RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 Dalle motivazioni del premio: "La messa in scena del Collettivo InternoEnki fa intuire un'interessante capacità di lavoro del gruppo che ha saputo creare un linguaggio teatrale adatto al tipo di comunicazione e denuncia che con grande energia porta avanti. […] Il Collettivo dichiara con forza al pubblico il proprio impegno civile a favore di una delle più povere regioni italiane, esprimendolo con accortezza drammaturgica e avvalendosi efficacemente della lingua lucana." KRAPP’S LAST POST M.e.d.e.a. Big Oil di Collettivo InternoEnki - vincitore Premio Scenario per Ustica 2013. Le premesse sono già tutte nel titolo. Medea è la figura mitologica, rivisitata in chiave moderna ed eterodossa, ma è anche l’acronimo di un Master organizzato e gestito dalla Scuola Enrico Mattei e fortemente voluto dall’Eni. Siamo in Basilicata, precisamente nella Val d’Agri, monopolio della multinazionale del petrolio e terra letteralmente sventrata dalle trivellazioni. Ma siamo anche nel profondo Sud, tuttora assoggettato ad una mentalità chiusa ed arcaica, dove si vive ancora di tradizioni, dove si crede ancora alle promesse che vengono dall’alto, dove si preferisce ancora pensare che i disastri avvengano per volontà divina, perché la presa di coscienza e l’assunzione di responsabilità fa paura, o è semplicemente vista la strada meno comoda da percorrere. E dove il singolo raramente emerge, perché a prevalere è la comunità. E’ questa comunità che il Collettivo InternoEnki mette in LA REPUBBLICA scena, reinterpretando anche in questo caso il ruolo del coro tragico della tradizione classica, che diventa un vero e proprio groviglio umano, da cui a tratti si stacca la figura di Medea, madre di due figli che finirà per uccidere costringendoli a rimanere fedeli alle regole di una terra malata, ad accettare un lavoro malsano. Confondendo - come riferisce la nota di regia - un’occasione di morte con un’opportunità di ricchezza. Il suo Giasone è l’ingegnere (la compagnia petrolifera), ma anche il sindaco (il potere politico), di cui si fida ciecamente, nonostante i dati e i numeri sull’incidenza tumorale siano chiari, e allarmanti. “Ci hanno detto: non vi abbandonerò e non vi tradirò mai. Io ci credo”. Frutto di una lunga inchiesta svolta sul campo, il lavoro - scritto e diretto da Therry Paternoster, che ricopre anche (splendidamente) il ruolo di questa Medea-madre-terra - non ha soltanto il pregio di denunciare una situazione drammatica al limite del comprensibile, ma anche quello di evocare fedelmente l’“anima del sud”. “…Un piede calzato, che affonda in una terra malata. Un piede scalzo, a sentire la viscosità del petrolio, a inciampare nei buchi delle trivellazioni. È un coro di instabili, di arrabbiati, di offesi quello che si muove in “M.E.D.E.A Big Oil”, vincitore del Premio Scenario per Ustica. Pregano, piangono, sputano. Vittime di una Basilicata tradita dallo straniero, Fatta di un vociare inarrestabile, di riti consolidati come quello di fare la salsa di pomodoro a mo’ di catena di montaggio, di canti popolari suonati col tamburello. Gli attori, c’è da dirlo, sono bravi, e incredibilmente affiatati. Seguono una partitura fisica ben precisa, si muovono coesi e sono in grado di restituire quella coralità di memoria verghiana. Ma i rimandi, letterali e teatrali sono tanti. Come non pensare a quella “terra dimenticata da Dio” evocata da Levi? Il finale, va da sé, è tragico. Quella scarpa che per tutta la messa in scena gli attori non hanno al piede (soltanto nel corso del comizio elettorale del sindaco, in cui si mette a regalare sogni e scarpe, per un attimo il popolo riacquista anche la seconda calzatura) viene persa definitivamente. E finisce ai bordi del palco, ammassata alle altre scarpe e in mezzo a fiori tombali. (Erika Seghetti) irretita dal miraggio del lavoro, dalla promessa di ricchezza. Madre che soffoca i propri figli per vendetta. Guida, Terry Paternoster, il Collettivo InternoEnki con passione e foga, lucidità e strazio, orgoglio e disgusto...” (Rossella Porcheddu) 1 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 IL TAMBURO DI KATTRIN “M.E.D.E.A. Big Oil di Collettivo InternoEnki è il progetto vincitore del Premio Scenario per Ustica. Dalla rilettura del mito di Medea, Terry Paternoster, alla guida del gruppo, presenta un lavoro corale di una forza struggente e dalle tematiche contemporanee: la Basilicata odierna. Maria-Medea, donna e madre lucana legata alla sua terra, è vittima e carnefice insieme. Tra il coro-popolo costituito dagli attori del Collettivo ci sono i suoi due figli, costretti in un paese sfruttato da grandi compagnie petrolifere come l’ENI che se da un lato forniscono opportunità lavorative, dall’altro portano distruzione e morte…” (Elena Conti) DRAMMA.IT - “M.E.D.E.A. Big Oil. Drammaturgia scritta e diretta da Terry Paternoster che ne è protagonista insieme al Collettivo InternoEnki di Roma. Il territorio stravolto da una modernità bugiarda, che sconvolge anche la percezione della propria intima geografia interiore, è l'occasione per rivisitare il mito di Medea, madre tradita che sacrifica i suoi figli. Testo ben scritto che abilmente riutilizza ed amalgama nella riproposizione scenica una lingua ormai imbastardita che di materno ha solo le sonorità della memoria. Ben recitato e organizzato nei suoi movimenti, quasi un mulinello in perenne rotazione verso un centro che stenta a ritrovarsi, è uno spettacolo che inquieta e a volte commuove sapendo riorganizzare in maniera innovativa modalità tradizionali del racconto con le esigenze di una drammaturgia che si completi sulla scena di fronte e a contatto con lo spettatore. Un lavoro maturo...” (Maria Dolores Pesce) LA REPUBBLICA - “…il numeroso collettivo romano InternoEnki con lo spettacolo denuncia “M.E.D.E.A Big Oil”, interviste, inchieste che hanno portato a questo lavoro teatrale sulle trivellazioni di Eni in Basilicata, che qui estrae l’80 per cento del petrolio italiano. «Nonostante sia uno spettacolo di denuncia — spiega Cristina Valenti, curatrice della rassegna “Dei Teatri, della Memoria” — è quasi un musical, per certi versi, uno spettacolo di grande ritmo»...” (Francesca Parisini) IL GIORNALE DI VICENZA – “…Collettivo InternoEnki. Per la loro “M.E.D.E.A. Big Oil”, primo posto al premio Scenario per Ustica, vale la definizione di “piccolo capolavoro”. (…) Capolavoro perché nel modo in cui affronta la questione controversa delle trivellazioni petrolifere in Basilicata c'è tutto: azione corale, richiami alla classicità, uno scherzo con Verdi e perfino un po' di Eduardo. Tempo al tempo e lo Scenario per Ustica potrebbe non essere l'unico riconoscimento raccolto da questa Medea…” (Lorenzo Parolin) 2 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 TEATRO E CRITICA “…un coro di schiamazzi, grida, richiami, canzoni… In bilico nervoso tra la gioia e il dolore, i ragazzi di InternoEnki con M.E.D.E.A BIG OIL fanno il loro ingresso disordinato e confusionario, ma incredibilmente umano, carnale e potente. Vincitori del Premio Scenario per Ustica 2013, questo gruppo di amici ha rielaborato in chiave moderna e regionale il mito di Medea per “scetarci” da un sonno ipocrita e indifferente, nel quale «è tutt’appost» è la cantilena ricorrente che tutto fa tacere e non venire a galla, a differenza del petrolio che ribolle sotto i piedi, scalzi e orfani di una scarpa. Facce, smorfie, sputi e mani sporche di pomodoro, sono irriverenti maschere di una tragedia moderna, vicina, nostra, che coinvolge, ammalia, incanta e commuove”. (Lucia Medri) TEATRO.PERSINSALA.it “Già ben strutturata e oltremodo interessante, perché declinata su un ambito rispetto al quale il teatro italiano, storicamente, fa fatica a confrontarsi con continuità, ossia quello linguistico dei dialetti, M.E.D.E.A Big Oil (Premio Scenario per Ustica 2013) si offre come espressione ironica e corale del disagio vissuto nelle terre lucane, quel dilaniate conflitto tra le speranze di benessere promosse dalle trivellazioni della compagnia petrolifera “di bandiera” e l’ansia di riscatto (impossibile) delle nuove generazioni. Ottima la regia, efficace il testo e convincenti le interpretazioni (specialmente quelle femminili) di una storia che il Collettivo InternoEnki mette in scena con tinte drammaticamente ironiche, utilizzando il mito di Medea secondo molteplici prospettive (Eni-Medea quale spietata carnefice, ma anche Basilicata-Medea nel ruolo di vittima sedotta e poi tradita)”. (Daniele Rizzo) PANEACQUACULTURE PAC MAGAZINE DI ARTE E CULTURE “…M.E.D.E.A. Big Oil, lo spettacolo di Collettivo InternoEnki vincitore del Premio Scenario per Ustica 2013, drammaturgia e regia di Terry Paternoster, parte da un’ampia ricerca sul petrolio in Basilicata per incrociare il mito di una Medea contemporanea. L’eroina tragica è una donna lucana tradita dallo “straniero”, il Big Oil-Giasone, ruolo simbolico affidato a una compagnia petrolifera. Teatro civile mediato dalla fiaba, affreschi collettivi a metà tra Fontamara e Cristo si è fermato a Eboli. Il ritratto è di un Sud atavico tra emigrazione e maledizione, sogno e realtà, magia e miseria. Colpiscono le coreografie corali, pantomime grottesche a velocità variabile, che rappresentano danze, riti anchilosati, canti di gruppo, cantilene, processioni e comizi di politici tromboni. Poi affiora l’elemento civile, il riferimento alla Lucania sventrata dalle trivelle, svenduta alla cultura neocapitalista, inquinata, ammorbata dal veleno che uccide l’agricoltura, gli animali e gli uomini...” (Vincenzo Sardelli) FATTI DI TEATRO “… la denuncia … sociale ed esplicita, mixata con grande maestria da Collettivo InternoEnki, che punta il dito contro demagogia, inciuci politico-economici, business spregiudicato, ma poi anche contro la connivenza ed il servilismo superstizioso della popolazione locale, scioccamente avvinta dall’illusione di un lavoro, che le consentirà di non dover emigrare: e tutto assume atmosfere grottesche ed ancestrali, che sanno di clan, di superstizione, della portata tragica di una Medea, appunto, e del suo tenace spirito da ‘lupa’, nonostante il dissesto in cui di fatto precipita gli sventurati figli”. (Francesca R. Lino) 3 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL DOPPIOZERO PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 “…pungente e amaro è il ritratto della Basilicata presentato dal Collettivo InternoEnki (a loro va il Premio dedicato a Ustica): una regione che si è lasciata sventrare dalle trivellazioni per il petrolio e che ha metaforicamente ucciso i suoi figli consegnando loro una terra contaminata. Ed ecco perché nel titolo dello spettacolo (M.E.D.E.A Big Oil) risuona il nome della matricida per antonomasia; e il Giasone traditore è qui la compagnia Eni che ha promesso un futuro scintillante per poi lasciare in eredità allarmanti percentuali sull’incremento delle patologie tumorali. Ossessivo, sul palco, il richiamo alla salsa di pomodoro, frutto per eccellenza di un processo agricolo ormai avvelenato, di un’alimentazione che si fa strumento di morte. La denuncia di Collettivo InternoEnki – esito di un lungo lavoro di inchiesta sul territorio – è un maremagnum vitale e debordante, che avrebbe bisogno di ordine e sintesi per ottenere maggiore efficacia, ma che non lascia indifferenti. Non è più sufficiente proporre sperimentazioni formali e innovazioni stilistiche, sembrano dirci le giovani compagnie di Scenario: il presente va indagato e rappresentato, se non è possibile comprenderlo”. (Maddalena Giovannelli) TEATROTEATRO – caos organizzato, giocato su gestualità teatrali, su sottili richiami interni, simmetrie, come i continui giochi di calze e scarpe che lasciano gli attori quasi sempre con un piede, a turno, scalzo. Emergono i vari personaggi, il sindaco, Medea, o monologhi come la teorizzazione della decrescita felice di Serge Latouche e il famoso discorso di Mattei, qui in chiave di sberleffo, del gattino ammazzato da cani feroci. Uno spettacolo che si costruisce su quadri e che comunica un forte senso di contaminazione, la tosse, il latte giallo, l'accasciarsi alla fine. Giasone non è uno solo ma si manifesta attraverso vari personaggi, imbonitori, manager, ingegneri in doppiopetto. Capaci di concepire essi stessi, con un senso di involontario grottesco, un master in tematiche ambientali dall'acronimo M.E.D.E.A., cosa peraltro vera. Obbligatorio il plauso per l'impegno civile, il coraggio e la documentazione”. (Gianpiero Raganelli) “…Una terra violentata, stuprata, martoriata. È la Basilicata, la Val d'Agri perforata, sconquassata dai pozzi di petrolio dell'Eni. Nonostante le promesse di sviluppo economico rimane la regione più depressa d'Italia, dove la cultura contadina è stata spiantata in nome del progresso. E dove si registra il triste dato di una percentuale di morti per tumore più alta della media nazionale. Come una Medea tradita da un Giasone rappresentato dai colossi energetici, genera morti tra i propri figli, intossicati da questo matrimonio letale. Su questo filo metaforico si muove il Collettivo Internoenki, realizzando uno spettacolo molto coraggioso, un atto d'accusa documentato e circostanziato, un'invettiva diretta. Un lavoro di antropologia teatrale che ha visto i membri della compagnia impegnati in una lunga e approfondita indagine sul campo. Uno spettacolo corale, dove i nove attori, buffonicoreuti, rappresentano un corpo unico, un macrorganismo, una massa coordinata. Un delirio, un 4 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL RUMORSCENA “…L’operazione del PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 collettivo romano rovescia completamente la prospettiva. Siamo sempre nel Sud. Ma in un Sud specifico, quello della Basilicata martoriata dalle trivellazioni petrolifere. Un Sud vitale e agreste popolato da donne, dove ci sono ancora pancioni da nascondere, figli di padri scappati o emigrati in Germania, matrimoni riparatori, profumate conserve di pomodoro imbottigliate all’alba, venerdì Santi, comizi della DC, processioni, lamentazioni funebri e tradizioni rassicuranti. E’ il Sud dell’“ignoranza contadina pura” non contaminata dalla televisione e dalla scuola, quello di alcuni decenni fa, colto nella drammatica fase di passaggio da un’economia prettamente agricola a una progressiva industrializzazione. Una fotografia di quella macellazione identitaria che ha cominciato a consumarsi quando la speculazione petrolifera ha tradito il patto di sviluppo, portando in dote alla terra che l’ha accolta morti bianche e malattia. “Si pensava che col petrolio s’era sistemat. S’è sistemat buon mo’. Int’a na fossa.” All’improvviso la terra inquinata, i fagioli che seccano, l’aria irrespirabile, il cancro. E la gente che “si stava meglio quando si stava peggio”, ma poi: “Grazie ingegnere!”. La difficoltà di individuare i colpevoli, di riconoscerli e condannarli. Perché nella rincorsa al si salvi chi può, piuttosto che mettersi di traverso ci si affanna pure a riverire i responsabili delle nostre sciagure, a elemosinare un posto di lavoro e chi se ne frega del carcinoma, perché tanto poi non capita a me. A uccidere i propri figli, allora, prima ancora di Giasone Big Oil, ossia l’ENI, è innanzitutto Medea, figura metaforica che rappresenta quella stessa terra violentata, la quale invece di scacciare lo straniero traditore ammazza la propria prole con silenzio e connivenza. Una terra scarnificata che non si ribella, straziata e logora ma fiera. Debole e quindi ancora più aggressiva, come un animale ferito che non sa riconoscere da che parte stare. Medea rimprovera Nuccio che vuole andare via a ogni costo: “È na fortuna che ti danno la fatica a casa tua. Ccà simm nati e ccà amma murì”. E d’altro canto dalla platea non si sa più a chi dare ragione, se a chi resta con vigliaccheria (o coraggio) o a chi va con coraggio (o vigliaccheria). Poche domande: “Nuie pe ‘mmo chiudimme e pumm’dur”. E via di nuovo con le conserve di pomodoro, con il rito di fine estate delle cinque del mattino. Al ritmo regolare del pettegolezzo di paese qualcuno lava i pomodori, qualche altro mette il basilico nei barattoli, qualcuno passa i pomodori, poi l’imbottigliamento e la cottura, pericolosa, perché le bottiglie rischiano sempre di rompersi nei grossi calderoni in cui vengono accatastate. Come un mantra in tutto lo spettacolo non si fa che ripetere che tanto “è tutt’appost”. Ogni contraddizione si risolve nel rito dei pomodori, nella processione di paese, nelle luminarie per la festa della Madonna. E nel frattempo il politico di turno distribuisce ostie benedette come “buoni pasto” a una popolazione che ancora crede al ciuccio che vola, immagine perfetta di quel pericoloso impasto di ignoranza religione e potere criminale che ancora vige in certi paesi del Sud, raccontata proprio di recente in un libro (che non è certo il primo) dal magistrato calabrese Nicola Gratteri intitolato Acqua Santissima. Dal punto di vista formale lo spettacolo funziona bene, ritmato sulla litania del tradizionale lamento funebre, coreografato come un macabro alligalli. Gli attori sono tutti di un livello insolitamente alto. Non ci sono sbavature nella drammaturgia che cuce senza problemi ogni livello messo in campo…” (Rossella Menna) 5 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 GENNAIO 2014 COMUNITA’ LUCANA “…Uno spettacolo intelligente, intenso ed avvolgente, commovente e “vero” che ieri sera ha letteralmente “illuminato” l’impiantito del palco del teatro f. stabile di potenza… Coniugare felicemente una tragedia come medea (euripide, andata per la prima volta in scena alle “grandi dionisie” di atene nel 431 a.c. nella struttura classica della tetralogia tragica, struttura di cui oltre a medea stessa, facevano parte le tragedie filottete e ditti, purtroppo andate perse, ed il dramma satiresco i mietitori…e per maggior informazione, aggiungerei che già prima di euripide il mito di medea era stato narrato da neofrone) con le estrazioni di idrocarburi in basilicata non era operazione semplice… (…) bellissima scrittura scenica così vuota eppure così piena della ritualità del gesto algebricamente reiterato in contrappunto ad un uso del teatro-danza che spazia nelle sue suggestioni da Pina Bausch a Maurice Béjart, forse transitando per Carolyn Carson ed i Sosta Palmizi, senza accademismi, senza citazioni, semmai portando anche il gesto poco nobile di alcune popolane movenze e gesti grotteschi all’altare di una nobiltà del racconto archetipo della eterna lotta tra poveri e ricchi, tra sfruttati e sfruttatori che in tanti passaggi la scrittura scenica e la recitazione hanno palesato come un leit-motif brechtiano di un racconto non mai didascaliscamente autocommiserativo o similbrigantesco, ma che diviene un prezioso elemento di analisi socio-antropologica, socioeconomica e storica che nel racconto stesso e nelle immagini di continuo suggerite e spesso “sbattute” in faccia fa piena ed esaustiva sintesi di un’analisi forse più facile a chi ci guarda da fuori, essendo forse dentro, che per noi stessi che siamo dentro e ci guardiamo troppo spesso come fossimo invece fuori dai nostri corpi e dalla nostra terra… E la compagnia Internoenki sembra finire questa sua danza tra storia e mito, tra canti popolari ed un uso continuo del dialetto che ha dello straordinario, viste le rispettive provenienze degli attori, con un monito ed un augurio…lucani, non rassegnatevi, ma lottate, lottate, lottate per non divenire le tristi medee che hanno offerto i propri figli alla propria follia del non voler vedere la realtà…” (Miko Somma) 6 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 FEBBRAIO 2014 CORRIERE DELL’UMBRIA Teatro Brecht di San Sisto. Un evento che ha riunito un pubblico interessato al teatro di sperimentazione. In scena una spiazzante Medea contemporanea , di ardita contaminazione, che punta i riflettori sulla realtà del tragico della Basilicata, da terra di pastori a serbatoio di petrolio, con incidenza tumorale superiore alla media nazionale. Giasone è Big Oil, instancabile trivellatore, che non mantiene le promesse d’amore e di progresso. La compagnia Internoenki offre una singolare fusione di danza, recitazione, canto monodico e corale, in situazioni di straniante delirio. Momenti di rabbia e commozione. Una tragedia calata nel linguaggio della cronaca e della disperazione quotidiana. (Sandro Allegrini) RecenSito RECENSITO “Medea Big Oil” - Premio Scenario Ustica 2013 - nasce nell’ambito dell’esperienza del collettivo teatrale “Internoenki”, che si autodefinisce promotore di un teatro “incivile, che rifiuta la retorica dei buoni costumi”. Eppure il primo dato di fatto di questo spettacolo è proprio il suo carattere fortemente attuale, di funzione informativa e civica che il teatro- specialmente se fatto attraverso pratiche laboratoriali e di sperimentazione- porta con sé. Terry Paternoster, giovane e promettente drammaturga e attrice nata a Milano di origini lucane, mette in scena la storia della sua terra martoriata e offesa dalle trivellazioni e dall’inquinamento dell’industria petrolifera. Così come tutti gli spettacoli del collettivo, anche questo è frutto di un lavoro d’inchiesta e di raccolta di testimonianze sul campo. Medea (interpretata proprio dalla regista- attrice) è madre che uccide - inconsapevolmente - i figli perché li costringe a restare in una terra infetta; Medea è allo stesso tempo terra- madre avvelenata e avvelenatrice, infine, manco a farlo apposta, “M.E.D.E.A.” è il nome vero di un Master in Management ed Economia dell’Energia e dell’Ambiente promosso dall’Eni. Sul palco nero e nudo si affastellano i componenti di una numerosa famiglia lucana di nuovo riunita per le vacanze estive: i personaggi si muovono a schiera al ritmo del tamburo e danzano, cantano, litigano, più d’ogni cosa raccontano- per la maggior parte in dialetto- la storia di un luogo dove vige la “democrazia della coppola in mano”, e le multinazionali petrolifere distribuiscono favori e morte col tacito consenso dello stato. Lo spettacolo è introdotto da un breve e interessante documentario del giornalista lucano Mimmo Nardozza dal titolo “Mal d’Agri” che fornisce agli spettatori le coordinate spazio- temporali adeguate per inquadrare e comprendere il contesto dove la storia è sviluppata. La potenza di questa scrittura drammaturgica e della sua messa in scena sta nella fine capacità di costruire uno spettacolo con tematiche fortemente legate alla realtà senza scadere nella mera denuncia, ma attraverso una narrazione scenica di una poesia e bellezza che colpisce ed emoziona: i movimenti e i canti corali, il dialetto, la narrazione dei singoli che costruisce la storia di un territorio e ripristina la tradizione fanno di “Medea Big Oil” una delle riprese più originali, interessanti e attuali del mito di Medea, nonché un esempio davvero notevole di teatro di sperimentazione e creatività che nasce dal basso e dai giovani. (Francesca Saturnino) 7 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 FEBBRAIO 2014 TEATRO E CRITICA MEDEA BIG OIL e il Giasone della Basilicata Un’ombra si allunga sulle colline, è il sole che compie il suo tragitto. Nient’altro che una vallata verde, eppure quest’ombra al nostro umano occhio sembra tetra, oscura, mano arraffante che tutto vuole inglobare. La paragoneremo a un’altra mano ombrosa che si sta appropriando di quella valle: è una mano che promette, che dà ricchezza, lavoro, è una mano sostenuta dalla scienza, che supporta lo sviluppo; ricordo Battisti che cantava «l’oro nero». Cosa ci sia dietro la scoperta dei giacimenti petroliferi in Basilicata, in quella Val D’Agri stretta da monti e dalle necessità di una regione, dove l’industria estrattiva è percepita come manna salvifica in cui credere ciecamente nonostante i forti rischi di inquinamento, è l’oggetto del documentario diMimmo Nardozza, Mal D’Agri, proiettato nella pienissima sala del Brancaccino, figlio minore di quel più noto teatro che ora accoglie i suoi spettatori come un cinema, al suono scoppiettante di popcorn e show glitterati. Nella sala sita al terzo piano di via Merulana non ci aspettavamo di veder documentari o di sgranocchiare cibo; eravamo lì per accogliere un debutto o un glorioso rientro in patria, alla luce di un riconoscimento artistico. Su queste pagineabbiamo raccontato del Premio Scenario, di come il Collettivo Internoenki, romano d’adozione, si fosse aggiudicato a pieno diritto la sezione per Ustica, dedicata a quei lavori più socialmente connotati. Il collettivo diretto da Terry Paternoster, parla di teatro “incivile” e mi piace pensare che giochino su quell’ambiguità da preposizione: siamo dentro la civiltà, oppure dando peso all’essenza di prefisso, quell’ “in” rafforza la nostra perdita, il nostro disagio di saper vivere assieme come animali sociali? Di certo ciò che appare più evidente in M.E.D.E.A. BIG OIL è la capacità di lavorare in gruppo, di essere corpo unico che trova propria identità nella somma di tutte le componenti, di tutte le voci. Queste, in un ritmo sempre brillantemente sostenuto, si elevano al di sopra di altre oppure si incastrano tra loro, in un miscuglio gioiosamente in-comprensibile. Non importa il singolo significato, quanto l’atmosfera generata, quell’identità tipicamente meridionale fatta di schiamazzi dal sapore dialettale, di vita comunitaria stretta attorno a eventi collettivi: la preparazione delle conserve di pomodori, la festa del santo o lo sconvolgente arrivo delle società petrolchimiche, che rivoluzioneranno la vita degli abitanti del paese. La scrittura scenica, svolta per quadri di brechtiana memoria, affonda le sue radici nella tragedia greca, ma non soltanto – e forse non soprattutto – per la trama della Medea euripidea; dal capolavoro del drammaturgo ateniese, in una riscrittura originale, questo lavoro recupera la struttura narrativa, la figura della donna che per una fiducia sconfinata nei confronti dell’attraente ignoto finirà col sacrificare tutto, persino i propri figli. L’eredità più interessante risiede probabilmente nell’idea di coralità, nella quale corpi e voci sono legati a filo doppio, tutti protesi a testimoniare un pensiero comune, assieme nell’ingenuità, nella stoltezza, nel dramma. Fin dalla conclusione della proiezione che ci aveva trovati coinvolti ma anche un po’ infiacchiti, i nove brillanti attori intonano una sonorizzazione fuori scena. Impiegheranno forse un po’ più del dovuto a scaldare l’atmosfera, in quella che per una divertente casualità definiremmo “partenza a diesel”, eppure la scena vuota sarà presto riempita dei loro corpi, emanazione emotiva, sensoriale, scenografica. Sottovesti, canottiere e una scarpa sola, intenti a un lavoro quasi da macchina futurista che però vibra di umanità, scomposta ma mai disomogenea. Quell’unica scarpa indossata rende sonorità diverse, ritmo vivo nel passo claudicante, in grado di connotare anche un altro livello: sono persone a cui manca qualcosa, manca un equilibrio, una stabilità appunto. In quella che è una tra le regioni più povere d’Italia arriverà il petrolio a riconsegnare le scarpe, quasi reliquia sacra da accettare come ostia. Ma il corpo scena richiede altro ritmo, così come il corpo raccontato in Mal D’Agri denunciava disagi d’inquinamento, senza che la persona fosse in grado di rendersene coscientemente conto. E allora via la scarpa, sottobraccio. Sembra impossibile fare qualcosa per combattere realmente, si può soltanto tacitamente accettare e adattarsi alle storpiature. Ci sarà qualcuno che vorrà scappare, invano. Mentre la nostra Medea rimane madre di due figli, il Giasone contemporaneo, più che il marito emigrato in Germania è proprio la fiamma del petrolio, quella promessa allettante d’ignoto, con cieca fiducia ci si affida a colui che promette ciò che non dà. Forte presenza in scena anche se assente fisicamente, il petrolio (ricordato al più da un gioco, gorgoglio d’acqua soffiata dalla cannuccia, come il bollore dei pomodori in cottura) quasi un nuovo dio, non si può mescolare alla vicende quotidiane. Non vedremo mai la causa, solo la conseguenza. La drammaturgia forse sviluppa un po’ lentamente il conflitto, ma lo fa proprio perché messa in atto dalle vittime, ostinatamente convinte a non voler realizzare l’urgenza problematica. Saremo spettatori della loro indifferenza all’evidenza dei mali, che scuotono con forza la nostra coscienza molto più che nella programmatica denuncia dichiarata; pur presente a tratti nel lavoro, essa si rivela con forse una punta di ingenuità e un’intenzione sociale molto più forte là dove invece appare sottintesa. A questo forse serviva quel documentario, a prepararci, lasciando che al teatro spettasse altro compito di ricezione. Ascolteremo il loro canto; canto che è un urlo, il nome dei figli, note sicure di presenza, poi incerta, e infine disperata mancanza. Paternoster anche in scena dichiara la propria forza in un commovente ritratto d’insieme, canto del cigno a una terra sorda, una terra che, citando il Modugno carnalizzato nella sua voce, è «amara terra mia, amara e bella». (Viviana Raciti) 8 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 FEBBRAIO 2014 DazebaNews DAZEBANEWS Teatro Brancaccino. M.e.d.e.a Big Oil. Strameritati applausi a un’opera di denuncia. le mentalità” e uno spettacolo che punta dritto al cuore della gente può facilitarne la riuscita. ROMA - Il titolo della tragedia corale M.e.d.e.a Big Oil, vincitrice del Premio Scenario Ustica 2013 racchiude in sé il senso di tutta l’opera: alludendo sia al mito di Medea la madre che uccide i propri figli per vendicarsi del marito fedifrago che all’omonimo Master promosso dall’Eni in Management ed Economia dell’Energia e dell’Ambiente. Scenario dell’opera teatrale è la Basilicata, che, infatti, in alcuni territori come la Val d’Agri vanta una produzione giornaliera di greggio di oltre 150mila barili, con gravi ripercussioni sull’inquinamento ambientale e sulla salute degli abitanti. Rischi, che non sono monitorati come si dovrebbe, in assenza di un organo autonomo e scevro da pressioni politico-finanziarie, deputato a calcolare i danni dell’esposizione alle sostanze tossiche utilizzate nelle raffinerie, tra le quali si rintracciano il bario depositatosi nelle acque del Lago Pertusillo e l’idrogeno solforato disperso nell’aria. È questa la protesta che anima il collettivo Internoenki formato da giovani provenienti da tutta Italia, dal Friuli alla Basilicata, uniti dalla passione per il teatro ricercato e per la denuncia sociale. Direttrice del collettivo e autrice dello spettacolo è la bravissima scrittrice, registra e attrice Terry Paternoster, nata a Milano, ma con un particolare legame affettivo con il Sud, che dall’estate 2011 ha avviato una ricerca per comprovare – come lei stessa scrive - “le effettive responsabilità del dissesto ambientale a carico di Eni”. Un’impresa ardua, in assenza di dati certi, tranne quelli dell’anagrafe che segnano l’incremento del numero di giovani morti per cancro. Per dare voce a quest’iniziativa la Paternoster ha preferito la carica emozionale di uno spettacolo dal vivo alle pagine di un libro. “Perché - come sostiene l’autrice - niente può cambiare, se non cambiano prima Una tragedia corale suddivisa in 7 deliri e 21 quadri. Nove gli attori che rappresentano il sottoproletariato, ritratti con una sola scarpa, un po’ sciancati e stremati dal lavoro sui campi. Tutti quanti parenti di Medea, la matriarca che ha richiamato a casa dalla Germania i figli Ninuccio e Peppino, allettata dalle promesse dei politici, che hanno “garantito occupazione in patria”. Impieghi nelle raffinerie petrolifere lucane: “ruoli di primordine”, come assicurato dalla Regione, dai sindaci e dagli ingegneri Eni, a caccia di manodopera locale. Un lavoro, da lei imposto ai figli, che le strapperà via i due eredi: chi per cancro, chi per un incidente nel cantiere. In questo caso, Medea non è la strega che uccide i suoi figli per vendicarsi dell’abbandono del marito, bensì raffigura la madre terra che li uccide perché avvelenata dall’uomo, da Giasone Big Oil, che ne ha contaminato i frutti. Medea rappresenta dunque tutti i lucani, che “abbagliati dall’oro nero” hanno ceduto alle sue lusinghe, con la speranza di un arricchimento che si è rivelato solo una minaccia per l’ecosistema naturale. L’espressività del dialetto e il carisma della protagonista Terry Paternostro conferiscono allo spettacolo una vis polemica ed emotiva in grado di coinvolgere lo spettatore nel dramma “del sottoproletariato lucano, tradito e umiliato dalla sua stessa terra, piegata e tradita dal Colosso a sei zampe, Big Giasone Oil”. Un applauso strameritato a tutto il cast, che seppur sprovvisto di scenografia e di sofisticate attrezzature ha trasportato lo spettatore in uno spazio mitologico e ancestrale, ricco di pathos. (Rita Ricci) 9 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 LA REPUBBLICA È musicale, col tamburello che scandisce il movimento e spezza l’azione, e il canto, denso, serrato, viscerale. È dialettale, di una lingua stretta tra le labbra che esplode in lamenti. È rituale, in un amalgama di religiosità e superstizione. È civile, politico, arrabbiato “M.E.D.E.A Big Oil”, vincitore del Premio Scenario per Ustica 2013. Spettacolo per nove buffoni, in sette deliri e ventun quadri, che guarda alla Basilicata di oggi e di ieri, delle tradizioni e delle trivellazioni. Impresa che ruba il titolo a un Master in Management ed Economia dell’Energia e dell’Ambiente dell’Eni, e che si nutre della ricerca sul campo. Lavoro che strappa al mito greco le figure di un Giasone dominatore, che irretisce col miraggio della ricchezza, e di una Medea asservita e violata, che sfama e soffoca i propri figli di preghiere e veleni. Tra memoria e denuncia, lo sfondo è quello del Sud senza lavoro, della Lucania da abbandonare, della Val d’Agri – il più grande giacimento petrolifero in terraferma d’Europa – da sfruttare, come racconta Mimmo Nardozza in “Mal D’Agri”, documentario proiettato prima dello spettacolo. Video che si apre e si chiude con la viscosità del petrolio, contagiando di oscurità il palco, popolato di minimi elementi scenografici, perché il fulcro restano i corpi, e le voci. E se nel prologo una lingua di luce rossa, orizzontale, rischiara debolmente la macina e la conserva dei “pumm’dur”, è il nero a racchiudere e comprimere il continuo ribollire, rimescolare, parlare, cantare, sputare. Si muove compatto il coro, si mette in riga, gira in tondo, avanza in processione, lasciando spazio, però, ai monologhi, ai discorsi pubblici, ai dialoghi famigliari. Energica, eccessiva, popolare la gestualità. Disperante, cantilenante, a tratti ironica l’invocazione. Contrastanti i sentimenti: l’ostinazione di chi non vuole vedere, la rassegnazione di chi non sa agire, la speranza di chi vuole credere. E la compiacenza della politica, la spinta a emigrare, la paura di denunciare, il tentativo di lottare, e la sconfitta della malattia, della terra come dell’uomo. È sanguigno, irruento, mai prudente, mai quieto, il lavoro scritto e diretto da Terry Paternoster, con un misto di attrazione e repulsione verso una regione che l’ha accolta e dalla quale è fuggita, e con una passione che ha contaminato e infettato il Collettivo InternoEnki. Corpo unico che mostra rabbia e impotenza nella coesione, senza dimenticare di sottolineare, però, il dolore, la durezza, lo sdegno dei singoli. Cittadini di una valle inquinata, stretta tra l’Appenino lucano e l’Appennino campano. Abitanti di una Basilicata petrolizzata, acidificata, torturata. Figli deformi di una madre malata, vittima di se stessa quanto dello straniero. (Rossella Porcheddu) 10 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 SALTINARIA Nove attori in scena del Collettivo Internoenki, con la forza di un coro tragico, un popolo-­‐branco contemporaneo, attualizzano il mito di Medea, immergendola nella Basilicata di oggi, abusata dal proprio infelice tesoro, il petrolio. Sullo sfondo, il dissesto ambientale della Val d’Agri. La promessa di ricchezza dello straniero, Big Oil-Giasone, inganna la popolana Medea,vittima di una chiusura mentale che la fa vittima e carnefice insieme. Il Sud, che cerca di salvare il Sud, dal Sud. Lo spettacolo è anticipato dalla proiezione del documentario “Mal d’Agri” del giornalista Mimmo Nardozza, resoconto della tragica prevaricazione della tracotanza capitalistica sulla cultura contadina, fatalmente complice. In Val d’Agri l’incremento dell’incidenza tumorale supera largamente la media nazionale. La documentazione concernente la crisi geo-politica lucana è stata raccolta in un archivio di testimonianze che i cittadini lucani hanno messo a disposizione del progetto, a raccontare una realtà in cui oggi M.E.D.E.A. è il nome di un Master organizzato e gestito dalla Scuola Enrico Mattei e fortemente voluto da Eni. Fatalità. Sul palco del Brancaccino di Roma prendono vita la seduzione e l’abbandono delle illusioni di un benessere gratuito e senza controindicazioni attraverso gli occhi di un popolo semplice che si lascia scivolare su sfarzose guide nero petrolio. I cittadini che si arrabattano fra povertà, emigrazione e tradizioni, spesso soffocanti, non resistono al lusso di incontrollate promesse. “Basta con questo incedere incerto e claudicante, finalmente guarderemo gli altri dall’alto in basso! Come? Mi espropriate la terra ma… ma sì, viva il futur… Coff Coff! Ma che fai, stai male? Ma come sei anacronistico! Ormai stiamo tutti bene, non dobbiamo più lavorare nè fare sacrifici, siamo signori! Ma questi “pumuduri” nun sò buoni! Stai male anche te? Ma come? Anche te? L’acqua è nera! Non si respira! Non doveva andare così! Non erano questi gli accordi! Ridateci la nostra terra, restituiteci la nostra innocenza!” I nove attori, bravissimi, danzano compatti con voci, sguardi e corpi, trasmettono le debolezze e le incertezze di un Italia sola con se stessa, che gioca in difesa e si lancia in attacco solo quando costretta, quando spesso è già troppo tardi. I sette deliri ed i ventuno movimenti in cui è suddiviso lo spettacolo scandiscono l’inesorabile susseguirsi di un infausto percorso che può e deve sfuggire alla teoria del piano inclinato. La coreografia ci restituisce nove maschere ruggenti e sbigottite, un'unica, potente forza umana che fa tremare i polsi e lascia intuire, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che insieme si resiste e si vince. (Enrico Vulpiani) 11 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 MARZO 2014 12 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 MARZO 2014 SLOWCULT SLOWCULT M.E.D.E.A. BIG OIL: La luna nel pozzo (petrolifero) Un coro classico di nove attori per una rivisitazione del mito di Medea in chiave contemporanea. Siamo infatti nella Basilicata di oggi, illusa e delusa dal miraggio del benessere per l’intera popolazione e del progresso derivante dalle estrazioni petrolifere nella Val d’Agri, dove invece secondo il rapporto Eni del 2012 gli occupati residenti, tra diretti e indotto, superano di poco le ottocento unità, una vera miseria. Dopo quasi un ventennio di trivellazioni, di fronte ad un così basso impatto occupazionale è salatissimo il conto pagato dall’ambiente e dagli abitanti: muore la fauna nel lago del Pertusillo mentre crescono i livelli di zolfo e benzene nell’aria. Per non parlare poi dell’aumento di tumori registrato in tutta l’area. Quindi Medea, nipote del Sole e della maga Circe, che secondo la tradizione uccide i propri figli, qui rappresenta la madre terra che, ingannata dai ‘creatori del consenso’ e dai signori del barile, richiama i propri discendenti e, di fronte all’illusione di una vita finalmente liberata da migrazione ed umiliazione, li inghiotte nel pozzo senza fondo e senza speranza di un presente buio ed un futuro ancora più nero, viste le prospettive di un ulteriore aumento della produzione di petrolio, in una terra che rappresenta ormai il secondo giacimento su terraferma d’Europa. Un’ora di spettacolo, quasi completamente in dialetto stretto ma comunque perfettamente comprensibile grazie alla mimica e l’espressività degli attori, che riproducono la via dei campi, la raccolta dei pomodori e l’imbottigliamento della pummarola, i dialoghi del popolo che si auspica ricongiungimenti familiari nella terra natia, senza più bisogno di fuga in Germania in cerca di quel lavoro che quaggiù nel profondo sud è sempre stato un miraggio. Giovani attori ben affiatati, che indossano una scarpa sola proprio a simboleggiare l’eterna precarietà dell’esistenza in una regione che nel frattempo, dati Istat alla mano è diventata la più povera d’Italia. Un’ora densa di sensazioni, che avvolge e toglie il respiro, come nelle immagini iniziali del documentario proiettato prima dello spettacolo in cui fauna e flora locali soffocano nel fluido che invade campi coltivati, boschi e campagne della valle. Un esempio di grande teatro di impegno civile, che appassiona ed impressiona, che coinvolge e sconvolge il folto pubblico del Brancaccino, per quest’opera intensa e necessaria, giustamente vincitrice del premio Scenario per Ustica. Per maggiori informazioni sulle prossime repliche dello spettacolo e sul collettivo Internoenki visitate il sito www.internoenki.com (Fabrizio Forno) 13 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 MARZO 2014 VENTROTTO Medea Big oil Corale e accorata la piece andata in scena al teatro comunale di Modugno risorto dalle ceneri del teatroscalo ad opera di Franco Ferrante, Michele Bia e i Bollenti Spiriti che hanno reso possibile questo viaggio in cui nuovi e vecchi sogni si sono ritrovati nei ruderi del vecchio macello modugnese e hanno deciso di tradurre la carcassa in locomotiva culturale, la bestia scarna in nuova umanità: quella, per intenderci, che in Medea di Big oil inalbera il diritto ad una terra - la Basilicata - in cui le nuove generazioni non vedano imputridire i loro ideali, i loro affetti, il loro stile di vita, i loro canti. E soprattutto l’aria che respirano. Scritto e diretto dalla giovane regista Terry Paternoster, questo lavoro ha riscaldato i cuori della platea. A me è piaciuta molto la tendenza scenografica dei molti che si attraggono per colmare le lacune del dubbio, dei ripensamenti, lo stare l’uno a ridosso dell’altro di donne e uomini, uomini e donne, donne innamorate e uomini fidanzati, spose e mariti, donne incinte e ragazze non ancora sposate, parenti e gente del vicinato che hanno rappresentato meravigliosamente un paese, una comunità, un popolo, una nazione. E quando la monade era perfetta, eccola scoppiare in ritmi guerreschi e canti evocativi, canti di risposta al nemico, canti gutturali di gente che intende preservare una propria identità che non si è ancora affrancata da quella contadina, sana, potente, quella che, ancora oggi, si interessa anche di far trovare le camicie pulite agli uomini sporchi di sudore. La sanezza di questo episodio raccontato con toni di carni smembrate e talvolta con un rombo o un filo di voce, era in perfetta comunione con l’arcaicità di una terra coltivata fino all’altro ieri da persone semplici che pensavano a lavorare col bello e col cattivo tempo, a festeggiare i santi patroni, a sposarsi, a fare figli, a guardare le stelle ovvero la purezza di un mondo alto, lontano. Tutto questo era trasmesso con una italianità corretta civilmente da un dialetto in arme, cioè in opposizione alla pubblicità italiana ma ingannevole dei signori delle trivelle. Se fosse vero che non ci resta che il dialetto per opporci ai soprusi dei potenti?... Il dubbio viene, e in questa Medea Big Oil viene ostentato vivacemente, con forme scenografiche austere che ricordano le geometrie femminili di un tempo chiuse in fazzoletti neri, che alludono ai gineprai di sordide domande e risposte insincere, che inseguono nidi di favole e di vipere, siepi e rovi che si difendono dalla luce irreale dello zolfo del progresso e del cane a cinque zampe dell’Eni cacciando fuori il rauco grido di fiori violati - sodomizzati per chi voglia vedere nel gruppo in scena non l’idea partigiana di gregari pettegoli che si sommano e si reggono come un sol uomo, ma... l’atteso grido del mitico incesto tra la terra-madre e il figlio riportato audacemente nell’utero piuttosto che lasciato partire alla ricerca di un lavoro in una Germania che oggi appare ai più una severa matrigna. Da questo sogno attraversato da incubi di Terry Paternoster si esce incantati, sazi e commossi. Ben vengano altri lavori. 10 marzo 2014 Vito Ventrella 14 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 NON SOLO CINEMA InternoEnki porta a teatro una Medea tutta nuova In scena al Teatro ITC di San Lazzaro di Savena (BO) sabato 15 marzo Articolo di Enrico Silvano - Pubblicato martedì 18 marzo 2014 Il Collettivo Interno Enki, di Roma, ha portato al Teatro ITC di San Lazzaro di Savena (Bologna) uno stupendo spettacolo intitolato “Medea Big Oil”, ultimo vincitore del Premio Scenario. Il Collettivo Interno Enki, di Roma, ha portato al Teatro ITC di San Lazzaro di Savena (Bologna) un o stupendo spettacolo intitolato “Medea Big Oil”, ultimo vincitore del Premio Scenario. L’opera nel titolo racchiude il proprio carattere distintivo: il mito di Medea richiama con forza l’atmosfera della tragedia greca e, nel caso specifico, il personaggio di Medea si lega fortemente alle zone rurali e più selvagge della Grecia (e conseguentemente misteriose e sconosciute). Medea inoltre colloca immediatamente lo spettacolo all’interno della tradizione del teatro occidentale. ’Big Oil’ invece non ha apparentemente niente a che vedere con Medea: le due parole riportano immediatamente tutto in una sfera contemporanea, imbrattano tutto di petrolio, di denaro e di inquinamento. Di entrambe le cose parla lo spettacolo: racconta i problemi che emergono, assieme al petrolio, dalla terra lucana, la più trivellata d’Italia nonché la regione che ha subito il più alto incremento di patologie tumorali degli ultimi anni. Quindi “Medea Big oil” mescola il teatro classico (le strutture della tragedia vengono riprese in parte, nelle scene corali, nella relazione tra Medea e il coro) con il teatro politico, di denuncia (dati e informazioni sulle trivellazioni) e tutto è colorato dalle tinte accese del dialetto e delle canzoni lucane. Il pezzo forte è proprio l’efficacia delle scene corali che stupiscono per potenza e vivacità nonché per la perfetta coordinazione degli attori (bravissimi, bellissimi e giovanissimi). “Medea Big Oil” rimane un lavoro notevole che non assolve e non condanna né gli ingegneri e i progetti dell’Eni né la popolazione lucana che ha la colpa di essere incapace di valutare con obiettività l’impatto che l’estrazione di petrolio poteva (e potrà) avere sul territorio e sulla propria salute. Anzi la riflessione che emerge mostra come il mostro capitalista e la miseria delle sue vittime possano apparire come due facce della stessa medaglia: la fame atavica e il disperato desiderio di ricchezza che accompagna la vita dei contadini è la stessa motivazione che genera nei periodi di ricchezza la pulsione sfrenata all’accumulo e al consumo. (Enrico Silvano) 15 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 DIECI.VENTICINQUE Medea speranzosa, Medea fedele e cieca, Medea tradita. La Basilitaca, oggi, è Medea: terra abusata, che si è fatta sfruttare, terra tradita che uccide i suoi figli. Terry Paternoster e la compagnia indipendente InternoEnki nel 2013 hanno vinto il Premio scenario per Ustica: hanno presentato venti minuti di un progetto teatrale, da sviluppare e mettere in scena dopo l’eventuale vittoria. Le motivazioni della premiazione spaziano dalla grande capacità del gruppo di recitare insieme, in maniera corale e con la costante presenza di tutti gli attori sul palco, al diverso modo di interpretare un tema come le trivellazioni petrolifere in Basilicata. Il 15 marzo questo gruppo di giovani si è esibito all’Itc Teatro di San Lazzaro di Savena. Lo spettacolo racconta l’evolvere delle vite di tre famiglie: dall’emigrazione di alcuni parenti in Germania, perché in Basilicata non c’è lavoro, all’arrivo di un ingegnere che promette ricchezza e crescita per la regione. E il popolo segue ingenuamente il nuovo arrivato, intelligente e importante, fino al momento della consegna cieca non solo della propria terra, ma anche delle proprie vite. Questo istante, in cui viene sottoscritto un contratto in bianco con una totale fiducia verso un imprenditore, un uomo che ha studiato, è caratterizzato da una particolare scelta della musica: l’aria “Libiamo ne’ lieti calici” tratta dalla Traviata di Verdi. Se nell’aria verdiana Alfredo brinda con Violetta al loro nascente e sincero amore, sul palco si brinda per un accordo che è palesemente sbilanciato a sfavore di Medea. Peppino, il brigante, il sovversivo, denuncia la realtà ma il “branco” non riesce più ad ascoltare, non vuole comprendere e conoscere, perché è ormai intrappolato in una promessa che, anche se vana, resta tale. Imprigionato anche dai legami famigliari eccessivamente forti, che impediscono ad alcuni giovani di lasciare questa terra martoriata per cercare altrove un futuro migliore, e dall’attaccamento ai riti e alle tradizioni religiose. È così che la Val d’Agri, una sub-regione della Basilicata, diventa la Valle dell’Agip, come la definisce lo stesso Peppino durante lo spettacolo. Qui le patologie tumorali superano la media nazionale e sono in crescita. Gli attori, in questa trasposizione moderna del mito di Medea, denunciato questi dati e chiedono chiarezza, una conferma o una smentita rispetto al presunto legame tra le trivellazioni petrolifere e l’aumento delle persone che ogni anno si ammalano. Danno voce alla Basilicata, che fornisce l’80% del petrolio italiano, ma è la regione più povera d’Italia. Danno voce alla Basilicata, terra dimenticata, terra da ricordare. (Giulia Silvestri e Davide Rondini) 16 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 SCENE CONTEMPORANEE Collettivo InternoEnki - M.E.D.E.A. Big Oil Uno spettacolo che apre gli occhi allo spettatore sulla triste situazione ambientale in Basilicata. Il risultato della ricerca intrapresa da Terry Paternoster è una pièce intrisa di sapori, umori, urla e grida stridule di quella terra, uno spettacolo che ricrea con veridicità un tipo di folklore che è suggestione e condanna Durante il secolo scorso, nel sud dell’Italia, a Napoli, Achille Lauro faceva propaganda politica a modo suo, distribuiva durante i comizi doni, pacchi regali, monete e scarpe spaiate, con la promessa di dare ai cittadini che lo avrebbero votato la scarpa mancante. In cambio della totale fiducia dei suoi elettori, Lauro prometteva di avviare il motore dell'economia meridionale, ovvero l'edilizia. Facciamo ora un salto temporale in avanti e spostiamoci leggermente più a sud, in Basilicata, terra ricca quanto dimenticata, carica di petrolio e abbandonata a se stessa dal resto del mondo. Il nostro Achille Lauro è un sindaco qualsiasi, alleato di Eni, società petrolifera che ha saccheggiato e trivellato il territorio della val d'Agri che in poco tempo si è trasformato nella val d'Agip, che distribuisce ad una massa uniforme la loro seconda scarpa. Più e più volte la lucideranno con sputi speranzosi, rabbiosi e rassegnati, come per lustrare il simbolo di un accordo, di promesse di vita migliori, presto tacitamente tradite. Tutto questo è M.E.D.E.A. Big Oil, spettacolo vincitore del Premio Scenario per Ustica 2013, uno spettacolo in-civile, spesso in-comprensibile che con un suo linguaggio scenico dialettale e una sua partitura teatrale e musicale denuncia, apre gli occhi allo spettatore su quella che è attualmente la situazione ambientale in Basilicata, la regione dalla quale proviene l'80% del petrolio italiano e con il tasso più alto di povertà e il più alto incremento di patologie tumorali dell'intero paese. In scena 9 attori formano il coro, al pari dei buffoni medioevali; sono genti lucane dedite alla propria terra, alle tradizioni, come la macina e la conserva dei pumm’duri e la festa della madonna, con una mentalità oscurante che gli impedisce di vedere oltre. La Basilicata diventa così terra tradita che condanna i propri figli alla morte, metafora della Medea di Euripide oltraggiata da Giasone. In scena anche la regista Terry Paternoster nel ruolo di Medea, moglie di un marito partito per la Germania in cerca di fortuna e madre di due figli, Peppino e Ninuccio, che costringe a rimanere in Basilicata, anche lei Medea che uccide i propri figli, li condanna inconsapevolmente ad una morte di cui la furia per il tradimento del "Giasone Big Oil", la società petrolifera è conseguenza, non causa scatenante. Il parallelismo con l'eroina tragica di Euripide è frutto del caso, di una fatalità, come spiega la stessa regista, che, durante il suo viaggio/studio nella terra lucana, si è imbattuta nell'annuncio di un Master organizzato dall'università Enrico Fermi e fortemente voluto da Eni, in Management ed Economia dell'Europa e dell'Ambiente. Il risultato della sua ricerca è una pièce intrisa di sapori, umori, urla e grida stridule di quella terra, uno spettacolo che ricrea con veridicità un tipo di folklore che è suggestione e condanna, con un suo impianto sonoro umano messo in atto dal coro. Libiamo ne' lieti calici, unica musica esterna, scomoda la Traviata per suggellare con un brindisi il trovato accordo tra un ingegnere colto, elegante e sempre sorridente, venuto da lontano per salvarli dalla povertà, e la gente che povera resterà. Il Collettivo InternoEnki, composto da attori provenienti da ogni parte d'Italia, ritorna al Teatro Brancaccino per la seconda volta dopo il sold out registrato qualche mese fa. Uno spettacolo che si serve del mezzo scenico per far conoscere una situazione ambientale e umana spesso sconosciuta, evitata, indirizzandosi verso un teatro assolutamente sociale, necessario, di impegno civile e di estrema qualità attoriale. Spicca, come voce fuori e dentro il coro, l'interpretazione intensa e passionale della Medea lucana creata da Terry Paternoster, donna che più di tutti fa fatica a trovare agognato su una scarpa sola, che urla più forte degli altri perché Giasone possa sentire le sue suppliche e i suoi lamenti di madre. (Marcella Santomassimo) 17 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 BOLOGNATEATRO.IT M.E.D.E.A. BIG OIL Il Collettivo Internoenki racconta una realtà italiana, quella della Basilicata, attraverso un’opera teatrale buffonesca suddivisa in 7 deliri e 21 quadri. In grado di mettere in scena un’impeccabile coralità, 9 attori, i quali, attraverso le voci, i gesti e la loro espressività rispolverano tradizioni, folklore e atmosfera di una terra vittima di soprusi e, talvolta, imprigionata nella propria mentalità. Medea, l’anti eroina tragica che, tradita dall’amore, pone fine alla vita dei propri figli, diventa, nell’esperimento del Collettivo, l’anima della Basilicata, gli occhi delle donne e le braccia degli uomini. Medea, terra ricca e ancora incontaminata, accetta, accecata dal miraggio di migliori prospettive, di mutarsi in uno dei più appetibili paradisi per i grandi colossi petroliferi. Ironia della sorte, M.E.D.E.A. rappresenta anche l’acronimo di un Master in Management ed Economia dell’Energia e dell’Ambiente promosso dall’Eni. Il coraggio della giovane compagnia indipendente si palesa sia nello spettacolo, chiara denuncia ai poteri forti, sia nelle meticolose ricerche che lo hanno preceduto e che hanno coinvolto cittadini e politici in numerose interviste e testimonianze. “Fare i fatti”, motto del Collettivo Internoenki, rivoluziona il ruolo del palcoscenico, fa del teatro uno strumento d’informazione, denuncia e lotta. L’iter seguito dallo spettatore della classica tragedia greca viene qui ribaltato: alla catarsi, ovvero al raggiungimento di un più alto grado di saggezza frutto del distacco del pubblico dalle azioni dell’eroe in scena, si sostituisce l’amara consapevolezza, la presa di coscienza che ciò che accade nel luogo narratoci dalla pièce avviene anche nelle terre in cui i protagonisti siamo noi. Durante il “J’accuse” della compagnia contro lo Stato, le lobby del potere, la Provincia e la Regione, le luci si accendono violente sul pubblico come a volerlo coinvolgere nelle responsabilità e negli interrogativi. Vittime che diventano carnefici attraverso la speranza priva di azione e le tradizioni avulse dalla contemporaneità, così si agitano, urlano, chiaccherano, mormorano i protagonisti di “M.E.D.E.A. Big Oil”, attori di talento provenienti da tutt’Italia capaci di impersonificare al meglio idiomi e problemi di una fetta del Paese. Tanti gli oggetti-simbolo sparsi durante la rappresentazione, emblemi di riti e tradizioni, consuetudini e radici: le chiavi e il rito contro il malocchio, le scarpe e la loro rappresentazione di classe, i barattoli di vetro, riassunto della pratica tipica lucana legata alla conserva dei pomodori, specchio dell’attaccamento alle radici. Impeccabile la regia e l’interpretazione di Terry Paternoster e dell’intera compagnia e coinvolgenti i giochi di luce realizzati da Giuseppe Pesce. La giovane e sperimentale realtà del Collettivo Internoenki ha conquistato con questo spettacolo il Premio Scenario per Ustica 2013, testimonianza che un teatro partecipe alle dinamiche contemporanee e in grado di tradurre dissenso e frustrazione è possibile. Elisabetta Severino 18 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 Aprile 2014 IL DISCORSO M.E.D.E.A. Big Oil chiude la stagione di Teatro Contatto Scritto da: Maria Teresa Ruotolo 14 aprile 2014 in SLIDER, Teatro, Udine e provincia E’ calato il sipario sulla stagione 32 di Teatro Contatto che, per il suo “ultimo atto” ha portato in scena M.E.D.E.A Big Oil, la pièce del collettivo Internoenki vincitrice del Premio Ustica 2013. In linea con tutto il percorso “Differenze” anche questo è uno spettacolo di denuncia, la storia di una terra e della sua gente tradite dalla speranza di sviluppo e progresso. Un’altra storia italiana da raccontare, una storia di speranze disilluse e di forti contraddizioni. M.E.D.E.A Big Oil parla della Basilicata, regione tra terra e mare, la cui storia “inizia con il sole e finisce con il cane a sei zampe”. Non a caso, M.E.D.E.A è il nome di un master organizzato dall’Eni. Perchè quella terra è ricca di petrolio ma le estrazioni la hanno lasciata la regione più povera d’Italia. Una speranza di lavoro e di sviluppo fallita, l’unico risultato tangibile è la rottura dell’equilibrio della natura che si ribella perchè violata e devastata e le conseguenti morti per malattie incurabili. Così come nell’opera di Euripide Medea si oppone al tradimento di Giasone che si è invaghito di Creusa uccidendo i figli, qui l’innamoramento è per il successo econimico per lo sviluppo ed è la terra che uccide i suoi figli. Tutto questo va in scena nel buio, nel nero, solo a tratti un fascio di luce rischiara gli attori. Fascio di luce talvolta rosso come il sangue come il pomodoro “pummo’duro” di cui la regione è ricca. Canti popolari, invocazioni e lamenti tipici delle regioni del sud sono scanditi dal tamburello, memoria e denuncia (la regista e attice sulla scena Terry Paternoster è lucana) si compenetrano in questa “opera teatrale buffonesca in sette deliri e ventuno quadri” molto intensa. Fanno da corollario le voci del gruppo che mormora, che parla senza trovare soluzioni, che si vende senza guardare oltre, senza opporsi, senza capacità critica. Spettacolo intenso come lo è stata tutta la stagione di Teatro Contatto. (Maria Teresa Ruotolo) 19 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 DIREGIOVANI.IT La tragedia di Medea rivive in Basilicata grazie a InternoEnki 16 aprile 2014 Petrolio, promesse infrante, miseria. Sembrano parole che possano convivere soltanto in posti dove la povertà è un'eterna costante, alimentata dagli enormi profitti dell'estrazione petrolifera che finiscono soltanto nelle tasche delle multinazionali. La popolazione, invece, resta a guardare mentre la propria terra muore. Succede anche in Italia, dove si regala ricchezza per ricevere miseria. Lo spettacolo M.E.D.E.A. BIG OIL (vincitore del Premio Scenario per Ustica 2013), andato in scena sabato 12 al Teatro Palamostre di Udine, parla proprio di questo, attraverso l'antico mito greco di Medea dove l'amore, non corrisposto, per lo straniero uccide sé stessi e i propri figli. Un parallelismo apparentemente lontano nel tempo, ma che la regista Terry Paternoster è riuscita a creare con straordinario successo, grazie soprattutto all'eccezionale collettivo InternoEnki. Sullo sfondo della Basilicata povera e contadina, una famiglia trova la propria via di salvezza nelle compagnie petrolifere che faranno di questa regione il “Texas d'Europa”. Come Medea è la donna lucana che si getta tra le braccia di Giasone-Big Oil, lo straniero che promette futuro e benessere. Ben presto si capisce che c'è qualcosa che non quadra, l'orto non da più frutti e l'acqua è diventata nera. Ma l'ingegnere dell'azienda petrolifera assicura tutti, non ci sono pericoli ma solo progresso, e distribuisce buoni benzina come se fossero ostie in chiesa. È solo il figlio “scemo” a capire ciò che sta succedendo, puntando il dito contro chi sta rendendo la Val d'Agri un deserto per colpa delle trivellazioni. Nessuno gli crede, fino a quando sarà palese il dramma che si sta consumando. La madre terra è tradita dalla stoltezza umana e come Medea uccide i suoi figli, diventando arida e incoltivabile. I tumori diventano epidemie che mettono in ginocchio la Basilicata, mentre le grandi aziende continuano a devastare il territorio. I politici non fanno niente, marionette in mano ai consigli di amministrazione delle multinazionali. Triste racconto della nostra realtà. Con l'energia del collettivo InternoEnki si conclude la trentaduesima stagione teatrale “Differenze” di Teatrocontatto del Css Teatro stabile di innovazione del FVG , dopo mesi di spettacoli emozionanti e di altissimo livello. Una panoramica trasversale che ha portato a Udine artisti di grande fama, raccontando storie che oltrepassano il limite tra palco e realtà per arrivare dritte al cuore dello spettatore. Non resta altro che aspettare l'inizio della prossima stagione, con la sicurezza che sarà ancor una volta un viaggio indimenticabile. (Timothy Dissegna) IV SU Liceo Scienze Umane “Uccellis” Udine 20 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 21 RASSEGNA STAMPA (luglio 2013 – marzo 2014) M.E.D.E.A. BIG OIL PREMIO SCENARIO PER USTICA 2013 MESSAGGERO VENETO Basilicata, il sogno e la devastazione del petrolio “M.E.D.E.A. Big Oil” al Palamostre: una bella prova del giovane collettivo Internoenki di Mario Brandolin UDINE. M.E.D.E.A., ovvero unmaster, targato Eni – il gigante petrolifero italiano – in Management ed Economia dell’Energia e dell’Ambiente: un contrapasso ironico e amaro, a fronte delle devastazioni ambientali, umane e sociali che l’Eni ha prodotto in quel di Basilicata. A raccontarle e denunciarle, uno spettacolo,M.E.D.E.A. Big Oil, di un giovane collettivo teatrale italiano, Internoenki, capitanato da Terry Paternoster, che dello spettacolo, l’altra sera al Palamostre di Udine, è autrice, regista e interprete. Una riproposizione, oggi, in quel contesto degradato e umiliato, del mito tragico della maga della Colchide, tradita dal greco Giasone e per questo matricida folle e dannata. Qui, a perdere i suoi figli, è una donna di Basilicata, a tradirla il potente ente petrolifero che con i suoi sogni di benessere e sviluppo, legati all’impianto petrolifero della Val d’Agri, ha inquinato la regione, portando morte e disperazione tra i suoi abitanti. Lo spettacolo, una sorta di corale popolare e sacra rappresentazione laica, si sviluppa senza soluzione di continuità in una serie di quadri, a dire uno spaccato etnico e sociale stritolato tra le maglie drammatiche di una condizione contadina di miseria atavica e la morte portata dalla modernità, dalle sue fascinazioni e promesse. Assistiamo così ad alcune ritualità dal sapore antico, come la preparazione della salsa di pomodoro, la festa del patrono, le nozze, il ritorno degli emigranti, la processione della Madonna, e l’arrivo, accolto come un benefattore, della multinazionale del petrolio con il miraggio di un riscatto che invece si tradurrà in desolazione e morte. Nove generosi interpreti – un coro a dire di un popolo vittima e carnefice di se stesso a un tempo – e una Medea pronta a tutto pur di vedere sistemati i figli salvo poi straziarsi nella consapevolezza degli inganni e dei soprusi subiti. Una drammaturgia molto allusiva. Una lingua, il lucano, altrettanto allusivo e carico di un’epressività secolare e movimenti in forma di corografie ispirate alla tradizione folclorica, come il bel tessuto musicale. Ecco gli ingredienti assai accattivanti e coinvolgenti di uno spettacolo, che pur nella sua dichiarata intenzionalità di denuncia, non è mai piattamente didascalico, ma è forte di un’energia contagiosa e di belle suggestioni spettacolari. Lunghi e meritati gli applausi del pubblico, ahimè, però, piuttosto scarso alla serata che chiude la 32ª stagione di Teatro Contatto. (Mario Brandolin) 22