Affitto d`azienda nel fallimento - ordine dei dottori commercialisti e

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ISSN 0391-5239
Annata LXXXV
Maggio-Agosto 2010
N. 3-4
N. 2 - 2010 — I L D I R I T T O F A L L I M E N T A R E — Annata LXXXV
dir. fall.
RIVISTA BIMESTRALE DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA
già diretta da ITALO DE PICCOLI (1924-1940), RENZO PROVINCIALI (1941-1981),
ANGELO BONSIGNORI (1982-2000) e GIUSEPPE RAGUSA MAGGIORE (1982-2003)
DIREZIONE
Girolamo Bongiorno, Concetto Costa,
Massimo Di Lauro, Elena Frascaroli Santi, Lino Guglielmucci,
Bruno Inzitari, Giuseppe Terranova, Gustavo Visentini
estratto
CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI - PADOVA - 2010
Prezzo A 36,00
L’AFFITTO DI AZIENDA
STIPULATO PRIMA DELLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
di
Riccardo Rossi (*)
Sommario: 1. Profili sistematici e funzionali dell’affitto di azienda nel nuovo sistema concorsuale. – 2. Il problema delle autorizzazioni. – 3. Il fallimento del locatore. Il contenuto e l’esecuzione del contratto pendente. – 4. Segue. Il diritto di prelazione nell’acquisto. – 5. Il diritto
di recesso. La determinazione dell’equo indennizzo. – 6. Segue. Il problema dell’avviamento
e delle differenze di inventario. – 7. La prospettiva dell’azione revocatoria. – 8. La retrocessione dell’azienda. La disciplina dei contratti pendenti. – 9. Il fallimento dell’affittuario.
1. Profili sistematici e funzionali dell’affitto di azienda nel nuovo sistema
concorsuale. – Oltre che ridefinire il contenuto di gran parte delle norme già
comprese nella Sezione IV, Capo III, Titolo II della legge fallimentare, il
legislatore della riforma ha ampliato la gamma dei modelli negoziali soggetti
alla disciplina dei rapporti pendenti alla data di dichiarazione del fallimento, assorbendo nel relativo contesto normativo ulteriori fattispecie contrattuali tipiche dell’esercizio dell’impresa commerciale. Fra queste – per l’incontestabile rilevanza funzionale acquisita in virtù di una pregressa e diffusa
utilizzazione pratica, ma anche per la valenza sinergica e strategica rivestita
nell’ambito del nuovo impianto sistematico dedicato all’amministrazione
dell’attivo fallimentare – spicca l’istituto dell’affitto di azienda.
Se si eccettua l’indiretto richiamo contenuto nell’art. 42 del d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (c. d. Prodi bis) – il quale prevede, con riferimento alla
procedura di amministrazione straordinaria, l’autorizzazione del Ministero
dell’Industria per gli atti di affitto di azienda o di rami aziendali (1) – tale
(*) Professore Associato di Diritto Fallimentare presso la Seconda Università degli Studi
di Napoli.
(1) Con ciò riconoscendo espressamente, vista la indiscutibile rilevanza pratica di questo
strumento locativo, la piena legittimità del suo utilizzo nell’ambito di un modello concorsuale
improntato a finalità di conservazione e/o di ristrutturazione dei valori aziendali. Sul punto,
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pur ricorrente fenomeno della gestione imprenditoriale non aveva finora ricevuto un compiuto ed espresso riconoscimento da parte dell’ordinamento
concorsuale (2); tanto da lasciar affermare che la sua consacrazione nell’alveo del riformato diritto fallimentare testimonierebbe l’abbandono, da parte del legislatore, della linea di «agnosticismo normativo» che aveva caratterizzato, in proposito, il R.D. 16 marzo 1942, n. 67 (3).
Linea seguita senz’altro a causa di una insufficiente sensibilità giuridica
verso l’azienda come bene in quanto tale, cioè come insieme di cespiti e valori
complessivamente suscettibili di un’autonoma e specifica valutazione economico – patrimoniale nell’ambito di una procedura concorsuale (4). Ma anche
favorita, a mio parere, dal pregiudizio liquidatorio che informava in quel periodo gran parte delle elaborazioni dedicate alla materia, dove l’analisi dei singoli istituti, e in particolare del fallimento, implicava e, al tempo stesso, rifletteva un quadro sostanziale di riferimento dominato per un verso dalla chiusura irreversibile dell’attività di impresa e dalla conseguente dispersione dei
suoi valori attivi, per l’altro dalla conseguente «demonizzazione» postuma
di ogni forma di azione imprenditoriale che si fosse discostata dalla sostanziale afasia pretesa dalla legge fallimentare al fine di garantire, nella prospettiva
di una alienazione concorsuale, l’assoluta intangibilità di tali valori.
La duplice cornice sistematica predisposta dalla riforma per l’affitto di
azienda – regolato ora sia quale possibile fattispecie preesistente all’apertura
del concorso, sia come peculiare strumento di liquidazione «programmata»
o «riallocativa» dell’attivo, concorrente ex artt. 104 e 104 bis legge fallim.
con la soluzione alternativa dell’esercizio provvisorio (5) – risulta, invece,
cfr. Panzani, L’esecuzione del programma: vendita ed affitto di azienda, in Il fallimento e le
altre procedure concorsuali, diretto da L. Panzani, Torino 2002, 334 segg.
(2) Il problema della compatibilità con la specifica procedura di fallimento, positivamente risolto dalla prassi, ha, d’altro canto, trovato un riscontro legislativo solo grazie ad alcune
norme riguardanti le prelazioni legali riservate agli affittuari di aziende in crisi nell’ipotesi di
vendita coattiva, ed in particolare dall’art. 3, comma 4, della legge 23 luglio 1991, n. 223. Ma
v. anche, in senso analogo, l’art. 14, comma 2, della legge 27 febbraio 1985, n. 49; nonché
l’art. 3, comma 6, della legge 25 febbraio 1987, n. 67, 1987 relativo all’acquisto di testate giornalistiche per l’eliminazione di una posizione dominante nel mercato.
(3) Cosı̀ F. Fimmanò, Gli effetti del fallimento sull’affitto di azienda preesistente, in Contratti in esecuzione e fallimento. La disciplina dei rapporti pendenti nel nuovo diritto concorsuale, a cura di F. Di Marzio, Milano, 2007, 228.
(4) Cfr. Art. 80 bis. Contratto di affitto di azienda, commento di A. Giovetti, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio, Bologna, 2006, I, 1289.
(5) Sul punto, v. A. Paciello, L’affitto di azienda, in Diritto fallimentare. Manuale breve, 331, con definizione riferita dell’esercizio provvisorio; ma tranquillamente estendibile anche all’affitto di azienda; Fimmanò, L’affitto endofallimentare dell’azienda, in Dir. Fall., 2007,
I, 437 segg.; nonché Art. 104. Esercizio provvisorio dell’impresa del fallito; Art. 104 bis. Affitto
dell’azienda o di rami dell’azienda, commento di F. Fimmanò, in Il nuovo diritto fallimentare,
cit., Bologna, 2007, 1576 segg. e 1618 segg., in particolare 1624.
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del tutto funzionale al chiaro revirement posto in essere dal legislatore in
ordine alla ratio ispiratrice dell’attività liquidativa, il cui oggetto, ai sensi
del novellato art. 105 legge fallim., può consistere nei singoli beni – cioè nella c.d. vendita «a stralcio» – soltanto ove sia prevedibile che la dismissione
dell’intero complesso aziendale o di suoi rami non permetta una maggiore
soddisfazione dei creditori (6).
La consacrazione dell’istituto de quo sul piano della disciplina concorsuale positiva non può, dunque, intendersi esclusivamente come il dovuto
ma anodino riconoscimento normativo di una consuetudine operativa
aziendale già invalsa tanto presso gli imprenditori ancora in bonis che nell’ambito applicativo dei modelli previsti dalla legge fallimentare (7). La rilevante posizione strategica che il legislatore gli ha riservato nel nuovo contesto funzionale della procedura di fallimento finisce, infatti, per attribuirgli
un profilo strutturale del tutto autonomo ed originale rispetto alle altre figure contrattuali considerate dalla sezione dedicata ai rapporti giuridici
preesistenti; tanto da esigere, per chi voglia tentare la ricostruzione critica
della relativa disciplina, il ricorso a canoni interpretativi radicalmente diversi da quelli finora utilizzati per renderne compatibili gli effetti con il fenomeno della crisi di impresa.
Sotto questo profilo, si deve invero rilevare come alcuni commenti dedicati all’argomento in esame, dilungandosi sulla configurazione dell’affitto
di azienda nel previgente sistema concorsuale – segnatamente sulla scelta
che prima si poneva, con specifico riferimento ai contratti pendenti nell’ipotesi di fallimento del locatore dell’azienda, tra a) l’applicazione analogica
delle vecchie disposizioni sul contratto di locazione di immobili; b) il richiamo alla disciplina della sospensione in attesa dell’eventuale opzione del curatore e c) lo scioglimento automatico (8) – tendano poi a seguire un percorso analitico tracciato secondo coordinate concettuali ormai in larga misura
superate.
Tali elaborazioni affrontano, in effetti, la disamina dei contratti conclusi
(6) Concordano sul carattere residuale della liquidazione «a stralcio» Fimmanò, L’affitto endofallimentare..., cit., 439, nonché, riferendosi tuttavia più esplicitamente ad una prospettiva di vero e proprio risanamento dell’azienda o dei suoi rami, A. Genovese, Effetti
del fallimento sui contratti in corso di esecuzione. Prime considerazioni sulle novità della riforma, in Dir. Fall., 2006, I, 1137.
(7) In ordine all’utilizzo dell’affitto di azienda con finalità di gestione e amministrazione
dell’attivo concorsuale, cfr., per tutti, Fimmanò, L’affitto endofallimentare..., cit., 438, ed in
particolare la giurisprudenza e la dottrina citate alla nota 4.
(8) Cfr. le ricostruzioni di Fimmanò, Gli effetti del fallimento sull’affitto di azienda preesistente, cit., 226 segg.; di Giovetti, cit., 1289 segg. e di F. Dimundo, La sorte dei contratti
pendenti. Contratti che continuano salva diversa decisione del curatore, in Il diritto fallimentare
riformato, a cura di G. Schiano Di Pepe, Padova, 2007, 259 segg.
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su impulso degli organi della procedura, ai sensi dell’art. 104 bis legge fallim., rilevando puntualmente i principi di tutela dinamica del valore aziendale che informano adesso la disciplina dell’amministrazione e della liquidazione della massa attiva. Dall’analisi dedicata a quelli stipulati prima della
dichiarazione di insolvenza, non sarebbe, invece, scorretto trarre l’impressione che tale fattispecie negoziale debba tuttora intendersi come fenomeno
di natura straordinaria, sostanzialmente impermeabile all’attuale favor sistematico verso la conservazione e la continuazione dell’attività di impresa anche in ambito concorsuale (9); e non quale perno funzionale destinato a rappresentare tout court, unitamente al menzionato omologo endofallimentare,
una normale modalità di amministrazione dell’attivo. Cioè una soluzione
che la riforma ha chiaramente posto da un lato in correlazione competitiva
con l’istituto dell’esercizio provvisorio di cui all’art. 104 legge fallim. (10),
dall’altro in alternativa finalistica alle forme di liquidazione orientate verso
la vendita di singoli beni.
Oltre che obbligata a tenere nel debito conto argomentativo la fondamentale novità della espressa previsione di cui all’art. 79 legge fallim.,
(9) Emblematica di tale impostazione pregiudiziale appare l’affermazione secondo la
quale, atteso il permanente carattere liquidatorio del fallimento, la scelta normativa del legislatore della riforma in ordine agli eventuali contratti di affitto pendenti dovrebbe ritenersi
ispirata più che altro alla disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese
in stato di insolvenza, dove la prosecuzione delle attività imprenditoriali in capo agli organi
della procedura, finalizzata alla realizzazione del programma di risanamento, rappresenterebbe la regola e non l’eccezione (cosı̀ Giovetti, cit., 1292). A tal proposito, si deve tuttavia
tenere presente che la prosecuzione dell’attività imprenditoriale mediante l’affitto di azienda,
non importa se già pendente alla data del fallimento medesimo ovvero disposta successivamente dagli organi concorsuali, non esige affatto un preteso fine risanatorio dei modelli previsti dal riformato R.D. n. 267/42, che non hanno certo lo scopo istituzionale di tendere al
recupero della redditività e dell’equilibrio finanziario dell’impresa. D’altro canto, se è vero
che la procedura fallimentare ha conservato la propria connotazione liquidatoria anche a seguito della riforma, appare non meno evidente come quest’ultima abbia in realtà profondamente mutato i principi e gli obiettivi che presiedono all’attività di amministrazione e di liquidazione della massa attiva (sul punto, con specifico riferimento al concordato preventivo
e, dunque, in una prospettiva che vale a fortiori per il fallimento, cfr., se vuoi, R. Rossi, Crisi,
insolvenza e ristrutturazione dell’impresa nella nuova legge fallimentare, in Riv. dir. impresa,
2007, I, 158 segg.). La soluzione in esame, se realizzata nell’ambito del fallimento, tende in
realtà a soddisfare quelle esigenze sistematiche di protezione delle residue ricchezze dell’impresa che pervadono ormai l’intero impianto della legge fallimentare, dai modelli di ristrutturazione previsti dagli artt. 67 e 182 bis fino al concordato di cui all’art. 124, nel cui ambito
può non a caso ritenersi pienamente realizzabile, pur nella comprovata esclusione di un fine
risanatorio normativamente predeterminato, addirittura la conservazione produttiva di alcune parti dell’impresa, in un’ottica di continuazione dell’attività, attraverso l’istituto della destinazione patrimoniale di cui agli artt. 2447 bis segg. cod. civ. (arg. da G. Guizzi, Patrimoni
destinati e crisi societarie, in Riv. dir. comm., 2007, I, 776 segg.).
(10) Cfr. Paciello, cit., 336 segg.
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una ricostruzione dell’istituto in esame coerente con il nuovo ordinamento
della crisi di impresa esigerebbe dunque, in tal senso, anche la considerazione di una ulteriore prospettiva analitica. Dalla tendenziale omogeneità funzionale che si realizza, soprattutto nell’economia della procedura riguardante il dissesto di colui che ha affittato l’azienda ovvero un ramo di essa, tra il
c.d. affitto endofallimentare e quello risalente ad una determinazione dell’imprenditore in bonis, finisce infatti per derivare, fra l’altro, la notevole
riduzione di quella distanza ermeneutica e, direi, anche «politica» che prima implicava per i due modelli un trattamento tale per cui mentre il primo
– godendo peraltro di un diffuso favor giurisprudenziale – veniva ritenuto
una opzione gestionale legittimamente praticata, di fatto, dagli organi concorsuali, il secondo era, molto spesso, ricondotto a pretese finalità di pregiudizio, se non di vera e propria frode, in danno dei creditori (11).
In un ordinamento dominato esclusivamente dall’assioma liquidatorio,
cioè insensibile a qualsivoglia ipotesi di continuazione «programmata» o
«riallocativa» dell’attività di impresa diversa dal canonico e circoscritto fenomeno dell’esercizio provvisorio, ovvero da soluzioni gestorie comunque
concepite e realizzate in ambito strettamente endoconcorsuale, l’impatto
sul fallimento del locatore di un contratto di affitto pendente non poteva,
in realtà, che sollecitare, impedendone legittimamente l’immediata ed incondizionata acquisizione all’attivo, implicazioni di ordine sanzionatorio
fondate sull’alternativa secca tra presenza e assenza nel patrimonio del fallito del cespite aziendale da destinare, previa cessazione dell’attività produttiva e separata valutazione delle relative componenti patrimoniali, alla
futura liquidazione concorsuale. Con il conseguente e, per certi versi,
automatico corollario di ricollegare comunque a quella «assenza» – prescindendo spesso dall’analisi degli effettivi valori in giuoco e dei risultati
reddituali dell’impresa – a volte lesioni suscettibili di tutela ex art. 67 legge
fallim., a volte addirittura intenti distrattivi punibili ai sensi dell’art. 216,
n. 1, legge fallim. (12).
La «normalizzazione» positiva dell’istituto, conseguente all’intervento
(11) V. G. Schiano Di Pepe, La circolazione dell’azienda in un contesto di procedure
concorsuali, in Dir. fall., 2009, 6, 813. Cfr., altresı̀, L. D’Orazio, Il nuovo diritto fallimentare,
Roma, 2007, 226. Sulle possibili configurazioni di un utilizzo effettivamente strumentale del
contratto in esame, v. L. Gualandi, Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti,
in AA.VV., Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2007, 261; nonché Fimmanò, La crisi
delle società di calcio e l’azienda sportiva, in Dir. fall., I, 2006, 30.
(12) Peraltro, tali implicazioni si sono spesso manifestate in chiave del tutto indipendente
rispetto alle parallele facoltà, concesse al curatore per via giurisprudenziale, di sciogliersi dal
contratto di affitto in applicazione analogica del previgente art. 72 legge fallim., ovvero di
esercitare il recesso nelle ipotesi in cui si fosse optato per la continuazione automatica ai sensi
del vecchio art. 80 legge fallim. Per una esauriente disamina della precedente disciplina del-
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di riforma (13), dovrebbe aver notevolmente compresso gli spazi per un utilizzo acritico e non selettivo di tale impostazione discriminatoria, richiedendo quanto meno che i termini dell’eventuale contratto di affitto pendente
alla data della dichiarazione di fallimento vengano, d’ora in poi, attentamente ponderati caso per caso, alla luce del collegamento funzionale tra
il suo reale contenuto, le effettive condizioni economico – patrimoniali
del complesso aziendale e le prospettive della auspicata liquidazione in
blocco (14). E ciò non solo al fine di tarare più equamente il sistema di rea-
l’affitto di azienda pendente, cfr. anche, oltre agli Autori citati alla nota 8, R. Vigo, Effetti del
fallimento del locatore sull’affitto di azienda, in Giur. comm., 1998, I, 80 segg.
(13) Già rilevata correttamente, in termini di riconoscimento della liceità della concessione in affitto dell’azienda, da M. Fabbrini, Note sopra una ipotesi di bancarotta fraudolenta per
distrazione di beni dovuta ad affitto di azienda precedente al fallimento, nota a Tribunale Siena,
2 luglio 2004, in Dir. Fall., 2006, II, 220; ed altresı̀ definita, in analoga prospettiva, come vera
a propria «benedizione normativa» da M.C. Giorgetti-F. Clemente (a cura di), La legge
fallimentare commentata. Linee interpretative e profili operativi dopo gli interventi di riforma,
Milano, ed. Franco Angeli, 2008, 239.
(14) Nel complesso, va detto che la giurisprudenza penale in materia di contratti di affitto di azienda pendenti alla data del fallimento non ha mostrato un atteggiamento radicalmente ostile ad una configurazione evolutiva dell’istituto nell’ambito della gestione dell’impresa in crisi. In un primo tempo, i giudici, sia di legittimità che di merito, hanno effettivamente stigmatizzato tale soluzione in termini del tutto negativi. La cassazione è arrivata a sostenere la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, addirittura a prescindere dall’entità e dal pagamento dei canoni promessi, qualora fosse stato stipulato un
contratto di locazione allo scopo allo scopo di «trasferire» i beni aziendali in previsione
del fallimento; prospettando dunque una ricostruzione dove l’affitto viene a priori considerato uno strumento giuridico idoneo a favorire la distrazione di beni dalla massa attiva (v.
Cassazione pen., Sez. V, 6 dicembre 1993, n. 11207). Alcune Corti di merito hanno seguito
la medesima impostazione, ritenendo in particolare che l’affitto può costituire una sottrazione
all’attivo fallimentare del patrimonio aziendale poiché rende più costoso, sia sul piano materiale che su quello giuridico, il recupero dei beni e di eventuali crediti; nonché meno vantaggiosa qualsiasi operazione di vendita o di diversa utilizzazione (cosı̀ Tribunale Bologna, Sez. I,
8 aprile 2004, il quale, prescindendo totalmente dalla pur diffusa fattispecie dell’imprenditore
in crisi che tenta il risanamento mediante una diversa configurazione imprenditoriale dei propri complessi aziendali, individuava acriticamente la prova della concreta sottrazione, e dunque la sussistenza del dolo, nella circostanza che la società che aveva stipulato il contratto in
qualità di affittuaria era controllata dal locatore).
Più attenta alla fisionomia sostanziale di tale fenomeno locativo e, direi, anche più sensibile alla sua specifica valenza risanatoria nell’ambito di una situazione di crisi dell’impresa, si
è mostrata invece la giurisprudenza di legittimità, quando ha, ad esempio, ritenuto che ai fini
del reato di cui all’art. 217, comma 1, n. 2 legge fallim. – cioè del reato di bancarotta semplice
dovuta al compimento di operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti – devono
intendersi di «pura imprudenza» quelle operazioni caratterizzate da alto grado di rischio, prive di serie e ragionevoli prospettive di successo economico, le quali, avuto riguardo alla complessiva situazione dell’impresa, ormai votata al dissesto, hanno il solo scopo di ritardare il
fallimento. Nella specie, è stata ritenuta gravemente imprudente, e dunque censurata secondo
i canoni del più tenue reato di bancarotta semplice, la locazione di un’intera azienda in favore
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zione contro possibili fattispecie di carattere illecito, ma anche riguardo all’analisi in termini di cheks and balances necessaria ai fini dell’opzione tra
recesso e continuazione del rapporto.
Tuttavia, nella misura in cui ne riconosce la natura fisiologica in relazione all’ordinario svolgimento dell’attività dell’impresa in crisi, e quindi il carattere autonomo rispetto ad ogni preteso archetipo rintracciabile nella disciplina fallimentare dei contratti pendenti, questa nuova fisionomia sistematica finisce, inevitabilmente, per esigere anche un più alto grado di coesione ermeneutica con alcuni profili di ordine tecnico – economico che regolano in concreto l’utilizzo dell’affitto di azienda.
Diversi, infatti, risultano i presupposti di fatto e gli obiettivi caratterizzanti la scelta della curatela di non esercitare il diritto di recesso a seconda
che si tratti del fallimento del locatore ovvero di quello dell’affittuario (15).
Nel primo caso, prescindendo dall’ipotesi, che ritengo invero assai marginale, di una opzione dettata esclusivamente dall’entità del canone di affit-
di altra società che non offriva serie garanzie di solvibilità, e addirittura per un canone locativo di gran lunga inferiore al valore dei beni locati (cfr. Cassazione pen., 4 aprile 2003, n.
24231). Analoga considerazione per l’attività dell’impresa si può rilevare in quei giudici di
merito (Tribunale Siena, 2 luglio 2004, in Dir. fall., 2006, II, 218) per i quali la concessione
da parte di un imprenditore della propria azienda in affitto nel periodo antecedente il fallimento non integra gli estremi del reato di bancarotta per distrazione, in quanto l’operazione,
piuttosto che provocare un danno alla massa dei creditori depauperando il patrimonio sociale, ha l’opposta funzione conservativa di permettere l’utilizzazione del materiale semilavorato
e continuare la produzione dei beni.
Eppure, nonostante tale chiara tendenza a ridefinire in senso meno punitivo ed apodittico le coordinate per l’inquadramento penale dell’istituto, ed altresı̀ nonostante il notevole
valore argomentativo di pronunce orientate ad estendere alle potenziali fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione la clausola dei «vantaggi compensativi» prodotti dall’atto
censurato nell’ambito dell’organizzazione dell’impresa (cfr. Cassazione pen., sez. V, 24 maggio 2006, con nota adesiva di C. Benussi, La Cassazione ad una svolta: la clausola dei vantaggi
compensativi è esportabile nella bancarotta per distrazione, in Rivista Italiana di diritto e procedura penale, 2007, 421 segg.), una magistratura di merito ha di recente riproposto la configurazione acritica dell’affitto di azienda in termini di spoliazione del patrimonio aziendale,
negando in particolare che esso rispondesse ad esigenze lecite dell’impresa, per quanto ne
fosse ormai comprovato lo stato di dissesto (v. Tribunale Roma, G.I.P., Uff. 40, 4 giugno
2007). Potrebbero, quindi, esservi valide ragioni per non escludere che, nonostante la sistemazione positiva ricevuta dall’istituto, in virtù dell’art. 80 (ora 79) legge fallim., anche in riferimento alla fase gestionale antecedente alla dichiarazione di insolvenza, in futuro l’affitto di
azienda da parte di una impresa poi dichiarata fallita continui in ogni caso a rappresentare,
per la magistratura inquirente, un illecito penale; e ciò anche se la riforma ha introdotto la
possibilità di recesso da parte del curatore, e dunque eliminato ogni preteso ostacolo alla immediata apprensione dei beni alla massa attiva (cfr. Fabbrini, Note sopra una ipotesi di bancarotta..., cit., 223 segg.).
(15) Resta fermo, ovviamente, che l’altra parte può comunque sciogliersi dal contratto
entro il termine di sessanta giorni previsto dalla legge.
Parte I - Dottrina
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to e dalla conseguente prospettiva di un flusso finanziario periodico a favore della massa, la prosecuzione automatica del rapporto disposta dall’art. 79
legge fallim. potrà, in larga parte dei casi, trovare valido fondamento in effettive esigenze di tutela dei valori immateriali e della potenzialità dinamica
del complesso aziendale locato, onde poterne più utilmente, ed in un minor
tempo, disporne poi la vendita in blocco.
Nel medesimo contesto analitico, potrebbe, d’altro canto, apparire non
secondaria l’ulteriore valutazione comparativa dei costi di gestione destinati
a gravare sulla procedura quando sia prevedibile che la retrocessione dell’azienda implichi automaticamente la necessità di disporre l’esercizio provvisorio. Come pure è possibile che la curatela debba anche considerare l’eventualità che un terzo imprenditore sia interessato ad assumere la posizione di affittuario stipulando direttamente con la massa, a condizioni più vantaggiose, un nuovo contratto di affitto.
Peraltro, qualora l’affitto sia stato utilizzato dall’imprenditore in bonis
come intervento di ristrutturazione orientato a superare uno stato di crisi,
ai fini della determinazione di continuare o meno il rapporto ex art. 79 legge fallim. potrebbe risultare significativa, in chiave propedeutica ad una
possibile acquisizione, l’ulteriore circostanza che l’affittuario, quando non
possieda già una relativa conoscenza delle relative potenzialità economico-produttive, orienterebbe meglio le proprie decisioni grazie alla diretta
e continua attività di gestione del complesso aziendale (16).
Valutazioni del tutto differenti devono, invece, orientare la scelta
quando sia la curatela del fallimento dell’affittuario a dover decidere se
interrompere il rapporto. Tuttavia, non potendosi qui fondatamente
adombrare, in ordine all’azienda data in affitto, alcuna ipotesi di coordinamento funzionale tra prosecuzione della gestione, amministrazione dell’attivo e criteri della liquidazione fallimentare; tali valutazioni riguarderanno soprattutto il ruolo strategico e il rilievo strutturale rivestiti dall’azienda stessa nell’alveo dell’impresa esercitata dall’affittuario, i quali potrebbero rendere opportuna o addirittura indispensabile, nell’interesse
dei creditori, una pur limitata estensione temporale del ciclo produttivo
anche in sede concorsuale (17).
Occorre, altresı̀, ricordare che spesso l’affittuario non tiene in esclusiva
o primaria considerazione la redditività derivante dallo specifico complesso
aziendale oggetto del contratto, ma persegue piuttosto il fine di realizzare
un modello di integrazione produttiva, dove l’attività dei complessi azienda-
(16) V. R. Perrotta, L’affitto di azienda. La disciplina fiscale del conferimento, Milano,
2007, 4 segg.
(17) In senso analogo, cfr. anche Paciello, cit., 352.
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li già esistenti nell’ambito della propria impresa si combina in chiave funzionale con quella relativa all’azienda acquisita in locazione (18).
Per altro verso, anche il problema dell’ammontare del canone di affitto,
soprattutto se analizzato nella prospettiva concorsuale della crisi di impresa,
potrebbe rivestire in alcune ipotesi un significato piuttosto relativo. Se si
guardano gli obiettivi sostanziali privilegiati dalla riforma, sono in realtà
le prospettive strategiche di liquidazione e le disponibilità finanziarie della
procedura a determinare, assieme all’effettiva situazione economico-patrimoniale e produttiva dell’azienda, se e quanto sia possibile seguire, nella determinazione del corrispettivo, un criterio di tendenziale aderenza al valore
dei beni locati ed al prevedibile reddito della gestione; o se non si debba, al
contrario, fissare necessariamente un importo del tutto simbolico qualora
l’interesse del locatore riguardi soltanto la prosecuzione dell’attività di impresa tout court (19). Tali considerazioni valgono ora, naturalmente ceteris
paribus, sia con riferimento al c.d. affitto endoconcorsuale, sia nel caso di
affitto stipulato prima della procedura medesima, la quale – allo scopo di
preservare il valore di funzionamento dell’intero complesso aziendale e di
conseguire, eventualmente, un flusso di cassa anche minimo (20) – potrebbe
comunque avere anch’essa un esclusivo interesse alla prosecuzione dell’attività aziendale in capo all’affittuario ex art. 79 legge fallim. (21).
(18) Cfr. Perrotta, cit., 4.
(19) Cfr. A. Danovi, Fallimento, valutazione e affitto di azienda, in Riv. dott. comm.,
2000, 513 segg., il quale contempla, in questa specifica ipotesi, anche l’eventualità che l’importo del canone assuma segno negativo; cioè che debba, in sostanza, essere lo stesso locatore
a corrispondere una somma all’affittuario.
(20) Flusso che tuttavia, per quanto autorevolmente ricondotto, in passato, ad un preteso carattere liquidativo del contratto di affitto di azienda (v., per tutti, A. Bonsignori, Liquidazione dell’attivo, in Commentario Scialoja-Branca - Legge fallimentare, Bologna-Roma,
1976, sub art. 104, 33; A. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974,
1598; nonché F. Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile, II ed., Padova, 1931,
221 segg.) non può mai essere definito come il risultato diretto di una forma, seppur atipica,
di liquidazione del patrimonio fallimentare, essendo il contratto medesimo preordinato, soprattutto se posto in essere dalla procedura – ma, riterrei, anche se oggetto di continuazione
in quanto rapporto pendente – più che altro a risolvere problemi di custodia e di mantenimento dell’organizzazione imprenditoriale (cfr., sul punto, A. Bassi, Riflessioni sull’affitto di
azienda e sull’affitto di opificio nel fallimento, in Riv. dir. civ., 1982, 334). Nell’ipotesi in cui
risulti possibile sanare il passivo mediante i canoni – eventualità che alcuni hanno, invero,
considerato puramente teorica e marginale (v. Bassi, cit., 334) – parlerei piuttosto di una modalità satisfattiva per i creditori alternativa alla soluzione della vendita tout court.
(21) Danovi, cit., 513, segnala opportunamente alcuni casi concreti, emblematici di come il canone di affitto possa essere fissato in modo del tutto simbolico in caso di perdite d’esercizio, ovvero legato ad elementi di natura variabile, cioè composto da una parte fissa ed
una percentuale del fatturato, o ancora ad un fattore di ordine squisitamente aleatorio quale
l’utile lordo dell’ultimo anno.
Parte I - Dottrina
379
Appare evidente come questi indiscutibili dati sostanziali finiscano, ora,
per rappresentare altrettanti punti di riferimento ermeneutico indispensabili per configurare esattamente, dal punto di vista concorsuale, larga parte
dei profili sistematici e dei canoni applicativi dell’istituto in esame. In particolare, i parametri di valutazione che dovrebbero orientare le scelte della
curatela, lo spazio riservato all’eventuale intervento autorizzativo di altri organi concorsuali, la peculiare disciplina del fallimento dell’affittuario, i presupposti per l’esercizio delle azioni revocatorie, l’esercizio del diritto di recesso ed i criteri per la determinazione dell’equo indennizzo, il problema
dell’estensione al contratto di affitto pendente delle tutele, delle franchigie,
dei controlli e degli oneri espressamente sanciti dalla legge per quello stipulato su iniziativa degli organi della procedura.
2. Il problema delle autorizzazioni. – Disponendo testualmente che «il
fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto di azienda»,
la norma svela all’analisi dell’interprete un carattere rigorosamente oggettivo, nel senso che l’apertura del concorso deve ritenersi, ex lege, di per sé
inidonea a produrre alcuna modificazione in ordine ai relativi rapporti ed
obblighi (22): essi potranno, infatti, venire meno esclusivamente qualora
una delle parti manifesti espressamente, con le modalità previste dall’art.
79, comma 2, legge fallim., la volontà di recedere (23).
(22) L. Mandrioli, Il contratto di affitto di azienda, in S. Bonfatti-L. Panzani (a cura
di), La riforma organica delle procedure concorsuali, Milano, IPSOA, 2008, 288, osserva che
nel preferire all’automatico scioglimento la prosecuzione del contratto, in teoria fino al termine fisiologico previsto per la sua esecuzione, la riforma ha inteso di privilegiare, anche nell’ambito della più radicale risposta concorsuale alla crisi dell’impresa – cioè quella dell’esecuzione collettiva secondo le regole della procedura di fallimento – il principio di sopravvivenza
e di conservazione dell’impresa.
(23) La soluzione della prosecuzione automatica del contratto di affitto preesistente –
con gli obblighi, gli oneri, le facoltà, le azioni e le preclusioni che ne derivano per le parti
– deve, ovviamente, intendersi funzionalmente legata alla sua legittima opponibilità alla procedura fallimentare. In caso contrario, infatti, il curatore potrebbe optare per lo scioglimento
in applicazione dell’art. 45 legge fallim., il quale dispone l’inopponibilità al concorso per quegli atti in ordine ai quali non siano state rispettate, prima della sentenza ex art. 16 legge fallim., le formalità imposte per rendere opponibile l’atto ai terzi. In proposito, va innanzitutto
ricordato che ai sensi dell’art. 2556 cod. civ. i contratti aventi ad oggetto il godimento dell’azienda, e dunque anche il contratto di affitto, devono essere provati per iscritto – salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono
l’azienda medesima – nonché depositati, in forma di scrittura privata autenticata ovvero di
atto pubblico, all’iscrizione presso il registro delle imprese. Dunque, in ordine alla ipotesi della successione di diversi atti traslativi, si deve ritenere – alla luce delle finalità di sicurezza, di
trasparenza, di informazione del mercato e di tutela del traffico commerciale affidate al registro delle imprese – che l’efficacia dichiarativa della iscrizione del primo contratto di affitto
valga a risolvere eventuali conflitti con altri atti successivi inerenti la medesima azienda (cfr.,
380
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
Lo spazio per delineare la necessità di un filtro autorizzativo in ordine
al trattamento da riservare, in ambito concorsuale, all’eventuale preesistenza di tale fenomeno locativo risulta, dunque, piuttosto esiguo. Non
sembra, in particolare, condivisibile l’opinione di chi ritiene necessario
sottoporre l’esercizio del potere di scelta concesso al curatore dall’art.
79 legge fallim. al vaglio del comitato dei creditori e, se del caso, del giu-
sul punto, E. Bocchini, Manuale del registro delle imprese, Padova, 1999, 108). Per contro,
il contratto di affitto di azienda stipulato in forma di scrittura privata semplice, o comunque
con atto non iscritto nel registro delle imprese – pur se alcuni ritengono che la riforma non
abbia attribuito alcuna rilevanza alla pubblicità commerciale del contratto medesimo (v. D.
Latella, Commento all’art. 80 bis della legge fallim., in La nuova legge fallimentare annotata,
a cura di AA.VV., Napoli, 2006, 161) – avrà validità limitata ai rapporti inter partes, ma risulterà inopponibile alla procedura fallimentare (cfr. anche S. Sanzo-A. Bianchi, Manuale
delle procedure concorsuali, Milano, Il Sole-24 Ore, 2007, 393).
Secondo Fimmanò, Gli effetti del fallimento..., cit., 240, tuttavia, qualora l’affitto implichi il trasferimento di beni aziendali per la cui circolazione è prevista una forma particolare,
deve ritenersi applicabile la norma che disciplina specificamente la circolazione dei singoli
beni. In questo caso, il conflitto fra successive fattispecie di trasferimento si risolverà in base
alla prorità pubblicistica determinata secondo le regole riferite al particolare tipo di cespite
oggetto del trasferimento medesimo, dovendosi escludere che l’iscrizione nel registro delle
imprese, pur rivestendo carattere decisivo in ordine alla pubblicità dichiarativa del contratto,
valga ad esempio a sostituire la trascrizione relativa alla concessione in affitto di un immobile
superiore a nove anni.
D’altro canto, lo stesso Autore, rilevata la differenza tra il carattere universalistico del
bene azienda in quanto tale e le sue singole componenti materiali ed immateriali, finisce
per adombrare comunque, in virtù dell’assunto per cui ai fini dell’esercizio dell’attività economica è sufficiente godere della mera disponibilità dei beni che costituiscono il complesso
aziendale, una preponderanza dell’iscrizione nel registro delle imprese. In realtà, osserva A.
Pavone La Rosa, Il registro delle imprese, Torino, 2001, 122, il problema centrale si pone in
riferimento ai beni immobili, poiché attribuendo un ruolo prevalente alla pubblicità commerciale si finisce per svalutare quello della pubblicità immobiliare, la quale non potrebbe più
perseguire le finalità che le sono proprie in tutti i casi in cui un bene immobile venga immesso
in un complesso aziendale attraverso un mutamento della sua destinazione originaria.
C. Martone, Locazione e affitto, in L. Guglielmucci (a cura di), I contratti in corso di
esecuzione nelle procedure concorsuali, Padova, 2006, 374, segnala altresı̀, ove mai il godimento dell’azienda da parte del conduttore preveda anche quello di marchi o brevetti, la necessità
di verificare la relativa trascrizione presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi.
In ogni caso, accanto al problema della vera e propria opponibilità, una parte della dottrina (C. Miele, Commento all’art. 80 bis legge fallim., in La legge fallimentare. Commentario
teorico-pratico, a cura di M. Ferro, Padova, 2007, 603 segg.) pone, sotto lo specifico profilo
della delibazione comparativa rispetto all’alternativa del recesso e del conseguente obbligo di
corrispondere l’indennizzo, l’ulteriore esigenza di valutare eventuali ipotesi di nullità o annullabilità ai sensi, rispettivamente, degli articoli 1418 e 1425 del codice civile; ravvisandone gli
estremi nell’un caso (nullità) quando, ad esempio, il contratto di affitto sia stato stipulato per
un motivo illecito comune ad entrambe le parti, al fine specifico di sottrarre il complesso
aziendale all’acquisizione alla massa fallimentare; nell’altro (annullabilità) qualora ricorra il
possibile conflitto di interessi dell’amministratore di una società che abbia stipulato un contratto di affitto aziendale con altra società di cui egli sia socio.
Parte I - Dottrina
381
dice delegato; sul presupposto da un lato della pretesa natura straordinaria dell’opzione (24), che farebbe scattare il meccanismo integrativo previsto dall’art. 35 legge fallim., dall’altro di evitare una ingiustificata divergenza con il regime previsto dall’art. 104 ter legge fallim., il quale esige
l’assenso del comitato qualora l’ipotesi dell’affitto di azienda sia inserita
nel programma di liquidazione (25).
L’analisi della fisionomia sistematica assunta dal nostro istituto nel nuovo ordinamento fallimentare spinge, del resto, a rigettare senza riserve tale
eccesso di rigore garantistico.
Non può, in primo luogo, essere condivisa l’obiezione che postula la necessità di parificare, sul piano autorizzativo, la disciplina del contratto di affitto pendente con quella relativa al programma di liquidazione di cui all’art. 104 ter legge fallim. È agevole, infatti, rilevare come nell’economia
di tale disposizione l’affitto dell’azienda – quale fattispecie che il curatore
può già, ai sensi dell’art. 104 bis legge fallim., eventualmente sottoporre a
specifica delibazione da parte del comitato dei creditori – si inserisca funzionalmente nella più complessa struttura del programma di liquidazione
destinato all’approvazione finale da parte del comitato medesimo (26). La
legge, dunque, configura qui l’istituto come una delle varie modalità di attuazione del progetto liquidativo, cioè come una determinazione interna e
diretta della procedura la quale, pur rivestendo – sul piano delle modalità
– una fisionomia del tutto «ordinaria» e strumentale rispetto ai canoni del-
(24) Cosı̀ Giovetti, cit., 1292 segg., la quale, pur riconoscendo la valenza argomentativa
del dato letterale – in rapporto, ad esempio, al tenore dell’art. 72 legge fallim., dove l’autorizzazione risulta in effetti espressamente contemplata dalla norma – finisce poi per sostenerne la necessità anche per la prosecuzione dell’affitto di azienda ex art. 79 legge fallim.; ritenuto, tuttavia, atto di straordinaria amministrazione solo in virtù di una generica e non meglio
specificata «rilevanza per le sorti della procedura fallimentare». Analoga, ma ancor più radicale ed altrettanto immotivata, appare l’opinione di Fimmanò, Gli effetti del fallimento...,
cit., 229.
(25) Cosı̀ Giovetti, cit., 1293. Secondo Giorgetti-Clemente (a cura di), La legge fallimentare commentata, op. cit., 234, non può escludersi che la decisione relativa alla prosecuzione del contratto di affitto preesistente, implicando comunque la valutazione di aspetti sostanziali connessi al programma di liquidazione, esiga addirittura l’autorizzazione del giudice
delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori.
(26) Sotto questo profilo, la fattispecie appare plasticamente speculare a quella che si
realizza attraverso l’esercizio provvisorio, nel corso del quale, ai sensi dell’art. 104, comma
7 legge fallim., i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli. Anche in tal caso, dunque, l’immanenza dei rapporti contrattuali
alle necessità imposte dalla prosecuzione dell’attività di impresa esige che un eventuale contratto di affitto di azienda, rappresentando comunque un passaggio strumentale ai fini della
gestione dell’attivo fallimentare e della sua liquidazione, risulti indirettamente soggetto, nella
particolare ipotesi contemplata dal comma 2 della citata disposizione, all’assenso del comitato
dei creditori.
382
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
l’attività di realizzo privilegiati dalla riforma, appare tuttavia idonea a provocare, in virtù della continuazione (o della ripresa) dell’attività di impresa
in capo al terzo affittuario, sia un cambiamento attuale delle componenti
dell’attivo da amministrare direttamente, sia un mutamento prospettico
dei risultati finali della liquidazione. Ben si comprende, perciò, l’esigenza
di una specifica autorizzazione qualora la pur canonica eventualità dell’affitto venga inserita nella più ampia, ma altrettanto canonica, fattispecie regolata dall’art. 104 ter legge fallim. (27).
Quanto alla natura che deve essere attribuita alle opzioni relative ai contratti in corso, va sottolineato che neppure il richiamo all’art. 35 legge fallim. – proposto al fine di comprovare l’asserito carattere straordinario della
scelta di proseguire il rapporto di affitto pendente – sembra trovare fondamenta sufficientemente sicure, attese la differente ratio e le diverse finalità
sottostanti ad ognuna delle due discipline in esame.
L’art. 35 legge fallim. regola, invero, l’intervento del comitato dei creditori, ed eventualmente del giudice delegato, nell’iter formativo di quegli atti
«interni» alla procedura e direttamente posti in essere dagli organi concorsuali, specificandone distintamente alcuni in ragione di una pretesa benché
solo teorica criticità funzionale rispetto agli interessi della massa; e considerandone indistintamente altri, con evidenti finalità di chiusura normativa,
alla luce di una non meglio definita natura «straordinaria», da valutarsi
di volta in volta nel caso concreto.
Non si tratta, in altri termini, di fattispecie suscettibili di realizzare, in
quanto tali, future situazioni di rischio o di eccessiva esposizione finanziaria
(27) D. Plenteda, I rapporti giuridici pendenti nel fallimento riformato, Milano, Il Sole24 Ore, 2008, 104 segg., osserva a tal proposito che in ordine al c.d. affitto endofallimentare,
cioè quando il rapporto deriva, per certi versi, dall’apertura del concorso, il legislatore non ha
dovuto affrontare il problema di bilanciare i contrapposti interessi della procedura e del contraente in bonis mediante la prosecuzione ovvero lo scioglimento di un vincolo contrattuale
già esistente; bensı̀ quello di regolare un fenomeno negoziale del tutto nuovo, che impone
cioè, a differenza del primo, una valutazione degli interessi della massa in termini assoluti
ed implica dunque, necessariamente, l’intervento discrezionale degli organi del fallimento.
Del resto, il nucleo centrale delle funzioni del comitato dei creditori, da esercitarsi secondo i canoni di una «discrezionalità tecnica qualificata» diretta a ponderare le alternative di
contenimento alle iniziative del curatore, viene non a caso ricollegato essenzialmente alle valutazioni ed alle decisioni inerenti il programma generale di liquidazione di cui all’art. 104 ter
legge fallim. Cfr., sul punto, S.M. Cesqui, Note sul «nuovo» comitato dei creditori nel fallimento, in Banca, borsa 2007, I, 757 segg. V. altresı̀, sia per una conferma del preminente rilievo della liquidazione concorsuale in ordine alla configurazione ed ai limiti funzionali delle
attribuzioni del comitato, sia per verificare il carattere tendenzialmente tassativo delle norme
sui contratti pendenti che contemplano l’intervento di tale organo, E. Granata, Il ruolo dei
creditori nella riforma della legge fallimentare, in AA.VV., Il nuovo diritto della crisi di impresa
e del fallimento, a cura di F. Di Marzio, Torino, 2006, 101 segg.
Parte I - Dottrina
383
per la massa medesima, bensı̀ di atti configurati, in virtù della loro intrinseca fisionomia, per il loro preteso potenziale «eversivo» rispetto a quella che
dovrebbe rappresentare, ma solo per mera e forse superata consuetudine, la
normale attività di gestione del patrimonio fallimentare.
Ciò spiega l’esigenza di sottoporre l’atto ad una più completa e condivisa valutazione di convenienza e/o di opportunità da parte di altri organi
concorsuali. In questo senso, i termini finanziari di una transazione ovvero
i presumibili effetti patrimoniali ed i vantaggi di una rinunzia alle liti devono costituire, di norma, elementi di giudizio definiti dal curatore già
prima che si perfezioni l’accordo con il terzo. Se la legge richiede, per tali
atti, l’assenso del comitato (e del giudice delegato) è perché reputa necessario che costoro si affianchino al curatore – integrandone il primo i poteri
gestori, e controllandone il secondo la legittimità dell’azione – sia nella valutazione dei relativi costi e benefici, sia nella scelta di privilegiare gli interessi della massa mediante la rinuncia attuale a proseguire l’alternativa
ritenuta più ortodossa; che consisterebbe, per rimanere all’esempio prospettato, nella normale prosecuzione del contenzioso ovvero dell’attività
di realizzo dell’intero importo del credito oggetto della soluzione transattiva (28).
Con la disciplina di cui agli artt. 72 segg. legge fallim. il legislatore ha,
invece, espressamente provveduto a modulare gli effetti della intervenuta
procedura su tutti i contratti stipulati dall’imprenditore in un momento
precedente alla dichiarazione di fallimento; evidenziando, anche nel contesto del medesimo modello contrattuale, a) sia quando ed entro quali limiti spetti alle parti il potere di orientare il destino del rapporto pendente (29); b) sia quando ed in che termini risulti necessario ex lege privilegiarne la prosecuzione ovvero disporne l’estinzione nel momento in cui viene
aperto il concorso (30); c) sia, infine, quando per ogni relativa determinazione occorra comunque la preventiva disamina da parte del comitato dei
creditori (31).
Si tratta, dunque, di un meccanismo di selezione funzionale che, nell’ottica di una valorizzazione ex lege dei preminenti interessi della massa, indi-
(28) La ratio dell’art. 35 legge fallim. risulta, mutatis mutandis, perfettamente identica a
quella che informa l’art. 167 legge fallim., il quale disciplina l’amministrazione dei beni dell’impresa durante la procedura di concordato preventivo.
(29) V. gli articoli 72, 72 ter, 72 quater, 73, 74, 75, 79 e 81, comma 1, della legge fallimentare.
(30) Cfr. gli articoli 72 bis, 72 ter, 73, 76, 77, 78, 79, 80, 81, comma 2 e 82 legge fallim.
Paciello, cit., 351, con efficace sintesi, riconduce, in particolare, i rapporti contrattuali che
proseguono ex lege ad ipotesi limitate riguardanti tipologie negoziali accomunate dalla «insensibilità del diritto di godimento su particolari beni alle loro vicende circolatorie».
(31) Artt. 72, 72 ter, 72 quater, 73, 78, comma 2 e 81, comma 1 legge fallim.
384
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
vidua diverse tipologie di schemi contrattuali utilizzati dall’imprenditore in
bonis, discriminandone preventivamente ed oggettivamente le sorti a volte
in virtù della loro potenziale utilità strumentale rispetto ai fini della procedura, a volte in ragione delle peculiari caratteristiche soggettive delle parti o
del solo contraente in bonis, a volte in base a motivi inerenti il vero e proprio oggetto del contratto (32). Riservando altresı̀, ovviamente, agli organi
concorsuali sia la possibilità residuale di orientare la scelta in un senso diverso da quello tracciato dalla legge, sia, in linea generale, di operare liberamente le proprie valutazioni secondo canoni di convenienza da stabilirsi
ad hoc con riferimento alla specifica situazione concreta; come accade, in
particolare, per i rapporti ancora pendenti tout court di cui all’art. 72 legge
fallim.
La regola contenuta nell’art. 72 legge fallim. rappresenta, in tale
contesto, un richiamo paradigmatico difficilmente superabile. Essa mostra, infatti, chiaramente che l’opzione del curatore soggiace sempre all’autorizzazione del comitato dei creditori soltanto qualora non sia la
norma ad aver espressamente e preventivamente stabilito gli effetti del
fallimento su una determinata fattispecie contrattuale. È, in definitiva,
la legge stessa a considerare e disciplinare il contratto di affitto di azienda stipulato fra l’imprenditore ancora in bonis ed il terzo in termini del
tutto oggettivi, ossia quale normalissimo (ed ordinario) fenomeno della
gestione di impresa, fisiologicamente destinato a spiegare i propri effetti
anche all’interno della procedura. Cosı̀ come del tutto normale (ed ordinaria) deve ritenersi – in quanto paritariamente attribuita dalla legge
alla libera determinazione tanto della curatela che della controparte –
l’opposta ma simmetrica alternativa di recedere (33). Non risulta, quindi,
sistematicamente corretto ipotizzare conclusioni fondate sulla pretesa
natura «extra ordinem» delle opzioni concorsuali inerenti il suo destino
in ambito fallimentare, ivi compresa l’eventuale determinazione dell’equo indennizzo in caso di recesso (34); rilevando esclusivamente, in ma-
(32) Plenteda, op. cit., 104, osserva, invero, che le scelte del legislatore riguardo ai rapporti pendenti sono orientate esclusivamente dalla considerazione del contenuto dei singoli
contratti considerati. Per una valida sintesi di tale tipizzazione, e più in generale delle esigenze
sottostanti alla continuazione ovvero allo scioglimento ex lege, cfr. inoltre L. Guglielmucci,
Diritto fallimentare, Torino 2007, 138 segg. e 143 segg.
(33) Plenteda, cit., 103, presupponendo l’appartenenza all’alveo dell’ordinaria amministrazione di tutti quegli atti i quali rientrino nella normale gestione aziendale e si palesino,
oltre che strettamente aderenti alle finalità di gestione dell’impresa, anche adeguati alle dimensioni del suo patrimonio nonché idonei a garantirne la conservazione o il miglioramento,
esclude correttamente che, di norma, l’affitto di azienda rappresenti un atto di straordinaria
amministrazione.
(34) Sul punto specifico, v. infra, § 5.
Parte I - Dottrina
385
teria, il parametro legislativo, il quale da un lato privilegia la soluzione
funzionale di tutelarne l’esecuzione al momento dell’apertura del concorso (35); dall’altro accorda non di meno al curatore e al terzo la facoltà
di porvi termine utilizzando l’alternativa del recesso medesimo ( 36).
Tale percorso argomentativo si rafforza, del resto, anche attraverso il
raffronto con altre norme che regolano specifiche tipologie di rapporti pendenti. Ad esempio, riflettendo sul fatto che l’art. 72 ter legge fallim. – dopo
aver sancito, quale regola generale, lo scioglimento del contratto relativo al
finanziamento di uno specifico affare di cui all’art. 2447 bis, comma 1, lett.
b), cod. civ. qualora il fallimento ne impedisca intrinsecamente la realizzazione o la continuazione – dispone, in caso contrario, che il curatore, sentito
il parere del comitato dei creditori, possa decidere di subentrare nel contratto medesimo in luogo della società, assumendone interamente i relativi
oneri (37).
Nella nuova disciplina dedicata ai rapporti giuridici preesistenti, fenomenologie tendenzialmente omogenee sotto il profilo della meccanica relazionale tra creditori, impresa in crisi ed apertura del concorso vengono
dunque regolate, con specifico riferimento al potere di intervento degli organi concorsuali, in modo del tutto opposto.
Invero, la menzionata fattispecie di separazione patrimoniale, oltre ad
implicare la esclusiva destinazione al soddisfacimento del credito di chi
ha finanziato l’operazione dei proventi e dei frutti che ne derivano, nonché
di eventuali reimpieghi o investimenti, comporta, in virtù del combinato disposto dei commi secondo, lett. c) e quarto dell’art. 2447 decies cod. civ.,
l’ulteriore effetto di impedire ai creditori della società di aggredire, fino
al rimborso del finanziamento, anche i «beni strumentali» necessari alla realizzazione dell’affare (38). Cioè quei beni i quali devono essere sottratti, per
l’intera durata dell’operazione medesima, alle azioni dei creditori sociali, a
(35) Cfr., invero, Mandrioli, op. cit., 293 seg., dove la necessità di una autorizzazione
da parte del ceto creditorio, previa informativa al giudice delegato qualora il valore del contratto superi l’importo di cinquantamila euro, viene affermata soltanto in ordine all’eventuale
esercizio del recesso; ma comunque esclusa, in base alla considerazione che si tratta comunque di un subentro ex lege, nel caso in cui il contatto prosegua a seguito della determinazione
del curatore di non esercitare il recesso medesimo.
(36) V. Martone, Locazione e affitto, cit., 377, per il quale l’esercizio del diritto recesso
rientra pienamente tra i poteri del curatore.
(37) Cfr., per tutti, Paciello, cit., 350.
(38) Sul punto, v. G. Giannelli, Commento all’art. 2447 decies. Finanziamento destinato ad uno specifico affare, in Società di capitali, Commentario a cura di G. Niccolini e G.
Stagno D’Alcontres, II, 1281, il quale rileva, in proposito, la non perfetta corrispondenza
tra i valori afferenti al patrimonio separato e destinati al soddisfacimento del finanziatore ed i
beni inattaccabili dai creditori sociali.
386
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
protezione delle opere oggetto di investimento (39) e, quindi, a garanzia della loro futura capacità reddituale (40).
Nulla esclude, peraltro, che nel novero di tali cespiti possano rientrare,
quale strumenti necessari alla realizzazione dell’investimento, anche i complessi aziendali.
Se queste considerazioni sono esatte, occorre rilevare che, qualora si opti per la continuazione del rapporto in ambito concorsuale, l’esecuzione del
contratto di finanziamento ex art. 2447 bis, comma 1, lett. b) del codice civile esigerà il rispetto dell’affare e della posizione del terzo finanziatore;
quella del contratto di affitto di azienda l’intangibilità dei diritti gestori dell’affittuario. L’effetto comune sarà dunque, in entrambe le ipotesi, quello di
dilatare i tempi dell’effettivo realizzo dei beni aziendali. Tuttavia, in ordine
alla preventiva valutazione di convenienza rispetto all’alternativa dell’immediata e diretta amministrazione dei beni medesimi nell’ambito della massa
attiva, la riforma ha imposto solo per il primo dei due modelli contrattuali
in esame l’intervento, seppur mediante parere, del comitato dei creditori (41), mentre ha rimesso esclusivamente al curatore la delibazione riguardante l’eventuale continuazione del secondo.
Appare, in definitiva, piuttosto chiaro come, nell’economia sistematica
del nuovo ordinamento sulla crisi dell’impresa, l’eventualità della prosecuzione in sede concorsuale dei contratti di finanziamento destinato ad uno
specifico affare evochi, implicitamente, problematiche e fattori di rischio
che vengono, viceversa, esclusi per l’istituto dell’affitto di azienda, il quale,
nella prospettiva di una continuazione del rapporto in sede fallimentare con
finalità di gestione del patrimonio dell’imprenditore, acquista in realtà caratteri squisitamente fisiologici.
Dalle considerazioni che precedono dovrebbe, a fortiori, risultare abbastanza chiaro che anche la decisione opposta a quella fin qui considerata,
cioè quella di interrompere attraverso l’esercizio del recesso il rapporto locativo dell’azienda facente capo all’impresa fallita – tanto più perché postula necessariamente il rientro del complesso aziendale nell’orbita amministrativa della procedura e, dunque, il ripristino del pieno dominio concorsuale
(39) Cfr. M. Lamandini, I patrimoni «destinati» nell’esperienza societaria. Prime note
dul d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, Relazione al Convegno di Studi «Il nuovo diritto delle società
di capitali e delle società cooperative», organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore,
Piacenza, 14-15 marzo 2003, in Riv. Soc., 2003, 490.
(40) Cosı̀ Giannelli, cit., 1281.
(41) Il cui carattere non vincolante (cosı̀ Paciello, cit., 350) non scalfisce l’argomentazione prospettata nel testo, ma esprime anzi una ulteriore riprova dell’articolazione che legislatore della riforma ha inteso delineare, graduandone intensità ed effetti, per il ruolo del comitato dei creditori.
Parte I - Dottrina
387
sui relativi beni (42) – non necessita di alcuna autorizzazione da parte del
creditori o del giudice delegato (43).
Considerazioni del tutto analoghe vanno formulate, mutatis mutandis,
nell’ipotesi in cui sia il fallimento dell’affittuario ad interferire con il corso
dell’esecuzione di un contratto di affitto aziendale. In definitiva, in entrambi i possibili casi di fallimento contemplati dall’art. 79, tanto l’alternativa
della prosecuzione automatica del contratto che l’ipotesi in cui il curatore
scelga l’opposta soluzione del recesso non richiedono alcuna autorizzazione
preventiva da parte del comitato dei creditori ovvero del giudice delegato.
D’altro canto, in materia di affitto di azienda, una dilatazione in termini
tanto pervasivi ed immanenti delle pur rivitalizzate ed ampliate funzioni
autorizzative e di cogestione del comitato dei creditori sembra implicare,
innanzitutto, un evidente conflitto con il dato positivo (44); atteso che, nonostante le novità introdotte dalla riforma, deve ritenersi tuttora centrale
l’assunto secondo cui la qualifica di curatore come professionista, cioè come
soggetto «portatore di professionalità», implica anche il necessario riconoscimento – vieppiù considerando i compiti istituzionali di amministrazione
del patrimonio fallimentare – di una propria autonomia ed indipendenza
volitiva e decisionale. Autonomia cui non può non corrispondere una spe-
(42) A tal proposito, è appena il caso di rilevare come il problema dell’autorizzazione
non si ponga neppure sotto il profilo degli eventuali oneri che la procedura dovrebbe sostenere in caso di rientro dell’azienda nella massa attiva, dal momento che, per la sua eventuale
ed effettiva gestione da parte degli organi concorsuali, risulterà comunque necessario disporre l’esercizio provvisorio ex art. 104, comma 2, legge fallim., che presuppone comunque il
parere favorevole del comitato dei creditori e l’autorizzazione del giudice delegato.
(43) Sul presupposto che in caso di recesso dal contratto di affitto il curatore debba comunque corrispondere all’affittuario, in regime di prededuzione, l’equo indennizzo di cui all’art. 79 legge fallim., alcune elaborazioni, orientate per lo più ad agevolare l’applicazione
concreta della riforma, ritengono prudente, pur escludendo la necessarietà di un vero e proprio passaggio autorizzativo, effettuare una mera segnalazione al comitato dei creditori esclusivamente nell’ipotesi in cui il curatore manifesti la volontà di avvalersi del recesso (v. M. Fabiani-G.B. Nardecchia, Formulario commentato della legge fallimentare, Milano, 2007,
692 segg.). Il contenuto del modello proposto ad uso della prassi finisce tuttavia – forse inevitabilmente, prevalendo la prospettiva pratica – per risultare in parte ambiguo; in particolare
là dove, nel segnalare al comitato medesimo la futura comunicazione del recesso all’affittuario, utilizza la formula «nulla opponendo codesto organo», cosı̀ riconducendo, di fatto, al silenzio degli esponenti del ceto creditorio quegli stessi effetti autorizzativi negati in linea di
principio. Altri contributi sintetici (v. G.M. Perugini-U. Massei, La nuova legge fallimentare dopo il correttivo 2007, Napoli, 2007, II ed., 181), escludono, invece, senza riserve la necessità di pareri o autorizzazioni da parte degli altri organi concorsuali.
(44) Si ricorda che ai sensi dell’art. 31 legge fallim. la funzione di amministrare il patrimonio fallimentare, pur se soggetta al potere di vigilanza del giudice delegato e del comitato
dei creditori, spetta in via esclusiva al curatore. Inoltre, l’art. 41 legge fallim. dispone che il
comitato medesimo, vigila sull’operato del curatore, ne autorizza gli atti ed esprime parere
«nei casi previsti dalla legge».
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cifica responsabilità del curatore medesimo verso la procedura e verso i soggetti che ne sono coinvolti (45).
Appare, peraltro, concreta la prospettiva di un contrasto funzionale con
la scelta della riforma medesima di estendere, con il nuovo art. 28 legge fallim., la gamma dei soggetti idonei ad assumere l’incarico di curatore alle società tra professionisti ed a coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni. Invero, talmente rilevante è apparsa al legislatore l’esigenza di aprire gli incarichi amministrativi
nelle procedure concorsuali al contributo specialistico e pluridisciplinare di
profili e modelli professionali anche molto sofisticati, che risulta poi alquanto contradditorio ipotizzarne la soggezione ad un generale ed indistinto «tutorato» del ceto creditorio; vieppiù quando si tratti di decisioni, come appunto quelle sull’opportunità di proseguire o meno in un rapporto di affitto
aziendale, le quali implicano un notevole e non comune grado di tempestività e di esperienza e conoscenza tecnica della gestione di impresa (46).
3. Il fallimento del locatore. Il contenuto e l’esecuzione del contratto pendente. – Nel caso di fallimento del locatore, la nuova fisionomia sistematica
della legge fallimentare attribuisce all’affitto dell’azienda – a prescindere
dalla circostanza che il relativo contratto sia stato stipulato dall’imprenditore in una fase antecedente all’apertura della dichiarazione di fallimento ovvero conculso direttamente dagli organi della procedura ai sensi dell’art.
(45) Cfr. A. Capocchi, La responsabilità civile del curatore fallimentare, commento a
Cassazione, 5 aprile 2001, n. 5044, in Fallimento, 2002, 1, 57 segg. Plenteda, cit., 103, rilevato come il dato normativo escluda l’eventualità di interventi tutori degli organi concorsuali la cui mancanza incida sulla validità o sulla efficacia del contratto di affitto, individua la
soluzione di tale problematica limitandosi opportunamente a richiamare la responsabilità
del curatore (art. 38 legge fallim.); il potere di vigilanza attribuito sia al comitato dei creditori
(art. 41, comma 1, legge fallim.) sia, ma con riferimento al mero controllo di legalità, al giudice delegato (art. 25 legge fallim.); nonché, infine, il potere di sostituzione o di revoca del
curatore medesimo da parte, rispettivamente, dello stesso comitato (art. 37 bis legge fallim.)
e del tribunale fallimentare (art. 37 legge fallim.). Cioè fattispecie che possono realizzarsi, generalmente ed indistintamente, con riferimento all’intero arco temporale della procedura;
mentre l’esercizio del potere autorizzativo, tanto se attribuito al comitato dei creditori quanto
se contemplato in capo al giudice delegato, può esplicarsi solo nei casi espressamente previsti
dalla legge.
Per ogni ulteriore rilievo in materia, si rinvia, comunque, anche allo specifico commento
dedicato agli articoli 31, 38 e 116.
(46) Trattasi, in definitiva, di una scelta rimessa esclusivamente alla «discrezionalità tecnica» del curatore, cioè informata al medesimo criterio che ne determina la totale autonomia
dal comitato dei creditori anche in relazione al potere di scegliere la controparte della procedura nell’ipotesi di affitto endofallimentare disciplinata dall’art. 104 bis legge fallim. (cfr. Paciello, cit., 337).
Parte I - Dottrina
389
104 bis legge fallim. – una serie di finalità sostanziali tendenzialmente omogenee.
Nella prima ipotesi, la soluzione di proseguire automaticamente il rapporto vuole evitare l’interruzione traumatica dell’attività dell’impresa, favorendo cosı̀, soprattutto in una latitudine di breve – medio termine orientata
verso l’obiettivo della liquidazione in blocco, la custodia e l’organizzazione
dinamica dei beni aziendali e dell’avviamento, e tutelando anche, in definitiva, la stabilità dei valori della massa attiva (47). Nella seconda eventualità,
la scelta degli organi della procedura di concedere in affitto ad un terzo il
complesso aziendale oggetto dell’esecuzione concorsuale riflette, a ben vedere, l’analoga esigenza di mantenerne in vita l’efficienza fino a quando non
sia approvato il programma di liquidazione, allo scopo di evitare che a seguito dell’apertura del fallimento ne vengano dispersi i valori inespressi (48).
Fermo restando, in entrambe le fattispecie, l’ulteriore e duplice aspetto
dell’attribuzione ad un terzo degli oneri e dei rischi economico-imprenditoriali della gestione, e del flusso finanziario a favore della massa derivante dal
pagamento dei canoni pattuiti.
D’altro canto, l’intenso legame funzionale tra gestione dell’attivo, finalità della fase liquidativa ed interesse dei creditori da un lato, e le regole dettate per le decisioni inerenti l’amministrazione del patrimonio fallimentare
dall’altro, rendono necessario, ai fini della disciplina concorsuale della sua
esecuzione, considerare anche l’ambito sostanziale in cui il contratto di affitto si è perfezionato.
Qualora l’accordo venga concluso tra la curatela e un terzo imprenditore, l’art. 104 bis legge fallim. impone, in tal senso, alcune regole specifiche, a
volte sotto forma di vere e proprie clausole legali, finalizzate sia alla definizione di un contenuto negoziale minimo che risulti funzionale rispetto alla
successiva fase di liquidazione (49), sia a limitare quanto più possibile, per il
fallimento, il rischio di eventuali esborsi finanziari derivanti dalla gestione
aziendale in capo all’affittuario.
Molteplice appare il contenuto di tali prescrizioni: dalla determinazione
dei criteri per la scelta dell’affittuario, alle garanzie che questi deve prestare
per le obbligazioni che derivano a suo carico dal contratto o dalla legge; dai
poteri di vigilanza e di ispezione sul complesso aziendale attribuiti al cura-
(47) V. Fimmanò, Gli effetti del fallimento..., cit., 228.
(48) Paciello, cit., 336. Miele, op. cit., 602, sembra correttamente valorizzare la differenza sistematica tra il contenuto dell’art. 79 (ex art. 80 bis) legge fallim. e la disposizione di
cui all’art. 104 bis legge fallim., rilevando che la fattispecie contrattuale dell’affitto di azienda
viene, nell’un caso, considerata in chiave di rapporto giuridico pendente, nell’altro quale strumento di gestione e liquidazione.
(49) Cfr. Paciello, cit., 337.
390
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
tore alla durata contrattuale del periodo di affitto, dalla disciplina del recesso a quella dell’eventuale diritto di prelazione (50); per arrivare all’espressa
esclusione, sancita dall’ultimo comma della disposizione in esame, di ogni
responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione
al fallimento di aziende o rami di aziende, in deroga a quanto previsto dagli
articoli 2112 e 2560 del codice civile.
Stanti la differente origine e la diversa disciplina concorsuale dei due
negozi, il curatore non deve ritenersi inderogabilmente vincolato ad orientare l’opzione ex art. 79 legge fallim. a seconda che il contratto pendente
soddisfi o meno le condizioni minime obbligatoriamente previste per modello di cui all’art. 104 bis legge fallim. (51). Del resto, la formale instaurazione del regime concorsuale, se vale ad imporre un sistema di regole e di
poteri che, relativizzando anche processualmente e sul piano probatorio la
posizione dei terzi, rafforzano notevolmente i meccanismi di tutela della
massa, non può tuttavia estendere i propri effetti fino alla automatica
ed indiscriminata modifica della disciplina convenzionalmente stabilita,
per i rapporti preesistenti al fallimento, tra i terzi medesimi e l’impresa
in bonis (52).
Nessuna delle clausole legali imposte dall’art. 104 bis, legge fallim. può,
dunque, costituire, di per sé, un canone di interpretazione necessaria del
contenuto del contratto concluso fra l’imprenditore in bonis e il terzo (53),
(50) Per una più esauriente trattazione dell’argomento, si rinvia comunque all’analisi specificamente dedicata all’art. 104 bis legge fallim.
(51) L’affittuario, nell’ipotesi di rapporto preesistente non è, quindi, innanzitutto tenuto
a preoccuparsi di adeguare la modulazione dei fattori produttivi all’obiettivo della tendenziale
conservazione dei livelli occupazionali suggerito dall’art. 104 bis, comma 2, legge fallim., sul
piano meramente programmatico, quale auspicabile parametro di valutazione nella scelta della controparte della procedura (cfr., in proposito, Paciello, cit., 337). Egli risulta, cioè, del
tutto libero di modulare tali fattori in base alle effettive condizioni della produzione e del
mercato, ovviamente fermo restando il dovere di conservare l’efficienza del complesso aziendale e di non alterarne la fisionomia strutturale.
(52) Qualunque sia la determinazione prodromica di mantenere in vita il contratto pendente, cioè tanto se esso prosegua per scelta del curatore di subentrarvi ex art. 72, quanto se
continui automaticamente per espressa disposizione di legge, il subingresso implica tendenzialmente, per la procedura, l’assunzione di tutti gli obblighi che ne derivano, nessuno escluso. Cfr., in proposito, Guglielmucci, Diritto fallimentare, cit., 72; C. Mascarello, I rapporti giuridici pendenti nella riforma del fallimento (art. 72 e 72 bis legge fallim.), in Dir. Fall.,
2007, 291; Miele, op. cit., 605 – il quale auspica tuttavia che il curatore chieda, di fatto, di
inserire nella disciplina del rapporto preesistente le clausole necessarie ad adeguarne il contenuto alla luce di quanto dispone l’art. 104 bis legge fallim. – nonché, seppur in chiave apparentemente problematica, Giovetti, cit., 1298.
(53) In tal senso, anche Fimmanò, Gli effetti del fallimento..., cit., 229. In senso contrario Sanzo-Bianchi, Manuale delle procedure concorsuali, op. cit., 394, i quali – ritenuto, fra
l’altro, che per optare nel senso della prosecuzione automatica ex art. 79 legge fallim. si debba
Parte I - Dottrina
391
le cui volontà negoziali, là dove la curatela abbia scelto di non interrompere
il rapporto ritenendone i termini vantaggiosi per la procedura, esigono in
linea di principio il rispetto derivante dalla prosecuzione sancita ex lege (54).
Di conseguenza, ove mai il curatore ritenesse insufficienti eventuali garanzie
volontariamente prestate dall’affittuario, ovvero eccessivamente ampia la
durata del contratto medesimo rispetto alle esigenze e ai tempi della liquidazione, egli potrà soltanto esercitare il recesso entro il termine stabilito
dall’art. 79 legge fallim.
Ciò non significa, tuttavia, che la determinazione di non recedere, cioè
la piena ed incondizionata ricezione, in sede concorsuale, dell’accordo concluso tra il concedente ed il terzo prima della dichiarazione di fallimento,
comporti inevitabilmente l’assoluta subordinazione degli obiettivi della procedura – e, quindi, dell’interesse dei creditori – alla tutela degli assetti giuridici in esso definiti.
Invero, se la prosecuzione automatica del contratto disposta dall’art. 79
legge fallim. si fonda comunque su una preventiva valutazione di convenienza per il fallimento, il medesimo criterio, ovviamente nel rispetto della
posizione del terzo affittuario, non può tuttavia non valere anche durante la
continuazione endofallimentare del rapporto; nelle cui more il curatore potrà, dunque, esercitare ogni potere o facoltà necessari ad impedire che eventuali devianze fattuali dallo schema negoziale originario producano una lesione, anche potenziale, degli interessi della massa.
In altri termini, se la fisiologia del negozio stipulato direttamente dalla
curatela implica come minimo la puntuale osservanza delle prescrizioni
contrattuali imposte dall’art. 104 bis legge fallim.; il mancato esercizio del
recesso previsto dall’art. 79 legge fallim. concreta, in capo all’affittuario,
una posizione suscettibile di tutela solo in quanto permangano, durante l’intera esecuzione del contratto ed indipendentemente dalle fattispecie che
possono dar luogo alla sua risoluzione per inadempimento, le condizioni
e le modalità in base alle quali il curatore ha ritenuto vantaggiosa l’ipotesi
della sua prosecuzione.
In tale prospettiva – che potrebbe concretarsi a causa di mutamenti patologici intervenuti nel corso dell’ulteriore prosecuzione del rapporto, ovve-
considerare anche l’aspetto della conservazione dei livelli occupazionali di cui al comma 2
dell’art. 104 bis legge fallim. – prospettano addirittura una responsabilità del curatore che
si determini a non esercitare il recesso senza aver delibato, in capo all’affittuario, la puntuale
sussistenza dei requisiti previsti in tema di affitto aziendale endofallimentare.
(54) In senso analogo mi sembra orientato anche Dimundo, cit., 263, quando afferma
che il rigore delle possibili conseguenze della continuazione ex lege di un contratto di affitto
di azienda è mitigato dall’attribuzione del diritto di recesso tanto al fallimento che al contraente in bonis.
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ro per la sopravvenuta conoscenza di aspetti negativi ignorati senza colpa
dal curatore quando aveva scelto di non recedere – ritengo che quest’ultimo
possa esperire, adattando ovviamente in via analogica, secondo un’ottica di
favor per la massa, anche le più estreme latitudini interpretative della norma, il rimedio previsto dall’art. 1618 cod. civ., a mente del quale il locatore
può chiedere la risoluzione del contratto se l’affittuario non destina al servizio della cosa i mezzi necessari alla gestione di essa, se non osserva le regole della buona tecnica ovvero se ne muta stabilmente la destinazione economica (55).
Ciò non implica, ovviamente, che alla curatela sia concesso di sciogliersi
ad nutum dal contratto di affitto, cioè di chiederne la risoluzione indipendentemente dal riscontro di una oggettiva ed effettiva alterazione dei parametri di convenienza sottesi alla sua valutazione iniziale. Come accadrebbe,
ad esempio, nel caso in cui egli intendesse poi stipulare un contratto a condizioni più vantaggiose con un nuovo affittuario, sacrificando arbitrariamente la posizione del terzo che aveva comunque confidato nella originaria
prognosi di compatibilità tra prosecuzione del rapporto di affitto ed interesse della massa alla conservazione dei valori aziendali (56).
Dunque, se la ratio della continuazione automatica del contratto di affitto risiede effettivamente nell’esigenza di evitare interruzioni traumatiche
della gestione dell’impresa al fine di tutelare la stabilità dei suoi valori immateriali e, perciò, di rendere più concreta e vantaggiosa anche l’eventuale
prospettiva di una liquidazione in blocco, occorre ammettere che la risposta
più efficace alla predetta fattispecie dovrà, appunto, da un lato evitare che
(55) Più problematica mi sembra, a tal proposito, l’ipotesi di esercitare, in applicazione
analogica dell’art. 104 bis, comma 3, legge fallim., il diritto di recesso anche qualora sia già
spirato il termine bimestrale previsto dall’art. 79 legge fallim., benché la legge non attribuisca
a tale termine carattere perentorio, e per quanto non sia neppure previsto, a favore del conduttore, alcun obbligo di preavviso (cfr. Miele, cit., 608). Con peculiare riferimento al fallimento dell’affittuario, Paciello, op. cit., 352 ritiene invero che la determinazione di recedere può comunque essere adottata – mi sembra, a questo punto, indipendentemente dal decorso del termine bimestrale indicato dall’art. 79 legge fallim. – anche qualora il complesso
aziendale locato, nell’ambito dell’esercizio provvisorio dell’impresa, abbia esaurito la sua funzione tecnico – strumentale ai fini del completamento del ciclo produttivo.
Peraltro, nell’ipotesi in cui voglia utilizzare la possibilità di esercitare il recesso oltre i termini previsti dall’art. 79 legge fallim., il curatore dovrebbe comunque valutare il rischio di
esporre la procedura alla conseguente azione risarcitoria dell’affittuario, non potendosi in
tal caso configurare, stante l’espressa previsione legislativa sia della regola della prosecuzione
automatica del contratto, sia dei limiti temporali entro i quali è consentito recedere, un meccanismo analogo a quello contemplato dall’art. 72, comma 4, legge fallim.
(56) Come si vedrà in seguito, qualora abbia optato per la prosecuzione ex lege, la curatela è tenuta a rispettare integralmente anche l’eventuale clausola di prelazione per l’acquisto
dell’azienda stabilita a favore dell’affittuario.
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393
l’affittuario, temendo l’eventualità di prospettive finanziariamente sfavorevoli, decida comunque di esercitare immediatamente il diritto di recesso
in presumibile danno dell’attività aziendale; dall’altro permettere al fallimento di conservare relativamente intatti, fino alla retrocessione e/o all’alienazione dell’azienda, i valori e le quantità su cui si era fondata l’analisi comparativa del curatore (57).
Appare, pertanto, ovvio che il curatore stesso debba essere tempestivamente portato a conoscenza, durante l’intera fase esecutiva del contratto di
affitto preesistente, di ogni aspetto dell’attività aziendale rilevante per gli interessi della massa, concordando con l’affittuario le modalità informative all’uopo ritenute necessarie, quando non addirittura la modulazione degli
stessi diritti ispettivi previsti dall’art. 104 bis, comma 3 legge fallim. in ordine all’accordo concluso in sede endofallimentare (58). I quali, in caso di
eventuale contrasto, gli possono essere accordati con provvedimento del
giudice delegato. Resta comunque fermo quanto già sancito, sul piano generale, dagli articoli 1615 e 1619 del codice civile, a norma dei quali a)
quando la locazione ha per oggetto il godimento di una cosa produttiva l’affittuario deve curarne la gestione in conformità della destinazione economica della cosa e dell’interesse della produzione; nonché b) il locatore può accertare in ogni tempo, anche con accesso in luogo, se l’affittuario osserva gli
obblighi che gli incombono.
Tali fattispecie, peraltro, si realizzano, in mancanza di tempestivo recesso, nell’ambito dell’esecuzione di un contratto che prosegue ex lege in regime concorsuale, cioè di un fenomeno giuridico che contribuisce anche a definire, in virtù di quanto stabilito dall’art. 104 ter legge fallim., il contenuto
e le modalità del programma di liquidazione da sottoporre all’approvazione
del comitato dei creditori. Ciò significa che ogni determinazione del curatore in proposito, benché chiaramente finalizzata a tutelare comunque gli
interessi della massa, richiederà, a differenza di quelle inerenti l’applicazio-
(57) Sul piano generale, in tale prospettiva può riflettersi, trovando eventualmente una
delle possibili risposte fra le diverse soluzioni adombrate in questa sede, l’esigenza – segnalata
da Genovese, cit., 1146 segg. alla luce delle maggiori possibilità di continuazione dei contratti pendenti introdotte dalla riforma – di tenere comunque presenti le delicate problematiche di coordinamento tra obblighi negoziali nei quali subentra la curatela ed esigenze della
procedura.
Analoghe considerazioni, infatti, devono a mio avviso essere formulate in ordine ad ogni
altra ipotesi in cui, a seguito dell’oggettivo mutamento sostanziale dei termini di riferimento
per la valutazione di convenienza implicita nel meccanismo di cui all’art. 79 legge fallim., si
concretino, per la massa, rischi finanziari e patrimoniali non prefigurabili al momento della
scelta tra prosecuzione ex lege e recesso.
(58) I quali, ricorda Paciello, cit., 337, implicano la verifica del corretto utilizzo dei
beni aziendali anche ai fini dell’eventuale azione di risoluzione per inadempimento del contratto.
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ne dell’art. 79 legge fallim. nella fase liminare della procedura, l’intervento
degli altri organi concorsuali.
Risulterà, pertanto, essenziale il passaggio autorizzativo tanto presso il
comitato dei creditori che davanti al giudice non solo nei rari casi in cui
il curatore stipuli con l’affittuario eventuali correzioni o ulteriori accordi destinati ad incidere sfavorevolmente sui tempi della liquidazione fallimentare
– ad esempio prolungando il termine di scadenza del contratto – ma anche
in ordine alle modifiche consensuali della struttura originaria dell’accordo
orientate a tutelare gli interessi medesimi, ovvero finalizzate a ripristinare
anticipatamente i poteri amministrativi della procedura sul complesso
aziendale affittato.
4. Segue. Il diritto di prelazione nell’acquisto. – La natura strumentale
della prosecuzione ex lege sancita dall’art. 79 legge fallim. rispetto alla prospettiva della liquidazione fallimentare dei beni aziendali conferisce particolare interesse, sia dal punto di vista pratico che sotto il profilo sistematico,
alla possibilità che il contratto di affitto pendente preveda, a favore dell’affittuario, una clausola di prelazione nell’acquisto del complesso aziendale.
È qui che può cogliersi, forse più che altrove, l’elevato tasso di criticità
ermeneutica caratterizzante il legame funzionale tra atti gestori posti in essere dall’imprenditore in bonis e finalità della procedura fallimentare. Nella
fattispecie, cioè, in cui potrebbe risultare massimo il punto di attrito tra il
rispetto che si dovrebbe comunque accordare all’intero contenuto del negozio – che continua a produrre i suoi effetti in assenza di recesso da parte
della curatela – ed il conseguente completo assorbimento nell’ambito amministrativo della massa di manifestazioni di volontà imprenditoriali precedenti al fallimento, compresa l’individuazione fisica del soggetto destinato a
rilevare, in tutto o in parte, l’attivo concorsuale.
La dottrina oscilla, non a caso, tra chi ritiene, a mio avviso esattamente,
che il mancato esercizio del recesso implichi l’osservanza integrale della disciplina contrattuale, e quindi anche il riconoscimento di un eventuale diritto di prelazione convenuto a favore dell’affittuario (59); e chi invece, in
virtù di quanto espressamente stabilito dall’art. 104 bis, comma 5, legge fallim., rileva un nesso di esclusività assoluta tra concessione del diritto medesimo e stipulazione del contratto di affitto in sede concorsuale (60).
Quest’ultima impostazione postula cioè che, essendo la prelazione specificamente contemplata soltanto dalla norma che prevede e regola l’affitto
endofallimentare dell’azienda, il relativo diritto – sia che abbia origine con-
(59) Cosı̀ Guglielmucci, Diritto fallimentare, cit., 72.
(60) V. Fimmanò, Gli effetti del fallimento..., cit., 244.
Parte I - Dottrina
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venzionale, sia che derivi da fonte legale (61) – potrà essere attribuito esclusivamente a coloro che hanno ottenuto in godimento il complesso aziendale
con l’autorizzazione degli organi della procedura, previa valutazione di convenienza in ordine alla prosecuzione dell’attività ed alle capacità imprenditoriali dell’affittuario. Non già, quindi, a coloro che hanno, invece, concluso
un analogo accordo con il debitore prima dell’apertura del concorso (62).
Tale conclusione, tuttavia, riflette un pregiudizio di fondo analogo a
quello su cui viene fondata la necessità di un’autorizzazione del comitato
dei creditori in ordine all’opzione concessa dall’art 79 legge fallim. Cioè l’esistenza di una supremazia sistematica della disciplina contenuta nell’art.
104 bis legge fallim. tale da rendere superflua ogni altra pur autonoma
ed espressa disposizione in materia di affitto di azienda contenuta nella legge fallimentare, che si pretende debba subire tutte le modifiche sostanziali
rispondenti ai canoni del modello specificamente previsto quando l’ambito
genetico del contratto è costituito dalla procedura di fallimento.
Non dovrebbe, a questo punto dell’analisi, rendersi necessario alcun ulteriore richiamo al tenore dello stesso art. 79 legge fallim. – che recita «il
fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto di azienda» –
per dimostrare che la ratio della disposizione non è certo quella di segnalare
all’interprete la mera eventualità di una fattispecie negoziale «aperta», destinata comunque recepire obbligatoriamente quanto stabilito dal successivo art. 104 bis; bensı̀ quella di imporre l’integrale osservanza, in mancanza
di recesso e fermo restando l’assetto originario definito dalle parti, delle volontà contrattuali manifestate prima del fallimento (63).
D’altro canto, il termine di sessanta giorni accordato al curatore dall’art.
79 legge fallim. appare più che sufficiente sia per effettuare il preteso riscontro dei requisiti richiesti dall’art. 104 bis legge fallim. – anche se mi
sfugge, sinceramente, il motivo per cui una operazione di mera vendita debba fondarsi su elementi quali l’attendibilità o la convenienza del piano alla
(61) Si deve ricordare che una clausola di prelazione legale a favore dell’affittuario viene
prevista e disciplinata dall’art. 3, comma 4, della legge 23 luglio 1991, n. 223, contenente le
norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione e mercato del
lavoro. Altre clausole legali sono previste dall’art. 14, comma 2, della legge 27 febbraio 1985,
n. 49 sui provvedimenti per il credito alla cooperazione e le misure urgenti a salvaguardia dei
livelli di occupazione, nonché dall’art. 3, comma 6, della legge 25 febbraio 1987, n. 67 sulle
imprese editrici.
(62) Cosı̀ Fimmanò, op. ult. cit., 244.
(63) Peraltro, giustificando con la necessità di un’autorizzazione da parte degli organi
concorsuali l’affermata esclusività funzionale dell’art. 104 bis legge fallim. in ordine all’operatività di un’eventuale clausola di prelazione, mi pare si finisca implicitamente per ridimensionare, quanto meno sul piano argomentativo, l’altrettanto radicalmente sostenuta imprescindibilità di un intervento autorizzativo degli organi stessi anche riguardo alla fattispecie
contemplata dall’art. 79 legge fallim.
396
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«prosecuzione delle attività imprenditoriali» – sia per ponderare tutte le implicazioni della prelazione concessa all’affittuario.
A dimostrazione del carattere relativo delle affermazioni sulla portata
assorbente dell’art. 104 bis legge fallim. – che si pretende paralizzi addirittura le prelazioni di origine legale (64) – va altresı̀ ricordato che là dove è la
norma stessa a prevedere tale favor per l’affittuario, le modalità di esercizio
del relativo diritto assumono, in alcuni casi, una fisionomia strutturale, oltre
che incompatibile con qualsivoglia preteso ed ulteriore potere discrezionale
degli organi concorsuali, del tutto identica a quella delineata proprio per lo
stesso contratto di affitto endofallimentare.
Ad esempio, l’art. 3, comma 4, della legge 23 luglio 1991, n. 223 – che
rappresenta invero, stante l’espressa menzione iniziale dei casi di fallimento,
concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria (comma 1), un riferimento sistematico assai più significativo di quelli contenuti nella legge 27 febbraio 1985, n. 49 (art. 14, comma 2) ovvero nella legge 25 febbraio 1987, n. 67 (art. 3, comma 6) – disciplina, ai fini della cassa integrazione, della mobilità e del trattamento di disoccupazione, il diritto di prelazione nell’acquisto a favore dell’imprenditore che, a titolo di affitto, abbia assunto la gestione, anche parziale, di aziende assoggettate ad una procedura concorsuale.
In particolare, esso dispone che, una volta esaurite le procedure previste
dalle norme vigenti per la definitiva determinazione del prezzo di vendita
dell’azienda, l’autorità che vi è preposta deve, entro dieci giorni, comunicare tale prezzo all’imprenditore affittuario titolare del diritto di prelazione,
che potrà essere esercitato entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione (65).
La legge, dunque, non solo si limita, coerentemente, a focalizzare sul
parametro del prezzo l’ottica di lettura del fenomeno, ma assume altresı̀
che la procedura di vendita debba seguire interamente la disciplina predisposta dalla legge fallimentare, salvo obbligare gli organi concorsuali, una
volta regolarmente stabilito il prezzo medesimo, ad informarne l’affittuario
(64) Cosı̀, in particolare, Fimmanò, op. ult. cit., 244.
(65) I giudici di legittimità (Cassazione, 27 aprile 2006, n. 9694, in Foro it., Rep. 2006,
voce Fallimento, n. 563) hanno, tuttavia, precisato che tale diritto esprime uno speciale incentivo di carattere sociale previsto per la sola ipotesi in cui l’intervento dell’affittuario, garantendo la continuazione dell’attività lavorativa dei dipendenti dell’impresa fallita, consenta
di evitare l’erogazione delle provvidenze statali a loro favore. Non costituendo, dunque, un
istituto di carattere generale suscettibile di indistinta applicazione in ordine a qualsiasi procedura concorsuale, tale diritto non può essere riconosciuto quando, in difetto dei presupposti di legge, all’impresa fallita non può essere applicato il trattamento di intervento straordinario previsto dalla l. n. 223/1991.
Parte I - Dottrina
397
onde consentirgli l’esercizio della prelazione sulla base della somma definita
in sede fallimentare.
Ciò significa, tuttavia, che anche qualora la procedura volesse disattendere la preferenza accordata dalla legge, individuando – al limite secondo i
principi sostanziali tipici dell’affitto endofallimentare – un diverso acquirente, ovvero un altro affittuario cui concedere ex novo il relativo diritto; il curatore sarebbe comunque tenuto, nel momento in cui viene fissato il valore
di cessione dell’azienda, a darne comunicazione al soggetto che, attualmente, ne gestisce l’attività in regime di godimento.
Risulta però altrettanto evidente, a questo punto, come l’ordinamento
non esiga in alcun modo che la massa attiva, e segnatamente il complesso
aziendale facente capo all’impresa fallita, debba necessariamente essere alienata a chi dimostri realismo programmatico o capacità imprenditoriale. Al
contrario, quand’anche la scelta dell’acquirente fosse avvenuta ad opera del
fallimento e sulla base di tali considerazioni di merito, è la norma, in tal caso, che impone comunque il rispetto del diritto di prelazione. Senza peraltro obliterare, in proposito, il duplice potere attribuito al giudice delegato
dall’art. 108 legge fallim.: quello, cioè, di sospendere per gravi e giustificati
motivi le operazioni di vendita, e quello di impedire il perfezionamento dell’alienazione concorsuale quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato (66).
Analogo, del resto, se effettivamente di «prelazione» si tratta, dovrà essere l’iter formativo del prezzo di vendita nell’ipotesi in cui la preferenza
nell’acquisto rivesta natura consensuale. L’affittuario potrà, cioè, avvalersi
della facoltà originariamente concessagli dal locatore solo nella misura in
cui manifesti la propria disponibilità a corrispondere un importo pari a
quello determinato secondo i canoni concorrenziali previsti dalla disciplina
concorsuale, in particolare alla luce del combinato disposto degli articoli
107 e 104 bis, comma 5 legge fallim., la cui ratio tende, incontestabilmente,
alla formazione del miglior prezzo possibile.
In definitiva, il diritto di prelazione correlato ad un contratto di affitto
preesistente al fallimento esige, in caso di prosecuzione automatica ex art.
79 legge fallim., la piena osservanza da parte della procedura, salva, ovvia-
(66) Senza dimenticare che l’inosservanza dell’obbligo di rispettare la prelazione, ledendo un vero e proprio diritto soggettivo attribuito ex lege alla controparte del concedente in
bonis, potrebbe inoltre dare luogo ad una fattispecie di responsabilità a carico della curatela.
Peraltro, secondo Cassazione, 15 febbraio 2008, n. 3787, in Foro it., Rep. 2008, voce Fallimento, n. 304, la disposizione in esame prevede l’esercizio del diritto di prelazione dopo l’esaurimento delle procedure finalizzate a determinare il prezzo di vendita, ma non conferisce
altresı̀ al prelazionario il diritto di riscatto dell’azienda nei confronti dell’acquirente nell’ipotesi in cui tale esercizio sia stato illegittimamente impedito. Al prelazionario medesimo non
resterà, dunque, altra possibilità che esperire azione risarcitoria per il danno subito.
398
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
mente, la possibilità del curatore di esercitare tempestivamente il diritto di
recesso. Previa autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore medesimo, potrà, del resto, stipulare successivamente con l’affittuario qualunque
tipo di accordo idoneo a favorire gli interessi della massa, sia per escludere
il suo diritto preesistente, sia per attribuirgli una prelazione originariamente
non prevista.
5. Il diritto di recesso. La determinazione dell’equo indennizzo. – Si è già
sottolineato che l’art. 79 legge fallim., in alternativa alla soluzione della prosecuzione automatica, concede tanto al curatore che alla controparte del fallimento la possibilità di recedere dal contratto di affitto nel termine di sessanta giorni, che decorrono dalla sentenza di cui all’art. 16 legge fallim. (67).
Tuttavia, quanto meno in ordine al fallimento del concedente, ben diversa è la ratio che sorregge tale reciproca attribuzione. Infatti, mentre
per la procedura si può configurare, prima di ogni ulteriore obiettivo, un
interesse a conseguire anticipatamente la disponibilità del ramo aziendale
locato; in capo al conduttore non risulta altrettanto agevole identificare l’interesse collegato al riconoscimento di tale facoltà: quando la gestione dell’azienda sia proficua non si vede, invero, il motivo per cui l’affittuario debba
determinarsi a recedere sol perché la controparte sia stata dichiarata fallita.
In realtà, la concessione del recesso anche al conduttore in bonis può
spiegarsi essenzialmente in una chiave di mero bilanciamento simmetrico
dei poteri contrattuali delle parti, diretto forse ad impedire che non ne venga irragionevolmente alterata la formale posizione di parità negoziale (68).
Riguardo al fallimento del locatore l’analisi della curatela in ordine all’eventuale recesso dovrebbe, comunque, presupporre, già nella fase liminare
della procedura, valutazioni di opportunità tecnica e di convenienza economica tanto su ognuno dei molteplici aspetti del rapporto negoziale, quanto
sulle alternative realisticamente offerte dalla liquidazione concorsuale. Tale
(67) C. Cecchella, Il diritto fallimentare riformato, Milano, Ed. Il Sole-24 Ore, 2007,
269, attribuisce a tale figura «speciale» di recesso una funzione di deterrente contro la pratica
di stipulare il contratto d’affitto nell’imminenza del fallimento, inserendovi strumentalmente
clausole favorevoli all’imprenditore insolvente, quali diritti di prelazione o opzioni di acquisti
a prezzo irrisorio. Miele, cit., 608, rileva in proposito che, dovendo il contratto di affitto di
azienda essere provato per iscritto, anche l’eventuale recesso dovrà essere intimato in tale
forma.
(68) Non è un caso, invero, che tale reciprocità manchi in ordine alla fattispecie della
locazione di immobili prevista dall’art. 80 legge fallim.; cioè dove, a fronte della radicale preclusione della possibilità di recedere per la controparte in bonis, la menzionata esigenza di
bilanciamento delle posizioni negoziali delle parti finisce tuttavia per realizzarsi, nell’ipotesi
di fallimento del locatore, mediante la postegazione quadriennale degli effetti del recesso
esercitato dalla curatela.
Parte I - Dottrina
399
delibazione dovrebbe, cioè, investire la comparazione di costi e benefici circa la continuazione dell’attività in capo al concessionario, ivi compresa la
sua affidabilità finanziaria e gestionale; la considerazione di più convenienti
alternative presenti sul mercato degli affitti; il presumibile interesse all’acquisto immediato da parte di terzi imprenditori; la possibilità di realizzare,
anche in regime di esercizio provvisorio, una gestione produttivamente più
adeguata; la durata dell’affitto. Senza contare la non irrilevante ipotesi della
maturazione di un’offerta concordataria ai sensi dell’art. 124 legge fallim.,
che potrebbe esigere, ai fini della sua realizzazione, l’immediata disponibilità giuridica e materiale dell’azienda.
Sotto questo profilo non andrebbe, inoltre, dimenticata l’ulteriore prospettiva di esperire, sussistendone le condizioni, l’azione revocatoria ex art.
67 legge fallim.; il cui esercizio, se da un lato potrebbe porsi in chiave tendenzialmente alternativa all’ipotesi del recesso (69), dall’altro implica pur
sempre valutazioni di natura economico – temporale in ordine ai tempi e
agli oneri del relativo contenzioso. Né può obliterarsi, poiché fondamentale
ai fini dell’esercizio del recesso, la delibazione preventiva circa l’importo da
corrispondere al conduttore a titolo di indennizzo (70).
In ogni caso, occorre preliminarmente rilevare, anche alla luce della
nuova ratio della legge fallimentare, che il criterio del mancato guadagno,
cioè del risultato di lucro atteso dalla fisiologica prosecuzione del contratto,
non sembra costituire un parametro utilizzabile al fine di stabilire l’importo
di un indennizzo effettivamente «equo» (71).
Tale conclusione, che subisce in parte la vis actractiva, spesso immanente, esercitata in questa materia dal fallimento del locatore, finisce infatti, oltre che per contemplare l’utilizzo di parametri comunque ipotetici e dunque opinabili – assumendo, invero, essenzialmente il criterio degli utili attesi
dalla fisiologica continuazione dell’impresa in capo all’affittuario – anche
per porre eccessivamente in ombra il rilievo degli altri molteplici elementi
di valutazione destinati ad interferire con la formazione del valore dell’indennizzo.
Il criterio del mancato guadagno rappresenta, infatti, un elemento di ordine tecnicamente risarcitorio, cioè una delle componenti tipiche di quel
(69) In tal senso, anche Fimmanò, op. ult. cit., 235 seg.
(70) Mandrioli, op. cit., 294, rileva che la previsione dell’obbligo di corrispondere, a
fronte del recesso, un equo indennizzo potrebbe implicare, rispetto al passato una maggiore
stabilità dei contratti stipulati prima della dichiarazione di fallimento, comportando per il curatore, per ovvie ragioni finanziarie, una maggiore difficoltà di sciogliersi dal rapporto.
(71) Come sostengono, invece, Giovetti, op. cit., 1298 e U. Apice-S. Mancinelli,
Diritto fallimentare. Normativa ed adempimenti, Torino, 2008, 163, n. 11. In senso contrario,
rilevando la funzione esclusivamente riparatoria dell’indennizzo, Sanzo-Banchi, Manuale
delle procedure concorsuali, op. cit., 397.
400
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
postulato funzionale – il danno risarcibile – che l’art. 79 legge fallim., privilegiando la prospettiva dell’equo indennizzo, ha inteso, se non escludere,
quanto meno ridimensionare ai fini del relativo calcolo (72).
In realtà, si deve considerare che la disposizione in esame propone tre
coordinate interpretative: a) il riferimento al carattere tendenzialmente indennitario della prestazione, b) il richiamo al concetto di equità per la relativa determinazione, c) l’esigenza prospettica di un giudizio, cioè della supplenza autoritativa del giudice (delegato) in caso disaccordo delle parti. Esigenza resa, peraltro, vieppiù concreta dalla regola che impone comunque,
in materia, una seppur larvata forma di contraddittorio, dovendo il giudice
medesimo, prima di procedere alla eventuale determinazione della somma,
sentire le parti medesime.
È il giudice (delegato), in definitiva, più che il curatore o il conduttore
che, sotto questo peculiare aspetto, deve ritenersi il principale destinatario
della norma, la quale, imponendogli di affrancare la propria valutazione dai
più stringenti vincoli logico-giuridici del sillogismo risarcitorio, gli consente
in realtà di integrare equitativamente il giudizio ponderando discrezionalmente il peso di tutti i molteplici interessi in giuoco (73).
(72) Tende, invero, a concordare con una impostazione prevalentemente equitativa dei
canoni di valutazione dell’indennizzo, prospettando di conseguenza una preclusione all’utilizzo del criterio del lucro cessante, anche chi (Mandrioli, op. cit., 296) adombra l’ipotesi di
un calcolo effettuato «sul piano dell’equilibrio delle prestazioni» tenendo conto, fra l’altro,
«anche» del mancato profitto che il contraente contro il quale viene esercitato il recesso confidava di trarre dalla integrale esecuzione del contratto.
(73) In altri termini, anche questo specifico diritto all’indennizzo non sembra, mutatis
mutandis, strutturalmente diverso da quello previsto, ad esempio, dall’art. 2045 cod. civ.
(in caso di illecito compiuto in stato di necessità) o dall’art. 2047 cod. civ. (in caso di illecito
compiuto dall’incapace), dove la misura può non corrispondere al danno effettivamente subito (cfr. Cassazione, 28 luglio 1966, n. 2087), poiché, rispettivamente, rimessa all’apprezzamento equitativo del giudice di merito, che dovrà valutare comparativamente gli interessi
confliggenti, ovvero determinata secondo le condizioni economiche delle parti (sul carattere
sostanzialmente redistributivo dell’indennità prevista dall’art. 2045 cod. civ., v., inoltre, A.
Briguglio, Lo stato di necessità nel diritto civile, Padova, 1963, 162 seg., nonché B. Inzitari, Necessità (diritto privato), in Enc. Dir., vol. XXVII, Milano, 1977, 860; mentre nel senso
che l’attribuzione dell’indennità è rimessa esclusivamente al potere discrezionale del giudice,
S. Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, 248 segg., e P. Trimarchi, Rischio e
responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 30). Con particolare riferimento a tale ultimo aspetto,
l’indennità può dunque anche subire decurtazioni, fino a doversi considerare non dovuta
qualora emerga una manifesta sperequazione tra le posizioni economiche delle parti medesime (Tribunale Macerata, 20 maggio 1986, in Foro it., 1986, I, 2594).
Quanto ai canoni da utilizzare per la ricostruzione effettiva del quantum dovuto, Il genus
al quale va ricondotto il criterio di determinazione dell’indennizzo adombrato nel testo è, indubbiamente, quello della c.d. equità integrativa, il cui esercizio implica l’attribuzione al giudice del potere di completare la norma positiva ricorrendo all’equità per definire particolari
aspetti del rapporto controverso. Sul punto, cfr. R. Martino, Poteri equitativi del giudice e
Parte I - Dottrina
401
Certamente, qualora il recesso venga esercitato dalla curatela del locatore, non potranno del tutto essere obliterate, nella definizione dell’indennizzo, le prospettive di redditività che l’affittuario riteneva di realizzare
confidando nell’esecuzione integrale del contratto. Tuttavia, come sarà
evidenziato in seguito, tali prospettive tenderanno ad esprimersi soprattutto in chiave premiale; cioè a sintetizzarsi, con conseguenze sia sull’an
che sul quantum dell’indennizzo eventualmente dovuto al conduttore, nella valorizzazione dell’avviamento aziendale relativamente al periodo dell’affitto.
Non è escluso, peraltro, che si considerino, quali ulteriori aspetti strutturali determinanti per il conseguimento di un reddito, anche eventuali implicazioni di carattere più strettamente tecnico-produttivo o commerciale,
quando oggettivamente idonee ad inficiare la regolarità e la tempistica di
un determinato ciclo integrato, ovvero la fisionomia programmatica delle
politiche di vendita. Ma potrebbero, altresı̀, risultare ancor più decisivi elementi quali lo stato economico-organizzativo dell’azienda al momento della
retrocessione, le presumibili contaminazioni funzionali esercitate dai risultati della gestione dell’affittuario sulla fisionomia della prossima liquidazione
concorsuale e, non ultima, la condizione economica delle parti (74).
Sotto questo profilo, riterrei anzi che, nella fattispecie contemplata dall’art. 79 legge fallim., la determinazione dell’indennizzo dovrebbe tenere
conto del fatto che uno dei contraenti – nel caso specifico il concedente
– risulta sottoposto ad una procedura fallimentare; e di conseguenza del peculiare significato che può assumere, in un contesto concorsuale, l’utilizzo
dei canoni equitativi.
Deve cioè restare ferma, in primo luogo, l’inderogabile esigenza, da ritenersi peraltro piena espressione dei menzionati criteri di equità integrativa, di fissare un indennizzo «concorsualmente sostenibile», cioè coerente
con i limiti funzionali, gli obiettivi e le concrete disponibilità finanziarie della procedura fallimentare.
Per contro, relativamente differenti potrebbero risultare i parametri da
utilizzare nella formazione dell’equo indennizzo qualora l’opzione di recedere ex art. 79 legge fallim. venga formulata dall’affittuario in bonis. Qui
tenderanno, invero, ad essere privilegiate, oltre alle già menzionate implica-
giudizio di impugnazione, in La giurisdizione nell’esperienza giurisprudenziale contemporanea,
a cura di R. Martino, Milano 2008, 246; nonché N. Picardi, L’equità «integrativa» nel
nuovo processo del lavoro, in Riv. dir. proc., 1976, 476 segg., il quale osserva, altresı̀, che
nei tipici casi di equità integrativa l’opera del giudice si risolverebbe nella determinazione
di un concetto indeterminato attraverso l’utilizzazione di criteri tecnici ricavati dal dato giuridico.
(74) A tal proposito, cfr. infra, § 6.
402
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
zioni inerenti l’avviamento aziendale, valutazioni di ordine strumentale che
potrebbero riguardare, da un lato, l’aumento dei costi di gestione a carico
delle massa sia in caso di esercizio provvisorio, sia per garantire comunque
la tutela dell’unitarietà dei complessi aziendali in sede concorsuale; dall’altro l’eventuale arresto del ciclo produttivo, ovvero, più in generale, ogni
possibile conseguenza derivante dalla retrocessione traumatica dell’azienda
nel più rigido ambito operativo della procedura (75).
Al pari della scelta circa la prosecuzione o meno del contratto di affitto,
si deve comunque ritenere che anche la fissazione dell’effettivo ammontare
dell’indennizzo in caso di recesso non richieda alcuna preventiva autorizzazione da parte del comitato dei creditori e/o del giudice delegato. Trattasi,
infatti, di una determinazione che attiene alla tipica ed ordinaria attività di
amministrazione della massa attiva affidata al curatore – derivante peraltro,
in questo specifico caso, dall’esercizio di un diritto che gli viene espressamente concesso dalla legge – la quale rappresenta, sul piano sostanziale,
il risultato di un confronto dialettico che il terzo contraente ed il curatore
stesso devono poter condurre, liberamente ed autonomamente, sulla base,
come si è osservato, di molteplici parametri sia tecnico-finanziari che di carattere equitativo. Si deve dunque escludere, a mio avviso, che si tratti di
atto di straordinaria amministrazione ai sensi dell’art. 35 legge fallim. (76).
Né sembra potersi configurare, in proposito, uno specifico potere autorizzativo del giudice delegato. Invero, qualora il diritto all’indennizzo derivi
dal recesso esercitato dal fallimento, il suo eventuale rifiuto di autorizzare il
relativo pagamento rischierebbe di concretare, favorendo seppur indirettamente l’opposta prospettiva di un disaccordo tra le parti, il presupposto oggettivo necessario per radicare la propria cognizione equitativa ai sensi dell’art. 79 legge fallim.; e quindi di indirizzare forzosamente verso il proprio
ambito funzionale una scelta che la legge, ha, invece, primariamente rimesso all’incontro delle volontà del terzo contraente e del curatore, prevedendo
l’intervento suppletivo del giudice, in veste di risolutore di conflitti, solo in
caso di loro spontaneo dissenso.
(75) Sul punto, non si può dunque concordare con chi (Mandrioli, cit., 296) limitandone l’oggetto all’importo del canone contrattualmente stabilito, semplifica eccessivamente il
problema della determinazione dell’indennizzo a favore del concedente.
(76) Come ritengono, invece, Giovetti, Art. 80 bis. Contratto di affitto di azienda, op.
cit., 1296; nonché Mandrioli, op. cit., 295. Sul punto, si rinvia anche alle le considerazioni
sviluppate nel precedente § 2.
Plenteda, cit., 99, osserva del resto che l’indennizzo deve ritenersi pienamente atto di
ordinaria amministrazione sia perché rappresenta il corrispettivo per il recesso e dunque un
fattore di utilità per la massa; sia perché libera il concorso da un contratto oneroso; sia perché, in definitiva, è la stessa norma a considerarlo tale affrancandolo da preventive autorizzazioni.
Parte I - Dottrina
403
Un intervento autorizzativo del giudice delegato deve, a fortiori, escludersi anche se l’indennizzo risulta dovuto a seguito del recesso legittimamente esercitato dalla controparte in bonis, cioè in virtù di una opzione
che il fallimento è semplicemente costretto a subire. In realtà, l’ipotesi
di una preventiva indicazione giudiziale della somma ritenuta congrua,
o dei criteri-guida per determinarla, imporrebbe, di fatto, al curatore di
riaprire e/o condurre con il terzo la trattativa sul quantum dell’indennizzo
secondo criteri preventivamente stabiliti dal giudice medesimo; il che darebbe tuttavia luogo ad una indebita ingerenza giudiziale nel merito delle
funzioni operative di amministrazione e cura degli interessi della massa,
che risultano, invece, attribuite dalla legge in via esclusiva all’ufficio di curatore fallimentare (77).
Ciò non significa, naturalmente, che le pretese incongruenze circa la determinazione delle somme dovute a titolo di equo indennizzo ex art. 79 legge fallim. – ed ancor prima, sul piano più generale, le opzioni in ordine alla
stessa sorte del contratto di affitto pendente – sfuggano a qualsiasi censura
da parte degli organi fallimentari, potendo una eventuale patologia emergere già nell’ambito della relazione al giudice e dei rapporti riepilogativi semestrali previsti dall’art. 33 legge fallim.; nonché costituire sia motivo di revoca
o sostituzione ex artt. 37 e 37 bis legge fallim., sia fonte di responsabilità ex
art. 38 legge fallim., sia, infine, fondamento per contestare il rendiconto ai
sensi dell’art. 116 legge fallim. (78).
In ogni caso, ai sensi dello stesso art. 79 legge fallim., le somme relative
al pagamento dell’indennizzo eventualmente dovuto dalla curatela dovranno essere erogate secondo il meccanismo della prededuzione contemplato
dal successivo articolo 111, n. 1.
(77) Del resto, che non esistano, sul piano sistematico, appigli sicuri per configurare siffatti poteri autorizzativi risulta indirettamente, ma chiaramente, comprovato anche dalla conclusione (formulata da Miele, cit., 608) di affidare, in definitiva, alla prassi – dunque, mi
sembra, non certo all’analisi ermeneutica – il compito di pilotare il problema verso una determinazione autorizzata o, comunque, pre – concordata dell’importo dell’indennizzo.
(78) Si ricorda, a tal proposito, che la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, appare costante nel ritenere che il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto, oltre alla verifica contabile, anche l’effettivo controllo della gestione, cioè
la valutazione della correttezza dell’operato del curatore, della sua corrispondenza a precetti
legali ed ai canoni di diligenza professionale richiesta per l’esercizio della carica e degli esiti
che ne sono conseguiti, la cui contestazione esige la deduzione e la dimostrazione dell’esistenza di pregiudizio almeno potenziale recato al patrimonio del fallito o agli interessi dei creditori (cosı̀ Cassazione, 13 giugno 2008, n. 16019; ma v. altresı̀, in senso analogo, Cassazione, 20
dicembre 2002, n. 18144 e Cassazione, 5 ottobre 2000, n. 13274; nonché, per il merito, Tribunale Palmi, 14 giugno 2005, in Fallimento, 2006, 4, 451, Tribunale Palermo, 18 luglio
2002, ivi, 2003, 7, 781 e Tribunale Napoli, 28 febbraio 2001). Cfr., in argomento, anche le
considerazioni sviluppate al termine del § 2.
404
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
Tale disciplina, e segnatamente il richiamo allo stesso art. 111 legge fallim. al fine di stabilire il relativo ordine di erogazione, induce peraltro a
chiarire quale sia l’eventuale percorso processuale nell’ipotesi di contestazione della pronuncia resa, in materia, dal giudice delegato.
In proposito, occorre infatti considerare che, stando alla disposizione
appena menzionata, neppure i crediti della massa, in quanto prededucibili,
possono sottrarsi al procedimento di verifica endofallimentare previsto dagli articoli 92 segg. legge fallim. Ciò potrebbe indurre a concludere che le
decisioni giudiziali inerenti gli importi in questione debbano poi essere,
eventualmente, contestate utilizzando il rito previsto per l’accertamento
del passivo.
D’altro canto, vi è chi ritiene che il decreto del giudice delegato rivesta
qui già natura accertativa di merito circa l’an ed il quantum dell’equo indennizzo. Di conseguenza, risulterebbe privo di senso, al fine di realizzare il diritto di difesa della controparte insoddisfatta, procedere ad un nuovo giudizio di accertamento secondo le regole contenute nel capo V, titolo II della
legge fallimentare (79). E dunque non rimarrebbe altra via che sottoporre la
pronuncia del giudice medesimo sull’equo indennizzo alla disciplina tipica
dei procedimenti camerali, la quale, com’è noto, contempla l’impugnazione
per reclamo ex art. 26 legge fallim., nonché la successiva esperibilità – trattandosi di provvedimento a contenuto decisorio incidente su diritti soggettivi – del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (80).
In realtà, mi sembra vadano considerati, in argomento, anche il grado di
intensità della tutela apprestata e l’ampiezza del diritto di difesa che caratterizzano ciascuna delle alternative appena evidenziate.
Invero, privilegiando la soluzione del rito camerale, si deve anche considerare che la pronuncia sull’equo indennizzo resa ai sensi dell’art. 26 legge
fallim., pur rivestendo efficacia sul piano extra-fallimentare, può acquisire
definitività, e quindi forza di giudicato sostanziale, solo nell’eventualità in
cui venga successivamente esperito anche il ricorso straordinario per cassazione previsto dall’art. 111 Cost. In altre parole, l’adesione alla tesi che privilegia il dominio di tale rito implica, per la parte, la soggezione ad una prospettiva processuale meno garantista, finendo il suo diritto di difesa per subire l’inevitabile compressione prodotta sia dalla filiera del reclamo ex art.
26 e della successiva impugnazione per violazione di legge, che escluderebbe comunque ogni ipotesi di cognizione piena sul merito; sia dalla stessa
imprescindibilità, ai fini della formazione del giudicato, del ricorso in cas-
(79) Mandrioli, op. cit., 297.
(80) In tal senso Mandrioli, cit., 297; Martone, Locazione e affitto, cit., 377; nonché
R. Riedi, Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in AA.VV., Il diritto processuale del fallimento, Torino, 2008, 180 segg.
Parte I - Dottrina
405
sazione; la cui effettiva portata cognitiva risulterebbe peraltro, stante il comprovato carattere integrativo dell’equità richiamata dall’art. 79 legge fallim.,
assai limitata.
Per contro, l’alternativa di utilizzare il meccanismo predisposto dagli articoli 72 segg. legge fallim. per la verifica del passivo ha il pregio di partorire
un provvedimento che dispiega efficacia di giudicato esclusivamente in sede
endofallimentare, lasciando impregiudicata la possibilità di far valere al di
fuori del fallimento, con un giudizio ordinario di primo grado nei confronti
del debitore tornato in bonis, ogni pretesa relativa al credito per l’equo indennizzo (81). Qualunque contestazione inerente tale credito, anche quelle
dirette a censurare l’utilizzo del criterio equitativo da parte del giudice delegato in sede di determinazione del relativo importo, inciderebbe dunque
esclusivamente sulla partecipazione al concorso, senza limitare il diritto di
difesa, che potrebbe sempre esplicarsi, se del caso, attraverso la cognizione
piena davanti al giudice ordinario.
Orbene, non vanno certo obliterate le ragioni di natura funzionale sottese alla scelta della soluzione camerale, la quale, fondandosi essenzialmente
sulla circostanza che il giudice si è già pronunciato, finisce per accomunare
in chiave tendenzialmente analogica la fattispecie determinativa dell’equo
indennizzo a quella, espressamente indicata dall’art. 111 bis, comma 1, legge fallim. della contestazione dei compensi dovuti ai soggetti indicati dall’art. 26 legge fallim.
Le analogie tra i due tipi di provvedimento si limitano, tuttavia, esclusivamente al dato della previa cognizione sommaria, in ordine alla fissazione
del quantum, da parte del giudice delegato. Stante, peraltro, l’evidente assimilazione, circa la procedura inerente i compensi dovuti ex art. 26 legge
fallim., con il rito previsto ai fini della contestazione degli emolumenti spettanti al curatore (82).
(81) Fermi restando, ovviamente, sia gli effetti di una eventuale esdebitazione qualora il
concorso sia stato aperto nei confronti dell’imprenditore individuale, sia il rilievo sostanziale
per cui la prevalenza statistica del fallimenti riguardanti società di capitali, segnatamente soc.
a resp. lim., è tale da rendere comunque assai rarefatta l’ipotesi che un contenzioso sull’equo
indennizzo possa radicarsi, dopo la chiusura della procedura, secondo le ordinarie regole di
competenza.
(82) Tale parallelismo, invero non sempre adeguatamente rilevato nei commenti dedicati
all’argomento, si fonda probabilmente, e forse freudianamente, sul carattere definitivo della
pronuncia riguardante il compenso dei soggetti che hanno prestato la propria opera ai sensi
dell’art. 26. In relazione al compenso del curatore, è, infatti proprio sul binomio definitività /
non definitività del relativo provvedimento – operante in base alla chiusura o meno della procedura – che la giurisprudenza ha, fino ad oggi, tracciato la linea di demarcazione tra pronunce reclamabili o meno al collegio ex art. 26 legge fallim. e ricorribili in Cassazione ex art. 111
Cost. Di recente, peraltro, la stessa S.C., a seguito di un arresto discordante con la tendenza
finora seguita (cfr. Cassazione, 4 agosto 2006, n. 17697, in Fallimento, 2007, 3, 302), ha ri-
406
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
Dovrebbero, tuttavia, apparire evidenti, soprattutto sotto il profilo prodromico, le differenze di «peso concorsuale» e di natura «politica» tra i due
tipi di compenso in esame; risultando l’uno – quello cioè considerato dall’art. 111 bis legge fallim. mediante il richiamo all’art. 26 legge fallim. – tendenzialmente assistito dall’ausilio di meccanismi tariffari e/o tabellari nonché, a volte, di prassi giudiziarie locali tali da garantirne, in larga parte dei
casi, una effettiva ed equa liquidazione; ed essendo invece l’altro totalmente
privo di un apprezzabile parametro di riferimento tecnico-oggettivo, e per
di più soggetto ad una valutazione equitativa che può spingersi, come si è
rilevato, fino all’estrema determinazione di considerare l’indennizzo non
dovuto (83).
Alla luce di tali più pressanti esigenze di tutela, non sarebbe in definitiva
scorretto privilegiare, quale strumento per contestare la decisione del giudice delegato sull’equo indennizzo, la soluzione del rito endofallimentare previsto per l’accertamento del passivo, che sembra offrire alla parte titolare
del diritto all’indennizzo medesimo più solidi meccanismi di tutela e più
ampi spazi per una piena esplicazione del diritto di difesa.
In ordine all’esercizio del diritto di recesso, va infine risolto il problema
del rapporto funzionale tra la sua efficacia e la concreta prestazione dell’indennizzo. Occorre cioè chiedersi – considerato quanto stabilito sia dall’art.
1373 cod. civ., a mente del quale qualora sia stata stipulata una prestazione
del corrispettivo per il recesso, questo ha effetto, salvo patto contrario,
quando la prestazione è eseguita; sia dall’art. 34, comma 4, della legge 27
luglio 1978, n. 392, recante la disciplina delle locazioni di immobili urbani,
dove è disposto che l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile è condizionata dall’avvenuta corresponsione dell’indennità di cui al
comma 1 – se nel caso di specie lo scioglimento dal contratto ai sensi dell’art. 79 legge fallim. possa validamente realizzarsi anche prima, e quindi indipendentemente, dal pagamento dell’indennizzo medesimo.
La dottrina ha formulato, in proposito, un duplice ordine di considerazioni, rilevando innanzitutto, sul piano sistematico, che la menzionata disposizione civilistica implica che già ab origine, cioè al momento della sottoscrizione del contratto, le parti abbiano concordato anche l’obbligo reci-
messo gli atti alle Sezioni Unite «per l’esame della questione inerente al momento in cui il
tribunale deve procedere alla liquidazione definitiva del compenso al curatore sostituito
nel corso della procedura» (v. Cassazione, 26 febbraio 2007, n. 4362 (ord.), in Fallimento,
2007, 7, 785. Le SS. UU., con sentenza n. 26730 del 19 dicembre 2007, hanno, peraltro, confermato l’orientamento più tradizionale, disponendo che il curatore ha diritto alla liquidazione finale del compenso soltanto al termine della procedura; facendo naturalmente salva la
possibilità, ove ne ricorrano le condizioni, di concedergli uno o più acconti.
(83) V. supra, la nota 73.
Parte I - Dottrina
407
proco di versare un corrispettivo in caso di eventuale recesso. Si tratterebbe, dunque, di una fattispecie di natura meramente negoziale, e perciò
strutturalmente diversa da quella relativa alla specifica ipotesi in esame, dove l’obbligo di versare l’indennizzo matura a seguito dello stato di crisi che
ha investito il contraente imprenditore commerciale e che ha dato luogo all’apertura della procedura di fallimento (84).
In secondo luogo, è stato notato che se per un verso la liquidazione
dell’equo indennizzo potrebbe anche implicare – qualora la procedura
sia sprovvista delle disponibilità finanziarie indispensabili a soddisfare il
relativo debito della massa ex art. 111 legge fallim. – il pagamento in
un momento necessariamente successivo a quello in cui viene esercitato
il recesso; per l’altro non è escluso che possano sorgere, con analogo effetto procrastinante, contestazioni in ordine alla determinazione dell’importo dovuto (85).
In definitiva, tali argomentazioni lascerebbero ritenere che il diritto di
ricevere un equo indennizzo a seguito del recesso esercitato dalla controparte ex art. 79 legge fallim. non comporti, per il contraente che subisce
lo scioglimento unilaterale del contratto – tanto in caso di fallimento del locatore che nell’ipotesi di fallimento dell’affittuario – il parallelo diritto di
trattenere l’azienda fino a quando la controparte medesima non abbia
adempiuto al proprio obbligo di pagamento (86).
La soluzione proposta, benché sorretta da valutazioni di ordine sostanziale in parte condivisibili, non sembra però del tutto persuasiva.
Non bisogna infatti dimenticare che l’apertura del concorso, pur risultando tendenzialmente compatibile con la prosecuzione dell’esecuzione di
un contratto preesistente secondo un criterio di relativa equidistanza dei
contraenti rispetto ai diritti ed agli obblighi derivanti dall’accordo, crea
nondimeno nella sfera giuridica facente capo alla parte fallita una ridefinizione degli interessi e delle posizioni dei terzi la quale, esprimendo l’esigenza fondamentale di tutelare le ragioni dei creditori mediante una procedura
di gestione dell’insolvenza di carattere squisitamente pubblicistico, non può
non implicare, qualora si presenti una situazione di conflitto, la costante
(84) Cfr. Mandrioli, op. cit., 294; nonché L. Restaino, Commento sub art. 80, in La
riforma della legge fallimentare, a cura di A. Nigro-M. Sandulli, Torino, 2006, 486.
(85) V. Mandrioli, op. cit., 294.
(86) Cosı̀ Mandrioli, cit., 295, configurando la fattispecie in termini di dichiarazione
unilaterale recettizia, tale cioè da produrre effetti già nel momento in cui viene portata a conoscenza della controparte cui è destinata. Miele, cit., 606, giunge alla medesima conclusione in base alla considerazione che non è stata prevista, dalla norma concorsuale, una disposizione simile a quella del menzionato art. 34, comma 4, l. n. 392/78 in materia di diritto del
conduttore di immobili ad uso commerciale.
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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
preminenza sistematica e sostanziale delle finalità affidate al fallimento e
delle opzioni ad esso riservate.
Al riguardo, basti riflettere sulle numerose disposizioni che attribuiscono alla curatela una effettiva condizione di supremazia potestativa circa il
destino da riservare a diversi rapporti pendenti, ovvero in ordine alle aspettative comunque maturate, all’interno dello stesso fallimento, in capo ad alcuni stakeholder. Come accade, ad esempio, per la regola generale contemplata dall’art. 72 legge fallim., oppure in relazione alla disciplina dell’esercizio provvisorio e del contratto di affitto endofallimentare, dove la norma,
prescindendo radicalmente da ogni pur immanente interesse dei terzi alla
prosecuzione della gestione dell’impresa, sancisce il diritto unilaterale degli
organi della procedura di far cessare l’uno (art. 104, commi 3 e 6, legge fallim.) e di recedere dall’altro (art. 104 bis, comma 3, legge fallim.) in base a
valutazioni di mera opportunità, cioè, in sostanza, in virtù di considerazioni
che attengono essenzialmente al rapporto tra costi e benefici finanziari inerente la prosecuzione dell’attività di impresa e gli obiettivi finali della procedura medesima.
Ma basti, in generale, pensare alla particolare configurazione, in sé forse
ancor più decisiva, del carattere rigidamente «utilitaristico» e «monetaristico» del fenomeno fallimentare; in ragione del quale ogni, attività, opzione o
soluzione gestionale che può interessare la procedura – concepite e poste in
essere tanto dagli organi concorsuali che dai terzi – debbono trovare, vieppiù se geneticamente partorite all’interno del suo ambito operativo o in esso
recepite, un rigoroso e corrispondente riscontro in termini di utilità reale,
cioè di comprovato vantaggio per la massa, o quanto meno risultare potenzialmente prive di elementi di svantaggio.
La procedura di fallimento risulta, in altri termini, istituzionalmente incompatibile, oltre che con l’eventualità di dover sostenere tout court, cioè
senza le dovute cautele e senza un definito orientamento finalistico, l’alea
gestionale connesso all’attività di impresa, anche con la più circoscritta prospettiva di assumere una determinazione da cui possa derivare a priori, a
fronte dell’immediato sacrificio di una utilità per la massa stessa, una posizione di mera ed indefinita aspettativa del concorso nei confronti del terzo
obbligato alla relativa controprestazione.
Il rapporto funzionale tra efficacia del recesso e corresponsione dell’equo indennizzo non va, dunque, ricostruito secondo una chiave univoca,
ma può assumere diverse configurazioni a seconda di chi abbia esercitato
il relativo diritto.
In caso di fallimento del locatore, qualora a recedere sia la curatela, andrebbe invero privilegiato l’interesse della massa a ripristinare subito il proprio godimento sull’azienda. Il recesso sarà, quindi, immediatamente efficace anche qualora il pagamento dell’eventuale indennizzo spettante alla controparte in bonis sia al momento impedito perché le disponibilità monetarie
Parte I - Dottrina
409
della procedura sono insufficienti, ovvero perché pende, presso il giudice
delegato, la cognizione equitativa sul quantum dovuto (87).
Viceversa, nell’ipotesi di fallimento del conduttore, l’eventualità del recesso esercitato dal locatore potrebbe entrare in conflitto con l’interesse
della procedura a proseguire l’attività aziendale, nella prospettiva di incrementare, mediante l’esercizio provvisorio, il risultato finale della liquidazione fallimentare. Ne consegue che, fino a quando alla determinazione di recedere non corrisponderà il pagamento di quanto dovuto alla procedura a
titolo di indennizzo, la curatela potrà legittimamente trattenere e gestire l’azienda nell’ambito della massa (88).
6. Segue. Il problema dell’avviamento e delle differenze di inventario. –
In ordine alla determinazione dell’importo dell’indennizzo, occorre valutare
con particolare attenzione – considerato anche il non irrilevante peso esercitato dal carattere equitativo della relativa misurazione – se il paniere degli
indici a tal fine utilizzabili possa comprendere anche una eventuale valorizzazione dell’avviamento aziendale.
La giurisprudenza – considerando acriticamente l’avviamento soltanto
una qualità e non un elemento dell’azienda, e al tempo stesso assumendo
in chiave fuorviante e tendenzialmente capziosa il corollario della sua estraneità ontologica al genus delle consistenze inventariali che rilevano ai fini
dell’indennizzabilità ex art. 2561, comma 4, cod. civ. (89) – pare, come è noto, orientata a negare che esso concreti, al termine del contratto di affitto,
un diritto all’indennizzo in favore dell’affittuario (90).
A ben vedere, tuttavia, la soluzione del problema prescinde, in generale,
dalla circostanza che la natura dell’avviamento risulti o meno compatibile,
tanto sul piano tecnico – contabile che sotto il profilo giuridico, con l’inserimento della relativa posta tra le consistenze inventariali. Infatti, se può es-
(87) Meno problematica appare l’ipotesi in cui, sempre in ordine al fallimento del locatore, ad avvalersi del recesso sia l’affittuario. Infatti, volendo configurare un ipotetico interesse del fallimento alla prosecuzione della gestione aziendale in capo al conduttore – e, dunque,
prescindere dal pur fondamentale rilievo sostanziale del ritorno anticipato dell’azienda nell’alveo amministrativo della procedura – non risulterebbe comunque possibile obbligare un terzo a proseguire forzosamente nella relativa attività non esercitando un diritto concessogli dalla legge: anche in tal caso il recesso sarà, perciò, efficace indipendentemente dal contestuale
pagamento dell’indennizzo.
(88) Sul punto, cfr. anche il successivo § 9.
(89) Cfr. Cassazione, 20 aprile 1994, n. 3775, in Giur. it., 1995, I, 1, 852, la quale afferma
di conseguenza che l’affittuario, salvo disposizioni o pattuizioni contrarie, non può normalmente pretendere somme eccedenti l’importo delle spese da lui erogate e del cui risultato
il locatore si sia avvantaggiato.
(90) Cassazione, 4 dicembre 1963, n. 3084, in Giur. it., 1964, I, 1, 296; Cassazione, 20
aprile 1994, n. 3775, cit.; nonché Corte Cost., 23-21 marzo 1988 (ord.).
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sere vero che esso rappresenta, ovviamente salvo patto contrario, un cespite
non inventariabile al momento della stipula del contratto di locazione, è altrettanto innegabile che la sua idoneità a fondare il menzionato diritto di
indennizzo non ne presuppone comunque tale configurazione, ma si giustifica per vie del tutto diverse, cioè per il fatto di esprimere, secondo una logica di valore aggiunto, una valorizzazione in chiave strutturale ed economico-reddituale, quindi non meramente patrimoniale, dell’azienda locata (91).
Peraltro, questo particolare aspetto dell’argomento in esame sembra rivestire significati diversi a seconda che si consideri la fattispecie contrattuale
dell’affitto esclusivamente nei confini ermeneutici e funzionali disegnati dalla ordinaria normativa civilistica; ovvero anche in relazione ad un ulteriore
profilo specifico, qual’è appunto quello tracciato dalla disciplina concorsuale, in cui l’obbligo di corrispondere un indennizzo «equo» al conduttore risulta, comunque, previsto dalla legge.
In effetti, derivando tale obbligo da una espressa disposizione normativa, nel caso di specie non può non porsi, direi in chiave assai più stringente
di quanto non avvenga riguardo all’esecuzione «fisiologica» del contratto di
affitto, il problema di esaminare se ed entro quali limiti risulti opportuno, se
non addirittura necessario, considerare ai fini della relativa determinazione
anche eventuali apprezzamenti o deprezzamenti dell’avviamento, nella misura in cui si possano ritenere specificamente imputabili all’attività di gestione svolta dall’affittuario (92).
In altri termini, la conclusione che una indennità per l’avviamento non
sia normalmente dovuta al termine del contratto di affitto, già di per sé
piuttosto discutibile, non significa affatto, soprattutto qualora sia la stessa
norma a prevedere la corresponsione di un indennizzo, che quest’ultimo
non possa, o non debba, essere determinato in via equitativa anche in base
alle dinamiche di tale valore immateriale.
Del resto, si tratta in ogni caso di materia che rientra pienamente nella
disponibilità delle parti. Quindi, se è consentito che esse possano sempre
stabilire, di comune accordo, i criteri per misurare quanto dovuto al conduttore a titolo di avviamento al termine del contratto, non si vede perché
tale alternativa debba ritenersi preclusa, nella peculiare prospettiva considerata dall’art. 79 legge fallim., tanto in ordine alla concorde manifestazione
di volontà del curatore e del terzo contraente in bonis, quanto, eventualmente, in relazione alla valutazione equitativa rimessa al giudice delegato.
La relativa attenzione prestata a tali tematiche spiega, ad esempio, gli
(91) Cfr. A. Musaio, L’economia dell’azienda in «affitto», Profili istitutivi e contabili,
Milano, 1995, 26.
(92) Tale possibilità è ad esempio ammessa, ma in chiave tuttavia apodittica e senza valutarne le molteplici implicazioni, da Martone, cit., 377.
Parte I - Dottrina
411
equivoci e le contraddizioni in cui cadono coloro i quali, senza usare le dovute cautele ermeneutiche, accostano apoditticamente il fenomeno dell’avviamento al tema delle differenze di inventario. Come accade in particolare
quando, per escluderne il rilievo nel computo della prestazione indennitaria
ex art. 79 legge fallim., si prospetti la duplice argomentazione per cui da un
lato gli incrementi dell’avviamento medesimo dovrebbero ritenersi attinenti
più a tali differenze che a quello dell’indennizzo; mentre dall’altro, trattandosi non già di un elemento dell’azienda ma di una sua qualità, esso si limiterebbe, nella fattispecie in esame, a realizzare tout court il conseguimento
di un vantaggio economico per il concedente (93).
A tal proposito, è tuttavia sufficiente rilevare che la configurazione dinamica dei valori dell’avviamento quale fenomeno di natura inventariale
tout court ne presuppone una classificazione economico-contabile in termini di posta del cui ammontare si dovrebbe, specificamente ed autonomamente, tenere conto già in sede di stipula del contratto di affitto. Cioè un
inquadramento che potrebbe risultare incompatibile già con il suo preteso
carattere qualitativo, in virtù del quale l’avviamento medesimo non andrebbe di norma considerato, ai fini della effettiva determinazione del contenuto
di tale contratto, nella ricognizione tassonomica dei cespiti patrimoniali e
dei rapporti giuridici componenti l’azienda che ne costituisce l’oggetto; rappresentandone, semmai, un elemento immateriale che può contribuire, indirettamente e indistintamente, soltanto alla valorizzazione del canone (94).
Neppure esaustiva, del resto, è la definizione del concetto di avviamento in chiave meramente qualitativa. La sua ricostruzione sistematica
come «servizio di uso durevole» fornito dal cedente al cessionario dell’azienda permette, infatti, di ritenere, quanto meno in riferimento al c.d. avviamento a titolo derivativo (95), che esso rappresenti comunque un vero e
(93) Cosı̀ Miele, cit., 607.
(94) V. S. Mogorovich, Affitto di azienda, Roma, 1997, 12.
(95) Sebbene risulti caratterizzato da una ragion d’essere univoca – cioè quella di esprimere il valore della futura capacità reddituale dell’azienda – il concetto di avviamento, alla
luce della normativa civilistica e dei principi contabili nazionali, assume modalità di manifestazione e di valorizzazione particolari qualora si tratti di avviamento acquisito a titolo derivativo, cioè di un elemento immateriale per cui, in sede di trasferimento della proprietà ovvero attraverso il conferimento del complesso aziendale cui si riferisce, viene pagato un prezzo che deve obbligatoriamente essere iscritto in bilancio e che subisce un processo di ammortamento periodico (v. artt. 2424 e 2426, n. 6 cod. civ.). Secondo Caratozzolo, Il bilancio
di esercizio, Milano, 2006, 568, se non si iscrivesse in bilancio il valore dell’avviamento conseguito a titolo derivativo, si ometterebbe di segnalare un elemento patrimoniale effettivo ed
esistente – cioè, come si è già rilevato nel testo, un vero e proprio bene del patrimonio aziendale – esponendo cosı̀ una situazione patrimoniale non vera e determinando altresı̀ un risultato economico non vero, perché ridotto dell’intero costo di acquisizione dell’avviamento,
portato a carico del conto economico nella sua totalità e non per quote annuali di ammorta-
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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
proprio bene del patrimonio aziendale (96), cioè non soltanto una indefinita e complessiva espressione delle potenzialità economiche «interne»
dell’azienda (97).
Sotto questo profilo, l’avviamento (goodwill) viene, in particolare,
identificato come la differenza positiva tra il costo complessivo sostenuto
per l’operazione di acquisizione – che può avvenire a seguito di acquisto o
permuta dell’azienda, conferimento, fusione, scissione, acquisizione di
partecipazione di controllo – ed il fair value del patrimonio acquisito, cioè
il valore di mercato tendenziale delle attività e delle passività che lo compongono (98).
L’avviamento, in definitiva, rappresenta ciò che l’acquirente dell’azienda paga, anticipatamente, a fronte dei benefici economici che potranno derivare, in futuro, da attività o gruppi di attività non suscettibili di essere
identificate e rilevate separatamente al momento dell’acquisto (99).
Di conseguenza, esso non deriva esclusivamente dall’esistenza di una
prospettiva di profitto, intesa come potenzialità reddituale superiore alla
media normale di settore, ma può anche corrispondere al valore di una o
più attività di carattere immateriale già esistenti nel patrimonio dell’azienda
acquisita, e tuttavia prive dei requisiti necessari ad una loro distinta ed autonoma iscrizione in bilancio.
In altre parole, rispetto alla valutazione dei suoi cespiti secondo il fair
value, la maggior somma pagata per acquisire l’azienda non comprende solo
l’avviamento vero e proprio – inteso come valore attuale dei maggiori flussi
di reddito che essa può generare rispetto all’utilizzo separato di attività e
passività – ma anche l’importo relativo ai c.d. intangibles, cioè ad altri componenti diversi dall’avviamento medesimo; anch’essi non iscrivibili in bilan-
mento. Postulano, invece, il carattere facoltativo dell’iscrizione M. Bussoletti-P. De Biasi,
Commento sub art. 2426 cod. civ., in Niccolini-Stagno D’Alcontres (a cura di), Società
di capitali, cit., II, 1039.
(96) Cfr. M. Caratozzolo, cit., 244; G.E. Colombo, Il bilancio di esercizio. Strutture
e valutazioni, Torino, 1987, 187 e O.T. Scozzafava, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano, 1984, 477.
(97) In questi termini, nulla vieterebbe allora di valutare espressamente l’avviamento tra
le componenti dell’azienda all’inizio e al termine del contratto di affitto (cfr. M. Nava, Le
perizie di stima, Torino, 200, 75) ma potrebbe, altresı̀, acquisire valore argomentativo l’ulteriore prospettiva di accostare lo stesso inventario di inizio e fine affitto, più che al bilancio di
esercizio, ad un bilancio di cessione, cioè ad un prospetto nella cui struttura, e per le cui finalità, l’avviamento assume una posizione certamente non trascurabile (G.E. Colombo, L’azienda, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da F. Galgano, Padova, 1979, III, 28).
(98) Cfr il documento IFRS 3 sulle businnes combination contenuto nei principi contabili
internazionali, e riportato da Caratozzolo, cit., 591.
(99) Caratozzolo, cit., 591.
Parte I - Dottrina
413
cio (100). Si tratta, cioè, di elementi quali le capacità professionali del management, la propensione organizzativa ad a acquisire e fidelizzare la clientela,
l’ubicazione dell’azienda, la tradizionale stabilità delle relazioni sindacali, il
particolare appeal del marchio, il know-how, il livello professionale dei dipendenti, il buon credito preso banche e fornitori. Per alcune categorie
di imprese, realizzano altresı̀ una significativa tipologia di intangibles le attestazioni rilasciate da specifici organismi – ad esempio, per le imprese di
costruzione, dai S.O.A. (Società Organismi di Attestazione) – le quali ne
comprovano la capacità tecnico – strutturale, economica e finanziaria in ordine alla partecipazione alle gare di appalto per determinati importi, sulla
base di classifiche di qualificazione elaborate per importi crescenti.
Gli intangibles costituiscono, in definitiva, fattori certamente suscettibili
di generare, anche in prospettiva, un profitto; ma il cui grado di percepibilità e di valorizzazione patrimoniale risulta più immediato, perché fondato
su parametri meno aleatori e di più evidente riscontro concreto, rispetto a
quello offerto dai meccanismi aritmetici di attualizzazione di un ipotetico
sovrareddito futuro.
Sono, in altre parole, elementi che concorrono alla determinazione dell’avviamento aziendale secondo criteri in parte differenti da quelli normalmente utilizzati per misurare il c.d. avviamento a titolo originario, il quale,
formandosi col passar del tempo per vie esclusivamente «interne» all’attività di impresa, cioè in virtù dell’effettivo potenziamento della struttura organizzativa aziendale, può trovare espressione quantitativa, in assenza di un
trasferimento della proprietà dell’azienda, esclusivamente come valore attuale del flusso sperato dei sovra-profitti futuri, intesi come i maggiori redditi conseguibili rispetto a quello che dovrebbe rappresentare la normale
remunerazione di un capitale equivalente al patrimonio dell’azienda valutata (101). Il carattere opinabile e tendenzialmente aleatorio della sua esistenza
e del suo ammontare, nonché la sua estraneità ontologica ad un sistema di
valutazioni di funzionamento orientate alla determinazione di un reddito
fondatamente consumabile, spiegano perché, al contrario di quanto accade
per l’avviamento a titolo derivativo (102), ne sia tuttora preclusa l’iscrizione
nell’attivo del bilancio di esercizio (103).
Orbene, è innegabile che, nella prospettiva del recesso ex art. 79 legge
fallim., non risulterebbe agevole misurare l’eventuale valorizzazione dell’avviamento ascrivibile al conduttore utilizzando soltanto il criterio prospetti-
(100) Caratozzolo, cit., 592.
(101) V. R. Caramel (a cura di), Il bilancio delle imprese, Milano, Il Sole-24 Ore, 1992,
111.
(102) V. supra, in particolare i rilievi di cui alla nota 98.
(103) Cfr. Caratozzolo, cit., 244.
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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
co, cioè la logica meramente presuntiva dei sovra-redditi futuri, che regola i
meccanismi di valutazione dell’avviamento originario (104). Qualora, infatti,
si intendesse determinare lo specifico contributo dell’affittuario all’incremento differenziale delle prospettive di redditività attualizzando l’ipotetico
maggior reddito futuro, e dunque assumendo pur sempre quale termine di
riferimento gli utili attesi e non percepiti a seguito del recesso, si ripresenterebbero per molti versi i cennati problemi di aleatorietà e di opinabilità,
oltre a reintegrarsi surrettiziamente il metro risarcitorio del lucro cessante,
del tutto inidoneo, come si è visto, a governare la fattispecie indennitaria
prevista dall’art. 79 legge fallim.
Viceversa, la presenza di alcuno dei menzionati intangibles – cioè di elementi sı̀ immateriali, ma individualmente riconoscibili, al momento del recesso, tanto sul piano della effettiva struttura operativa aziendale che sotto
il profilo genetico – consente di valutare, vieppiù se in una latitudine equitativa, il contributo dell’attività del conduttore in termini di avviamento
aziendale anche prescindendo, entro certi limiti, dalla circostanza che i fenomeni della concessione in affitto e della speculare retrocessione non implicano mai una trasmissione della titolarità del complesso aziendale, ma solo il trasferimento del diritto di goderne; cioè anche prescindendo dalla
mancanza di un indicatore orientativo quale il prezzo di vendita ovvero il
valore del conferimento.
Nulla esclude, in definitiva, che da tali asset possano derivare – pur se
(104) In larga parte dei casi mancherebbe peraltro, a tale scopo, anche un interesse diretto del fallimento del locatore all’eventuale valorizzazione dell’avviamento realizzatasi per vie
del tutto endogene durante la gestione dell’azienda in capo al conduttore. La procedura, infatti, essendo istituzionalmente estranea alla logica del going concern – salva l’ipotesi dell’esercizio provvisorio, che tuttavia è rigidamente limitata nel tempo e nelle finalità – non costituisce certo il terreno ideale, già sotto il profilo istituzionale, per la gestazione e la realizzazione
delle businnes combination necessarie affinché tale valore immateriale assuma concreto significato, sia dal punto di vista tecnico-reddituale che sotto il profilo patrimoniale, in ordine alle
prospettive gestionali dell’azienda. Appare cioè più difficile, in ambito fallimentare, configurare la combinazione dinamica tra valori dell’azienda acquisita ed asset dell’acquirer indispensabile affinché possa effettivamente realizzarsi un apprezzamento dell’avviamento originario
in chiave di risultati economici dell’impresa. Cfr., in proposito, R. Caramel (a cura di), Il
bilancio delle imprese, Milano, Il Sole-24 Ore, 1992, 111, per il quale da un certo momento
futuro, l’avviamento non rappresenterà più un costo pagato, bensı̀ il risultato di costi interni
non valutabili, in un’azienda in funzionamento, come attività di bilancio. V. anche, in materia,
il riferimento al principio contabile internazionale IAS 38, proposto da Caratozzolo, cit.,
593, che segnala la prospettiva in cui il valore dell’avviamento derivante dall’azienda acquisita
si confonde con quello dell’azienda dell’acquirente, tanto da pervenire ad una sua rilevazione
unitaria, che comprende sia quello originario dell’acquirer prima dell’operazione di acquisto
(o dell’operazione straordinaria), sia quello creato direttamente dal complesso aziendale unificato; ponendo in evidenza il carattere relativo e non assoluto del divieto di rilevazione contabile dell’avviamento originario.
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415
temperati, di fatto, dall’elevato carattere speculativo delle vendite fallimentari – vantaggi indiretti per la massa; cosı̀ come non è affatto teorica l’opposta ipotesi di ricadute negative, in caso di badwill, sugli esiti della procedura
e sul grado di soddisfazione dei creditori.
Invero, l’azione gestionale e l’impegno imprenditoriale profuso dall’affittuario durante l’esecuzione del contratto possono sollecitare, in entrambi
i sensi, le prospettive di reddito relative al complesso aziendale affittato, e
dunque implicare, sul piano patrimoniale, una valorizzazione o un deprezzamento dell’azienda, cioè un effetto tale da riflettersi indirettamente, a seguito del recesso, anche sul risultato della liquidazione concorsuale (105).
Ciò vale sicuramente in ordine al fallimento del concedente, dove il curatore che recede, tanto se intenzionato ad alienare immediatamente a terzi
il complesso aziendale quanto se orientato verso la stipula di un nuovo contratto con un diverso affittuario, potrebbe impostare la trattativa negoziale
sul prezzo di vendita o sul nuovo canone anche in forza del rafforzamento
delle prospettive di redditività aziendale dovuto all’azione del conduttore. E
pretendere invece innanzitutto – nella contraria ipotesi in cui, a seguito dell’attività di quest’ultimo, l’organizzazione e le performances dell’azienda presentino al momento della retrocessione indici negativi – una significativa
compressione, se non addirittura l’azzeramento, della prestazione indennitaria dovuta alla controparte.
L’ipotesi che una analoga impostazione possa risultare tendenzialmente
utile anche quando l’apertura del concorso riguardi l’impresa esercitata dall’affittuario deve ritenersi senz’altro più rara, ma non per questo meramente
teorica. Vero è che, in larga parte dei casi, qui alla dichiarazione di fallimento dovrebbe seguire, di fatto, anche la dissoluzione dell’avviamento aziendale. Lo stato di insolvenza, tuttavia, potrebbe aver provocato il fallimento
dell’imprenditore esclusivamente in ragione di un flusso di liquidità insufficiente a garantire la regolare soddisfazione delle obbligazioni, pur mantenendo l’attività aziendale, grazie anche all’eventuale emersione di alcuni dei
menzionati intangibles, un assetto strutturale ed organizzativo tale da permettere, in condizioni di equilibrio finanziario, il raggiungimento dell’equilibrio economico e, dunque, la realizzazione di prospettive di redditività tali
da potersi tradurre in una valorizzarne dell’avviamento medesimo (106).
(105) La relazione funzionale tra il concetto di avviamento e la fenomenologia concorsuale può dunque, in questi termini, anche superare il tradizionale, ed a volte abusato, assioma
dell’azzeramento del relativo valore a seguito dell’apertura del concorso.
(106) Cfr. Guglielmucci, Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti (sub
art. 80), in F. Bricola-F. Galgano-G. Santini (a cura di), Commentario Scialoja-Branca.
Legge fallimentare, Bologna-Roma, 1979, 379, per il quale già prima della riforma, cioè prima
che l’ordinamento concorsuale, e la stessa procedura fallimentare, venissero normativamente
416
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
In ogni caso, nell’ipotesi in cui ad esercitare il recesso sia l’affittuario, la
predetta configurazione dell’avviamento aziendale implica sempre, in una
prospettiva contraria e tuttavia simmetrica rispetto a quella che si delinea
per il recesso del locatore, una determinazione dell’indennizzo che egli deve
alla controparte in chiave inversamente proporzionale alla condizione economico-strutturale ed organizzativa dell’azienda al momento della retrocessione: quanto più evidenti si palesino il rafforzamento della sua capacità
reddituale e la maggiore proiezione temporale delle relative performances,
tanto minore sarà l’indennizzo dovuto dal conduttore recedente.
L’avviamento, dunque, soprattutto se configurato in termini di asset rilevabili all’interno della organizzazione imprenditoriale al momento della
retrocessione dell’azienda, oltre ad esprimere un elemento funzionalmente
ed ontologicamente compatibile con le scansioni del relativo affitto, può a
fortiori rappresentare, nella misura in cui la creazione o il potenziamento di
tali asset siano riconducibili all’apporto gestionale del conduttore, anche un
importante parametro di riferimento per determinare l’indennizzo dovuto
ai sensi dell’art. 79 legge fallim.
Presupponendo una logica premiale piuttosto che una impostazione
tendenzialmente risarcitoria, esso sembra, invero, garantire – assai meglio
che non il criterio presuntivo degli utili attesi ma non percepiti in virtù dell’anticipato termine del contratto – da un lato il rispetto della natura squisitamente indennitaria della prestazione dovuta dal recedente, dall’altro la
tutela dei più ampi margini cognitivi richiesti da una determinazione equitativa i cui canoni non possono, peraltro, ignorare le finalità istituzionali e le
esigenze tipiche del sottostante contesto fallimentare (107).
Peraltro, il fondamento di una siffatta valorizzazione dell’apporto ge-
orientati verso la prosecuzione dell’attività di impresa e la salvaguardia dei valori immateriali,
considerava niente affatto scontata la premessa – cioè la distruzione dell’avviamento a seguito
della crisi dell’impresa – in base alla quale il legislatore, con l’art. 34, comma 1, l. 27 luglio
1978, n. 392, esclude tuttora che al fallimento del conduttore di immobili, in caso di cessazione del rapporto locativo durante la procedura, spetti la relativa indennità.
(107) Analoghe finalità premiali e/o compensative si possono ravvisare, del resto, anche
in altre disposizioni della legge fallimentare. Ad esempio, in ordine al contratto di leasing,
l’art. 72 quater legge fallim. prevede, nel caso di fallimento dell’utilizzatore – cioè di colui
che, al pari dell’affittuario, assume la qualità di imprenditore rispetto alla gestione dell’azienda e dei relativi beni, comunque acquisiti – che quando si verifichi lo scioglimento del contratto il concedente al quale il bene è stato restituito è tenuto a versare alla curatela la maggior
somma ricavata dalla vendita a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale.
Trattasi dunque, pur sempre, di una forma di «premio» attribuita a chi ha utilizzato, tutelandone il valore, il bene concesso in locazione finanziaria. Peraltro, se è l’azienda stessa a
rappresentare, nel suo complesso, il bene oggetto di leasing, come negare che quella maggior
somma rispetto al valore contabile residuo segnali, in realtà, proprio la presenza di un
goodwill?
Parte I - Dottrina
417
stionale del conduttore non risiede esclusivamente nel riconoscimento equitativo del maggior avviamento – in termini di intangibles – che egli ha creato e del quale, a seguito del recesso, non potrà più godere. La caratterizzazione in chiave tendenzialmente compensativa dell’indennizzo deriva, infatti, anche dalla già menzionata impostazione perequativa che sorregge, soprattutto in ordine al fallimento del locatore, l’attribuzione al contraente
in bonis di un diritto di recesso del tutto simmetrico a quello concesso alla
curatela (108): il premio indennitario – determinato ovviamente secondo canoni di equità integrativa rispettosi innanzitutto delle ragioni della massa –
potrebbe cioè spettare al conduttore medesimo anche per aver lasciato alla
procedura piena ed autonoma libertà di scelta in ordine al destino del contratto pendente, senza anticiparla utilizzando per primo la facoltà concessa
dall’art. 79 legge fallim.
Quanto al problema delle differenze inventariali in senso stretto, occorre premettere che il confine eremeneutico che dovrebbe separare la loro
configurazione sistematica da quella dell’avviamento aziendale non risulta
del tutto impermeabile rispetto all’eventualità di una contaminazione, anche profonda, tra i due fenomeni.
In dottrina, vi è chi adombra, in effetti, la prospettiva di accostare lo
stesso inventario di inizio e fine affitto, più che al bilancio di esercizio, ad
un bilancio di cessione, cioè ad un prospetto nella cui struttura, e per le
cui finalità, l’avviamento assume una posizione certamente non trascurabile (109); mentre la giurisprudenza di legittimità, se nega rilievo all’avviamento in sede di retrocessione, afferma tuttavia nel contempo che la differenza
tra le consistenze di inventario non è solo di natura quantitativa, ma anche
di carattere qualitativo, misurando tale differenza gli elementi dell’azienda
quando termina l’esecuzione del contratto di affitto rispetto a quelli che,
nel loro insieme, costituivano l’azienda all’inizio del rapporto, non solo
sul piano dell’entità, ma altresı̀ in quanto espressione del «modo di essere»
della struttura aziendale (110).
Le ricostruzioni dell’analisi aziendalistica sembrano, a loro volta, riflettere perfettamente i fenomeni sostanziali sottesi a tali impostazioni. Tale
analisi evidenzia infatti che, per definire l’importo del conguaglio che una
(108) Sul punto, v. il precedente paragrafo.
(109) G.E. Colombo, L’azienda, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico
dell’economia diretto da F. Galgano, Padova, 1979, III, 28.
(110) V. Cassazione, 28 gennaio 2002, n. 993, in Arch. loc. cond., 2002, 566, che sembra,
invero, riflettere la conclusione secondo cui l’art. 2561, ult. c., cod. civ. esprime la concezione
unitaria dell’azienda, la cui individualità non si perde anche qualora alcune delle sue componenti siano sostituite o vengano a mancare (cfr. F. Di Sabato, Istituzioni di diritto commerciale, Milano, 2006, 33).
418
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
delle parti deve all’altra, gli inventari relativi all’affitto debbano avere come
obiettivo la rappresentazione del «capitale economico» di un’azienda considerata nel suo complesso, all’inizio ed al termine del contratto, come oggetto di un doppio scambio ideale; e dunque discostarsi soprattutto sul piano qualitativo – sia in ordine alle voci che vi debbono essere comprese, sia
riguardo ai criteri di valutazione – dai prospetti inventariali redatti ai fini
della compilazione del bilancio di esercizio (111).
Nei prospetti contabili relativi alla fattispecie in esame dovrebbero, in
definitiva, trovare espressione, oltre ai cespiti normalmente esposti in ogni
rappresentazione inventariale, tutti quei «beni» e quelle condizioni che,
pur non avendo riscontro alcuno nella contabilità generale e pur non essendo adeguatamente rappresentati in bilancio, costituiscono nondimeno
fattori determinati della redditività aziendale (112); ossia tutti gli asset – fra
i quali, appunto, l’avviamento (113) – che possono implicare concrete manifestazioni di vantaggio competitivo in termini di economie di scala, di
efficienza, di marketing, di capcacità di attrazione e di fidelizzazione della
clientela, ecc. (114).
Andrebbe, inoltre, considerato come, anche a voler prescindere dal pur
fondamentale significato di tali conclusioni, le movimentazioni dei beni inventariali «materiali» possano in realtà, già di per sé, costituire oggetto di
una valorizzazione sintetica in termini di avviamento aziendale.
Il conduttore, a seguito dell’acquisizione di cespiti produttivi o di adeguamenti strutturali ed organizzativi, cioè di azioni suscettibili di tradursi
in un incremento dei tradizionali valori di inventario, può invero favorire
anche il potenziamento complessivo della capacità e/o delle prospettive
reddituali dell’azienda, e quindi, in definitiva, un incremento del suo avviamento. Cosı̀ come, nell’ipotesi inversa, ad un decremento dei valori medesimi potrebbe corrispondere una svalutazione dell’avviamento medesimo, se non addirittura l’emersione di un vero e proprio badwill. Effetto,
(111) Musaio, op. cit., 72 seg.
(112) Cfr. Musaio, op. cit., 73, il quale non manca, per contro, di ricordare (v. ivi, nota
16) che elementi ricompresi nel normale prospetto inventariale di fine esercizio possono rimanere esclusi da quello inerente la fattispecie dell’affitto, soprattutto quando l’oggetto del
contratto è costituito da un ramo d’azienda, dove cioè gli inventari si configurano, rispetto
a quello ordinario, come ricognizioni parziali.
(113) Musaio, op. cit., 75.
(114) G. Bruni, Analisi del valore. Il contributo dell’«Activity based management», Torino, 1994, 8 segg. menziona in particolare, a tal proposito, il know-how tecnologico, di mercato, ed amministrativo, nonché i brevetti, i marchi e gli altri diritti industriali, sottolineando
l’importanza del problema soprattutto quando l’enucleazione anche parziale di tali intangibles, privilegiando la valutazione prospettica dell’impresa, comporti differenze significative rispetto alla sua valutazione storica secondo i criteri della contabilità ordinaria.
Parte I - Dottrina
419
quest’ultimo, che, si badi, può realizzarsi anche qualora il conduttore stesso abbia effettuato acquisizioni patrimoniali abnormi, incrementando gli
investimenti e le scorte, dunque i valori inventariali, in misura spropositata ovvero secondo criteri del tutto estranei all’oggetto tipico dell’attività
aziendale (115).
Ciò rende, già a questo punto, assai discutibile la posizione di chi, al fine
di escludere che i valori di inventario possano rilevare nel computo della
prestazione indennitaria, configura a titolo esemplificativo l’eventualità della contemporanea sussistenza, in capo al locatore recedente, di un debito
per l’indennizzo e di un credito derivante dalle differenze inventariali (116).
Dimenticando, tuttavia, che una espressa norma di legge, destinata per di
più ad operare in un contesto tipicamente concorsuale, attribuisce al giudice fallimentare, in difetto di un accordo tra la curatela ed il contraente in
bonis, il potere di determinare sia l’an che il quantum di tale prestazione secondo i canoni dell’equità integrativa; utilizzando cioè un meccanismo cognitivo il quale, nella peculiare ipotesi di retrocessione contemplata dall’art.
79 legge fallim., consente di prescindere integralmente, fra l’altro, anche da
quanto dispone l’art. 2561, comma 4 cod, civ., per favorire invece una soluzione che tenga conto di tutti gli elementi in giuoco, a partire dall’intervenuta dichiarazione di fallimento.
A tal proposito, si deve peraltro considerare che all’esercizio del diritto
di recesso, tanto se dovuto alla curatela quanto se riconducibile alla controparte in bonis, si accompagna inevitabilmente, quale effetto sostanziale dell’interruzione traumatica del rapporto di affitto, anche la conclusione della
sottostante gestione aziendale in un momento anteriore rispetto a quello
contrattualmente previsto.
Il conduttore si troverà dunque ex abrupto nell’impossibilità, sia materiale che giuridica, di modulare ulteriormente i propri investimenti in infrastrutture e in scorte in base agli obiettivi ed ai tempi tarati sulla durata fisiologica di tale rapporto; rischiando cosı̀ di evidenziare contabilmente, an-
(115) In queste ipotesi, viene peraltro adombrata, a fronte del decremento dei valori
aziendali, la legittimazione del concedente a chiedere il risarcimento del danno (cfr. P. Bosticco, Affito di azienda, in G. Sebasti (a cura di), Inadempimento contrattuale e risarcimento del danno, Torino, 2006, IV, 473; nonché L. Quattrocchio, La cessazione del contratto
di affitto di azienda, Contratti, 2002, 949).
(116) V. Miele, cit., 606, il quale, oltre a non specificare in base a quali parametri si debba, a questo punto, calcolare l’indennizzo previsto dall’art. 79 legge fallim., attribuisce in ogni
caso al concedente che recede una posizione di debito per indennizzo, con ciò tuttavia escludendo, inspiegabilmente, che l’effettiva dinamica dei valori aziendali rilevati al momento della
retrocessione possa anche implicare, vieppiù se considerata ai fini di una valutazione equitativa in ambito concorsuale, l’insussistenza di alcuna obbligazione indennitaria.
420
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
che a scapito del locatore, valori di inventario diversi da quelli che sarebbero maturati alla naturale scadenza contrattuale.
D’altro canto, il curatore, se condizionato dal timore di assumere, col
recesso, un’obbligazione ex art. 2561, comma 4. cod. civ. eccessiva rispetto alle concrete disponibilità monetarie della procedura, finirebbe a sua
volta per veder compressa la libertà di un’opzione che andrebbe, invece,
temporalmente orientata soltanto alla luce degli interessi del ceto creditorio.
Quanto fin qui evidenziato spiega, mi sembra chiaramente, perché la
prospettiva di collegare all’esercizio del recesso ex art. 79 legge fallim. la
(eventuale) corresponsione di un equo indennizzo debba intendersi come
una soluzione imposta dalla norma concorsuale in chiave alternativa, nonché del tutto assorbente, rispetto ad ogni altra modalità tecnico-giuridica
di determinazione della somma dovuta al momento della retrocessione dell’azienda, ivi compresi i criteri dettati dalla disciplina civilistica che regola le
differenze di inventario al termine del contratto di affitto.
7. La prospettiva dell’azione revocatoria. – Il profilo delineato dalla riforma in ordine alle modalità di realizzo dell’attivo concorsuale, ed in particolare la tutela accordata all’unitarietà dinamica dei complessi aziendali attraverso la prosecuzione endofallimentare dell’attività di impresa, contribuisce
in parte a definire, in relazione tanto all’an che al quo modo, anche le possibili fattispecie di revoca ex art. 67 legge fallim. dei contratti di affitto preesistenti alla procedura.
Occorre infatti considerare, in primo luogo, che là dove la curatela ed i
creditori, a prescindere dall’entità del canone, valutino la gestione dell’azienda in capo all’affittuario poco conveniente ovvero addirittura economicamente deteriore al fine di conservare e/o difendere i valori aziendali, sarà
il recesso ex art. 79 legge fallim., non certo l’azione revocatoria, a rappresentare il rimedio più efficace per ristabilire immediatamente su di essa i
poteri amministrativi della massa.
Per contro, qualora l’attività imprenditoriale del conduttore si palesi
utile alla protezione dei valori medesimi, gli stessi organi fallimentari,
nella prospettiva di un soddisfacente realizzo futuro, potrebbero comunque privilegiare l’obiettivo di evitare l’interruzione traumatica dell’esercizio, lasciando che esso continui in capo all’affittuario fino al termine stabilito nel contratto pur ritenendo, ad esempio, inadeguato l’importo del
canone di locazione, cioè pur verificando, a prescindere dal recesso, l’esistenza di un presupposto per l’utilizzo dell’istituto previsto dall’art. 67
legge fallim.
In definitiva, quando si considerino esclusivamente gli aspetti dinamici
e gestionali del rapporto, cioè le implicazioni economico-patrimoniali tra
prosecuzione dell’attività e realizzo concorsuale del complesso aziendale,
Parte I - Dottrina
421
è presumibile che l’esperimento della revocatoria fallimentare risulti piuttosto raro, o finisca, al limite, per rivestire carattere del tutto residuale (117).
D’altro canto, nella misura in cui la fattispecie dell’affitto, implicando
una diversa conduzione gestionale dell’azienda, può anche legittimamente
rappresentare, in tutto o in parte, la fase realizzativa di un piano di ristrutturazione dell’impresa del locatore, la prospettiva di esercitare l’azione revocatoria fallimentare potrebbe subire una ulteriore e significativa limitazione in virtù dell’esenzione prevista dall’art. 67, comma 3, lett. d), legge
fallim.
In ogni caso, quando a fallire è il concedente, è chiaro che l’azione in
esame non avrà mai lo scopo di recuperare alla massa attiva somme di denaro precedentemente versate dal fallito alla controparte; bensı̀ esclusivamente l’obiettivo di liberare il complesso aziendale dal vincolo del contratto
di affitto, evitando di corrispondere all’affittuario l’indennizzo previsto dall’art. 79 legge fallim. Ed è altrettanto evidente che l’utilizzo della revocatoria si fonderà essenzialmente sulla valutazione comparativa tra i costi e i
tempi del relativo contenzioso e l’importo da corrispondere all’affittuario
medesimo per l’eventuale recesso (118).
Quanto al periodo sospetto, il nuovo arco temporale tracciato per la rilevazione degli atti potenzialmente revocabili esige, ai fini della concreta
esperibilità dell’azione, che il contratto venga stipulato, rispetto alla dichiarazione di fallimento, nei sei mesi precedenti qualora sia il curatore a dover
provare la conoscenza dello stato di insolvenza in capo al terzo, ed entro
l’anno nell’ipotesi in cui l’onere probatorio, in ragione del ritenuto carattere
anomalo della fattispecie, si inverta a carico di quest’ultimo.
Fra le ipotesi previste dal comma 1 dell’art. 67 legge fallim., cioè in relazione alla casistica dei c.d. «atti anormali», è lecito ritenere che, in materia
di affitto di azienda, il modello statisticamente più utilizzato, e dunque si-
(117) Nella medesima latitudine funzionale, si è ritenuto, configurando l’opposta ipotesi
dell’effettivo esercizio dell’azione in argomento (v. Fimmanò, La gestione e la liquidazione
dell’azienda nel fallimento, in F. Fimmanò-C. Esposito, La liquidazione dell’attivo fallimentare, Milano, 2006, 109) che essa, più che al recupero dell’azienda – la quale a ben vedere non
potrebbe mai ritenersi un bene che non fa parte del patrimonio concorsuale – mira, attraverso l’interruzione del rapporto, ad evitare che la prosecuzione del contratto di affitto durante
la procedura possa pregiudicare il futuro realizzo unitario del complesso aziendale, ovvero
dei singoli beni.
(118) In questa prospettiva, non può accogliersi completamente l’affermazione secondo
cui, a seguito della riforma, il curatore, per eliminare il vincolo contrattuale gravante sull’azienda affittata, non dovrà più, tout court, ricorrere ad iniziative giudiziali, e segnatamente
all’esercizio dell’azione revocatoria (cosı̀ Giorgetti-Clemente, La legge fallimentare commentata, op. cit., 239); dovendosi in realtà considerare che lo speciale rimedio offerto dall’art.
67 legge fallim. coesiste, in un rapporto di tendenziale alternatività, con lo strumento del recesso di cui all’art. 79 legge fallim.
422
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
stematicamente più interessante, dovrebbe essere quello indicato al n. 1;
cioè quello in cui l’eventuale revoca dell’atto presupponga una sproporzione tra la prestazioni, ovviamente sfavorevole al fallito, di misura superiore
ad almeno il venticinque per cento.
Altrettanto specifica mi sembra la tipologia delle clausole contrattuali in
ordine alle quali potrà essere chiesto al giudice fallimentare di verificare la
presenza di tale asimmetria. Si tratterà cioè, in larga parte dei casi, delle disposizioni inerenti la misura del canone di affitto (119).
Più complesso appare, invece, il problema di valutare se possa, in proposito, ritenersi del tutto corretta l’invalsa tendenza, da parte degli organi
concorsuali, a fondare l’esercizio della revocatoria fallimentare ritenendo
sproporzionato, e dunque inadeguato, tale canone rispetto al valore patrimoniale dei cespiti che compongono l’azienda locata (120).
In effetti, attesa l’evidenziata valenza sistematica e sostanziale dei principi aziendalistici che informano l’utilizzo dell’istituto in esame (121), si dovrebbero a tal proposito considerare le numerose ipotesi in cui la determinazione di un canone di affitto anche piuttosto contenuto rispetto al valore
del complesso aziendale si palesi, sotto il profilo economico, tecnicamente
giustificata. Ad esempio perché, al momento della stipula del contratto, l’attività e la fisionomia strutturale dell’azienda non permettevano di delineare,
quanto meno nel breve e medio periodo, concrete prospettive di redditività,
riflettendosi di conseguenza negativamente sul suo valore di avviamento.
Non è infrequente, del resto, che il canone medesimo, soprattutto quando si tratti di aziende in stato di crisi, venga determinato secondo una com-
(119) In senso analogo, cfr. Miele, cit., 604; nonché L. Panzani, Affitto di azienda, in
M. Ferro (a cura di), Atti del convegno «I rapporti giuridici preesistenti», Bologna, 5-6 giugno 1998, Milano, 1998, 39, e Vigo, cit., 79, il quale segnala, sull’argomento, la tendenziale
possibilità, in ambito fallimentare, di attribuire anche, o soprattutto, al curatore l’esercizio del
rimedio accordato dall’art. 2923, comma 3, cod, civ. all’acquirente, cioè la facoltà di non rispettare il contratto di locazione qualora l’importo del canone convenuto sia inferiore di un
terzo al giusto prezzo.
Ferme restando le preclusioni temporali fissate dall’art. 67 legge fallim., l’azione revocatoria fallimentare potrebbe, peraltro, essere legittimamente esperita anche nelle ipotesi in cui
la sproporzione tra le prestazioni, a prescindere dagli aspetti valutativi di ordine strettamente
economico-finanziario, si concreti in riferimento alle modalità di esercizio del complesso
aziendale, in particolare quando il contratto attribuisca espressamente al concessionario poteri, facoltà e prerogative gestionali tali da alterare sensibilmente o compromettere le potenzialità produttive del complesso medesimo.
(120) Non è, peraltro, raro che tale impostazione contribuisca anche a definire, in sede
penale, la fattispecie del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, risultando spesso i
relativi capi di imputazione caratterizzati, in chiave tendenzialmente tralatizia, dalla configurazione di una sproporzione tra il canone di affitto e, appunto, il valore «patrimoniale» dei
beni che compongono l’azienda locata.
(121) Cfr. supra, § 1.
Parte I - Dottrina
423
ponente fissa ed un importo destinato a variare in base al volume dei ricavi
o ai risultati economico-reddituali (122). Inoltre, anche la determinazione
della parte fissa si fonda, di solito, su un criterio di calcolo che considera,
accanto al valore di funzionamento dell’azienda, un tasso la cui entità è direttamente proporzionale alla differenza tra valore reddituale e valore patrimoniale. Esso assume quindi valori maggiori in presenza di un avviamento positivo (goodwill), mentre decresce fino allo zero qualora, in ragione
delle perdite subite, dovesse emergere un avviamento di segno negativo
(badwill) (123).
Peraltro, dati i più ristretti limiti temporali fissati dalla riforma per l’esperibilità della revocatoria fallimentare, va tenuto presente che i contratti
di affitto rilevanti ai fini dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 67
legge fallim. finiranno presumibilmente per riguardare, in molti casi, aziende già contaminate dagli effetti di uno stato di crisi anche profondo, destinato comunque in poco tempo – al massimo in un anno – a provocare per
l’impresa alla quale si riferiscono l’insolvenza e la dichiarazione di fallimento. Ciò non toglie però che esse, proprio attraverso una gestione senza soluzioni di continuità in capo all’affittuario, possano in teoria conservare il
loro residuo valore nonché, al limite, affrontare con successo un vero e proprio processo di ristrutturazione e di ritorno alla creazione di ricchezza.
In tale prospettiva è stato, invero, ricordato che al fine di consentire
alla curatela una più attenta ponderazione circa l’adeguatezza del canone,
e dunque di circoscrivere i rischi di revocabilità del contratto concluso
prima dell’accesso alla procedura, sarebbe opportuno determinarne l’importo secondo una parte fissa ed una parte variabile in funzione dei risultati aziendali (124).
Sotto questo profilo il fenomeno non appare dunque molto diverso, nella sua configurazione strutturale e nelle sua manifestazioni sostanziali, da
quello dell’affitto di azienda concluso in sede endofallimentare, dove il
più delle volte il canone risulterà, appunto, contenuto proprio perché gli
organi concorsuali, mossi dal pressante interesse a concedere l’azienda in
locazione al fine di non arrestarne l’attività, saranno disponibili a riconoscere all’affittuario un badwill anche rilevante (125).
In definitiva, qualora si tratti di aziende che, in capo al locatore ancora
in bonis, hanno già perduto in tutto o in parte la propria capacità reddituale, ma per le quali potrebbe comunque risultare prospetticamente opportuno e/o economicamente utile aprire una nuova fase gestionale in capo al-
(122)
(123)
(124)
(125)
V. Danovi, op. cit., 513 seg.
Cfr. Danovi, op. cit., 515.
Cosı̀ Danovi, op. cit., 516.
Cfr. Danovi, op. cit., 515.
424
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l’imprenditore affittuario, la successiva ed eventuale valutazione della simmetria tra le prestazioni ai fini dell’art. 67 legge fallim. dovrebbe riguardare
non tanto, o non esclusivamente, la dimensione quantitativa di un canone
prefissato ovvero il suo rapporto con il valore patrimoniale del cespite concesso in locazione, bensı̀ soprattutto la contestuale presenza di clausole che
ne impongano l’adeguamento in funzione di aumento del volume dei ricavi
o di un reddito anche intermedio. Cioè di meccanismi contrattuali di indicizzazione tali da riflettere, ovviamente senza penalizzarli, i risultati dovuti
alla maggior perizia imprenditoriale dimostrata dall’affittuario medesimo.
Tale impostazione critica – che trova invero un significativo riscontro
sistematico nell’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 270/99, a mente del quale,
nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria, la vendita
di aziende e di rami di azienda in esercizio deve presupporre una valutazione che tenga conto della redditività, «anche se negativa», all’epoca della stima e del biennio successivo – permette quindi di modulare l’utilizzo dello
strumento revocatorio in base al grado e all’intensità della (eventuale) patologia aziendale al momento della stipula del contratto; impedendo in particolare che l’adeguatezza del canone di affitto sia determinata strumentalmente, a posteriori, in base alle contingenti e sopravvenute esigenze finanziarie del fallimento.
Ai fini dell’applicazione dell’art. 67 legge fallim. rileverà, perciò, essenzialmente l’analisi del contenuto complessivo del contratto di affitto, potendo la sproporzione richiesta per l’esercizio della revocatoria fallimentare
realizzarsi più quando l’accordo non abbia previsto clausole di indicizzazione o di salvaguardia tarate sui futuri risultati aziendali che in virtù di una
pretesa ed apparente asimmetria tra l’importo del canone base ed il valore
meramente patrimoniale dei beni locati.
8. La retrocessione dell’azienda. La disciplina dei contratti pendenti. – Se
per i contratti di affitto stipulati direttamente dal curatore l’art. 104 bis legge fallim. tiene conto, disciplinandone parzialmente gli effetti, anche dell’eventuale retrocessione dell’azienda al fallimento; relativamente ad analoghi
accordi conclusi dall’imprenditore ancora in bonis, la riforma non ha offerto alcuna soluzione in ordine all’ipotesi in cui, a seguito di scadenza dei termini negoziali, di recesso ovvero di risoluzione anticipata, il complesso
aziendale locato venga acquisito nell’ambito amministrativo e gestionale
della procedura.
La fattispecie in esame presenta, tuttavia, particolare rilevanza soprattutto al fine di stabilire se, ed in che misura, debbano ricadere sul fallimento
gli effetti economici e giuridici dell’attività posta in essere dall’affittuario.
In generale, relativamente ai debiti che egli ha contratto nel corso dell’esercizio dell’impresa, vale la regola che esclude, in caso di affitto, la responsabilità solidale del concedente. Sotto questo specifico profilo, non oc-
Parte I - Dottrina
425
corre, dunque, neppure porsi il problema se al silenzio della legge possa o
meno rimediare il richiamo all’art. 2560 cod. civ. contenuto nell’ultimo
comma dell’art. 104 bis legge fallim., da ritenersi ultroneo, stante la peculiare disciplina appena menzionata, già con riferimento al c.d. affitto endofallimentare (126).
Diversa impostazione deve, necessariamente, essere seguita riguardo
agli obblighi specificamente derivanti da rapporto di lavoro dipendente.
L’art. 2112, comma 1, cod. civ. dispone infatti che, in caso di trasferimento di azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Ai sensi del comma 2, il cedente e il cessionario sono peraltro obbligati in solido per tutti i crediti che
il lavoratore vantava al tempo del trasferimento dell’azienda. Osservando le
regole procedurali di cui agli articoli 410 e 411 cod. proc. civ., il lavoratore
può, comunque, consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto medesimo.
Tanto i giudici di legittimità (127) che quelli di merito (128) ritengono,
d’altro canto, che la fattispecie del trasferimento ex art. 2112 cod. civ. si
realizzi anche quando il cessionario (affittuario), al termine dell’affitto, restituisca l’azienda all’originario cedente (locatore).
In riferimento all’affitto endofallimentare previsto e disciplinato dall’art.
104 bis legge fallim., il legislatore ha stabilito, per contro, che la retrocessione al fallimento di aziende o rami di aziende, in deroga a quanto previsto
dall’art. 2112 cod. civ., non comporta la responsabilità della procedura
per i debiti maturati sino alla retrocessione medesima. Con ciò intendendo
chiaramente ed espressamente tenere indenne il fallimento da ogni onere
economico che possa derivare, in ordine ai rapporti di lavoro dipendente,
dalla precedente gestione in capo all’affittuario.
Come si è premesso, analoga franchigia non è stata esplicitamente disposta per le retrocessioni attinenti ai contratti conclusi, prima della dichiarazione ex art. 16 legge fallim., tra il concessionario e l’imprenditore ancora
in bonis.
Secondo l’orientamento della dottrina maggioritaria, in ordine ai rapporti contemplati dall’art. 79 legge fallim., l’attuale quadro normativo lascia
(126) Cfr. Paciello, op. cit., 338. In senso analogo, Fimmanò, Gli effetti del fallimento..., op. cit., 230.
(127) Cfr. Cassazione, 27 aprile 2004, n. 8054, in Impresa, 2004, 1286; Cassazione, 4 settembre 2003, n. 12909, in Foro it., Rep. 2003, voce Lavoro (rapporto), n. 1407. V. anche, in
particolare, Cassazione, 3 giugno 1998. n. 5466, in Diritto del lavoro, 1999, 307 segg., con
nota di F. Fedele, Sempre più ampia la nozione di trasferimento di azienda, ivi, 313 segg.
(128) Pret. Firenze, 10 novembre 1995, Foro it., Rep. 1998, voce Lavoro (rapporto), n.
1427.
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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
ritenere che, a seguito della restituzione dell’azienda al fallimento del locatore, sulla procedura incomba una duplice prospettiva: da un lato quella
della prosecuzione ex lege di tutti i contratti di lavoro dipendente ancora
vigenti al momento della retrocessione, dall’altro quella dell’accollo cumulativo dei relativi debiti, se maturati e non pagati dall’affittuario durante l’esecuzione del contratto (129).
Vista la notevole importanza degli interessi in giuoco, potrebbe risultare
quanto meno non inopportuno delineare, a tal proposito, una diversa soluzione interpretativa. Occorre, in particolare, rilevare come la disciplina prevista dall’art. 2112 cod. civ. tenda essenzialmente a tutelare la posizione individuale del lavoratore presupponendo che il trasferimento dell’azienda
abbia luogo sul piano fisiologico della gestione dell’impresa, cioè a prescindere dalla eventualità di una situazione di crisi e/o di insolvenza più o meno
conclamata (130). Trattasi, in altri termini, di una tutela che, pur realizzandosi normalmente mediante la responsabilità solidale di cedente e cessionario per tutti i crediti vantati dal lavoratore fino al suddetto trasferimento,
ammette esclusivamente la liberazione del primo attraverso l’accordo conciliativo previsto dagli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile.
Nella latitudine della normale prosecuzione dell’attività aziendale, appare, cioè, del tutto ovvio che ai fini della soggezione per le obbligazioni verso
(129) Guglielmucci, Diritto fallimentare, op. cit., 72, ritiene infatti che, rispetto al contratto di affitto stipulato in corso di fallimento, quello concluso anteriormente non sembra
poter beneficiare, in caso di retrocessione dell’azienda, dell’esenzione relativa ai debiti di
cui all’art. 2112 cod. civ. Ad analoga conclusione pervengono Giorgetti-Clemente, La
legge fallimentare commentata, op. cit., 236; facendo leva, tuttavia, esclusivamente sulla considerazione – di portata invero piuttosto angusta, sia qualora ci si limiti a considerare le implicazioni e le problematiche evidenziate nel testo, sia alla luce della scarsa solidità sistematica
offerta, in materia, dal troppo abusato parallelismo tra art. 79 ed art. 104 bis legge fallim. –
che la deroga contenuta nell’ultimo comma dello stesso art. 104 bis legge fallim. collocandosi
in una disposizione espressamente dedicata al contratto di affitto di azienda stipulato dal curatore, valga esclusivamente in relazione alle ipotesi di locazione aziendale realizzate in sede
endofallimentare.
Sanzo-Bianchi, Manuale delle procedure concorsuali, op. cit., 395, risolvono, per contro, la questione in esame sul piano, forse non del tutto esaustivo, della mera analogia; concludendo che se le norme previste per il contratto di affitto stipulato in ambito endofallimentare non trovassero applicazione anche in ordine alla fattispecie contemplata dall’art. 79 legge
fallim. si realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra due fattispecie del tutto
simili.
In tal senso, cfr. Fimmanò, Gli effetti del fallimento..., op. cit., 230.
(130) Cfr. C. Conedera, Crisi di impresa e tutela occupazionale (rassegna di dottrina e
giurisprudenza), in Dir. Fall., 2007, 488, la quale ricorda che la tutela apprestata dall’art.
2112 cod. civ. opera su diversi piani, cioè dalla continuazione del rapporto con il cessionario
al mantenimento dei trattamenti economici e normativi applicati prima del trasferimento; dall’applicazione del contratto collettivo del cedente alla responsabilità solidale di cedente e cessionario per i debiti esistenti alla data del trasferimento.
Parte I - Dottrina
427
il lavoratore maturate fino al trasferimento, risulti sistematicamente privilegiata, fermo restando l’indispensabile consenso liberatorio del lavoratore, la
posizione del cedente.
L’impostazione cambia, però, radicalmente quando il trasferimento riguardi un’azienda in stato di crisi ovvero soggetta a procedure concorsuali.
In tal caso, infatti, la logica di garantismo individuale sottesa alla disciplina
di cui all’art. 2112 cod. civ., finalizzata appunto a proteggere soprattutto la
continuità del singolo rapporto di lavoro con il nuovo imprenditore, subisce
una inevitabile limitazione in virtù dell’interesse collettivo al mantenimento
dei livelli occupazionali; che viene perseguito proprio favorendo la commercializzazione dell’azienda in crisi tramite la sterilizzazione delle tutele previste dalla norma in esame (131).
In particolare, ai sensi dell’art. 45, comma 5 della legge 29 dicembre
1990, n. 428, qualora il trasferimento riguardi aziende o unità produttive
delle quali il C.I.P.I. abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma dell’art. 2, comma 5, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675, o imprese
nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione
del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione
dell’attività non sia stata disposta o sia cessata, e nel corso della consultazione con le rappresentanze sindacali sia stato raggiunto un accordo circa il
mantenimento anche parziale dell’occupazione, per i lavoratori il cui rapporto continua con l’acquirente non trova applicazione l’art. 2112 cod.
civ., salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore.
Dunque, da un lato la prospettiva della riduzione del peso del personale
sull’organizzazione dell’azienda viene considerata il prezzo da pagare per facilitarne il trasferimento ad altro imprenditore, e realizzare cosı̀ la conservazione dell’attività di impresa (132). Dall’altro, la paralisi della responsabilità
solidale implica anche il venir meno del diritto del lavoratore a pretendere
dall’acquirente il pagamento dei crediti vantati verso l’alienante al momento
del trasferimento. Il che favorisce, al fine di rendere più agevole la circolazione dell’azienda medesima, soprattutto la posizione e gli interessi del cessionario.
Nell’ottica delle problematiche in argomento, dalla combinata lettura
dell’art. 45, comma 5, della legge n. 428/90 e dell’art. 104, comma 6, legge
fallim. si potrebbe, in definitiva, già ricavare un principio di carattere generale. Cioè che là dove il trasferimento dell’azienda – ivi compresa, ovvia-
(131) Cosı̀ Conedera, op. cit., 491.
(132) Cfr. Conedera, op. cit., 491.
428
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
mente, la peculiare ipotesi in cui esso si realizzi mediante retrocessione –
avvenga nel quadro di una situazione e/o di una procedura di crisi dell’impresa, la posizione del cessionario, in riferimento a quanto dispone l’art.
2112 cod. civ., gode di un trattamento tendenzialmente più favorevole rispetto a quella del cedente.
Affinché il predetto meccanismo derogatorio possa effettivamente concretarsi, lo stesso art. 45, comma 5, della legge n. 428/90 richiede, peraltro,
che venga soddisfatta una duplice condizione: sul piano soggettivo occorre
che per l’azienda oggetto del trasferimento sia stato quanto meno dichiarato
lo stato di crisi aziendale, mentre sotto il profilo soggettivo risulta necessaria
la stipulazione di un accordo collettivo che preveda la conservazione, anche
parziale, dei posti di lavoro (133).
Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che se da un lato entrambi i requisiti devono realizzarsi congiuntamente al momento del trasferimento (134); dall’altro non sussiste un ordine cronologico in base al quale
l’accordo sindacale debba necessariamente avere luogo successivamente alla
formale dichiarazione dello stato di crisi o di insolvenza; essendo necessario
e sufficiente sia che i due momenti risultino comunque funzionalmente collegati – e dunque l’accordo potrebbe anche precedere il provvedimento sullo stato di crisi – sia che, ovviamente, la fattispecie considerata in sede di
accordo non risulti differente da quella poi rilevata in sede amministrativa
o giudiziaria (135).
Orbene, nell’ipotesi in cui l’accordo in esame riguardi il trasferimento di
un’azienda in stato di crisi non ancora giudizialmente accertato, e quindi
anche qualora intervenga nell’ambito di un contratto di affitto stipulato
tra l’imprenditore ancora in bonis ed il terzo proprio nella prospettiva funzionale di una imminente apertura del fallimento; non vi è dubbio che gli
effetti della disapplicazione dell’art. 2112 cod. civ., e segnatamente la paralisi della responsabilità solidale contemplata dal comma 2, si estenderanno
fino a coprire la retrocessione del complesso locato, favorendo gli interessi
dell’eventuale procedura nella sua qualità di cessionaria.
Viceversa, qualora un analogo contratto di affitto sia stato concluso
senza attivare la franchigia concessa dall’art. art. 45, comma 5, della legge
n. 428/90, la prospettiva della retrocessione implicherebbe, per l’intervenuto fallimento, l’ulteriore onere di definire un accordo con l’affittuario
cedente alle condizioni e secondo le modalità ivi previste, pena la solida-
(133) V. Conedera, op. cit., 491.
(134) Cassazione, 16 maggio 2002, n. 7120, in Foro it., 2002, I, 2279, che ha escluso, a tal
proposito, la possibilità di derogare all’art. 2112 cod. civ. nel caso di trasferimento effettuato
in funzione della futura omologazione del concordato preventivo.
(135) Cassazione, 16 maggio 2002, n. 7120, cit.
Parte I - Dottrina
429
rietà passiva per tutti i crediti vantati dai lavoratori al momento della retrocessione stessa.
La procedura fallimentare, tuttavia, non può ritenersi assolutamente
libera, tanto sul piano sostanziale che sotto il profilo giuridico, di stipulare
patti o accordi che implichino, comunque, un incremento di costi per la
massa. Essa soggiace, cioè, a vincoli funzionali potenzialmente confliggenti, nel caso di specie, con l’obbligo di onorare le condizioni di un eventuale accordo sindacale, e in particolare di rispettare il requisito della conservazione anche parziale dei posti di lavoro. In altri termini, mentre l’impresa cessionaria in bonis gode, entro certi limiti, della facoltà di impostare
liberamente la trattativa finalizzata a programmare e determinare il numero dei lavoratori da assorbire; il fallimento potrebbe, invece, risultare obbligato a rinunciare all’accordo in quanto vincolato, a priori, dall’impossibilità materiale di caricare sulla massa i relativi oneri, ad esempio perché
non sussistono le condizioni per disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero perché l’unica prospettiva di realizzo consiste nella c.d. liquidazione a stralcio.
Per certi versi, tra le due fattispecie appena considerate si può configurare una vera e propria disparità istituzionale, potendo il fallimento – come
ben dimostra il senso degli artt. 104, 104 bis, 104 ter e 105 della legge fallimentare – concludere accordi, stipulare contratti e definire strategie gestionali esclusivamente nella misura in cui si palesino utili e/o comunque
non dannosi per l’interesse del ceto creditorio, ovvero risultino strumentali
al fine di una più proficua vendita del complesso aziendale.
Del resto, quale ratio avrebbe ispirato la regola di cui all’art. 104 bis, ult.
c., legge fallim., se non quella di affrancare il fallimento concedente dall’onere di dover concordare con l’affittuario anche i profili sindacali dell’eventuale retrocessione dell’azienda affittata (136)?
A conferma che la solidarietà passiva di cui all’art. 2112, comma 2, cod.
civ. potrebbe essere esclusa anche per le retrocessioni inerenti i contratti pre-
(136) Mi sembra, in effetti, proprio questo il senso che si ricava dalla logica espositiva,
peraltro assai efficace, seguita da Conedera, op. cit., 500, in particolare là dove viene richiamato, in chiave tendenzialmente risolutiva del problema della solidarietà di cui all’art. 2112,
comma 2, cod. civ., proprio l’intervento di riforma sulle procedure concorsuali.
È evidente, inoltre, che tale problematica non si pone per chi ritiene che la retrocessione
dell’azienda al fallimento non configuri un’ipotesi di trasferimento ai sensi dell’art. 2112 cod.
civ. Cfr. G. Ragusa Maggiore, I grandi temi, le procedure concorsuali: il fallimento, Torino,
1997, 368; nonché A. Caiafa, I rapporti di lavoro nelle procedure concorsuali, Padova, 1994,
36, per il quale la gestione dell’impresa fallita da parte dell’ufficio fallimentare rivestirebbe
finalità meramente conservative, senza cioè concretare un esercizio coincidente con l’attività
imprenditoriale. In senso analogo, M. Guernelli, La cessione di azienda nel fallimento, in
Dir. fall., 1997, I, 1188.
430
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
visti dall’art. 79 legge fallim. valga, altresı̀, considerare i presumibili effetti che
essa produrrebbe sul corretto funzionamento dei meccanismi e dei principi
gestionali della procedura fallimentare. Infatti, la pressione di tale responsabilità non solo potrebbe orientare aprioristicamente la procedura medesima –
anche contro i suoi presumibili interessi strategici – verso la determinazione
cautelativa di non proseguire comunque nell’esecuzione del contratto preesistente (137); ma interferirebbe anche con la corretta formazione delle opzioni
in ordine all’eventuale recesso; la cui potenziale onerosità, se resa ancor più
rilevante dalla eventuale soggezione agli obblighi economici verso i lavoratori,
finirebbe per privilegiare prosecuzioni contrattuali non sempre opportune,
nonché, al limite, anche ipotesi di alienazione dell’azienda all’affittuario medesimo con rilevante abbattimento del prezzo di vendita (138).
Diversa soluzione si deve, invece, prospettare circa il problema della
prosecuzione dei rapporti di lavoro. Oltre al tenore letterale del citato
art. 104 bis legge fallim., che riferisce la deroga esclusivamente ai debiti,
non già ai rapporti medesimi, va infatti rilevato che, quanto alla regola della prosecuzione del rapporto a seguito di retrocessione, l’art. 2112 cod.
civ. riveste carattere di norma imperativa, di natura pubblicistica, posta
nell’interesse del lavoratore; da ritenersi quindi prevalente su quello dei
creditori (139).
Anche nella peculiare ipotesi dei contratti di affitto stipulati prima del
fallimento, la retrocessione dell’azienda dall’affittuario alla procedura non
comprometterà, pertanto, la continuità dei rapporti di lavoro pendenti, i
quali saranno soggetti alla disciplina generale delle opzioni alternative prevista dall’art. 72 legge fallim. (140). Il fallimento, pur subentrando nei rapporti di lavoro dipendente, avrà tuttavia facoltà di attivare, nel rispetto delle
procedure e delle tutele derivanti dalle dimensioni aziendali, tutti i rimedi
predisposti dall’ordinamento al fine di evitare o limitare il relativo onere
economico: dalla integrazione salariale straordinaria alla collocazione in mobilità del personale eccedente la potenzialità produttiva del complesso
aziendale, fino alla soluzione estrema del licenziamento (141). Ferma restando, ovviamente, anche la possibilità di salvaguardare in tutto o in parte i
(137) In tal senso, cfr. Fimmanò, Gli effetti del fallimento..., op. cit., 230.
(138) Cfr., in tal senso, anche Sanzo-Bianchi, Manuale delle procedure concorsuali, op.
cit., 394.
(139) V. Panzani, Affitto di azienda e procedure diverse dall’amministrazione straordinaria, in Fallimento, 1998, 925, nonché Fimmanò, Gli effetti del fallimento..., op. cit., 233 seg.
(140) Cfr. Conedera, op. cit., 500, con riferimento al disposto di cui all’art. 104 bis,
comma 6, legge fallim., relativo ai contratti di affitto stipulati in sede endofallimentare.
(141) V., per tutti, Fimmanò, Gli effetti del fallimento..., op. cit., 234.
Parte I - Dottrina
431
livelli occupazionali stipulando un nuovo contratto di affitto con un diverso
imprenditore ai sensi dell’art. 104 bis legge fallim. (142).
Con riferimento, infine, agli effetti della restituzione dell’azienda sui
contratti pendenti tout court, cioè su tutti i rapporti diversi da quelli di lavoro dipendente, occorre ricordare nuovamente che la fattispecie locativa
contemplata dall’art. 79 legge fallim. è relativa ad accordi intervenuti tra
l’imprenditore in bonis ed il terzo affittuario prima del fallimento.
Dunque, benché considerata generalmente applicabile anche alla peculiare ipotesi della retrocessione; la regola del subentro automatico sancita
dall’art. 2558 cod. civ. – da ritenersi valida a condizione che il contratto
pendente non ecceda oggettivamente la potenzialità produttiva dell’azienda
in sede di stipula dell’affitto, né gli eventuali limiti pattizamente stabiliti dalle parti – non sembra applicabile all’ipotesi in cui, stante l’intervenuta pronuncia ex art. 16 legge fallim., nella posizione di concedente si trovi, al momento della restituzione, la procedura fallimentare.
I limiti gestionali imposti all’affittuario al fine di non alterare le caratteristiche fondamentali dell’azienda appaiono, invero, correlati essenzialmente ad una prospettiva fisiologica di going concern, cioè ad una ipotesi di normale ed indefinita prosecuzione dell’attività di impresa in capo al concedente a seguito della retrocessione.
Per il fallimento, invece, il rispetto dei caratteri strutturali del complesso aziendale da parte dell’affittuario potrà, al più, rappresentare una
delle condizioni fondamentali per realizzarne al meglio, ed in breve tempo, il valore (143).
In definitiva, nell’eventualità che l’assetto organizzativo dell’azienda sia
rimasto sostanzialmente immutato al momento della retrocessione, non
sembra potersi fondatamente configurare alcuna regola in virtù della quale
l’esecuzione dei contratti ancora pendenti debba automaticamente proseguire in capo alla procedura.
Viceversa, attese le finalità ed i vincoli che caratterizzano il concorso, il
menzionato onere conservativo rileverà, per il fallimento, soprattutto qualora non venga assolto da parte del conduttore, concretando in particolare la
(142) Tale disposizione, probabilmente ispirandosi ai principi informatori della legislazione sulla crisi delle medie e grandi imprese, prevede invero, al comma 2, che la scelta dell’affittuario da parte del curatore debba tenere conto anche dell’attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, con particolare riguardo alla conservazione dei livelli
occupazionali. Sul punto, cfr. tuttavia Paciello, op. cit., 337, il quale – in considerazione sia
della differente impostazione finalistica che caratterizza le rispettive procedure, sia della mancanza di una analogo richiamo con riferimento alla vendita disciplinata dall’art. 105 legge fallim. – limita il significato dell’inciso in esame ad una mera valutazione di apprezzamento, da
intendersi in chiave del tutto ultronea rispetto al criterio fondamentale del miglior prezzo.
(143) Sul punto, cfr. anche supra, § 6.
432
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
possibilità per il curatore di esercitare il diritto di recesso; ovvero, nell’ipotesi di manifeste e sopravvenute alterazioni strutturali, i rimedi di cui agli
articoli 1467 e 1618 cod. civ. (144).
Si consideri altresı̀ che là dove nel contratto di affitto stipulato ai sensi
dell’art. 104 bis legge fallim. gli organi fallimentari possono effettivamente
regolare, con il consenso dell’affittuario, anche il destino dei contratti in
corso al momento della futura retrocessione; nel caso in cui l’accordo venga
concluso prima del fallimento potrebbe risultare preclusa, per molteplici ragioni, la facoltà di escludere convenzionalmente il subentro della curatela in
ordine a quei rapporti eccessivamente onerosi o comunque pregiudizievoli
rispetto all’esecuzione concorsuale (145); salva, naturalmente, l’ipotesi in cui
si ritenga applicabile in via analogica anche alla fattispecie di cui all’art. 79
legge fallim. la possibilità di optare o meno per la prosecuzione del rapporto ex art. 104, comma 7. legge fallim.
Ferma restando la peculiare disciplina inerente i rapporti di lavoro dipendente, nel caso in cui, per qualsivoglia motivo, si verifichi la retrocessione in capo al fallimento dell’azienda oggetto di affitto ex art. 79 legge fallim., la sorte degli eventuali contratti ancora in corso di esecuzione sarà determinata indistintamente – in chiave del tutto analoga a quanto avviene al
termine dell’esercizio provvisorio (art. 104, comma 9, legge fallim.) e dell’affitto endoconcorsuale dell’azienda medesima (art. 104 bis, comma 6, legge
fallim.) – sulla base alle norma contenute negli articoli 72 segg. della legge
fallimentare; cioè sulla base di una contingente valutazione di opportunità
da parte del curatore qualora manchi una specifica disposizione che preveda lo scioglimento ovvero la prosecuzione automatica (146).
(144) Su questo particolare aspetto, cfr. supra, § 3.
(145) Guglielmucci, Diritto fallimentare, cit., 72, osserva che, qualora il contratto di
affitto venga stipulato nell’imminenza di una procedura, potrebbe risultare opportuno che
l’imprenditore ne concordi il contenuto adottando, se possibile, quelle cautele cui si ispira
l’art. 104 bis legge fallim. nell’ipotesi di stipulazione endofallimentare, ed informando eventualmente il giudice al fine di posticipare l’apertura del concorso.
(146) Giorgetti-Clemente, La legge fallimentare commentata, op. cit., 237, escludono
invece l’applicabilità dell’art. 72 legge fallim. per i contratti aziendali ancora in fase esecutiva
quando venga a cessare, per qualsiasi motivo, il rapporto di affitto preesistente; sul presupposto dell’impossibilità di qualificarli come «pendenti» al momento della sentenza ex art. 16
legge fallim. poiché sopravvenuti, per l’impresa in fallimento, dopo l’apertura della procedura
concorsuale. In altri termini, se abbiamo ben compreso, l’utilizzo del potere di scelta concesso al curatore dal menzionato art. 72 legge fallim. dovrebbe, in tal caso, ritenersi precluso in
base all’argomentazione secondo cui, per la procedura medesima, la «pendenza» del contratto precedentemente stipulato dall’affittuario assumerebbe rilievo tecnico – formale solo al
momento della retrocessione al fallimento del complesso aziendale, cioè in una data necessariamente successiva a quella dell’apertura del concorso. Tuttavia, mi sembra che la disciplina
contenuta nell’art. 72 segg. legge fallim. prescinda completamente, ai fini della sua effettiva
Parte I - Dottrina
433
9. Il fallimento dell’affittuario. – Larga parte delle considerazioni formulate nei precedenti paragrafi riguardo al fallimento del locatore, ivi comprese quelle relative al contenuto dei criteri equitativi da utilizzare per la determinazione dell’indennizzo in caso di recesso, possono ritenersi valide –
compatibilmente con le diverse coordinate strutturali della relativa procedura e, ovviamente, con la differente fisionomia degli interessi ad essa sottesi – anche in riferimento all’apertura del concorso sul patrimonio dell’affittuario (147).
In linea di principio, dunque, neppure in ordine al fallimento del conduttore si rende necessaria, ai fini dell’esercizio di entrambe le opzioni concesse dall’art. 79 legge fallim., la preventiva autorizzazione da parte del comitato dei creditori.
Tendenzialmente simile risulta, altresı̀, la configurazione in termini
asimmetrici, rispetto alle distinte posizioni del locatore e dell’affittuario,
della ratio sottostante alla possibilità di esercitare reciprocamente il diritto
di recesso. In particolare, analogamente a quanto si è rilevato circa il fallimento del locatore, anche in tal caso sarà soprattutto la curatela, nell’ambito della procedura relativa all’impresa dell’affittuario medesimo, che dovrà
analizzare, valutando l’utilità marginale dell’esercizio provvisorio, se sia opportuno proseguire nella gestione dell’azienda in sede endoconcorsuale, ovvero risulti più utile porre anticipatamente termine all’esecuzione del contratto di affitto (148).
Cosı̀ come non sembra del tutto agevole, in capo alla controparte in bonis – cioè con riferimento, qui, alla posizione del locatore – delineare nitidamente una prospettiva di vantaggio collegata all’esercizio della facoltà di
recedere. Invero, dovendo comunque la gestione dell’azienda in ambito fallimentare adeguarsi, prima o poi, alla specifica disciplina sostanziale e tem-
applicabilità, dalla circostanza che la necessità di determinare il destino di un rapporto contrattuale preesistente al concorso si realizzi o meno alla data della dichiarazione di fallimento.
Come dimostra chiaramente l’eventualità, espressamente contemplata ed ammessa dall’art.
104 legge fallim., che – a seguito dell’esercizio provvisorio disposto ai sensi del comma 1 –
i contratti pendenti stipulati dall’imprenditore ancora in bonis proseguano in corso di procedura ai sensi del settimo comma e vengano, infine, regolati, giusta il disposto del comma nove, proprio in base agli articoli 72 e seguenti nel momento in cui cessa l’esercizio medesimo.
(147) In ordine al quale è appena il caso di rilevare come la norma generale ex art. 1626
cod. civ., per la quale l’affitto si scioglie a seguito dell’insolvenza dell’affittuario, ceda in tal
caso il passo alla disciplina speciale, cioè alle disposizioni contenute, appunto, negli articoli
72 segg. della legge fallimentare.
(148) Trattasi, ovviamente, di un interesse di segno sostanziale del tutto opposto a quello
individuato per l’insolvenza del concedente: mentre lı̀ la scelta del curatore viene invero
orientata in base all’obiettivo di riportare immediatamente il complesso aziendale nell’ambito
gestorio della massa; qui la sua delibazione tende invece a determinarne, se del caso, l’anticipato ripristino del godimento da parte del proprietario.
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porale stabilita per l’esercizio provvisorio, non è in effetti facile concepire
per quale ragione egli debba determinarsi al recesso ex art. 79 legge fallim.
quando da un lato l’art. 104, comma 8, legge fallim. gli garantisce il pagamento in prededuzione dei canoni ivi maturati; mentre dall’altro tale esercizio, oltre a contraddistinguersi per una più intensa forma di controllo della gestione, è istituzionalmente destinato a protrarsi, al massimo, per la durata predefinita in base alle esigenze di liquidazione dell’attivo.
Peraltro, nell’ipotesi in cui il curatore, non esercitando il diritto di recesso, scelga l’alternativa del subentro automatico – evidentemente all’unico
fine di migliorare le performances della liquidazione attraverso la conclusione del ciclo produttivo (149) – si pone, come si è appena visto, un problema
di coesistenza concorsuale tra la prospettiva di gestire effettivamente l’azienda locata e la preminenza sistematica di cui gode, in ordine a qualunque
ipotesi di prosecuzione endofallimentare dell’attività di impresa, l’istituto
dell’esercizio provvisorio.
In proposito, una parte della dottrina tende a ritenere, per il fallimento
dell’affittuario, che l’autorizzazione prevista dall’art. 104 legge fallim., eventualmente corredata dal parere favorevole del comitato dei creditori nello
specifico caso contemplato dal comma 2, rappresenti un presupposto logico
essenziale ai fini dell’opzione del curatore di proseguire nella gestione ex
art. 79 legge fallim. (150).
In virtù di un postulato sostanzialmente analogo – cioè l’esigenza di una
rigida correlazione funzionale tra esercizio provvisorio e continuazione ex
lege ai sensi dell’art. 79 legge fallim. – vi è, all’opposto, chi ritiene preclusa,
nell’ipotesi di fallimento dell’affittuario, la stessa possibilità di proseguire
nell’esecuzione del contratto preesistente; concedendo al curatore, quale
unica alternativa, soltanto la possibilità di recedere (151).
(149) V. Guglielmucci, Diritto fallimentare, op. cit., 134, nota 19; nonché Paciello,
op. cit., 352, il quale, individuata in tale prospettiva l’unica ragione del favor normativo accordato alla continuazione del contratto nell’ipotesi di fallimento del conduttore, ritiene che il
curatore, ultimate le fasi produttive richieste dall’attività oggetto dell’impresa – dunque, riterrei, anche oltre il termine bimestrale fissato dall’art. 79 legge fallim. – dovrà esercitare il diritto di recesso dal contratto.
(150) Cfr. Giovetti, op. cit., 1296, la quale ritiene che, in tal caso, l’esercizio provvisorio
risulterà disciplinato, sul piano sostanziale, non già dalle regole generali contenute nell’art.
104 legge fallim., bensı̀ da quelle concordate nel contratto di affitto concluso dall’imprenditore in bonis, che dovrà essere rispettato anche là dove manchino, o vengano a mancare, i
requisiti previsti dallo stesso art. 104 legge fallim.
(151) In tal senso, v. Fimmanò, Gli effetti del fallimento..., op. cit., 229 seg., il quale,
sposando una soluzione diametralmente opposta a quella formulata da altri autori (v., in particolare, la nota precedente), respinge, in particolare, l’ulteriore corollario secondo cui, nell’ipotesi di prosecuzione, l’esercizio provvisorio debba poi soggiacere, in concreto, alla disciplina negoziale stabilita dalle parti nel contratto medesimo, e perciò esclude alla radice, quan-
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Tuttavia, per quanto decisiva al fine di determinare il senso e la portata
di tale norma nel concorso aperto a carico del conduttore, la prospettata
interrelazione funzionale non mi sembra cosı̀ stringente ed univoca da implicare un rigoroso rapporto di pregiudizialità consequenziale tra esercizio
provvisorio e subentro ex lege, né tantomeno la radicale negazione di ogni
ipotesi di subentro nel contratto ex art. 79 legge fallim..
Invero, qualora l’esercizio provvisorio sia stato disposto ex art. 104,
comma 1, legge fallim., la questione del rapporto funzionale tra l’esercizio
medesimo e la preesistenza di un affitto aziendale non sembra neppure porsi: in tal caso il relativo contratto, in virtù del successivo comma sette, prosegue ex lege, salvo che il curatore non preferisca sospenderne l’esecuzione
ovvero determinarne lo scioglimento, a prescindere dal fatto che sia o meno
decorso il termine bimestrale fissato dall’art. 79 legge fallim.
Relativamente più complessa appare l’ipotesi in cui, nulla disponendo la
sentenza dichiarativa in ordine all’esercizio provvisorio, ogni relativa opzione in proposito sia eventualmente rimessa, ex art. 104, comma 2, legge fallim., alla successiva valutazione del curatore e del comitato dei creditori.
In questo caso, si delineano due fattispecie ben distinte, poiché il subentro della curatela dell’affittuario ex art. 79 legge fallim. implica, a ben vedere, un’unica conseguenza – ontologicamente diversa ed indipendente dall’effettivo esercizio dell’attività aziendale – cioè l’obbligo di corrispondere
alla controparte in bonis il canone di affitto a suo tempo concordato per
assicurarsi la disponibilità del complesso o del ramo aziendale.
A questo proposito, occorre peraltro rilevare che il dovere di gestire effettivamente l’azienda, pur se previsto ai sensi del combinato disposto degli
articoli 1615 e 2562 del codice civile, ha carattere tendenzialmente relativo (152). Esso può dunque anche, direi soprattutto, contemplare il tempera-
to meno in riferimento all’alternativa del subentro automatico, la possibilità di applicare l’art.
79 legge fallim. al fallimento del conduttore. In chiave sostanzialmente analoga, L. Marmo,
Disciplina dell’affitto di azienda assoggettata a procedura concorsuale di carattere liquidatorio, in
Crisi di impresa e salvaguardia dell’azienda, a cura di G. Schiano Di Pepe, Padova, 1995
285, adombra l’ancor più radicale ipotesi dello scioglimento ipso iure, sul presupposto che
non si possa far gravare sulla procedura fallimentare l’obbligo di curare la gestione di un’azienda altrui.
(152) La tendenziale relatività dell’obbligo di condurre l’azienda, ed in particolare il rilievo selettivo che possono assumere, a tal proposito, le concrete implicazioni economico –
produttive dell’attività aziendale, è del resto posta in luce, già sul piano fisiologico, da M. Rotondi, Diritto industriale, Padova, 1965, 417, e da G.E. Colombo, L’azienda e il mercato, in
F. Galgano (diretto da), Diritto pubblico dell’economia, III, 233, ed ivi, n. 36, per i quali
proprio le regole di buona gestione possono suggerire, tra l’altro, addirittura che non vengano utilizzati i macchinari in una fase di ristagno della produzione.
Del resto, sia la giurisprudenza di legittimità (Cassazione, 31 marzo 2007, n. 8076, in Foro it., 2007, voce Locazione, n. 8076; Cassazione, 5 gennaio 1985, n. 166, in Giur. it., 2005,
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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2010
mento imposto dalla sopraggiunta apertura del concorso, ammettendo in
particolare deroghe in ragione delle necessità, dei tempi e degli obiettivi imposti dalla liquidazione fallimentare (153). Esiste, in altri termini, la possibilità che la procedura dell’affittuario, subentrando nel contratto, ritenga opportuno, per un certo e circoscritto periodo di tempo, limitarsi a versare
alla controparte in bonis il canone di affitto dell’azienda medesima pur
non avendo ancora deciso nulla in ordine alla relativa attività.
Quando invece gli organi della procedura, avendone valutato positivamente l’impatto sulla soddisfazione dei creditori, abbiano assunto la determinazione di esercitare effettivamente l’attività dell’impresa fallita, risulterà
indispensabile attivare l’ulteriore meccanismo dell’esercizio provvisorio.
Nel caso di fallimento del conduttore potrebbe, quindi, delinearsi una
prospettiva nella quale – risultando funzionale ad una valutazione più attenta e consapevole relativamente alle prospettive dell’esercizio provvisorio – è
in definitiva il subentro automatico, e non viceversa, che esprime un presupposto tecnico-organizzativo indispensabile al fine di poter utilmente valutare ed eventualmente assumere la decisione di proseguire l’attività di impresa secondo il regime stabilito dall’art. 104 legge fallim. (154). In altri termini, la prosecuzione automatica del contratto di affitto, ferma restando la
condizione di fondo dell’opportunità dell’esercizio medesimo in ordine alla
soddisfazione dei creditori, potrebbe anche essere strumentalmente orientata a rafforzare – in termini di maggiore libertà, informazione e ponderazione – i poteri di scelta attribuiti in proposito agli organi della procedura.
Alla luce di quanto fin qui evidenziato, non si palesano del tutto esaustive le ricostruzioni offerte sul presupposto della incompatibilità funziona-
1180) che quella di merito (Appello Milano, 5 aprile 2006, in Giur. it., 2006, 2316) sono concordi nel ritenere che – ricorrendo la figura dell’affitto di azienda quando il complesso dei
beni venga concesso tanto nella sua fase statica che nella sua fase dinamica – la relativa fattispecie si concreta indipendentemente dalla circostanza che sia in atto l’esercizio dell’attività
di impresa, essendo sufficiente che i vari elementi dedotti nel contratto risultino potenzialmente idonei all’esercizio di tale attività.
(153) Mandrioli, cit., 290 rilevata l’assenza di una espressa disposizione di legge che
imponga all’affittuario di esercitare l’attività dell’azienda attenendosi ad un rigoroso principio
di continuità gestionale, ritiene correttamente ammissibile una prospettiva in cui alla sospensione temporanea conseguente alla dichiarazione di fallimento segua la ripresa dell’attività
previa autorizzazione all’esercizio provvisorio.
(154) In tal senso, seppur con specifico riferimento al contratto di locazione di immobili,
cfr. le argomentazioni sviluppate da M. Di Marzio, Contratto di locazione e fallimento, in
Contratti in esecuzione e fallimento. La disciplina dei rapporti pendenti nel nuovo diritto concorsuale, op. cit., 201, il quale individua, peraltro, nell’eventuale definizione di un concordato
fallimentare una ulteriore finalità il cui raggiungimento potrebbe risultare agevolato dal meccanismo del subentro ex lege.
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le tra il fenomeno dell’esercizio provvisorio e la fattispecie del subentro ex
lege nel contratto di affitto aziendale preesistente.
In particolare, non lo è la conclusione (155) che – modellando la concreta disciplina dell’esercizio provvisorio dell’impresa in base a regole pattizie
riferite all’azienda e destinate a prevalere anche qualora manchino i presupposti richiesti dall’art. 104 legge fallim. – finisce per ammettere un inammissibile sacrificio temporale e funzionale degli interessi e dei preminenti obiettivi del fallimento. Né pare esserlo l’opposta ricostruzione (156) la quale, in
virtù del medesimo assunto, esclude radicalmente la possibilità di applicare
l’art. 79 legge fallim. nell’ipotesi di insolvenza dell’affittuario, con ciò negando tuttavia a priori, ed ingiustificatamente, alla procedura la disponibilità di uno strumento che – se utilizzato correttamente nei limiti tracciati
dall’esercizio provvisorio dell’impresa – potrebbe invece contribuire a migliorare il risultato della liquidazione concorsuale (157).
Acclarata la possibilità che il subentro automatico previsto dall’art. 79
legge fallim. possa realizzarsi anche se non si è ancora radicato il regime
di cui all’art. 104 legge fallim., il problema sarà, semmai, quello di determinare, sotto il profilo pratico, il limite di tolleranza che tale autonomia funzionale incontra nell’ovvio presupposto sostanziale dell’impossibilità, per la
massa, di corrispondere il canone di affitto in assenza di alcuna realistica
prospettiva circa l’esercizio provvisorio dell’impresa fallita.
In altre parole, se da un lato la gestione dell’impresa, quando non fondata sulla stessa sentenza dichiarativa, dovrà sempre presupporre l’iter
autorizzativo di cui al comma 2 dell’art. 104 legge fallim.; dall’altro, qualora
ciò non avvenga nel termine bimestrale previsto dall’art. 79 legge fallim., il
curatore non avrà altra alternativa che esercitare tempestivamente il diritto
di recesso, pena il rischio di soggiacere comunque agli obblighi derivanti
dal contratto di affitto pur mancando (ancora) l’autorizzazione all’esercizio
provvisorio.
(155) Formulata da Giovetti, op. cit., 1296, e sinteticamente esposta alla precedente
nota 155.
(156) Espressa da Fimmanò, Gli effetti del fallimento..., op. cit., 229 segg., e sintetizzata
alla precedente nota 156.
(157) Plenteda, cit., 106, osserva che qualora si accogliesse la tesi dell’incompatibilità
funzionale del concorso con la prosecuzione automatica ex art. 79 legge fallim., i creditori
dell’affittuario fallito si vedrebbero privati, oltre che dei vantaggi sostanziali derivanti dalla
conservazione del contratto di affitto, anche della prospettiva di conseguire l’equo indennizzo
nell’eventualità del successivo recesso da parte del locatore in bonis, dal momento che la cessazione del rapporto andrebbe ricondotta non già alla scelta della controparte di recedere,
bensı̀ alla intrinseca incapacità giuridica del contratto di continuare a spiegare i propri effetti.
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