente e
bemolle della successiva. Così per es. quella inserita fra re e mi è re diesis e anche mi bemolle.
Nella scala temperata, le frequenze delle 12 note di ciascuna ottava formano una progressione
geometrica. Il semitono costante della scala temperata è dunque un intervallo uguale a 12 2 .
Esempio: DO3 DO# RE RE# MI
C
C#
D
E#
E
Hz
FA FA# SOL SOL# LA3 LA#
F
F#
G
G#
A A#
261.6 277.2 293.7 311.1 329.6 349.2 370
392
415.3
440
SI
B
DO4
C
466.2 493.9 523.3
La scala temperata è stata adottata perché i vantaggi offerti compensano ampiamente le lievi
alterazioni delle note riferite alla scala naturale.
Le differenze tra le frequenze delle note in una ottava, nelle due scale, calcolate partendo dalla
frequenza di 24 Hz, sono relativamente piccole. Infatti si ha:
do re
mi fa
sol
la
si
scala naturale
24 27 30
32
36
40
45
scala temperata 24 26,94 30,24 32,04 35,96 40,36 45,3
do
48
48
Le differenze sono tollerate dall'orecchio, che si adatta a note alterate.