Alcune riflessioni d*agosto sui temi del previsto incontro

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Museo. Valori di legame e dono partecipativo
Appunti per una discussione (Mario Turci)
Invitato a partecipare alle giornate SIMBDEA di Buonconvento (Musei in tempo di crisi. In
difesa dei musei demoetnoantropologici – 10/11 novembre 2012) ed in particolare nella sezione
“Musei piazza civica in tempo di crisi”, sono intervenuto, in dialogo con Fabio Dei, sviluppando una
riflessione sui temi delle cittadinanze democratiche del museo contemporaneo, già motivo di una
relazione al Colloquio Internazionale RIME Beyond Modernity. Do Ethnography Museums Need
Ethnography? (Museo Nazionale Preistorico Etnografico “L. Pigorini” - Roma 18/20 aprile 2012). Il
testo scaturito dall’intervento a RIME è pubblicato ora sulla rivista on-line ”Roots§routes. Research
on visual cultures” (www.roots-routes.org).
Ho pensato ora di comporre questa riflessione strutturandola in tre idee-forza, tre
premesse sostanziali e una argomentazione in tre mosse.
> Idee-forza
La prima: utilità sociale.
A che servono i musei? A permettere negoziazioni interpretative dell’eredità, quindi produrre
patrimonio. Ma tali negoziazioni diventano “produttive” (leggi: utili alla collettività) quando
attivano il patrimonio in forme sociali di costruzione partecipata
La seconda: totalità etica.
Senza una totalità etica del patrimonio ogni narrazione patrimoniale rischia di diventare sofistica,
statica, autoreferenziale.
La terza: museo e dono.
Immaginare strategie museali del “dono partecipativo” come occasioni per una critica al museo
quale luogo di definizione delle distinzioni : noi/voi, dentro/fuori, istituzione/collettività,
offerta/consumo. Inoltre, nel nostro caso l’ etnografia può presentarsi come opportunità per uno
“smontaggio della referenzialità” istituite.
> Premesse sostanziali
Dono partecipativo e valore di legame
Intendo quale “dono partecipativo” del museo, innanzitutto la sua rinuncia a porsi al centro della
relazione, attraverso un suo spostamento di baricentro che permetta relazioni di scambio che non
partano da un potere d’ offerta (è sempre un potere discrezionale) ma dal riconoscimento del
proprio limite e provvisorietà. Il museo del “dono partecipativo” è il modo del museo di dichiarare
il suo bisogno di collettività, la sua incompletezza, la sua esposizione ai rischi di una solitudine
avara di relazione.
“…esiste un valore, quello legato alla capacità che i beni e servizi, se donati, hanno di creare e
riprodurre relazioni sociali: un valore che potrebbe essere chiamato valore di legame, in quanto,
con tale approccio, il legame diventa più importante del bene stesso.” Marco AIME (Da Mauss a
MAUS, introduzione a, M. Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società
arcaiche, Einaudi, Torino, 2012 p. XIII).
Donare spazio di relazione “…per rispondere alle spinte dell'individualismo esasperato e rompere
l'isolamento, ritrovare un legame di appartenenza, un legame con l'altro in quanto cifra
significativa dell'identità dell’ Io. Quindi il dono mostra l’altro come simbolo della nostra
incompiutezza e insufficienza, quasi donatore di senso alla nostra esistenza.” Francesca BREZZI
(Introduzione a - F. Brezzi, M. T. Russo (a cura di), Oltre la società degli individui. Teoria ed etica del
dono, Bollati Boringhieri, Torino, 2011, pp. 11-12)
Patrimonio attivo
Credo sia importante non dar per scontate le risposte a quesiti (che potrebbero apparire scolastici,
se non rimandassero oggi ai temi salienti del rapporto fra “politiche del patrimonio” e
democrazia/cittadinanza) quali: cos’è, di chi è, dove sta, il patrimonio? Io risponderei (seppur con
tutti i vizi della sintesi): “cos’è”! Il patrimonio è l’ereditato che può concorrere alla qualità della
vita (dormiente e passivo se solo conservato e mostrato, attivo a produttivo se scambiato e
negoziato in forme partecipative, quindi donato); “di chi è”! E’ di tutti (ed anche di coloro che non
ne sono eredi per storia); “dove sta”! Sta dove la relazione realizza prodotti negoziali, dove il
dialogo da frutti condivisi (sta sostanzialmente nei luoghi degli spazi terzi). Definendo come spazi
terzi quelli della costruzione negoziale di prodotti creativi del noi/assieme). A mio giudizio i
prodotti concreti che sono espressione di quella che ho poc’anzi chiamato “costruzione negoziale
di prodotti creativi del noi/assieme”, sono la sostanza del patrimonio attivo.
Il “patrimonio attivo”, quello che produce socialità, spesso non riesce a stare nelle stanze del
museo. Le trova sovente strette ed anguste perché queste non sono state “apparecchiate” per
permettere dialoghi e quindi co-azioni di produzioni di patrimonio. il patrimonio (attivo e
socialmente utile) che non sa stare totalmente nel museo, così come tradizionalmente concepito,
ci getta di fronte all’esistenza di due pratiche museali: a) quella della descrizione del patrimonio
(mostrare, dimostrare - spazio della prova, della definizione, della comunicazione del dato di
certezza); b) quella della produzione di patrimonio (smonta, negozia, costruisce - spazio del dono,
della prossimità, del “non ancora…”)
Musei di prossimità
Il museo di comunità, spesso piccolo, a volte spontaneo e precario, si presenta ora più che mai
prezioso nella sua potenzialità di avamposto di prossimità fra patrimonio e collettività. Se i beni
culturali sono patrimonio collettivo, e quindi collettivo ne è l’usufrutto, il patrimonio nell’ evidenza
sociale della sua sostanza politica e culturale sarà innanzitutto (per i legittimi proprietarie e nel
bene e nel male) “così come è percepito”. Qui propongo un parallelo con quanto indicato nell’
articolo 1 della convenzione europea del paesaggio che recita “il paesaggio designa una
determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva
dall’azione di fattori naturali e/o umani e delle loro interrelazioni”, per sottolineare il rapporto fra
comunità e patrimonio a partire dalla sua percezione (coscienza di appartenenza al patrimonio). Il
Museo di prossimità ha il compito di partire dalla percezione del patrimonio, per attivare una
“coscienza di appartenenza” che nasca da una negoziazione fra i suoi significati d’eredità e quelli di
socialità, di risorsa patrimoniale disponibile alle qualità della vita e alle pratiche di cittadinanza
attiva (interessante è notare come tali argomenti ed attenzioni siano espressi nelle nuove
Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione,
pubblicate il 4 settembre scorso).
Il Museo di prossimità è un museo in cui la relazione si presenta come risorsa fondamentale, ma la
relazione si nutre di tempo dedicato, pazienza, fiducia, presenza, ascolto, partecipazione, coprogettazione, disponibilità, sostanzialmente: dono.
> Argomentazione
A - Per il superamento dell’etica della restituzione. Etica del custode
- Restituzione = presuppone la presenza di una autorità che può “disporre” del bene da
“eventualmente” restituire
- Rinuncia ed etica del custode = rinuncia all’autorità di posizione (il disporre del bene) per
assumere quella di “garante del presidio di cittadinanza”, custode per la comunità, sentita la
comunità.
- Sentire la comunità = predisposizione di occasioni di costruzione patrimoniale per la produzione
di spazi terzi. Gli spazi terzi sono gli spazi della gratuità e reciprocità del dono partecipativo
B – Inquieti o pacificati
Le politiche del “dono partecipativo” orientano sostanzialmente a scenari che ci pongono di
fronte a due forme di museo etnografico: una) i musei contenitori di oggetti e documenti del
patrimonio (chiarisco: ho detto non” il patrimonio”, ma “del patrimonio”, perché in questo caso, a
mio giudizio, il patrimonio è altrove), nel nostro caso sono musei etnografici, pacificati e attuali al
proprio tempo. Qui il patrimonio è socialmente passivo e riservato. Rischia l’ obsolescenza politica;
l’altra) i musei partecipativi, sempre inquieti (quindi mai soddisfatti) e inattuali, nel nostro caso
sono musei d’etnografia, capaci quindi di una etnografia partecipata, di relazione, di attivazioni di
cittadinanze. Qui il patrimonio è “scambiato”, decostruito, attivo, produttivo di relazioni, gettato
nel contemporaneo.
C – Piccolo è bello. Contro le moratorie utilitaristiche.
Il piccolo museo di comunità, per sua natura e “storia” è d’ avamposto, e per questo tanto
importante quanto delicato. Il museo d’avamposto si regge e si nutre del patrimonio di relazioni
che ha saputo tessere investendo tempo e durata. Qui la pratica del dono partecipativo trova il
suo cantiere, la sua officina. Difendere il museo d’avamposto dalle spending review e moratorie
utilitaristiche significa darsi, nella bufera attuale, un possibile approdo di speranza. Il Museo
d’avamposto è luogo della Cura della relazione, del prendere a cuore le cittadinanze di patrimonio.
Nel museo d’avamposto istantaneità e precarietà sono da assumersi come valori di quella
leggerezza e fragilità che sostengono la “cura” dei valori di legame (quelli partecipativi).
Legando e parafrasando Charles Simic e Giorgio Agamben:
I musei dovrebbero essere sempre inquieti, precari e fuori moda, quindi permanentemente
contemporanei.
Testi di riferimento
- M. Aria, F. Dei, Culture del dono, Meltemi, Roma, 2008.
- F. Brezzi, M. T. Russo (a cura di), Oltre la società degli individui. Teoria ed etica del dono, Bollati
Boringhieri, Torino, 2011.
- A. Caillè, Il terzo paradigma: antropologia filosofica del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1998.
- F. Dei, M. Aria, G. L. Mancini, Il dono del sangue. Per un'antropologia dell'altruismo, Pacini Editore, Pisa,
2009.
- M. Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Einaudi, Torino, 2012
- M.C. Nussbaum, Creare capacità. Liberarsi dalla dittatura del Pil, il Mulino, Bologna, 2012.
- A. Salsano, Il dono nel mondo dell'utile, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.
- R. Sennett, Insieme, Feltrinelli, Milano, 2012.
- Convenzione di Faro. Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per
la Società (2005).
- Convenzione europea del Paesaggio (2000).
- Indicazioni nazionali per il curricolo (MIUR - 5 settembre scorso 2012) e in modo particolare nei tre capitoli
di premessa: Centralità della persona, Per una nuova cittadinanza, Per un nuovo umanesimo.
- F. Drugman, Lo specchio dei desideri. Antologia del museo, Clueb, Bologna, 2010.
- I. Karp, C.M. Kreamer, S.D. Lavine, (a cura di), Musei e identità. Politica culturale delle collettività, Clueb,
Bologna, 1995.
- H. de Varine, Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo locale, Clueb, Bologna,
2005.
- H. de Varine, Musei locali del futuro. Riflessioni, intervento presentato a Pontebernardo (Cuneo) 22
maggio 2011 - dattiloscritto.
- N. Simone, The participatory museum (testo è disponibile on-line al sito
www.participatorymuseum.org/chapter1).
- “Museum 2.0” - Sito (museumtwo.blogspot.it).
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