Modelli emergenti per l`analisi del comportamento d`acquisto:

Un modello dinamico di customer loyalty
Michele Costabilea
a
Dipartimento di Organizzazione Aziendale, Università della Calabria - Campus di
Arcavacata (Cosenza)
Area Marketing, Scuola di Direzione Aziendale (SDA) - Università Bocconi (Milano)
[email protected]
Michele Costabile
1. Introduzioneb
Contestualmente all'evoluzione degli stati concorrenziali, che in un
numero sempre maggiore di mercati vanno assumendo i caratteri
dell'ipercompetizione (D'Aveni, 1994; Valdani, 1995 e 1997;
Ancarani, 1999), è significativamente aumentata l'attenzione che le
imprese dedicano al comportamento dei propri clienti, con
l'obiettivo di sviluppare e consolidare le relazioni di mercato.
L'accresciuto interesse verso le interazioni fra domanda e offerta
è stato spiegato ricorrendo all'evidenza della crescente complessità
tecnologica, concorrenziale e relazionale (Busacca, 1994; Busacca,
Grandinetti e Troilo, 1999). L'evoluzione delle forme di
concorrenza, la progressiva saturazione di molti mercati, e le
strutturali modificazioni dei processi di scambio, in parte indotte
dall'emergere dell'economia digitale1, infatti, stanno obbligando le
b
Alcune argomentazioni contenute nel presente paper sono scaturite dai proficui
confronti avuti con alcuni colleghi dell'Area Marketing, in particolare con Giuseppe
Bertoli, Bruno Busacca, Sandro Castaldo e Gabriele Troilo. A loro devo, quindi, uno
speciale ringraziamento. La responsabilità dei contenuti finali del lavoro, tuttavia,
rimane, in esclusiva, dell’autore.
1
Oltre ai noti fenomeni evolutivi che investono i consumi e il comportamento dei
consumatori (Fiocca, 1990; Busacca, 1994; Fabris, 1995; Busacca, Grandinetti e Troilo,
1999) deve essere rilevato un ulteriore, recente, elemento di complessificazione delle
relazioni di mercato, evidente soprattutto nei cosiddetti business internet-based e
internet-related. Fra le principali caratteristiche della relazione con i clienti in tali
business, infatti, vi è l'"infedeltà a portata di mouse" (brand switching is a click away,
nella versione originale), connessa al tendenziale annullamento di alcune categorie
"strutturali" dei costi di transazione. Ciò rende molto più problematico per l'impresa
erigere barriere all'uscita dalla relazione - seppure temporanee - dopo averla avviata, e
magari dopo aver sostenuto rilevanti costi di avviamento e ingenti investimenti per il
cosiddetto "lock in" (Shapiro e Varian, 1999). Gli stessi operatori, tuttavia, evidenziano
che proprio a ragione delle specificità dell'economia digitale, le imprese che sono in
grado di sviluppare solide relazioni con i loro clienti producono un valore-potenzialità
molto elevato, derivante dalle opzioni di cross-selling - sviluppo commerciale con la
medesima base di clienti - e da quelle di apprendimento e innovazione - e quindi anche
di sviluppo della base-clienti - che nei mercati virtuali risulterebbero più semplici da
esercitare e, quindi, più frequenti. Al riguardo, deve essere evidenziato che è proprio
l'elevato valore delle opzioni, di crescita commerciale (per ampliamento del numero
delle relazioni e/o della loro portata) e di continua innovazione, una delle principali
ragioni per cui le aziende che operano in tali business godono di capitalizzazioni di
borsa non spiegate dal convenzionale sistema dei valori economico-aziendali. Per
alcune di loro, infatti, il valore di mercato è fondato sul numero di clienti in portafoglio,
2
Un modello dinamico di customer loyalty
imprese ad adottare una prospettiva di prioritario orientamento allo
sviluppo e al consolidamento della relazione con i clienti,
recentemente definita da Valdani e Busacca (1999) customer-based
view.
A partire dai primi anni ottanta, peraltro, anche le ricerche
accademiche sulla domanda hanno riguardato, con frequenza
crescente, le fasi del comportamento d'acquisto successive alle
iniziali manifestazioni di preferenza verso una marca o un'insegna,
concentrandosi, seppure con differenti approcci, sui fenomeni che
definiscono lo stato e la dinamica delle relazioni fra impresa e
cliente - postconsumption research (Oliver, 1997) -.2
Parallelamente all'ormai consolidato filone di studi sul consumer
behavior - sempre più ricco di contributi interdisciplinari - si sta
quindi sviluppando un nuovo insieme di modelli specificamente
riferibili al comportamento d'acquisto dei clienti, volti cioè a
descrivere e interpretare il customer buying behavior.
La consapevolezza che la "Teoria del Consumatore" e i modelli
sul comportamento della domanda non avessero adeguatamente
approfondito i fenomeni conseguenti alla decisione d'acquisto è
stata segnalata da diversi studiosi (Day e Wensley, 1983; Gronroos,
1994a e 1994b). Tutta la manualistica sul comportamento
d'acquisto3 riserva una marginale attenzione al processo valutativo
post-acquisto. E solo in tempi relativamente recenti, alcuni autori,
da sempre impegnati nello studio del comportamento della
domanda, hanno evidenziato che l'estensione delle ricerche
all'interazione prodotto-consumatore successiva all'acquisto è da
considerarsi fondamentale, per generare nuova conoscenza su
per ciascuno dei quali viene riconosciuto all'impresa un valore che oscilla dai 5 ai 10
milioni di lire.
2
Sulla base di alcune stime riportate da Oliver (1999), nel corso degli anni novanta il
budget destinato a ricerche sui clienti (customer satisfaction, ecc.) ha superato
ampiamente il 30% del totale investito dalle imprese in ricerche di marketing. In
sostanza, la rilevanza delle relazioni con i clienti emersa nei contesti ipercompetitivi ha
interessato la comunità accademica, che ha sviluppato il nuovo filone delle postconsumption research, ed ha avuto evidenti ricadute negli investimenti in ricerche di
marketing delle imprese.
3
Al riguardo, si vedano i classici di Howard (1963), Nicosia (1966), Engel, Kollat e
Blackwell (1968), e Howard e Sheth (1969), fino alle più recenti edizioni dei volumi di
Assael (1995), e di Peter e Olson (1996), comprendendo anche le numerose riedizioni
dei classici.
3
Michele Costabile
costrutti di importanza critica quali la customer satisfaction e la
customer loyalty (Tse, Nicosia e Wilton, 1990).
Nei modelli più consolidati di analisi della domanda, quindi, non
vengono approfondite le complesse dinamiche del comportamento
d'acquisto del cliente, nel corso del ciclo di vita della sua relazione
con l'impresa, ma ci si limita a descrivere il sistema valutativo postacquisto come l'insieme delle percezioni da cui ha origine il flusso
di retroazione sul sistema motivante e su quello percettivo,
interpretando il processo di feedback esclusivamente sulla base del
costrutto "soddisfazione/insoddisfazione" per l'esperienza d'uso del
prodotto (Busacca, 1990 e 1994; Costabile, 1996a). Le carenze di
modelli teorici condivisi, peraltro già evidenziate da Iacobucci et al.
(1992), permangono, nonostante i primi consistenti sforzi di
indagine sulle determinanti della customer satisfaction e del
comportamento post-acquisto risalgano alla seconda metà degli
anni settanta (Hunt, 1977; Oliver, 1977; Olson e Dover, 1979); e
nonostante le numerose sperimentazioni e le diverse applicazioni
manageriali registrate a partire dai primi anni ottanta e proseguite
poi per tutto il decennio successivo4.
Alla luce di tali considerazioni, il presente lavoro ha l'obiettivo
di proporre un modello che sintetizzi concettualmente alcuni dei
principali risultati conseguiti nell'ambito delle ricerche e delle
sperimentazioni sul sistema delle valutazioni post-acquisto e sul
comportamento dei clienti, facendo in prevalenza riferimento a due
filoni di studio: quelli sulla customer satisfaction e quelli sul
marketing relazionale.
Il primo ha avuto origine proprio dall'esigenza di approfondire la
comprensione dei processi valutativi post-acquisto. Gli esperimenti
volti a verificare le determinanti e le conseguenze della
soddisfazione del consumatore, nonché il legame fra soddisfazione
e comportamenti di riacquisto, hanno riguardato diversi ambiti
settoriali e variegati contesti di consumo, pervenendo a risultati non
sempre convergenti, ma in definitiva interpretabili alla luce della
comparazione fra aspettative e percezioni di performance. Le
dinamiche che caratterizzano tale processo di comparazione sono
4
Al riguardo si vedano: Oliver, 1980 e 1981; Churchill e Suprenant, 1982; Tse e
Wilton, 1988; Valdani e Busacca, 1992; Valdani, Busacca e Costabile, 1994; Costabile
1996a e 1998; Fournier e Mick, 1999.
4
Un modello dinamico di customer loyalty
descritte dal cosiddetto "paradigma della conferma/disconferma
della aspettative" (Cardozo, 1965; Oliver, 1980; Iacobucciet al.,
1992; Costabile, 1996a e 1998; Oliver, 1997; Fournier e Mick,
1999). Analogamente, gli studi sul marketing relazionale, e le
ricerche volte a comprendere le dimensioni cognitive, emotive e
comportamentali che definiscono il concetto di "relazione", e
conseguentemente l'essenza paradigmatica del marketing
relazionale, sono stati numerosi e decisamente pervasivi, partendo
dagli scambi fra imprese industriali, ed estendendosi poi alle
relazioni distributive, ai servizi e ai beni di consumo5.
I due filoni di ricerca hanno in realtà concentrato la loro
attenzione sul medesimo processo - lo sviluppo delle relazioni di
mercato - seppure partendo dai due estremi opposti: lo studio delle
percezioni di soddisfazione, interpretabili quali primo stadio di tale
processo, e quello delle relazioni collaborative di lungo periodo,
ritenute il traguardo verso il quale tutte le relazioni di mercato
dell'impresa dovrebbero idealmente tendere.
Gli studi sulla customer satisfaction, infatti, sono stati sviluppati
nell'ambito della ricerca sul consumatore, con l'obiettivo di
indagare le conseguenze, cognitive, emotive e comportamentali
della scelta d'acquisto. Tali studi hanno esaminato le determinanti
della percezione di soddisfazione e le sue conseguenze, talvolta
validando, altre volte falsificando - ma solo in parte - il paradigma
della conferma/disconferma delle aspettative. E' ormai ampiamente
condiviso, tuttavia, che la customer satisfaction sia il fondamentale
antecedente della fiducia e della fedeltà, e pertanto all'origine di
tutte le forme di relazione e di valore dell'impresa (Costabile,
1996b e 1998).
Gli studi sul marketing relazionale, invece, si sono concentrati
sull'evidenza del contenuto prevalentemente sociale di alcune
relazioni di mercato, ritenendo inadeguato il paradigma del
marketing mix quale modello interpretativo degli scambi ripetuti
nel tempo, e tentando di identificare i costrutti cognitivi e
comportamentali ad essi sottostanti, al fine di isolarne le
5
Sul tema si vedano: Hakanson e Osteberg, 1975; Anderson e Narus, 1984; Swan,
Trawick e Silva, 1985; Ford, 1990; Andaleeb, 1992; Moorman, Zaltman e Dehpandè,
1992; Ferrero, 1992; Marcati, 1992; Morgan e Hunt, 1994; Gronroos, 1994b; Castaldo,
1994; Gurviez, 1996; Manaresi, 1999; Grayson e Ambler, 1999.
5
Michele Costabile
fondamentali determinanti (Hakansson, Johanson e Wootz, 1976;
Dwyer, Schurr e Oh, 1987; Morgan e Hunt, 1994; Ganesan, 1994).
Analizzando le conseguenze della customer satisfaction,
successive ai processi di scambio, e gli antecedenti della solidità
delle relazioni longeve e collaborative, entrambi i filoni di studio
hanno sviluppato ricerche originali proprio sul comportamento
d'acquisto dei clienti. E in particolare, sul legame fra soddisfazione,
fiducia e fedeltà, nell'ambito delle ricerche sulla customer
satisfaction; sulla fiducia, sulla fedeltà e sulla natura delle relazioni
collaborative fra acquirente e venditore, nell'ambito del marketing
relazionale.
Alla luce dell'attenzione che il mondo accademico e quello
manageriale stanno dedicando al tema delle relazioni con i clienti, il
presente paper intende proporre un modello di analisi delle
relazioni di mercato che descrive il processo di sviluppo della
customer loyalty, considerandola il punto di arrivo di un continuum
di percezioni, atteggiamenti, convinzioni e comportamenti che
caratterizza il ciclo di vita delle relazioni fra il cliente e l'impresa.
Esaminando congiuntamente l'imponente mole di studi empirici e
di sperimentazioni che i filoni di studio sopra citati hanno prodotto,
in diversi ambiti settoriali e in differenti contesti di mercato, è
possibile, infatti, identificare un continuum relazionale (figura 1),
vale a dire un insieme di condizioni intermedie che possono
caratterizzare il rapporto fra l'impresa e il cliente nel tempo: dalla
customer satisfaction alla customer loyalty.
I principali costrutti emersi dallo studio delle conseguenze della
soddisfazione del cliente e degli antecedenti delle relazioni
collaborative di lungo periodo sono: la soddisfazione; la fiducia; la
fedeltà comportamentale (la ripetizione d'acquisto); la fedeltà
mentale; la customer loyalty e la partnership collaborativa; anche se
la maggior parte degli studi sul continuum relazionale hanno
riguardato soddisfazione, fiducia6 e cooperazione.
6
In realtà, le ricerche sulla fiducia e sulle relazioni sono state oggetto di numerosi altri
filoni di studio, multidisciplinari. Fra gli altri: quello sulla teoria dei giochi e sulla
cooperazione (Axelrod, 1984; Gambetta, 1988); quelli sulla psicologia della personalità
e sulla psicologia sociale (Lewin, 1936; Thibaut e Kelley, 1959; Tuckman, 1965;
Rotter, 1967; Cialdini, 1984); quello sociologico sulla teoria dei network sociali (Levine
e White, 1961; Rotter, 1971; Boissevain e Mitchell, 1973; Granovetter, 1985; Bourdieu,
1986; Burt, 1992); quelli sulle relazioni organizzative - inter e intra (Thorelli, 1986;
6
Un modello dinamico di customer loyalty
Figura 1 - Il continuum relazionale
SODDISFAZIONE
FIDUCIA
FEDELTÀ COMPORTAMENTALE
FEDELTÀ MENTALE
LEALTÀ
Nel seguito del paper verranno esplicitati i passaggi logici e le
evidenze empiriche sottostanti alla formulazione del modello sul
"comportamento d'acquisto del cliente". Si tratta di un modello
dinamico, fondato sulla natura evolutiva della customer loyalty e,
più in generale, sull'esame delle differenti forme di "legame" che
l'impresa può sviluppare con i propri clienti, nel corso del ciclo di
vita della relazione.
Il paper è articolato in quattro parti, corrispondenti ad altrettanti
paragrafi. Il primo contiene una rassegna dei principali contributi
allo studio dei costrutti, delle determinanti, delle conseguenze e
delle variabili intervenienti nella definizione del comportamento
d'acquisto dei clienti. Il secondo descrive il modello di sviluppo
della customer loyalty, facendo riferimento ad alcune ipotesi sul
ciclo di vita della relazione, sulla sequenza dei comportamenti
d'acquisto dei clienti (customer buying behavior), e sui costrutti che
consentono il consolidamento delle relazioni. Il terzo paragrafo
Ford, 1990; Grandinetti, 1993; Zaheer e Venkatraman, 1995; Cummings e Bromiley,
1996; Lomi, 1997; Soda, 1998; Zaheer, McEvily e Perrone, 1998; Nahapiet e Goshal,
1998; Perrone e Chiacchierini, 1999) -; quello sui rapporti industria-distribuzione
(Anderson e Narus, 1990; Andaleeb, 1992; Castaldo, 1994); e altri ancora. Per
un'esaustiva rassegna sui diversi contributi allo studio della fiducia si veda Castaldo,
1995; per una rassegna della letteratura di marketing specificamente riferita alla
operazionalizzazione del costrutto fiducia e alla sua misurazione si veda Raimondo,
1999.
7
Michele Costabile
affronta il problema delle variabili che intervengono nel processo di
sviluppo della customer loyalty, evidenziando le condizioni che
limitano la generalizzazione del modello precedentemente descritto,
producendo inversioni nei percorsi evolutivi delle relazioni, non
invalidandone tuttavia la validità. Il quarto paragrafo, infine, tenta
di evidenziare alcune fondamentali categorie di implicazioni
manageriali, nella prospettiva della gestione di un portafoglio di
relazioni, finalizzato a sviluppare gradi di consolidamento coerenti
con il differente valore dei clienti, e quindi con il loro profilo e con
il loro posizionamento sul continuum relazionale.
Il lavoro ha natura duplice: rassegna e sistematizzazione di
alcuni importanti studi sul comportamento del cliente, ma anche
positional paper. La rassegna della letteratura, infatti, è finalizzata
a proporre un modello dinamico di customer loyalty, da utilizzare
quale base per la formulazione di proposizioni di ricerca, da
formalizzare e tradurre in ipotesi empiricamente verificabili. Da tali
proposizioni, ancora in massima parte implicite nel paper, infatti, si
potrà muovere per realizzare indagini e sperimentazioni, volte a
operazionalizzare i costrutti identificati, misurare i fenomeni
descritti e quindi validare, ovvero falsificare, il modello di
comportamento d'acquisto del cliente che viene descritto.
2. Gli studi sul processo d'acquisto e sul comportamento dei
clienti: il customer buying behavior
Come accennato nell'introduzione, l'approfondimento analitico del
processo di sviluppo delle relazioni con i clienti, e quindi l'esame
del comportamento adottato successivamente al primo acquisto,
riceve sia l'attenzione degli studiosi di consumer behavior, che
hanno approfondito l'esame dei processi di customer satisfaction,
sia quella dei ricercatori che si riconoscono nel filone del marketing
relazionale.7
7
E' opportuno evidenziare che gli studi sul marketing relazionale hanno adottato quale
unità di indagine la "relazione" latu sensu definita. La gran parte dei lavori, concettuali
ed empirici, prodotti da questo filone di studi, infatti, ha preso in esame le reti di
relazioni fra imprese e la loro influenza sugli scambi di mercato, a partire dai beni
industriali, ampliando progressivamente lo spettro di analisi a tutti i mercati business to
business (Ferrero, 1992; Marcati, 1992; Grandinetti, 1993). La prospettiva di analisi,
8
Un modello dinamico di customer loyalty
L'attenzione dei primi è stata originariamente motivata dalla
consapevolezza del carente approfondimento analitico dei fenomeni
che caratterizzano il comportamento della domanda una volta
esercitata la preferenza verso la marca o l'insegna (Ford, 1980; Day
e Wensley, 1983; Dwyer, Schurr e Oh, 1987; Gronroos, 1994a e
1994b; Webster 1994a e 1994b). L'interesse dei secondi, invece, ha
avuto origine dall'evidenza del contenuto "sociale" di alcuni
processi di scambio, principalmente quelli ripetuti nel tempo
(Hakanson e Wootz, 1979; Gummeson, 1987), non interpretabili
con le tradizionali categorie proposte dal paradigma del marketing
mix (Andaleeb, 1992; Ganesan , 1994; Gronorros, 1994b).8
In entrambi i casi l'oggetto di studio è riconducibile al
comportamento caratterizzante il processo di scelta del cliente che,
ripetendo l'acquisto da una medesima impresa nel tempo, configura
una relazione diadica, fra il medesimo cliente e l'impresa. Gli studi
sulla customer satisfaction hanno esaminato i primi passi della
relazione, quelli sul marketing relazionale sono partiti, invece,
dall'esito ultimo delle relazioni consolidate, per le quali il contenuto
economico dello scambio appariva secondario - talvolta addirittura
ancillare - rispetto a quello sociale (Granovetter, 1985; Dwyer,
Schurr e Oh, 1987; Andaleeb, 1992; Morgan e Hunt, 1994;
Ganesan, 1994).
E' opportuno, pertanto, a fini di rassegna, esaminare
separatamente i principali contributi che i due filoni di studio hanno
fornito alla comprensione del processo d'acquisto dei clienti e del
ciclo di vita delle relazioni, tentando di isolare i costrutti e le
variabili che consentono di identificare un modello di
comportamento del cliente.
pertanto, è stata talvolta quella della diade "acquirente-venditore" (unità elementare
d'indagine) talvolta quella del network di relazioni attivate da acquirenti e venditori;
altre volte, infine, è stata presa in esame la dinamica della relazione che alterna scambi
all'interno di una diade con valutazioni e comparazioni, ed eventuali processi di
scambio, che coinvolgono un più o meno ampio network di relazioni (Iacobucci e
Zerrillo, 1997; Tunisini, 1999).
8
Alcuni autori (Troilo, 1993; Castaldo, 1995; Iacobucci e Zerrillo, 1997) fanno risalire
ai contributi di Kotler e Levy (1969) e a quelli di Bagozzi (1974 e 1975) le prime
riflessioni concernenti la revisione del concetto di scambio basato sulle sole dimensioni
economiche della transazione. E' alla fine degli anni sessanta, quindi, che avrebbe avuto
inizio l'ampliamento della portata esplicativa dei paradigmi di marketing nella direzione
della concettualizzazione dello scambio e della relazione - non solo economica - di
mercato.
9
Michele Costabile
Il contributo delle ricerche sulla customer satisfaction
Le ricerche in esame trovano il loro fondamento teorico negli studi
sulla psicologia della personalità condotti da Hoppe (1930) e da
Lewin (1936) nella prima metà del XX secolo. Indagando il
costrutto "autostima/autofiducia" e le sue determinanti, tali studiosi
hanno di fatto posto le basi concettuali e metodologiche per lo
sviluppo del cosiddetto paradigma della "conferma/disconferma
delle aspettative".9
Ciò che rileva in questo "ritorno alle origini" non è tanto
l'evidenza della natura relativa e sottrattiva del costrutto percettivo
soddisfazione (performance-aspettative = soddisfazione) quanto la
sua stretta connessione al fenomeno dell'autostima. E' mediante la
traslazione del contesto di sperimentazione, dalla psciologia della
personalità alle relazioni interpersonali, e quindi alla psicologia
sociale, che si coglie l'essenza della connessione causale fra la
soddisfazione e la fiducia, verso gli individui o verso le
organizzazioni (Bitner, 1995; Costabile, 1996a).10
9
La relazione fra fiducia e auto-fiducia - o autostima, come viene correntemente
denominata negli studi di psicologia sociale - al di là delle differenze di prospettiva
(atteggiamento verso sé stessi piuttosto che verso altri), non sembra essere riconducibile
alla sola comunanza del costrutto "fiducia". E' intuibile, infatti, che ripetute esperienze
di conferma delle aspettative (fiducia) accrescano di fatto la certezza che gli individui
acquisiscono riguardo alla propria capacità di valutazione e scelta delle alternative
d'offerta, e quindi la percezione di autoefficacia, intesa quale fiducia nella propria
capacità di assumere decisioni che poi producano gli esiti desiderati (Bandura, 1982 e
1986). Tale relazione, studiata sia nell'ambito della psicologia della personalità che della
psicologia sociale, potrebbe spiegare alcuni processi di autogratificazione generati dalla
customer satisfaction. In sostanza, la conferma delle aspettative e la conseguente fiducia
nei confronti di un'impresa potrebbe per alcuni clienti costituire un valore in sé, proprio
in quanto mezzo per accrescere il senso di autoefficacia, e per questa via la propria
autostima.
10
E' opportuno al riguardo rilevare che sovente la fiducia è stata definita quale
"convinzione" o belief (credenza). In effetti, però, rispettando la definizione
unidimensionale del costrutto fiducia - che ancora oggi appare essere l'unica ad aver
superato tutti i numerosi tentativi di falsificazione, condotti mediante proposizione,
operazionalizzazione e verifica di definizioni alternative (Castaldo, 1995; Blois, 1999;
Raimondo, 1999) - più che di convinzione sembrerebbe trattarsi di un atteggiamento,
definito quale predisposizione appresa - e quindi risultato dell'esperienza - a rispondere
in una dato modo verso un determinato oggetto (Fishbein e Ajzen, 1975). La fiducia,
infatti, sarebbe un pregiudizio, generato da una sequenza di conferme o disconferme
delle attese di comportamento (di performance) che in forma di estrema razionalità si
10
Un modello dinamico di customer loyalty
Negli studi di marketing, le prime concettualizzazioni sul tema
(Cardozo, 1965; Hunt, 1977; Oliver, 1977 e 1980; Olson e Dover,
1979) sono avvenute senza riferimenti espliciti alle sperimentazioni
della Scuola di Lewin, e quindi concentrando le ricerche sulle
determinanti della soddisfazione. Alla prima ondata di studi
pionieristici, è seguito un variegato filone di sperimentazioni, che
hanno
tentato
di
falsificare
il
paradigma
della
conferma/disconferma (di fatto basato sulla "teoria della
discrepanza" elaborata dalla psicologia sociale), producendo
interessanti evidenze in ordine alle variabili intervenienti sulla
capacità esplicativa del paradigma, soprattutto in alcune condizioni
di svolgimento del processo di scambio (Yi, 1990; Costabile 1996a
1998; Oliver, 1997; Fournier e Mick, 1999).11
In realtà, sia le rassegne più ampie e approfondite sia i contributi
più recenti non sembrano proporre valide costruzioni concettuali
alternative al paradigma della conferma/disconferma. Nel
contempo, numerose sperimentazioni hanno rilevato che la
principale determinante della fiducia è proprio la soddisfazione
cumulata nel tempo, in seguito a transazioni di mercato il cui esito
conferma le aspettative di performance maturate dal cliente.12
Parallelamente alle suddette sperimentazioni, a partire dalla
seconda metà degli anni ottanta sono stati sviluppati alcuni
concretizza in una probabilità assegnata al verificarsi di un dato comportamento (una
performance) di una definita controparte (un'impresa). La convinzione, invece,
implicherebbe certezza, non sempre fondata su valutazioni del tutto razionali (fede
ovvero "confidenza"). Al riguardo sono di estremo interesse le distinzioni fra fede,
fiducia e "confidare", proposte da Hart (1989) e Luhman (1989), e succesivamente
riprese da Castaldo (1995) in un'ampia rassegna di studi sulla fiducia nelle relazioni di
mercato. Una distinzione alternativa fra atteggiamento e convinzione è suggerita da
Oliver (1997), secondo il quale la convinzione esprime una condizione informativa
propria della sfera cognitiva - e quindi ad esempio la probabilità, razionalmente
assegnata, di ottenere una data performance -, mentre l'atteggiamento è riconducibile sia
alla sfera cognitiva che a quella emotiva - ad esempio il pregiudizio quale determinante
ultima dei comportamenti di scelta.
11
Un esplicito collegamento alla teoria della discrepanza e alle ricerche della Scuola di
Lewin avrebbe, probabilmente, consentito di assumere sin dall'inizio una prospettiva
"relazionale", ricomprendendo nelle ricerche sulla customer satisfaction il tema della
fiducia nelle relazioni di mercato, e quindi ponendo in evidenza il processo evolutivo
delle interazioni fra cliente e impresa.
12
Al riguardo si vedano: Oliver, 1980 e 1981; Churchill e Suprenant, 1982; Tse e
Wilson, 1988; Iacobucci, Grayson e Omsotrn, 1992; Oliver, 1997; Costabile 1996a e
1998; Fournier e Mick, 1999.
11
Michele Costabile
importanti modelli manageriali (Parasuraman, Zeithaml e Berry,
1988; Valdani e Busacca, 1992) che hanno ulteriormente
legittimato il risultato delle ricerche sulla customer satisfaction,
sostenendo concettualmente e pragmaticamente l'orientamento delle
imprese al consolidamento delle relazioni con i propri clienti.
Le evoluzioni più recenti degli studi sulla customer satisfaction,
infine, hanno indagato le componenti emotive (Westbrook, 1987;
Oliver, 1997; Fournier e Mick, 1999) della soddisfazione e
l'evoluzione del costrutto nel tempo, tentando di comprendere le
molteplici variabili che intervengono fra la percezione di
soddisfazione e la scelta di riacquisto di una marca o di un insieme
di marche (Oliver, 1999).
In estrema sintesi, dunque, è possibile sostenere che circa tre
decenni di ricerche sulla customer satisfaction hanno dimostrato la
connessione causale fra soddisfazione e fiducia, nonché la loro
influenza sulle decisioni di riacquisto e quindi sulla fedeltà; anche
se il nesso "soddisfazione-fiducia-fedeltà" non sempre è risultato
verificabile a ragione di molteplici variabili di intervento sulle
condizioni strutturali del processo di scambio e delle relazioni
(Jones e Sasser Jr., 1995; Oliver, 1999), per cui ad apparenti elevati
livelli di soddisfazione può non seguire un comportamento
caratterizzato da elevata fedeltà.
Il contributo degli studi di marketing relazionale
Le determinanti delle relazioni collaborative di lungo periodo sono
state oggetto di studio elettivo del marketing relazionale, seppure
anche in questo caso sia possibile individuare matrici teoriche
multidisciplinari. Sia in fase di identificazione dei costrutti sia nella
definizione delle metodologie di operazionalizzazione e di
misurazione, infatti, lo studio delle relazioni di mercato è stato
influenzato dai modelli sulle relazioni interpersonali e sulle
dinamiche di gruppo (Thibaut e Kelley, 1959), dagli studi di
sociologia economica (Granovetter, 1985) e da quelli sui network
sociali (Boissevain e Mitchell, 1973; Burt e Minor, 1982; Burt,
1992).
A partire dalle evidenze empiriche riscontrate nei mercati
business to business, alcuni autori nordeuropei, sin dai primi anni
12
Un modello dinamico di customer loyalty
settanta, hanno iniziato a indagare i caratteri dei processi di
scambio ripetuti nel tempo e fondati su relazioni sociali, diadiche e
di network, che favoriscono comportamenti cooperativi e di vera e
propria partnership fra venditori e acquirenti.13
Le relazioni stabili e collaborative fra venditore e acquirente,
latu sensu definite, sono state successivamente oggetto di studio
anche in altri contesti di scambio, e specificamente:
 nei canali distributivi (Stern e Reve, 1980; Schurr e Ozanne,
1985; Anderson e Weitz, 1989; Anderson e Narus, 1990;
Andaleeb, 1992; Castaldo, 1994);
 nei mercati di consumo (Gurviez, 1995; Fletcher e Peters, 1997;
Manaresi, 1999);
 nei servizi (Crosby, Evans e Cowles, 1990; Moorman, Zaltman
e Deshpandé, 1992; Moorman, Deshpandé e Zaltman, 1993;
Grayson e Ambler, 1999).
I principali studi di marketing relazionale, hanno evidenziato il
ruolo centrale della fiducia, a partire da un fondamentale contributo
di Dwyer, Shurr e Oh (1987) che la identificava quale fattore
cruciale per il passaggio da transazioni di mercato discrete a
relazioni di scambio continue. Essa è stata, quindi, considerata una
delle fondamentali determinanti delle relazioni stabili e
collaborative.
La centralità della fiducia nelle relazioni di mercato è
testimoniata dalle numerose ricerche volte a definirne le dimensioni
e operazionalizzarne il costrutto, identificandone antecedenti e
conseguenze (Castaldo, 1995; Blois, 1999).
Della fiducia quale collante delle relazioni di mercato sono state
proposte
diverse
concettualizzazioni,
unidimensionali
e
multidimensionali, rispetto alle quali tuttavia si registrano posizioni
13
Come precedentemente accennato, negli studi di marketing relazionale la relazione di
scambio diadica è stata considerata l'unità d'indagine elementare, considerando che
l'oggetto dello scambio evolve nel corso di sviluppo della relazione e che questa è a sua
volta influenzata dalla rete di relazioni, attuali e potenziali, degli attori della diade.
Sempre nell'ambito di tali studi ci si è dedicati all'analisi delle reti di fornitura,
soprattutto fra imprese industriali (Ferrero, 1992; Marcati, 1992; Tunisini, 1999).
13
Michele Costabile
controverse.14 L'unico elemento sul quale non sembrano esservi
dubbi è relativo alla dimensione cognitiva della fiducia definita
dalla prevedibilità dei comportamenti della controparte, vale a dire
dalla percezione di affidabilità fondata sull'esperienza, e più
specificamente su una sequenza di transazioni/interazioni
caratterizzate dalla conferma della aspettative di performance e di
soddisfazione (Costabile, 1996a; Oliver, 1997).
Oltre alla fiducia, gli studi sul marketing relazionale hanno
messo in evidenza altri costrutti, che caratterizzano le relazioni più
stabili e longeve. Fra gli altri, sono stati oggetto di specifiche
ricerche e sperimentazioni: il commitment, la stabilità, l'interazione,
il potere, l'influenza, la dipendenza, la reciprocità
e la
cooperazione. Quelli che sembrano avere maggiore rilievo, ai fini
dell'analisi del customer buying behavior, sono: il commitment, la
reciprocità e la cooperazione.
14
Gli autori che hanno considerato la fiducia un costrutto multidimensionale sono
numerosi. Fra gli altri, Moorman et al. (1992) ne hanno individuato due dimensioni, una
cognitiva (convinzione di affidabilità) e una comportamentale (intenzione/atto di fidarsi
che conduce a rendersi vulnerabile), anche se Morgan e Hunt (1994) hanno
successivamente considerato la seconda dimensione implicita nella prima, proponendo
di utilizzarla più efficacemente come indicatore della fiducia. Anche Andaleeb (1992)
ha proposto il ricorso a due costrutti, utilizzati però per identificare diversi tipi di
fiducia, strettamente collegati fra loro, e non esplicitamente operazionalizzati come sue
dimensioni: la fiducia viene definita in funzione della capacità e delle motivazioni
percepite nella controparte. Sulla medesima impostazione concettuale, Busacca e
Castaldo (1996) hanno, invece, proposto una definizione tridimensionale del costrutto,
considerando sia la convinzione di affidabilità sia le percezioni in merito alle capacità
che quelle riguardanti le motivazioni non opportunistiche della controparte. E'
opportuno al riguardo osservare che, nella prospettiva del comportamento d'acquisto del
cliente, il costrutto soddisfazione, da cui ha origine la dimensione della fiducia su cui si
registra la convergenza di tutti gli studiosi (l'affidabilità), deriva dal confronto fra le
aspettative di valore e il valore percepito. La formazione delle prime è certamente
influenzata dalla percezione di capacità dell'impresa - con ogni probabilità comparata
con le alternative d'offerta disponibili già in fase di formazione delle aspettative
precedenti l'acquisto - mentre la percezione di valore implica un nuovo giudizio (questa
volta post-acquisto) sulla capacità, ma implica anche una valutazione dell'equità delle
ragioni di scambio, e quindi dalla motivazione (opportunistica o meno) dell'impresa. In
sintesi, è possibile ipotizzare che la dimensione di affidabilità della fiducia, derivante
dalla soddisfazione cumulata nel tempo, racchiuda in sé tutte le altre dimensioni
proposte in letteratura, e che esse siano da considerarsi ora quali determinanti (capacità
e motivazioni) ora quali conseguenze (l'intenzione o l'azione di fidarsi) della fiducia
stessa.
14
Un modello dinamico di customer loyalty
Con riferimento al commitment, definito come il "desiderio
duraturo di mantenere una relazione importante", e considerato un
antecedente della fedeltà, Morgan e Hunt (1994) hanno individuato
quali determinanti: la fiducia; il grado di condivisione dei valori fra
impresa e cliente; il livello di condivisione delle finalità della
relazione - altrimenti definibile goal congruence -; il valore dei
benefici derivanti dalla relazione, nonché al livello dei costi che la
sua interruzione potrebbe determinare.
Dagli studi di Morgan e Hunt e da quelli di altri autori, poi,
emerge con chiarezza la centralità della cooperazione, influenzata
dalla fiducia e dal commitment, ma anche dalla percezione di
reciprocità relativa a tali elementi e dall'equilibrio di potere e
dipendenza (Berry e Parasuraman, 1991; Stern e El Ansary, 1992;
Bucklin e Sengupta, 1993; Castaldo, 1994 e 1995; Tunisini, 1999).
La cooperazione, da considerarsi un elemento di estrema
rilevanza, al pari della fiducia, è stata studiata prevalente
nell'ambito delle relazioni di partnership e delle alleanze fra
imprese, evidenziando anche in questo caso che gli atteggiamenti
cooperativi derivano da elevati livelli di soddisfazione sperimentati
nel corso delle transazioni (Anderson e Narus, 1984 e 1990). In
generale, poi, è stato evidenziato che l'atteggiamento cooperativo si
dimostra anche nell'adozione di comportamenti non opportunistici,
ossia volti a non massimizzare il self-interest nel breve periodo,
sulla base di una reciprocità di comportamento attesa in futuro dalla
controparte (Anderson e Weitz, 1989; Morh e Speckman, 1994;
Ganesan, 1994; Kumar, 1996). In tal senso, diversi autori hanno
dimostrato che reciprocità e forme evolutive di partnership
dipendono in larga misura dalla percezione di non opportunismo e
dalla più generale condivisione di valori; o quantomeno da
percezioni di goal congruence (Lanza, 1998 e 1999).
Gruen (1995), in particolare, ha collegato il concetto di
commitment relazionale e quello di soddisfazione, derivante
dall'equità percepita nel processo di scambio, al comportamento
opportunistico, ipotizzando che elevata percezione di equità e
consolidato
commitment
nella
relazione
riducano
significativamente il rischio di comportamenti opportunistici.
Sempre nell'ambito degli studi di marketing relazionale, infine,
sono stati proposti i primi modelli di ciclo di vita della relazione.
15
Michele Costabile
Diversi autori, infatti, hanno sostenuto che mentre le evidenze
empiriche sui costrutti relazionali e sulle loro determinanti e
conseguenze si fondano sullo stato della relazione in un dato
momento nel tempo, è possibile ipotizzare, in una prospettiva
dinamica, che vi siano veri e propri percorsi di sviluppo della
relazione.
Fra i diversi modelli proposti a sostegno di tale tesi, uno dei più
noti è quello di Ford (1980 e 1998), che identifica cinque stadi
(successivamente ridotti a quattro) di sviluppo della relazione: i) la
pre-relazione, caratterizzata dalla raccolta di informazioni e dalle
valutazioni sui contenuti che la relazione potrà sviluppare; ii)
l'esplorazione, nel corso della quale la relazione richiede
investimenti tangibili e intangibili nella sperimentazione dei
processi di scambio; iii) lo sviluppo, caratterizzato da elevata
reciprocità sia nei processi di apprendimento sia negli investimenti,
e quindi nel commitment; iv) la stabilità e v) l'istituzionalizzazione,
ultimo stadio, durante il quale vengono adottate routine di gestione
delle interazioni che minimizzino le incertezze, e sanzioni volte a
disincentivare l'interruzione della relazione.
Analogamente a quanto proposto da Ford (1980), Dweyr, Schurr
e Oh (1987) ipotizzano un modello di ciclo di vita della relazione
articolato in cinque fasi: consapevolezza; esplorazione; espansione;
commitment e dissoluzione. La principale differenza, rispetto a
quanto proposto da Ford è rinvenibile nella dissoluzione della
relazione, che secondo gli autori è sovente caratterizzata da
decisioni unilaterali, a differenza delle altre fasi che prevedono una
reciprocità di atteggiamenti e comportamenti tendenzialmente
sincronica.15
Una sintetica quanto interessante rassegna degli autori che hanno
proposto modelli sul ciclo di vita delle relazioni è contenuta in
Iacobucci e Zerrillo (1997), i quali, a loro volta, propongono alcune
interessanti evidenze sperimentali sui comportamenti caratterizzanti
il processo evolutivo della relazione e, in particolare, sul ruolo delle
reti di relazioni che gli attori di una data diade sono in grado di
attivare. Fra i diversi contributi esaminati, i due autori sottolineano
15
Modelli ed evidenze sul ciclo di vita della relazione sono state proposte anche da
Gronroos (1990), Deighton e Grayson (1995), Fontenot e Wilson (1997), e Iacobucci e
Zerrillo (1997).
16
Un modello dinamico di customer loyalty
l'originalità del modello proposto da uno psicologo sociale
(Tuckman, 1965) che, studiando la dinamica delle relazioni
interpersonali, si è soffermato sulle condizioni di passaggio da una
fase all'altra del ciclo, evidenziando il ruolo determinante dei
"conflitti allo stato iniziale". In sostanza, nella concettualizzazione
proposta da Tuckman, validata dalle sperimentazioni di Iacobucci
e Zerrillo, emerge un percorso evolutivo delle relazioni diadiche
definito da alcune fasi di verifica, che si configurerebbero quali
potenziali conflitti - o addirittura conflitti allo stato nascente - e
dalla cui positiva risoluzione scaturirebbero relazioni rinforzate, e
quindi passaggi alle fasi evolutive successive.
Anche grazie all'applicazione estensiva di suggestive teorie di
psicologia sociale e di strumenti analitici e concettuali di matrice
sociologica, gli studi di marketing relazionale costituiscono senza
dubbio uno dei filoni di studio maggiormente prolifici nell'ambito
delle discipline manageriali. Numerosi sono i modelli teorici e le
evidenze empiriche sviluppati, nell'ultimo ventennio, sulla natura,
le determinanti e le conseguenze delle relazioni di mercato. Ai fini
del presente lavoro, tuttavia, i contributi di maggiore interesse sono
quelli legati agli studi sulla fiducia e alle ricerche sui fenomeni di
cooperazione fra imprese e fra imprese e consumatori, nella
prospettiva del ciclo di vita della relazione.
* * *
Un importante costrutto relazionale, considerato sia negli studi
sulla customer satisfaction sia in quelli sul marketing relazionale così come precedentemente accennato - riguarda, infine, la
percezione di "equità".
In particolare, alcuni studi di psicologia sociale (Homans, 1961;
Austin, McGinn e Susmilch, 1980) hanno dimostrato che il
concetto di equità è riconducibile alla proporzionalità, percepita dal
cliente, fra gli output (i benefici) e gli input (i costi-sacrifici) di uno
scambio e gli output e gli input che dal medesimo scambio oppure da uno scambio assimilabile (ad esempio ottenuti da un
terzo cliente nello scambio con la medesima impresa) - vengono
generati per una terza parte.
17
Michele Costabile
L'applicazione di tale definizione di equità alle ricerche sulla
customer satisfaction (Swan e Mercer, 1981; Oliver e Swan 1989a e
1989b) ha successivamente dimostrato che tale percezione può
influenzare negativamente - o positivamente in caso di proporzione
fra output e input favorevole al cliente - il livello di soddisfazione.
Al riguardo è stato ipotizzato che la bassa equità percepita - o in
termini strettamente diadici o in termini di discriminazione delle
condizioni di vendita rispetto ad altri clienti - finisca per generare
nel cliente una percezione di opportunismo della controparte
(l'impresa) che deprime il livello di soddisfazione. L'influenza
negativa sulla soddisfazione, che in genere si verifica
successivamente alla percezione di non congruità delle ragioni di
scambio, può produrre un incremento del livello delle aspettative
(che nel caso di transazione e consumo già avvenuti saranno
"aspettative richiamate" - retrieved expextations) ovvero ridurre la
performance percepita. In entrambi i casi, l'origine sarebbe da
ricondursi all'iniquità percepita nelle ragioni di scambio (Costabile
1996a).
In tal senso, quindi, la percezione di non equità di uno scambio
agirebbe come una particolare forma di dissonanza cognitiva
(Huppertz et al. 1978), modificando il grado di soddisfazione in via
diretta, oppure agendo sulla percezione delle sue determinanti
(Costabile 1996a).16 E' opportuno, inoltre, evidenziare come a
parità di altre condizioni, la non equità percepita nelle condizioni
di scambio sia maggiore per i clienti "longevi" rispetto a quelli
occasionali (Huppertz et al. 1978).
Negli studi di marketing relazionale, invece, l'equità delle
ragioni di scambio è stata considerata - come anticipato - un
costrutto centrale per la comprensione delle relazioni cooperative
orientate alla stabilità nel lungo periodo, considerando che
eventuali scambi non equi fra i partner di una relazione vengono
governati dai princìpi di reciprocità, garantita dalla soddisfazione
cumulata nelle precedenti esperienze, e quindi dalla fiducia, dalle
16
E' interessante osservare che anche qualora la percezione di non equità dipendesse dal
comportamento opportunistico di un cliente terzo, sarà comunque la soddisfazione nei
confronti dell'impresa a subire una diminutio. L'impresa, infatti, viene in questi casi
percepita come incapace o indolente, ritenendo che la conseguenza di tale
comportamento nel medio lungo periodo non possa che incidere sulla capacità di offrire
una performance equa, anche se in linea con le aspettative.
18
Un modello dinamico di customer loyalty
interazioni cooperative e dall'eventuale convergenza di finalità
precedentemente sperimentata. In tal senso, una contenuta equità
delle ragioni di scambio non provoca insoddisfazione, se sostenuta
dalla percezione di reciprocità, per cui i sacrifici di breve sono
compensati da recuperi di equità nel medio lungo periodo (equità
seriale) (Ganesan 1994; Castaldo, 1995). In sostanza si rinuncia ad
esercitare opzioni di massimizzazione del self-interest nel breve
periodo, e si ritiene comunque soddisfacente uno scambio percepito
come non equo, qualora vi sia la convinzione che i futuri scambi
riequilibreranno il "saldo" complessivo della relazione.
Gli altri contributi allo studio del customer buying behavior
Numerosi altri contributi allo studio del comportamento e del
processo d'acquisto del cliente sono rinvenibili sia in altri campi del
marketing sia in altre discipline nell'ambito delle scienze sociali.17
Con riferimento alla letteratura di marketing, in particolare, sono da
considerarsi imprescindibili gli studi sulla brand loyalty e quelli
sulla customer loyalty.
I lavori seminali di Jacoby (1971), Newman e Werbel (1973) e di
Jacoby e Kiner (1973), ripresi poi nel noto contributo di Jacoby e
Chestnut (1978), hanno evidenziato la fondamentale distinzione tra
fedeltà comportamentale e fedeltà mentale, chiarendo che il
comportamento di riacquisto non costituisce una sufficiente
evidenza di brand loyalty.18
Tali autori concordano nel ritenere la fedeltà (genericamente
definita loyalty) un comportamento di riacquisto (fedeltà
comportamentale) non casuale di una marca o di un gruppo di
marche, in seguito a un determinato processo valutativo (fedeltà
17
I recenti lavori di Oliver (1997 e 1999), Busacca, Grandinetti e Troilo (1999) e
Fournier e Mick (1999) contengono significativi esempi del contributo che le molteplici
discipline di studio riconducibili alle scienze sociali offrono allo studio del
comportamento d'acquisto del cliente e alle metodologie di postconsumption research.
18
I primi autori che hanno evidenziato la necessità di distinguere differenti forme di
fedeltà - seppure in contesti di studio diversi e con differenti finalità - sono stati
Hirschman (1970) e Day (1970). Quest'ultimo, in particolare, ha per primo
concettualizzato l'evidenza di forme di fedeltà "spurie", vale a dire solo apparentemente
tali, in quanto non determinate da una relazione chiara, diretta e controllabile fra il
soggetto e l'oggetto della fedeltà (la marca o l'impresa). In Italia, su posizioni analoghe,
è rinvenibile il pionieristico contributo di Marzili (1968).
19
Michele Costabile
mentale). Essi identificano diverse forme di fedeltà, definendo i
comportamenti di riacquisto non sostenuti da una corrispondente
fedeltà mentale fenomeni di "acquisto inerziale".19
Sulla base di questi primi lavori, gli studi sulla fedeltà si sono
concentrati su due principali fenomeni: da un lato quello sottostante
all'evidenza di comportamenti di fedeltà a più di una marca,
caratterizzati da livelli variabili di sostituibilità/complementarità
(Wind, 1977; Jacoby e Chestnut, 1978; Vicari, 1978; Wernerfelt,
1991; Keaveney, 1995), e quindi sulle determinanti dei
comportamenti di infedeltà (switching behavior)20; dall'altro quello
sottostante all'intensità della cosiddetta "fedeltà mentale", e quindi
sulle percezioni, sugli atteggiamenti e sulle convinzioni che
possono determinare le diverse forme di fedeltà.
Con riferimento alla seconda area di studio è da evidenziare, fra
gli altri, il contributo di Dick e Basu (1994), che hanno proposto di
misurare la dimensione cognitiva della fedeltà in termini di
atteggiamento relativo, ossia di valutazione che il cliente esprime
con riferimento alla superiorità/inferiorità della marca acquistata
con maggiore frequenza (marca focale) rispetto alle alternative
d'offerta considerate.
Dalla matrice riportata nella figura 2 emergono quattro diverse
forme di fedeltà. Agli estremi - valutazione relativa positiva e
ripetizione d'acquisto elevata, ovvero negativa e bassa (quadranti 2
e 4 della matrice) - si trovano le forme di "vera fedeltà" (nel
linguaggio di Jacoby e Chestnut, 1978) e di "infedeltà". Nei
quadranti 1 e 3, invece, è possibile rilevare: forme di fedeltà latente,
intesa quale combinazione di elevata fedeltà mentale cui non
corrisponde una altrettanto elevata fedeltà comportamentale nei
confronti di una marca "focale"21; oppure forme di fedeltà "spuria"
che, coerentemente con l'intuizione di Day (1970) e con la
19
Tale condizione, secondo gli autori, identifica gli acquirenti "happenstance", un
termine non comune, con il quale si intende enfatizzare la posizione "a-intenzionale"
dell'acquirente, ossia una sorta di mancanza di programmazione dell'acquisto, che
pertanto non avverrebbe quale conseguenza di atteggiamenti di preferenza coerenti con
il comportamento di scelta (Fishbein e Ajzen 1975).
20
Nella medesima prospettiva devono essere menzionati tutti gli studi condotti per
definire misure del costrutto "fedeltà comportamentale" (Busacca e Castaldo, 1996).
21
Le forme di fedeltà latente potrebbero essere spiegate dai noti fenomeni di elevata
fedeltà a un gruppo di marche, e dalla conseguente difficoltà di determinare in misura
univoca i livelli di penetrazione che definiscono una marca come focale.
20
Un modello dinamico di customer loyalty
definizione dell'acquirente "inerziale" di Jacoby e Chestnut (1978),
rappresentano forme di fedeltà non sostenute da chiari nessi causali,
quali ad esempio quelli riscontrabili fra preferenza verso la marca,
soddisfazione derivante dal suo acquisto, fiducia nella marca e
nell'impresa e quindi coinvolgimento nella sua scelta e
intenzionalità nel riacquisto.
Figura 2 - Una tassonomia della fedeltà fondata sulle dimensioni
mentale e comportamentale
Positivo
Fedeltà
Sostenibile
Fedeltà
Latente
Atteggiamento relativo
verso la marca focale
Fedeltà
Spuria
Infedeltà
Negativo
Elevata
Bassa
Ripetizione d’acquisto
della marca focale
Fonte: Dick e Basu, 1994
Di recente, la classificazione delle diverse forme di fedeltà con
riferimento alla duplice dimensione mentale e comportamentale, è
stata approfondita da Busacca e Castaldo (1996). I due autori hanno
analizzato i processi cognitivi sottostanti alla relazione fra marca (o
insegna) e cliente, ricorrendo a una definizione multidimensionale
della fiducia, utilizzata quale costrutto esplicativo di differenti
configurazioni di fedeltà mentale. In estrema sintesi, il loro modello
individua nella fiducia il costrutto in grado di spiegare i diversi
stadi di solidità di una relazione (stabile, speranzosa o instabile). La
definizione di fiducia adottata da Busacca e Castaldo è, infatti,
tridimensionale e, partendo dalla percezione di affidabilità,
ripropone le due dimensioni originariamente ipotizzate da Andaleeb
21
Michele Costabile
(1992) per classificare i diversi tipi di fiducia: le percezioni in
merito alle capacità dell'impresa e quelle riguardanti le sue
motivazioni. La combinazione di queste due dimensioni, che
Andaleeb propone senza considerare l'affidabilità, darebbe luogo a
quattro tipi di fiducia, che, seguendo un modello denominato trust
continuum , vanno dalla fiducia "forte" (o piena, o cieca, secondo
alcuni autori - Blois, 1999) alla sfiducia.
Busacca e Castaldo, hanno quindi proposto una matrice per
l'individuazione dei soggetti di domanda fedeli a una determinata
marca, oppure a un'insegna commerciale, incrociando i quattro tipi
di fiducia (piena, speranzosa, instabile e sfiducia) proposti da
Andaleeb con tre differenti livelli relativi al saggio di riacquisto
della marca o dell'insegna proposti da Wind (1977). La figura 3
ripropone lo schema elaborato da Busacca e Castaldo (1996),
identificando dodici differenti tipi di fedeltà, e proponendo agli
estremi i consumatori di fatto inaccessibili per una determinata
marca (o insegna) e i consumatori fedeli, in quanto acquirenti
abituali e caratterizzati da fiducia piena e stabile (affidabilità ,
percezione di elevata capacità di non opportunismo dell’impresa).
I diversi contributi sulla fedeltà, per quanto ne abbiano
approfondito l'esame delle forme e delle determinanti, hanno in
realtà trascurato la prospettiva dinamica del processo che conduce
allo sviluppo di relazioni fra cliente e impresa, e che,
adeguatamente considerata, può invece spiegare le differenti
configurazioni assunte dalla customer loyalty nelle diverse fasi del
ciclo di vita della relazione.
Uno dei pochi tentativi in tal senso è stato compiuto da Oliver
(1997 e 1999), che ha proposto di definire la customer loyalty come
una condizione di forte coinvolgimento al riacquisto, o al riutilizzo,
di un prodotto o di una marca; un coinvolgimento tale da far
superare le eventuali influenze "situazionali" e "concorrenziali" che
potrebbero causare comportamenti di infedeltà.22
22
Quale "corollario" della definizione - per certi versi assiomatica - di customer loyalty,
lo stesso Oliver (1997) ha proposto una ulteriore interessante distinzione fra le diverse
forme di fedeltà, utile a spiegare i comportamenti di fedeltà a gruppi di marche.
L'autore, infatti, ha distinto la fedeltà situazionale, che consiste nella scelta intenzionale
e ponderata di una certa marca solo in determinate situazioni/occasioni d'uso, dalla
fedeltà proattiva, che caratterizza invece scelte costanti e tendenzialmente "totalitarie"
(rispetto alla percentuale di acquisti totali di un determinato prodotto o di una categoria)
22
Un modello dinamico di customer loyalty
Figura 3 - Le diverse combinazioni di fiducia e fedeltà
ciomportamentale
Intensità della fiducia nella marca/insegna
Alta
Elevato
Consumatori
fedeli alla
marca/insegna
Media
(speranzosa)
Bassa
Consumatori abituali
e speranzosi nella
marca/insegna
Consumatori
abituali, ma instabili
della
marca/insegna
Consumatori
abituali, ma sfiduciati
della
marca/insegna
Consumatori saltuari
speranzosi nella
marca/insegna
Consumatori
saltuari, ma instabili
della marca/insegna
Consumatori
saltuari, ma sfiduciati
della
marca/insegna
Consumatori
occasionali, ma
instabili della
marca/insegna
Consumatori
occasionali, ma
sfiduciati della
marca/insegna
Medio
Saggio di riacquisto
della marca/insegna
Consumatori
saltuari, ma fiduciosi
nella
marca/insegna
Basso
Consumatori
occasionali, ma fiduciosi
nella marca/insegna
Nulla
Consumatori
occasionali
speranzosi nella
marca/insegna
Nullo
Consumatori
di altre marche, fiduciosi
nella marca/insegna
Consumatori di altre
marche speranzosi nella
marca/insegna
Consumatori
di altre marche con
fiducia nella
marca/insegna
Segmento di
domanda
inaccessibile per la
marca/insegna
Fonte: Busacca e Castaldo, 1996
Alla condizione di customer loyalty, così definita, infatti,
secondo Oliver si giunge mediante quattro stadi sequenziali. Al
primo stadio il cliente è fedele solo cognitivamente, nel senso che
dimostra una conoscenza - diretta o indiretta - della marca e dei
suoi benefici differenziali e sulla base di una convinzione di
superiorità dell'offerta procede all'acquisto. E' solo in seguito a
ripetuti riacquisti che, secondo l'autore, si sviluppa una seconda
forma di fedeltà: quella affettiva. Si tratta in questo caso
dell'atteggiamento particolarmente favorevole che il cliente matura
verso una marca in seguito alle ripetute conferme delle aspettative,
registrate nella fase della fedeltà cognitiva. Ma è solo con la terza
fase - e quindi con il trascorrere del tempo e dei riacquisti - che
a favore di una marca, anche in presenza di sacrifici incrementali che in alcuni contesti
d'acquisto dovesse risultare necessario sostenere. E la fedeltà proattiva, sempre secondo
Oliver, la forma che meglio definisce la customer loyalty - convergente in tal senso con
la "true loyalty" di Jacoby e Chestnut (1978) e la fedeltà basata sulla fiducia forte, nella
classificazione proposta da Busacca e Castaldo (1996).
23
Michele Costabile
secondo Oliver si raggiungono livelli più intensi di fedeltà. In tale
fase la fedeltà diventa conativa, vale a dire caratterizzata da una
forte intenzionalità, e da un elevato coinvolgimento che si
estrinseca in proprietà motivazionali, secondo un modello già
proposto da Crosby e Taylor (1983) per l'analisi dei comportamenti
di voto degli elettori. In conclusione, facendo ricorso alla teoria del
controllo delle azioni (action control - Kuhl e Beckmann, 1985)
Oliver identifica lo stadio più intenso di fedeltà definendolo "action
loyalty", vale a dire quello della fedeltà non solo sostenuta da forti
motivazioni, ma riscontrabile in azioni guidate dal "desiderio di
superare" ogni eventuale ostacolo che dovesse frapporsi alla
decisione di acquistare la marca alla quale si è fedeli.
Il modello proposto, ulteriormente articolato dallo stesso autore
in un più recente contributo (Oliver, 1999), con l'aggiunta delle
variabili individuali (emozioni e rappresentazioni simboliche) e
sociali (micro-mondi, dinamiche di gruppo, rappresentazioni sociali
e comunità di consumo) quali "mediatori" degli effetti della
soddisfazione sulla fedeltà, consente un significativo avanzamento
negli studi sulla brand e sulla customer loyalty. Seppure senza un
esplicito, o consapevole, richiamo agli studi sul ciclo di vita della
relazione, e basandosi sulla rigida sequenzialità del classico
paradigma "cognizione-affetto/emozione-comportamento", infatti,
Oliver introduce una concettualizzazione dinamica della customer
loyalty.
I fenomeni di brand loyalty, infine, sono stati esaminati da molti
altri autori che hanno approfondito i contenuti della relazione fra la
marca e il consumatore (Vicari, 1995; Manaresi, 1999) e, in
particolare, il ruolo della marca quale vettore di relazione,
esplicitandone le componenti e le variabili che ne influenzano lo
stato.23
In tali studi è emerso che il ruolo relazionale della marca è tanto
più forte quanto maggiore è il suo contenuto fiduciario (Howard,
1977). E La componente fiduciaria dell'immagine di marca, in
particolare, deriva dalle passate esperienze del cliente che riducono
l'incertezza nella valutazione fra le alternative d'acquisto, rendendo
23
Nel modello proposto da Manaresi, la marca rappresenta l'impresa, generando essa
stessa "atteggiamenti" relazionali verso il cliente, che quest'ultimo percepisce con
riferimento a diverse categorie fra le quali i valori e le tradizioni che definiscono la
cosiddetta "personalità di marca".
24
Un modello dinamico di customer loyalty
più probabile la fedeltà comportamentale e più efficaci le strategie
di brand extension (Busacca, 1995).
3. I costrutti sul customer buying behavior: verso un modello
dinamico di customer loyalty
Alla luce dei numerosi studi che hanno avuto quale oggetto il
comportamento d'acquisto dei clienti è possibile proporre un
modello che, basato sulle evidenze empiriche sinteticamente
illustrate nella precedente rassegna, descriva la dinamica delle
relazioni, partendo dalla customer satisfaction per giungere alla
loyalty.
Al riguardo è necessario precisare che la traduzione del termine
loyalty verrà utilizzata con un significato differente da quello
invalso nell'uso - fedeltà - e che troppo spesso obbliga gli studiosi a
ulteriori specificazioni: mentale, comportamentale, cognitiva,
affettiva, conativa, proattiva, e così via. Si, ritiene, infatti che il
costrutto loyalty sia definibile in termini multidimensionali e che le
sue dimensioni ne riportino il significato all'etimo latino24. Al di là
del nominalismo, la definizione di customer loyalty proposta, la
differenzierebbe da altri costrutti che, in prospettiva dinamica
certamente ne influenzano la configurazione, quali ad esempio la
fedeltà mentale e comportamentale, ma che, tuttavia, non ne
esauriscono il dominio concettuale.
In sostanza la customer loyalty è una forma evoluta di fedeltà,
che non solo presenta i caratteri della "true loyalty" concettualizzata
già da Jacoby e Chestnut (1978), ma identifica anche una relazione
fra il cliente e l'impresa (o la marca) arricchita dalla reciprocità sostenuta da elevata percezione di equità e correttezza - e quindi
connotata da atteggiamenti e comportamenti cooperativi. E', in
sintesi, una relazione leale.25
24
L'origine latina della parola loyalty - identica a quella di "lealtà", in uso nella lingua
italiana sin dal XIII secolo - risiede nel termine "legale", ossia conforme alla legge,
fedele alla parola data, corretto.
25
Al riguardo, è opportuno evidenziare che Busacca e Castaldo (1996) hanno già
proposto una simile definizione, basandosi però su una interpretazione estensiva del
costrutto fiducia, e proponendolo in una configurazione molto ampia - consistente nelle
25
Michele Costabile
Il modello che descrive la customer loyalty ha origine, come
accennato, dai risultati degli studi sulla customer satisfaction e sul
marketing relazionale, rappresentati in una prospettiva dinamica.
Tale prospettiva consente di interpretare il ciclo di vita della
relazione fra cliente e impresa quale continuum temporale, lungo il
quale si verifica una sovrapposizione dei costrutti relazionali,
mentali e comportamentali, fino a giungere - per successiva
sedimentazione di costrutti, che divengono dimensioni di un unico
dominio concettuale - al costrutto customer loyalty.
Nello specifico, i costrutti, e le relazioni fra costrutti e variabili
che li determinano, o ne conseguono, sono molteplici, e il modello
propone forzatamente una semplificazione. Si ritiene, tuttavia, che
esso contenga i principali riferimenti teorici ed empirici che i
diversi filoni di studio sul customer buying behavior hanno
prodotto, e più volte verificato. In particolare, verranno richiamati:

i risultati degli studi sulla customer satisfaction, sulle sue
determinanti e sulle sue conseguenze (Iacobucci, Grayson, e
Omstrom 1992; Oliver, 1997; Costabile 1998);
 i modelli sulla fiducia e le verifiche che ne hanno
inequivocabilmente accertato la sua dimensione cognitiva
definita dall'affidabilità percepita, nonché gli studi che hanno
determinato il suo legame con la propensione al riacquisto e al
consolidamento della relazione (Bitner, 1995; Castaldo, 1995;
Blois, 1999; Raimondo, 1999);
 gli studi sul ciclo di vita della relazione e sulle diverse forme di
fedeltà, che nella sua configurazione di base si presenta come
semplice ripetizione d'acquisto, ma che qualora sia basata su
atteggiamenti relativi favorevoli all'impresa (o su forme di
fiducia molto intensa secondo alcuni) diviene vera fedeltà,
ovvero fedeltà sia comportamentale che mentale (Jacoby e
Chestnut, 1973; Ford, 1980 e 1998; Iacobucci e Zerrillo, 1996;
Busacca e Castaldo, 1996);
 gli studi sull'equità, e, nello specifico, quelli che hanno
collegato l'equità percepita con la disponibilità a cooperare
(Ganesan, 1994; Castaldo, 1995);
tre dimensioni "affidabilità", "capacità" e "non opportunismo" - quale sinonimo di
stabile fedeltà mentale.
26
Un modello dinamico di customer loyalty
 le sperimentazioni sulla sensibilità verso la "correttezza" delle
ragioni di scambio, correlata alla maggiore o minore frequenza
di rapporti del cliente con l'impresa (Huppertz, Arenson e
Evans, 1978).
Per interpretare il processo di sviluppo delle relazioni che
conduce alla customer loyalty, il modello si basa su una assunto di
fondo: anche il contenuto sociale dei processi di scambio e delle
relazioni è riconducibile a modelli di valutazione economica26. Tali
valutazioni sono comprensibili solo adottando la prospettiva del
cliente - e quindi coerentemente con la customer-based view
dell'impresa (Valdani e Busacca, 1999) - e sono determinate dalla
percezione del valore nelle sue diverse configurazioni.
Nel modello vengono identificate quattro fasi della relazione
che, benché siano rappresentabili lungo un continuum, sono
caratterizzate da differenti processi di valutazione, che il cliente
conduce sulla base del valore percepito nell'offerta dell'impresa.
Tale valore è comparato con le alternative di mercato, conosciute o
disponibili, e, nella prospettiva della teoria dell'equità, con il valore
che si ritiene l'impresa stia ottenendo dalla relazione di scambio. In
sostanza, quali determinanti del ciclo di vita della relazione, nel
modello vengono considerate diverse configurazioni di valore
percepito dal cliente (Busacca, 1994; Costabile, 1996b; Holbrook,
1999):
 il valore atteso, in termini relativi, ossia quale rapporto fra i
benefici attesi e i costi che si ritiene di dover sostenere per
l'acquisizione e il godimento dei predetti benefici, la cui
percezione è influenzata dal confronto con le alternative
disponibili;
 il valore percepito dopo l'acquisto e l'uso, generalmente
rapportato al valore atteso per derivarne la percezione di
26
A tale riguardo, senza volersi riferire ai fondamentali contributi offerti da celebri
economisti quali Gary Becker, è possibile citare i lavori di alcuni studiosi di marketing,
quali Richins e Bloch (1991), Oliver (1996) e Fournier e Mick (1999), i quali, con
specifico riferimento all'analisi del comportamento del cliente, hanno dimostrato come
le valutazioni che guidano le scelte post-acquisto si fondino sulla percezione di valore,
sia sulle sue dimensioni positive sia su quelle negative.
27
Michele Costabile
soddisfazione o insoddisfazione, e quindi adottato quale
riferimento prevalente per valutare l'esperienza d'acquisto e di
consumo in senso lato, e dunque l'impresa;
 il valore percepito in termini comparativi dopo le prime
esperienze d'uso, vale a dire confrontato con le alternative
d'offerta prese in considerazione nel corso del ciclo di vita della
relazione. Tale configurazione viene denominata "valore
monadico" per enfatizzarne la componente di soggettivismo
determinata dalla prospettiva strettamente individualistica del
cliente (monade) che conduce la valutazione;
 il valore equità, ossia il rapporto fra il valore che il cliente
ritiene di aver ottenuto (rapporto fra output e input) e quello che
ritiene di aver generato per l'impresa, nel corso della "storia"
della relazione. Tale configurazione può essere definita "valore
diadico", per evidenziarne l'essenziale natura di comparazione
interna alla diade "cliente-impresa", nella prospettiva dell'equità
che si è sviluppata nel corso di una specifica relazione.
La percezione e la rilevanza di tali differenti, seppur correlate,
configurazioni di valore sono soggette a variazioni lungo il ciclo di
vita delle relazione. La loro dinamica definisce, pertanto, quattro
principali fasi del processo di sviluppo della customer loyalty:




la fase della soddisfazione e dell'accumulazione di fiducia;
la fase della fiducia e della fedeltà comportamentale;
la fase della fedeltà mentale;
la fase della lealtà.
La fase della soddisfazione e dell'accumulazione di fiducia
Nei mercati concorrenziali ogni relazione fra cliente e impresa ha
origine da una scelta, che il primo opera sulla base della preferenza
accordata a quanto offerto dalla seconda. Tale preferenza è in
genere fondata su una percezione di valore differenziale che il
cliente ritiene di poter ottenere in seguito all'atto d'acquisto e di
consumo. La letteratura sul comportamento del consumatore ha da
sempre elaborato modelli di analisi dei processi di scelta, e
recentemente numerose ricerche sono state condotte sul concetto di
28
Un modello dinamico di customer loyalty
valore per il cliente e sulle sue principali componenti, sia razionali
che emozionali (Busacca, 1994; Costabile 1996a; Holbrook, 1999).
A beneficio di sintesi, in questa sede si propone di ricorrere alla
configurazione semplificata di valore per il cliente quale rapporto
fra i benefici e i sacrifici percepiti in associazione a una data offerta
(prodotto, servizio, marca o impresa):
V = B/S
Il valore per il cliente, quindi, è definito dalla soggettiva
percezione del rapporto fra i benefici attesi dal prodotto e i diversi
tipi di costo - sacrifici in senso lato - che devono essere sostenuti
per acquisire e godere dei predetti benefici. La scelta d'acquisto,
pertanto, in linea di massima, si fonda sulle aspettative di valore27,
ossia sulla percezione di capacità dell'impresa nell'offrire i benefici
ricercati meglio dei concorrenti e su quella di equità,28 fra tali
benefici e le componenti di onerosità che la medesima impresa
propone.
Come i numerosi studi sulla customer satisfaction hanno
dimostrato, dalla congruenza fra valore atteso e valore percepito, in
seguito all'acquisto e all'esperienza d'uso, ha origine la percezione
di soddisfazione, e ha formalmente inizio il processo valutativo
post-acquisto. Inizia, quindi, con l'analisi di tale processo di
comparazione lo studio del customer buying behavior (figura 4).
La figura 4 descrive il processo che, dal momento "to" - quello
della scelta - al momento "t1" - quello della positiva conferma delle
aspettative di valore - dà inizio di fatto al ciclo di vita della
relazione.
Come precedentemente illustrato, infatti, la
soddisfazione - verso un oggetto o verso un individuo - rappresenta
la percezione che alimenta il processo di formazione di un
27
Il processo di scelta basato sul cosiddetto "modello del valore atteso" rappresenta uno
dei paradigmi del comportamento d'acquisto. La letteratura di marketing, tuttavia, ha
identificato altre quattro "procedure" di valutazione delle alternative d'offerta che
conducono alla scelta: procedura del modello ideale, procedura congiuntiva, disgiuntiva
e lessicografica. Per maggiori approfondimenti si vedano Busacca (1994) e Kotler
(1997). Ciò che rileva in questa sede è la natura comparativa del valore. Oltre alla
soggettività e alla multidimensionalità, infatti, uno dei caratteri fondamentali del valore
per il cliente è la comparazione. La sua percezione, infatti, ha luogo sempre e comunque
con riferimento a una o più alternative d'offerta, anche se riconducibili a imprese
apparentemente non in diretta concorrenza fra loro (Busacca e Troilo, 1992; Costabile,
1996b).
28
In prima approssimazione la valutazione di equità appare fondata sulla comparazione
fra le offerti concorrenti, piuttosto che sull'approfondita analisi delle ragioni di scambio.
29
Michele Costabile
fondamentale atteggiamento: la fiducia. Al primo acquisto che
produce valutazioni di soddisfazione, dunque, seguono, in linea di
principio, ulteriori acquisti, motivati dalla soddisfazione
sperimentata. In termini economici, la percezione di soddisfazione
rappresenta un "flusso", prodotto a seguito di ogni interazione che il
cliente ha con l'impresa, o con uno specifico prodotto dell'impresa
(ad esempio ogni qualvolta viene utilizzato un personal computer o
un servizio di telefonia cellulare). Tale "flusso" - consapevolmente
o inconsapevolmente - alimenta uno "stock": la fiducia, intesa quale
pregiudizio riguardante la capacità - nella logica della "contabilità
mentale" (Thaler, 1985) la probabilità - dell'impresa (o del
prodotto, o della marca, dell'insegna, ecc.) di offrire un valore
congruente con quanto atteso.
Figura 4 - Lo sviluppo della relazione nella fase "soddisfazionefiducia"
FIDUCIA
SODDISFAZIONE
t1
VALORE ATTESO
to
ACQUISTO
VALORE PERCEPITO
In estrema sintesi, le esperienze di acquisto e consumo
caratterizzate da soddisfazione del cliente alimentano la tendenza al
riacquisto (Boulding, Kalra, Staelin e Zeithmal, 1993), in quanto
consentono l'accumulazione di un patrimonio fiduciario, che ha
valore solo nei confronti dell'impresa verso la quale è stato
sviluppato. E se da tali riacquisti l'esperienza "soddisfacente" viene
ulteriormente confermata, il fenomeno di accumulazione dà origine
a livelli sempre più consistenti di fiducia29 e consente l'evoluzione
29
E interessante al riguardo osservare che eventuali esperienze non soddisfacenti
potrebbero incidere sullo stock di fiducia precedentemente cumulato con un peso
asimmetrico rispetto ai "flussi" di soddisfazione. Tale asimmetria potrebbe essere
spiegata - e sperimentata - alla luce della prospect theory (Kahneman e Twerski, 1979),
ipotizzando che la soddisfazione agisca quale percezione di guadagno e
l'insoddisfazione quale percezione di perdita. In linea generale, poi, è possibile
30
Un modello dinamico di customer loyalty
della relazione verso la fedeltà (Bolton e Drew, 1992; Chang e
Wildt, 1994; Morgan e Hunt, 1994).
La fase della fiducia e della fedeltà comportamentale
Come accennato, al crescere dello stock di fiducia aumenta la
probabilità di riacquisto. Tale fenomeno è interpretabile alla luce
del ruolo che la fiducia esercita sui costi di transazione, per cui al
crescere del suddetto stock il riacquisto diventa economicamente
più conveniente - rispetto all'opzione di valutazione e scelta di un
nuovo fornitore. Le principali categorie di economie generate dalla
fiducia sono riconducibili:
 ai costi cognitivi, derivanti dallo sforzo di ricerca e di
elaborazione delle informazioni, e che dovrebbero essere
sostenuti nell'ipotesi in cui il cliente non riacquistasse
dall'impresa che ha offerto performance soddisfacenti;
 ai costi emotivi, legati alla percezione di rischio e incertezza
che, in genere, la fiducia contribuisce a ridurre in misura
considerevole (Castaldo, 1995), e che sono elevati in
conseguenza della rilevanza delle differenti componenti di
rischio percepito che di solito accompagnano l'acquisto e il
consumo, determinandone peraltro il coinvolgimento (fisico,
economico, sociale, psicologico, funzionale o di performance Kaplan, Szybillo, Kacoby, 1974);
 ai costi operativi, e quindi al tempo, ai costi di trasferta, e a tutte
le altre categorie di costi da sostenere per la valutazione delle
alternative d'offerta;
 ai costi strutturali del cambiamento, derivanti da specificità
tecnologiche del prodotto in uso (conversioni, interfacce,
accessori, e così via) e da eventuali strategie di lock in (Shapiro
e Varian, 1999) adottate dall'impresa fornitrice.
sostenere che la relazione tra flusso (soddisfazione) e stock (fiducia) non sia lineare, ma
dipenda sia dall'intensità della positiva disconferma delle aspettative sia dalle modalità
con le quali le percezioni di nuovi stimoli vengono elaborate (sotto il profilo cognitivo)
e comparate con gli atteggiamenti e le convinzioni pre-esistenti. Al riguardo la teoria
dell'assimilazione e del contrasto e la teoria del livello di comparazione hanno costituito
i due fondamentali riferimenti per interpretare, e sperimentare, tali dinamiche (Oliver,
1997).
31
Michele Costabile
Alla luce di tali convenienze al riacquisto, è possibile
comprendere come durante le prime fasi del ciclo di vita della
relazione, un atteggiamento fiduciario da parte del cliente induca per prevalenti ragioni economiche, latu sensu intese - al riacquisto
dal medesimo fornitore (t2, t3, t4…….). La probabilità di riacquisto,
peraltro, cresce all'aumentare dello stock di fiducia cumulata nel
corso delle interazioni, fino a stabilizzarsi su livelli che,
presumibilmente, raggiungono l'asintoto dell'evento certo30. E'
probabile, quindi, che in condizioni di elevata fiducia il riacquisto
avvenga senza considerare neanche le altre alternative.
In sintesi, dunque, quanto più elevato è lo stock di fiducia tanto
maggiori saranno le economie di transazione in ipotesi di
riacquisto, e tanto più si consolideranno le forme di fedeltà
comportamentale guidate dalla convenienza (Oliva et al. 1992);31
anche in presenza di offerte alternative che potrebbero offrire un
valore monadico superiore a quello "garantito" dalla fiducia
nell'impresa verso la quale si dimostra fedeltà.
Le forme di fedeltà comportamentale sono state ampiamente
studiate nella letteratura di marketing, comprese quelle "inerziali"
o "di routine", ossia caratterizzate dalla contenuta valutazione delle
alternative d'offerta. In sostanza, vi sono comportamenti d'acquisto
ripetitivi che, conseguenti alla sperimentata affidabilità
dell'impresa, diventano vere e proprie routine di comportamento
(Assael, 1995).
In una prospettiva dinamica, la seconda fase della relazione ha in
genere una durata che varia in funzione del livello di pressione
competitiva, del livello di obsolescenza delle soluzioni
tecnologiche percepito dal cliente,
e del suo livello di
coinvolgimento. In presenza di contenuti livelli di concorrenza e di
obsolescenza tecnologica, e di basso coinvolgimento verso il
prodotto, infatti, l'instaurarsi di comporamenti routinari è più
30
Al riguardo è interessante richiamare le distinzioni proposte da Luhmann (1989) e
Hart (1989), e riprese da Castaldo (1995), tra fede, fiducia e confidare, considerando il
confidare una convinzione, vale a dire una certezza relativa al comportamento della
controparte.
31
Wernerfelt (1991) ha definito tali forme di fedeltà cost-based
32
Un modello dinamico di customer loyalty
probabile (Assael, 1995).32 Più specificatamente, è possibile
sostenere che la durata della seconda fase è funzione del tipo di
bene o servizio offerto dall'impresa e delle caratteristiche
(individuali, sociali, economiche, e così via) degli attori coinvolti
della relazione. Essa investe un intervallo definito da un numero
variabili di riacquisti (t1, ……., tm), e si conclude, in genere, a
seguito di nuovi stimoli, interni o esterni (situazionali e/o
concorrenziali - Oliver, 1997), al sistema valutativo del cliente. In
sostanza, le valutazioni espresse con riferimento al livello di
soddisfazione offerto dall'impresa, e quindi la fiducia cumulata nel
periodo più o meno lungo della fedeltà comportamentale, vengono
sottoposte - prima o poi - a una verifica.
Figura 5 - Lo sviluppo della relazione nella fase "fiducia-fedeltà
comportamentale"
RIACQUISTO
FIDUCIA
SODDISFAZIONE
t1
to
VALORE ATTESO
ACQUISTO
VALORE PERCEPITO
FEDELTA’ COMPORTAMENTALE
Per descrivere l'epilogo di tale fase, è utile adottare la "teoria del
conflitto", quale causa di discontinuità, ma anche di rafforzamento
delle relazioni, proposta da Tuckman (1965) e sperimentata da
Iacobucci e Zerrillo (1996). In sintesi, l'evoluzione della relazione,
32
Secondo Assael, in effetti, il comportamento abitudinario è frequente quando si
verifica una condizione di basso coinvolgimento e di modesta differenziazione
percepita fra le alternative d'offerta. In caso di elevato coinvolgimento e di bassa
differenziazione, invece, viene rilevata una forma di infedeltà strutturale, ovvero di
fedeltà a un gruppo di marche, conseguente alla ricerca di varietà da parte del
consumatore.
33
Michele Costabile
dalla fase della fiducia e della fedeltà comportamentale, consegue
da un nuovo processo di comparazione - risultato del conflitto
relazionale - fra il valore sperimentato nel periodo "t1 ,………,tm" e
il valore delle alternative disponibili sul mercato. Come anticipato,
maggiore è il dinamismo tecnologico e concorrenziale percepito dal
cliente, più immediato sarà l'insorgere del "conflitto relazionale" e
l'attivazione di un nuovo processo comparativo.
La comparazione, che convenzionalmente potrà essere
identificata con il momento "tm" nel ciclo di vita della relazione,
avviene, in genere, sulla base del valore monadico, ossia del
rapporto fra benefici e sacrifici percepiti nell'offerta delle diverse
alternative di mercato disponibili. Il cliente, quindi, confronta il
valore sperimentato nel corso delle prime due fasi della relazione
con il valore atteso dalle imprese concorrenti, scontato però dalle
economie della fiducia, acquisite nel corso della relazione con
l'impresa verso la quale ha manifestato fedeltà comportamentale.
La comparazione che avviene al tempo "tm" produce, in genere, tre
risultati alternativi:
 il primo è quello che Hirschman (1970) avrebbe definito "exit".
Il cliente, cioè, verificato che, nella sua prospettiva
individualistica (monadica), vi sono imprese con offerte di
valore superiori a quella verso la quale dimostra (allo stato
attuale) fedeltà comportamentale, decide di interrompere la
relazione;
 il secondo risultato, invece, non conduce all'interruzione della
relazione in considerazione delle "economie della fiducia"
sperimentate nelle prime due fasi. In tal caso la relazione
prosegue configurandosi come una forma di fedeltà "spuria"
(Day, 1970) oppure coatta33, ossia obbligata dalla convenienza
rilevata su singole componenti di costo - ad esempio il costo di
accesso all'offerta tipico della fedeltà comportamentale ad
alcuni punti di vendita al dettaglio (Castaldo e Costabile, 1996).
La fedeltà coatta è connessa quasi sempre ad attributi
dell'offerta che non producono benefici differenziali, ma solo
una minore incidenza delle categorie che compongono il
33
L'espressione peggiore di "fedeltà coatta" è data, come intuibile, dalla condizione dei
clienti di imprese monopoliste.
34
Un modello dinamico di customer loyalty
denominatore del valore. In entrambi i casi la fedeltà
comportamentale è accompagnata dalla consapevolezza del
valore delle alternative di mercato, e da attenzione selettiva alle
innovazioni dal lato dell'offerta; oppure da ricerca attiva di
imprese la cui value proposition possa compensare le
"diseconomie" dell'opzione di uscita dalla relazione;
 il terzo risultato, infine, è quello che rinforza la relazione.
Qualora, infatti, la valutazione comparativa dimostri che il
valore offerto dall'impresa è superiore rispetto a quello proposto
dai concorrenti, il "conflitto" si risolve positivamente e la
relazione si consolida entrando nella fase successiva34.
La fase della fedeltà mentale
A seguito di una comparazione dalla quale dovesse emergere che
l'impresa verso la quale è stato osservato un comportamento di
riacquisto continui a offrire un differenziale positivo di valore, alla
soddisfazione sperimentata nel tempo, e alla fiducia che ha indotto
alla fedeltà comportamentale, si aggiunge un nuovo costrutto
percettivo. Si tratta di una convinzione relativa alla capacità
dell'impresa di mantenere nel tempo un differenziale di valore
costante, o comunque positivo, rispetto ai concorrenti. Tale
convinzione, che rinforza anche il senso di autoefficacia del cliente
- relativo alla sua capacità di scelta dell'alternativa "migliore" fra
quelle disponibili sul mercato - determina una relazione di fedeltà
mentale. In sostanza, in questa fase il cliente procede al riacquisto
dalla medesima impresa (o dei prodotti di una stessa marca) non
solo perché incentivato dalle economie della fiducia, ma anche
sulla base della convinzione che il valore offerto sia superiore a
quello delle alternative disponibili sul mercato.35
34
Una recente ricerca di Grisaffe e Kumar (1998) ha confermato che il valore per il
cliente determina la probabilità di proseguire nella relazione.
35
A questo riguardo, e sulla base delle definizioni date dagli studiosi di psicologia
sociale, è possibile sostenere che la fedeltà mentale è una convinzione, basata su un
atteggiamento fiduciario. La fiducia, definita quale atteggiamento, evolverebbe in una
convinzione - definibile fedeltà mentale - allorché, dopo successive verifiche e
comparazioni del valore monadico, subentra la percezione che l'offerta dell'impresa sia
costantemente superiore alla concorrenza, anche senza bisogno di un costante esercizio
della fiducia (senza cioè dover sottoporre costantemente a verifica e comparazione le
alternative). Tale convinzione consente l'evoluzione dalla fiducia alla "confidenza"
35
Michele Costabile
La figura 6 sintetizza il processo di sviluppo della relazione che
conduce sino alla fase della fedeltà mentale. Anche in questo caso
la letteratura di marketing, italiana e internazionale, ha offerto
numerosi contributi alla comprensione del comportamento dei
clienti che si trovano in tale fase del ciclo di vita della relazione
(Busacca e Castaldo, 1996). Si tratta di uno stadio di sviluppo della
relazione è assimilabile alla "true loyalty" di Jacoby e Chestnut
(1978), ovvero alla "fedeltà sostenibile" di Dick e Basu (1994). Si
tratta cioè di una fase caratterizzata da elevata solidità e da
disponibilità del cliente all'ampliamento della portata della
relazione. E' in questo stadio che, ad esempio, la componente
fiduciaria della marca consente il dispiegamento del potenziale di
estensione a nuove categorie di prodotti o a nuovi business. Per le
stesse ragioni, in presenza di fedeltà mentale sostenuta da elevati
livelli di customer satisfaction e di fiducia cumulati nel tempo
(Busacca e Castaldo, 1996), in tale fase della relazione sono
frequenti - e di successo - le politiche di cross selling (Busacca e
Costabile, 1995)
Figura 6 - Lo sviluppo della fedeltà mentale
FEDELTA’ MENTALE
RIACQUISTO
FIDUCIA
SODDISFAZIONE
t1
t0
VALORE ATTESO
ACQUISTO
VALORE PERCEPITO
tm
FEDELTA’ COMPORTAMENTALE
ANALISI VALORE MONADICO
intesa quale elevata certezza di comportamento atteso dalla controparte (Luhman, 1989;
Hart, 1989; Castaldo,1995).
36
Un modello dinamico di customer loyalty
Il comportamento del cliente mentalmente fedele è caratterizzato
da comportamenti di riacquisto durante i quali non solo non si
verifica la ricerca attiva di alternative d'offerta, ma, in genere,
anche l'attenzione alle offerte dei concorrenti diventa selettiva. Ed è
in questo stadio del ciclo vitale che si possono registrare i fenomeni
di fedeltà proattiva descritti da Oliver (1997), ossia di riacquisto
della marca o dell'offerta verso la quale si è fedeli anche in
presenza di negative influenze situazionali o concorrenziali
(evidenti vantaggi economici derivanti dal cambiamento di marca o
di fornitore).
Gli acquisti del cliente mentalmente fedele assicurano, a parità di
altre condizioni, una elevata durata prospettica della relazione,
fenomeno questo che, come noto, produce significativi risultati
anche sotto il profilo economico (Busacca e Costabile, 1995;
Reichheld, 1996).
Tale forma di fedeltà, tuttavia, non rappresenta ancora lo stadio
più evoluto che la relazione "cliente-impresa" può raggiungere. La
fedeltà mentale, infatti, può assumere nel tempo due differenti
configurazioni, in funzione del risultato di un ulteriore processo
valutativo, generalmente, condotto dai clienti più longevi.
Nelle fasi successive al momento della verifica del valore
monadico (tm+1, tm+2, ……), infatti, i clienti hanno, in genere,
maturato una lunga consuetudine di rapporti con l'impresa,
acquisendo conoscenze approfondite sia sull'offerta che sui suoi
processi organizzativi.36 Ed è proprio tale maggiore conoscenza
dell'impresa e della sua offerta, nonché la crescente autofiducia del
cliente nelle proprie capacità di valutazione, che determina
un'ulteriore opportunità di "conflitto".
Anche in questo caso, il conflitto si manifesta sotto forma di
comparazione del valore. La fondamentale differenza rispetto alle
valutazioni condotte nel momento "t0" e in quello "tm" risiede nella
configurazione del valore che assume centralità nei processi
valutativi37: dopo una più o meno lunga fase di fedeltà mentale,
36
Evidenze dello sviluppo della conoscenza sul fornitore al crescere della durata della
relazione sono state fornite nei principali studi sul marketing relazionale (Gummeson,
1987; Andreson e Weitz, 1989; Morgan e Hunt, 1994; Ganesan, 1994).
37
E' interessante al riguardo rilevare che il valore diadico, ossia l'equità delle ragioni di
scambio, costituisce oggetto di valutazione anche nelle fasi precedenti della relazione. E
in alcune condizioni, alle quali si farà riferimento nel paragrafo successivo, tale
37
Michele Costabile
sostenuta da elevate percezioni di valore monadico, il cliente infatti
perviene alla consapevolezza di dover prendere in considerazione
anche il valore diadico. In sostanza, il cliente confronta il valore
"storicamente" ottenuto dall'impresa con il valore che, nel corso del
ciclo di vita della relazione, ritiene di aver generato per l'impresa.
La motivazione di tale comparazione può avere diverse origini,
sovente riconducibili alla crescente capacità dello stesso cliente di
valutare accuratamente l'offerta dell'impresa, nonché lo sforzo
economico e organizzativo profuso nella relazione. Si tratta di una
valutazione concentrata sulla percezione del valore ottenuto e di
quello generato per l'impresa; valutazione sulla quale la fiducia
nelle proprie capacità valutative è, come accennato, certamente più
elevata rispetto alle prime fasi della relazione.
Per ragioni di varia natura38, dunque, al crescere della longevità
della relazione, e della consapevolezza che i ripetuti acquisti
valutazione potrebbe essere fondamentale per la scelta di attivare o consolidare la
relazione sin dalle prime fase. In genere, tuttavia, nelle prime fasi della relazione la
capacità del cliente di valutare correttamente tale configurazione del valore e la sua
autofiducia nella valutazione medesima è molto contenuta. Adottando la prospettiva del
connessionismo (Rumelhart e McClelland, 1986), è possibile ipotizzare che durante il
processing parallelo delle informazioni quelle riguardanti il valore diadico vengano
veicolate nella rete con un indice di impatto molto più basso rispetto alle altre, in quanto
ritenute meno valide (manzanza di conoscenze specifiche) e meno affidabili (mancanza
di capacità valutative sperimentate nel tempo). Successivamente, invece, tali valutazioni
divengono sempre più rilevanti, sino a essere prevalenti nella formazione degli
atteggiamenti verso la controparte.
38
Fra le altre ragioni potrebbero esservi:
 percezioni di discriminazioni (ingiustificate) nelle condizioni di vendita - talora
effettivamente praticate su mercati non comunicanti, ma che nell'era dell'economia
digitale e delle aste via internet se anche non provocano immediati fenomeni di
arbitraggio fisico, certo non tutelano dall'"arbitraggio informativo";
 percezioni di congruità in progressiva diminuzione fra il numeratore e il
denominatore del valore, che inducono a valutare cosa stia modificando tale
rapporto, e a percepire iniquità, o addirittura opportunismo, da parte dell'impresa;
 percezioni di elevato valore (cumulato) generato per l'impresa a seguito della
longevità della relazione;
A proposito dell'ultima motivazione è opportuno osservare che - come la psicologia
sociale insegna - i comportamenti degli individui sono sovente guidati da valutazioni
naif - di psicologia ingenua - vale a dire determinate da ipotesi semplici riguardo ai
comportamenti, alle percezioni e alle motivazioni dei terzi, e definite da nessi causali
(attribuzioni) di (buon) senso comune (Heider, 1958); non per questo però errate, anzi.
L'ingenuità denota in questo caso una linearità di connessioni percettive, parsimoniosa
ma non banale; e, soprattutto, in linea di massima aderente alla realtà del fenomeno
oggetto di valutazione. Uno dei principi della psicologia economica naif, ad esempio,
38
Un modello dinamico di customer loyalty
generino un valore economico rilevante per l'impresa, il cliente
tende a elaborare una propria convinzione sul livello di equità che
caratterizza le ragioni di scambio. Il valore diadico emerge dal
confronto di benefici (B) e sacrifici (S) derivanti dall'acquisto e dal
consumo dei beni e dei servizi dell'impresa (valore monadico), con
costi (C) e ricavi (R) che si ritiene rappresentino la contropartita del
valore per l'impresa39:
B/S  R/C
Ovviamente, la percezione di equità potrebbe non essere l'esito
della valutazione che ha luogo al tempo "tn". Ed è solo nell'ipotesi
che le ragioni di scambio vengano percepite come eque, e il valore
offerto dall'impresa sia conseguentemente ritenuto corretto, infatti,
che il processo dinamico che caratterizza la relazione raggiunge la
fase di massima evoluzione: la customer loyalty.
La fase della lealtà
La customer loyalty rappresenta l'ultimo stadio del processo
evolutivo di una relazione di mercato. Il cliente leale, infatti, è
legato all'impresa da una relazione di fedeltà, mentale e
comportamentale, ma anche da una convinzione di equità e
correttezza che, sulla base del principio di reciprocità (Cialdini,
1984), conduce all'assunzione di atteggiamenti e comportamenti
corretti e cooperativi.
Coerentemente con la definizione adottata, la customer loyalty è
un costrutto multidimensionale, definito sia da dimensioni
comportamentali - quali la ripetizione d'acquisto - sia da dimensioni
cognitive, connesse alla soddisfazione e alla fiducia, alla percezione
di superiorità dell'offerta dell'impresa - misurata sulla base del
induce i clienti a considerare la ripetizione degli acquisti nel tempo, e ancora di più le
manifestazioni di fedeltà comportamentale e mentale, una fonte di straordinario (extra)
valore per l'impresa. Tale convinzione, da sempre diffusa anche nel mondo delle
imprese, è divenuta una evidenza tutt'affatto naif negli ultimi decenni, in seguito alla
pubblicazione di numerosi studi e ricerche proprio sul tema del valore economico della
fedeltà (Reichheld, 1996).
39
Nell'ambito degli studi sulla customer satisfaction, sono state fornite diverse
interpretazioni sulla funzione svolta dalla percezione di equità, fondata sulla
comparazione fra valore ottenuto e valore generato. Al riguardo si vedano Oliver e
Swan (1989a e 1989b) e Clemmer e Schneider (1996).
39
Michele Costabile
valore monadico - e di equità delle ragioni di scambio - e quindi di
elevato valore diadico.
La customer loyalty, in tal senso, è una fase del ciclo di vita della
relazione che non è stata precedentemente distinta dalle altre, e che
può essere assimilata alle forme di "vera fedeltà" (Jacoby e
Chestnut, 1978), di "fedeltà sostenibile" (Dick e Basu, 1994), di
fedeltà sostenuta da "fiducia stabile" (Busacca e Castaldo, 1996), e
di "fedeltà proattiva" (Oliver, 1997). Rispetto a tali configurazioni,
tuttavia, la customer loyalty definita dal modello sinora descritto
presenta una sostanziale differenza: prevede quale dimensione
caratterizzante il costrutto l'atteggiamento cooperativo da parte del
cliente - ed eventualmente anche i comportamenti che ne
conseguono.
Come illustrato in precedenza, infatti, la percezione di equità
delle ragioni di scambio costituisce una fondamentale determinante
del costrutto. Tale percezione, sebbene correlata a quella di valore
monadico, concorre in autonomia a determinare la convinzione di
correttezza dell'impresa e induce, per questa via, atteggiamenti e
comportamenti cooperativi da parte del cliente. Il cliente leale,
quindi, è pronto a collaborare con l'impresa, sia sotto il profilo
commerciale - ad esempio attivando spontaneamente flussi di
passaparola positivi40 - sia sotto il profilo tecnico-produttivo - ad
esempio fornendo suggerimenti su come migliorare i prodotti, i
processi, e le forme di interazione cliente-impresa, fino a
sperimentare nuove soluzioni organizzative o commerciali. 41 In
40
E' opportuno al riguardo evidenziare che vi sono diverse forme di passaparola.
Insieme al passaparola passivo, o sollecitato da altri clienti, si possono registrare forme
di passaparola attivo, ossia spontaneamente attivato dal cliente - tipicamente nella fase
della fedeltà mentale. La forma più intensa di passaparola è, invece, quella
"prescrittiva", vale a dire caratterizzata da comportamenti che "obbligano" i potenziali
nuovi clienti a sperimentare l'offerta dell'impresa. Qualora il comportamento di
reclutamento attivo di nuovi clienti non sia determinato da azioni promozionali
dell'impresa è evidente che il "promotore" dell'impresa sarà un cliente leale.
41
La customer loyalty può essere seguita da una ulteriore evoluzione della relazione: la
partnership. Le differenti forme di partnership con i clienti, infatti, possono essere
instaurate sulla base dei costrutti esaminati nel modello, ma a condizione che si sviluppi
anche una chiara di percezione di goal congruence. E' abbastanza frequente, infatti, la
difficoltà di definire a priori e nei dettagli il risultato che potrà emergere dalla
cooperazione, così come il suo orizzonte temporale (Lanza, 1998). E' intuibile, quindi,
che in questi casi il "collante" della relazione sia la percezione di finalità convergenti,
ossia la convinzione che la convenienza per l'impresa sia strettamente connessa al
vantaggio del cliente. Al riguardo, gli studi sul marketing relazionale, hanno dimostrato
40
Un modello dinamico di customer loyalty
estrema sintesi, quindi, il cliente leale, sulla base della percezione
di equità del valore diadico, elabora una convinzione di correttezza
dell'impresa, che ne determina reciprocità di atteggiamenti e di
comportamenti.
La figura 7 propone il modello dinamico di customer loylaty che,
a partire dalla scelta d'acquisto basata sul valore atteso, rinnovata
nel tempo (riacquisti) sulla base della customer satisfaction e della
fiducia, conduce allo sviluppo delle diverse forme di fedeltà e,
infine, alla customer loyalty.
Figura 7 - Il modello dinamico di customer loyalty
tn
ANALISI VALORE DIADICO
LEALTA
’
RIACQUISTO
FIDUCIA
FEDELTA’ MENTALE
SODDISFAZIONE
t1
t0
VALORE ATTESO
ACQUISTO
VALORE PERCEPITO
PERCEPITO
FEDELTA’ COMPORTAMENTALE
tm
ANALISI VALORE MONADICO
Il valore della customer loyalty, così definita, è riconducibile
soprattutto alle opportunità di co-evoluzione della diade impresacliente (Busacca, 1997). I mercati ipercompetitivi ai quali si faceva
cenno in apertura del lavoro, infatti, costringono le imprese alla
continua innovazione, e di conseguenza all'incessante ricerca di
nuove modalità per il miglioramento dei prodotti e dei processi
aziendali. E' evidente, pertanto, che in tali mercati il valore
economico e competitivo di relazioni con i clienti leali sia
che in tali casi si sviluppa un elevato commitment, basato sulla percezione che vi sia un
"destino comune" (Morgan e Hunt, 1994), che rinforza la relazione. Sul tema, e sulla
causalità che coinvolge anche la decisione di realizzare investimenti idiosincratici si
veda anche Castaldo, 1994 e 1995.
41
Michele Costabile
particolarmente elevato.42 Sono peraltro numerosi i casi di imprese
che gestiscono proprio nella prospettiva co-evolutiva le relazioni
con i clienti leali (Wayland e Kole, 1997; Micelli, 1997; von Krogh
e Prandelli, 1999), ancorando a tali relazioni i processi innovativi e,
quindi, il valore delle potenzialità di sviluppo aziendale (Busacca e
Costabile, 1995).
***
E' opportuno ribadire che la valutazione condotta dal cliente al
momento "tn" può produrre esiti differenti da quelli ai quali si è
sinora fatto riferimento.
Al di là delle relazioni di customer loyalty, precedentemente
descritte sia in termini concettuali - costrutti e dimensioni che ne
costituiscono il dominio e percorso evolutivo - sia con riferimento
alle manifestazioni che ne qualificano la natura, quindi, è opportuno
considerare anche gli altri tipi di relazione con i clienti.
La figura 8 propone una tipologia di relazioni con i clienti che,
dopo aver raggiunto la fase della fedeltà comportamentale nel ciclo
di vita della relazione, possono in realtà consolidarsi assumendo
forme differenti, più o meno stabili e proficue, in funzione della
percezione maturata sul valore monadico e su quello valore diadico.
La prima forma di relazione è caratterizzata dalla combinazione
di percezioni di elevato valore monadico e di bassa equità delle
ragioni di scambio. In tali condizioni, il cliente non assume
atteggiamenti cooperativi, e nei casi peggiori - ad esempio in
seguito a una politica di discriminazione del prezzo gestita
dall'impresa in modo poco chiaro - sviluppa una convinzione di
opportunismo della controparte (l'impresa) che lo conduce alla
ricerca di offerte alternative, al fine di interrompere la relazione. Si
tratta, però, di una ricerca selettiva, considerando che il valore
42
Come accennato, per le imprese internet-based, e in misura crescente anche per
quelle internet-related, il valore economico viene determinato con metodi definiti
"value per subscriber", tentando cioè di determinare il valore delle relazioni con i
clienti; valore che, come si evince dal modello dinamico di customer loyalty, può
variare, anche significativamente, in funzione dello stadio del ciclo di vita della
relazione. Tale valore, peraltro, non dipende solo dai flussi economici e finanziari, ma
anche da quelli informativi e di competenze, esplicite e tacite (von Hippel, 1994; von
Krogt e Prandelli, 1999), che il cliente leale trasferisce all’impresa nelle interazioni
collaborative.
42
Un modello dinamico di customer loyalty
monadico viene ancora percepito come elevato, e che - sic stantibus
rebus - "uscire" dalla relazione non condurrebbe ad alternative
migliori in termini di rapporto fra valore d'uso e sacrifici da
sostenere per la sua acquisizione.
Figura 8 - Lo stato delle relazioni con i clienti: una tipologia
Differenziale
positivo
Relazioni a rischio morale
(fedeltà mentale instabile,
tendente all’opportunismo,
ricerca selettiva alternative)
Relazioni di loyalty
(Stabilità, cooperazione,
tendenza alla partnership)
Valore
monadico
Differenziale
negativo
Relazioni coatte
o di inerzia rassegnata
(fedeltà comportamentale,
ricerca attiva di alternative,
attenzione ai costi switching)
Relazioni speranzose
(fedeltà comportamentale
a tempo, ricerca selettiva
di offerte alternative)
Equo
Iniquo
Valore diadico (equità)
Tali relazioni vengono definite "a rischio morale" in quanto oltre
alla ricerca selettiva di offerte alternative, e quindi all'instabilità
strutturale della relazione, il cliente ricerca modalità mediante le
quali "bilanciare" il valore diadico, rendendolo più equo, e quindi
più soddisfacente. Si parla di "rischio morale" (Arrow, 1963; Pauly,
1968; Milgrom e Roberts, 1992) per identificare una forma di
opportunismo post-contrattuale, vale a dire la condizione dell'attore
di un processo di scambio che, contrattualmente conclusosi,
potrebbe appropriarsi in modo non etico, o addirittura non lecito, di
un extra-valore a scapito della controparte. E' questo, in sostanza, il
rischio a cui si espone l'impresa che propone ragioni di scambio
percepite come non eque da un cliente, che intende comunque
mantenere attiva la relazione a ragione dell'elevato valore monadico
dell'offerta aziendale.43
43
In tal senso le modalità di riequilibrio del valore diadico sono molteplici, lungo il
continuum che collega i comportamenti corretti e leali a quelli illeciti. Sistematici ritardi
43
Michele Costabile
La seconda forma di relazione è, invece, definita dalla
combinazione di basso valore monadico e di bassa equità percepita.
Il comportamento che ne consegue è in genere quello di ricerca
attiva di alternative, il cui valore deve consentire la compensazione
delle economie della fiducia. In tali casi, infatti, la percezione delle
suddette "economie" è quella di vere e proprie "barriere all'uscita"
dalla relazione, siano esse generate dalle politiche di lock in
dell'impresa oppure connaturate al processo di scambio. Le
relazioni che proseguono hanno, in questi contesti, natura
temporanea e sono motivate da una contingente mancanza di
alternative che consentano di compensare le diseconomie derivanti
dall'abbandono della relazione. La fedeltà è certamente da
considerarsi "spuria", in quanto contestuale a percezioni negative
dell'offerta dell'impresa, con riferimento a tutte le principali
configurazioni di valore percepito. Si tratta spesso di relazioni
coatte o di inerzia "rassegnata", vale a dire accompagnate dalla
percezione che le alternative d'offerta siano poco differenziate e
che, parimenti, lo sia la loro equità. La "rassegnazione" consegue
in genere alla percezione di una sorta di "monopolio di sistema",
riscontrabile nelle forme di oligopolio collusivo oppure nei mercati
molto regolamentati.
L'ultimo tipo di relazione è quella "speranzosa", così denominata
per la similarità concettuale con la tipologia proposta da Andaleeb
(1992) sulla fiducia. Tale relazione emerge allorquando il cliente
percepisce i rapporti di scambio con l'impresa come equi, ma non
particolarmente vantaggiosi sotto il profilo del valore monadico. In
sostanza, il cliente percepisce l'offerta dell'impresa come meno
competitiva rispetto alle alternative disponibili. In questi casi la
relazione potrebbe proseguire per un breve periodo di tempo ovvero per un limitato numero di riacquisti - a ragione dell'elevata
correttezza riconosciuta all'impresa. Tale dinamica è relativamente
nei pagamenti, reclami o richieste di sostituzioni del prodotto ingiustificate,
contestazioni sulla performance offerta dall'impresa, passaparola negativi, e così via,
fino all'istigazione di altri clienti all'adozione di comportamenti non corretti e ad alcune
forme soft di sabotaggio, sono i fenomeni che possono caratterizzare le relazioni a
"rischio morale". Tale rischio è tanto più elevato quanto maggiore è l'asimmetria
informativa che caratterizza il processo di acquisto e di consumo del prodotto, per cui il
cliente può produrre "azioni nascoste", vale a dire compiere azioni a suo favore, non
osservabili, almeno con immediatezza, dall'impresa, e volte a riequilibrare il valore
diadico.
44
Un modello dinamico di customer loyalty
più probabile nel caso di relazioni longeve, per le quali il cliente ha
avuto modo di sperimentare l'affidabilità dell'impresa e la sua
equità-trasparenza. La "speranza" che anima il cliente, quindi, è che
l'impresa possa potenziare o innovare il suo sistema d'offerta,
rendendosi nuovamente competitiva con riferimento al valore
monadico. E' una condizione frequente per clienti che avevano in
precedenza sviluppato relazioni di lealtà, ed è da considerarsi quale
ulteriore vantaggio della customer loyalty: una sorta di "riserva
relazionale".44 In tali casi, la fedeltà comportamentale presuppone
una ricerca selettiva di alternative, in attesa di verificare se
l'impresa ha posto in essere le innovazioni nel sistema d'offerta che
potenziano il valore monadico offerto.
***
Alla luce del ciclo di vita della relazione sinora descritto, è
possibile descrivere lo sviluppo della customer loyalty seguendo le
fasi illustrate nella figura 9.
A fini di verifica empirica, è opportuno ribadire che la customer
loyalty, così come è stata definita nel presente paper, è
riconducibile a una proposizione di ricerca così sintetizzabile:
la customer loylaty è un costrutto multidimensionale, il cui dominio
è costituito da due dimensioni comportamentali (fedeltà
comportamentale e comportamenti cooperativi) e da tre dimensioni
cognitive (fiducia, valore monadico e valore diadico).
In analogia a quanto proposto da alcuni autori (Morgan e Hunt,
1994), le due dimensioni comportamentali potrebbero essere
44
Ancora una volta sono le imprese dei business internet-based ad offrire interessanti
esemplificazioni. In tali business, infatti, il tasso di innovazione nei prodotti e nei
processi, tecnici e commerciali, è elevatissimo. Al tempo stesso, tuttavia, i vantaggi
competitivi derivanti da innovazioni sono più facilmente contendibili, ed è quindi dalla
portata delle "riserve relazionali" che dipende la possibilità di adeguare il sistema
d'offerta aziendale, per rigenerare le relazioni nella prospettiva della customer loyalty.
Per tale ragione, numerose imprese internet-based e internet-related stanno sviluppando
imponenti programmi di "member save", ossia procedure e investimenti commerciali e
organizzativi, volti ad ampliare la "riserva relazionale" - oppure a potenziare le strategie
di lock in - e ridurre così le diseconomie di velocità (Valdani, 1995) dei loro percorsi di
innovazione - oppure contenere gli effetti di scelte tecnologiche rivelatesi errate -.
45
Michele Costabile
considerate implicite, conseguenze delle tre dimensioni cognitive
che definiscono il costrutto. Tale verifica, tuttavia, sarà oggetto di
un successivo lavoro volto a operazionalizzare e misurare il
costrutto, nonché a offrire conferme empiriche della sua validità
esplicativa del processo evolutivo della customer loyalty45.
Figura 9 - Un modello di customer buying behavior
VALORE ATTESO
ACQUISTO
VALORE PERCEPITO
SODDISFAZIONE
FIDUCIA
RIACQUISTO
FEDELTA’ COMPORTAMENTALE
ANALISI VALORE MONADICO
FEDELTA’ MENTALE
ANALISI VALORE DIADICO
CUSTOMER
LOYALTY
45
Fra i tentativi di evidenziare un percorso evolutivo nel comportamento del cliente,
spiegato in termini di crescente commitment nei confronti dell'offerta dell'impresa vi
sono i lavori di Christopher, Payne e Ballantyne (1992) e di Dick e Basu (1994).
46
Un modello dinamico di customer loyalty
4. Le variabili intervenienti nella dinamica di sviluppo della
customer loyalty e le future ricerche sul tema
Il modello presentato nel precedente paragrafo prevede una serie di
fasi che, nella generalità dei casi, presentano una sequenza
temporale ben definita; descritta appunto dal modello.
Nella realtà, tuttavia, l'elaborazione cognitiva delle diverse
configurazioni di valore potrebbe non avvenire secondo una rigida
sequenza, ma in parallelo (Rumelhart e McClelland, 1986). Come
precedentemente ipotizzato, il medesimo cliente potrebbe attribuire
pesi differenziati alle diverse percezioni di valore nelle diverse fasi
del ciclo di vita della relazione. E' possibile, altresì, ipotizzare che
la differenziazione avvenga in funzione della fisiologica evoluzione
delle conoscenze sul prodotto e sull'impresa, ma anche di altre
variabili di contesto che potrebbero “intervenire” sul modello,
modificandone la formulazione generale, sia sotto il profilo
temporale che sotto quello causale.
Tali variabili sono individuabili:
1) nell'asimmetria dimensionale, e di potere, nella diade;
2) nell'asimmetria informativa connessa alla specificità
dell'oggetto di scambio;
3) nella capacità di valutare i processi tecnico-organizzativi
dell'impresa.
1) L'asimmetria dimensionale, e quindi di potere che quasi sempre
ne deriva, potrebbe alterare la sequenza descritta nel modello. Un
cliente particolarmente grande e importante, infatti, potrebbe
condurre accurate analisi del valore diadico parallelamente a quelle
del valore monadico, o addirittura già in fase di avviamento della
relazione. Non è infrequente, infatti, soprattutto nei mercati
business to business, che clienti di rilevanti dimensioni
"impongano" al fornitore l'esame preventivo dei loro processi
produttivi, organizzativi e amministrativo-contabili. Tale esame,
che sovente determina la scelta del fornitore, e quindi l'attivazione
della relazione, è motivato anche dall'elevata rilevanza attribuita
all’equità delle ragioni di scambio. L'esame del valore diadico,
47
Michele Costabile
quindi, potrebbe addirittura precedere, in termini di importanza e di
accadimento, quello concernente la soddisfazione e l’affidabilità
(fiducia).
2) Anche l'asimmetria di informazioni idonee a valutare l'offerta
potrebbe provocare una priorità, temporale e di rilevanza, del valore
diadico rispetto al valore monadico e alla valutazione
dell'affidabilità (derivante dalla soddisfazione cumulata nel tempo).
Nel caso limite dei beni fiducia (Darby e Karni, 1973), per i quali la
performance non è oggettivamente valutabile da parte del cliente,
se non dopo molto tempo dalla prestazione o dal consumo del bene,
è frequente rilevare uno sforzo valutativo concentrato su singole
componenti del valore diadico (ad esempio gli investimenti
idiosincratici da parte del fornitore); ovvero sulla trasparenza, quale
indicatore di equità del processo di scambio.
3) La capacità di valutare i processi tecnico-organizzativi
dell'impresa, invece, potrebbe ritardare, ovvero accelerare
significativamente il raggiungimento della customer loyalty e, in
casi estremi, compromettere il consolidamento della relazione.
Qualora vi sia un gap di competenza strutturale a sfavore del
cliente, infatti, potrebbe verificarsi una condizione di "sospensione
del giudizio" per mancanza di elementi idonei alla valutazione
dell'equità. Nel caso, invece, il cliente abbia competenze
straordinariamente elevate, verrebbe a determinarsi un'asimmetria
di segno opposto che, in ipotesi estreme, riporporrebbe le
condizioni descritte al punto sub 1).
Più in generale, infine, adottando la tipologia di processi
d'acquisto proposta da Assael (1995) è possibile ipotizzare che
quanto maggiore è il livello di coinvolgimento da parte del cliente
tanto più rapida sarà l'evoluzione delle fasi che conducono alla
customer loyalty. L'elevato rischio percepito, che determina il
coinvolgimento, infatti, induce il cliente ad essere maggiormente
sensibile - a parità di altre condizioni – all’analisi del valore
monadico e del valore diadico. In presenza di alto coinvolgimento,
infatti, la customer loyalty riduce il rischio di dover investire in un
nuovo processo di scelta (complesso); anche se proprio l'elevato
coinvolgimento non consente di considerare la fiducia accumulata
nelle prime fasi della relazione sufficiente ad adottare
48
Un modello dinamico di customer loyalty
comportamenti di riacquisto abitudinari. Al tempo stesso, poi, una
relazione leale riduce gli effetti di eventuali fenomeni di dissonanza
cognitiva, frequenti in condizioni di alto coinvolgimento ma di
modesta differenziazione percepita fra le offerte alternative.
Per ciascuna delle variabili identificate, pertanto, sarà opportuno
formulare un’ulteriore proposizione di ricerca che ne evidenzi il
possibile ruolo di “mediazione” sulle connessioni causali ipotizzate
nel modello, e sulla loro sequenza temporale; sulla base di tali
proposizioni, infine, sarà possibile condurre indagini empiriche
volte a verificare la validità nomologica del modello.
5. Le implicazioni manageriali
La maggior parte dei programmi di customer loyalty attualmente
adottati dalle imprese sembrano finalizzati a incentivare la
ripetizione degli acquisti (Hart, Smith, Sparks e Tzokos 1999).
Molte imprese, poi, investono in misura significativa sulle
politiche di lock in (Shapiro e Varian, 1999), al fine innalzare i
costi di eventuali cambiamenti di fornitore o di marca. Dal modello
di comportamento del cliente descritto nel paper, invece, consegue
un nuovo, diverso approccio al loyalty management. Le politiche di
lock in e le promozioni "fedeltà" (Mauri, 1998), infatti, non
consentono di sviluppare il potenziale detenuto dalle relazioni con i
clienti; né si può sostenere che si tratti di forme promozionali
idonee ad accrescere il valore aziendale derivante da relazioni
stabili e collaborative (Busacca, 1997; Prandelli e von Krogh,
1999).
Le implicazioni manageriali del modello dinamico di customer
loyalty riguardano sia le politiche che le operation delle relazioni
con i clienti. L'impresa, infatti, dovrebbe anzitutto esaminare lo
stato delle proprie relazioni e successivamente definire gli obiettivi
"relazionali" e i programmi più adeguati al loro raggiungimento. Ed
è evidente, al riguardo, che l'obiettivo customer loyalty dovrebbe
essere posto anzitutto per i segmenti di clientela a più elevato
valore attuale e potenziale, anche in considerazione del fatto che
non tutte le relazioni debbano avere natura evolutiva. Il valore
potenziale, peraltro, è da intendersi non solo nella logica dei flussi
- di ricavo o di cassa - da attualizzare, ma soprattutto nella
49
Michele Costabile
prospettiva delle opportunità di crescita che la relazione può offrire
all'impresa: sviluppo commerciale, delle risorse di fiducia e delle
conoscenze.
Le principali categorie di implicazioni derivanti dall'analisi e
dall'applicazione del modello proposto sono, pertanto,
riconducibili:
 alla necessità di governare le diverse dimensioni che





costituiscono la customer loyalty, non limitandosi a incentivare
il riacquisto basato sulle convenienze di breve periodo, ma
tentando di agire anche sulla percezione del valore e sulla
favorevole valutazione dell'equità delle ragioni di scambio;
alla necessità di adottare adeguati sistemi di misurazione, con
scale (batterie di item) idonee a cogliere lo stato delle relazioni e
il loro percorso evolutivo, dalla customer satisfaction alla
customer loyalty;
all'utilità di politiche di segmentazione del portafoglio-clienti
idonee a valorizzare le relazioni - non tutte le relazioni con i
clienti hanno valore - considerando anche le dimensioni
immateriali dei processi di scambio, e quindi assumendo la
prospettiva co-evolutiva delle risorse di fiducia e di quelle di
conoscenza;
all’opportunità di gestire il portafoglio di relazioni,
caratterizzate da differenti stadi del ciclo vitale e, quindi, da
diverse aspettative nei confronti dell'impresa e delle sue
iniziative commerciali;
alla opportunità di segmentare i clienti anche in funzione del
ciclo di vita della relazione, e di differenziare conseguentemente
gli investimenti per il loro consolidamento (barriere allo
switching, customer satisfaction, potenziamento del valore,
comunicazioni sull'equità, programmi di value sharing, e così
via);
alla necessità di potenziare l'efficacia degli strumenti di
supporto alla gestione delle relazioni con i clienti, a partire dai
sistemi di customer profiling e da quelli di misurazione della
customer equity (tangibile e intangibile, attuale e potenziale),
fino all'adeguamento dei customer database. Il tutto finalizzato
alla realizzazione di investimenti in customer loyalty coerenti
50
Un modello dinamico di customer loyalty
con le prospettive di ritorno economico, e all’ampliamento del
dominio organizzativo delle relazioni con i clienti, integrando
le funzioni di customer care e quelle del convenzionale
marketing management.
Governare un portafoglio-clienti è certamente complesso e
costoso, soprattutto sotto il profilo organizzativo. L'evoluzione dei
processi di scambio, tuttavia, non offre alternative. Lo sviluppo
pervasivo delle regole dell'economia digitale, infatti, rende le
relazioni con i clienti l'unica, vera fonte del valore aziendale. A
patto, però, che si tratti di relazioni tendenzialmente stabili e
soprattutto idonee allo sviluppo di processi co-evolutivi e di
sperimentazione, dei prodotti e dei processi dell'impresa. Un valore,
questo, che solo le relazioni di vera loyalty possono offrire.
51
Michele Costabile
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