Medicina d`urgenza, lezione 2 Concas Maria Rosaria La scorsa

Medicina d’urgenza, lezione 2
Concas Maria Rosaria
La scorsa volta abbiamo iniziato a parlare di embolia polmonare ed oggi continueremo.
Questi sono i tre segni principali: la dispnea acuta, la tachipnea e la tachicardia; l’emogasanalisi viene fatta
di routine in un paziente con dispnea acuta, ma non è l’esame che ci permette di fare diagnosi dato che può
essere normale nel 20% dei casi.
Le principali diagnosi alternative sono rappresentate da tutte quelle situazioni che portano all’insorgenza di
dispnea, come un versamento pleurico che può dare una dispnea importante a riposo, una polmonite
lobare, uno scompenso cardiaco, una polmonite interstiziale, ed è chiaro come l’esame obiettivo in questi
pazienti sia fondamentale per poter escludere questa o quell’altra causa: sia nella polmonite lobare, sia in
quella interstiziale ma anche nel versamento pleurico ci può essere una febbre elevata, che invece non è
presente nell’embolia polmonare, ed il riscontro di ipofonesi basale o diffusa per quanto riguarda la
percussione può ugualmente aiutarci nella diagnosi differenziale. La polmonite interstiziale è più difficile da
valutare in questi casi perché l’esame obiettivo può essere normale oppure può mettere in evidenza
qualche crepitio su tutto l’ambito, però la febbre elevata può aiutare nella esclusione di un’embolia
polmonare nella quale la febbre non c’è. Per la polmonite lobare bisogna fare le stesse considerazioni, e
cioè l’esame obiettivo può essere positivo e generalmente lo è quando c’è un addensamento importante,
può esserci il dolore, come ci può essere anche il versamento pleurico, ma il dolore toracico può esserci
anche nell’embolia polmonare, nella quale però è difficile che ci sia un infarto polmonare tale da
determinare una ipofonesi.
L’RX torace in caso di embolia polmonare o è negativa, o fa vedere un addensamento nel caso di modesto
infarto polmonare, ma certamente se questa è negativa possiamo escludere la polmonite lobare, la
polmonite interstiziale e il versamento pleurico.
Per quanto riguarda il primo approccio all’embolia polmonare cosiddetta “ad alto rischio” le cose non sono
comunque così semplici.
In diagnosi differenziale entrano altre condizioni:
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la BPCO: il quadro obiettivo di una BPCO riacutizzata è caratterizzato da sibili, ronchi (quindi rumori
di broncospasmo) ma anche da rumori umidi come i crepitii a medie o a piccole bolle, ma in questo
caso c’è generalmente una storia clinica di BPCO;
la cardiopatia ischemica entra in diagnosi differenziale perché tutti i pazienti con dolore toracico
vengono screenati per cardiopatia ischemica attraverso la troponina e gli enzimi cardiaci;
la dissezione aortica, un ecocardiogramma può farla vedere;
l’asma, che ha un quadro obiettivo ben preciso con rumori da broncospasmo diffusi;
l’attacco d’ansia soprattutto in chi ha già avuto un’embolia polmonare: chi ha sperimentato la
dispnea, la fame d’aria per una embolia polmonare accertata, nel tempo può presentare un
attacco d’ansia che mima la dispnea che c’era stata precedentemente. È capitato di avere pazienti
con una precedente storia di embolia polmonare che hanno avuto un attacco di panico con una
dispnea che non era dovuta ad una recidiva, e più di una volta questi pazienti si presentano in
pronto soccorso chiedendo di essere esaminati per escludere una recidiva di embolia polmonare;
spesso ci può essere una recidiva anche in corso di terapia anticoagulante, ma le possibilità sono
decisamente più basse. Si deve prendere in considerazione anche l’attacco d’ansia perché non è
bene, come già è stato detto, esporre i pazienti a più di un’angio TC proprio per il rischio
significativo legato alla radio esposizione; un dosaggio del D-dimero in questi casi è utile, e se
questo è negativo non si prosegue con altre indagini strumentali.
Prima abbiamo parlato dell’emogasanalisi come esame di routine in un paziente con dispnea ma che non
ha elevato valore diagnostico considerando che può essere normale nel 20% dei casi di embolia polmonare.
Vi è anche uno studio (non abbiamo le slide) pubblicato ormai da tanti anni dove si prendevano in esame
49 pazienti con embolia polmonare accertata, e dove si valutavano come criteri l’ipossiemia e l’ipocapnia
che sono tipiche dell’embolia polmonare (nell’embolia polmonare c’è anche un valore ridotto di CO2 in
virtù della tachipnea): in questi pazienti in cui l’embolia polmonare era stata accertata la paO2 era di
80mmHg quindi bassa, in circa il 60% di questi ma lo era anche nel resto dei pazienti senza embolia
polmonare; lo stesso vale per la paCO2, bassa nel 44% dei pazienti con embolia polmonare ma per la quale
era stato riscontrato un valore non molto diverso nei pazienti senza embolia polmonare…
(Non ho capito il discorso perché parte dicendo che i 49 pazienti presi in esame avevano una embolia polmonare accertata, poi
spuntano altri pazienti senza embolia polmonare con gli stessi valori alterati di emogas, e in questo caso il discorso che mi sarei
aspettata sarebbe stato valutare come il 60% dei pazienti avesse una ipossiemia e il restante 40% no, e così pure per l’ipocapnia,
per evidenziare come a fronte di una embolia polmonare accertata i valori di emogas possano risultare normali. Anche perché poi
continua a ribadire questo concetto..)
…Quindi è un grave errore escludere una embolia polmonare se un paziente ha un’emogas analisi normale.
Un altro studio pubblicato qualche anno fa ha preso in esame 520 pazienti per valutare la percentuale di
presentazione di determinati segni o sintomi: la dispnea non è presente nel 100% dei casi ma nel 98.6%, in
misura decrescente troviamo il dolore toracico presente nel 75.6% dei casi, la tosse nel 56.3%, e la sincope
12.9% (vedremo fra poco che la sincope è uno degli elementi che ci fanno parlare di una embolia
polmonare “ad alto rischio”).
Questi lavori della letteratura ci servono per capire come si presenta una embolia polmonare, prendendo
ovviamente in considerazione pazienti con embolia polmonare documentata.
Un altro studio un po’ più antico però utile, è stato fatto su 1000 pazienti con embolia polmonare che però
presentavano altri segni come ad esempio l’ipotensione (quindi una casistica con pazienti estremamente
gravi), ed infatti una pressione sistolica inferiore ai 90mmHg è stata riscontrata in ben il 34% dei pazienti
(anche l’ipotensione è uno dei criteri per la diagnosi di embolia polmonare cosiddetta ad alto rischio);
l’esordio era inferiore alle 48h nel 52% dei casi, questo è importante nella storia clinica perchè difficilmente
nell’embolia polmonare la storia è lunga per ovvi motivi fisiopatologici; la dispnea anche in questo studio
era presente in una percentuale elevata e la sincope nel 35% dei casi. Da notare come si avvicinano le
percentuali di presentazione dell’ipotensione e della sincope: se il 34% dei pazienti era ipoteso e nel 35% si
aveva una sincope, vuol dire che il 34% dei pazienti aveva sia la sincope sia l’ipotensione.
Un altro studio fa vedere una cosa molto interessante. Presi in esame 219 pazienti con embolia polmonare
confermata e 546 pazienti con embolia polmonare esclusa, sono stati esaminati segni e sintomi: la dispnea,
ad esempio, era presente nell’80% dei casi di embolia polmonare confermata e nel 60% dei casi di embolia
polmonare esclusa. Le percentuali di tutti questi segni e sintomi, come il dolore toracico, la tosse, l’emottisi,
la sincope, sono inferiori nei pazienti con embolia polmonare esclusa, ma è comunque presente fra questi
due gruppi una sovrapposizione importante e questo mette in evidenza che tutti i segni e i sintomi che
abbiamo imparato essere presenti nell’embolia polmonare non sono specifici, e così anche la tachicardia, la
tachipnea e i segni di trombosi venosa profonda li possiamo trovare anche in altri approcci.
Torna ad avere la sua utilità lo score di Wells, score di probabilità utile ma non sempre infallibile, dato che
ci possono essere casi in cui lo score di Wells risulta negativo ma l’embolia polmonare è comunque
presente. Lo score di Wells ha un punto debole, e cioè che è una valutazione di probabilità, ed una diagnosi
alternativa meno probabile dell’embolia polmonare deve essere sempre presa in considerazione; la
attribuzione dei punti dello score è una attribuzione soggettiva da parte del medico. Lo score di Wells è
utile soprattutto quando ci sono diversi fattori di rischio: quando un paziente ha fatto recentemente un
intervento chirurgico, quando la chirurgia era una chirurgia oncologica, quando ha avuto anche in
precedenza una trombosi venosa profonda la probabilità è talmente elevata che possiamo orientarci anche
senza questo strumento. Tuttavia, è comunque consigliato l’utilizzo dello score, stando ovviamente attenti
al punto debole, cioè la diagnosi alternativa meno probabile, perché ci sono tutta una serie di altre
situazioni che possono mimare l’embolia polmonare da un punto di vista della soggettività e dei sintomi.
Bisogna quindi ribadire l’importanza dell’esame obiettivo.
Nell’ambito di uno score di Wells positivo che ci indica probabilità elevata di embolia, la prima cosa che
dobbiamo fare è distinguere tra embolia polmonare “ad alto rischio”, che vuol dire mortalità precoce
intraospedaliera entro 30 giorni, ed embolia polmonare “non ad alto rischio”. I criteri che ci permettono di
fare questa distinzione sono:
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pressione massima inferiore ai 90mmHg, con possibile sincope (la gittata del ventricolo sx è ridotta
perché vi arriva ben poco sangue se l’arteria polmonare è ostruita);
pressione minima inferiore ai 40mmHg per più di 15 minuti secondariamente ad aritmie, shock
ipovolemico o sepsi.
Quindi stiamo parlando di un paziente ipoteso o in shock, nel quale la sincope può essere grandemente
presente, però il criterio per differenziare l’embolia polmonare ad alto rischio da quella non ad alto rischio
è proprio la misurazione della pressione arteriosa.
La distinzione di embolia polmonare ad alto rischio sostituisce un po’ quella di “embolia polmonare
massiva” che è stata utilizzata per tanto tempo ma che non aveva criteri ben definiti, diversamente nella
definizione di embolia polmonare ad alto rischio c’è un criterio facile che è la pressione arteriosa.
Questa distinzione è importante perché la terapia cambia in maniera radicale.
Quando abbiamo un paziente con sospetta embolia polmonare ad alto rischio, e quindi generalmente
instabile, dobbiamo rispondere a questa domanda:
Abbiamo a disposizione in pochi minuti un esame TC si o no?
 NO!
Generalmente non abbiamo una TC disponibile nell’immediatezza, ma in ogni caso se c’è la
disponibilità di una TC dedicata allora inviamo subito il paziente a questo tipo di esame, diversamente
lo sottoponiamo ad un’ecocardiografia: se si tratta di una embolia polmonare ad alto rischio si
evidenzia un sovraccarico evidente del ventricolo dx, ed è un segno indiretto che ci permette di fare
diagnosi di questo sottotipo di embolia polmonare. Se il ventricolo dx non mostra segni di sovraccarico
si può trattare di un'altra causa, se invece mostra segni di sovraccarico e non si riesce a fare un’angio
TC velocemente, l’utilizzo di farmaci trombolitici è da prendere in altissima considerazione (tra l’altro
fare un angio TC non è nemmeno così semplice considerando che si tratta di un paziente ipoteso, in
shock, ma è importante inquadrarlo perché bisogna sottoporlo a terapia trombolitica o ad
embolectomia chirurgica, anche se non tutti gli ospedali hanno la possibilità di attuarla).
 SI!
Si conferma l’embolia polmonare e quindi viene ugualmente predisposta la terapia trombolitica.
In questo caso l’angio TC e l’ecocardiografia sono equivalenti per arrivare alla diagnosi: l’angio TC fa vedere
il vaso occupato dalla fibrina, l’ecocardiogramma fa vedere un segno indiretto che è il sovraccarico del
ventricolo dx con la sua dilatazione ed un rapporto ventricolo dx /ventricolo sx a favore questa volta del
destro.
I trombolitici sono dei farmaci, soprattutto quelli di ultima generazione che si utilizzano già da parecchi
anni, che hanno una affinità per la fibrina particolarmente elevata, quindi quando noi li utilizziamo perché
dobbiamo promuovere l’attivazione del plasminogeno, otteniamo generalmente la lisi di questo trombo
che è generalmente recente e che è situato nell’arteria polmonare e nei suoi rami. I trombolitici sono stati
utilizzati spesso nell’embolia polmonare massiva, e sono quindi da prendere in grande considerazione per
l’embolia polmonare ad alto rischio, ma hanno anche un’altra storia, e cioè furono utilizzati (adesso il loro
utilizzo in questa condizione è obsoleto) come trattamento dell’infarto acuto del miocardio nel famoso
studio italiano GISSI (Gruppo Italiano per lo Studio della Streptochinasi nell’Infarto del miocardio) del 1986.
Lo studio prevedeva che il paziente venisse randomizzato o a trattamento trombolitico o a nessun
trattamento una volta fatta la diagnosi di IMA al suo arrivo in pronto soccorso o in UTIC; i risultati misero in
evidenza che il trombolitico era efficace nel lisare il trombo intracoronarico e quindi migliorava nettamente
l’esito finale riducendo la mortalità che scendeva di circa il 25-30%. Un'altra cosa importante valutata in
questo studio fu che tanto più precoce era la diagnosi di infarto del miocardio tanto maggiore era la
riduzione della mortalità; in altre parole se a un paziente veniva diagnosticato l’infarto del miocardio entro
un’ora dall’inizio dei sintomi il trattamento col trombolitico riduceva la mortalità di circa il 40-42%, quindi
un risultato assolutamente di impatto. Con gli anni il farmaco trombolitico nell’IMA è stato abbandonato
per essere sostituito dall’angioplastica, intervento di emodinamica invasivo che ha dato risultati
nettamente migliori rispetto al trombolitico.
I trombolitici sono associati ad un incremento del rischio di sanguinamento soprattutto cerebrale, ma in
caso di embolia polmonare ad alto rischio, il loro utilizzo è sicuramente determinante.
Somministrati per via endovenosa a dosi più basse ma continue nel tempo cioè per giorni, sono stati
utilizzati anche da me molti anni fa per arteriopatie ostruttive acute, ed infatti la trombolisi locale con dosi
nettamente ridotte produceva una disostruzione dell’arteria interessata.
Sono farmaci importanti che possono essere somministrati solo in regime intraospedaliero, e sono farmaci
che hanno un’efficacia certamente sostanziale; il trombolitico viene utilizzato con successo anche in un
paziente che arriva con segni clinici di ictus cerebrale alla terza-quarta ora dall’esordio.
Il paziente che sopravvive ad una embolia polmonare è scoagulato, sta meglio, le sue condizioni migliorano
repentinamente in pochissimi giorni e viene rimandato a casa, ma bisogna poi monitorarlo per capire quali
sono stati gli esiti a livello dell’albero vascolare del polmone: c’è la pessima abitudine di ripetere la TC, ad
un mese, a tre mesi e addirittura ai tre-sei mesi, ma delle tre TC bisogna considerare anche la
radioesposizione annessa. La cosa migliore da fare per il follow-up, soprattutto nelle donne e soprattutto di
giovane età, dato che l’eccesso di radioesposizione sul torace è un fattore di rischio per cancro al seno, è
l’ecocardiogramma con la misurazione della pressione nell’arteria polmonare: se il paziente ha avuto una
embolia polmonare ma la pressione in arteria polmonare rimane normale significa che l’albero vascolare
polmonare è a posto, non c’è nessun segno di ipertensione polmonare. Nel 4-5% dei casi l’embolia
polmonare può determinare una ipertensione polmonare cronica con prognosi sfavorevole se non si
interviene con un intervento chirurgico abbastanza specialistico e selettivo, perché la fibrina si organizza, la
fibrinolisi non funziona in maniera opportuna e il risultato finale è un albero vascolare pieno di vasi
occupati dalla fibrina con conseguente ipertensione polmonare, con valori pressori a livello dell’arteria
polmonare che possono arrivare a 80-90mmHg rispetto a valori normali di circa 20-25mmHg.
È opportuno andare a vedere nel tempo qual è stato l’esito del fatto embolico ma utilizzando
l’ecocardiogramma perché è un sistema non invasivo, e anche se non fa vedere i vasi dice in maniera
indiretta l’effetto che l’embolia polmonare ha determinato sui vasi stessi.
Ora parliamo di embolia polmonare “non ad alto rischio”. Possiamo sia avere una probabilità clinica bassa
secondo lo score di Wells, sia una probabilità clinica alta. Il D-dimero è destinato solo a quei pazienti che
hanno una probabilità bassa-intermedia, non ad un paziente che ad esempio ha uno score di 5; nonostante
ciò viene fatto ugualmente, ma se ci rifacciamo all’algoritmo, l’alta probabilità clinica esige un angio-TC
immediatamente; la bassa probabilità clinica dove comunque abbiamo un sospetto e lo score di Wells è
ambiguo, dosare il D-dimero può essere utile perché se è positivo non fa la diagnosi di embolia polmonare
ma ci autorizza a chiedere una TC, se è negativo non è necessario andare avanti. Se io ho una bassa
probabilità con un D-dimero negativo, non son autorizzato a chiedere nessun esame strumentale.
Tutto questo non sempre avviene spesso per un discorso di medicina difensiva, ed anche in caso di
probabilità clinica bassa con il D-dimero negativo la TC viene comunque richiesta, producendo un danno sia
economico sia di salute.
Gli indicatori clinici sono quelli che abbiamo già visto: lo shock, l’ipotensione, la disfunzione del ventricolo
destro che comprende la sua dilatazione, l’ipocinesi e la troponina (come indicatore di ischemia del
miocardio durante la dilatazione del ventricolo destro).
Nell’embolia polmonare ad alto rischio ci sono tutti e tre questi elementi, il danno cardiaco con la troponina
elevata, la disfunzione del ventricolo destro e lo shock, e si interviene con la trombolisi.
La stratificazione intermedia rappresenta un’area grigia, ha una mortalità del 3-15%, non troviamo
l’ipotensione però la disfunzione del ventricolo destro può esserci e non esserci, così pure per la troponina
che può essere elevata e non: in questi casi esiste il dubbio se utilizzare il trombolitico o meno, perché se da
una parte è un farmaco che può salvare una persona, dall’altra è associato ad un rischio di sanguinamento
importante; possiamo ad esempio utilizzare le eparine o il Fondaparinux, oppure anche i nuovi
anticoagulanti orali.
Le embolie polmonari con un rischio basso dell’1% non hanno nessuno di questi tre parametri: in questo
caso il paziente può avere un embolia polmonare limitata ad una arteria segmentaria o subsegmentaria, le
sue condizioni generali sono buone ed è stabile; in questo caso il trattamento con le eparine e il
Fondaparinux è il trattamento di scelta.
Il D-dimero, aumenta in diverse condizioni (chirurgia, cancro, gravidanza..) ed è per questo che non fa da
solo diagnosi di embolia polmonare, è molto sensibile ma poco specifico.
Nell’anziano il cut off non è più 500 ng/mL ma dovrebbe essere di 700 ng/mL.
Nella flogosi il D-dimero si altera come nelle condizioni prima precisate.
Perché succede questo? Il D-dimero deriva dalla fibrina depositata cioè dalla fibrina definitiva, e quindi
basta solo immaginare quanta fibrina si deposita ad esempio in un paziente che subisce un intervento
chirurgico; nella flogosi c’è ugualmente una deposizione di fibrina, perché la coagulazione del sangue è
ancestralmente collegata alla flogosi, sono due sistemi di protezione di cui disponiamo nei confronti di chi
ci aggredisce dall’esterno; nella gravidanza esiste un incremento nella deposizione di fibrina e un
incremento della attività coagulativa proprio in preparazione al parto, nel quale serve un’attività
coagulativa importante per evitare emorragie post-partum; un aumento del D-dimero si osserva anche nel
cancro proprio perché da una parte il nostro organismo reagisce attivando la coagulazione per cercare di
circoscrivere le cellule neoplastiche, dall’altra a loro volta le cellule neoplastiche sono in grado di produrre
fibrina perché attivando la coagulazione attivano la neoangiogenesi e quindi riescono a diffondersi. Il
cancro ha una doppia faccia per l’attivazione della coagulazione, ma tutte e due le facce portano a
deposizione di fibrina e ad una elevazione del D-dimero. Più il cancro è esteso, più ci sono ripetizioni, più il
D-dimero è elevato, quindi in un paziente con ripetizioni di tumore solido, operato o non operato non ha
senso andare a dosare il D-dimero giornalmente pensando che quel paziente possa avere una trombosi in
atto, perché più semplicemente può avere una diffusione del processo neoplastico.
La specificità del D-dimero è molto bassa negli anziani: questo test ha una sensibilità che va dall’86 al 100%,
ma non distingue se la fibrina è endovascolare, se la fibrina è infiammatoria, se la fibrina è extravascolare
ecc..e la specificità decresce con l’età, quindi tanto più un paziente è anziano tanto più aumenta la
probabilità di errore. In un paziente di 80 anni, indipendentemente da una embolia polmonare, il D-dimero
può essere superiore a 500 ng/mL.
Per quanto riguarda la diagnostica strumentale le indagini di maggior rilievo sono essenzialmente due: la
scintigrafia polmonare e l’angio TC.
La scintigrafia polmonare può essere d’aiuto quando un intero lobo non è perfuso, ma diventa più difficile
interpretarla quando ci sono dei difetti di vascolarizzazione che non si presentano però in maniera chiara; i
quadri di scintigrafia polmonare intermedi o non diagnostici possono arrivare al 40% e questo fa si che
questo esame non sia particolarmente utile se non in alcuni casi. La diagnosi di embolia polmonare passa
attraverso l’angio TC, che permette di vedere l’impedimento dei vasi in una sezione trasversa del torace
attraverso delle “fette”, e tanto più aumenta il numero dei detectors tanto più lo strumento è in grado di
visualizzare l’embolia polmonare anche in vasi piuttosto piccoli. Diversi anni fa la TC non era spirale, non
girava intorno al paziente ma faceva due mezzi giri; gli apparecchi si sono evoluti, e se inizialmente i
detectors erano solo due, si è passati poi a quattro e ad un numero sempre maggiore fino ad arrivare oggi a
120 detectors e anche di più. Oggi esistono degli apparecchi che sono in grado di rilevare depositi di fibrina
a livello delle arterie subsegmentarie, e che hanno sostituito l’angiografia polmonare (introduzione di un
catetere in vena femorale fino ad arrivare al cuore destro e posizionamento del catetere in funzione
dell’iniezione del mezzo di contrasto nell’albero polmonare), metodica abbastanza complicata che
necessità di un personale indicato e che oggi è stata completamente abbandonata anche per motivi di
sicurezza (0,5% d mortalità).
Un problema che esiste per tutti gli esami strumentali è il disaccordo tra gli esaminatori: due esaminatori
messi davanti ad un esame TC possono non essere d’accordo nel 30% dei casi. Tanto più la qualità
dell’immagine sale, tanti più detectors ha l’apparecchio, tanto più chiara sarà l’immagine, e tanto meno
sarà il disaccordo tra gli esaminatori. Esiste un test che generalmente si fa per vedere se due esaminatori
vedono in una percentuale simile o vicina un’embolia polmonare, o una trombosi venosa profonda o un
qualunque dato patologico: se il disaccordo è elevato il metodo utilizzato non è un metodo che funziona
tanto bene, e di questo bisogna tener conto quando si valutano i dati finali. Si fa tutto questo perché chi
esamina ad esempio un radiogramma, dovrebbe esaminarlo in cieco, cioè non dovrebbe sapere che
malattia è sospettata per quel paziente, non dovrebbe sapere in che gruppo è stato categorizzato ma solo
esprimersi in base a quello che vede (trombosi si/trombosi no, embolia polmonare si/embolia polmonare
no) per togliere la soggettività. Questo si dovrebbe traslare nella pratica di tutti i giorni, ma non succede
perché il radiologo vuole avere l’indicazione, nella richiesta vuole il motivo per cui si sta richiedendo la TC,
vuole essere informato su eventuali precedenti, e quindi avere informazioni cliniche. Qualcuno dice che è
giusto ma io personalmente ritengo di no, perché il radiologo dovrebbe essere stimolato a scrivere quello
che vede senza essere influenzato da precedenti diagnosi, precedente storia clinica del paziente, con un
approccio a mio parere più scientifico. Se bisogna fare una TC per vedere se una neoplasia si è ridotta dopo
aver effettuato sei cicli di chemioterapia, il radiologo anche in questo caso dovrebbe misurare sia prima sia
dopo l’estensione della neoplasia non necessariamente sapendo quello che il paziente ha fatto, sarà poi
compito del clinico valutare se la riduzione di quella massa è correlata alla effettuazione dei cicli di
chemioterapia.
La scintigrafia polmonare può essere sia perfusoria sia ventilatoria, e possono essere utilizzate per ricercare
il cosiddetto mismatch, nel quale una parte di tessuto può essere areato ma non perfuso ed è il tipico caso
della embolia polmonare: la scintigrafia ventilatoria risulterà normale, e quindi l’isotopo inspirato dal
paziente si distribuirà in maniera omogenea ma, iniettate le microsfere di albumina legate all’isotopo
radioattivo che costituisce il tracciante (si fa quindi una microembolizzazione), queste si fermeranno dove il
sangue non passa mettendo in evidenza il mismatch, segno chiaro di embolia polmonare.
Ad oggi si fa solo la scintigrafia perfusoria, nessuno fa contemporaneamente anche la ventilatoria, e con
delle indicazioni:
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la gravidanza, perché la TC è legata alla radioesposizione;
l’allergia ai mezzi di contrasto, relativamente rara;
l’insufficienza renale: se si fa un angio TC in un paziente che ha un filtrato di 30mL al minuto, quindi
ai limiti dell’insufficienza renale severa, si ottiene solamente il peggioramento dell’insufficienza
renale. Si può fare una preparazione dando dei liquidi, riducendo il valore della creatinina ma
questo non è possibile in un paziente che ha un danno renale permanente ed una insufficienza
renale cronica, e se il filtrato è tra i 30 e i 40mL/min o anche meno, la TC con contrasto non è da
fare.
Nella scintigrafia polmonare si inietta comunque un radiofarmaco, si tratta di microaggregati di albumina
marcati con tecnezio che si distribuiscono a tutto l’albero polmonare; la presenza di zone non perfuse ci
può far dedurre che quel polmone è stato vittima di un’embolia polmonare.
La scintigrafia polmonare è utile quando c’è alta probabilità ed una embolia polmonare importante,
diversamente per embolie polmonari meno importanti si possono avere dei quadri scintigrafici intermedi o
non diagnostici. L’area ipoperfusa alla scintigrafia polmonare può essere dovuta anche ad altre condizioni
come una neoplasia, una BPCO, una patologia infiammatoria (una polmonite può dare problemi di
perfusione) oltre che un’embolia polmonare, e ciò rende questo esame problematico, anche perché il
risultato deve essere dato in probabilità e questo non avviene quasi mai: il medico nucleare descrive quello
che vede però alla fine deve dare una probabilità, che può essere alta, bassa oppure indeterminata, come
avviene nel 30% dei casi, ed il problema nasce qui perché questo quadro porta a concludere erroneamente
la diagnosi di embolia polmonare utilizzando espressioni come “probabile” embolia polmonare, oppure
“micro” embolia polmonare, e questo determina che, chi deve esaminare questo paziente soprattutto
quando passa tempo e la terapia andrebbe sospesa, si trova a valutare degli esami non particolarmente
precisi. Per quanto è possibile e con tutti i limiti, bisogna sempre cercare di fare diagnosi di certezza, non
accontentandosi di tutto quello che viene passato col termine “verosimile”.
Quali sono i limiti della scintigrafia? Fornisce una immagine planare, c’è scarso accordo tra gli esaminatori, il
risultato è spesso solo descrittivo, c’è una sovrapposizione dei segmenti polmonare, e ci sono troppi
risultati indeterminati. Un altro problema è nell’anziano, perchè nel paziente che è arrivato a ottanta anni
la percentuale di immagini non diagnostiche indeterminate sale paurosamente al 60%. D’altro canto la
specificità per embolia polmonare assente è alta del 99.7%, ma anche la percentuale non diagnostica di
esami secondo uno studio di qualche anno fa è alta, circa il 20.6%.
È importante valutare la performance dei nostri apparecchi ma anche degli operatori con dei test statistici
che permettono di valutare l’indice di concordanza, ed uno fra questi è il Kappa di Cohen: il Kappa di
Cohen, che rappresenta l’indice di concordanza fra due test, è considerato buono quando va da 0.7 a 1.
Quale è la sensibilità e la specificità dell’angio TC? La specificità è del 96% e la sensibilità all’83% secondo
dati del 2006, per cui c’è da attendersi un miglioramento delle performance con le macchine attuali che
hanno un centinaio almeno di detectors.
La SPECT è la stessa indagine di prima (si riferisce alla scinti) solo che, attraverso un software indicato non
abbiamo più un’immagine planare ma una immagine a 360°: non c’è più la sovrapposizione di segmenti
polmonari e per questo motivo ha una performance decisamente migliore rispetto alla scintigrafia classica
(la nostra medicina nucleare è in grado di fare la SPECT ma anche la SPECT-TC, cioè fare con una sola
macchina tutte e due le indagini, che equivale ad avere un immagine che fa vedere sia il difetto di
perfusione, sia dove è situato quel difetto da un punto di vista anatomico).
Il grado di radioesposizione per le diverse procedure radiologiche è diverso, ad esempio una RX torace
0.1mSv, una RX della colonna 1.5mSv (la radiologia tradizionale non dà una grande radioesposizione).
Per le varie TC è diverso: per una angiografia per embolia polmonare, si parla di un valore medio di 15mSv,
e più potenziamo una tac più aumenta la radioesposizione, e questo porta ad un aumento del rischio per
tumore da eccesso di radioesposizione.
Per la scintigrafia perfusoria ci sono dati che parlano di 2mSv o addirittura di un solo milliSievert.
Un altro argomento inserito nella medicina d’urgenza è la febbre di origine sconosciuta.
Questa è sempre un grosso problema per il medico, il paziente arriva con febbre senza che si conosca la
causa, senza che ci sia sul momento ma anche successivamente la possibilità di fare una diagnosi definitiva.
Parlando di febbre di origine sconosciuta si intende una misurazione della temperatura corporea superiore
ai 38°C per più di tre settimane con una diagnosi che rimane incerta dopo una settimana di indagini. È la
situazione peggiore, perché il paziente ma anche i parenti iniziano a far pressione, ad avere un giudizio
negativo nei confronti del medico e proprio per questo la febbre di origine sconosciuta rientra nello stress
che il medico deve affrontare, avendo davanti un paziente per il quale fatto di tutto senza trovare nulla.
La prima cosa da fare è visitare attentamente il paziente, l’esame obiettivo è importantissimo perché molte
situazioni possono essere rilevate banalmente dalla storia clinica raccolta adeguatamente e dall’esame
obiettivo ben eseguito. In circa il 20% dei casi non si riesce a trovare la causa, però a volte succede che
indipendentemente da tutto quello viene fatto il quadro si risolve da solo e la febbre come è arrivata se ne
và, e questo può succedere anche un mese, due mesi dopo, nonostante vi siate affannati a trovare una
soluzione per questo paziente sottoponendolo a tac, a risonanze, a prelievi di tutti i tipi senza trovare
niente. Oltre a raccogliere la storia clinica e fare l’esame obiettivo, deve essere predisposta la routine di
biochimica clinica, l’emocromo con striscio periferico se è indicato dal referto che arriva dall’emocromo,
l’emocoltura, l’urinocoltura e l’RX torace. Questa è la base da applicare ad un paziente che arriva con la
febbre, ed è importante che venga fatto all’arrivo del paziente, qualsiasi sia l’ora; se il paziente arriva alle
tre del mattino, gli esami colturali verranno mandati la mattina dopo, ma il prelievo deve essere fatto,
quindi gli esami di emocoltura e urinocoltura devono essere fatti e pronti all’invio l’indomani mattina, l’RX
torace deve essere fatto subito così come la routine degli esami di laboratorio. La bontà di un ospedale si
evince anche da quanto questi test vengono fatti velocemente e da come vengono prescritti dal medico di
guardia, che di notte o di giorno deve seguire questo tipo di approccio che è fondamentale. L’importanza di
questa tempestività sta nel fatto che in un paziente con febbre, indipendentemente da quello che possiamo
avere, dobbiamo iniziare una terapia antibiotica ad ampio spettro su base empirica, come una
cefalosporina ad ampio raggio o un chinolonico, il più in fretta possibile, in maniera tale che da subito quel
paziente possa essere inquadrato, e successivamente si vedranno i risultati degli esami colturali.