DAL 27 FEBBRAIO AL 12 MARZO IL GIORNALE DELL’INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGY PAG.10 Ildocumento INDUSTRIA E ICT Olivetti, anatomia di un suicidio L’analisi della redazione della rivista Beltel sull’ascesa e la caduta dell’azienda di Ivrea Una parabola che fornisce utili indicazioni per valutare i nuovi soggetti dell’ICT italiano La rivista Beltel pubblica, nel suo ultimo numero, un’analisi dell’ascesa e del declino dell’Olivetti. Nell’ambito di un accordo di collaborazione editoriale, ne riproponiamo il testo integrale. Il tema “cambiamento, politica industriale, finanza” sarà al centro di un convegno organizzato per il 28 febbraio dall’Osservatorio Beltel a Milano, al Centro Congressi Le Stelline. In un recente convegno a Roma, organizzato dal “Gruppo nazionale dei Docenti e dei Ricercatori d’Ingegneria Informatica” è stata presentata una proposta per un Patto Nazionale per una Politica dell’Industria del Software in Italia; questioni analoghe appaiono nel sito www.alfonsofuggetta.org. Il tema è rilevante e “caldo”, e incontra con precisione questioni più generali di assenza di una politica industriale del Paese. Ma, poiché per essere utili occorre approfondire, restando nello specifico del mercato ICT, sarebbe interessante analizzare quando, come e perché un’industria che in Italia è stata di grande sviluppo, nonché per molti anni un riferimento internazionale, è sparita non solo nelle attività ma anche nella memoria. Nel nuovo libro “Primo Tempo”, di Roberto Colaninno, viene affrontata la storia recente dell’ ”evoluzione/cambiamento/ involuzione/scomparsa” dell’Olivetti: ogni volta che nel libro si utilizza il termine “piano industriale”, si fa riferimento più alla necessità di ridurre costi, quindi addetti, e/o di reperire mezzi finanziari, piuttosto che esprimersi in termini di prodotti da realizzare o di mercati da raggiungere. In un sistema azienda assolutamente in crisi, l’unico valore riconosciuto dal punto di vista industriale è l’Omnitel, ma questa è presto ceduta per avere mezzi per un piano di rilancio di…? Un approfondimento sul tema è importante, con alcune indispensabili premesse. Non si tratta qui di entrare nel merito delle capacità industriali di Roberto Colaninno che peraltro sta ottenendo ben altri risultati in Piaggio; ma se le differenze nei mercati delle due aziende sono evidenti, le ragioni dell’insuccesso nella prima sono da osservare con attenzione. Non si tratta neanche di considerare l’origine e la fine degli eventuali flussi finanziari a margine della faccenda; tema eventualmente interessante ma ben trattato in altre sedi e con altre competenze. Né l’Olivetti va considerato un caso da “risvegliare” di unica realtà, seppure importante, nel settore; se mai si tratta di ricavarne indicazioni che possano essere utili nel panorama dei nuovi soggetti del mercato italiano dell’ICT, sperando che le ipotesi di aggregazione e di crescita giungano a costruire nuovi e veri fenomeni industriali. Proviamo allora a mettere in ordine alcuni temi, cosa peraltro fatta insieme ad un amico e davanti ad una bottiglia di vino, e apriamo il dibattito. Modelli di business verticali. Sino agli anni ’70, l’Olivetti è un’azienda verticale con competenze di produzione e di management nell’industria meccanica ed elettromeccanica; poi, come vedremo, affronterà una storia di trasformazione e cambiamento verso l’elettronica con capitoli di successo e di difficoltà. Ma in quella fase tutti i componenti dei prodotti nell’area “scrivere” e “calcolo” sono progettati e prodotti a Ivrea; la maggior parte dei brevetti è di proprietà: a memoria di questo una fontana nel centro di Ivrea simboleggia un grappolo di ponticelli con cui una macchina da scrivere imprimeva un carattere su carta. Design e realizzazione interna. Primi cambiamenti. Il passaggio all’elettronica avviene attraverso due fasi in tempi diversi. L’esperienza Elea nei “grandi calcolatori” serve per acquisire knowhow di base e formare ricercatori nel gruppo di Pisa, che, con inconscia visione, era guidato da un cinese; questa attività genererà poi il noto spin-off con General Electric e un’altra storia con il nome Honeywell. Ma la conservazione del modello verticale avviene, dopo il più che famoso P101, con la famiglia di prodotti “A” nelle versioni A4, 5, 6 e 7; si tratta di sistemi elettronici per applicazioni gestionali con una forte integrazione elettronica e con primi livelli di memorie di massa, floppy e hard disk esterni e rimovibili. Successi di mercato e verticalizzazione. Quei modelli ebbero un notevole successo: la versione più dotata, con un costo approssimativo all’epoca di qualche decina di milioni di lire (1974…), venne installata in Italia in diverse migliaia di esemplari. Questo fra l’altro descrive lo stato di salute della PMI nel Paese, visto che c’erano così tante aziende disponibili ad investire nei propri processi di informatizzazione. La struttura del modello di business rimane ancora verticale con gran parte della progettazione e realizzazione, interna. Le mother-board sono disegnate e realizzate a Ivrea; 3000 ricercatori costituiscono una significativa realtà di r&d sia per le realizzazione hardware che per sistemi operativi e piattaforme. In parallelo alla famiglia di sistemi gestionali “A”, vengono progettati e prodotti sistemi di valore nell’area del calcolo scientifico, il P6060, e CARLO DE BENEDETTI rilevò negli anni Settanta l’azienda di Ivrea. Qui sotto il fondatore Adriano Olivetti « Considerazioni che portano a ipotizzare colpe diffuse nell’”uccisione” dell’ICT italiano: la crisi di un sistema » della applicazione in rete, il TC800; questo ultimo soprattutto diventa un nuovo grande successo rappresentando una prima forma di informatica distribuita per applicazioni bancarie: l’IBM sottolineerà il successo attraverso una ricerca di personale specializzato in sistemi Olivetti per assicurare assistenza ai suoi clienti. Competenze di prodotto e di gestione. In questa situazione l’azienda è perfettamente in grado di analizzare e controllare i propri sistemi di costo e conosce, nel suo modello verticale, i margini dei propri prodotti e le necessità di vendita e di presenza sui mercati. La crisi del 1976/77/78 che porterà l’Ingegner De Benedetti a controllare l’Azienda, è una crisi da sottocapitalizzazione e da sviluppo, risolta con la decisione della proprietà di aprire il capitale e diluirsi. Ma non certo una crisi di prodotti e mercati e, entro certi limiti, neanche di management. I sistemi di reports e di valutazione vanno aggiornati ma sono “in piedi” con una organizzazione commerciale che fa ancora perno su criteri di attenta copertura territoriale. I mitici “zerouno”, commerciali di strada con una conoscenza dettagliatissima del loro mercato, fanno scuola. Da verticale a orizzontale. L’Ingegner De Benedetti rilancia l’impresa, sottolinea ed espande la motivazione del management, apre la strada alla produzione dei personal computer; M20 ed M24 rappresentano mile stones geniali e collettive dello sviluppo aziendale con un famoso ed enorme contratto per la fornitura di 500.000 pezzi all’anno ad AT&T per la vendita sul mercato americano. Vengono adeguate le linee di produzione, ma incredibilmente questi successi saranno anche l’avvio di una serie di circostanze difficili e di una nuova irreversibile crisi. L’avvento di piattaforme standard. Con l’M24 l’Olivetti apre la strada al sistema operativo MS-Dos e alle piattaforme standard, affrontando la nuova difficile condizione dei mercati aperti e della competitività per modelli di business orizzontali. Naturalmente la strada doveva essere considerata inevitabile e affrontata con maggior determinazione e con una chiara visione del futuro; fu invece gestita con ipotesi di transizione che avrebbero dovuto salvaguardare maggiormente i valori interni ed invece si rivelarono complesse e traumatiche. Un punto saliente si rivelò la progettazione e realizzazione della “Linea 1” che rappresentò la prima famiglia di prodotti ad architettura omogenea adatta a tutti i segmenti di mercato su cui l’Azienda era presente: dal gestionale al bancario. Primi errori. Due questioni resero difficili le scelte di management; da un lato l’attenzione allo sviluppo dell’offerta ebbe come contro-effetto un rallentamento di presenza nella gestione della rete commerciale, con un gap formativo ed una conseguente perdita di presenza sul mercato. Dall’altro la transizione tecnologica e di piattaforme non fu abbastanza veloce e vennero difese scelte interne e proprietary, considerate effettivamente più solide e complete, nel tentativo di difendere fino all’ultimo il modello verticale. Avviando una fase negativa con, secondo noi, almeno due errori fondamentali: a) Si sarebbe dovuto più efficacemente passare ad Unix e ai sistemi aperti. Approfittando degli accordi con AT&T che prevedevano un trasferimento di know-how sul sistema operativo Unix, prodotto dalla ricerca dei Bell Labs, in casa AT&T, la ricerca e sviluppo avrebbe dovuto concentrarsi sull’adozione di quel sistema e sull’adattamento delle piattaforme applicative e di middleware che l’Olivetti aveva nei suoi mercati di eccellenza, soprattutto le banche. La spinta a difendere le piattaforme prodotti esistenti, consumò una enorme quantità di risorse nell’adeguamento e messa a punto di sistemi operativi proprietari, che ebbero vita breve e successi scarsi. b) La struttura commerciale andava valorizzata. Una volta definito che il modello verticale non era difendibile, andava mantenuto il controllo del mercato anche attraverso provvisorie proposte di prodotti di terzi (AT&T) in attesa di sviluppare “soluzioni integrate proprie”. Il controllo del mercato avrebbe infatti permesso di conoscere le richieste dei clienti ed anticipare una evoluzione che nel frattempo andava verso IBM e AS400. L‘impegno nella costruzione di un offerta ”ipoteticamente” migliore ha bizzarramente contribuito a indebolire l’organizzazione commerciale. Un eccesso di imprenditoria sogget- tiva. Si tratta di una espressione che in quegli anni ha caratterizzato il management dell’Azienda, pronto ad interpretare flessibilmente e positivamente ogni opportunità. Ma questa caratteristica non era supportata da una necessaria visione “unitaria” di medio-lungo periodo che l’Azienda avrebbe dovuto possedere. Ne risultò un periodo di successi discontinui e parziali, “a macchia di leopardo”, con il risultato di rallentare la presa di coscienza di quello che era necessario fare e con una soddisfazione nella misura delle proprie attività solo sullo short term. Crisi Globale e Locale. Naturalmente le condizioni generali dei mercati hanno aggravato la situazione. Molte altre aziende del settore sono “sparite” prima e all’Olivetti va riconosciuta una notevole capacità di resistenza. Ma “uno su mille ce la fa” e se da un lato qualcuno ha guardato a ICL (uk), Nixdorf (ger) e Bull (fra), dall’altro IBM, Siemens ed altri sono sopravissuti ma ridefinendo il loro modello di business e procurandosi significative alleanze. La cessione dell’area personal computer a Lenovo (chi) da parte di IBM, non impedisce a questa di cercare altre forme di sviluppo. Cosa è un prodotto ICT? Probabilmente è necessario rispondere a domande come questa, e ciò vale per tutti i mercati, in modo assolutamente aperto. La recente fusione fra Pixar e Walt Disney , apparentemente nel mercato dei contenuti, ha portato Steve Jobs a divenire il primo azionista di Walt Disney e probabilmente a esserne l’amministratore delegato. Ma Steve Jobs è un’icona del mercato ICT e da questo potrebbe ricavarsene, con un transfert ardito, che Walt Disney è un’azienda ICT. In realtà molti hanno criticato Steve ed il suo IPod, considerando questo poco più che un gadget: l’aver generato poi il termine “podcasting” ha invece sottolineato la potenziale apertura di vastissimi mercati per prodotti e servizi, in un area, quella dell’Infotainement, su cui si dibatte da tempo. Coraggio, visione e politiche di coordinamento. Le considerazioni fatte su Olivetti portano ad ipotizzare colpe diffuse (nonché autocritiche nel management operativo) nel processo di “uccisione” dell’Industria italiana dell’ICT. Ma proprio questa diffusione sottolinea la crisi di un sistema e non di una situazione con la conseguente necessità di auspicare approcci collettivi al problema. - Formare un management più coraggioso e meno disposto a motivarsi solo sul breve termine, richiede una Scuola ed una Università “non a punti”, a loro volta impegnati nella creazione di una cultura più globale e duratura. - Motivare il management all’interno delle Aziende, a percorsi industriali e a riflessioni sui prodotti, significa incentivare i risultati su cicli di 3/5 anni e disincentivare le rendite finanziarie speculative. Al contrario assicurando il giusto valore a chi investe mezzi finanziari in fondi e progetti con obbiettivi e progetti strutturati - Incrementare la domanda interna significa identificare quale livello di PMI aiutare nei suoi processi di sviluppo e individuare i settori ad alto tasso di crescita in modo che possano sfruttare adeguatamente le soluzioni tecnologiche innovative. - Occorre distinguere fra aziende “bambine” con una elevata potenzialità di crescita e aziende “nane” con evidenti difficoltà genetiche. Occorre concentrare gli impegni, anche pubblici e collettivi, per la costruzione di poli di eccellenza per lo sviluppo tecnologico ricordando che Silicon Valley, Cambridge e Sophia Antipolis non sono “sulla porta di casa” di nessuno. - Una politica di standard, coniugata con una definizione accurata delle esigenze prioritarie della pubblica amministrazione, genererebbe un circolo virtuoso fra Aziende Software e e-Gov con conseguenti e indubbi vantaggi pervasivi. La generazione di edge project costituisce uno sperimentato ed efficace strumento di inseminazione e diffusione dell’innovazione.