BRUNO MAGLIOCCHETTI AND ANTHONY VERNA (EDS.) THE MOTIF OF THE JOURNEY IN NINETEENTH-CENTURY ITALIAN LITERATURE Introduction by M. H. Abram s Gainesville: University Press of Florida, 1994. 199 pp. Che sia un percorso interiore, volto al trascendimento di uno stato spirituale, ovvero un puro movimento nello spazio, il viaggio rimane una delle costanti della vita umana, per natura sempre proiettata oltre i limiti che la cingono. Di qui la sua costante presenza nella vita religiosa, nella catarsi ascetica, nella produzione letteraria, nel rigore della speculazione filosofica, nonché, purtroppo, nelle necessità della vita economica ο politica. Indagare il motivo del viaggio nell'Ottocento — lo "stupido XIX secolo" per Leon Daudet, ma esaltato da tanti quale tempo del risveglio delle coscienze — riveste un grande interesse, se si pone mente all'estrema complessità del periodo, transitorio nel senso più vasto ed onnicomprensivo. Si creano grandiosi ed epocali spostamenti; la crisi della religione tradizionale, nonostante un andamento irregolare, allarga nel complesso la sua manifestazione a settori sempre più ampi della popolazione europea; l'elemento borghese mostra con una forza inusitata la capacità di porsi come elemento condizionante e finanche dominante sulla scena politica dei Paesi avanzati, tanto da costringere le monarchie ad aggiornarsi e trasformarsi — e si potrebbe continuare a lungo. Il motivo del viaggio, nella varietà delle sue forme, è rilevante anche nella nostra letteratura dell'Ottocento e costituisce una chiave di lettura per coglierne preziose sfumature di vario ordine. Lodevole, dunque, l'iniziativa di Magliocchetti e Verna, entrambi del Dipartimento di Italianistica della University of Toronto, di riunire a convegno nel 1989 alcuni critici, ben noti al pubblico degli specialisti, per discutere 82 intorno a questo argomento, così utile ed intrigante, allo scopo di mostrare "Italy's contribution to the history of the trope, at a time when countries became increasingly more interdependent and conscious of each other's cultures." Nell'introduzione al volume ("Spiritual Travelers in European Literature") M. H. Abrams si assume, tra l'altro, il compito di ricreare lo sfondo culturale e religioso di questo grande tema, rintracciando una storia del topos della peregrinatio vitae dal mondo ebraico fino al Romanticismo. Delinea, per dirla in breve, un profilo dei grandi riferimenti che potevano essere presenti alla mente degli uomini di lettere italiani nell'Ottocento. Abrams così sostiene: "Although they have recognized antecedents and analogues, the literary journeys that are identified and described in the essays in this volume render the motif in distinctive ways that reflect the historical and cultural circumstances of nineteenth-century Italy, as well as the temperament and talent of the individual authors" (p. 17). I contributi sono stati offerti da studiosi che hanno ben coordinato le loro fatiche, considerando l'argomento proposto nella globalità delle sue linee essenziali, mostrando altresì di non dimenticare che l'Italia era ancora nello scorso secolo meta del Grand Tour, quindi meta di viaggi compiuti da uomini di cultura e da esponenti delle classi alte europee, che nel nostro Paese cercavano l'edificazione, la crescita interiore nella prossimità alle vestigia dell'antichità classica ed alle altissime testimonianze della civiltà umanistico-rinascimentale. Sicché, opportunamente Eleanor Cook ("The Italian Journey: From James to Eliot to Browning") ricorda come "the motif of the journey in Italian literature is not complete unless we include the journey to Italy in all Western literature" (p. 52). Ella utilizza, in un contributo di ampio respiro uno spunto di grande interesse critico, la "literary allusion," nel rintracciare il viaggio allusivo di uno scrittore James, all'indietro fino a Eliot e Browning. Il viaggio in Italia è vero Bildungsreise. Particolarmente attraverso Portrait of a Lady si aprono inoltre orizzonti di una indagine al femminile; un'indagine su quanto di specifico il viaggio possa voler dire per la donna nella pluralità delle sue condizioni sociali e sentimentali: "James leads his heroine toward the question that lies at the center of his own art, the possible tension between the beautiful and the good, between aesthetics and ethics" (p. 52). Anche l'intervento di Christian Bec ("Italie-Italies: Typo/Topologies of French Travel Accounts in the Nineteenth Century") si volge a 83 mostrare come l'Italia del XIX secolo fosse vista da alcuni viaggiatori stranieri, come Théophile Gauthier ο lo Chateaubriand. Essi sono emblematici di alcune linee di giudizio, che non sempre rendevano adeguata giustizia alla nostra realtà. Il tema affrontato, il viaggio nella nostra letteratura ottocentesca, mostrerebbe una grave lacuna qualora non si considerasse, all'inverso, anche quanto intellettuali, narratori, giornalisti italiani hanno scritto all'estero. Non va infatti dimenticato che in questo secolo l'Italia dà alla cultura anche valenti egittologi, ricercatori e inviati speciali che non hanno avuto timore di lanciarsi talvolta in viaggi, per i tempi, avventurosi. Di ciò si è occupato Elvio Guagnini ("New and Traditional Forms of Nineteenth-Century Travel Literature"), che ha messo in evidenza le caratteristiche degli scritti di viaggio di personaggi come Giuseppe Acerbi, della Biblioteca Italiana, e di autori ben noti al grande pubblico dei contemporanei, come Giovanni Faldella, Edmondo De Amicis, Renato Fucini, che, pur nel contrasto delle opinioni, talvolta raggiunsero i livelli della vera arte. Ma che cosa dire dell'atteggiamento verso il viaggio dei massimi esponenti della nostra cultura? Colui che tenta una sintesi generale è Antonino Musumeci ("Of Swallows and Farewells: The Morality of Movement in Italian Literature of the Ottocento"). Esaminando le maggiori e più rilevanti personalità, nonché opere e figure di livello qualitativamente inferiore, ma forse ancora più espressive del sentire generale, Musumeci giunge alla conclusione che quanto meno il movimento fisico, locale, è connotato in termini negativi. Esso appare come un allontanamento da un mondo carico di valori, la cui perdita, anziché presentarsi al modo di una potenzialità creativa ed espressiva, di un guadagno esistenziale, si configura quale lacerazione e dramma. Diverso naturalmente, è il caso per il viaggio consumato nello spirito, nel mondo del sogno e della metafora, per il quale si danno sempre tutte le possibilità. Di Foscolo, uno spirito che molto più dei suoi contemporanei ha viaggiato, vuoi per fatti politici, militari, economici, vuoi per l'inquietudine che lo divorava ο per che altro ancora, Gustavo Costa traccia ("Ugo Foscolo's Europe: A Journey from the Sublime to Romantic Humor"), insieme con un breve schizzo dei viaggi che fisicamente compì, anche il passaggio dall'uno all'altro dei grandi valori estetici, "the sublime and the comic. Both are linked to the theme of the journey, which can be either sublime (as in the case of Ulysses) or 84 comic (as in the case of Sterne's Yorick)" (p. 21). Le peregrinazioni del poeta da Zacinto all'Italia, alla Francia e all'Inghilterra, trovano un parallelo nel passaggio dal sublime all'humor, realizzando la "fusion" estetica nelle incompiute Lettere scritte dall'Inghilterra. Il Foscolo, che ebbe a patire la bruciante esperienza dell'esilio; il Foscolo pienamente consapevole del valore che la nostra civiltà aveva avuto e poteva avere nel consesso delle nazioni civili, passa da Dei Sepolcri a Le Grazie: passa da una poetica ispirata al celebre trattato di Longino al trionfo del bello sul sublime. Leopardi, studiato da G. Singh ("Giacomo Leopardi: Journey from Illusions to Truth"), per qualche tempo credette di poter trovare nell'allontanamento dal borgo natio una forma di liberazione, ma ben presto si ritrasse dalle sue illusioni e affrontò la terribile vanità del mondo. Singh lo segue nel passaggio alla scoperta della verità, che è "l'infinita vanità del tutto," in un viaggio interminabile, che prende le mosse da una disincantata osservazione della realtà, descritta e poeticamente narrata con spietata lucidità, impietosa chiarezza, ascetico distacco. Valutando il complesso dell'opera manzoniana, sulla quale si è soffermato S. B. Chandler ("The Significance of the Journey in Manzoni"), il tema in questione raggiunge il suo più alto sviluppo ne I Promessi Sposi. La profondità della fede cattolica induce l'autore a ritenere il viaggio come essenziale alla vita. L'uomo si presenta come viator in terris. Renzo è il personaggio che forse più compiutamente esprime per un verso la necessità causata dalle tristi condizioni sociali, dall'altra la possibilità di porsi in cammino verso una più matura e sentita identità spirituale. La varietà di atteggiamenti dei personaggi de I Promessi Sposi nei confronti della fede, la disponibilità alla conversione ο ad una più profonda interiorizzazione indica il rapporto che si ha con il viaggio fondamentale, quello che ci conduce alla vita eterna. Assai complessa la natura del viaggio per Ippolito Nievo, tratteggiata da Marinella Colummi Camerino ("The Journey in Ippolito Nievo's Narrative: Typologies"). Valori e tipi diversi — città e campagna, il borghese e il contadino — si ritrovano nei racconti di un autore che non fu solo un viaggiatore dello spirito. Il borghese è disponibile alle novità del mondo. Egli si muove in un tempo lineare, spavaldo dinanzi alle sfide della realtà. Il contadino è invece sempre timoroso di abbandonare il suo rifugio protettivo, la sacralità dei suoi 85 luoghi, l'aura delle sue tombe. Nelle Confessioni si apre una diversa prospettiva. 11 viaggio di Carlino ripercorre una vita nella diversità delle sue fasi biologiche e presenta tutti i caratteri di irregolarità e di incompletezza, finanche di inconsapevolezza: "It suggests that in the modern world the journey may well be an open path" (p. 140). Toni fortemente drammatici acquista in Verga il fallimento del viaggio (Romano Luperini: "Verga, or the Impossible Journey"). Il contrasto è ne I Malavoglia tra un mondo arcaico, mitico, coi caratteri tipici della ciclicità temporale e dello spazio qualitativamente diverso, contro un mondo che spazializza il tempo, profana gli spazi, espone all'insicurezza del mondo aperto. Il viaggio dal mito alla storia è impossibile. Nel Mastro-don Gesualdo il fallimento si consuma ad un altro livello, nel mostrare l'insensatezza della scalata sociale, nello scoramento di una vita spenta nella solitudine. Il viaggio ritorna ad essere una illusione: "If we accept the conclusion that any attempt to direct life toward a destination is only an illusion, then its most authentic image is not the journey, but rather vagabondage" (p. 125). Anche in una figura terminale del secolo come Pascoli, morto nel 1912 (V. R. Giustiniani: "Travel as Inspiration in Pascoli's Poetry"), permane l'attitudine negativa già rilevata. Poco amante dei viaggi per tutta la vita, egli usa immagini tratte da essi "in their most significant resonance only when they signify tonnent or despair [...]. Even returning home is not always a joy, nor is it a reward for the pain and effort expended. Very often it means disillusion" (p. 142). Quali i motivi di questa ostilità piuttosto generalizzata nei confronti del movimento locale, in un popolo che gode fama di aver dato alla civiltà occidentale alcuni tra i più grandi esploratori della storia? Difficile rispondere. Difficile cogliere la verità, nella immane complessità del suo essere. Musumeci propone delle spiegazioni, varie di natura, che potrebbero lumeggiare la vexata quaestio: sul piano geografico, l'Italia ha frontiere che spingono alla permanenza e non al superamento; sul piano storico, la diffusa consapevolezza di aver dato all'umanità le altezze della tradizione classica e rinascimentale portava a vedere il meglio entro i confini della nostra penisola; sul piano sociologico, proprio L'ottocentesca accentuazione del tema della famiglia portava a vedere in termini positivi tutto quanto ad essa legato (la patria, la casa, ecc.) ed a svalutare tutto quanto da essa lontano (lo straniero, i suoi usi e la sua terra, le sue tradizioni). Una convergenza di ragioni, dunque per 86 chiarire un rifiuto ο una diffidenza nutrita dalla gran parte della cultura di un popolo che, per colpa di una sorte in questo caso più ironica che mai, come pochi altri ha conosciuto la tragedia dell'emigrazione. FERNANDO DI MIERI Università di Salerno 87