Mobile Search Strategy e “Micro-Moments” Mobile SEO strategy: "Keyword analysis e Site and Content Optimization” nel Customer Journey. Febbraio 2017 Introduzione L’evoluzione del web marketing è fortemente influenzata dallo sviluppo delle tecnologie e dal cambiamento che queste inducono nei comportamenti dei consumatori. L’avvento degli smartphone, la loro economicità e quindi la loro enorme diffusione hanno cambiato il modo di navigare in internet. Il ricorso sempre più frequente ai device mobili, il cosiddetto “shift to mobile”, ha trasformato le ricerche in rete in una serie di brevi, frammentate sessioni, spesso di pochi secondi, effettuate nei momenti più disparati nel corso della giornata. Sessioni brevi e frammentate, momenti “micro” eppure estremamente importanti. Saperli presidiare è la sfida del momento. La rilevanza dei device mobili come strumento di accesso e diffusione delle informazioni è un’evidenza empirica che tutti riconoscono, ma per essere in grado di cavalcare il fenomeno è necessario dotarsi di strumenti concettuali adeguati. Le pagine che seguono provano a dare qualche indicazione in tal senso, cercando di fornire anche una fotografia del contesto in cui avvengono i cambiamenti più significativi. Lo scenario: big data e intelligenza artificiale Intelligenza artificiale. Big data. Internet delle cose. La frontiera dell’innovazione passa da qui. Tutti ne parlano, e a ragione. Perché le implicazioni dello sviluppo tecnologico promettono di essere epocali: in alcuni casi entusiasmano, in altri preoccupano. 2 Nel prossimo futuro ci sarà la connessione internet anche sulla luna? La privacy diventerà una merce? Solo pochi ricchi avranno il privilegio di stare “out of the grid” (cioè di non essere permanentemente connessi e di non essere costretti a condividere tutte le informazioni personali)? Quando sarà possibile la connessione diretta tra computer e cervello umano1? Domande che paiono fantascientifiche, ma che sono legittimate dalle tendenze in corso. Amazon, Facebook, Ibm, Google, Microsoft: tutti i grandi player mondiali sono fortemente impegnati a sviluppare soluzioni di intelligenza artificiale. E lo stanno facendo dall’alto di gigantesche montagne di dati che rappresentano forse il loro più importante asset (oggi i servizi di cloud di Amazon nel Nord America generano più profitti delle vendite online). Nel prossimo futuro Amazon implementerà tecnologie riconoscimento della voce e delle immagini, e probabilmente 1 https://en.wikipedia.org/wiki/Brain%E2%80%93computer_interface 3 di verrà seguita a ruota dagli altri giganti tecnologici. Questi colossi (a cui va aggiunta la cinese Baidu) dopo aver estratto, processato e digerito gran parte dei dati mondiali, acquisendo enormi abilità nel campo dell’intelligenza artificiale, hanno oggi un potere immenso, dato dalla possibilità di controllare buona parte di un settore chiave nell’infrastruttura digitale globale2. Già ora stanno integrando i loro prodotti d’intelligenza artificiale nei campi della sanità, dell’istruzione, dell’energia e del trasporto: le implicazioni, anche politiche, di questo scenario sono enormi. Se alcuni interrogativi riguardano solo visioni del futuro, altri si confrontano con ipotesi a portata di mano: la realtà aumentata è un fatto, gli smart glass una tecnologia già disponibile, le auto senza guidatore una realtà il cui ingresso sul mercato è solo questione di tempo. Ancora più immediati sono lo sviluppo del web 3.0 e della connessione 5G, che in un futuro non lontano permetteranno velocità di download impensate anche per moli di dati molto notevoli. Di sicuro il web è entrato prepotentemente nelle nostre vite, tanto che secondo alcuni esperti diventerà quasi una questione di sopravvivenza l’essere tutti connessi, in modo permanente, alla rete3. 2 Evgeny Morozov, Cosa possiamo imparare da Amazon per capire le sfide del futuro, Internazionale, 16 dicembre 2016 3 Jayson DeMers, 7 Predictions For How The Internet Will Change Over The Next 15 Years, Forbes, 18 aprile 2016 4 Nell’universo del web, le frontiere dell’innovazione tecnologica che più impattano sull’immediato riguardano le capacità delle macchine di sviluppare un linguaggio naturale: l’intelligenza artificiale può controllare le auto senza pilota, battere il campione mondiale di scacchi o di altri giochi incredibilmente complessi, combattere il cancro; ma una cosa che non sa ancora fare perfettamente è comunicare. E’ ragionevole immaginare, tuttavia, che anche questo obiettivo sia solo una questione di tempo: miliardi di pagine, milioni di biblioteche online vengono processati dai computer che acquisiscono progressivamente maggiori capacità di comprendere i linguaggi naturali e di elaborare testi in modo autonomo. In futuro, i contenuti prodotti dagli umani, dovranno competere con quelli generati dalle macchine. In realtà accade già nel presente: alcune news che abbiamo letto di recente, per esempio sull’andamento di un titolo in borsa o sul risultato di un evento sportivo, potrebbero essere stati scritti da un computer invece che da un giornalista! I computer, oltre che i testi, stanno progressivamente acquisendo la capacità di produrre immagini. 5 Un esempio accessibile al pubblico è Deep Dream Generator, un programma di visione artificiale creato da Google che utilizza una rete neurale convoluzionale per trovare e potenziare dei pattern all'interno di immagini tramite una pareidolia algoritmica, creando effetti allucinogeni che richiamano le sembianze di un sogno. Altrettanto importanti sono gli sviluppi nel campo del riconoscimento vocale. Parlare è più veloce che scrivere: in media, 150 parole al minuto contro 20. Si stima che entro il 2020 le ricerche basate su voce e immagini coinvolgeranno circa il 50% degli utenti4. Se ne deduce che, grazio allo sviluppo di queste tecnologie, le ricerche in rete utilizzeranno query sempre più lunghe e articolate. Un dato di cui chi produce contenuti in un’ottica di marketing dovrà tenere conto. Già oggi, comunque, la ricerca si è evoluta in senso semantico (cioè con un approccio che tiene conto di come si combinano tra di loro le parole e di come il significato delle stesse cambia secondo il contesto). 4 Google Trends, Worldwide, 2008-2016 6 Per esempio, Google non guarda più solo le parole chiave delle query, ma anche l’aspetto implicito di queste query utilizzando anche i dati forniti dal dispositivo stesso e dal contesto. The “Shift to Mobile” L'impennata della ricerca vocale è strettamente collegata all'aumento del traffico da mobile. La crescente importanza degli smartphone per le ricerche in rete è di un’importanza cruciale per comprendere le tendenze in corso e per elaborare strategie di risposta adeguate. Alcuni dati: - Il 96% delle persone utilizza lo smartphone per fare ricerche in rete - L’87% delle persone lo utilizza come prima soluzione di ricerca - I top retailer oggi generano quasi la metà delle loro vendite su mobile, con una crescita del 29% anno su anno Come illustrato dal grafico seguente, il traffico da mobile in realtà non sta sostituendo quello da desktop, ma vi si affianca. 7 Due dati balzano all’occhio: negli ultimi anni il tempo speso in rete è aumentato vertiginosamente (quasi sei ore al giorno negli Stati Uniti, numeri non molto differenti nel resto dei paesi sviluppati); quello speso in rete attraverso device mobili ha un peso specifico preponderante e supera il 51% del totale5. Relativamente al comportamento degli utenti su mobile, anche qui poche cifre sono in grado di illustrare il cambiamento in atto. 177 sono in media i minuti al spesi ogni giorno sul device mobile, 150 le volte che consultiamo lo smartphone ogni giorno, 9 secondi, in media, di una consultazione in rete. 6 Cifre che confermano come lo “Shift to Mobile” stia trasformando il comportamento degli utenti in rete. Finito sullo smartphone, il cosiddetto customer journey, il “viaggio” del consumatore in rete, 5 Fonte: eMrarketeer 9/14 (2000-2006); eMarketeer 4/15 (2011-2015). Nota: dati riferiti a utenti maggiorenni 6 Fonte: Google (“Micro-Moments: Your guide to win the shift to mobile” – Settembre 2015) 8 si frammenta sempre più in brevi sessioni distribuite nel corso delle giornata. Nella maggior parte dei casi queste sessioni avvengono durante momenti di routine o in brevi finestre di tempo libero (la fila allo sportello o alla cassa, l’attesa dell’autobus, la pausa caffè, il viaggio in metropolitana). Se il “viaggio verso l’acquisto” si frammenta in tante brevi sessioni sullo smartphone, diventa fondamentale: - mappare correttamente il viaggio, dal suo inizio alla fine (il customer journey); - interpretare correttamente questi frammenti di viaggio (i micro moments). Vediamo brevemente in cosa consistono questi due momenti, distinti ma strettamente collegati tra loro. Il customer journey Con customer journey si intende l’itinerario che il cliente percorre quando instaura una relazione con un’impresa, nel tempo e nei diversi “ambienti di contatto”, sia offline che online. Possiamo dire che rappresenta la “storia del legame” cliente-azienda. Mappare questo “viaggio” è un’impresa non facile ma molto utile. Le modalità di mappatura del customer journey possono variare in modo anche considerevole a seconda degli elementi che si desidera mettere in luce e della tipologia di viaggio (un utente che interagisce con una pubblica amministrazione è diverso da una persona che organizza delle vacanze su internet o da una famiglia che si informa per contrarre un mutuo sulla casa). 9 Ne discende che anche la resa grafica di tale mappatura può variare molto. Di norma, tuttavia, l’analisi di un customer journey dovrà tenere in considerazione almeno alcuni elementi fondamentali: • Persona: il personaggio principale. E’ una generalizzazione fittizia, che rappresenta e riassume bisogni, obiettivi, sensazioni, aspettative dell’utente • Timeline: un arco di tempo definito o fasi di un processo (es. awareness, decision-making, purchase) • Emotion: picchi e valli illustranti gli stati d’animo dell’utente (soddisfazione, ansietà, frustrazione) • Touchpoints: sono i punti di contatto, che rappresentano azioni e interazioni dell’utente con l’organizzazione E’ importante ricordare che il customer journey non necessariamente inizia in rete. Può essere innescato da qualsiasi input, dal passaparola alla pubblicità tradizionale: moltissime ricerche in rete avvengono immediatamente dopo la visione di uno spot pubblicitario in televisione, per approfondire la conoscenza del prodotto. 10 In ogni caso l’emersione di un bisogno o di una curiosità può avvenire in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento e per le ragioni più disparate: se innesca un’interazione con l’impresa, diventa rilevante considerarla nella mappatura del customer journey. Tra gli elementi chiave del customer journey c’è il concetto di persona. Attenzione, si tratta di un’astrazione ideale che rappresenta un certo tipo di consumatore. E’ in sostanza il risultato di una profilazione che dovrebbe essere effettuata più accuratamente possibile, con apposite interviste e analisi di mercato. Dovrà prendere in considerazione tutta una serie di caratteristiche comuni a certi gruppi di utenti: demografiche, personali, psicologiche, culturali, professionali. Analizzato il custom journey, resta da interpretare correttamente gli elementi di cui è composto, in particolare i cosiddetti touchpoints, cioè i momenti in cui l’utente interagisce con 11 l’impresa. Quando questi contatti avvengono in rete, parliamo di digital touchpoints. Abbiamo visto che lo “Shift to Mobile” cambia il customer journey e, se così si può dire, la sua composizione. In primo luogo, il viaggio dell’utente tendere ad accorciarsi. Le prime fasi del viaggio, tradizionalmente scansionate in alcuni passaggi-tipo (es. “awareness”, cioè sviluppo della conoscenza del marchio, “consideration”, “intent”) tendono a comprimersi e ad avvicinare la prima interazione con l’ultima. Un piccolo esempio, ma abbastanza emblematico, riguarda quel 66% dei consumatori che, secondo le statistiche, per trovare un ristorante in cui andare a mangiare fa la propria ricerca locale nel giro di un’ora dall’effettivo orario di cena. I micro-momenti Come abbiamo visto, l’altro aspetto del cambiamento indotto dal crescente uso degli smartphone, il principale, è la frammentazione del customer journey in una pluralità di brevi 12 sessioni effettuate nell’arco della giornata (e, in certi casi, di più giorni). Sessioni brevi e frammentate ma non per questo meno importanti. Diventa anzi decisivo essere in grado di presidiare adeguatamente queste sessioni, che Google ha chiamato “micro-moments”. Sulla base dei suoi dati analitici e di ricerche di mercato appositamente condotte, il colosso di Mountain View ha classificato questi micro-momenti in quattro tipologie fondamentali: I-want-to-know, I-want-to-do, I-want-to-go e Iwant-to-buy moments. Si tratta evidentemente di una concettualizzazione di comportamenti molto vari: nella realtà di tutti i giorni, fatta come abbiamo visto di centinaia di micro sessioni sul nostro smartphone, i confini tra voler sapere, voler fare qualcosa e voler andare da qualche parte non sempre così netti. Una piccola dose di astrazione è però un prezzo necessario da pagare per decifrare fenomeni complessi. Quella di Google non è l’unica lettura possibile del comportamento degli utenti, ma ha il pregio di formalizzarne in modo chiaro alcuni tratti caratteristici. Inoltre, il fatto stesso che sia stata Google ad aver promosso il concetto di “micromoments” e di aver lanciato una riflessione sulle loro potenzialità ne ha fatto il tema del momento e li ha posti immediatamente al centro del dibattito. La morale possiamo già anticiparla: nessun micro-momento può essere sottovalutato in quanto elemento fondamentale di una ricerca più complessa. Certamente, non va dimenticato che quella di Google non è esattamente una posizione super partes. Il suo motore di ricerca, da cui transita la stragrande maggioranza delle ricerche in rete, è fonte diretta e indiretta di profitti e i suoi consigli di marketing sono ovviamente interessati. Ciò non 13 significa che non siano validi e fondati. Una web agency esperta, competente e affidabile dovrà essere in grado di elaborare in modo creativo e originale i concetti di Google, inquadrandoli in maniera organica ed efficiente in una strategia di web marketing complessiva. Vediamo in dettaglio di cosa si tratta. I-want-to-know moments Ricadono sotto questa definizione le sessioni di ricerca in cui l’utente vuole informarsi su qualcosa. E’ esperienza ormai quotidiana quella di utilizzare lo smartphone per acquisire informazioni in rete, di qualsiasi genere esse siano. Sappiamo che la curiosità può essere innescata da qualsiasi cosa ed essere soddisfatta in qualsiasi momento. Poiché lo smartphone è il device che più spesso abbiamo con noi (di fatto, lo è quasi sempre), è diventato quello a cui più frequentemente ricorriamo per fare ricerche in rete. Come detto, il 66% degli utenti smartphone utilizza il proprio telefono per informarsi su un prodotto che ha visto in una pubblicità in televisione. Google ci dice, e l’esperienza ce lo conferma, che consumatori si rivolgono ai loro smartphone per apprendere sul momento, anche quando si tratta di acquisti impegnativi che richiedono molto tempo. Il mobile semplifica la ricerca, sia che si tratti di cercare un’autofficina o di scegliere un mutuo sulla casa. 14 Ma i consumatori gravitano verso marchi che offrono contenuti educativi e godibili, non verso marchi che utilizzano tecniche aggressive di vendita. Questo significa che i contenuti di un sito vanno pensati e scritti in un’ottica strategica, in grado di cioè di soddisfare realmente le necessità informative degli utenti: le keywords sono importanti, ma il SEO deve andare a braccetto con il content marketing. E a sua volta il content marketing deve essere intelligente: non deve vendere, ma educare, intrattenere e informare. I-want-to-do moments Come cambiare una ruota all’auto? Come surrogare un mutuo? Come posare un laminato? Come compilare il modello Unico? Qual è la ricetta del tiramisù? Quando abbiamo a che fare con questo tipo di ricerche abbiamo a che fare con un I-want-to-do moment. Si tratta di un momento in cui i consumatori sono alla ricerca di aiuto immediato per provare qualcosa di nuovo o per cercare di fare qualcosa. Anche in questo caso stiamo descrivendo un’esperienza ormai comune a quasi tutti noi: cercare in rete istruzioni o suggerimenti per fare qualcosa. 15 E’ soprattutto in quest’ambito che i video (tutorial ma non solo) hanno acquisito un’importanza fondamentale. Secondo Think With Google, solo negli Stati Uniti, nel 2015, sono stati visti più di 100 milioni di ore di contenuti “how-to”. A volte questo momento segue l’acquisto, ma altrettanto spesso può precederlo e, in termini di web marketing, è un dettaglio non irrilevante: è forse più facile che un utente giunga sul sito di un produttore di lievito cercando la ricetta per fare una torta, che utilizzando la parola “lievito “ come chiave di ricerca. I-want-to-go moments Anche in questo caso Google ha concettualizzato e classificato un momento che è ormai familiare a molti di noi. E’ esperienza comune rivolgersi al proprio smartphone per cercare un ristorante nei dintorni dove andare a cena, un’officina dove riparare l’automobile, una farmacia aperta o ancora un appartamento da affittare in una data zona. Mai come in questo caso possiamo dire che le nostre vite digitali ci mettono in connessione col mondo fisico. 16 Dal 2014 al 2015, le ricerche georeferenziate sono raddoppiate, e le statistiche di Google ci dicono che più dell’80% delle persone cerca online le attività locali, per averne l’indirizzo, la mail, i contatti, gli orari di apertura o altre informazioni. La ricerca georeferenziata è strategica soprattutto per il business multilocation (es. catene in franchising), ma in realtà quasi nessuna attività può più trascurare questo aspetto. Uno degli aspetti impliciti di una query di ricerca è, in molti casi, la localizzazione dell’utente, della quale i motori di ricerca tengono conto nel restituire le risposte. La visibilità sul web, pertanto, torna ad essere legata alla propria presenza fisica e alla facilità con cui si possono recuperare informazioni su di essa. I-want-to-buy moment Non è difficile indovinare cosa si intenda con momento “I want to buy”. Per certi versi si tratta del momento culminante del cosiddetto customer journey, quello cui puntano, con motivazioni ovviamente diverse e distinte, tanto il consumatore quanto l’impresa con cui il consumatore ha interagito. Anzi, per la precisione, si tratta del momento in cui l’utente che ha interagito con una impresa (online e offline, direttamente e indirettamente - per esempio imparando una ricetta di cucina), si trasforma in consumatore e ne diventa cliente. Ciò detto, si tratta 17 di un momento che ha una sua autonomia e risponde a certe caratteristiche: significa che qualcuno è pronto a fare un acquisto e può avere bisogno di aiuto per decidere cosa e come acquistare. Non si può supporre che stia cercando proprio te; devi essere lì con le informazioni giuste per concludere l'affare. Una rapida descrizione delle quattro tipologie di micro-momenti individuate da Google ci ha già dato, implicitamente, alcune indicazione su come presidiarli. Vale la pena ricordare una volta di più la morale di fondo che l’esistenza dei micro-momenti comporta: nessuno di questi può essere sottovalutato, tutti vanno considerati come potenzialmente decisivi. Ma cosa significa presidiare i micro momenti? Google stesso ci dà alcuni consigli di massima: essere utili, essere veloci, esserci. Consigli di puro buon senso, per certi versi, ma, ancora una volta, dati da chi se ne intende, suffragati da montagne di dati analitici. E, anche in questo caso, hanno il pregio di codificare alcune 18 indicazioni di massima che rischierebbero di restare troppo vaghe. Analizziamo in cosa consistono queste indicazioni. Be there Essere lì. Esserci. Al posto giusto al momento giusto. Questo è un requisito sine qua non. Quanto più cresce il mercato smartphone, tanto più cresce la necessità per i brand di fare un passo avanti nelle proprie strategie di mobile marketing. Ecco alcuni dati che parlano da soli: Il 90% degli utenti non è certo della marca che acquisterà nel momento in cui comincia la ricerca sul suo smartphone L’82% degli utenti smartphone consulta il suo telefono cellulare in negozio prima di effettuare un acquisto 2 utenti su 3 vanno sul proprio smartphone per saperne di più di un annuncio che hanno visto in tv 1 utente su 3 ha acquistato da una azienda o da un marchio che non era quello che aveva in mente nel momento in cui è emerso il bisogno 19 Be quick Essere veloci. Una necessità ormai universale nel mondo del business, imperativa quando si tratta di marketing online. Decine, se non centinaia, di micro momenti della durata di pochi secondi: questo è lo scenario con cui confrontarsi. Naturale che l’essere rapidi rappresenti una questione di vita o di morte. Non si tratta semplicemente di ottimizzare i siti per Android o iPhone ma, una volta prodotti i contenuti adeguati al proprio target e aver ottenuto visibilità, di assicurare all’utente un’esperienza veloce e senza intoppi. Anche in questo caso pochi dati forniti da Google analytics possono confermare queste affermazioni più di mille spiegazioni: Il 60% degli utenti dichiara che grazie alle ricerche online le decisioni di acquisto sono molto più veloci di qualche anno fa. Il 40% dei compratori non aspetta più di 3 secondi prima di decidere di abbandonare un sito di e-commerce o di viaggi. Il 67% degli utenti se ne va se sono necessari troppi step per raggiungere le informazioni desiderate. Be useful Essere utili. E’ forse la prima preoccupazione che dovrebbe avere chi cura i contenuti di un sito. Sappiamo che il 91% degli utenti abbandonerà un sito mobile o un’app se non soddisfa le sue esigenze, e dobbiamo tenerne conto. La domanda che dovremmo porci è: una volta agganciato l’utente, siamo in grado di fornire il prodotto, il servizio, o semplicemente l’informazione richiesta? 20