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La signora delle mosche. Intervista a Lucia “Bubilda” Nanni
sulla sua nuova mostra “insetti”
Giovedì 25 Maggio 2017
Una chiacchierata con l'artista ravennate Lucia Nanni, in arte Bubilda, sulla mostra
“insetti”, allestita presso il Museo Civico di San Rocco a Fusignano fino al 25 luglio
Un'opera di Lucia Bubilda Nanni
Coleotteri, vespe, farfalle, zanzare. Lunghe antenne e zampe sottili, corpi corazzati e pungiglioni, disegnati da un intrico di fili
che sembrano fremere di vita e di colore.
Gli insetti intessuti da Lucia Nanni, artista di Ravenna maestra della macchina da cucire, sembrano aspettare soltanto la
distrazione del visitatore per rimettersi a ronzare nelle stanze del Museo Civico di San Rocco, a Fusignano, dove è stata
allestita la mostra “insetti”.
Da anni Lucia, in arte Bubilda, si allena a tracciare le linee esili ed eleganti dei corpi degli insetti, attraverso i materiali più
diversi: cucendoli a macchina, nel suo stile inconfondibile; o anche lasciando sgocciolare le sue dense vernici. Parla di questi
esseri, solitamente indesiderati, con amore sincero e competenza da entomologa.
Guardando queste opere si avverte lo studio che sta dietro alle anatomie quasi scientificamente riprodotte da Lucia. Eppure il
suo stile non ne risente: gli insetti di Lucia, lungi da essere raffigurazioni goffe e pedantesche da manuale, vibrano di
leggerezza, vita e colore. Affascinano con la cura del particolare; divertono per il gusto cromatico sottilmente ironico, capace
com'è di fare il verso ad una natura intrinsecamente barocca; spingono lo sguardo dello spettatore a seguire quell'intrico di
forme eleganti.
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Le opere di Lucia rieducano alla visione della natura. E la sua formazione filosofica emerge proprio in questo aspetto: nella
capacità di destare meraviglia per forme ritenute ovvie, scontate – o, più probabilmente, temute.
Lucia mi accoglie e mi fa strada per le belle sale del Museo Civico di Fusignano. In una stanza ha voluto allestire un
piccolo laboratorio per le classi elementari che vengono a visitare la sua mostra. C'è un piccolo acquario che contiene la
sua amata colonia di daphnie; una gabbietta che ospita un gruppetto di insetti stecco; una collezione di farfalle direttamente
dalla Casa delle Farfalle di Cervia; su un tavolo, un microscopio per osservare da vicino gli insetti. Ma chiaramente ci sono
anche loro, gli scolaretti in grembiule, che fremono in attesa del loro turno per sbirciare il microcosmo.
«Mi sembrano tanti piccoli scienziati, con quei grembiuli. Non sembra di stare in un laboratorio?», sorride Lucia. Le chiedo il
perché di questo laboratorio. «Quando Lorenza Pirazzoli dell'assessorato alla cultura di Fusignano mi hanno chiamato per
offrirmi la possibilità di esporre in questo ex ospedale, che mi piace tantissimo, ho accettato subito. Mi è stato detto che c'era
la possibilità di ospitare scolaresche, e allora ho pensato di portare la mia retrospettiva sugli insetti. Un tema che piace ai
bimbi.»
«In questi laboratori volevo parlare loro della lotta biologica. I bambini spesso non sanno che esistono insetti utili, non
conoscono le logiche di predazione, spesso non hanno consapevolezza di ciò che osservano. Ma è quando si è piccoli che si
ha bisogno della consapevolezza: perché le scoperte che fai osservando sono solo tue.»
Prima di proseguire la mostra, mi avvicino all'acquario e sbircio dentro. Non vedo niente. «Lì dentro ci sono le daphnie», mi
spiega Lucia. Abbisogno ragguagli. «Una volta incontrati, mi sono innamorata di questi esserini trasparenti. Sono creature
intelligentissime. È proprio vero che la forma è intelligenza. Le daphnie sono indicatori biologici talmente delicati che si può
capire lo stato di salute delle acque in cui vivono, studiandoli.»
«Quando realizzai la mia prima mostra sugli insetti chiamai uno specialista per trovare esemplari di daphnia. Avevo provato a
cercarle a Punta Alberete, raccoglievo taniche e taniche d'acqua per trovarle ad allevarle. Ma non le trovavo. Peggio dei
panda. Il problema, ho capito dopo, veniva dall'ecosistema: con l'introduzione del gamberone californiano, che non ha
predatori, sono scomparse. Ed è stato introdotto per motivi gastronomici. Lo chef è il vero padrone di questo decennio. Grazie
a Marco Manegatti di Bioplanet le ho potute far osservare ai bambini in questi laboratori.»
«Le amo a tal punto che chiesi a Fabio Pignatta di realizzarmi una scultura di daphnia, che si può vedere nella sala accanto.
Gli animali tridimensionali che vedi nelle sale sono opera di Fabio, che ha curato anche allestimento della mostra.»
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Da piccola che rapporto avevi con gli insetti?
«Avevo un piccolo giardino dove li osservavo. Era molto contemplativa. Potevo rimanere ad osservare per delle ore. Ma
agivo, anche: li bruciavo con la lente d'ingrandimento. Nella mia infanzia mi sono spesso sporcata le mani: mio papà era un
chimico e mi faceva giocare con gli elementi: i fornelli, il fuoco, le soluzioni. Gli elementi sono giocosi, in fondo.»
Perchè proprio gli insetti? Cosa ti attira in questi esseri viventi?
«Mi attira la grande intelligenza della loro forma. Gli insetti hanno 300 milioni di anni e rappresentano i 5/6 del totale delle
specie viventi sulla Terra. Insomma, è una forma di vita indubbiamente più intelligente della nostra. È innegabile.»
Cosa intendi quando parli di “intelligenza della forma”?
«Si tratta di un concetto che devo al filologo tedesco Walter Friedrich Otto, che ho incontrato ai tempi della mia tesi. Otto era
un vero panteista, aveva fede nella presenza divina dentro le cose. Otto criticava il positivismo, ad esempio, perché accusava
il suo metodo di studiare le cose solo da morte. Lui cercava la contemplazione di una natura viva. Come Goethe ricercava
l'archetipo dentro la natura. Ricercava un dialogo fra divino e umano che fosse la vitalità stessa dell'uomo, la sua intelligenza
biologica. E non una forma morta.»
E che tipo di intelligenza vedi nel corpo di un insetto?
«Vedo lo stesso tipo di intelligenza che vide Ernst Jünger negli operai del suo tempo. Jünger mi è servito tantissimo per questi
lavori. Un vecchio aristocratico, aveva una formazione umanistica e scientifica, ha vissuto una vita incredibile. In un suo libro,
Der Arbeiter (L'operaio), del 1932, paragona spesso la classe operaia ad una colonia di insetti. Jünger aveva preconizzato la
trasformazione dell'uomo da individuo a funzione. Basta pensare all'anno della pubblicazione. C'è stato in quegli anni uno
snodo meraviglioso nella storia culturale della Germania, una ricchezza incredibile, che ti fa sorgere spontanea la domanda:
ma come è stato possibile il nazismo? Come, dopo questa sintesi impressionante fra tutti i linguaggi dell'umano: la letteratura,
la scienza, l'arte visiva. È stato un apice della nostra società. E non appena si è toccato quell'apice, c'è stato un crollo
verticale.»
Non sei d'accordo con chi parla di banalità del nazismo?
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«Il nazismo per me rimane davvero un enigma: è la storia ribelle a se stessa e ad ogni storiografia. Jünger ci ha dato una
chiava di lettura quando parla di uomo-funzione. Pensa allo sviluppo del nazismo, nel quale l'individuo si fa ancora più
funzionalizzato, massificato, privato di identità. C'è stata un'industriosità della distruzione inconcepibile. Si può solo azzardare
a questa interpretazione jüngeriana per capire un individuo come Eichmann, ad esempio, che ripeteva di aver fatto solo il suo
dovere, di non sapere nulla oltre a quello.»
Il fascino degli insetti sta in questa loro estrema funzionalità, dunque? I biologi, quando si riferiscono alle colonie di
formiche o di api, hanno recentemente parlato di “superorganismo”.
«Esatto. In questo studio volevo indagare proprio questo aspetto della loro forma. Quando Jünger scrive che gli operai sono
diventati insetti e che la funzione dell'essere umano non è più quella di essere un individuo, ma un corpo unico, dice in fondo
la stessa cosa. Ecco, ho osservato questo aspetto negli insetti. Ed è così che sono arrivata alla parte decorativa della
mostra.»
Lucia mi mostra delle opere più colorate, nelle quali la bellezza degli insetti è quasi esibita, come a formare ritratti individuali,
biologie di vanità.
«Mi sono chiesta: ci sarà un'individualità anche in questo essere funzionale? Come posso trovarla, questa sua specificità? Si
può fare un ritratto ad olio secentesco di un insetto? Forse no. Forse sono solo io, è il mio sguardo che deforma e arricchisce
la natura.»
Ma gli insetti ti spaventano?
«Non mi piacciono i ragni. O forse semplicemente non mi interessano. Hanno questo corpo tozzo... È divertente: tutti quanti
mi paragonano ad un ragno perché tesso. Io li lascio dire, ma in realtà non sono mica d'accordissimo. Quante volte mi sento
parlare del ricamo, del lavoro femminile. Ma in realtà è tutto il contrario di me, di come mi sento. Diciamo che mi spaventa non
tanto la loro forma, che anzi trovo stupenda, quanto piuttosto questa cecità a tutto tranne che alla loro funzione. Come chi
persegue una causa senza pensare mai null'altro. Come i tossici, quando da piccola li guardavo negli occhi: la loro totale
abnegazione per un solo obiettivo, la loro paradossale mancanza di volontà per tutte le altre cose del mondo. Per questo
forse ho voluto così tanto studiarli, conoscerli, disegnarli. Io ho bisogno di conoscere le cose che mi spaventano.»
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Questo spiega anche la quasi scientificità dei tuoi schizzi. Ha una funzione terapeutica?
«Tantissimo. È il mio innato bisogno di controllo, di avere un quadro chiaro, di cercare una soluzione definita.»
Quando penso a un coleottero o ad una vespa, mi può effettivamente venire in mente un sorta di robot corazzato,
ferroso, come forse s'immaginava l'operaio il nostro Jünger. Ma poi quanta leggerezza riesci ad esprimere nelle tue
illustrazioni delle zanzare, ad esempio!
«Le zanzare sono gli esseri più eleganti del mondo. Non c'è competizione, in assoluto. Altroché Chanel. Sono leggere,
svolazzanti. Veloci, come le larvette delle zanzare, che vanno a scheggia. E hai mai visto la loro trasformazione? È una delle
cose più meravigliose che abbia mai visto. La larva si mette a pelo d'acqua e si prepara alla mutazione. Quindi la zanzara
adulta inizia a spuntare: prima la testa, poi le zampe, le ali. Emerge dall'acqua con eleganza, ed è libera.»
Proseguendo la visita, mi imbatto in un grande coleottero cucito su un tulle trasparente. La mia attenzione viene catturata da
un cristogramma accennato sull'esoscheletro dell'insetto.
«Il coleottero corazzato! A Rimini ho un lavoro in corso sul rapporto tra isteria e misticismo che parte direttamente dai testi di
Ignazio di Loyola. Mi interessa molto il tema della formazione degli intellettuali europei dopo il 1600. Si tratta di esplorare la
coscienza occidentale. Volenti e nolenti, la coscienza occidentale ha dato forma a questa terra: si è armata e si è imposta a
forza. Penso appunto alla forza dell'ordine dei gesuiti. Ho inserito l'emblema dell'ordine su questo coleottero per far capire che
quando la pedagogia si sposa a un'idea o ad una convinzione, è peggio di un fucile.»
Stai parlando di acculturazione?
«Non proprio. La nostra formazione, nonostante i cambiamenti di idee e di opinione che attraversiamo durante la nostra vita,
spesso rimane inconsapevole. Anzi, si potrebbe dire che è proprio quando è inconsapevole che è formazione.
L'acculturazione è già una selezione. Ma quando non puoi selezionare e solo assorbire, è allora che ti formano. Quando non ti
interroghi diventi un soldato, una funzione.»
Diversamente rispetto alla mostra che ho visto a Ravenna, hai utilizzato qui tante tecniche differenti.
«Si, qui ci sono lavori che ho fatto con la macchina da cucire ed altri che sono frutto dello sgocciolamento di vernici.
D'altronde sono lavori che ho svolto in un periodo lungo tredici anni. La macchina da cucire dovevo ancora comprarla quando
ho realizzato alcune delle opere che vedi. Ci sono anche opere che ho realizzato con i cotton fioc e le borse dell'acqua calda, i
miei oggetti feticcio, i miei amori primordiali.»
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Anche questa mostra, come la scorsa, è stata curata da Giovanni Gardini.
«Sì, il mio amico-nemico! (Ride) Con Giovanni ho un dialogo molto stimolante. Io sono clandestina, lui è sempre in prima
linea. Viene dal seminario, ma è dedito alle meraviglie del mondo. Ha fatti studi specialistici sull'arte paleocristiana. È un
sapiente e mi piace avere figure di riferimento con cui confrontarmi, e con cui a volte anche litigare. Un rapporto molto
divertente.»
Prima di andare via, Lucia mi regala il catalogo della mostra. È un vero e proprio album di figurine, con tanto di marchio Panini
in copertina: al posto dei calciatori, si appiccicano le opere della mostra.
Perché ideare il catalogo come un album di figurine?
«Perché li ho sempre adorati, fin da piccola. Li colleziono tutt'ora, questi album. Ho quello di Papa Francesco, quello dei santi,
quello delle città italiane, quello sul Risorgimento, quello dei politici, fatto dal manifesto. Li ho fatti tutti. Insomma, era il mio
sogno. Farei tutti i miei cataloghi così, se potessi!»
A cura di Iacopo Gardelli
Moderato Cantabile
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