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Le cure palliative per le patologie non tumorali | 1
Andrea Lopes Pegna
L’uomo non è distrutto dalla sofferenza; è distrutto dalla sofferenza
senza significato.
La rubrica “Spotlight” del BMJ del 16 settembre 2010 è dedicata alle cure palliative per le
patologie non tumorali [1].
Un tema di attualità dal momento che nei Paesi sviluppati la morte avviene molto più spesso
di una volta a seguito di malattie croniche non tumorali.
L’aumento delle malattie croniche è strettamente legato all’invecchiamento della
popolazione [Figura 1]. Le malattie croniche non tumorali sono caratterizzate dal lento
degradare della funzionalità con un andamento associato però a picchi di riacutizzazioni
della malattia [Figura 2][2].
La maggior difficoltà ad individuare il momento della vicinanza alla terminalità,
per queste patologie rispetto a quelle tumorali, rende ancora più problematico
stabilire il limite delle/alle cure e quando cominciare ad affrontare con chiarezza le
cure di fine vita. Si assiste così ad un crescente ricorso per queste patologie alle cure in
ospedale che sempre più spesso diviene però luogo dì morte con frustrazione non solo degli
ammalati e dei loro familiari, ma anche degli stessi sanitari e con costi crescenti per le cure
dell’ultimo anno di vita. Nella società odierna “La sofferenza dovrebbe essere affrontata
piuttosto che eliminata, e la morte dovrebbe essere accolta anziché respinta” (Ivan Illich)[3].
Figura 1. Distribuzione nel mondo della popolazione di età >65 a. nel 2002
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Fonte: WorldMapper
Figure 2. Traiettoria delle malattie croniche non tumorali [2]
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Lo “Spotlight” del BMJ affronta i seguenti aspetti:
Tutti andiamo verso la morte. Occupiamoci di questo
“Saresti sorpreso se il paziente che stai curando morisse per la sua patologia entro
un anno?”; la risposta affermativa a questa domanda è un indice che siamo di fronte ad una
patologia che potrebbe trarre vantaggio dalle cure palliative.
Nasce però la difficoltà di parlare delle cure di fine vita con il paziente; non tutti i pazienti
vogliono affrontare questo problema anche se è noto che “i giusti colloqui, con le
persone giuste, al momento giusto possono consentire ai pazienti e ai loro cari di
fare un miglior uso del tempo che rimane da vivere”.
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La problematica della morte: parliamone
Per molti la propria vita è basata principalmente non solo sulla strenua difesa della salute,
ma anche della propria immagine di giovinezza. La paura della morte porta a non parlare
della morte anche quando si dovrebbe pensare a pianificare le cure nella fase terminale
della propria malattia. Si ignora così ciò che potrebbe essere ottenuto con le moderne cure
palliative.
Anche se la maggioranza delle persone vorrebbe essere informata sulla prognosi della
propria patologia, trova difficoltà a porre domande in merito; altri invece non ne vogliono
parlare perché continuano a considerare erroneamente molto lontana la propria morte[4].
Stimolare il dialogo in merito alle cure di fine vita è un importante mezzo per
cambiare l’atteggiamento attuale di fronte alla morte. Una volta che il processo del
morire è trattato male rimangono segni indelebili nella psiche collettiva con conseguente
rifiuto ad affrontare il problema della morte.
Riconoscere e trattare i cambiamenti chiave alla fine della vita
Il percorso delle cure palliative di fine vita inizia con il riconoscere la persona che si
avvicina alla fine della vita e con il tentativo di discussione sulle sue preferenze nelle cure di
fine vita. L’approccio deve essere personalizzato sulle necessità della singola persona e dei
care givers nei vari setting di cura (domicilio, ospedale, altra struttura sanitaria). In
considerazione dell’elevato numero di persone che potrebbero trarre beneficio da una
pianificazione delle cure di fine vita, queste dovrebbero essere gestite dai sanitari presenti
nei vari setting di cura, supportati dagli specialisti in cure palliative.
Si hanno due momenti di transizione delle cure: a) un primo graduale passaggio dalle cure
attive alle cure palliative e di supporto generale e b) un secondo passaggio alle cure della
fase terminale [Figura 3].
Figura 3. Fasi di passaggio delle cure[1]
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Passaggio alle cure palliative e di supporto generale
Giudicare questo primo passaggio non è cosa facile soprattutto per i pazienti affetti da
patologie croniche progressive non neoplastiche; una scelta precoce in merito incide su
come e, potenzialmente dove, queste persone moriranno. Gli indici prognostici delle
patologie croniche, mentre possono essere utili per i trials clinici o per scelte terapeutiche
quali il trapianto d’organo, non si adattano alle scelte di cure di fine vita. Sono stati utilizzati
criteri più attendibili, quali il Performance Status, associati a sintomi quali l’anoressia, il
delirio, la dispnea; ma anche in questo caso gli indicatori sono attendibili per chi vivrà
solo qualche settimana e non per chi può vivere ancora 6-12 mesi. Nella Tabella 1 [vedi
PDF: 1,41 Mb]viene descritto come identificare i pazienti valutati per cure palliative e
di supporto. Una precoce pianificazione delle cure è importante per i pazienti che
potrebbero perdere in futuro la capacità ad esprimere un consenso o le proprie preferenze
sulle cure.
Passaggio alle cure della fase terminale
La diagnosi della fase terminale può essere problematica per numerose ragioni; tra queste
la mancanza della continuità assistenziale con scarsa conoscenza della storia del paziente.
Così i pazienti quando sono ricoverati in ospedale spesso continuano a ricevere un
trattamento attivo per la loro patologia fino alla vicinanza della morte; viene detto
“non sai mai cosa si può ottenere dalle cure ospedaliere”. La decisione di sospendere
un trattamento attivo può essere difficile e incerta quando non è stato possibile discutere in
precedenza una pianificazione delle cure.
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Avere difficoltà nel dialogo riguardo la fine della vita
Alla difficoltà di affrontare un dialogo sulle cure di fine vita, si aggiunge, nelle patologie
dall’esito letale ma diverse dal cancro, la difficoltà di individuare una prognosi precisa della
malattia che è spesso caratterizzata da ripetuti ricoveri ospedalieri (“paralisi prognostica”).
Spesso si affronta il problema delle cure di fine vita tardivamente quando il paziente sta
troppo male per poter instaurare un dialogo significativo. L’ospedale non è capace di
individuare in modo routinario chi si avvicina alla fine vita, almeno non sia veramente vicino
all’exitus; né sono presenti codifiche per un corretto inquadramento del fine vita e della
pianificazione nelle cure.
Si dovrebbe cominciare un colloquio sulle cure di fine vita quando si ha uno scarso
controllo della sintomatologia, si determina un cambiamento delle necessità di
cura, si ha un deterioramento funzionale, si rende necessario un ricovero
ospedaliero e, in campo oncologico, si rende necessaria una sospensione delle cure
oncologiche o si ha progressione della malattia.
Si instaura spesso la dinamica per cui i professionisti preferiscono aspettare a parlare coi
pazienti delle cure di fine vita e i pazienti non vogliono toccare questo argomento finché non
viene affrontato dai loro curanti. Raramente sono gli specialisti, compresi gli oncologi, ad
iniziare la discussione delle cure di fine vita. Dovrebbe essere un compito del medico di
medicina generale, ma questo spesso sente la carenza delle competenze
specialistiche e aspetta l’input iniziale da parte dello specialista. Il paziente aspetta
che l’inizio del dialogo avvenga dal reparto specialistico, ma chi vi lavora spesso non ritiene
suo compito affrontare queste tematiche. Così nessuno sente la responsabilità di
iniziare a parlare della fase terminale della malattia e i pazienti e i loro familiari
sono lasciati spesso soli e in stato di confusione in merito alle future opzioni di
cura.
Realizzare una buona morte per tutti
“Come le persone muoiono rimane nella memoria dei vivi” (Dame Cicely Saunders [5]); “Il
modo di come ci prendiamo cura delle persone alla fine della vita è sicuramente un
indicatore di come ci prendiamo cura di tutti gli ammalati e delle persone fragili” [6];
“Sarebbe auspicabile che il personale sanitario fosse formato a offrire buone cure di fine
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vita almeno quanto lo è per eseguire le manovre rianimatorie, quantunque queste siano
procedure che solo pochi metteranno in atto in un anno” [7]. Il percorso Liverpool di cura
per il morente (LCP “Liverpool care pathway” ) rappresenta un programma di
miglioramento delle cure per il morente[8]. L’LCP ha lo scopo di preparare il personale
sanitario alle cure di fine vita e riporta i principi chiave del modello di cura degli
Hospice in altri setting di cura.
Dimensioni spirituali del morire in una società pluralista
“L’uomo non è distrutto dalla sofferenza; è distrutto dalla sofferenza senza significato” (VE
Frankl[9]). Le convinzioni religiose e spirituali spesso influenzano le decisioni del paziente
verso la morte. Così coloro che pensano che la durata della propria vita sia nelle mani di un
Dio più grande di loro accettano più facilmente la sospensione di trattamenti futili ed
emanano un senso di dignità e di calma nell’attesa della morte. Nelle cure di fine vita
deve trovare il suo posto anche una valutazione dei bisogni spirituali del morente.
La medicina si è tradizionalmente basata sulla conoscenza dell’animo dell’ammalato per
apportare la cura, ma in setting di cura troppo impegnativi si rischia che la relazione tra
medico e paziente sia o non considerata o sottomessa alla tecnologia.
Andrea Lopes Pegna, Pneumologo dell’A.O.U. Careggi, Firenze
Bibliografia
Spotlight: Palliative Care Beyond Cancer
Murray SA, Kendall M, Boyd K, Sheikh A.Illness trajectories and palliative care. BMJ
2005;330:1007-1011, doi:10.1136/bmj.330.7498.1007 [PDF: 137 Kb]
Ivan Illich. L’aumento delle cure genera nuove patologie: l’ossessione della salute perfetta.
Il Manifesto, Le Monde Diplomatique, Marzo 1990
Dying Matters Coalition. Nat Cen survey on attitudes towards dying, death and
bereavement commissioned on behalf of Dying Matters, July-September 2009: Dying to talk
Boyd K, Murray SA. Palliative Care Beyond Cancer. Recognising and managing key transitions in end of
life care. BMJ2010;341:c4863 Doi:10.1136/bmj.c4863 (Published 16 September 2010).
Saunders C. Pain and impending death. In: Wall PD, Melzak R, eds. Textbook of pain. 2nd
ed. Churchill Livingstone, 1989: 624-31.
Marie Curie Palliative Care Institute Liverpool. National Care of the Dying Audit of
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Le cure palliative per le patologie non tumorali | 7
Hospitals generic report round 1. 2007. [PDF: 400 Kb]
Smith R. More training needed following concerns about death pathway: cancer tsar. Daily
Telegraph 17 October 2009.
Roberts A, Gambles M. The Liverpool care pathway (LCP) for the dying patient. In: Kinghorn
S, Gaines S, eds. Palliative nursing—improving end-of-life care. 2nd ed. Elsevier, 2007.
Frankl VE. Man’s search for meaning. Simon and Schuster, 1984
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