rassegna stampa medea big oil

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RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
Dalle motivazioni del premio: "La messa in scena del Collettivo InternoEnki fa intuire un'interessante capacità di
lavoro del gruppo che ha saputo creare un linguaggio teatrale adatto al tipo di comunicazione e denuncia che
con grande energia porta avanti. […] Il Collettivo dichiara con forza al pubblico il proprio impegno civile a favore
di una delle più povere regioni italiane, esprimendolo con accortezza drammaturgica e avvalendosi
efficacemente della lingua lucana."
KRAPP’S LAST POST
M.e.d.e.a. Big Oil di Collettivo
InternoEnki - vincitore Premio
Scenario per Ustica 2013.
Le premesse sono già tutte nel
titolo.
Medea
è
la
figura
mitologica, rivisitata in chiave
moderna ed eterodossa, ma è
anche l’acronimo di un Master
organizzato e gestito dalla Scuola
Enrico Mattei e fortemente voluto
dall’Eni.
Siamo in Basilicata, precisamente
nella Val d’Agri, monopolio della
multinazionale del petrolio e terra
letteralmente
sventrata
dalle
trivellazioni. Ma siamo anche nel
profondo
Sud,
tuttora
assoggettato ad una mentalità
chiusa ed arcaica, dove si vive
ancora di tradizioni, dove si crede
ancora
alle
promesse
che
vengono
dall’alto,
dove
si
preferisce ancora pensare che i
disastri avvengano per volontà
divina, perché la presa di
coscienza e l’assunzione di
responsabilità fa paura, o è
semplicemente vista la strada
meno comoda da percorrere. E
dove il singolo raramente emerge,
perché a prevalere è la comunità.
E’ questa comunità che il
Collettivo InternoEnki mette in
LA REPUBBLICA
scena, reinterpretando anche in
questo caso il ruolo del coro
tragico della tradizione classica,
che diventa un vero e proprio
groviglio umano, da cui a tratti si
stacca la figura di Medea, madre
di due figli che finirà per uccidere
costringendoli a rimanere fedeli
alle regole di una terra malata, ad
accettare un lavoro malsano.
Confondendo - come riferisce la
nota di regia - un’occasione di
morte con un’opportunità di
ricchezza.
Il suo Giasone è l’ingegnere (la
compagnia petrolifera), ma anche
il sindaco (il potere politico), di cui
si fida ciecamente, nonostante i
dati e i numeri sull’incidenza
tumorale
siano
chiari,
e
allarmanti. “Ci hanno detto: non vi
abbandonerò e non vi tradirò mai.
Io
ci
credo”.
Frutto di una lunga inchiesta
svolta sul campo, il lavoro - scritto
e diretto da Therry Paternoster,
che
ricopre
anche
(splendidamente) il ruolo di
questa Medea-madre-terra - non
ha soltanto il pregio di denunciare
una situazione drammatica al
limite del comprensibile, ma
anche
quello
di
evocare
fedelmente l’“anima del sud”.
“…Un piede calzato, che
affonda in una terra malata. Un piede scalzo, a sentire
la viscosità del petrolio, a inciampare nei buchi delle
trivellazioni. È un coro di instabili, di arrabbiati, di offesi
quello che si muove in “M.E.D.E.A Big Oil”, vincitore del
Premio Scenario per Ustica. Pregano, piangono,
sputano. Vittime di una Basilicata tradita dallo straniero,
Fatta di un vociare inarrestabile,
di riti consolidati come quello di
fare la salsa di pomodoro a mo’ di
catena di montaggio, di canti
popolari suonati col tamburello.
Gli attori, c’è da dirlo, sono bravi,
e
incredibilmente
affiatati.
Seguono una partitura fisica ben
precisa, si muovono coesi e sono
in grado di restituire quella
coralità di memoria verghiana. Ma
i rimandi, letterali e teatrali sono
tanti. Come non pensare a quella
“terra dimenticata da Dio” evocata
da
Levi?
Il finale, va da sé, è tragico.
Quella scarpa che per tutta la
messa in scena gli attori non
hanno al piede (soltanto nel corso
del comizio elettorale del sindaco,
in cui si mette a regalare sogni e
scarpe, per un attimo il popolo
riacquista anche la seconda
calzatura)
viene
persa
definitivamente. E finisce ai bordi
del palco, ammassata alle altre
scarpe e in mezzo a fiori tombali.
(Erika Seghetti)
irretita dal miraggio del lavoro, dalla promessa di
ricchezza. Madre che soffoca i propri figli per vendetta.
Guida, Terry Paternoster, il Collettivo InternoEnki con
passione e foga, lucidità e strazio, orgoglio e
disgusto...”
(Rossella Porcheddu)
1 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
IL TAMBURO DI KATTRIN
“M.E.D.E.A. Big Oil di Collettivo InternoEnki è il progetto vincitore del Premio Scenario
per Ustica. Dalla rilettura del mito di Medea, Terry Paternoster, alla guida del gruppo,
presenta un lavoro corale di una forza struggente e dalle tematiche contemporanee: la
Basilicata odierna. Maria-Medea, donna e madre lucana legata alla sua terra, è vittima
e carnefice insieme. Tra il coro-popolo costituito dagli attori del Collettivo ci sono i suoi
due figli, costretti in un paese sfruttato da grandi compagnie petrolifere come l’ENI che
se da un lato forniscono opportunità lavorative, dall’altro portano distruzione e morte…”
(Elena Conti)
DRAMMA.IT - “M.E.D.E.A. Big
Oil. Drammaturgia scritta e diretta
da Terry Paternoster che ne è
protagonista insieme al Collettivo
InternoEnki di Roma. Il territorio
stravolto da una modernità
bugiarda, che sconvolge anche la
percezione della propria intima
geografia interiore, è l'occasione
per rivisitare il mito di Medea,
madre tradita che sacrifica i suoi
figli. Testo ben scritto che
abilmente riutilizza ed amalgama
nella riproposizione scenica una
lingua ormai imbastardita che di
materno ha solo le sonorità della
memoria.
Ben
recitato
e
organizzato nei suoi movimenti,
quasi un mulinello in perenne
rotazione verso un centro che
stenta a ritrovarsi, è uno
spettacolo che inquieta e a volte
commuove sapendo riorganizzare
in maniera innovativa modalità
tradizionali del racconto con le
esigenze di una drammaturgia
che si completi sulla scena di
fronte e a contatto con lo
spettatore. Un lavoro maturo...”
(Maria Dolores Pesce)
LA REPUBBLICA - “…il numeroso collettivo romano InternoEnki con lo spettacolo denuncia “M.E.D.E.A Big Oil”,
interviste, inchieste che hanno portato a questo lavoro teatrale sulle trivellazioni di Eni in Basilicata, che qui estrae l’80
per cento del petrolio italiano. «Nonostante sia uno spettacolo di denuncia — spiega Cristina Valenti, curatrice della
rassegna “Dei Teatri, della Memoria” — è quasi un musical, per certi versi, uno spettacolo di grande ritmo»...”
(Francesca Parisini)
IL GIORNALE DI VICENZA
– “…Collettivo
InternoEnki. Per la loro “M.E.D.E.A. Big Oil”, primo
posto al premio Scenario per Ustica, vale la definizione
di “piccolo capolavoro”. (…) Capolavoro perché nel
modo in cui affronta la questione controversa delle
trivellazioni petrolifere in Basilicata c'è tutto: azione
corale, richiami alla classicità, uno scherzo con Verdi e
perfino un po' di Eduardo. Tempo al tempo e lo
Scenario per Ustica potrebbe non essere l'unico
riconoscimento raccolto da questa Medea…”
(Lorenzo Parolin)
2 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
TEATRO E CRITICA
“…un coro di schiamazzi, grida, richiami, canzoni… In
bilico nervoso tra la gioia e il dolore, i ragazzi di
InternoEnki con M.E.D.E.A BIG OIL fanno il loro
ingresso
disordinato
e
confusionario,
ma
incredibilmente umano, carnale e potente. Vincitori del
Premio Scenario per Ustica 2013, questo gruppo di
amici ha rielaborato in chiave moderna e regionale il
mito di Medea per “scetarci” da un sonno ipocrita e
indifferente, nel quale «è tutt’appost» è la cantilena
ricorrente che tutto fa tacere e non venire a galla, a
differenza del petrolio che ribolle sotto i piedi, scalzi e
orfani di una scarpa. Facce, smorfie, sputi e mani
sporche di pomodoro, sono irriverenti maschere di una
tragedia moderna, vicina, nostra, che coinvolge,
ammalia, incanta e commuove”.
(Lucia Medri)
TEATRO.PERSINSALA.it
“Già ben strutturata e oltremodo interessante, perché declinata su un ambito rispetto al quale il teatro italiano,
storicamente, fa fatica a confrontarsi con continuità, ossia quello linguistico dei dialetti, M.E.D.E.A Big Oil (Premio
Scenario per Ustica 2013) si offre come espressione ironica e corale del disagio vissuto nelle terre lucane, quel dilaniate
conflitto tra le speranze di benessere promosse dalle trivellazioni della compagnia petrolifera “di bandiera” e l’ansia di
riscatto (impossibile) delle nuove generazioni. Ottima la regia, efficace il testo e convincenti le interpretazioni
(specialmente quelle femminili) di una storia che il Collettivo InternoEnki mette in scena con tinte drammaticamente
ironiche, utilizzando il mito di Medea secondo molteplici prospettive (Eni-Medea quale spietata carnefice, ma anche
Basilicata-Medea nel ruolo di vittima sedotta e poi tradita)”. (Daniele Rizzo)
PANEACQUACULTURE
PAC MAGAZINE DI ARTE E CULTURE
“…M.E.D.E.A. Big Oil, lo spettacolo di Collettivo InternoEnki vincitore del
Premio Scenario per Ustica 2013, drammaturgia e regia di Terry Paternoster,
parte da un’ampia ricerca sul petrolio in Basilicata per incrociare il mito di una
Medea contemporanea. L’eroina tragica è una donna lucana tradita dallo
“straniero”, il Big Oil-Giasone, ruolo simbolico affidato a una compagnia
petrolifera. Teatro civile mediato dalla fiaba, affreschi collettivi a metà tra Fontamara e Cristo si è fermato a Eboli. Il
ritratto è di un Sud atavico tra emigrazione e maledizione, sogno e realtà, magia e miseria. Colpiscono le coreografie
corali, pantomime grottesche a velocità variabile, che rappresentano danze, riti anchilosati, canti di gruppo, cantilene,
processioni e comizi di politici tromboni. Poi affiora l’elemento civile, il riferimento alla Lucania sventrata dalle trivelle,
svenduta alla cultura neocapitalista, inquinata, ammorbata dal veleno che uccide l’agricoltura, gli animali e gli uomini...”
(Vincenzo Sardelli)
FATTI DI TEATRO
“… la denuncia … sociale ed esplicita, mixata con grande maestria da Collettivo InternoEnki, che punta il dito contro
demagogia, inciuci politico-economici, business spregiudicato, ma poi anche contro la connivenza ed il servilismo
superstizioso della popolazione locale, scioccamente avvinta dall’illusione di un lavoro, che le consentirà di non dover
emigrare: e tutto assume atmosfere grottesche ed ancestrali, che sanno di clan, di superstizione, della portata tragica di
una Medea, appunto, e del suo tenace spirito da ‘lupa’, nonostante il dissesto in cui di fatto precipita gli sventurati figli”.
(Francesca R. Lino)
3 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
DOPPIOZERO
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
“…pungente e amaro è il ritratto della Basilicata
presentato dal Collettivo InternoEnki (a loro va il Premio
dedicato a Ustica): una regione che si è lasciata
sventrare dalle trivellazioni per il petrolio e che ha
metaforicamente ucciso i suoi figli consegnando loro
una terra contaminata. Ed ecco perché nel titolo dello
spettacolo (M.E.D.E.A Big Oil) risuona il nome della
matricida per antonomasia; e il Giasone traditore è qui
la compagnia Eni che ha promesso un futuro
scintillante per poi lasciare in eredità allarmanti
percentuali sull’incremento delle patologie tumorali.
Ossessivo, sul palco, il richiamo alla salsa di pomodoro,
frutto per eccellenza di un processo agricolo ormai
avvelenato, di un’alimentazione che si fa strumento di
morte. La denuncia di Collettivo InternoEnki – esito di
un lungo lavoro di inchiesta sul territorio – è un
maremagnum vitale e debordante, che avrebbe
bisogno di ordine e sintesi per ottenere maggiore
efficacia, ma che non lascia indifferenti. Non è più
sufficiente
proporre
sperimentazioni
formali
e
innovazioni stilistiche, sembrano dirci le giovani
compagnie di Scenario: il presente va indagato e
rappresentato, se non è possibile comprenderlo”.
(Maddalena Giovannelli)
TEATROTEATRO –
caos organizzato, giocato su gestualità teatrali, su sottili
richiami interni, simmetrie, come i continui giochi di
calze e scarpe che lasciano gli attori quasi sempre con
un piede, a turno, scalzo. Emergono i vari personaggi, il
sindaco, Medea, o monologhi come la teorizzazione
della decrescita felice di Serge Latouche e il famoso
discorso di Mattei, qui in chiave di sberleffo, del gattino
ammazzato da cani feroci.
Uno spettacolo che si costruisce su quadri e che
comunica un forte senso di contaminazione, la tosse, il
latte giallo, l'accasciarsi alla fine. Giasone non è uno
solo ma si manifesta attraverso vari personaggi,
imbonitori, manager, ingegneri in doppiopetto. Capaci
di concepire essi stessi, con un senso di involontario
grottesco, un master in tematiche ambientali
dall'acronimo M.E.D.E.A., cosa peraltro vera.
Obbligatorio il plauso per l'impegno civile, il coraggio e
la documentazione”. (Gianpiero Raganelli)
“…Una terra violentata,
stuprata, martoriata. È la Basilicata, la Val d'Agri
perforata, sconquassata dai pozzi di petrolio dell'Eni.
Nonostante le promesse di sviluppo economico rimane
la regione più depressa d'Italia, dove la cultura
contadina è stata spiantata in nome del progresso. E
dove si registra il triste dato di una percentuale di morti
per tumore più alta della media nazionale. Come una
Medea tradita da un Giasone rappresentato dai colossi
energetici, genera morti tra i propri figli, intossicati da
questo matrimonio letale. Su questo filo metaforico si
muove il Collettivo Internoenki, realizzando uno
spettacolo molto coraggioso, un atto d'accusa
documentato e circostanziato, un'invettiva diretta. Un
lavoro di antropologia teatrale che ha visto i membri
della compagnia impegnati in una lunga e approfondita
indagine sul campo.
Uno spettacolo corale, dove i nove attori, buffonicoreuti,
rappresentano
un
corpo
unico,
un
macrorganismo, una massa coordinata. Un delirio, un
4 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
RUMORSCENA
“…L’operazione del
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
collettivo
romano rovescia completamente
la prospettiva. Siamo sempre nel
Sud. Ma in un Sud specifico,
quello della Basilicata martoriata
dalle
trivellazioni
petrolifere.
Un Sud vitale e agreste popolato
da donne, dove ci sono ancora
pancioni da nascondere, figli di
padri scappati o emigrati in
Germania, matrimoni riparatori,
profumate conserve di pomodoro
imbottigliate
all’alba,
venerdì
Santi,
comizi
della
DC,
processioni, lamentazioni funebri
e tradizioni rassicuranti.
E’ il Sud dell’“ignoranza contadina
pura” non contaminata dalla
televisione e dalla scuola, quello
di alcuni decenni fa, colto nella
drammatica fase di passaggio da
un’economia prettamente agricola
a
una
progressiva
industrializzazione. Una fotografia
di quella macellazione identitaria
che ha cominciato a consumarsi
quando
la
speculazione
petrolifera ha tradito il patto di
sviluppo, portando in dote alla
terra che l’ha accolta morti
bianche e malattia. “Si pensava
che col petrolio s’era sistemat. S’è
sistemat buon mo’. Int’a na
fossa.”
All’improvviso la terra inquinata, i
fagioli
che
seccano,
l’aria
irrespirabile, il cancro. E la gente
che “si stava meglio quando si
stava peggio”, ma poi: “Grazie
ingegnere!”. La difficoltà di
individuare
i
colpevoli,
di
riconoscerli e condannarli. Perché
nella rincorsa al si salvi chi può,
piuttosto che mettersi di traverso
ci si affanna pure a riverire i
responsabili delle nostre sciagure,
a elemosinare un posto di lavoro
e chi se ne frega del carcinoma,
perché tanto poi non capita a me.
A uccidere i propri figli, allora,
prima ancora di Giasone Big Oil,
ossia l’ENI, è innanzitutto Medea,
figura metaforica che rappresenta
quella stessa terra violentata, la
quale invece di scacciare lo
straniero traditore ammazza la
propria prole con silenzio e
connivenza. Una terra scarnificata
che non si ribella, straziata e
logora ma fiera. Debole e quindi
ancora più aggressiva, come un
animale ferito che non sa
riconoscere da che parte stare.
Medea rimprovera Nuccio che
vuole andare via a ogni costo: “È
na fortuna che ti danno la fatica a
casa tua. Ccà simm nati e ccà
amma murì”. E d’altro canto dalla
platea non si sa più a chi dare
ragione, se a chi resta con
vigliaccheria (o coraggio) o a chi
va con coraggio (o vigliaccheria).
Poche domande: “Nuie pe ‘mmo
chiudimme e pumm’dur”. E via di
nuovo con le conserve di
pomodoro, con il rito di fine estate
delle cinque del mattino. Al ritmo
regolare del pettegolezzo di
paese qualcuno lava i pomodori,
qualche altro mette il basilico nei
barattoli, qualcuno
passa
i
pomodori, poi l’imbottigliamento e
la cottura, pericolosa, perché le
bottiglie rischiano sempre di
rompersi nei grossi calderoni in
cui vengono accatastate.
Come un mantra in tutto lo
spettacolo non si fa che ripetere
che tanto “è tutt’appost”. Ogni
contraddizione si risolve nel rito
dei pomodori, nella processione di
paese, nelle luminarie per la festa
della Madonna. E nel frattempo il
politico di turno distribuisce ostie
benedette come “buoni pasto” a
una popolazione che ancora
crede al ciuccio che vola,
immagine
perfetta
di
quel
pericoloso impasto di ignoranza
religione e potere criminale che
ancora vige in certi paesi del Sud,
raccontata proprio di recente in un
libro (che non è certo il primo) dal
magistrato
calabrese
Nicola
Gratteri
intitolato Acqua
Santissima.
Dal punto di vista formale lo
spettacolo funziona bene, ritmato
sulla litania del tradizionale
lamento funebre, coreografato
come un macabro alligalli. Gli
attori sono tutti di un livello
insolitamente alto. Non ci sono
sbavature nella drammaturgia che
cuce senza problemi ogni livello
messo in campo…”
(Rossella Menna)
5 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
GENNAIO 2014
COMUNITA’ LUCANA
“…Uno spettacolo intelligente,
intenso
ed
avvolgente,
commovente e “vero” che ieri sera
ha
letteralmente
“illuminato” l’impiantito del palco
del teatro f. stabile di potenza…
Coniugare
felicemente
una
tragedia come medea (euripide,
andata per la prima volta in scena
alle “grandi dionisie” di atene nel
431 a.c. nella struttura classica
della tetralogia tragica, struttura di
cui oltre a medea stessa,
facevano parte le tragedie filottete
e ditti, purtroppo andate perse, ed
il dramma satiresco i mietitori…e
per
maggior
informazione,
aggiungerei che già prima di
euripide il mito di medea era stato
narrato da neofrone) con le
estrazioni
di
idrocarburi
in
basilicata non era operazione
semplice…
(…) bellissima scrittura scenica
così vuota eppure così piena della
ritualità del gesto algebricamente
reiterato in contrappunto ad un
uso del teatro-danza che spazia
nelle sue suggestioni da Pina
Bausch a Maurice Béjart, forse
transitando per Carolyn Carson
ed i Sosta Palmizi, senza
accademismi,
senza citazioni, semmai portando
anche il gesto poco nobile
di alcune popolane movenze e
gesti grotteschi all’altare di una
nobiltà del racconto archetipo
della eterna lotta tra poveri e
ricchi, tra sfruttati e sfruttatori che
in tanti passaggi la scrittura
scenica e la recitazione hanno
palesato
come un
leit-motif
brechtiano di un racconto non mai
didascaliscamente
autocommiserativo o
similbrigantesco, ma che diviene un
prezioso elemento di analisi
socio-antropologica,
socioeconomica e storica che nel
racconto stesso e nelle immagini
di continuo suggerite e spesso
“sbattute” in faccia fa piena ed
esaustiva sintesi di un’analisi
forse più facile a chi ci guarda da
fuori, essendo forse dentro, che
per noi stessi che siamo dentro e
ci guardiamo troppo spesso come
fossimo invece fuori dai nostri
corpi e dalla nostra terra…
E la compagnia Internoenki
sembra finire questa sua danza
tra storia e mito, tra canti popolari
ed un uso continuo del dialetto
che ha dello straordinario, viste le
rispettive provenienze degli attori,
con
un
monito
ed
un
augurio…lucani,
non
rassegnatevi, ma lottate, lottate,
lottate per non divenire le tristi
medee che hanno offerto i propri
figli alla propria follia del non voler
vedere la realtà…”
(Miko Somma)
6 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
FEBBRAIO
2014
CORRIERE DELL’UMBRIA
Teatro Brecht di San Sisto. Un
evento che ha riunito un pubblico
interessato
al
teatro
di
sperimentazione.
In
scena
una
spiazzante Medea contemporanea
, di ardita contaminazione, che
punta i riflettori sulla realtà del
tragico della Basilicata, da terra di
pastori a serbatoio di petrolio, con
incidenza tumorale superiore alla
media nazionale.
Giasone è Big Oil, instancabile
trivellatore, che non mantiene le
promesse d’amore e di progresso.
La compagnia Internoenki offre
una singolare fusione di danza,
recitazione, canto monodico e corale, in situazioni di straniante
delirio. Momenti di rabbia e
commozione. Una tragedia calata
nel linguaggio della cronaca e
della disperazione quotidiana.
(Sandro Allegrini)
RecenSito
RECENSITO
“Medea Big Oil” - Premio Scenario Ustica 2013 - nasce
nell’ambito
dell’esperienza
del
collettivo
teatrale
“Internoenki”, che si autodefinisce promotore di un teatro
“incivile, che rifiuta la retorica dei buoni costumi”. Eppure il
primo dato di fatto di questo spettacolo è proprio il suo
carattere fortemente attuale, di funzione informativa e
civica che il teatro- specialmente se fatto attraverso
pratiche laboratoriali e di sperimentazione- porta con sé.
Terry Paternoster, giovane e promettente drammaturga e
attrice nata a Milano di origini lucane, mette in scena la
storia della sua terra martoriata e offesa dalle trivellazioni e
dall’inquinamento dell’industria petrolifera. Così come tutti
gli spettacoli del collettivo, anche questo è frutto di un
lavoro d’inchiesta e di raccolta di testimonianze sul campo.
Medea (interpretata proprio dalla regista- attrice) è madre
che uccide - inconsapevolmente - i figli perché li costringe
a restare in una terra infetta; Medea è allo stesso tempo
terra- madre avvelenata e avvelenatrice, infine, manco a
farlo apposta, “M.E.D.E.A.” è il nome vero di un Master in
Management ed Economia dell’Energia e dell’Ambiente
promosso dall’Eni. Sul palco nero e nudo si affastellano i
componenti di una numerosa famiglia lucana di nuovo
riunita per le vacanze estive: i personaggi si muovono a
schiera al ritmo del tamburo e danzano, cantano, litigano,
più d’ogni cosa raccontano- per la maggior parte in
dialetto- la storia di un luogo dove vige la “democrazia
della coppola in mano”, e le multinazionali petrolifere
distribuiscono favori e morte col tacito consenso dello
stato. Lo spettacolo è introdotto da un breve e interessante
documentario del giornalista lucano Mimmo Nardozza dal
titolo “Mal d’Agri” che fornisce agli spettatori le coordinate
spazio- temporali adeguate per inquadrare e comprendere
il contesto dove la storia è sviluppata.
La potenza di questa scrittura drammaturgica e della sua
messa in scena sta nella fine capacità di costruire uno
spettacolo con tematiche fortemente legate alla realtà
senza scadere nella mera denuncia, ma attraverso una
narrazione scenica di una poesia e bellezza che colpisce ed
emoziona: i movimenti e i canti corali, il dialetto, la
narrazione dei singoli che costruisce la storia di un
territorio e ripristina la tradizione fanno di “Medea Big Oil”
una delle riprese più originali, interessanti e attuali del mito
di Medea, nonché un esempio davvero notevole di teatro di
sperimentazione e creatività che nasce dal basso e dai
giovani.
(Francesca Saturnino)
7 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
FEBBRAIO 2014
TEATRO E CRITICA
MEDEA BIG OIL e il Giasone della Basilicata
Un’ombra si allunga sulle colline, è il sole che compie il suo
tragitto. Nient’altro che una vallata verde, eppure
quest’ombra al nostro umano occhio sembra tetra, oscura,
mano arraffante che tutto vuole inglobare. La
paragoneremo a un’altra mano ombrosa che si sta
appropriando di quella valle: è una mano che promette,
che dà ricchezza, lavoro, è una mano sostenuta dalla
scienza, che supporta lo sviluppo; ricordo Battisti che
cantava «l’oro nero».
Cosa ci sia dietro la scoperta dei giacimenti petroliferi in
Basilicata, in quella Val D’Agri stretta da monti e dalle
necessità di una regione, dove l’industria estrattiva è
percepita come manna salvifica in cui credere ciecamente
nonostante i forti rischi di inquinamento, è l’oggetto del
documentario diMimmo Nardozza, Mal D’Agri, proiettato
nella pienissima sala del Brancaccino, figlio minore di quel
più noto teatro che ora accoglie i suoi spettatori come un
cinema, al suono scoppiettante di popcorn e show glitterati.
Nella sala sita al terzo piano di via Merulana non ci
aspettavamo di veder documentari o di sgranocchiare cibo;
eravamo lì per accogliere un debutto o un glorioso rientro
in patria, alla luce di un riconoscimento artistico. Su
queste pagineabbiamo raccontato del Premio Scenario, di
come il Collettivo Internoenki, romano d’adozione, si fosse
aggiudicato a pieno diritto la sezione per Ustica, dedicata a
quei lavori più socialmente connotati.
Il collettivo diretto da Terry Paternoster, parla di teatro “incivile” e mi piace pensare che giochino su quell’ambiguità
da preposizione: siamo dentro la civiltà, oppure dando
peso all’essenza di prefisso, quell’ “in” rafforza la nostra
perdita, il nostro disagio di saper vivere assieme come
animali sociali? Di certo ciò che appare più evidente
in M.E.D.E.A. BIG OIL è la capacità di lavorare in gruppo,
di essere corpo unico che trova propria identità nella
somma di tutte le componenti, di tutte le voci. Queste, in un
ritmo sempre brillantemente sostenuto, si elevano al di
sopra di altre oppure si incastrano tra loro, in un miscuglio
gioiosamente in-comprensibile. Non importa il singolo
significato, quanto l’atmosfera generata, quell’identità
tipicamente meridionale fatta di schiamazzi dal sapore
dialettale, di vita comunitaria stretta attorno a eventi
collettivi: la preparazione delle conserve di pomodori, la
festa del santo o lo sconvolgente arrivo delle società
petrolchimiche, che rivoluzioneranno la vita degli abitanti
del paese.
La scrittura scenica, svolta per quadri di brechtiana
memoria, affonda le sue radici nella tragedia greca, ma
non soltanto – e forse non soprattutto – per la trama della
Medea euripidea; dal capolavoro del drammaturgo
ateniese, in una riscrittura originale, questo lavoro
recupera la struttura narrativa, la figura della donna che
per una fiducia sconfinata nei confronti dell’attraente ignoto
finirà col sacrificare tutto, persino i propri figli. L’eredità più
interessante risiede probabilmente nell’idea di coralità,
nella quale corpi e voci sono legati a filo doppio, tutti
protesi a testimoniare un pensiero comune, assieme
nell’ingenuità, nella stoltezza, nel dramma.
Fin dalla conclusione della proiezione che ci aveva trovati
coinvolti ma anche un po’ infiacchiti, i nove brillanti attori
intonano una sonorizzazione fuori scena. Impiegheranno
forse un po’ più del dovuto a scaldare l’atmosfera, in quella
che per una divertente casualità definiremmo “partenza a
diesel”, eppure la scena vuota sarà presto riempita dei loro
corpi, emanazione emotiva, sensoriale, scenografica.
Sottovesti, canottiere e una scarpa sola, intenti a un lavoro
quasi da macchina futurista che però vibra di umanità,
scomposta ma mai disomogenea. Quell’unica scarpa
indossata rende sonorità diverse, ritmo vivo nel passo
claudicante, in grado di connotare anche un altro livello:
sono persone a cui manca qualcosa, manca un equilibrio,
una stabilità appunto. In quella che è una tra le regioni più
povere d’Italia arriverà il petrolio a riconsegnare le scarpe,
quasi reliquia sacra da accettare come ostia. Ma il corpo
scena richiede altro ritmo, così come il corpo raccontato
in Mal D’Agri denunciava disagi d’inquinamento, senza che
la persona fosse in grado di rendersene coscientemente
conto. E allora via la scarpa, sottobraccio. Sembra
impossibile fare qualcosa per combattere realmente, si può
soltanto tacitamente accettare e adattarsi alle storpiature.
Ci sarà qualcuno che vorrà scappare, invano. Mentre la
nostra Medea rimane madre di due figli, il Giasone
contemporaneo, più che il marito emigrato in Germania è
proprio la fiamma del petrolio, quella promessa allettante
d’ignoto, con cieca fiducia ci si affida a colui che promette
ciò che non dà. Forte presenza in scena anche se assente
fisicamente, il petrolio (ricordato al più da un gioco,
gorgoglio d’acqua soffiata dalla cannuccia, come il bollore
dei pomodori in cottura) quasi un nuovo dio, non si può
mescolare alla vicende quotidiane. Non vedremo mai la
causa, solo la conseguenza. La drammaturgia forse
sviluppa un po’ lentamente il conflitto, ma lo fa proprio
perché messa in atto dalle vittime, ostinatamente convinte
a non voler realizzare l’urgenza problematica.
Saremo spettatori della loro indifferenza all’evidenza dei
mali, che scuotono con forza la nostra coscienza molto più
che nella programmatica denuncia dichiarata; pur presente
a tratti nel lavoro, essa si rivela con forse una punta di
ingenuità e un’intenzione sociale molto più forte là dove
invece appare sottintesa. A questo forse serviva quel
documentario, a prepararci, lasciando che al teatro
spettasse altro compito di ricezione. Ascolteremo il loro
canto; canto che è un urlo, il nome dei figli, note sicure di
presenza, poi incerta, e infine disperata mancanza.
Paternoster anche in scena dichiara la propria forza in un
commovente ritratto d’insieme, canto del cigno a una terra
sorda, una terra che, citando il Modugno carnalizzato nella
sua voce, è «amara terra mia, amara e bella».
(Viviana Raciti)
8 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
FEBBRAIO 2014
DazebaNews
DAZEBANEWS
Teatro Brancaccino. M.e.d.e.a Big Oil.
Strameritati applausi a un’opera di
denuncia.
le mentalità” e uno spettacolo che punta dritto al cuore
della gente può facilitarne la riuscita.
ROMA - Il titolo della tragedia corale M.e.d.e.a Big Oil,
vincitrice del Premio Scenario Ustica 2013 racchiude in
sé il senso di tutta l’opera: alludendo sia al mito di
Medea la madre che uccide i propri figli per vendicarsi
del marito fedifrago che all’omonimo Master promosso
dall’Eni in Management ed Economia dell’Energia e
dell’Ambiente.
Scenario dell’opera teatrale è la Basilicata, che, infatti,
in alcuni territori come la Val d’Agri vanta una
produzione giornaliera di greggio di oltre 150mila barili,
con gravi ripercussioni sull’inquinamento ambientale e
sulla salute degli abitanti. Rischi, che non sono
monitorati come si dovrebbe, in assenza di un organo
autonomo e scevro da pressioni politico-finanziarie,
deputato a calcolare i danni dell’esposizione alle
sostanze tossiche utilizzate nelle raffinerie, tra le quali
si rintracciano il bario depositatosi nelle acque del Lago
Pertusillo e l’idrogeno solforato disperso nell’aria.
È
questa
la
protesta
che
anima
il
collettivo Internoenki formato da giovani provenienti da
tutta Italia, dal Friuli alla Basilicata, uniti dalla passione
per il teatro ricercato e per la denuncia sociale.
Direttrice del collettivo e autrice dello spettacolo è la
bravissima scrittrice, registra e attrice Terry
Paternoster, nata a Milano, ma con un particolare
legame affettivo con il Sud, che dall’estate 2011 ha
avviato una ricerca per comprovare – come lei stessa
scrive - “le effettive responsabilità del dissesto
ambientale a carico di Eni”. Un’impresa ardua, in
assenza di dati certi, tranne quelli dell’anagrafe che
segnano l’incremento del numero di giovani morti per
cancro. Per dare voce a quest’iniziativa la Paternoster
ha preferito la carica emozionale di uno spettacolo dal
vivo alle pagine di un libro. “Perché - come sostiene
l’autrice - niente può cambiare, se non cambiano prima
Una tragedia corale suddivisa in 7 deliri e 21 quadri.
Nove gli attori che rappresentano il sottoproletariato,
ritratti con una sola scarpa, un po’ sciancati e stremati
dal lavoro sui campi. Tutti quanti parenti di Medea, la
matriarca che ha richiamato a casa dalla Germania i
figli Ninuccio e Peppino, allettata dalle promesse dei
politici, che hanno “garantito occupazione in patria”.
Impieghi nelle raffinerie petrolifere lucane: “ruoli di
primordine”, come assicurato dalla Regione, dai sindaci
e dagli ingegneri Eni, a caccia di manodopera locale.
Un lavoro, da lei imposto ai figli, che le strapperà via i
due eredi: chi per cancro, chi per un incidente nel
cantiere. In questo caso, Medea non è la strega che
uccide i suoi figli per vendicarsi dell’abbandono del
marito, bensì raffigura la madre terra che li uccide
perché avvelenata dall’uomo, da Giasone Big Oil, che
ne ha contaminato i frutti. Medea rappresenta dunque
tutti i lucani, che “abbagliati dall’oro nero” hanno ceduto
alle sue lusinghe, con la speranza di un arricchimento
che si è rivelato solo una minaccia per l’ecosistema
naturale.
L’espressività del dialetto e il carisma della protagonista
Terry Paternostro conferiscono allo spettacolo
una vis polemica ed emotiva in grado di coinvolgere lo
spettatore nel dramma “del sottoproletariato lucano,
tradito e umiliato dalla sua stessa terra, piegata e
tradita dal Colosso a sei zampe, Big Giasone Oil”.
Un applauso strameritato a tutto il cast, che seppur
sprovvisto di scenografia e di sofisticate attrezzature ha
trasportato lo spettatore in uno spazio mitologico e
ancestrale, ricco di pathos.
(Rita Ricci)
9 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
LA REPUBBLICA
È musicale, col tamburello che
scandisce il movimento e spezza
l’azione, e il canto, denso, serrato,
viscerale. È dialettale, di una
lingua stretta tra le labbra che
esplode in lamenti. È rituale, in un
amalgama
di
religiosità
e
superstizione. È civile, politico,
arrabbiato “M.E.D.E.A Big Oil”,
vincitore del Premio Scenario per
Ustica 2013. Spettacolo per nove
buffoni, in sette deliri e ventun
quadri, che guarda alla Basilicata
di oggi e di ieri, delle tradizioni e
delle trivellazioni. Impresa che
ruba il titolo a un Master in
Management
ed
Economia
dell’Energia
e
dell’Ambiente
dell’Eni, e che si nutre della
ricerca sul campo. Lavoro che
strappa al mito greco le figure di
un Giasone dominatore, che
irretisce
col
miraggio
della
ricchezza, e di una Medea
asservita e violata, che sfama e
soffoca i propri figli di preghiere e
veleni.
Tra memoria e denuncia, lo
sfondo è quello del Sud senza
lavoro,
della
Lucania
da
abbandonare, della Val d’Agri – il
più grande giacimento petrolifero
in terraferma d’Europa – da
sfruttare, come racconta Mimmo
Nardozza
in
“Mal
D’Agri”,
documentario proiettato prima
dello spettacolo. Video che si
apre e si chiude con la viscosità
del petrolio, contagiando di
oscurità il palco, popolato di
minimi elementi scenografici,
perché il fulcro restano i corpi, e
le voci. E se nel prologo una
lingua di luce rossa, orizzontale,
rischiara debolmente la macina e
la conserva dei “pumm’dur”, è il
nero a racchiudere e comprimere
il continuo ribollire, rimescolare,
parlare,
cantare,
sputare.
Si muove compatto il coro, si
mette in riga, gira in tondo,
avanza in processione, lasciando
spazio, però, ai monologhi, ai
discorsi pubblici, ai dialoghi
famigliari.
Energica, eccessiva, popolare la
gestualità.
Disperante,
cantilenante, a tratti ironica
l’invocazione.
Contrastanti
i
sentimenti: l’ostinazione di chi non
vuole vedere, la rassegnazione di
chi non sa agire, la speranza di
chi
vuole
credere.
E
la
compiacenza della politica, la
spinta a emigrare, la paura di
denunciare, il tentativo di lottare,
e la sconfitta della malattia, della
terra
come
dell’uomo.
È sanguigno, irruento, mai
prudente, mai quieto, il lavoro
scritto e diretto da Terry
Paternoster, con un misto di
attrazione e repulsione verso una
regione che l’ha accolta e dalla
quale è fuggita, e con una
passione che ha contaminato e
infettato il Collettivo InternoEnki.
Corpo unico che mostra rabbia e
impotenza nella coesione, senza
dimenticare di sottolineare, però,
il dolore, la durezza, lo sdegno dei
singoli. Cittadini di una valle
inquinata, stretta tra l’Appenino
lucano e l’Appennino campano.
Abitanti
di
una
Basilicata
petrolizzata, acidificata, torturata.
Figli deformi di una madre malata,
vittima di se stessa quanto dello
straniero.
(Rossella Porcheddu)
10 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
SALTINARIA
Nove attori in scena del Collettivo Internoenki, con la forza di un coro tragico, un popolo-­‐branco contemporaneo,
attualizzano il mito di Medea,
immergendola nella Basilicata di
oggi, abusata dal proprio infelice
tesoro, il petrolio. Sullo sfondo, il
dissesto ambientale della Val
d’Agri. La promessa di ricchezza
dello straniero, Big Oil-Giasone,
inganna
la
popolana
Medea,vittima di una chiusura mentale che la fa vittima e carnefice insieme.
Il Sud, che cerca di salvare il Sud,
dal Sud. Lo spettacolo è
anticipato
dalla
proiezione
del documentario “Mal d’Agri” del giornalista Mimmo Nardozza,
resoconto
della
tragica
prevaricazione della tracotanza
capitalistica
sulla
cultura
contadina, fatalmente complice. In
Val
d’Agri
l’incremento
dell’incidenza tumorale supera
largamente la media nazionale.
La documentazione concernente
la crisi geo-politica lucana è stata
raccolta in un archivio di
testimonianze che i cittadini lucani
hanno messo a disposizione del
progetto, a raccontare una realtà
in cui oggi M.E.D.E.A. è il nome di
un Master organizzato e gestito
dalla Scuola Enrico Mattei e
fortemente voluto da Eni. Fatalità.
Sul palco del Brancaccino di
Roma prendono vita la seduzione
e l’abbandono delle illusioni di un
benessere gratuito e senza
controindicazioni
attraverso gli occhi di un popolo semplice che si lascia scivolare su sfarzose guide nero petrolio. I cittadini
che si arrabattano fra povertà,
emigrazione e tradizioni, spesso
soffocanti, non resistono al lusso
di incontrollate promesse. “Basta
con questo incedere incerto e
claudicante,
finalmente
guarderemo gli altri dall’alto in
basso! Come? Mi espropriate la
terra ma… ma sì, viva il futur…
Coff Coff! Ma che fai, stai male?
Ma come sei anacronistico! Ormai
stiamo tutti bene, non dobbiamo
più lavorare nè fare sacrifici,
siamo
signori!
Ma
questi
“pumuduri” nun sò buoni! Stai
male anche te? Ma come? Anche
te? L’acqua è nera! Non si
respira! Non doveva andare così!
Non erano questi gli accordi!
Ridateci la nostra terra, restituiteci
la nostra innocenza!”
I nove attori, bravissimi, danzano compatti con voci, sguardi e corpi, trasmettono le debolezze e le incertezze di un Italia sola con se stessa, che
gioca in difesa e si lancia in
attacco solo quando costretta,
quando spesso è già troppo tardi.
I sette deliri ed i ventuno
movimenti in cui è suddiviso lo
spettacolo
scandiscono
l’inesorabile susseguirsi di un
infausto percorso che può e deve
sfuggire alla teoria del piano
inclinato. La
coreografia
ci
restituisce nove maschere ruggenti e sbigottite, un'unica, potente forza umana che fa tremare i polsi e lascia intuire, se
mai ce ne fosse ancora bisogno,
che insieme si resiste e si vince.
(Enrico Vulpiani)
11 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
MARZO 2014
12 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
MARZO 2014
SLOWCULT
SLOWCULT
M.E.D.E.A. BIG OIL: La luna nel pozzo (petrolifero)
Un coro classico di nove attori per una
rivisitazione del mito di Medea in chiave
contemporanea. Siamo infatti nella Basilicata di
oggi, illusa e delusa dal miraggio del benessere
per l’intera popolazione e del progresso
derivante dalle estrazioni petrolifere nella Val
d’Agri, dove invece secondo il rapporto Eni del
2012 gli occupati residenti, tra diretti e indotto,
superano di poco le ottocento unità, una vera
miseria. Dopo quasi un ventennio di
trivellazioni, di fronte ad un così basso impatto
occupazionale è salatissimo il conto pagato
dall’ambiente e dagli abitanti: muore la fauna
nel lago del Pertusillo mentre crescono i livelli di
zolfo e benzene nell’aria. Per non parlare poi
dell’aumento di tumori registrato in tutta l’area.
Quindi Medea, nipote del Sole e della maga
Circe, che secondo la tradizione uccide i propri
figli, qui rappresenta la madre terra che,
ingannata dai ‘creatori del consenso’ e dai
signori del barile, richiama i propri discendenti
e, di fronte all’illusione di una vita finalmente
liberata da migrazione ed umiliazione, li
inghiotte nel pozzo senza fondo e senza
speranza di un presente buio ed un futuro
ancora più nero, viste le prospettive di un
ulteriore aumento della produzione di petrolio,
in una terra che rappresenta ormai il secondo
giacimento
su
terraferma
d’Europa.
Un’ora di spettacolo, quasi completamente in
dialetto stretto ma comunque perfettamente
comprensibile
grazie
alla
mimica
e
l’espressività degli attori, che riproducono la via
dei campi, la raccolta dei pomodori e
l’imbottigliamento della pummarola, i dialoghi
del popolo che si auspica ricongiungimenti
familiari nella terra natia, senza più bisogno di
fuga in Germania in cerca di quel lavoro che
quaggiù nel profondo sud è sempre stato un
miraggio.
Giovani attori ben affiatati, che indossano una
scarpa sola proprio a simboleggiare l’eterna
precarietà dell’esistenza in una regione che nel
frattempo, dati Istat alla mano è diventata la più
povera d’Italia. Un’ora densa di sensazioni, che
avvolge e toglie il respiro, come nelle immagini
iniziali del documentario proiettato prima dello
spettacolo in cui fauna e flora locali soffocano
nel fluido che invade campi coltivati, boschi e
campagne della valle. Un esempio di grande
teatro di impegno civile, che appassiona ed
impressiona, che coinvolge e sconvolge il folto
pubblico del Brancaccino, per quest’opera
intensa e necessaria, giustamente vincitrice del
premio Scenario per Ustica. Per maggiori
informazioni sulle prossime repliche dello
spettacolo e sul collettivo Internoenki visitate il
sito www.internoenki.com
(Fabrizio Forno)
13 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
MARZO 2014
VENTROTTO
Medea Big oil
Corale e accorata la piece andata in scena al teatro comunale di Modugno risorto dalle ceneri del
teatroscalo ad opera di Franco Ferrante, Michele Bia e i Bollenti Spiriti che hanno reso possibile
questo viaggio in cui nuovi e vecchi sogni si sono ritrovati nei ruderi del vecchio macello modugnese e
hanno deciso di tradurre la carcassa in locomotiva culturale, la bestia scarna in nuova umanità: quella,
per intenderci, che in Medea di Big oil inalbera il diritto ad una terra - la Basilicata - in cui le nuove
generazioni non vedano imputridire i loro ideali, i loro affetti, il loro stile di vita, i loro canti. E soprattutto
l’aria che respirano.
Scritto e diretto dalla giovane regista Terry Paternoster, questo lavoro ha riscaldato i cuori della
platea. A me è piaciuta molto la tendenza scenografica dei molti che si attraggono per colmare le
lacune del dubbio, dei ripensamenti, lo stare l’uno a ridosso dell’altro di donne e uomini, uomini e
donne, donne innamorate e uomini fidanzati, spose e mariti, donne incinte e ragazze non ancora
sposate, parenti e gente del vicinato che hanno rappresentato meravigliosamente un paese, una
comunità, un popolo, una nazione. E quando la monade era perfetta, eccola scoppiare in ritmi
guerreschi e canti evocativi, canti di risposta al nemico, canti gutturali di gente che intende preservare
una propria identità che non si è ancora affrancata da quella contadina, sana, potente, quella che,
ancora oggi, si interessa anche di far trovare le camicie pulite agli uomini sporchi di sudore.
La sanezza di questo episodio raccontato con toni di carni smembrate e talvolta con un rombo o un filo
di voce, era in perfetta comunione con l’arcaicità di una terra coltivata fino all’altro ieri da persone
semplici che pensavano a lavorare col bello e col cattivo tempo, a festeggiare i santi patroni, a
sposarsi, a fare figli, a guardare le stelle ovvero la purezza di un mondo alto, lontano. Tutto questo era
trasmesso con una italianità corretta civilmente da un dialetto in arme, cioè in opposizione alla
pubblicità italiana ma ingannevole dei signori delle trivelle. Se fosse vero che non ci resta che il dialetto
per opporci ai soprusi dei potenti?...
Il dubbio viene, e in questa Medea Big Oil viene ostentato vivacemente, con forme scenografiche
austere che ricordano le geometrie femminili di un tempo chiuse in fazzoletti neri, che alludono ai
gineprai di sordide domande e risposte insincere, che inseguono nidi di favole e di vipere, siepi e rovi
che si difendono dalla luce irreale dello zolfo del progresso e del cane a cinque zampe dell’Eni
cacciando fuori il rauco grido di fiori violati - sodomizzati per chi voglia vedere nel gruppo in scena non
l’idea partigiana di gregari pettegoli che si sommano e si reggono come un sol uomo, ma... l’atteso grido del mitico incesto tra la terra-madre e il figlio riportato audacemente nell’utero piuttosto che
lasciato partire alla ricerca di un lavoro in una Germania che oggi appare ai più una severa matrigna.
Da questo sogno attraversato da incubi di Terry Paternoster si esce incantati, sazi e commossi.
Ben vengano altri lavori.
10 marzo 2014 Vito Ventrella
14 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
NON SOLO CINEMA
InternoEnki porta a teatro una Medea tutta nuova
In scena al Teatro ITC di San Lazzaro di Savena (BO) sabato 15 marzo
Articolo di Enrico Silvano - Pubblicato martedì 18 marzo 2014
Il Collettivo Interno Enki, di Roma, ha portato al Teatro ITC di San Lazzaro di Savena (Bologna) uno
stupendo spettacolo intitolato “Medea Big Oil”, ultimo vincitore del Premio Scenario.
Il Collettivo Interno Enki, di Roma, ha portato al Teatro ITC di San Lazzaro di Savena (Bologna) un o
stupendo spettacolo intitolato “Medea Big Oil”, ultimo vincitore del Premio Scenario.
L’opera nel titolo racchiude il proprio carattere distintivo: il mito di Medea richiama con forza l’atmosfera della
tragedia greca e, nel caso specifico, il personaggio di Medea si lega fortemente alle zone rurali e più
selvagge della Grecia (e conseguentemente misteriose e sconosciute). Medea inoltre colloca
immediatamente lo spettacolo all’interno della tradizione del teatro occidentale. ’Big Oil’ invece non ha
apparentemente niente a che vedere con Medea: le due parole riportano immediatamente tutto in una sfera
contemporanea, imbrattano tutto di petrolio, di denaro e di inquinamento. Di entrambe le cose parla lo
spettacolo: racconta i problemi che emergono, assieme al petrolio, dalla terra lucana, la più trivellata d’Italia
nonché la regione che ha subito il più alto incremento di patologie tumorali degli ultimi anni.
Quindi “Medea Big oil” mescola il teatro classico (le strutture della tragedia vengono riprese in parte, nelle
scene corali, nella relazione tra Medea e il coro) con il teatro politico, di denuncia (dati e informazioni sulle
trivellazioni) e tutto è colorato dalle tinte accese del dialetto e delle canzoni lucane.
Il pezzo forte è proprio l’efficacia delle scene corali che stupiscono per potenza e vivacità nonché per la
perfetta coordinazione degli attori (bravissimi, bellissimi e giovanissimi). “Medea Big Oil” rimane un lavoro
notevole che non assolve e non condanna né gli ingegneri e i progetti dell’Eni né la popolazione lucana che
ha la colpa di essere incapace di valutare con obiettività l’impatto che l’estrazione di petrolio poteva (e potrà)
avere sul territorio e sulla propria salute. Anzi la riflessione che emerge mostra come il mostro capitalista e la
miseria delle sue vittime possano apparire come due facce della stessa medaglia: la fame atavica e il
disperato desiderio di ricchezza che accompagna la vita dei contadini è la stessa motivazione che genera
nei periodi di ricchezza la pulsione sfrenata all’accumulo e al consumo.
(Enrico Silvano)
15 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
DIECI.VENTICINQUE
Medea speranzosa, Medea fedele e cieca, Medea tradita.
La Basilitaca, oggi, è Medea: terra abusata, che si è fatta sfruttare, terra tradita che
uccide i suoi figli.
Terry Paternoster e la compagnia indipendente InternoEnki nel 2013 hanno vinto il Premio scenario per
Ustica: hanno presentato venti minuti di un progetto teatrale, da sviluppare e mettere in scena dopo
l’eventuale vittoria. Le motivazioni della premiazione spaziano dalla grande capacità del gruppo di recitare
insieme, in maniera corale e con la costante presenza di tutti gli attori sul palco, al diverso modo di
interpretare un tema come le trivellazioni petrolifere in Basilicata. Il 15 marzo questo gruppo di giovani si è
esibito all’Itc Teatro di San Lazzaro di Savena. Lo spettacolo racconta l’evolvere delle vite di tre famiglie:
dall’emigrazione di alcuni parenti in Germania, perché in Basilicata non c’è lavoro, all’arrivo di un ingegnere
che promette ricchezza e crescita per la regione. E il popolo segue ingenuamente il nuovo arrivato,
intelligente e importante, fino al momento della consegna cieca non solo della propria terra, ma anche delle
proprie vite. Questo istante, in cui viene sottoscritto un contratto in bianco con una totale fiducia verso un
imprenditore, un uomo che ha studiato, è caratterizzato da una particolare scelta della musica: l’aria
“Libiamo ne’ lieti calici” tratta dalla Traviata di Verdi. Se nell’aria verdiana Alfredo brinda con Violetta al loro
nascente e sincero amore, sul palco si brinda per un accordo che è palesemente sbilanciato a sfavore di
Medea. Peppino, il brigante, il sovversivo, denuncia la realtà ma il “branco” non riesce più ad ascoltare, non
vuole comprendere e conoscere, perché è ormai intrappolato in una promessa che, anche se vana, resta
tale. Imprigionato anche dai legami famigliari eccessivamente forti, che impediscono ad alcuni giovani di
lasciare questa terra martoriata per cercare altrove un futuro migliore, e dall’attaccamento ai riti e alle
tradizioni religiose. È così che la Val d’Agri, una sub-regione della Basilicata, diventa la Valle dell’Agip, come
la definisce lo stesso Peppino durante lo spettacolo. Qui le patologie tumorali superano la media nazionale e
sono in crescita. Gli attori, in questa trasposizione moderna del mito di Medea, denunciato questi dati e
chiedono chiarezza, una conferma o una smentita rispetto al presunto legame tra le trivellazioni petrolifere e
l’aumento delle persone che ogni anno si ammalano. Danno voce alla Basilicata, che fornisce l’80% del
petrolio italiano, ma è la regione più povera d’Italia. Danno voce alla Basilicata, terra dimenticata, terra da
ricordare.
(Giulia Silvestri e Davide Rondini)
16 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
SCENE CONTEMPORANEE
Collettivo InternoEnki - M.E.D.E.A. Big Oil
Uno spettacolo che apre gli occhi allo spettatore sulla triste situazione ambientale in Basilicata. Il risultato
della ricerca intrapresa da Terry Paternoster è una pièce intrisa di sapori, umori, urla e grida stridule di quella
terra, uno spettacolo che ricrea con veridicità un tipo di folklore che è suggestione e condanna
Durante il secolo scorso, nel sud dell’Italia, a Napoli, Achille Lauro faceva propaganda politica a modo suo,
distribuiva durante i comizi doni, pacchi regali, monete e scarpe spaiate, con la promessa di dare ai cittadini
che lo avrebbero votato la scarpa mancante. In cambio della totale fiducia dei suoi elettori, Lauro prometteva
di avviare il motore dell'economia meridionale, ovvero l'edilizia. Facciamo ora un salto temporale in avanti e
spostiamoci leggermente più a sud, in Basilicata, terra ricca quanto dimenticata, carica di petrolio e
abbandonata a se stessa dal resto del mondo. Il nostro Achille Lauro è un sindaco qualsiasi, alleato di Eni,
società petrolifera che ha saccheggiato e trivellato il territorio della val d'Agri che in poco tempo si è
trasformato nella val d'Agip, che distribuisce ad una massa uniforme la loro seconda scarpa. Più e più volte
la lucideranno con sputi speranzosi, rabbiosi e rassegnati, come per lustrare il simbolo di un accordo, di
promesse di vita migliori, presto tacitamente tradite. Tutto questo è M.E.D.E.A. Big Oil, spettacolo vincitore
del Premio Scenario per Ustica 2013, uno spettacolo in-civile, spesso in-comprensibile che con un suo
linguaggio scenico dialettale e una sua partitura teatrale e musicale denuncia, apre gli occhi allo spettatore
su quella che è attualmente la situazione ambientale in Basilicata, la regione dalla quale proviene l'80% del
petrolio italiano e con il tasso più alto di povertà e il più alto incremento di patologie tumorali dell'intero
paese.
In scena 9 attori formano il coro, al pari dei buffoni medioevali; sono genti lucane dedite alla propria terra,
alle tradizioni, come la macina e la conserva dei pumm’duri e la festa della madonna, con una mentalità
oscurante che gli impedisce di vedere oltre. La Basilicata diventa così terra tradita che condanna i propri figli
alla morte, metafora della Medea di Euripide oltraggiata da Giasone. In scena anche la regista Terry
Paternoster nel ruolo di Medea, moglie di un marito partito per la Germania in cerca di fortuna e madre di
due figli, Peppino e Ninuccio, che costringe a rimanere in Basilicata, anche lei Medea che uccide i propri figli,
li condanna inconsapevolmente ad una morte di cui la furia per il tradimento del "Giasone Big Oil", la società
petrolifera è conseguenza, non causa scatenante. Il parallelismo con l'eroina tragica di Euripide è frutto del
caso, di una fatalità, come spiega la stessa regista, che, durante il suo viaggio/studio nella terra lucana, si è
imbattuta nell'annuncio di un Master organizzato dall'università Enrico Fermi e fortemente voluto da Eni, in
Management ed Economia dell'Europa e dell'Ambiente. Il risultato della sua ricerca è una pièce intrisa di
sapori, umori, urla e grida stridule di quella terra, uno spettacolo che ricrea con veridicità un tipo di folklore
che è suggestione e condanna, con un suo impianto sonoro umano messo in atto dal coro. Libiamo ne' lieti
calici, unica musica esterna, scomoda la Traviata per suggellare con un brindisi il trovato accordo tra un
ingegnere colto, elegante e sempre sorridente, venuto da lontano per salvarli dalla povertà, e la gente che
povera resterà.
Il Collettivo InternoEnki, composto da attori provenienti da ogni parte d'Italia, ritorna al Teatro
Brancaccino per la seconda volta dopo il sold out registrato qualche mese fa. Uno spettacolo che si serve
del mezzo scenico per far conoscere una situazione ambientale e umana spesso sconosciuta, evitata,
indirizzandosi verso un teatro assolutamente sociale, necessario, di impegno civile e di estrema qualità
attoriale. Spicca, come voce fuori e dentro il coro, l'interpretazione intensa e passionale della Medea lucana
creata da Terry Paternoster, donna che più di tutti fa fatica a trovare agognato su una scarpa sola, che urla
più forte degli altri perché Giasone possa sentire le sue suppliche e i suoi lamenti di madre.
(Marcella Santomassimo)
17 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
BOLOGNATEATRO.IT
M.E.D.E.A. BIG OIL
Il Collettivo Internoenki racconta una realtà italiana, quella della Basilicata, attraverso un’opera teatrale
buffonesca suddivisa in 7 deliri e 21 quadri. In grado di mettere in scena un’impeccabile coralità, 9 attori, i
quali, attraverso le voci, i gesti e la loro espressività rispolverano tradizioni, folklore e atmosfera di una terra
vittima di soprusi e, talvolta, imprigionata nella propria mentalità.
Medea, l’anti eroina tragica che, tradita dall’amore, pone fine alla vita dei propri figli, diventa,
nell’esperimento del Collettivo, l’anima della Basilicata, gli occhi delle donne e le braccia degli uomini.
Medea, terra ricca e ancora incontaminata, accetta, accecata dal miraggio di migliori prospettive, di mutarsi
in uno dei più appetibili paradisi per i grandi colossi petroliferi. Ironia della sorte, M.E.D.E.A. rappresenta
anche l’acronimo di un Master in Management ed Economia dell’Energia e dell’Ambiente promosso dall’Eni.
Il coraggio della giovane compagnia indipendente si palesa sia nello spettacolo, chiara denuncia ai poteri
forti, sia nelle meticolose ricerche che lo hanno preceduto e che hanno coinvolto cittadini e politici in
numerose interviste e testimonianze.
“Fare i fatti”, motto del Collettivo Internoenki, rivoluziona il ruolo del palcoscenico, fa del teatro uno strumento
d’informazione, denuncia e lotta. L’iter seguito dallo spettatore della classica tragedia greca viene qui
ribaltato: alla catarsi, ovvero al raggiungimento di un più alto grado di saggezza frutto del distacco del
pubblico dalle azioni dell’eroe in scena, si sostituisce l’amara consapevolezza, la presa di coscienza che ciò
che accade nel luogo narratoci dalla pièce avviene anche nelle terre in cui i protagonisti siamo noi. Durante il
“J’accuse” della compagnia contro lo Stato, le lobby del potere, la Provincia e la Regione, le luci si
accendono violente sul pubblico come a volerlo coinvolgere nelle responsabilità e negli interrogativi. Vittime
che diventano carnefici attraverso la speranza priva di azione e le tradizioni avulse dalla contemporaneità,
così si agitano, urlano, chiaccherano, mormorano i protagonisti di “M.E.D.E.A. Big Oil”, attori di talento
provenienti da tutt’Italia capaci di impersonificare al meglio idiomi e problemi di una fetta del Paese. Tanti gli
oggetti-simbolo sparsi durante la rappresentazione, emblemi di riti e tradizioni, consuetudini e radici: le chiavi
e il rito contro il malocchio, le scarpe e la loro rappresentazione di classe, i barattoli di vetro, riassunto della
pratica tipica lucana legata alla conserva dei pomodori, specchio dell’attaccamento alle radici.
Impeccabile la regia e l’interpretazione di Terry Paternoster e dell’intera compagnia e coinvolgenti i giochi di
luce realizzati da Giuseppe Pesce.
La giovane e sperimentale realtà del Collettivo Internoenki ha conquistato con questo spettacolo il Premio
Scenario per Ustica 2013, testimonianza che un teatro partecipe alle dinamiche contemporanee e in grado di
tradurre dissenso e frustrazione è possibile.
Elisabetta Severino
18 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
Aprile 2014
IL DISCORSO
M.E.D.E.A. Big Oil chiude la stagione di
Teatro Contatto
Scritto da: Maria Teresa Ruotolo 14 aprile 2014 in SLIDER, Teatro, Udine e provincia
E’ calato il sipario sulla stagione 32 di Teatro Contatto che, per il suo “ultimo atto” ha portato in
scena M.E.D.E.A Big Oil, la pièce del collettivo Internoenki vincitrice del Premio Ustica 2013. In
linea con tutto il percorso “Differenze” anche questo è uno spettacolo di denuncia, la storia di una
terra e della sua gente tradite dalla speranza di sviluppo e progresso. Un’altra storia italiana da
raccontare, una storia di speranze disilluse e di forti contraddizioni. M.E.D.E.A Big Oil parla della
Basilicata, regione tra terra e mare, la cui storia “inizia con il sole e finisce con il cane a sei
zampe”. Non a caso, M.E.D.E.A è il nome di un master organizzato dall’Eni. Perchè quella terra è
ricca di petrolio ma le estrazioni la hanno lasciata la regione più povera d’Italia.
Una speranza di lavoro e di sviluppo fallita, l’unico risultato tangibile è la rottura dell’equilibrio della
natura che si ribella perchè violata e devastata e le conseguenti morti per malattie incurabili. Così
come nell’opera di Euripide Medea si oppone al tradimento di Giasone che si è invaghito di Creusa
uccidendo i figli, qui l’innamoramento è per il successo econimico per lo sviluppo ed è la terra che
uccide i suoi figli.
Tutto questo va in scena nel buio, nel nero, solo a tratti un fascio di luce rischiara gli attori. Fascio
di luce talvolta rosso come il sangue come il pomodoro “pummo’duro” di cui la regione è ricca.
Canti popolari, invocazioni e lamenti tipici delle regioni del sud sono scanditi dal tamburello,
memoria e denuncia (la regista e attice sulla scena Terry Paternoster è lucana) si compenetrano in
questa “opera teatrale buffonesca in sette deliri e ventuno quadri” molto intensa. Fanno da
corollario le voci del gruppo che mormora, che parla senza trovare soluzioni, che si vende senza
guardare oltre, senza opporsi, senza capacità critica. Spettacolo intenso come lo è stata tutta la
stagione di Teatro Contatto.
(Maria Teresa Ruotolo)
19 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
DIREGIOVANI.IT La tragedia di Medea rivive in Basilicata grazie a InternoEnki
16 aprile 2014
Petrolio, promesse infrante, miseria. Sembrano parole che possano convivere soltanto in posti
dove la povertà è un'eterna costante, alimentata dagli enormi profitti dell'estrazione petrolifera che
finiscono soltanto nelle tasche delle multinazionali. La popolazione, invece, resta a guardare
mentre la propria terra muore. Succede anche in Italia, dove si regala ricchezza per ricevere
miseria. Lo spettacolo M.E.D.E.A. BIG OIL (vincitore del Premio Scenario per Ustica 2013), andato
in scena sabato 12 al Teatro Palamostre di Udine, parla proprio di questo, attraverso l'antico mito
greco di Medea dove l'amore, non corrisposto, per lo straniero uccide sé stessi e i propri figli. Un
parallelismo apparentemente lontano nel tempo, ma che la regista Terry Paternoster è riuscita a
creare con straordinario successo, grazie soprattutto all'eccezionale collettivo InternoEnki.
Sullo sfondo della Basilicata povera e contadina, una famiglia trova la propria via di salvezza nelle
compagnie petrolifere che faranno di questa regione il “Texas d'Europa”. Come Medea è la donna
lucana che si getta tra le braccia di Giasone-Big Oil, lo straniero che promette futuro e benessere.
Ben presto si capisce che c'è qualcosa che non quadra, l'orto non da più frutti e l'acqua è diventata
nera. Ma l'ingegnere dell'azienda petrolifera assicura tutti, non ci sono pericoli ma solo progresso,
e distribuisce buoni benzina come se fossero ostie in chiesa.
È solo il figlio “scemo” a capire ciò che sta succedendo, puntando il dito contro chi sta rendendo la
Val d'Agri un deserto per colpa delle trivellazioni. Nessuno gli crede, fino a quando sarà palese il
dramma che si sta consumando.
La madre terra è tradita dalla stoltezza umana e come Medea uccide i suoi figli, diventando arida e
incoltivabile. I tumori diventano epidemie che mettono in ginocchio la Basilicata, mentre le grandi
aziende continuano a devastare il territorio. I politici non fanno niente, marionette in mano ai
consigli di amministrazione delle multinazionali. Triste racconto della nostra realtà. Con l'energia
del collettivo InternoEnki si conclude la trentaduesima stagione teatrale “Differenze” di
Teatrocontatto del Css Teatro stabile di innovazione del FVG , dopo mesi di spettacoli emozionanti
e di altissimo livello. Una panoramica trasversale che ha portato a Udine artisti di grande fama,
raccontando storie che oltrepassano il limite tra palco e realtà per arrivare dritte al cuore dello
spettatore. Non resta altro che aspettare l'inizio della prossima stagione, con la sicurezza che sarà
ancor una volta un viaggio indimenticabile.
(Timothy Dissegna)
IV SU Liceo Scienze Umane “Uccellis”
Udine
20 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
21 RASSEGNA STAMPA
(luglio 2013 – marzo 2014)
M.E.D.E.A. BIG OIL
PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013
MESSAGGERO VENETO Basilicata, il sogno e la devastazione del petrolio
“M.E.D.E.A. Big Oil” al Palamostre: una bella prova del giovane collettivo Internoenki
di Mario Brandolin
UDINE. M.E.D.E.A., ovvero unmaster, targato Eni – il gigante petrolifero italiano – in
Management ed Economia dell’Energia e dell’Ambiente: un contrapasso ironico e amaro, a
fronte delle devastazioni ambientali, umane e sociali che l’Eni ha prodotto in quel di Basilicata.
A raccontarle e denunciarle, uno spettacolo,M.E.D.E.A. Big Oil, di un giovane collettivo
teatrale italiano, Internoenki, capitanato da Terry Paternoster, che dello spettacolo, l’altra sera
al Palamostre di Udine, è autrice, regista e interprete. Una riproposizione, oggi, in quel
contesto degradato e umiliato, del mito tragico della maga della Colchide, tradita dal greco
Giasone e per questo matricida folle e dannata. Qui, a perdere i suoi figli, è una donna di
Basilicata, a tradirla il potente ente petrolifero che con i suoi sogni di benessere e sviluppo,
legati all’impianto petrolifero della Val d’Agri, ha inquinato la regione, portando morte e
disperazione tra i suoi abitanti. Lo spettacolo, una sorta di corale popolare e sacra
rappresentazione laica, si sviluppa senza soluzione di continuità in una serie di quadri, a dire
uno spaccato etnico e sociale stritolato tra le maglie drammatiche di una condizione contadina
di miseria atavica e la morte portata dalla modernità, dalle sue fascinazioni e promesse.
Assistiamo così ad alcune ritualità dal sapore antico, come la preparazione della salsa di
pomodoro, la festa del patrono, le nozze, il ritorno degli emigranti, la processione della
Madonna, e l’arrivo, accolto come un benefattore, della multinazionale del petrolio con il
miraggio di un riscatto che invece si tradurrà in desolazione e morte. Nove generosi interpreti
– un coro a dire di un popolo vittima e carnefice di se stesso a un tempo – e una Medea
pronta a tutto pur di vedere sistemati i figli salvo poi straziarsi nella consapevolezza degli
inganni e dei soprusi subiti. Una drammaturgia molto allusiva. Una lingua, il lucano, altrettanto
allusivo e carico di un’epressività secolare e movimenti in forma di corografie ispirate alla
tradizione folclorica, come il bel tessuto musicale. Ecco gli ingredienti assai accattivanti e
coinvolgenti di uno spettacolo, che pur nella sua dichiarata intenzionalità di denuncia, non è
mai piattamente didascalico, ma è forte di un’energia contagiosa e di belle suggestioni
spettacolari.
Lunghi e meritati gli applausi del pubblico, ahimè, però, piuttosto scarso alla serata che chiude
la 32ª stagione di Teatro Contatto.
(Mario Brandolin)
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