Stress, traumi, catastrofi e salute mentale

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Stress, traumi, catastrofi e salute mentale
Con il termine di “stress” si intende, nel linguaggio clinico, ma anche nel linguaggio comune, una condizione di disagio,
prolungata tensione nervosa o fisica, ansia, fatica, sofferenza con conseguenze valutate, in genere, come negative per
l’organismo o per le condizioni di salute mentale e fisica. Selye, a partire dal 1936, ha definito lo stress come la reazione
aspecifica dell’organismo a qualunque esigenza o richiesta che gli venga imposta. Egli definì “stressors” i vari tipi di
stimoli socio-ambientali o fisici in grado di suscitare tale risposta. Numerosi studi hanno successivamente chiarito che,
per ogni individuo, l’entità dell’effetto stressante di uno stimolo non dipende solo dalle caratteristiche sue proprie, ma
“dall’intensità delle esigenze imposte alle capacità di adattamento del corpo”. Ulteriori approfondimenti scientifici hanno
sviluppato il concetto di “stress” come importante fattore per comprendere l’integrazione delle risposte biologiche e
comportamentali dell’individuo, in seguito a stimoli sia esterni che interni.
E’ stato, in particolare, sottolineato il significato fondamentale, non solo negativo, ma anche positivo dello “stress” per la
vita e le sue finalità di adattamento, per la sopravvivenza del singolo individuo e della specie, mediante specifici
programmi comportamentali e biologici. Attualmente con il termine di “stress” si intende uno stato di attivazione
psicologica e biologica, indotta da stimoli e situazioni socio-ambientali, valutati come emotivamente significativi
dall’individuo. La famiglia, il lavoro, il rapporto con gli altri, le malattie, gli incidenti, gli infortuni e la vita di relazione
possono costituire per un individuo predisposto, importanti fonti di stress soggettivo.
Il disturbo post-traumatico da stress (DPTS) rappresenta, nella nosografia psichiatrica, una condizione psico-patologica
invalidante, talora ad andamento cronico, che viene frequentemente non diagnosticata.
Numerosi possono essere i fattori che portano ad una sottovalutazione epidemiologica e clinica del disturbo, che, in sé,
non si presta a particolari errori diagnostici. Un importante fattore può essere rappresentato dalla scarsa familiarità dei
clinici con questo tipo di disturbo, spesso confuso con altri quadri psico-patologici presenti in comorbilità, quali disturbo
d’ansia generalizzata, depressione dell’umore, disturbo da attacchi di panico e/o disturbi da abuso di sostanze. Il fattore
confondente più frequente è, però, rappresentato dalla scarsa importanza data all’evento stressante dallo stesso
paziente, a volte per motivazioni medico-legali e di carriera, a volte per l’impossibilità di enucleare nell’anamnesi uno
specifico evento traumatico.
L’aumento delle situazioni potenzialmente in grado di indurre una reazione da stress post-traumatico ha portato
all’aumento dei contenziosi in ambito legale, in cui si tende spesso ad abusare di questa diagnosi. I criteri diagnostici
previsti dal DSM IV risultano, in realtà, sostanzialmente rigorosi, prevedendo situazioni stressanti con caratteristiche di
“gravità oggettiva estrema”. In un importante studio epidemiologico americano è stato evidenziato, nella popolazione con
età compresa tra 15 e 54 anni, che la prevalenza del disturbo oscilla tra lo 0,5 ed il 1 % e che la possibilità di ammalarsi
di DPTS può essere stimata intorno al 10 % nel corso della vita. Tali valori risultano estremamente più elevati tra i
soggetti a rischio, potendo raggiungere, per esempio, tra i sopravvissuti ai campi di sterminio, valori intorno al 90 %
anche dopo decenni dalla cessazione della condizione stressante. In Italia uno studio sistematico di questo tipo non è
stato ancora effettuato.
Dati clinici raccolti in seguito ad alluvioni e terremoti, sulle popolazioni esposte, sembrano sostanzialmente confermare i
dati epidemiologici americani anche nella popolazione italiana. La scarsa dimestichezza con tale diagnosi porta spesso il
medico a focalizzare la propria attenzione maggiormente su alcuni aspetti sindromici (ansia, depressione, etc.) anzichè
sul rapporto tra evento traumatico ed insorgenza della sintomatologia psico-patologica. La insufficiente attenzione
riservata al rapporto evento-reazione spesso induce una errata impostazione diagnostica, procrastinando il più
opportuno intervento terapeutico e favorendo, di fatto, la potenziale cronicizzazione del quadro clinico.
I quadri psico-patologici innescati da un evento traumatico, di particolare rilevanza, possono essere di breve durata o
possono perdurare per decenni, associandosi, quasi sempre, ad una aumentata morbilità a lungo termine.
La sintomatologia clinica più frequente, in questi casi, è rappresentata da una complessa sindrome ansioso-depressiva,
acuta e cronica. Gli effetti patogeni sul piano psichico non interessano solo le vittime di eventi traumatici, ma si
estendono anche ai loro familiari ed allo stesso personale coinvolto nel soccorso, soprattutto in caso di disastri e
calamità maggiori. La valutazione più corretta degli effetti psico-patologici del trauma deve includere gli aspetti biologici,
psicologici e sociali dell’evento. Lo psichiatra è chiamato, in questi casi, a valutare clinicamente, non solo il DPTS, ma
anche il disturbo acuto da stress, la depressione, l’abuso di sostanze a valenza autoterapica, il danno biologico
invalidante e le compromissioni socio-relazionali indotte dagli eventi traumatici, quali la perdita di familiari, nonchè la
perdita di casa, scuola, amicizie e relazioni socialmente rilevanti, al fine di sviluppare interventi efficaci ed adeguati
programmi terapeutici.
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Particolare attenzione va riservata ai soggetti feriti in corso di disastri ed eventi traumatici che, secondo diversi studi,
rappresentano un gruppo di individui ad alto rischio per l’insorgenza di successive patologie psichiatriche. Gli effetti di
uno stress prolungato nel tempo possono essere rappresentati da disturbi psico-patologici ad espressione somatica, ma
anche da disturbi del comportamento sociale, con aspetti fobici e/o ad espressione violenta.
L’approccio terapeutico più corretto per l’intervento psichiatrico dopo eventi traumatici o catastrofi è quello integrato biopsico-sociale a valenza preventiva. In questa prospettiva, la prevenzione primaria consiste nell’evitare l’insorgere della
psico-patologia post-trumatica, la prevenzione secondaria nel trattamento precoce dei quadri psico-patologici indotti dal
truma e la prevenzione terziaria nell’evitare il cronicizzarsi della psico-patologia insorta, con opportuni interventi
terapeutico-riabilitativi.
In questa ottica, l’identificazione dei soggetti ad alto rischio, la precocità degli interventi, il riposo in condizioni assistite di
benessere psico-fisico e, soprattutto, in ambienti accoglienti e sicuri sono interventi prioritari e cruciali per l’evolutività dei
quadri psico-patologici potenzialmente innescati. I soccorritori possono svolgere, in questo senso, un importante ruolo di
prevenzione primaria, informando circa i rischi attesi, fornendo strumenti ed informazioni orientati a sviluppare le
capacità di autoprotezione ed un maggiore senso di sicurezza e di controllo, incoraggiando il “racconto spontaneo” degli
eventi traumatici e facilitando il ritorno a ritmi fisiologici nell’alimentazione e nel riposo.
La prevenzione secondaria include il ristabilire la sicurezza ed i servizi della comunità, istruire gli stessi soccorritori ed
addetti all’assistenza primaria, fornendo aiuto prioritariamente alle persone con condizioni cliniche più gravi, orientando
la diagnosi precoce del danno, nonché facilitando la raccolta di informazioni circa l’evento traumatico. In questo ambito,
la raccolta di informazioni non va sottovalutata, rappresentando non solo un aspetto della prevenzione secondaria, ma
anche una fase del trattamento precoce. L’intervista delle vittime di catastrofi e/o di eventi traumatici è comunemente
effettuata in contesti estemporanei, da personale non specificamente addestrato.
Una raccolta di informazioni di questo tipo, se non strettamente necessaria per motivi di sicurezza, è sostanzialmente
inutile, se non dannosa, ai fini di una opportuna prevenzione secondaria e di un trattamento precoce dei disturbi psicopatologici. Infatti, tale pratica, prima che venga ristabilito in un ambiente sicuro il necessario equilibrio fisiologico (acqua,
cibo sonno) può compromettere ulteriormente l’integrazione cognitiva del paziente circa l’evento traumatico.
Gli eventi traumatici possono dipendere da numerosi e disparati “stressors” quali: minaccia diretta di morte; minaccia di
morte nei riguardi delle persone care; perdita traumatica di consanguinei, affini o vicini; perdita traumatica della proprietà
e/o del ruolo sociale; esposizione ad assurdità. Le catastrofi naturali, quali terremoti ed inondazioni, che si sono
abbattute di recente anche in Italia, con il loro carico di vittime, possono rappresentare non solo un evento traumatico
isolato ma eventi traumatici multipli e cronici, in cui alla minaccia personale di morte può essersi associata la perdita di
cari e la perdita di casa, lavoro, amici, risorse economiche e sicurezza sociale.
Le catastrofi rappresentano, perciò, una fonte di stress multipli ed una serie di eventi stressanti di diversa rilevanza
psico-patogenetica per il singolo paziente. Gli studi sui traumi da eventi multipli e quelli indotti da una singola
esposizione possono integrarsi reciprocamente nell’arricchimento delle conoscenze cliniche degli psichiatri sulla
complessità della psico-patologia post-traumatica. Solo di recente, per esempio, ci si è soffermati sulla diversa prognosi
dei disturbi psichiatrici post-traumatici acuti rispetto a quelli cronici. Risulta evidente che gli interventi terapeutici integrati
(sociali, psicologici e biologici) vanno diversificati nel trattamento di sindromi post-traumatiche acute e croniche.
E’ ovvio che nella fase acuta il trattamento deve concentrarsi sulla gestione delle ferite in essere. Quando avremo
maggiori conoscenze sulla neurobiologia del trauma potremo anche prevenire farmacologicamente la codifica dei ricordi
traumatici, le risposte generalizzate di ansia/paura, nonché gli altri aspetti di risposta psico-neuro-vegetativa indotti
dall’evento. Al contrario, nei disturbi psico-patologici post-traumatici cronici l’obiettivo di una opportuna terapia neurobiologica potrà essere rappresentato dal trattamento dell’ansia generalizzata, dalla prevenzione del panico in crisi, dal
trattamento del riaffiorare spontaneo di ricordi disturbanti connessi all’evento, dal prevenire l’instaurarsi di una
depressione dell’umore o di un disturbo da abuso di sostanze a scopo autoterapico. In maniera sostanzialmente analoga
il trattamento psicoterapeutico del DPTS acuto si focalizza sulla ricostruzione dell’evento traumatico per aiutare la
rievocazione e l’elaborazione cognitiva degli eventi traumatici vissuti. Nel DPTS cronico, invece, la psicoterapia cerca di
identificare i ricordi dell’evento traumatico, che il paziente richiama alla mente, in rapporto e risposta ad ansie e stress
attuali.
Nella fase acuta gli interventi di assistenza sociale sono rivolti maggiormente a ristabilire condizioni di sicurezza e
protezione, nella fase cronica gli obiettivi sono rappresentati dalla gestione del ritiro sociale e dei rapporti interpersonali.
L’evento stressante, singolo o multiplo che sia, può indurre effetti clinicamente rilevanti sul piano psico-patologico, del
singolo soggetto, in rapporto al suo personale grado di vulnerabilità specifica. Ciò nonostante numerosi studi
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sull’argomento hanno permesso di evidenziare che le risposte neurobiologiche indotte dagli eventi stressanti
mantengono alcune caratteristiche universali, persino trans-specifiche.
Un ruolo degli oppioidi endogeni, nella modulazione della reattività allo stress, può essere inferito a partire dalla capacità
di queste sostanze di controllare non solo la soglia di dolore ma anche il tono catecolaminergico cerebrale e sistemico.
Gli agonisti recettoriali beta-endorfinici sembrano inibire il tono simpatico, inducendo una riduzione di adrenalina e
noradrenalina. Questi dati permettono di interpretare correttamente gli effetti farmacologici diretti, indotti in acuto, dagli
oppiacei, che causano ipotensione arteriosa e bradicardia, sia in condizioni basali sia in risposta allo stress. Gli oppiacei,
inoltre, sembrano avere, in acuto, un’azione facilitatoria sul tono parasimpatico. Alcuni dati confermano che la prolungata
stimolazione recettoriale con oppiacei esogeni può indurre super-sensibilizzazione dei recettori noradrenergici, con
alterazione funzionale post-sinaptica del tono dopaminergico. Gli antagonisti degli oppioidi, invece, stimolano la risposta
agli stressors, probabilmente interferendo con il tono inibitorio delle endorfine sulla secrezione delle catecolamine. Il
Corticotropin-Releasing Factor (CRF) sembra svolgere complesse funzioni di neuro-modulazione della risposta allo
stress, a livello del SNC, anche fuori del classico asse ipofisi-surrenalico.
Con il termine "reazione da stress" in ambito scientifico si intende l'insieme delle risposte adattive, opposte
dall'organismo a determinati stimoli ambientali (stressors) potenzialmente dannosi, a fini omeostatici.
L’uomo vive immerso in un mare di stimoli e la sua vita biologica, la sua stessa struttura psicologica e caratteriale si
sviluppano a partire dalle risposte che continuamente da questi stimoli vengono evocati. E’ evidente come l’insorgere di
un disagio comportamentale possa essere facilitato o indotto, in un soggetto predisposto, da una serie di eventi psicosociali stressanti, che possono rappresentare fattori importanti anche nella cronicizzazione del disturbo e nella ricaduta
sintomatologica dalle fasi di relativo benessere.
Gli stimoli ambientali assumono valore motivazionale in rapporto alla loro capacità di indurre risposte specifiche,
orientate omeostaticamente, nei sistemi biologici. Gli stimoli essenziali alla sopravvivenza dell'individuo innescano una
complessa sequenza di risposte comportamentali dirette ad approcciare e prolungare il contatto con lo stimolo stesso,
con caratteristiche gratificanti (stimoli appetitivi) oppure allontanare ed evitare lo stimolo, con caratteristiche spiacevoli o
dolorose (stimoli avversivi). L'associazione temporale ripetuta (appaiamento) di uno stimolo neutro ad uno stimolo
espressivo, sul piano motivazionale (appetitivo o avversivo), può indurre il trasferimento sullo stimolo neutro
(condizionato) delle caratteristiche risposte comportamentali, elicitate dallo stimolo incondizionato (apprendimento).
L’utilizzo di strumenti terapeutici integrati biologici, psicologici e socio-assistenziali, alla luce delle più aggiornate
conoscenze sull’argomento, può rappresentare nel prossimo futuro un obiettivo clinico realisticamente raggiungibile, nel
trattamento dei disturbi psico-patologici post-traumatici, in ambito psichiatrico.
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