Coulombometria ed elettrogravimetria Nei metodi noti come coulombometria (o coulometria) ed elettrogravimetria la determinazione di un analita avviene sfruttando, rispettivamente, la carica elettrica necessaria per la sua completa ossidazione o riduzione o la massa che si deposita su uno dei due elettrodi di una cella elettrochimica in seguito proprio a tale processo. Rispetto ai metodi potenziometrici in questo caso una corrente deve necessariamente circolare attraverso la cella elettrochimica, dunque vanno considerati due aspetti fondamentali: 1) la caduta ohmica 2) la polarizzazione I Cella elettrolitica 0 f.e.m. Cella galvanica Eapp Tipicamente la cella elettrochimica opera in condizioni di elettrolisi, in modo che le reazioni redox agli elettrodi siano opposte a quelle spontanee: Edestra = -0.471 V Esinistra = 0.263 V Ecella = -0.734 V nessuna reazione Si noti che -0.734 V rappresenta la f.e.m. della cella senza giunzione liquida così com’è disegnata, applicando la convenzione IUPAC. Se non vi fosse alcuna sovratensione, si potrebbe scrivere la relazione: Eappl = Ecella – IR da cui: I = (Ecella – Eappl)/R dove Ecella è la differenza fra il potenziale dell’elettrodo di destra e quello dell’elettrodo di sinistra. In realtà è possibile che siano presenti diversi tipi di sovratensione, in particolare le sovratensioni di concentrazione e di trasferimento di carica (o cinetica), pertanto la relazione più generale è: Eappl = Ecella+ (rc + rk ) – (lc + lk) - IR dove: r = right, l = left, c = pol. di conc. e k = pol. di trasf. di carica. Qualunque altro contributo, se presente, alla sovratensione complessiva degli elettrodi destro e sinistro della cella andrebbe introdotto nel termine in parentesi corrispondente, al secondo membro dell’equazione. Nel caso della cella elettrochimica mostrata in precedenza: Ag|AgCl, Cl- (0.200 M), Cd2+ (0.00500 M)|Cd si osserva la validità della relazione fino ad un Eappl = Ecella – IR potenziale applicato di circa -0.800 V, infatti risulta: I-0.800 V = [- 0.734 – (-0.800)]/15 = = 0.0044 A = 4.4 mA Per potenziali applicati superiori (in valore assoluto), necessari per ottenere intensità di corrente maggiori, si registra una crescente sovratensione (ad esempio -0.23 V per una corrente di 7 mA). Modalità operative di un’elettrolisi analitica A prescindere dal metodo a cui è destinata, coulombometria o elettrogravimetria, un’elettrolisi analitica può essere condotta in varie modalità. Le principali sono: 1) potenziale applicato alla cella costante; 2) corrente costante; 3) potenziale dell’elettrodo di lavoro costante. Elettrolisi a potenziale di cella costante Il metodo 1 viene tipicamente applicato per la riduzione di cationi in condizioni in cui la riduzione di H+ ad H2 è difficile. Un caso tipico è la determinazione del Cu2+. Si consideri la seguente cella elettrochimica: Pt|Cu2+ (0.0220 M), H+ (1 M)|Pt nel caso specifico occorre considerare anche l’O2 disciolto in soluzione e la sua coppia redox con l’H2O. Di fatto l’obiettivo dell’elettrolisi è far avvenire la reazione: Cu2+ + H2O Cu(s) + ½ O2 + 2 H+ Applicando una differenza di potenziale di -2.5 V fra l’elettrodo di destra e quello di sinistra, sul primo si verifica la deposizione di Cu metallico mentre sull’altro l’acqua si ossida liberando O2 gassoso. Sperimentalmente si osserva che l’intensità di corrente non è costante, nonostante si mantenga il potenziale di cella costante nel tempo: La diminuzione della corrente si deve alla sempre maggiore difficoltà di trasporto di ioni Cu2+ verso l’elettrodo che funge da catodo, legata alla progressiva scomparsa di tali ioni dalla soluzione. Poiché I diminuisce, -IR diventa meno negativo, dunque gli altri termini del secondo membro dell’equazione: Eappl = Er – El + (rc + rk ) – (lc + lk) - IR devono modificarsi, assumendo valori più negativi, affinché sia sempre Eappl = -2.5 V. Nel caso specifico, la sovratensione di trasferimento di carica per la formazione di O2 (lk) compensa leggermente, procedendo verso valori meno negativi. Il potenziale del catodo, Ec = Er + rc, compensa in modo prioritario, diminuendo in modo marcato. La diminuzione del potenziale del catodo può innescare altri processi di riduzione, se sono presenti altre specie riducibili: se fossero presenti Pb2+ e/o Cd2+ nella cella, comincerebbero a ridursi al catodo quando ancora è in corso la deposizione di Cu, rendendo impossibile la determinazione di questo, sia per via coulombometrica che elettrogravimetrica. 2H+ H2 Cd2+ Cd Pb2+ Pb In assenza di altri cationi riducibili, la riduzione di H+ ha inizio prima del completamento della deposizione di Cu2+. Poiché l’H2 si libera come gas, almeno la determinazione elettrogravimetrica del Cu2+ non ne è inficiata. La scarica di H2 attenua la polarizzazione catodica (depolarizza il catodo), impedendo l’eventuale scarica di cationi con potenziali redox ancora più bassi. Elettrolisi a corrente costante La scarica di un catione come Cu2+ può avvenire a corrente costante, purché si aumenti (in valore assoluto) il potenziale di cella durante l’elettrolisi, in modo da compensare la polarizzazione catodica. Di fatto, quando la concentrazione di Cu2+ scende a valori molto bassi, la polarizzazione catodica si innesca comunque: La riduzione di H+ ad H2 diventa dunque via via preponderante e la carica spesa nell’elettrolisi non è più correlabile alla quantità di Cu2+ presente. Elettrolisi a potenziale dell’elettrodo di lavoro controllato (potenziostatica) Rappresenta l’approccio migliore per la determinazione coulombometrica o elettrogravimetrica di un analita, in quanto permette di impedire a reazioni redox interferenti di verificarsi insieme a quella di interesse sull’elettrodo prescelto per essa, definito elettrodo di lavoro. Per tale approccio è indispensabile utilizzare una cella a tre elettrodi: 1) Elettrodo di lavoro 2) Controelettrodo 3) Elettrodo di riferimento e due circuiti, quello dell’elettrolisi vera e propria e quello del riferimento. Nelle varianti attuali dei sistemi per elettrolisi a potenziale controllato, totalmente automatizzate, l’operatore imposta da software il potenziale dell’elettrodo di lavoro rispetto al riferimento e anche se (e come) esso dovrà variare nel tempo dell’elettrolisi. Quando il potenziale comincia a discostarsi dal valore desiderato, il computer, che riceve il segnale dal voltmetro digitale, invia un comando al sistema di controllo della d.p.p. fra elettrodo di lavoro e controelettrodo, in modo da variarla fino a quando il potenziale del primo torni al valore atteso (meccanismo di feedback). Nel caso dell’elettrolisi potenziostatica si può modulare il potenziale di cella iniziale in modo che la corrente iniziale sia elevata (il che velocizza il processo). Man mano il potenziale di cella viene diminuito per evitare eccessi di polarizzazione catodica. Il processo si ritiene completo quando l’intensità di corrente diventa trascurabile: Deposizione potenziostatica del Cu da Cu2+ Elavoro = -0.26 V contro SCE Selettività di un’elettrolisi potenziostatica L’Equazione di Nerst prevede che un abbassamento di 10 volte della concentrazione di un catione Mn+ implichi una diminuzione del potenziale della coppia Mn+/M di 0.059/n V (a 25°C). Considerando di partire da [Mn+] = 0.1 M e di ritenere la deposizione completa quando [Mn+] = 10-6 M, la variazione sarà pari a : 0.059 × 5 = 0.295 V per cationi monovalenti; 0.059/2 × 5 = 0.147 V per cationi bivalenti; 0.059/3 × 5 = 0.098 V per cationi trivalenti In definitiva è possibile determinare in modo selettivo, per elettrolisi potenziostatica, cationi, aventi la stessa concentrazione, i cui potenziali nerstiani differiscano dei valori indicati. Metodi coulombometrici Nei metodi coulombometrici la quantità di carica Q che circola nel circuito viene calcolata a partire dall’intensità di corrente I e successivamente utilizzata per risalire alle moli di analita, nA, coinvolte nel processo redox (ad esempio moli di metallo depositate dal catione presente in soluzione): Q=I×t (nei metodi a corrente costante o amperostatici) t Q = I(t)dt (nei metodi a potenziale controllato) 0 Per la Legge di Faraday risulta: nA = Q/nF dove F = 96485 C/eq, la costante di Faraday Tale relazione vale rigorosamente soltanto se l’efficienza di corrente del processo è del 100%, ossia se tutta la carica elettrica circolante viene spesa per la reazione redox che coinvolge l’analita. Coulombometria a potenziale controllato In questo caso la carica viene ottenuta per integrazione della curva corrente/tempo: Di fatto non è necessario che il prodotto della reazione redox si depositi all’elettrodo di lavoro (ad esempio la riduzione Fe3+ Fe2+ o l’ossidazione H3AsO3 H3AsO4) La strumentazione per coulombometria potenziostatica consta di: 1) una cella a tre elettrodi 2) un potenziostato 3) un integratore della corrente, necessario per la misura della carica Esempi di celle a tre elettrodi per coulombometria potenziostatica In entrambi i casi anche il controelettrodo è separato dalla soluzione mediante un ponte salino; ciò evita che i prodotti generati dall’elettrolisi sull’elettrodo di lavoro interferiscano con la reazione redox relativa al controelettrodo. Potenziostati Il potenziostato comprende un partitore di tensione, un dispositivo di feedback (retro-azione), deputato al controllo del potenziale dell’elettrodo di lavoro rispetto all’elettrodo di riferimento, ed il dispositivo per la misura dell’intensità di corrente che circola nella cella elettrolitica. Lo schema generale per un’elettrolisi che implica una riduzione all’elettrodo di lavoro è il seguente: partitore di tensione opzionale terra dispositivo di feed-back Agitatore magnetico terra partitore di tensione opzionale terra dispositivo di feed-back Agitatore magnetico terra nodo circuitale I2 Eapp P anodo Circuito equivalente Ic I1 catodo Il meccanismo di feed-back si basa su un amplificatore operazionale, schematicamente disegnato come un triangolo nel circuito equivalente: nodo circuitale I2 Eapp P anodo Ic I1 catodo Per il circuito associato al potenziostato valgono le seguenti relazioni e considerazioni: in base alla Prima Legge di Kirchoff risulterà: Ic = I2 + I1; poiché l’amplificatore ha un’elevata resistenza di ingresso I2 ≈ 0; ciò implica che: 1) la differenza di potenziale fra il punto P e l’ingresso negativo dell’amplificatore (detto terminale invertente) sia uguale al potenziale dell’elettrodo di riferimento, Eref; 2) Ic ≈ I1 Fasi della misura coulombometrica Il partitore di tensione applica una tensione E1 all’ingresso positivo dell’amplificatore (detto anche terminale non invertente); nodo circuitale I2 Eapp l’amplificatore eroga in uscita un potenziale Eapp che viene applicato all’anodo, mentre il catodo è posto al potenziale della Terra: ha inizio l’elettrolisi e circola una corrente di cella Ic; P anodo Ic I1 catodo l’amplificatore opera in modo che E2 ≈ E1; in base alle considerazioni fatte in precedenza si possono scrivere le relazioni: E1 ≈ E2 = Eref + I1 Ru = Eref + Ic Ru in quanto la differenza di potenziale fra il punto P e il catodo è pari alla caduta ohmica fra di loro, ossia I1 Ru Il termine Ic × Ru è, di fatto, il potenziale del catodo, Ecat, rispetto alla Terra, quindi si può scrivere la relazione: E1 ≈ E2 = Eref + Ic × Ru = Eref + Ecat Nel corso della misura potenziostatica Ecat dev’essere costante e la tensione in uscita dall’amplificatore, Eapp, varia nel tempo proprio per assicurare questa condizione. Ad esempio, se il prodotto Ic × Ru aumenta, perché la resistenza Ru o la corrente Ic sono aumentate nel tempo (Ic può aumentare anche se diminuisce Rc, ad esempio), l’amplificatore diminuisce Eapp in modo che Ic diminuisca. Il contrario accade, naturalmente, quando il prodotto Ic × Ru diminuisce. La variazione di Eapp avverrà fin tanto che non si saranno ripristinate le condizioni chiave del meccanismo di feedback, ossia I2 = 0 e, quindi, E2 = Eref. Integratori analogici o digitali dell’intensità di corrente Negli integratori (coulometri) analogici l’intensità di corrente di cella (ii) diventa prima un potenziale, passando su una resistenza nota R i. Integ. Tale potenziale viene inviato ad un circuito di integrazione (Integ.), anch’esso basato su un amplificatore operazionale: l’integrale della corrente nel tempo (ossia la carica) è proporzionale al potenziale in uscita (o). Negli integratori digitali l’intensità di corrente di cella (o la tensione in cui è stata preventivamente trasformata) viene prima convertita in dato digitale da un convertitore analogico/digitale (A/D) e poi inviata ad un computer, che effettuerà l’integrazione: A/D Applicazioni generali della coulombometria potenziostatica Analisi di ioni inorganici (oltre 55 applicazioni riportate), tipicamente per riduzione a metallo (amalgama) su elettrodi di mercurio; Analisi di ioni/molecole neutre organiche riducibili su mercurio, ad esempio: 2 Cl3C-COO- + 2H+ + 2 e- 2 Cl2H-COO- + Cl2 OH O 2N OH NO2 + 18 H+ + 18 eNO2 H2 N NH2 + 6 H2O NH2 Analisi di ioni/molecole neutre organiche (ammine, fenoli) ossidabili su Pt o elettrodi di grafite Coulombometria a corrente controllata: titolazioni coulombometriche In una titolazione coulombometrica si determina il numero di moli della specie da titolare a partire dalla carica circolante in una cella elettrolitica operante a corrente costante (entro al massimo lo 0.1 %). La reazione redox all’elettrodo di lavoro può coinvolgere: 1) unicamente la specie da titolare (titolazione diretta) 2) in parte la specie da titolare, in parte una specie aggiunta, il cui prodotto di reazione redox funge, da un certo punto della titolazione in poi, da titolante (titolazione parzialmente indiretta) 3) unicamente una specie diversa, che fungerà sin dall’inizio da titolante, mentre la specie da titolare non sarà interessata dal processo redox (titolazione indiretta) In tutti i casi citati si deve fare in modo che l’efficienza di corrente del processo si mantenga sempre al 100% ossia che la carica circolante non venga mai spesa in un processo che non coinvolga, direttamente o indirettamente, la specie da titolare ma che venga tuttavia innescato da fenomeni di polarizzazione. Esempi di titolazione coulombometrica non diretta Titolazione coulombometrica ossidativa del Fe2+ La reazione iniziale in questo caso è: Fe2+ Fe3+ + e- ma all’aumentare del potenziale applicato all’elettrodo di lavoro, per effetto della polarizzazione di concentrazione a carico del Fe2+, subentra la reazione di ossidazione dell’H2O a O2: 2 H2O O2 + 4H+ + 4e- La carica spesa in questa fase non è più correlata unicamente al Fe2+ presente, dunque si genera un errore nella determinazione. La contromisura consiste nell’aggiungere inizialmente un eccesso di sale di Ce3+ alla soluzione di Fe2+ da titolare. Prima che possa innescarsi l’ossidazione dell’H2O avverrà quella del Ce3+: Ce3+ Ce4+ + e- Il Ce4+ prodotto reagirà con stechiometria 1:1 con il Fe2+ residuo presente: Ce4+ + Fe2+ Ce3+ + Fe3+ in pratica la carica spesa per ossidare il Ce3+ sarà la stessa necessaria per completare l’ossidazione del Fe2+, dunque non si commette alcun errore nel ricavare il numero di moli di quest’ultimo da essa. Titolazione coulombometrica indiretta del ClIn questo caso si sfrutta l’ossidazione elettrochimica dell’Ag ad Ag+, che poi reagisce con stechiometria 1:1 con il Cl- facendolo precipitare come AgCl. Di fatto il Cl- non è coinvolto in alcuna reazione redox, eppure la carica misurata è correlabile al numero delle sue moli. Apparato strumentale galvanostato La misura ha inizio quando l’interruttore passa in posizione 1, facendo così circolare corrente nella cella e partire contemporaneamente il timer. Passando alla posizione 2 il timer si ferma ma la corrente circola comunque, passando per la resistenza R1, che simula quella della cella elettrochimica. Ciò consente di mantenere stabile la corrente erogata dal galvanostato in vista di una successiva misura. L’elettrodo di lavoro è tipicamente in platino (il mercurio crea solo il contatto elettrico al suo interno) e ha una superficie elevata. Anche in questo caso il controelettrodo è isolato dal resto della soluzione mediante un setto poroso (vetro sinterizzato) per evitare interferenze. Nel caso delle titolazioni coulombometriche il punto finale non è determinato automaticamente, va individuato con l’ausilio di indicatori o per via potenziometrica o fotometrica. Titolazioni coulombometriche di neutralizzazione E’ possibile generare elettroliticamente ioni OH- o H+ da impiegare per titolazioni di neutralizzazione, sfruttando la riduzione o l’ossidazione dell’H2O, rispettivamente: Nella cella rappresentata viene stabilito un flusso di elettrolita dall’alto, che rimane attivo brevemente anche dopo aver interrotto l’elettrolisi, in modo che i titolanti possano essere introdotti nel recipiente di titolazione. Nel caso specifico la lana di vetro impedisce che le specie prodotte ai due elettrodi possano mescolarsi. In alternativa, nel caso di titolazioni di acidi forti/deboli (generazione di OH-), all’anodo, realizzato in Ag, si fa avvenire una reazione del tipo: Ag(s) + Br- (o Cl-) AgBr (AgCl) aggiungendo Br- o Cl- all’elettrolita. Titolazioni coulombometriche di precipitazione/formazione di complessi Nel caso delle titolazioni coulombometriche di precipitazione si genera, a seconda dei casi, un catione o anione per titolare uno ione di carica opposta mediante formazione di un sale poco solubile. Le titolazioni coulombometriche con formazione di complessi implicano, invece, il rilascio del legante EDTA (H4Y), nella forma HY3-: HgNH3Y2- + NH4+ + 2e- Hg(l) + 2 NH3 + HY3- (1) impiegando un catodo di Hg e una soluzione ammoniacale del complesso HgNH3Y2-. Applicazioni principali dei due tipi di titolazione (1) Titolazioni coulombometriche di ossidoriduzione L’elettrolisi a corrente costante può consentire anche di generare specie chimiche in grado di titolare l’analita di interesse mediante reazione redox: Con tale approccio si possono generare al momento utile specie che non sarebbero sufficientemente stabili da poter essere conservate in soluzione, ad esempio l’Ag2+ o il CuCl32-. Confronto fra titolazioni coulombometriche e volumetriche Entrambe le tipologie di titolazione richiedono una valutazione esterna del punto finale; in entrambi i casi le reazioni coinvolte devono essere rapide, complete e prive di reazioni collaterali; si può stabilire un’analogia concettuale fra galvanostato/timer (interruttore) di un sistema coulombometrico e soluzione di titolante/buretta (rubinetto) per un apparato volumetrico; in effetti l’interruttore viene chiuso per tempi più brevi, in più fasi, in prossimità del punto equivalente, così come si opera con il rubinetto di una buretta; le titolazioni coulombometriche evitano le problematiche connesse alla preparazione di soluzioni standard e consentono di disporre al momento di specie titolanti instabili sul lungo periodo; consentono, impiegando correnti basse, di “dosare” piccole quantità di titolante che non sarebbero erogabili con un dispositivo volumetrico; tipologie diverse di titolazione possono essere effettuate con lo stesso apparato strumentale. le titolazioni coulombometriche sono soggette ad alcune cause di errore: 1) fluttuazioni di corrente; 2) scostamenti dal 100% di efficienza di corrente; 3) errore nella misura dell’intensità di corrente; 4) errore nella misura del tempo di elettrolisi; 5) errore nell’apprezzamento del punto finale Di fatto, essendo le intensità di corrente stabili entro almeno lo 0.2% relativo, le efficienze di corrente non inferiori al 99.5% e le misure di intensità di corrente e di tempo accurate e precise, il fattore chiave nell’errore finale è l’apprezzamento del punto finale. Questo rende le titolazioni coulombometriche volumetriche in termini di accuratezza e precisione. paragonabili a quelle